Vangelo Lc 7, 1-10: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!».

Vangelo Novus Ordo Lc 7, 1-10
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafàrnao.
Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga».
Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXVII. Guarigione del servo del centurione.

  2 giugno 1945

 1 Venendo dalla campagna Gesù entra in Cafarnao. Sono con Lui solo i dodici, anzi gli undici apostoli, perché non c’è Giovanni. I soliti saluti della gente su una gamma molto varia di espressioni, da quelli che sono tutta semplicità dei bambini, a quelli un poco timidi delle donne, a quelli estatici dei miracolati, fino a quelli curiosi o ironici. Ce ne sono per tutti i gusti.
   E Gesù risponde a tutti, a seconda di come è salutato: con carezze ai piccoli, benedizioni alle donne, sorrisi ai miracolati, e rispetto profondo per gli altri. Ma questa volta alla serie si unisce il saluto del centurione del luogo, credo. Lo saluta col suo: «Salve, Maestro!» al quale Gesù risponde col suo: «Dio venga a te».
   Il romano prosegue, mentre la folla si accosta curiosa di vedere come va l’incontro: «Sono più giorni che ti aspetto. Tu non mi riconosci fra gli ascoltatori del Monte. Ero vestito da cittadino. Non mi chiedi perché ero venuto?».
   «Non te lo chiedo. Che vuoi da Me?».
   «L’ordine è di seguire coloro che tendono assembramenti, perché troppe volte Roma dovette pentirsi di avere concesso riunioni di apparenza onesta. Ma, vedendo e udendo, ho pensato a Te come a… come a…

 2 Ho un servo malato, Signore. Egli giace nella mia casa, nel suo letto, paralizzato da un male nelle ossa, e soffre terribilmente. I nostri medici non lo guariscono. I vostri, che ho invitato a venire perché sono mali che vengono dalle arie corrotte di queste regioni, e voi li sapete curare con le erbe del suolo febbricoso della sponda dove stagnano le acque prima di esser bevute dalle arene del mare, si sono rifiutati di venire. Ne ho dolore perché è un servo fedele».
   «Io verrò e te lo guarirò».
   «No, Signore. Non chiedo che Tu faccia tanto. Sono pagano, sudiciume per voi. Se i medici ebrei temono contaminarsi col porre piede nella mia casa, con più ragione essa è contaminazione a Te che sei divino. Io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto. Ma se Tu dici da qui una sola parola il mio servo guarirà, perché Tu comandi a tutto quanto è. Ora se io che sono un uomo sotosto a tante autorità, la prima delle quali è Cesare, per cui devo fare, pensare, agire come mi è comandato, posso a mia volta comandare ai soldati che ho sotto il mio comando, e se dico ad uno: “Va’ “, all’altro: “Vieni”, e al servo: “Fa’ questo “, uno va dove lo mando, l’altro viene perché lo chiamo, il terzo fa quello che dico, Tu, che sei Chi sei, sarai tosto ubbidito dalla malattia ed essa se ne andrà».
   «Non è un uomo la malattia…» obbietta Gesù.
   «Neppur Tu sei un uomo, ma sei l’Uomo. Puoi dunque comandare anche agli elementi e alle febbri perché tutto è soggetto al tuo potere».

 3 Dei maggiorenti di Cafarnao prendono in disparte Gesù e gli dicono: «Egli è romano, ma Tu ascoltalo perché è uomo dabbene che ci rispetta e ci aiuta. Pensa che ha fatto fabbricare proprio lui la nostra sinagoga e tiene in rispetto i suoi soldati perché non ci sbeffeggino nei sabati. Fàgli dunque grazia per amore della tua città, acciò egli non resti deluso ed irritato ed il suo amore non si volga in odio per noi».
   E Gesù, ascoltati questi e quello, si volge sorridendo al centùrione dicendo: «Va’ avanti che vengo».
   Ma il centurione torna a dire: «No, Signore, io l’ho detto: molto onore sarebbe se Tu entrassi sotto il mio tetto, ma non merito tanto; di’ solo una parola e il mio servo sarà guarito».
   «E sia. Va’ con fede. In questo istante la febbre lo lascia e la vita torna alle membra. Fa’ che alla tua anima pure venga la Vita. Va’».
Il centurione saluta militarmente, e poi si inchina e se ne va.

 4 Gesù lo guarda andare e poi si rivolge ai presenti e dice: «In verità vi dico che non ho trovato tanta fede in Israele. Oh! è pur vero! “Il popolo che camminava nelle tenebre vide una gran luce. Sopra coloro che abitavano nell’oscura regione di morte la Luce è spuntata”, e ancora: “Il Messia, alzata la sua bandiera sulle nazioni, le riunirà”.
   Oh! Regno mio! Veramente a te affluiranno in numero sterminato! Più che tutti i cammelli e i dromedari di Madian e di Efa, e i portatori d’oro e incenso di Saba, più che tutti i greggi di Cedar e gli arieti di Nabaiot saranno numerosi coloro che verranno a te, ed il mio cuore si dilaterà di gioia vedendo venire a Me i popoli del mare e le potenze delle nazioni. Me aspettano le isole per adorarmi, e i figli degli stranieri edificheranno le mura della mia Chiesa della quale sempre staranno aperte le porte ad accogliere i re e la forza delle nazioni ed a santificarli in Me. Questo che Isaia ha visto, ecco si compirà! Io vi dico che molti verranno da oriente e occidente e sederanno con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, mentre i figli del Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridor di denti».
   «Tu dunque profetizzi che i gentili saranno pari ai figli d’Abramo?».
   «Non pari: superiori. Non vi rincresca che perché ciò è vostra colpa. Non Io, ma i Profeti lo dicono, ed i segni già lo confermano.

 Ora alcuno di voi vada verso la casa del centurione per constatare che il suo servo è guarito come la fede del romano lo meritava. Venite. Forse nella casa vi sono malati che attendono la mia venuta».
   E Gesù, con gli apostoli e qualche altro, perchè i più si precipitano curiosi e schiamazzanti verso la casa del centurione, si dirige alla solita casa dove sosta nei giorni che è a Cafarnao.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Mc 8, 27-35: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».

Vangelo Novus Ordo Mc 8, 27-35
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo, e per la strada interrogava i suoi discepoli dicendo: «La gente, chi dice che io sia?». Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista; altri dicono Elìa e altri uno dei profeti».
Ed egli domandava loro: «Ma voi, chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». E ordinò loro severamente di non parlare di lui ad alcuno.
E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.
Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà».

 
Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus Ordo

   Cap. CCCXLIII. Il lievito dei farisei. Le opinioni sul Figlio dell’uomo. Il primato a Simon Pietro.

   27 Novembre 1945

 1 La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cercandolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono avere dormito all’aperto, al massimo in un pagliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
   Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel silenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi dalle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le sue acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono luccicare fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
   «Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?», chiedono a Gesùn che era solo, medita-bondo, e che si è fermato ad attenderli.
   «Vedete se c’è una barca per passare. È meglio andare di qui…».
   «Si. Al ponte che è proprio sulla via per Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce», osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
   «No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Sefet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cédès. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano belzebù che li conduce», dice calmo e umile l’Iscariota.
   «Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere occhio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri progetti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangelizzazione si tramuterà in perpetua fuga», ribatte Bartolomeo.
   Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sull’argine».
   E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile li accoglie anche qui. Una pianura fertile ma poco popolata. Solo i contadini che la coltivano hanno casa in essa.

 2 «Uhm! Come faremo per il pane? Io ho fame. E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape», mormora Pietro ai compagni, che sorridono all’osservazione.
   Giuda Taddeo si volta – era un poco più avanti – e dice: «Compreremo pane al primo paese».
   «Sempre che non ci facciano fuggire», termina Giacomo di Zebedeo.
   «Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal prendere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!», dice Gesù.
   Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sappiamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Come dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi…».
   Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
   «Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimarreste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso. Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricordate che ne coglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fare per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cinquemila con cinque pani. Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, contro di Me. È odio, quello. Ed è eresia. Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisaico. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo entrerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo volere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non avete ancora in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi potrebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo, che è contro l’amore, e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti».

 3 «Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Maestro?», chiede Tommaso.
   «Era lievito e veleno».
   «Hai fatto bene a non darglielo».
   «Ma glielo darò un giorno».
   «Quando? Quando?», chiedono curiosi.
   «Un giorno…».
   «E che segno è? Non lo dici neppure a noi, i tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito », chiede voglioso Pietro.
   «Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
   «Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te», dice veementemente Giacomo di Zebedeo.

 4 «Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, che dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’uomo?».
   «Chi dice che tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori. Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu lo sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
   «Qualcuno usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice: “Figlio dell’uomo”».
   «E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Figlio dell’uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che Tu non sei neppure il Figlio dell’uomo, ma un povero uomo che satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi», dice Bartolomeo.
   «Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’uomo?».
   «E’ un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uomo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma solo trasportato altrove dagli angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente! Perciò pensano in molti che il Figlio dell’uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla Terra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono convinti della infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà…», dice ancora Bartolomeo.
   «Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impossibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per salvarli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima», conferma lo Zelote. E aggiunge: «Tu lo dice che sei il Figlio di Dio e dell’uomo. Infatti i Te è ogni grazia e sapienza come uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelligenza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita? Essi, i crudeli, gli odiatori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio abbia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi a cercare e punire le colpe».

 5 «E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».
   «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», grida Pietro inginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per abbracciarlo dicendo:
   «Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti a Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere e accettare la risposta che ti veniva dai Cieli. Tu non vedesti manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giacomo. Tu non conoscevi la mia santità di figlio, di operaio, di cittadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come feci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tommaso, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!”. Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua fede fu scossa. Per questo io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e la porte dell’inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legato sulla Terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla Terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».

 6 Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello in frenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille sentimenti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone – il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!… Proprio!», incredulo e ridanciano – un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sotto quel pianto per fare apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.
   Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e muscolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e brizzolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevole, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime sparse, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse liquore vitale… e beve, beve, beve con dolcezza e grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…

 7 Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio”».

   Cap. CCCXLVI. Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.

   30 Novembre 1945

 1 Gesù deve aver lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo giorno intorno a Gesù, che si dirige verso il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupore a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luoghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i Rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio.
   Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non dà ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuemente rosei, o rosa deciso, o rosa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando presso le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case.
   «I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore», osserva Simone Zelote.
   «Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albero in fiore e non ci metti invece le prime rose?”; e Lei rispondeva: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi venne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi Giuda?», chiede Giacomo d’Alfeo al fratello.
   «Si. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attendevo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…»

 2 «Oh! andiamoci presto a vederla, Signore! Che veda anche io tutto questo!», supplica Tommaso.
   «Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo», risponde Gesù.
   «Mi accontenti proprio, Signore?».
   «Si, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito».  
   «Si. E noi andiamo a dire alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”». 
   «E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!», dice Pietro.
   «Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso».
   «Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?», dice Tommaso.
   «Io credo che siamo tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea della sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come quando si guarda un fiore… Maria, la bellezza della Terra e, credo, la bellezza del Cielo…», dice Matteo.
   «È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…», dice Filippo.
   «La si ama perché è “Maria”. Ecco!», sentenzia Pietro.

 3 Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene. Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il figlio di Dio e il Figlio dell’Uomo”. Ma ora anche vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Figlio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli».
   «Quando?», chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli.
   «Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette», risponde Gesù evasivamente.
   Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle rive del ruscello, e Giovanni dice: «E’ un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis.
   «Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore», lo consola Giacomo suo fratello.
   Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare allegramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apostoli.

 4 Il pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i discepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre.
   «Si. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un Profeta. Eppure la madre è ricordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissime, lo sarebbe Maria per aver dato al mondo Gesù il Salvatore. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacrificio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà concesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli».
   «Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?», chiede l’Iscariota.
   «Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra».
   «Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, perché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai dolore a tua Madre».
   «No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente o che vivrà, costa lacrime a Maria».
   «Ma perché?», chiede stupito Giacomo di Zebedeo.
   «Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo».
   «Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sadducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità. Ma non più di così», asserisce sicuro Bartolomeo.    
   «Giovanni Battista fu anche ucciso… e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti di Dio».
   «Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si alzerà su di Te», dice Giuda Taddeo.
   «Lo credi fratello? Sei in errore», gli risponde Gesù.
   «No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permetterà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi.
   Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse.

 5 Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui – una corona di visi addolorati ma più ancora increduli – e mormorii vanno per il gruppo:
   «Certo… se così fosse… il Taddeo avrebbe ragione».
   «Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo».
   «Cristo può essere perseguitato ma non avvilito».
   «L’unzione di Dio è su di Lui».
   «Chi ti potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?».
   «Noi non lo permetteremo».
   L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. Suo fratello lo investe: «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si scosta alquanto, piangendo.
   «E’ uno stolto!», sentenzia suo fratello.
   «Forse meno di quanto lo credi», gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resuscita. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto».
   «Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!», ribatte il Taddeo e molti gli dànno ragione.
   «Si, ma allora non sarebbe un segno dato a questa generazione che è molto più vecchia di Lui», osserva Simone Zelote.
   «Già. Ma non è detto che parli di Se stesso», ribatte il Taddeo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto.
   «Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risuscitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può essere nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale», dice Isacco con sicura testimonianza.
   Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guardandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passioni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Completa sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei sommi sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre persone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzogna e dall’Odio».

 6 Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera.
   Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, prende Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concetto. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospettarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici. Ma mai avvilirti a renderti uguale a un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amorevolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza.
   Gesù che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pietro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruccio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva a tutti: «Và lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Và! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è apparire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo».
   Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange… E non è il pianto gioioso di pochi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama.
   E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano consolato da Isacco e dallo Zelote.

 7 Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avanti. Raggiunge Gesù . chiama piano, con apparente tremore: « Maestro! Maestro!…».
   Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?».
   «Maestro, mio fratello è afflitto… piange…».
   «Se lo è meritato».
   «E’ vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo… Non può sempre parlare bene».
   «Infatti oggi ha parlato molto male», risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino.
   Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece errare…».
   «L’amore deve essere la luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tenebre e se ne è fasciato lo spirito».
   «E’ vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si voglia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo. L’interno di mio fratello è buono».
   «Si levi allora le fasce che vi ha messo».
   «Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?».
   «Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare…».
   «Oh! Signore! È vero, si. Ma non ti ricordi di Maria di Lazzaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato… ed essi non ti avevano dato ancora che l’intenzione di redimersi… Signore!… Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae… Non mi scolteresti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?».
   Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosa-mente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Và a chiamarmi tuo fratello», dice «e portamelo qui».
   «Oh! grazie, mio Signore! Vado…», e corre via, lesto come una rondine.

 8 «Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vieni, che te lo vuole dire».
   «No, no. Io mi vergogno… Da troppo poco tempo mi ha rimproverato… Deve volermi per rimproverarmi ancora…».
   «Come lo conosci male! Su vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni».
   «Ma che gli dirò mai?», dice Pietro avviandosi un poco recalcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?», continua a chiedere.
   «Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà», lo rincuora il fratello.
   Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guardano i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene.
   Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla  al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma… Pietro alza il viso… Gesù abbassa il viso… Si guardano… Due lacrimosi rotolano giù per le guance arrossate di  Pietro…
   «Qui, grande bambino riflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto», dice Gesù e alza la mano, sulla quale è ancora ben visibile il segno della sassata di Giocala, e asciuga con le sue dita quelle lacrime.
   «Oh! Signore! Mi hai perdonato?», chiede Pietro tremebondo, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto.
   «Non ti ho mai colpito di condanna…».
   «Ma prima…».
   «Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il primo in tutto, Simon Pietro».
   «Allora… allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi ancora? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ultimo, ma essere con Te, al tuo servizio… e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!».
   Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco.
   Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci… felice. E mormora: «Quanto ho sofferto!… Grazie, Gesù».
   «Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo.

 9 Attendiamo gli altri. Dove sono?».
   Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortificato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli.
   Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro dice:
   «Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona. 
   Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi do la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, , ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la do con la mia Morte. E ricordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve essere pronto a morire per dare agli altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso.
   Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della Terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali. Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguitemi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mutazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla Terra la perderà, mentre colui che perderà la vita sulla Terra per causa mia e per amore al mio Vangelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde la sua anima?

10 E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mezzo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho parlato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rinnegando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi (il Regno di Dio ebbe inizio il Venerdì Santo, per i meriti del Cristo, e si affermò poi con la Chiesa costituita. Ma non tutti videro questo affermarsi sempre più), col suo Re incoronato e unto».
   Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te nel Tuo SS Nome
.

Vangelo Lc 6, 43-49:«L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene».

Vangelo Lc 6, 43-49
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini, né si vendemmia uva da un rovo.
L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
Perché mi invocate: “Signore, Signore!” e non fate quello che dico?
Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica, vi mostrerò a chi è simile: è simile a un uomo che, costruendo una casa, ha scavato molto profondo e ha posto le fondamenta sulla roccia. Venuta la piena, il fiume investì quella casa, ma non riuscì a smuoverla perché era costruita bene.
Chi invece ascolta e non mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito una casa sulla terra, senza fondamenta. Il fiume la investì e subito crollò; e la distruzione di quella casa fu grande».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Chiunque viene a me e ascolta le mie parole e le mette in pratica è simile a un uomo che ha posto le fondamenta sulla roccia».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo.
   Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l’ha data? Con la sua Parola.
   Perché l’ha data? Per il suo Amore.
   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
   Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico” No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
   L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì “, e perciò non lo dico.. – ma lo penso.. – ed è lo stesso…»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

   Cap. CLXXIV. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.

  29 maggio 1945

 1 In una mattinata splendida, di un nitore d’aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro. Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l’aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall’alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d’onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno riti nella loro veste dì petali – e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo – gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
   L’Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall’alabastro scendono due fili di diamante – da qui sembrano fili – dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d’acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell’altro mare del cielo.
   Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest’ora mattutina.

 2 E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.
   Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!». 
   Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
   Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l’aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
   Lo imita l’Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all’obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l’occhio del Maestro legge nei cuori». 
   La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.

 3 Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
   Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina dì frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l’antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l’imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
   Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli. La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
   «Vorrei parlare col Maestro…»
   «Hai del male? Povera non sei…»
   «Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui… perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia… e la mia…» e piange.
   «Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
   Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere…». La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere… Giovanni, fa’ di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
   E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l’uno che l’altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.

 4 Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. 
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto…».
   «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va’ a dire loro che abbiano fede».
   Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: «Come ti chiami?» le chiede Gesù.
   «Maria».
   «Ed Io come mi chiamo?».
   «Gesù» risponde la bambina.
   «E chi sono?».
   «Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
   «Chi te lo ha detto?».
   «La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
   «Vivi e sii buona». 
   La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche – si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle – sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
   I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».

 5 Gesù va verso la tettoia.
   Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
   Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
   «Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
   «Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l’ultimo ha due anni… Il mio dolore è grande… e penso ai figli… Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo almeno, lo vorrà… Ed io che l’ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro…»
   «Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
   «Ma… non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
   Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
   La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.

 6 Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco… e poi… Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà… Io… solo le tue parole, che ho udito l’inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l’ha già maledetta».
   «No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
   «Che Tu la ravveda».
   «Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
   «Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili… Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede”. Ce l’ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
   «Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
   «Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene… ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro… Ma ho tanta paura… La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
   Gesù sorride e crolla il capo… ma accontenta l’uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo.
   Ma credi che quando Dio dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.

 7 Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c’era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l’hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
   Gesù lo guarda ben fisso e sorride. «Perché sorridi, Maestro?».
   «Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.»
   «Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
   «Lo so. Ma era molto vecchio… Sono le malattie dei vecchi… Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l’ha fatta vibrare e l’hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
   «No, Signore, neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
   «E se ti levano del denaro».
   «Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto… non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro… Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
   «Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
   E anche questo se ne va contento.

 8 Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
   «La pace sia con voi.
   Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l’altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l’altro nell’altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l’uno dall’altro, l’uno andando verso Cafarnao, l’altro verso Tolemaide.
   La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
   Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
   Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
   Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
   Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
   Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odìerà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.

 9 Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
   Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
   Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
   Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro – perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto – tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.

 10 Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore.
   Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
   Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno.
   Onde Io vi dico…»

   (E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

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  12 agosto 1944

 11 Dice Gesù: 

   «Guarda e scrivi. É Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».

   Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
   La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade – perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche dìamante rugiadoso sperso fra i suoi steli – paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
   La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
   Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordìoso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…».

 12 Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. E serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle. 
   «Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d’uomo. «Fate largo alla bellezza che passa»… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedìle Maria dì Magdala, gran peccatrice ancora.
   E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo.
   Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla. 
   «Ecco accontentata la dea» dice il romano. «Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
   Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
   E’ bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
   Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
   Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.

 13 Gesù riprende: «Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
   Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno – il cuore – l’impurità.
   Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
   Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
   Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda? Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
   Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…»

 14 Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.

   Non vedo altro. Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».

  (29 maggio 1945.)

 15 Gesù riprende: «Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
   La folla grida: «Sì, si. Con Te » e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
   Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
   «Ma… ce ne andiamo proprio?».
   «Sì».
   «Perché è venuta lei?… »
   «Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani… »
   «Capisco, capisco…»
   «Allora però capisci anche un’altra cosa ».
   «Quale, Maestro?».
   «La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
   «Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…»
   «E per altri ancora».
   «Pensi che ce ne saranno oggi?».
   «Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
   Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.

 16 L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
   «Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
   «Non ho fame. E neppure Tu».
   «Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
   «No, Maestro. Stanco…»
   «Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…».
   Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
   «Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
   «Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E’ peccato aver bisogno di dormire?».
   «No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
   «Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
   «Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
   Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
   Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.

 17 «Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te”.»
   «Ma Pietro!».
   «No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
   Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
   «Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
   «A chi?».
   «A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
   «Ma benissimo!».
   «Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
   Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
   «Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
   «E’ vero! E’ venerdì!» dicono in diversi.
   «Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro». Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
   «Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
   Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.

 18 Gesù sorride e comincia a parlare.
   «Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato. Cosa è l’adulterio? É il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
   Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo cavatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. E’ vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.

 19 Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio” Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
   Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
   Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio “. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
   Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.

 20 Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente.. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
   La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
   Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli iguari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.

 21 Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!

 22 Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
   Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
   E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita. 

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani…»).

   Cap. CLXXVI. Nella sosta del sabato l’ultimo discorso della Montagna: amare la volontà di Dio.

  1 giugno 1945

 1 Gesù nella notte si è alquanto dilungato risalendo il monte, di modo che l’aurora lo mostra ritto su uno scrimolo. Pietro, che lo vede, lo accenna ai compagni ed essi salgono verso di Lui.
   «Maestro, perché non sei venuto con noi? » chiedono in diversi.
   «Avevo bisogno di pregare»
   «Ma hai anche tanto bisogno di riposare».
   «Amici, nella notte una voce è venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, ed anche per Me stesso».
   «Perché? Che ne hai bisogno Tu?».
   «Come gli altri. La mia forza si nutre di preghiera e la mia gioia di fare ciò che vuole il Padre mio. Il Padre mi ha detto due nomi di persone, e un dolore per Me. Queste tre cose dette hanno tanto bisogno di preghiera». Gesù è molto triste e guarda i suoi con occhio che pare supplichi chiedendo qualcosa, o che interroghi. Si posa su questo e su quello e in ultimo si posa su Giuda Iscariota fermandovisi.
   L’apostolo lo nota e chiede: «Perché mi guardi così?».
   «Non vedevo te. Il mio occhio contemplava un’altra cosa…».
   «Ed è?».
   «Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti e a quelli di Giovanni. E pensavo ai miei propri. E pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me…».
   «Sei triste e stanco questa mattina, Maestro. Di’ a chi ti ama il tuo affanno» invita Giacomo di Zebedeo.
   «Si, dillo, e se c’è cosa che si possa fare per sollevarlo noi lo faremo» dice il cugino Giuda.
   Pietro parla con Bartolomeo e Filippo, ma non capisco ciò che dicono.
   Gesù risponde: «Essere buoni, sforzatevi ad essere buoni e fedeli. Ecco il sollievo. Non ce ne è nessun altro, Pietro. Hai inteso? Deponi il sospetto. Vogliatemi e vogliatevi bene, non vi fate sedurre da chi mi odia, vogliate soprattutto bene alla volontà di Dio».
   «Eh! ma se tutto viene da quella, anche i nostri errori verranno da quella!» esclama Tommaso con aria di filosofo.

 2 «Lo credi? Non è così. Ma molta gente si è destata e guarda qui. Scendiamo. E santifichiamo il giorno santo con la parola di Dio».
   Scendono mentre i dormenti si destano in numero sempre più numeroso. I bambini, allegri come passerotti, già cinguettano correndo e saltando fra i prati, bagnandosi ben bene di rugiada tanto che qualche scappellotto vola, con relativo pianto. Ma poi i bambini corrono verso Gesù che li carezza ritrovando il suo sorriso, quasi rispecchiasse in Sé quelle gaiezze innocenti. Una bambina gli vuole mettere alla cintura il mazzetto di fiori colto nei prati « perché la veste è più bella così» dice, e Gesù la lascia fare nonostante che gli apostoli brontolino, anzi Gesù dice: «Ma siate contenti che essi mi amino! La rugiada leva la polvere dai fiori. L’amore dei bambini leva le tristezze dal mio cuore».
   Arrivano contemporaneamente, in mezzo ai pellegrini, Gesù venendo dal monte e lo scriba Giovanni venendo dalla sua casa con molti servi carichi di ceste di pane e altri con ulive, formaggelle e un agnellino, o caprettino che sia, arrostito per il Maestro. Tutto viene deposto ai piedi dello Stesso, che ne cura la distribuzione, dando ad ognuno un pane e una fetta di formaggio con un pugno di ulive; ma ad una madre, che ha ancora al petto un grasso puttino che ride coi suoi dentini novelli, dà col pane un pezzo di agnello arrostito, e così fa con altri due o tre che gli paiono bisognosi di particolare ristoro.
   «Ma è per Te, Maestro» dice lo scriba.
   «Ne gusterò, non dubitare. Ma vedi… se Io so che la tua bontà è per molti mi si aumenta il sapore».
   La distribuzione finisce e la gente sbocconcella il suo pane, riserbandosene il resto per le altre ore. Anche Gesù beve un poco di latte, che lo scriba gli vuole versare in un tazza preziosa da una fiaschetta che porta un servo (pare un orciolo).
   «Però mi devi accontentare dandomi la gioia di udirti» dice Giovanni lo scriba, che è stato salutato da Erma con uguale rispetto e con un rispetto ancora maggiore da Stefano.
   «Non te lo nego. Vieni qui contro» e Gesù si addossa al monte e inizia a parlare.

 3 «La volontà di Dio ci ha trattenuti in questo luogo perché andare oltre, dopo il già fatto cammino, sarebbe stato ledere i precetti e dare scandalo. E ciò mai non sia finché il nuovo Patto non sarà scritto. E’ giusto santificare le feste e lodare il Signore nei luoghi della preghiera. Ma tutto il creato può essere luogo di preghiera se la creatura sa farlo tale con la sua elevazione al Padre. Fu luogo di preghiera l’arca di Noè alla deriva sui flutti, e luogo di preghiera il ventre della balena di Giona. Fu luogo di preghiera la casa del Faraone quando Giuseppe vi visse e la tenda di Oloferne per la casta Giuditta. E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il profeta Daniele, sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo, chiave dei tempi d’ora e dei tempi ultimi? Con più ragione santo è questo luogo che coi colori, coi profumi, con la purezza dell’aria, la ricchezza dei grani, le perle delle rugiade, parla di Dio Padre e Creatore, e dice: “Credo. E voi vogliate credere perché noi testimoniamo Iddio”. Sia dunque la sinagoga di questo sabato, e leggiamovi le pagine eterne sopra le corolle e le spighe, avendo a lampada sacra il sole.
   Vi ho nominato Daniele. Vi ho detto: “Sia questo luogo la nostra sinagoga”. Ciò richiama il gioioso “benedicite” dei tre santi fanciulli fra le fiamme della fornace: “Cieli ed acque, rugiade e brine, ghiacci e nevi, fuochi e colori, luci e tenebre, folgori e nuvole, monti e colline, tutte le cose germinate, uccelli, pesci e bestie, lodate e benedite il Signore, insieme agli uomini di umile e santo cuore”. Questo il riassunto del cantico santo che tanto insegna agli umili e santi. Possiamo pregare e possiamo meritare il Cielo in ogni luogo. Lo meritiamo quando facciamo la volontà del Padre.

 4 Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, ed errore molto diffuso. Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può. Eppure noi vediamo anche nelle famiglie che alcuni figli si rendono riprovevoli, pur avendo un padre giusto che prospetta loro il bene da farsi e il male da sfuggire. E nessun che sia retto accusa il padre di avere spronato il figlio al male.
   Dio è il Padre, gli uomini i figli. Dio indica il bene e dice: “Ecco, Io ti metto in questa contingenza per tuo bene”, oppure anche, quando il Maligno e gli uomini suoi servi procurano sventure agli uomini, Dio dice: “Ecco, in quest’ora penosa, tu agisci così; e così facendo, servirà questo male ad un eterno bene”. Vi consiglia. Ma non vi forza. E allora se uno, pur sapendo ciò che sarebbe la volontà di Dio, preferisce fare tutto l’opposto, si può dire che questo opposto sia volontà di Dio? Non si può.
   Amate la volontà di Dio. Amatela più della vostra e seguitela contro le seduzioni e le potenze delle forze del mondo, della carne e del demonio. Anche queste cose hanno la loro volontà. Ma in verità vi dico che è ben infelice chi ad essi si piega. Voi mi chiamate “Messia” e “Signore”. Voi dite di amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi entreranno meco nel Regno dei Cieli. Anche fra i miei più antichi e prossimi discepoli vi saranno di quelli che non vi entreranno, perché molti faranno la loro volontà o la volontà della carne, del mondo e del demonio, ma non quella del Padre mio.
   Non chi mi dice: “Signore! Signore!” entrerà nel Regno dei Cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio. Questi soli entreranno nel Regno di Dio.

 5 Verrà un giorno in cui Io che vi parlo, dopo essere stato Pastore, sarò Giudice. Non vi lusinghi l’aspetto attuale. Ora il mio vincastro aduna tutte le anime disperse ed è dolce per invitarvi a venire ai pascoli della Verità. Allora il vincastro sarà sostituito dallo scettro del Giudice Re e ben altra sarà la mia potenza. Non con dolcezza ma con giustizia inesorabile Io allora separerò le pecore pasciute di Verità da quelle che mescolarono Verità ad Errore o si nutrirono solo di Errore.
   Una prima volta e poi una ancora Io farò questo. E guai a coloro che fra la prima e la seconda apparizione davanti al Giudice non si saranno purgati, non potranno purgarsi dai veleni. La terza categoria non si purgherà. Nessuna pena potrebbe purgarla. Ha voluto solo l’Errore e nell’Errore stia. Eppure allora fra questi vi sarà chi gemerà: ” Ma come, Signore? Non abbiamo noi profetato in tuo nome, e in tuo nome cacciato i demoni, e fatto in tuo nome molti prodigi?”.
   Ed Io allora molto chiaramente dirò ad essi: “Sì. Avete osato rivestirvi del mio Nome per apparire quali non siete. Il vostro satanismo lo avete voluto far passare per vita in Gesù. Ma il frutto delle vostre opere vi accusa. Dove sono i vostri salvati? Le vostre profezie dove si sono compiute? I vostri esorcismi a che hanno concluso? I vostri prodigi che compàre ebbero? Oh! ben egli è potente il Nemico mio! Ma non è da più di Me. Vi ha aiutati ma per fare maggior preda, e per opera vostra il cerchio dei travolti nell’eresia si è allargato. Sì, avete fatto prodigi. Ancor più apparentemente grandi di quelli dei veri servi di Dio, i quali non sono istrioni che sbalordiscono le folle, ma umiltà e ubbidienze che sbalordiscono gli angeli. Essi, i miei servi veri, con le loro immolazioni non creano i fantasmi, ma li debellano dai cuori; essi, i miei servi veri, non si impongono agli uomini, ma agli animi degli uomini mostrano Iddio. Essi non fanno che fare la volontà del Padre e portano altri a farla, così come l’onda sospinge e attira l’onda che la precede e quella che la segue, senza mettersi su un trono per dire: ‘Guardate’. Essi, i miei servi veri, fanno ciò che Io dico, senza pensare che a fare, e le loro opere hanno il mio segno di pace inconfondibile, di mitezza, di ordine. Perciò posso dirvi: questi sono i miei servi; voi non vi conosco. Andatevene lungi da Me voi tutti, operatori di iniquità.
   Questo dirò Io allora. E sarà tremenda parola. Badate di non meritarvela e venite per la via sicura, benché penosa, dell’ubbidienza verso la gloria del Regno dei Cieli.

 6 Ora godetevi il vostro riposo del sabato lodando Dio con tutti voi stessi. La pace sia con tutti voi».
   E Gesù benedice la folla prima che questa si sparga in cerca di ombra, parlando fra gruppo e gruppo, commentando le parole udite. Presso Gesù restano gli apostoli e lo scriba Giovanni, che non parla ma medita profondamente, studiando Gesù in ogni suo atto.
   E il ciclo del Monte è finito.

   Cap. CCLXIX. La disputa con scribi e farisei a Cafarnao. L’arrivo della Madre e dei fratelli.

   2 settembre 1945

 1 La stessa scena della passata visione. Gesù si accomiata dalla vedova, tenendo però già per mano il piccolo Giuseppe, e dice alla donna: «Non verrà nessuno prima del mio ritorno, a meno che non sia un gentile. Ma chiunque venga trattienilo fino a dopo domani dicendo che verrò senza fallo».
  «Lo dirò, Maestro. E se vi saranno malati li ospiterò come Tu mi hai insegnato».
  «Addio, allora, e la pace sia con voi. Vieni, Mannaen».
  Da questo breve spunto comprendo che malati e infelici in genere lo hanno raggiunto a Corozim e che all’evangelizzazione del lavoro Gesù ha unito quella del miracolo. E se Corozim resta sempre indifferente è proprio segno che è terreno selvaggio e incoltivabile. Pure Gesù la traversa, salutando quelli che lo salutano, come nulla fosse, e poi riprendendo a parlare con Mannaen, che è incerto se ripartire per Macheronte o rimanere ancora una settimana…

 2 … Nella casa di Cafarnao intanto si preparano al sabato. Matteo, un poco zoppicante, riceve i compagni, li soccorre d’acqua e di frutta fresche, chiedendo delle loro missioni.
  Pietro arriccia il naso vedendo che già dei farisei bighellonano presso la casa: «Hanno voglia di avvelenarci il sabato.
  Quasi direi di andare incontro al Maestro e dirgli di andare a Betsaida lasciando costoro delusi».
  «E credi che il Maestro lo farebbe?», chiede suo fratello.
  «E poi c’è nella stanza bassa quel povero infelice che aspetta», osserva Matteo.
  «Si potrebbe portarlo con la barca a Betsaida, e io, o qualche altro, andare incontro al Maestro», dice Pietro.
  «Quasi quasi…», dice Filippo che, avendo famiglia a Betsaida, ci andrebbe volentieri.
  «Molto più che, vedete, vedete! Oggi la guardia è rinforzata con degli scribi. Andiamo senza perdere tempo. Voi, col malato, passate dall’orto, e via per il dietro della casa. Io porto la barca al “pozzo del fico” e Giacomo fa la stessa cosa. Simone Zelote e i fratelli di Gesù vanno incontro al Maestro».
  «Io non vado via coll’indemoniato», proclama l’Iscariota.
  «Perché? Hai paura che ti si attacchi il demonio?».
  «Non mi inquietare, Simone di Giona. Ho detto che io non vado e non vado».
  «Va’ coi cugini incontro a Gesù».
  «No».
  «Auf! Vieni in barca».
  «No».
  «Ma insomma che vuoi? Sei sempre quello degli ostacoli…».
  «Voglio rimanere dove sono: qui. Non ho paura di nessuno e non scappo. E del resto il Maestro non vi sarebbe grato della trovata. E sarebbe un’altra predica di rimprovero, e io non ho voglia di averla per vostra colpa. Voi andate. Io resterò a riferire…».
  «No proprio! O tutti o nessuno», urla Pietro.
  «Allora nessuno, perché il Maestro è qui. Eccolo che si avanza», dice serio lo Zelote che guardava sulla via.
  Pietro, malcontento, borbotta fra la barba. Ma va incontro a Gesù con gli altri. 

 3 Dopo i primi saluti gli dicono di un indemoniato, cieco e muto, che attende coi parenti la sua venuta da molte ore.
  Matteo spiega: «È come inerte. Si è gettato su dei sacchi vuoti e non si è più mosso. I parenti sperano in Te. Vieni a ristorarti e poi lo soccorrerai».
  «No. Vado subito da lui. Dove è?».
  «Nella stanza bassa presso al forno. L’ho messo lì coi parenti perché ci sono molti farisei, e anche scribi, che sembrano in agguato…».
  «Sì, e sarebbe meglio non farli contenti», brontola Pietro.
  «Giuda di Simone non c’è?», chiede Gesù.
  «È rimasto in casa. Lui deve fare ciò che gli altri non fanno», brontola ancora Pietro.
  Gesù lo guarda ma non lo rimprovera. Si affretta alla casa affidando il bambino proprio a Pietro, che se lo carezza tirando subito fuori dall’alta cintura un fischietto dicendo: «Uno a te e uno a mio figlio. Domani sera ti ci porto a vederlo. Me li sono fatti fare da un pastore al quale ho parlato di Gesù».
  Gesù entra in casa, saluta Giuda che sembra tutto occupato ad ordinare le stoviglie, e poi tira diritto fino ad una specie di dispensa bassa e scura che è addossata al forno.
  «Fate uscire il malato», ordina Gesù.
  Un fariseo che non è di Cafarnao, ma che ha una mùtria peggiore ancora a quelle dei farisei locali, dice: «Non è un malato. È un indemoniato».
  «È sempre una malattia dello spirito…».
  «Ma lui ha legati gli occhi e la favella…».
  «È sempre una malattia dello spirito, che si estende alle membra e agli organi, la possessione. Se mi avessi lasciato terminare avresti saputo che volevo dire questo. Anche la febbre è nel sangue quando si è malati, ma dal sangue attacca poi questa o quella parte del corpo».
  Il fariseo non sa che ribattere e tace.

 4 L’indemoniato è stato condotto di fronte a Gesù. Inerte. Ha detto bene Matteo. Molto impedito dal demonio.
  La gente intanto si affolla. È incredibile come, specie nelle ore, dirò così, di svago, facesse presto un tempo ad accorrere gente dove c’era da vedere qualche cosa. Vi sono ora i notabili di Cafarnao, fra i quali i quattro farisei, vi è Giairo, e in un angolo, con la scusa di sorvegliare l’ordine, vi è il centurione romano, e con lui cittadini di altre città.
  «In nome di Dio, lascia le pupille e la lingua di costui! Lo voglio! Libera di te questa creatura! Non ti è più lecito tenerla. Via!», grida Gesù tendendo le mani nel comando.
  Il miracolo si inizia con un urlo di rabbia del demonio e finisce con un urlo di gioia del liberato che grida: «Figlio di Davide! Figlio di Davide! Santo e Re!».

 5 «Come fa costui a sapere chi è colui che lo ha guarito?», chiede uno scriba.
  «Ma è tutta una commedia! Questa gente è pagata per fare ciò!», dice alzando le spalle un fariseo.
  «Ma da chi, se è lecito chiedervelo?», interroga Giairo.
  «Anche da te».
  «E a che scopo?».
  «Per rendere celebre Cafarnao».
  «Non umiliare la tua intelligenza dicendo stoltezze e la tua lingua sporcandola di menzogne. Tu sai che ciò non è vero, e dovresti capire che dici una stoltezza. Ciò che qui avviene è avvenuto in molte parti di Israele. Allora dovunque vi sarà chi paga? In verità non sapevo che in Israele la plebe fosse molto ricca! Perché voi, e con voi i grandi tutti, non pagate certo per questo. Allora paga la plebe, che è l’unica che ami il Maestro».
  «Tu sei sinagogo e lo ami. Là è Mannaen. E a Betania è Lazzaro di Teofilo. Questi non sono plebe».
  «Ma sono essi, e sono io, onesti. E non truffiamo nessuno, in niente. E tanto meno nelle cose di fede. Non ce lo permettiamo noi, temendo Dio e avendo capito ciò che a Dio piace: l’onestà».
  I farisei voltano le spalle a Giairo e attaccano i parenti del guarito: «Chi vi ha detto di venire qui?».
  «Chi? Molti. Già guariti o parenti di guariti».
  «Ma che vi hanno dato?».
  «Dato? La assicurazione che Egli ce lo avrebbe guarito».
  «Ma era proprio malato?».
  «Oh! Menti subdole! Credete che si sia finto tutto ciò? Andate a Gadara e chiedete, se non credete, della sventura della famiglia di Anna di Ismaele».
  La gente di Cafarnao, sdegnata, tumultua, mentre dei galilei, venuti da presso Nazaret, dicono: «Eppure costui è figlio di Giuseppe legnaiolo!».
  I cittadini di Cafarnao, fedeli a Gesù, urlano: «No. È quello che Lui dice e che il guarito ha detto: “Figlio di Dio e Figlio di Davide”».
  «Ma non aumentate l’esaltazione del popolo con le vostre asserzioni!», dice sprezzante uno scriba.
  «E che è allora, secondo voi?».
  «Un Belzebù!».
  «Uh! Lingue di vipere! Bestemmiatori! Posseduti voi! Ciechi di cuore! Rovina nostra. Anche la gioia del Messia vorreste levarci, eh? Strozzini! Selci aride!». Un bel baccano!
  Gesù, che si era ritirato in cucina per bere un poco d’acqua, si affaccia sulla soglia in tempo per sentire una volta ancora la trita e stolta accusa farisaica: «Costui non è che un Belzebù, perché i demoni lo ubbidiscono. Il grande Belzebù suo padre lo aiuta, ed Egli caccia i demoni non con altro che con l’opera di Belzebù principe dei demoni».

 6 Gesù scende i due piccoli scalini della soglia e viene avanti, diritto, severo e calmo, fermandosi proprio di fronte al gruppo scribo-farisaico, e fissatili acutamente dice loro:
  «Anche sulla Terra noi vediamo che un regno diviso in partiti contrari fra di loro diviene debole all’interno e facile ad essere aggredito e devastato dagli stati vicini che lo rendono suo schiavo. Anche sulla Terra vediamo che una città divisa in parti contrarie non ha più benessere, e così lo è di una famiglia i cui componenti siano divisi dall’astio fra di loro. Essa si sgretola, diviene un inutile sbocconcellamento che non serve a nessuno e che fa ridere i concittadini. La concordia, oltre che dovere, è furbizia. Perché mantiene indipendenti, forti e amorosi. Questo dovrebbero riflettere i patriotti, i cittadini, i famigliari, quando per l’uzzolo di un utile singolo vengono tentati a separazioni e a sopraffazioni che sono sempre pericolose, essendo alterne nei partiti, essendo distruttrici negli affetti. E questa furbizia infatti esercitano coloro che sono i padroni del mondo. Osservate Roma nella sua innegabile potenza, a noi tanto penosa. Domina il mondo. Ma è unita in un unico parere, in una sola volontà: “dominare”. Anche fra di loro ci saranno certo contrasti, antipatie, ribellioni. Ma questo sta nel fondo. Alla superficie è un blocco solo, senza incrinature, senza turbamenti. Vogliono tutti la stessa cosa e riescono perché vogliono. E riusciranno finché vorranno la stessa cosa.
  Guardate questo esempio umano di furbizia coesiva e pensate: se questi figli del secolo sono così, cosa non sarà Satana? Essi sono per noi dei satana. Ma la loro satanicità pagana è nulla rispetto alla satanicità perfetta di Satana e dei suoi demoni. Là, in quel regno eterno, senza secolo, senza fine, senza limite di astuzia e di cattiveria, là dove si gode di nuocere a Dio e agli uomini — ed è loro respiro il nuocere, loro doloroso godimento, unico, atroce — con perfezione maledetta si è raggiunta la fusione degli spiriti, uniti in un solo volere: “nuocere”. Ora se, come voi volete sostenere per insinuare dubbi sul mio potere, Satana è colui che mi aiuta perché Io sono un Belzebù minore, non avviene che Satana è in discordia con se stesso e coi suoi demoni, se caccia questi dai suoi possessi? E se in discordia è, potrà mai durare il suo regno? No, che ciò non è. Satana è furbissimo e non si nuoce. Egli mira ad estendere non a ridurre il suo regno nei cuori. La sua vita è “rubare – nuocere mentire – offendere – turbare”. Rubare anime a Dio e pace agli uomini. Nuocere alle creature del Padre dando dolore allo stesso. Mentire per traviare. Offendere per godere. Turbare perché egli è il Disordine. E non può mutare. È eterno nel suo essere e nei suoi metodi.

 7 Ma rispondete a questa domanda: se Io caccio i demoni in nome di Belzebù, in nome di chi li cacciano i vostri figli? Vorrete confessare allora che essi pure sono Belzebù? Ora, se voi lo dite, essi vi giudicheranno calunniatori. E se la loro santità sarà tale da non reagire all’accusa, vi giudicherete da voi stessi confessando che credete di avere molti demoni in Israele, e vi giudicherà Iddio in nome dei figli d’Israele accusati d’essere demoni. Perciò, da qual che venga il giudizio, essi in fondo saranno i vostri giudici, là dove il giudizio non è subornato da pressioni umane.
  Se poi, come è verità, Io caccio i demoni per lo Spirito di Dio, è dunque prova che è giunto a voi il Regno di Dio e il Re di questo Regno. Il quale Re ha un potere tale che nessuna forza contraria al suo Regno gli può resistere. Onde Io lego e costringo gli usurpatori dei figli del mio Regno ad uscire dai luoghi occupati ed a restituirmi la preda perché Io ne prenda possesso. Non fa forse così uno che voglia entrare in una casa abitata da un forte per levargli i beni, bene o male acquistati? Così fa. Entra e lo lega. E dopo averlo fatto può spogliare la casa. Io lego l’angelo tenebroso che si è preso ciò che è mio, e gli levo il bene che mi ha rubato. E Io solo posso farlo, perché Io solo sono il Forte, il Padre del secolo futuro, il Principe della pace».

 8 «Spiegaci cosa vuoi dire dicendo: “Padre del secolo futuro”. Credi Tu di vivere fino al nuovo secolo e, più stoltamente ancora, pensi di creare il tempo, Tu, povero uomo? Il tempo è di Dio», chiede uno scriba.
  «E tu, scriba, me lo chiedi? Non sai dunque che vi sarà un secolo che avrà inizio ma fine non avrà, e che sarà il mio? In esso Io trionferò radunando intorno a Me coloro che sono i figli di esso, ed essi vivranno eterni come quel secolo che Io avrò creato, e già lo sto creando mettendo lo spirito in valore, sulla carne e sul mondo e sugli inferi che Io scaccio perché tutto Io posso. Per questo vi dico che chi non è con Me è contro di Me, e chi con Me non raccoglie disperde. Perché Io sono Colui che sono. E chi non crede questo, già profetizzato, pecca contro lo Spirito Santo, la cui parola fu detta dai Profeti e non è menzogna né errore, e va creduta senza resistenza.
  Perché Io ve lo dico: tutto sarà perdonato agli uomini, ogni loro peccato e bestemmia. Perché Dio sa che l’uomo non è solo spirito ma è carne, e carne tentata che soggiace ad improvvise debolezze. Ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. Chi avrà parlato contro il Figlio dell’uomo sarà ancora perdonato, perché la pesantezza della carne, che avvolge la mia Persona e avvolge l’uomo che contro Me parla, può ancora trarre in errore. Ma chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questa né nella vita futura, perché la Verità è quella che è: netta, santa, innegabile, ed espressa allo spirito e in maniera che non induce ad errore. Altro che in coloro che volutamente vogliono l’errore. Negare la Verità detta dallo Spirito Santo è negare la Parola di Dio e l’Amore che quella Parola ha dato per amore degli uomini. E il peccato contro l’Amore non è perdonato.

 9 Ma ognuno dà i frutti della sua pianta. Voi date i vostri, e frutti buoni non sono. Se voi date un albero buono perché sia messo nel verziere, esso darà buoni frutti; ma se date un albero cattivo, cattivo sarà il frutto che da esso sarà colto, e tutti diranno: “Questo albero non è buono”. Perché è dal frutto che si conosce l’albero. E voi come credete di poter parlare bene, voi che siete cattivi? Perché la bocca parla di ciò che gli riempie il cuore. È dalla sovrabbondanza di ciò che abbiamo in noi che noi traiamo i nostri atti e discorsi. L’uomo buono trae dal suo buon tesoro cose buone; il malvagio dal suo cattivo tesoro leva le male cose. E parla e agisce secondo il suo intimo.
  E in verità vi dico che l’ozio è colpa. Ma meglio è oziare che fare opere malvagie. E anche vi dico che è meglio tacere che parlare oziosamente e malvagiamente. Anche se il tacere è ozio, fatelo piuttosto che peccare con la lingua. Io vi assicuro che di ogni parola detta oziosamente agli uomini sarà chiesta la giustificazione nel giorno del Giudizio, e che per le parole dette saranno gli uomini giustificati, e dalle parole stesse saranno condannati. Attenti, perciò, voi che tante ne dite di più che oziose, perché sono non solo oziose ma operanti nel male e allo scopo di allontanare i cuori dalla Verità che vi parla».

10 I farisei si consultano con gli scribi e poi tutti insieme, fingendo cortesia, chiedono: «Maestro, si crede meglio a quello che si vede. Dàcci dunque un segno perché noi si possa credere che Tu sei ciò che dici d’essere».
  «Vedete che in voi è il peccato contro lo Spirito Santo, che per Verbo incarnato mi ha indicato più volte? Verbo e Salvatore, venuto nel tempo segnato, preceduto e seguito dai segni profetizzati, operante ciò che lo Spirito dice».
 Essi rispondono: «Allo Spirito crediamo, ma come possiamo credere a Te se non vediamo un segno coi nostri occhi?».
  «Come potete allora credere allo Spirito le cui azioni sono spirituali, se non credete alle mie che sono sensibili ai vostri occhi? La mia vita ne è piena. Non basta ancora? No. Io stesso rispondo che no. Non basta ancora. A questa generazione adultera e malvagia, che cerca un segno, sarà dato un segno[69] soltanto: quello del profeta Giona. Infatti, come Giona stette per tre giorni nel ventre della balena, così il Figlio dell’uomo starà tre giorni nelle viscere della Terra. In verità vi dico che i Niniviti risorgeranno nel giorno del Giudizio come tutti gli uomini e insorgeranno contro questa generazione e la condanneranno. Perché essi fecero penitenza alla predicazione di Giona e voi no. E qui vi è Uno che è da più di Giona. E così risorgerà e insorgerà contro di voi la Regina del Mezzogiorno e vi condannerà, perché essa venne[70] dagli ultimi confini della Terra per udire la sapienza di Salomone. E qui vi è Uno da più di Salomone».

11 «Perché dici che questa generazione è adultera e malvagia? Non lo sarà da più delle altre. In essa vi sono gli stessi santi che vi erano nelle altre. La compagine di Israele non è mutata. Tu ci offendi».
  «Voi vi offendete da voi stessi nuocendovi nelle vostre anime, perché le allontanate dalla Verità, e dalla Salvezza perciò. Ma Io vi rispondo lo stesso. Questa generazione non è santa che nelle vesti e nell’esterno. Dentro, santa non è. Vi sono in Israele gli stessi nomi per significare le stesse cose. Ma non c’è la realtà delle cose. Vi sono gli stessi usi, vesti e riti. Ma manca lo spirito di essi. Siete adulteri perché avete respinto il soprannaturale maritaggio con la Legge divina e avete sposato, in seconda adultera unione, la legge di Satana. Non siete circoncisi che in un membro caduco. Il cuore non è più circonciso. E malvagi siete, perché vi siete venduti al Maligno. Ho detto».
  «Tu troppo ci offendi. Ma perché, se così è, Tu non liberi Israele dal demonio acciò santo diventi?».
  «Ha Israele questa volontà? No. L’hanno quei poveri che vengono per essere liberati dal demonio perché lo sentono in loro come un peso e una vergogna. Voi questo non lo sentite. E inutilmente voi ne sareste liberati, perché, non avendo volontà di esserlo, subito sareste ripresi ed in maniera ancor più forte. Perché, quando uno spirito immondo è uscito da un uomo, vagola per luoghi aridi in cerca di riposo e non lo trova. Luoghi aridi non materialmente, notate. Aridi perché gli sono ostili non accogliendolo, così come la terra arida è ostile al seme. Allora dice: “Tornerò alla casa mia da dove sono stato cacciato a forza e contro la sua volontà. E certo sono che mi accoglierà e mi darà riposo”. Infatti torna a colui che era suo, e molte volte lo trova disposto ad accoglierlo, perché in verità ve lo dico che l’uomo ha più nostalgia di Satana che di Dio, e se Satana non gli opprime le membra per nessun’altra possessione si lamenta. Va dunque e trova la casa vuota, spazzata, adorna, odorosa di purezza. Allora va a prendere altri sette demoni perché non vuole più perderla, e con questi sette spiriti peggiori di lui entra in essa e vi si stabiliscono tutti. E questo secondo stato, di uno convertito una volta e che si pervertisce una seconda, è peggiore del primo. Perché il demonio ha la misura di quanto quell’uomo sia amante di Satana e ingrato a Dio, ed anche perché Dio non ritorna là dove si calpestano le sue grazie e, già esperti di una possessione, si riaprono le braccia ad una maggiore. La ricaduta nel satanismo è peggio di una ricaduta in etisia mortale già sanata una volta. Non è più passibile di miglioramento e guarigione. Così accadrà anche di questa generazione che, convertita dal Battista, ha rivoluto essere peccatrice perché è amante del Malvagio e non di Me».

12 Un brusio, che non è né di approvazione né di protesta, scorre per la folla, che si pigia ormai tanto numerosa che anche la via ne è stipata, oltre l’orto e la terrazza. Vi è gente a cavalcioni del muretto, arrampicata sul fico dell’orto e sulle piante degli orti vicini, perché tutti vogliono sentire la disputa fra Gesù e i suoi nemici. Il brusio, come un’onda che dal largo giunge al lido, arriva di bocca in bocca fino agli apostoli che più sono vicino a Gesù, ossia Pietro, Giovanni, lo Zelote e i figli di Alfeo. Perché gli altri sono parte sulla terrazza e parte nella cucina. Meno Giuda Iscariota che è sulla via, fra la folla.
  E Pietro, Giovanni, lo Zelote, i figli d’Alfeo lo raccolgono questo brusio e dicono a Gesù: «Maestro, c’è tua Madre e i tuoi fratelli. Sono là fuori, sulla via, e ti cercano perché ti vogliono parlare. Da’ ordine che la folla si allontani perché essi possano venire a Te, perché certo un gran motivo li ha portati fin qui a cercarti».
  Gesù alza il capo e vede in fondo alla gente il viso angosciato di sua Madre che lotta per non piangere, mentre Giuseppe di Alfeo le parla concitatamente, e vede i segni di diniego di Lei, ripetuti, energici, nonostante l’insistenza di Giuseppe. Vede anche il viso imbarazzato di Simone, palesemente addolorato, disgustato… Ma non sorride e non ordina nulla. Lascia l’Afflitta nel suo dolore e i cugini là dove sono.
  Abbassa gli occhi sulla folla e, rispondendo agli apostoli vicini, risponde anche a quelli lontani che tentano di far valere il sangue più del dovere. «Chi è mia Madre? Chi sono i miei fratelli?». Gira l’occhio, severo nel volto che impallidisce per que sta violenza che si deve fare, per mettere il dovere al disopra dell’affetto e del sangue e per fare questa sconfessione del suo legame alla Madre per servire il Padre, e dice, accennando con un largo gesto la folla che si pigia intorno a Lui al lume rosso delle torce e alla luce argentea della luna quasi piena: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli. Coloro che fanno la volontà di Dio sono i miei fratelli e sorelle, sono mia madre. Non ne ho altri. E i miei saranno tali se, per primi e con maggior perfezione di ogni altro, faranno la volontà di Dio fino al sacrificio totale di ogni altra volontà o voce di sangue e di affetto».
  La folla ha un mormorio più forte, come se fosse un mare sconvolto da un subito vento.
  Gli scribi iniziano la fuga dicendo: «È un demonio! Rinnega persino il suo sangue!».
  I parenti avanzano dicendo: «È un folle! Tortura persino sua Madre!».
  Gli apostoli dicono: «In verità che in questa parola c’è tutto l’eroismo!».
  La folla dice: «Come ci ama!».

13 A fatica, Maria con Giuseppe e Simone fendono la folla. Lei tutta dolcezza, Giuseppe tutto furia, Simone tutto imbarazzo. Giungono presso a Gesù.
  E Giuseppe lo investe subito: «Sei folle! Offendi tutti. Non rispetti neppure tua Madre. Ma ora sono qui io e te lo impedirò. È vero che vai come lavorante qua e là? E allora, se vero è, perché non lavori nella tua bottega, sfamando tua Madre? Perché menti dicendo che il tuo lavoro è la predicazione, ozioso e ingrato che sei, se poi vai al lavoro prezzolato in casa estranea? Veramente mi sembri preso da un demonio che ti travia. Rispondi!».
  Gesù si volta e prende per mano il bambino Giuseppe, se lo tira vicino e poi lo alza tenendolo per le ascelle e dice: «Il mio lavoro fu sfamare questo innocente e i suoi parenti e persuaderli che Dio è buono. È stato predicare a Corozim l’umiltà e la carità. E non a Corozim soltanto. Ma anche a te, Giuseppe, fratello ingiusto. Ma Io ti perdono perché ti so morso da denti di serpe. E perdono anche a te, Simone incostante. Non ho nulla da perdonare né da farmi perdonare da mia Madre, perché Ella giudica con giustizia. Il mondo faccia ciò che vuole. Io faccio ciò che Dio vuole. E con la benedizione del Padre e della Madre mia sono felice più che se tutto il mondo mi acclamasse re secondo il mondo. Vieni, Madre. Non piangere. Essi non sanno ciò che fanno. Perdonali».
  «Oh! Figlio mio! Io so. Tu sai. Non c’è altro da dire…».
  «Non c’è altro da dire fuorché alla gente questo: “Andate in pace”».
  E Gesù benedice la folla e poi, tenendo con la destra Maria, con la sinistra il bambino, si avvia alla scaletta e la sale per il primo.

   Cap. CCCI. Parabola delle fronti detronizzate e spiegazione della parabola sull’impurità.

   13 Ottobre 1945

 1 Gesù non torna altro che a Endor. Si ferma alla prima casa del paese, che è più un ovile che una casa. Ma, appunto perché tale, con stalle basse, chiuse, colme di fieni, può ricoverare i tredici pellegrini. Il padrone della stessa, un uomo rude ma buono, si affretta a portare una lucerna e un secchiello di latte spumoso, più delle forme di pane molto scuro. Poi si ritira, benedetto da Gesù che resta solo coi suoi dodici.
   Gesù offre e distribuisce il pane e, in mancanza di scodelle o calici, ognuno inzuppa le sue fette di pane nel secchiello e beve quando ha sete, direttamente dallo stesso. Gesù beve soltanto un poco di latte.

 2 È serio, silenzioso… tanto che, finito il pasto, saziata la fame che negli apostoli non manca mai, finiscono ad accorgersi del suo mutismo.
   Andrea chiede per primo: «Cosa hai, Maestro? Mi sembri triste o stanco… ».
   «Non nego di esserlo ».
   «Perché? Per quei farisei?  Ma ormai dovresti averci fatto l’abitudine… quasi quasi ce l’ho fatta io che…
via! Tu sai come ero le prime volte con loro. Essi cantano sempre quella canzone!… Le serpi non possono che sibilare, infatti, e mai nessuna di esse riuscirà a rifare il canto dell’usignolo. Si finisce a non farci più caso», dice Pietro, parte con convinzione, parte per rasserenare Gesù.
   «Ed è in questo modo che si perde il controllo e si casca nelle loro spine. Vi prego di non abituarvi mai alle voce del Male come fossero voci innocue ».
   «Oh! bene! Ma se è per questo solo che Tu sei triste, fai male. Tu vedi come ti ama il mondo», dice Matteo.
   «Ma è per questo solo che sei triste così? Dimmelo, Maestro buono. O ti hanno riferito menzogne, insinuato calunnie, sospetti, che so? Su noi che ti amiamo? », chiede premuroso e carezzevole l’Iscariota, abbracciando con un braccio Gesù che è seduto sul fieno al suo fianco.      

 3 Gesù volta il viso nella direzione di Giuda. I suoi occhi hanno un baleno fosforico alla luce tremula della lucerna posata sul suolo in mezzo al cerchio degli assisi sul fieno, messo come basso sedile in tondo. Gesù guarda ben fisso Giuda di Keriot e nel guardarlo chiede: «E tu mi conosci forse tanto stolto da accogliere per vere le insinuazioni di chicchessia, sino a turbarmene? Sono le realtà, Giuda di Simone, quelle che mi turbano », e il suo sguardo non lascia per un momento di conficcarsi, diritto come uno specillo, nella pupilla bruna di Giuda.
   «Quali realtà ti turbano, allora? », insiste sicuro l’Iscariota.
   «Quelle che vedo nel fondo dei cuori e leggo sulle fronti detronizzate». Gesù marca molto questa parola.
   Tutti sono in subbuglio: «Detronizzate? Perché? Che vuoi dire? ».
   «Un re si detronizza quando è indegno di stare sul trono e gli viene per prima cosa strappata la corona, che è sulla sua fronte come sul luogo più nobile dell’uomo, unico animale che tenga la fronte eretta verso il cielo, essendo animale come materia, ma soprannaturale come essere dotato d’anima. Ma non c’è bisogno di esser re su un trono terreno per essere detronizzati. Ogni uomo è re per l’anima e il suo trono è nel Cielo. Ma quando un uomo prostituisce la sua anima e un bruto diviene, e demone diviene, allora si detronizza. Il mondo è pieno di fronti detronizzate, che non stanno più erette verso il Cielo ma curve verso l’Abisso, appesantite dalla parola che satana ha scolpito su esse. La volete sapere? È quella che io leggo sulle fronti. Vi è scritto: “Venduto!”. E perché non abbiate dubbi su chi è il compratore, vi dico che è satana, in se stesso o nei suoi servi che sono nel mondo ».
   «Ho capito! Quei farisei, per esempio, sono servi di un servo più grande di loro, quale è servo di satana », dice convinto Pietro.
   Gesù non ribatte nulla.

 4 «Però… sai, Maestro, che quei farisei, dopo avere sentito quelle tue parole, se ne sono andati scandalizzati? Urtandomi nell’uscire lo dicevano… Sei stato molto reciso », osserva Bartolomeo.
   E Gesù replica: «Ma molto vero. Non è colpa mia, ma loro, se si devono dire certe cose. Ed è ancora carità la mia di dirle. Qualunque pianta non piantata dal mio Padre celeste va sradicata. Ed è pianta non piantata da Lui l’inutile brughiera di erbe parassitarie, opprimenti, spinose, che opprimono il seme della verità santa. È carità estirpare tradizioni e precetti che soffocano il Decalogo, lo travisano, lo rendono inerte e impossibile ad osservarsi. È carità per le anime oneste farlo. Riguardo ad essi, ai protervi testardi e chiusi ad ogni azione e consiglio dell’Amore, lasciateli fare e siano seguiti da quelli che sono, per animo e tendenze, simili a loro. Sono ciechi che guidano dei ciechi. Se un cieco ne guida un altro, non potranno che cadere tutti e due nella fossa. Lasciateli nutrirsi delle loro contaminazioni alle quali danno nome “purezza”. Esse non li possono oltre contaminare, perché non fanno che adagiarsi sulla matrice dalla quale provengono ».

 5 «Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce », chiede pensoso Simone lo Zelote.
   «Si », dice brevemente Gesù.
   Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: « Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma, se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce ancora acqua pura. E allora? ».

 6 E Gesù: «Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure insomma. Ma quel cido dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire la carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io. Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi. È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo ora io esco a pregare ».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo per sempre a Te!
 


Vangelo Lc 6, 39-42: «Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio?»

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 39-42
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli una parabola:
«Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutti e due in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il suo maestro.
Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello e non ti accorgi della trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Togli prima la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXIV. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.

  29 maggio 1945

 1 In una mattinata splendida, di un nitore d’aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro. Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l’aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall’alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d’onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno riti nella loro veste dì petali – e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo – gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
   L’Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall’alabastro scendono due fili di diamante – da qui sembrano fili – dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d’acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell’altro mare del cielo.
   Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest’ora mattutina.

 2 E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.
   Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!». 
   Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
   Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l’aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
   Lo imita l’Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all’obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l’occhio del Maestro legge nei cuori». 
   La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.

 3 Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
   Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina dì frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l’antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l’imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
   Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli. La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
   «Vorrei parlare col Maestro…»
   «Hai del male? Povera non sei…»
   «Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui… perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia… e la mia…» e piange.
   «Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
   Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere…». La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere… Giovanni, fa’ di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
   E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l’uno che l’altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.

 4 Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. 
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto…».
   «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va’ a dire loro che abbiano fede».
   Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: «Come ti chiami?» le chiede Gesù.
   «Maria».
   «Ed Io come mi chiamo?».
   «Gesù» risponde la bambina.
   «E chi sono?».
   «Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
   «Chi te lo ha detto?».
   «La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
   «Vivi e sii buona». 
   La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche – si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle – sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
   I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».

 5 Gesù va verso la tettoia.
   Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
   Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
   «Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
   «Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l’ultimo ha due anni… Il mio dolore è grande… e penso ai figli… Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo almeno, lo vorrà… Ed io che l’ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro…»
   «Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
   «Ma… non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
   Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
   La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.

 6 Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco… e poi… Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà… Io… solo le tue parole, che ho udito l’inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l’ha già maledetta».
   «No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
   «Che Tu la ravveda».
   «Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
   «Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili… Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede”. Ce l’ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
   «Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
   «Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene… ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro… Ma ho tanta paura… La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
   Gesù sorride e crolla il capo… ma accontenta l’uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo.
   Ma credi che quando Dio dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.

 7 Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c’era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l’hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
   Gesù lo guarda ben fisso e sorride. «Perché sorridi, Maestro?».
   «Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.»
   «Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
   «Lo so. Ma era molto vecchio… Sono le malattie dei vecchi… Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l’ha fatta vibrare e l’hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
   «No, Signore, neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
   «E se ti levano del denaro».
   «Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto… non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro… Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
   «Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
   E anche questo se ne va contento.

 8 Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
   «La pace sia con voi.
   Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l’altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l’altro nell’altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l’uno dall’altro, l’uno andando verso Cafarnao, l’altro verso Tolemaide.
   La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
   Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
   Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
   Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
   Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
   Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odìerà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.

 9 Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
   Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
   Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
   Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro – perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto – tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.

 10 Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore.
   Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
   Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno.
   Onde Io vi dico…»

   (E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

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  12 agosto 1944

 11 Dice Gesù: 

   «Guarda e scrivi. É Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».

   Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
   La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade – perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche dìamante rugiadoso sperso fra i suoi steli – paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
   La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
   Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordìoso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…».

 12 Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. E serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle. 
   «Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d’uomo. «Fate largo alla bellezza che passa»… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedìle Maria dì Magdala, gran peccatrice ancora.
   E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo.
   Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla. 
   «Ecco accontentata la dea» dice il romano. «Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
   Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
   E’ bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
   Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
   Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.

 13 Gesù riprende: «Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
   Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno – il cuore – l’impurità.
   Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
   Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
   Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda? Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
   Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…»

 14 Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.

   Non vedo altro. Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».

  (29 maggio 1945.)

 15 Gesù riprende: «Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
   La folla grida: «Sì, si. Con Te » e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
   Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
   «Ma… ce ne andiamo proprio?».
   «Sì».
   «Perché è venuta lei?… »
   «Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani… »
   «Capisco, capisco…»
   «Allora però capisci anche un’altra cosa ».
   «Quale, Maestro?».
   «La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
   «Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…»
   «E per altri ancora».
   «Pensi che ce ne saranno oggi?».
   «Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
   Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.

 16 L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
   «Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
   «Non ho fame. E neppure Tu».
   «Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
   «No, Maestro. Stanco…»
   «Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…».
   Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
   «Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
   «Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E’ peccato aver bisogno di dormire?».
   «No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
   «Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
   «Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
   Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
   Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.

 17 «Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te”.»
   «Ma Pietro!».
   «No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
   Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
   «Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
   «A chi?».
   «A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
   «Ma benissimo!».
   «Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
   Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
   «Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
   «E’ vero! E’ venerdì!» dicono in diversi.
   «Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro». Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
   «Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
   Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.

 18 Gesù sorride e comincia a parlare.
   «Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato. Cosa è l’adulterio? É il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
   Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo cavatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. E’ vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.

 19 Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio” Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
   Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
   Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio “. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
   Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.

 20 Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente.. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
   La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
   Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli iguari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.

 21 Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!

 22 Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
   Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
   E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita. 

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani…»).

   Cap. CCCI. Parabola delle fronti detronizzate e spiegazione della parabola sull’impurità.

   13 Ottobre 1945

 1 Gesù non torna altro che a Endor. Si ferma alla prima casa del paese, che è più un ovile che una casa. Ma, appunto perché tale, con stalle basse, chiuse, colme di fieni, può ricoverare i tredici pellegrini. Il padrone della stessa, un uomo rude ma buono, si affretta a portare una lucerna e un secchiello di latte spumoso, più delle forme di pane molto scuro. Poi si ritira, benedetto da Gesù che resta solo coi suoi dodici.
   Gesù offre e distribuisce il pane e, in mancanza di scodelle o calici, ognuno inzuppa le sue fette di pane nel secchiello e beve quando ha sete, direttamente dallo stesso. Gesù beve soltanto un poco di latte.

 2 È serio, silenzioso… tanto che, finito il pasto, saziata la fame che negli apostoli non manca mai, finiscono ad accorgersi del suo mutismo.
   Andrea chiede per primo: «Cosa hai, Maestro? Mi sembri triste o stanco… ».
   «Non nego di esserlo ».
   «Perché? Per quei farisei?  Ma ormai dovresti averci fatto l’abitudine… quasi quasi ce l’ho fatta io che…
via! Tu sai come ero le prime volte con loro. Essi cantano sempre quella canzone!… Le serpi non possono che sibilare, infatti, e mai nessuna di esse riuscirà a rifare il canto dell’usignolo. Si finisce a non farci più caso», dice Pietro, parte con convinzione, parte per rasserenare Gesù.
   «Ed è in questo modo che si perde il controllo e si casca nelle loro spine. Vi prego di non abituarvi mai alle voce del Male come fossero voci innocue ».
   «Oh! bene! Ma se è per questo solo che Tu sei triste, fai male. Tu vedi come ti ama il mondo», dice Matteo.
   «Ma è per questo solo che sei triste così? Dimmelo, Maestro buono. O ti hanno riferito menzogne, insinuato calunnie, sospetti, che so? Su noi che ti amiamo? », chiede premuroso e carezzevole l’Iscariota, abbracciando con un braccio Gesù che è seduto sul fieno al suo fianco.      

 3 Gesù volta il viso nella direzione di Giuda. I suoi occhi hanno un baleno fosforico alla luce tremula della lucerna posata sul suolo in mezzo al cerchio degli assisi sul fieno, messo come basso sedile in tondo. Gesù guarda ben fisso Giuda di Keriot e nel guardarlo chiede: «E tu mi conosci forse tanto stolto da accogliere per vere le insinuazioni di chicchessia, sino a turbarmene? Sono le realtà, Giuda di Simone, quelle che mi turbano », e il suo sguardo non lascia per un momento di conficcarsi, diritto come uno specillo, nella pupilla bruna di Giuda.
   «Quali realtà ti turbano, allora? », insiste sicuro l’Iscariota.
   «Quelle che vedo nel fondo dei cuori e leggo sulle fronti detronizzate». Gesù marca molto questa parola.
   Tutti sono in subbuglio: «Detronizzate? Perché? Che vuoi dire? ».
   «Un re si detronizza quando è indegno di stare sul trono e gli viene per prima cosa strappata la corona, che è sulla sua fronte come sul luogo più nobile dell’uomo, unico animale che tenga la fronte eretta verso il cielo, essendo animale come materia, ma soprannaturale come essere dotato d’anima. Ma non c’è bisogno di esser re su un trono terreno per essere detronizzati. Ogni uomo è re per l’anima e il suo trono è nel Cielo. Ma quando un uomo prostituisce la sua anima e un bruto diviene, e demone diviene, allora si detronizza. Il mondo è pieno di fronti detronizzate, che non stanno più erette verso il Cielo ma curve verso l’Abisso, appesantite dalla parola che satana ha scolpito su esse. La volete sapere? È quella che io leggo sulle fronti. Vi è scritto: “Venduto!”. E perché non abbiate dubbi su chi è il compratore, vi dico che è satana, in se stesso o nei suoi servi che sono nel mondo ».
   «Ho capito! Quei farisei, per esempio, sono servi di un servo più grande di loro, quale è servo di satana », dice convinto Pietro.
   Gesù non ribatte nulla.

 4 «Però… sai, Maestro, che quei farisei, dopo avere sentito quelle tue parole, se ne sono andati scandalizzati? Urtandomi nell’uscire lo dicevano… Sei stato molto reciso », osserva Bartolomeo.
   E Gesù replica: «Ma molto vero. Non è colpa mia, ma loro, se si devono dire certe cose. Ed è ancora carità la mia di dirle. Qualunque pianta non piantata dal mio Padre celeste va sradicata. Ed è pianta non piantata da Lui l’inutile brughiera di erbe parassitarie, opprimenti, spinose, che opprimono il seme della verità santa. È carità estirpare tradizioni e precetti che soffocano il Decalogo, lo travisano, lo rendono inerte e impossibile ad osservarsi. È carità per le anime oneste farlo. Riguardo ad essi, ai protervi testardi e chiusi ad ogni azione e consiglio dell’Amore, lasciateli fare e siano seguiti da quelli che sono, per animo e tendenze, simili a loro. Sono ciechi che guidano dei ciechi. Se un cieco ne guida un altro, non potranno che cadere tutti e due nella fossa. Lasciateli nutrirsi delle loro contaminazioni alle quali danno nome “purezza”. Esse non li possono oltre contaminare, perché non fanno che adagiarsi sulla matrice dalla quale provengono ».

 5 «Questo che dici ora si riattacca con quanto hai detto in casa di Daniele, non è vero? Che non è ciò che entra nell’uomo ciò che contamina, ma ciò che da lui esce », chiede pensoso Simone lo Zelote.
   «Si », dice brevemente Gesù.
   Pietro, dopo un silenzio, perché la serietà di Gesù congela anche i caratteri più esuberanti, chiede: « Maestro, io, e non io solo, non ho capito bene la parabola. Spiegacela un poco. Come è che ciò che entra non contamina? Io, se prendo un’anfora monda e vi metto acqua sporca, la contamino. Perciò, ciò che entra nell’anfora contamina la stessa. Ma, se da un’anfora colma di acqua pura io verso al suolo dell’acqua, non contamino l’anfora, perché dall’anfora esce ancora acqua pura. E allora? ».

 6 E Gesù: «Noi non siamo anfore, Simone. Non siamo anfore, amici. E non è tutto puro nell’uomo! Ma ora anche voi siete senza intelletto? Riflettete al caso che i farisei portavano a vostra accusa. Voi, dicevano, vi contaminavate perché portavate cibo alla bocca con mani polverose, sudate, impure insomma. Ma quel cido dove andava? Dalla bocca allo stomaco, da questo al ventre, dal ventre alla cloaca. Ma può dunque portare impurità a tutto il corpo e a ciò che nel corpo è contenuto, se passa solo dal canale a ciò destinato, compiendo il suo uffizio di nutrire la carne, questa sola, e finendo, come è giusto che finisca, in una fogna? Non è questo che contamina l’uomo! Quello che contamina l’uomo è ciò che è suo, unicamente suo, generato e partorito dal suo io. Ossia ciò che egli ha nel cuore e dal cuore sale alle labbra e alla testa e corrompe il pensiero e la parola contamina tutto l’uomo. È dal cuore che vengono i cattivi pensieri, gli omicidi, gli adulteri, le fornicazioni, i furti, le false testimonianze e le bestemmie. È dal cuore che vengono le avarizie, le libidini, le superbie, le invidie, le ire, gli appetiti smodati, gli ozi peccaminosi. È dal cuore che vengono i fomiti a tutte le azioni. E se il cuore è malvagio saranno malvagie come il cuore. Tutte le azioni: dalle idolatrie alle mormorazioni insincere… tutte queste cose malvagie, che procedono dall’interno all’esterno, contaminano l’uomo, non il mangiare senza lavarsi le mani. La scienza di Dio non è cosa terra a terra, fanghiglia che ogni piede calpesta. Ma è sublime cosa che vive nelle plaghe delle stelle e di là scende con raggi di luce ad informare di sé i giusti. Non vogliate, voi almeno, strapparla dai cieli per avvilirla nel fango… Andate al riposo ora io esco a pregare ».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 6, 27-38: «A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano».

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 27-38
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«A voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male. A chi ti percuote sulla guancia, offri anche l’altra; a chi ti strappa il mantello, non rifiutare neanche la tunica. Da’ a chiunque ti chiede, e a chi prende le cose tue, non chiederle indietro.
E come volete che gli uomini facciano a voi, così anche voi fate a loro. Se amate quelli che vi amano, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori amano quelli che li amano. E se fate del bene a coloro che fanno del bene a voi, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo.
   Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l’ha data? Con la sua Parola.
   Perché l’ha data? Per il suo Amore.
   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
   Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico” No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
   L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì “, e perciò non lo dico.. – ma lo penso.. – ed è lo stesso…»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

   Cap. CLXXIV. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.

  29 maggio 1945

 1 In una mattinata splendida, di un nitore d’aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro. Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l’aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall’alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d’onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno riti nella loro veste dì petali – e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo – gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
   L’Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall’alabastro scendono due fili di diamante – da qui sembrano fili – dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d’acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell’altro mare del cielo.
   Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest’ora mattutina.

 2 E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.
   Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!». 
   Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
   Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l’aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
   Lo imita l’Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all’obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l’occhio del Maestro legge nei cuori». 
   La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.

 3 Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
   Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina dì frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l’antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l’imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
   Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli. La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
   «Vorrei parlare col Maestro…»
   «Hai del male? Povera non sei…»
   «Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui… perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia… e la mia…» e piange.
   «Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
   Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere…». La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere… Giovanni, fa’ di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
   E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l’uno che l’altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.

 4 Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. 
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto…».
   «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va’ a dire loro che abbiano fede».
   Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: «Come ti chiami?» le chiede Gesù.
   «Maria».
   «Ed Io come mi chiamo?».
   «Gesù» risponde la bambina.
   «E chi sono?».
   «Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
   «Chi te lo ha detto?».
   «La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
   «Vivi e sii buona». 
   La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche – si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle – sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
   I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».

 5 Gesù va verso la tettoia.
   Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
   Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
   «Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
   «Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l’ultimo ha due anni… Il mio dolore è grande… e penso ai figli… Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo almeno, lo vorrà… Ed io che l’ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro…»
   «Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
   «Ma… non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
   Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
   La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.

 6 Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco… e poi… Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà… Io… solo le tue parole, che ho udito l’inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l’ha già maledetta».
   «No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
   «Che Tu la ravveda».
   «Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
   «Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili… Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede”. Ce l’ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
   «Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
   «Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene… ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro… Ma ho tanta paura… La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
   Gesù sorride e crolla il capo… ma accontenta l’uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo.
   Ma credi che quando Dio dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.

 7 Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c’era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l’hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
   Gesù lo guarda ben fisso e sorride. «Perché sorridi, Maestro?».
   «Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.»
   «Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
   «Lo so. Ma era molto vecchio… Sono le malattie dei vecchi… Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l’ha fatta vibrare e l’hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
   «No, Signore, neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
   «E se ti levano del denaro».
   «Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto… non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro… Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
   «Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
   E anche questo se ne va contento.

 8 Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
   «La pace sia con voi.
   Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l’altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l’altro nell’altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l’uno dall’altro, l’uno andando verso Cafarnao, l’altro verso Tolemaide.
   La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
   Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
   Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
   Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
   Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
   Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odìerà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.

 9 Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
   Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
   Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
   Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro – perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto – tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.

 10 Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore.
   Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
   Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno.
   Onde Io vi dico…»

   (E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

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  12 agosto 1944

 11 Dice Gesù: 

   «Guarda e scrivi. É Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».

   Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
   La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade – perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche dìamante rugiadoso sperso fra i suoi steli – paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
   La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
   Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordìoso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…».

 12 Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. E serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle. 
   «Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d’uomo. «Fate largo alla bellezza che passa»… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedìle Maria dì Magdala, gran peccatrice ancora.
   E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo.
   Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla. 
   «Ecco accontentata la dea» dice il romano. «Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
   Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
   E’ bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
   Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
   Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.

 13 Gesù riprende: «Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
   Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno – il cuore – l’impurità.
   Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
   Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
   Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda? Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
   Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…»

 14 Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.

   Non vedo altro. Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».

  (29 maggio 1945.)

 15 Gesù riprende: «Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
   La folla grida: «Sì, si. Con Te » e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
   Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
   «Ma… ce ne andiamo proprio?».
   «Sì».
   «Perché è venuta lei?… »
   «Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani… »
   «Capisco, capisco…»
   «Allora però capisci anche un’altra cosa ».
   «Quale, Maestro?».
   «La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
   «Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…»
   «E per altri ancora».
   «Pensi che ce ne saranno oggi?».
   «Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
   Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.

 16 L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
   «Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
   «Non ho fame. E neppure Tu».
   «Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
   «No, Maestro. Stanco…»
   «Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…».
   Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
   «Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
   «Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E’ peccato aver bisogno di dormire?».
   «No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
   «Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
   «Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
   Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
   Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.

 17 «Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te”.»
   «Ma Pietro!».
   «No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
   Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
   «Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
   «A chi?».
   «A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
   «Ma benissimo!».
   «Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
   Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
   «Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
   «E’ vero! E’ venerdì!» dicono in diversi.
   «Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro». Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
   «Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
   Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.

 18 Gesù sorride e comincia a parlare.
   «Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato. Cosa è l’adulterio? É il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
   Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo cavatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. E’ vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.

 19 Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio” Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
   Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
   Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio “. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
   Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.

 20 Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente.. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
   La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
   Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli iguari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.

 21 Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!

 22 Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
   Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
   E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita. 

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani…»).

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Mt 1, 1-16:”Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, da cui nacque Gesù chiamato il Cristo”.

Matteo 1:1-16
Libro della generazione di Gesú Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuda e i suoi fratelli. Giuda generò Fares e Zara da Tamar. Fares generò Esron, Esron generò Aram, Aram generò Amínadab, Amínadab generò Naasson, Naasson generò Salmon, Salmon generò Booz da Raab. Booz generò Obed da Ruth, Obed generò Iesse. Iesse generò il re Davide, Davide generò Salomone da colei che era stata di Uria. Salomone generò Roboamo, Roboamo generò Abia, Abia generò Asa, Asa generò Giosafat, Giosafat generò Ioram, Ioram generò Ozia, Ozia generò Ioatam, Ioatam generò Achaz, Achaz generò Ezechia, Ezechia generò Manasse, Manasse generò Amon, Amon generò Giosia, Giosia generò Geconia e i suoi fratelli al tempo della deportazione in Babilonia. Dopo la deportazione in Babilonia Geconia generò Salatiel, Salatiel generò Zorobabele, Zorobabele generò Abiud, Abiud generò Eliacim, Eliacim generò Azor, Azor generò Sadoc, Sadoc generò Achim, Achim generò Eliud, Eliud generò Eleazar, Eleazar generò Matan, Matan generò Giacobbe, Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, da cui nacque Gesù chiamato il Cristo.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
“Giacobbe generò Giuseppe, sposo di Maria, da cui nacque Gesù chiamato il Cristo”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Vetus Ordo

   Cap. XXV. Presentazione di Giovanni Battista al Tempio e partenza di Maria. La Passione di Giuseppe

   5-6 aprile 1944.

   25.1 Nella notte fra il mercoledì e il giovedì della settimana santa vedo così.
   Da un comodo carro, al quale è legato anche il somarello di Maria, vedo scendere Zaccaria, Elisabetta e Maria con in braccio il piccolo Giovanni, e Samuele con un agnello e una cesta col colombo. Scendono davanti al solito stallaggio, che deve esser la tappa di tutti i pellegrini al Tempio, per depositare le loro cavalcature.
   Maria chiama l’ometto che ne è padrone e chiede se nessun nazareno è giunto nella giornata di ieri o nelle prime ore del mattino. «Nessuno, donna», risponde il vecchietto. Maria resta stupita, ma non aggiunge altro.
   Fa sistemare da Samuele il ciuchino e poi raggiunge i due maturi genitori e spiega il ritardo di Giuseppe: «Sarà stato trattenuto da qualche cosa. Ma oggi verrà certo». Riprende il bambino, che aveva consegnato a Elisabetta, e si avviano al Tempio.

   25.2 Zaccaria è ricevuto con onore dalle guardie e salutato e complimentato da altri sacerdoti. È tutto bello, oggi, Zaccaria nelle sue vesti sacerdotali e nella sua gioia di padre felice. Pare un patriarca. Penso che Abramo gli doveva somigliare quando gioiva di offrire Isacco al Signore.
Vedo la cerimonia della presentazione del nuovo israelita e la purificazione della madre. Ed è ancor più pomposa di quella di Maria, perché per il figlio di un sacerdote i sacerdoti fanno gran festa. Accorrono in massa e si dànno un gran da fare intorno al gruppetto delle donne e del neonato.
   Anche della gente si è accostata curiosa e odo i commenti. Dato che Maria ha sulle braccia l’infante mentre si avviano al luogo stabilito, la gente la crede la madre.
   Ma una donna dice: «Non può essere. Non vedete che Ella è incinta? Il bambino non ha più di pochi giorni ed Ella è già grossa».
   «Eppure», dice un altro, «non può esser che Ella la madre. L’altra è vecchia. Sarà una parente. Ma madre a quell’età non può essere».
   «Andiamo loro dietro e vedremo chi ha ragione».
E lo stupore diviene ben grande quando si vede che colei che compie il rito della purificazione è Elisabetta, la quale offre il suo agnellino belante per l’olocausto e il suo colombo per il peccato.
   «La madre è quella. Hai visto?».
   «No!».
   «Sì».
   La gente bisbiglia incredula ancora. Bisbiglia tanto che un «Ssst!» imperioso parte dal gruppo sacerdotale presente al rito. La gente tace un momento, ma bisbiglia più forte quando Elisabetta, raggiante di santo orgoglio, prende il bambino e si inoltra nel Tempio per farne la presentazione al Signore.
   «È proprio quella».
   «È sempre la madre che lo offre».
   «Che miracolo è mai questo?».
   «Che sarà quel bambino concesso in così tarda età a quella donna?».
   «Qual segno è mai questo?».
   «Non sapete?», dice uno che giunge trafelato. «È figlio del sacerdote Zaccaria della stirpe di Aronne, quello che divenne muto mentre offriva l’incenso nel Santuario».
   «Mistero! Mistero! E ora parla di nuovo! La nascita del figlio gli ha slegata la lingua».
   «Quale spirito gli avrà mai parlato e resa morta la sua lingua per abituarlo al silenzio sui segreti di Dio?».
   «Mistero! Quale verità conoscerà Zaccaria?».
   «Sia il figlio suo il Messia atteso da Israele?».
   «In Giudea è nato. Ma non a Betlem e non da una vergine. Messia esser non può».
   «Chi dunque mai?».
   Ma la risposta resta nei silenzi di Dio, e la gente rimane con la sua curiosità.
   Il cerimoniale è compiuto. I sacerdoti festeggiano, ora, anche la madre e il piccino. L’unica poco osservata, anzi schivata quasi con ribrezzo[62] quando si accorgono del suo stato, è Maria.

   25.3 Finite tutte le felicitazioni, i più tornano sulla via, e Maria vuole tornare allo stallaggio per vedere se è giunto Giuseppe. Non è giunto. Maria resta delusa e pensierosa.
   Elisabetta si preoccupa per Lei. «Fino all’ora sesta possiamo restare, ma poi dobbiamo partire per essere a casa avanti la prima vigilia. È ancor troppo piccino per stare oltre nella notte».
E Maria, calma e mesta: «Resterò in un cortile del Tempio. Andrò dalle mie maestre… Non so. Qualcosa farò».
   Zaccaria interviene con un progetto subito accettato come buona risoluzione. «Andiamo dai parenti di Zebedeo. Giuseppe certo là ti cerca e, se non avesse a venire là, ti sarà facile trovare chi ti accompagna verso la Galilea, ché in quella casa è un continuo andare e venire di pescatori di Genezareth».
   Prendono il ciuchino e vanno da questi parenti di Zebedeo, i quali altro non sono che quelli dai quali hanno sostato Giuseppe e Maria or sono quattro mesi.
   Le ore passano veloci e Giuseppe non compare. Maria domina il suo cruccio ninnando il piccolo, ma si vede che è pensierosa. Come per nascondere il suo stato, non si è mai levato il manto, nonostante il caldo intenso che fa sudare tutti.

   25.4 Finalmente un gran picchio alla porta annuncia Giuseppe. Il volto di Maria splende rasserenato.
   Giuseppe la saluta, poiché Ella si presenta per prima e lo saluta con riverenza. «La benedizione di Dio su te, Maria!».
   «E su di te, Giuseppe. E lode al Signore che sei venuto! Ecco, Zaccaria ed Elisabetta stavano per partire, per esser a casa avanti notte».
   «Il tuo messo giunse a Nazareth mentre io ero a Cana per dei lavori. Ieri l’altro a sera lo seppi. E subito partii. Ma, per quanto abbia camminato senza sostare, ho fatto tardi, perché s’era perso un ferro all’asinello. Perdona!».
   «Tu perdona per esser stata tanto tempo lontana da Nazareth! Ma, vedi, tanto felici erano    d’avermi seco, che ho voluto accontentarli sino ad ora».
   «Bene hai fatto, Donna. Il bambino dove è?».
   Entrano nella stanza dove è Elisabetta che dà il latte a Giovanni avanti di partire. Giuseppe complimenta i genitori per la robustezza del bambino che, staccato dalla mammella per mostrarlo a Giuseppe, strilla e scalcia come lo scorticassero. Ridono tutti davanti alle sue proteste. Anche i parenti di Zebedeo, che sono accorsi portando frutta fresca e latte e pane per tutti e un gran vassoio di pesce, ridono e si uniscono alla conversazione degli altri.

   25.5 Maria parla molto poco. Sta quieta e silenziosa, seduta nel suo angolino con le mani in grembo sotto il suo manto. E, anche quando beve una tazza di latte e mangia un grappolo d’uva dorata con un poco di pane, poco parla e poco si muove. Guarda Giuseppe con un misto di pena e di indagine.
   Anche egli la guarda. E dopo qualche tempo, curvandosi sulla sua spalla, le chiede: «Sei stanca o soffri? Sei pallida e triste».
   «Ho dolore a separarmi da Giovannino. Gli voglio bene. L’ho avuto sul cuore da pochi momenti nato…».
   Giuseppe non chiede altro.
   L’ora della partenza di Zaccaria è venuta. Il carro si ferma alla porta e tutti si avviano ad esso. Le due cugine si abbracciano con amore. Maria bacia e ribacia il piccino prima di deporlo sul grembo della madre, già seduta nel suo carro. Poi saluta Zaccaria e gli chiede la benedizione. Nell’inginocchiarsi davanti al sacerdote, il manto le scivola dalle spalle e le forme le appaiono nella luce intensa del pomeriggio estivo. Non so se Giuseppe le noti in questo momento, intento come è a salutare Elisabetta. Il carro parte.

   25.6 Giuseppe rientra in casa con Maria, che riprende il suo posto nell’angolo semioscuro. «Se non ti spiace viaggiare di notte, io proporrei di partire al tramonto. Il caldo è forte nel giorno. La notte invece è fresca e quieta. Dico per te, per non farti prendere troppo sole. Per me è cosa da nulla stare sotto al solleone. Ma tu…».
   «Come vuoi, Giuseppe. Credo io pure che sia bene andare di notte».
   «La casa è tutta in ordine. E l’orticello. Vedrai che bei fiori! Giungi in tempo per vederli tutti fiorire. Il melo, il fico e la vite sono carichi di frutti come non mai, e il melograno ho dovuto sorreggerlo, tanto ha i rami carichi di frutti così già formati che mai si vide esser tali di questo tempo. L’ulivo, poi… Avrai olio in abbondanza. Ha fatto una fiorita miracolosa e non si è perso un fiore. Tutti sono già piccole ulive. Quando saranno mature, la pianta sembrerà piena di scure perle. Non c’è che il tuo orto così bello in tutta Nazareth. Anche i parenti ne sono stupiti. E Alfeo dice che questo è un prodigio».
   «Le tue cure lo hanno creato».
   «Oh! no! Povero uomo! Che devo aver fatto io? Un poco di cura alle piante ed un poco d’acqua ai fiori… Sai? Ti ho fatto una fonte in fondo, presso la grotta, e vi ho messo una vasca. Così non avrai ad uscire per aver l’acqua. L’ho condotta da quella sorgente che sta sopra all’uliveto di Mattia. È pura e abbondante. Un piccolo rivolo l’ho condotto a te. Ho fatto un piccolo canale ben coperto, e ora viene e canta come un’arpa. Mi doleva che tu andassi alla fonte del paese e ne tornassi carica delle anfore piene d’acqua».
   «Grazie, Giuseppe. Tu sei buono!».
   I due sposi tacciono, ora, come stanchi. E Giuseppe sonnecchia anche. Maria prega.

   25.7 Viene la sera. Gli ospiti insistono perché prima di mettersi in viaggio i due mangino ancora. Giuseppe mangia infatti pane e pesce. Maria solo frutta e latte.
Poi partono. Montano sui loro ciuchini. Giuseppe ha legato sul suo, come nel venire, il cofano di Maria, e prima che Ella monti sul somarello osserva che la sella sia ben sicura. Vedo che Giuseppe osserva Maria quando monta in sella. Ma non dice nulla.
Il viaggio ha inizio sotto le prime stelle che cominciano a palpitare in cielo. Si affrettano alle porte per giungervi avanti che siano chiuse, forse. Quando escono da Gerusalemme e prendono la via maestra che va verso la Galilea, le stelle gremiscono ormai tutto il cielo sereno. E un grande silenzio è per la campagna. Solo si sente cantare qualche usignolo e il battere degli zoccoli dei due asinelli sul terreno duro della via arsa dall’estate.

   
   25.8 Dice Maria:
   «È la vigilia del Giovedì santo. A taluni parrà fuori posto questa visione. Ma il tuo dolore di amante del mio Gesù Crocifisso è nel tuo cuore e vi resta anche se una dolce visione si presenta. Essa è come il tepore che si sviluppa da una fiamma, che è ancora fuoco ma non è già più fuoco. Il fuoco è la fiamma, non il tepore di essa, che ne è unicamente una derivazione. Nessuna visione beatifica o pacifica varrà a toglierti quel dolore dal cuore. E tienilo caro più della tua stessa vita. Perché è il dono più grande che Dio possa concedere ad un credente nel suo Figlio. Inoltre non è la mia, nella sua pace, visione disforme alle ricorrenze di questa settimana.

   25.9 Anche il mio Giuseppe ha avuto la sua Passione. Ed essa è nata in Gerusalemme quando gli apparve il mio stato. Ed essa è durata dei giorni come per Gesù e per me. Né essa fu spiritualmente poco dolorosa. E unicamente per la santità del Giusto che m’era sposo fu contenuta in una forma, che fu talmente dignitosa e segreta che è passata nei secoli poco notata.
   Oh! la nostra prima Passione! Chi può dirne la intima e silenziosa intensità? Chi il mio dolore nel constatare che il Cielo non mi aveva ancora esaudita rivelando a Giuseppe il mistero?
   Che egli lo ignorasse l’avevo compreso vedendolo meco rispettoso come di solito. Se egli avesse saputo che portavo in me il Verbo di Dio, egli avrebbe adorato quel Verbo, chiuso nel mio seno, con atti di venerazione che sono dovuti a Dio e che egli non avrebbe mancato di fare, come io non avrei ricusato di ricevere, non per me, ma per Colui che era in me e che io portavo così come l’Arca dell’alleanza portava il codice di pietra e i vasi della manna.
   Chi può dire la mia battaglia contro lo scoramento, che voleva soverchiarmi per persuadermi che avevo sperato invano nel Signore? Oh! io credo che fu rabbia di Satana! Sentii il dubbio sorgermi alle spalle e allungare le sue branche gelide per imprigionarmi l’anima e fermarla nel suo orare. Il dubbio che è così pericoloso, letale allo spirito. Letale, perché è il primo agente della malattia mortale che ha nome “disperazione” e al quale si deve reagire con ogni forza, per non perire nell’anima e perdere Dio.
   Chi può dire con esatta verità il dolore di Giuseppe, i suoi pensieri, il turbamento dei suoi affetti? Come piccola barca presa in gran bufera, egli era in un vortice di opposte idee, in una ridda di riflessioni l’una più mordente e più penosa dell’altra. Era un uomo, in apparenza, tradito dalla sua donna. Vedeva crollare insieme il suo buon nome e la stima del mondo, per lei si sentiva già segnato a dito e compassionato dal paese, vedeva il suo affetto e la sua stima in me cadere morti davanti all’evidenza di un fatto.

   25.10 La sua santità qui splende ancor più alta della mia. Ed io ne rendo questa testimonianza con affetto di sposa, perché voglio lo amiate il mio Giuseppe, questo saggio e prudente, questo paziente e buono, che non è separato dal mistero della Redenzione, ma sibbene è ad esso intimamente connesso, perché consumò il dolore per esso e se stesso per esso, salvandovi il Salvatore a costo del suo sacrificio e della sua santità.
   Fosse stato men santo, avrebbe agito umanamente, denunciandomi come adultera perché fossi lapidata e il figlio del mio peccato perisse con me. Fosse stato men santo, Dio non gli avrebbe concesso la sua luce per guida in tal cimento. Ma Giuseppe era santo. Il suo spirito puro viveva in Dio. La carità era in lui accesa e forte. E per la carità vi salvò il Salvatore, tanto quando non mi accusò agli anziani, quanto quando, lasciando tutto con pronta ubbidienza, salvò Gesù in Egitto.

   25.11 Brevi come numero, ma tremendi di intensità i tre giorni della Passione di Giuseppe. E della mia, di questa mia prima passione. Perché io comprendevo il suo soffrire, né potevo sollevarlo in alcun modo per l’ubbidienza al decreto di Dio, che mi aveva detto: “Taci!”.
   E quando, giunti a Nazareth, lo vidi andarsene dopo un laconico saluto, curvo e come invecchiato in poco tempo, né venire a me alla sera come sempre usava, vi dico, figli, che il mio cuore pianse con ben acuto duolo. Chiusa nella mia casa, sola, nella casa dove tutto mi ricordava l’Annuncio e l’Incarnazione, e dove tutto mi ricordava Giuseppe a me sposato in una illibata verginità, io ho dovuto resistere allo sconforto, alle insinuazioni di Satana e sperare, sperare, sperare. E pregare, pregare, pregare. E perdonare, perdonare, perdonare al sospetto di Giuseppe, al suo sommovimento di giusto sdegno.
   Figli, occorre sperare, pregare, perdonare per ottenere che Dio intervenga in nostro favore. Vivete anche voi la vostra passione. Meritata per le vostre colpe. Io vi insegno come superarla e mutarla in gioia. Sperate oltre misura. Pregate senza sfiducia. Perdonate per esser perdonati. Il perdono di Dio sarà la pace che desiderate, o figli.

   25.12 Null’altro per ora vi dirò. Sin dopo il trionfo pasquale sarà silenzio. È la Passione. Compassionate il Redentore vostro. Uditene i lamenti e numeratene ferite e lacrime. Ognuna di esse è scesa per voi e per voi fu patita. Ogni altra visione scompaia davanti a questa che vi ricorda la Redenzione compiuta per voi».

   [62] con ribrezzo, poiché la donna incinta era immonda secondo la legge, che prescriveva la purificazione per la puerpera e la circoncisione per il figlio maschio: Genesi 17, 9-14Levitico 12. Il primogenito maschio era consacrato al Signore e poi riscattato, come prescritto in: Esodo 13, 1-2.11-16; 34, 19-20Numeri 3, 13; 18, 15-16. Per la donna sono contemplate altre impurità in: Levitico 15, 18-30, cui si accennerà, per esempio, in 230.3 e 262.8. Oltre ai casi specifici previsti dalla legge (soprattutto in materia di matrimonio e di divorzio) la donna in genere subiva certi trattamenti discriminatori per tradizione rabbinica, come rileviamo in nota a 316.5.

    Cap. XXVI. Giuseppe chiede perdono a Maria. Fede, carità e umiltà per ricevere Dio.

   31 maggio 1944.

   26.1Dopo 53 giorni riprende la Mamma a mostrarsi con questa visione che mi dice da segnare in questo libro. La gioia si riversa in me. Perché vedere Maria è possedere la Gioia.

   26.2Vedo dunque l’orticello di Nazaret. Maria fila all’ombra di un foltissimo melo stracarico di frutta, che cominciano ad arrossare e sembrano tante guance di bambino nel loro roseo e tondo aspetto.
   Ma Maria non è per nulla rosea. Il bel colore, che le avvivava le guance a Ebron, le è scomparso. Il viso è di un pallore di avorio, in cui soltanto le labbra segnano una curva di pallido corallo. Sotto le palpebre calate stanno due ombre scure e i bordi dell’occhio sono gonfi come in chi ha pianto. Non vedo gli occhi, perché Ella sta col capo piuttosto chino, intenta al suo lavoro e più ancora ad un suo pensiero che la deve affliggere, perché l’odo sospirare come chi ha un dolore nel cuore.
   È tutta vestita di bianco, di lino bianco, perché fa molto caldo nonostante che la freschezza ancora intatta dei fiori mi dica che è mattina. È a capo scoperto e il sole, che scherza con le fronde del melo mosse da un lievissimo vento e filtra con aghi di luce fin sulla terra bruna delle aiuole, le mette dei cerchiolini di luce sul capo biondo, e là i capelli sembrano di un oro zecchino.
   Dalla casa non viene nessun rumore, né dai luoghi vicini. Si sente solo il mormorio del filo d’acqua che scende in una vasca in fondo all’orto.

   26.3Maria sobbalza per un picchio dato risolutamente all’uscio di casa. Posa conocchia e fuso e si alza per andare ad aprire. Per quanto l’abito sia sciolto e ampio, non riesce a nascondere completamente la rotondità del suo bacino.
   Si trova di fronte Giuseppe. Maria impallidisce anche nelle labbra. Ora il suo viso pare un’ostia, tanto è esangue. Maria guarda con occhio che interroga mestamente. Giuseppe guarda con occhio che pare supplichi. Tacciono, guardandosi. Poi Maria apre la bocca: «A quest’ora, Giuseppe? Hai bisogno di qualche cosa? Che vuoi dirmi? Vieni».
   Giuseppe entra e chiude la porta. Non parla ancora.
   «Parla, Giuseppe. Che vuoi da me?».
   «Il tuo perdono». Giuseppe si curva come volesse inginocchiarsi. Ma Maria, sempre così riservata nel toccarlo, lo afferra per le spalle risolutamente e glielo impedisce.
   Il colore va e viene dal volto di Maria, che ora è tutta rossa e ora di neve come prima. «Il mio perdono? Non ho nulla da perdonarti, Giuseppe. Non devo che ringraziarti ancora per tutto quanto hai fatto qui dentro in mia assenza e per l’amore che mi porti».
   Giuseppe la guarda, e vedo due grossi goccioloni formarsi nell’incavo del suo occhio profondo, stare lì come sull’orlo di un vaso e poi rotolare giù sulle guance e sulla barba. «Perdono, Maria. Ho diffidato di te. Ora so. Sono indegno di avere tanto tesoro. Ho mancato di carità, ti ho accusata nel mio cuore, ti ho accusata senza giustizia perché non ti avevo chiesto la verità. Ho mancato verso la legge di Dio non amandoti come mi sarei amato…».
   «Oh! no! Non hai mancato!».
   «Sì, Maria. Se fossi stato accusato di un tal delitto, mi sarei difeso. Tu… Non concedevo a te di difenderti, perché stavo per prendere delle decisioni senza interrogarti. Ho mancato verso te recandoti l’offesa di un sospetto. Anche solo un sospetto è offesa, Maria. Chi sospetta non conosce. Io non ti ho conosciuta come dovevo. Ma per il dolore che ho patito,… tre giorni di supplizio, perdonami, Maria».
   «Non ho nulla da perdonarti. Ma, anzi, io ti chiedo perdono per il dolore che ti ho dato».
   «Oh! sì, che fu dolore! Che dolore! Guarda, stamane mi hanno detto che sulle tempie sono canuto e sul viso ho rughe.
   Più di dieci anni di vita sono stati questi giorni!

   26.4Ma perché, Maria, sei stata tanto umile da tacere, a me, tuo sposo, la tua gloria, e permettere che io sospettassi di te?».
   Giuseppe non è in ginocchio, ma sta così curvo che è come lo fosse, e Maria gli posa la manina sul capo e sorride. Pare lo assolva. E dice: «Se non lo fossi stata in maniera perfetta, non avrei meritato di concepire l’Atteso, che viene ad annullare la colpa di superbia che ha rovinato l’uomo. E poi ho ubbidito… Dio mi ha chiesto questa ubbidienza. Mi è costata tanto… per te, per il dolore che te ne sarebbe venuto. Ma non dovevo che ubbidire. Sono l’Ancella di Dio, e i servi non discutono gli ordini che ricevono. Li eseguiscono, Giuseppe, anche se fanno piangere sangue».
   Maria piange quietamente mentre dice questo. Tanto quietamente che Giuseppe, curvo come è, non se ne avvede sinché una lacrima non cade al suolo. Allora alza il capo e — è la prima volta che gli vedo fare questo gesto — stringe le manine di Maria nelle sue brune e forti e bacia la punta di quelle rosee dita sottili, che spuntano come tanti bocci di pesco dall’anello delle mani di Giuseppe.

   26.5«Ora bisognerà provvedere perché…». Giuseppe non dice di più, ma guarda il corpo di Maria, e Lei diviene di porpora e si siede di colpo per non rimanere così esposta, nelle sue forme, allo sguardo che l’osserva. «Bisognerà fare presto. Io verrò qui… Compiremo il matrimonio… Nell’entrante settimana. Va bene?».
   «Tutto quanto tu fai va bene, Giuseppe. Tu sei il capo di casa, io la tua serva».
   «No. Io sono il tuo servo. Io sono il beato servo del mio Signore che ti cresce in seno. Tu benedetta fra tutte le donne d’Israele. Questa sera avviserò i parenti. E dopo… quando sarò qui lavoreremo per preparare tutto a ricevere… Oh! come potrò ricevere nella mia casa Dio? Nelle mie braccia Dio? Io ne morrò di gioia!… Io non potrò mai osare di toccarlo!…».
   «Tu lo potrai, come io lo potrò, per grazia di Dio».
   «Ma tu sei tu. Io sono un povero uomo, il più povero dei figli di Dio!…».
   «Gesù viene per noi, poveri, per farci ricchi in Dio, viene a noi due perché siamo i più poveri e riconosciamo di esserlo. Giubila, Giuseppe. La stirpe di Davide ha il Re atteso e la nostra casa diviene più fastosa della reggia di Salomone, perché qui sarà il Cielo e noi divideremo con Dio il segreto di pace che più tardi gli uomini sapranno. Crescerà fra noi, e le nostre braccia saranno cuna al Redentore che cresce, e le nostre fatiche gli daranno un pane… Oh! Giuseppe! Sentiremo la voce di Dio chiamarci “padre e Madre!”. Oh!…».
   Maria piange di gioia. Un pianto così felice! E Giuseppe inginocchiato, ora, ai suoi piedi, piange col capo quasi nascosto nell’ampia veste di Maria, che le fa una caduta di pieghe sui poveri mattoni della stanzetta.
   La visione cessa qui.
   

   26.6Dice Maria:
   «Nessuno interpreti in modo errato il mio pallore. Non era dato da paura umana. Umanamente mi sarei dovuta attendere la lapidazione. Ma non temevo per questo. Soffrivo per il dolore di Giuseppe. Anche il pensiero che egli mi accusasse, non mi turbava per me stessa. Soltanto mi spiaceva che egli potesse, insistendo nell’accusa, mancare alla carità. Quando lo vidi, il sangue mi andò tutto al cuore per questo. Era il momento in cui un giusto avrebbe potuto offendere la Giustizia, offendendo la Carità. E che un giusto mancasse, egli che non mancava mai, mi avrebbe dato dolore sommo.

   26.7Se io non fossi stata umile sino al limite estremo, come ho detto a Giuseppe, non avrei meritato di portare in me Colui che, per cancellare la superbia nella razza, annichiliva Sé, Dio, all’umiliazione d’esser uomo.

  26.8Ti ho mostrato questa scena, che nessun vangelo riporta, perché voglio richiamare l’attenzione troppo sviata degli uomini sulle condizioni essenziali per piacere a Dio e ricevere la sua continua venuta in cuore.
   Fede. Giuseppe ha creduto ciecamente alle parole del messo celeste[63]. Non chiedeva che di credere, perché era in lui convinzione sincera che Dio è buono e che a lui, che aveva sperato nel Signore, il Signore non avrebbe serbato il dolore d’esser un tradito, un deluso, uno schernito dal suo prossimo. Non chiedeva che di credere in me perché, onesto come era, non poteva pensare che con dolore che altri non lo fosse. Egli viveva la Legge, e la Legge dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Noi ci amiamo tanto che ci crediamo perfetti anche quando non lo siamo. Perché allora disamare il prossimo pensandolo imperfetto?
   Carità assoluta. Carità che sa perdonare, che vuole perdonare. Perdonare in anticipo, scusando in cuor proprio le manchevolezze del prossimo. Perdonare al momento, concedendo tutte le attenuanti al colpevole.
   Umiltà assoluta come la carità. Sapere riconoscere che si è mancato anche col semplice pensiero, e non avere l’orgoglio, più nocivo ancora della colpa antecedente, di non voler dire: “Ho errato”. Meno Dio, tutti errano. Chi è colui che può dire: “Io non sbaglio mai”? E l’ancor più difficile umiltà: quella che sa tacere le meraviglie di Dio in noi, quando non è necessario proclamarle per dargliene lode, per non avvilire il prossimo che non ha tali doni speciali da Dio. Se vuole, oh! se vuole, Dio disvela Se stesso nel suo servo! Elisabetta mi “vide” quale ero, lo sposo mio mi conobbe per quel che ero quando fu l’ora di conoscerlo per lui.

   26.9Lasciate al Signore la cura di proclamarvi suoi servi. Egli ne ha un’amorosa fretta, perché ogni creatura che assurga a particolare missione è una nuova gloria aggiunta all’infinita sua, perché è testimonianza di quanto è l’uomo così come Dio lo voleva: una minore perfezione che rispecchia il suo Autore. Rimanete nell’ombra e nel silenzio, o prediletti dalla Grazia, per poter udire le uniche parole che sono di “vita”, per poter meritare di avere su voi e in voi il Sole che eterno splende.
   Oh! Luce beatissima che sei Dio, che sei la gioia dei tuoi servi, splendi su questi servi tuoi e ne esultino nella loro umiltà, lodando Te, Te solo, che sperdi i superbi ma elevi gli umili, che ti amano, agli splendori del tuo Regno».

Vangelo Lc 6, 12-19:”Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli”.

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 12-19
Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
“Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXV. L’elezione dei dodici ad apostoli.

 1 Vi è un’alba che imbianca i monti e sembra ammorbidire questa selvaggia costa in cui ha voce solo il torrentello che spuma nel fondo, una voce che ripercossa dai monti, pieni di caverne, acquista un singolare rumore. Lì, nel posto dove hanno sostato i discepoli, non c’è che qualche cauto fruscìo fra le fronde e le erbe: dei primi uccelli che si destano, degli ultimi animali notturni che si rintanano. Un gruppo di lepri o di conigli selvatici, che sta rodendo un basso cespuglio di more, fugge spaurito per il precipitare di un sasso. Poi tornano cauti, muovendo le orecchie per raccogliere ogni suono e, visto che tutto è pace, tornano al loro cespuglio. La guazza lava tutte le fronde, tutte le pietre, e il bosco odora forte di musco, di mentucce e maggiorane.
   Un pettirosso scende fin sullo scrimolo di una caverna a cui fa da tetto uno scheggione sporgente e, muovendo il capino, ben ritto sulle zampine di seta, pronto a fuggire, guarda dentro, guarda per terra, mormora i suoi cip cip d’interrogazione e di… golosità per delle briciole di pane che sono al suolo, ma non si decide a scendere altro che quando si vede preceduto da un grosso merlo che avanza saltellando di sbieco, buffo nel suo fare da monello e nel suo profilo di vecchio notaio al quale mancano solo gli occhiali per essere compito. Allora scende anche il pettirosso e si mette in coda all’ardito messere, che ogni tanto ficca il becco giallo nella terra umida in ricerche di… archeologia cibareccia e poi va oltre dopo un ciop o dopo un fischio breve, proprio da monellaccio. Il pettirosso si ingozza delle mollichine e resta stupito quando vede che il merlo, penetrato sicuro nella caverna silenziosa, ne esce con una crosta di formaggio, che sbatte e risbatte su una pietra per sminuzzarla facendosene un lauto pasto. Poi torna dentro, sbircia e, non trovando più nulla, fa una bella fischiata di beffa e vola via per finire la cantata in cima ad un rovere, che tuffa la sua vetta nell’azzurro mattutino. Anche il pettirosso vola via, per un rumore che sente venire dall’interno della caverna… e resta su un rametto sottile che spenzola nel vuoto.

 2 Gesù si avanza sul limitare e sbriciola del pane chiamando piano piano gli uccellini, con un fischio modulato che ben imita il cinguettio di molti piccoli pennuti. Poi si scosta e va più su, immobilizzandosi contro una parete rocciosa per non spaventare i suoi amici che presto scendono: primo il pettirosso e poi molti altri di varie specie. L’immobilità di Gesù o anche il suo sguardo – io amo pensare così, perché ho l’esperienza che le bestie anche più diffidenti si avvicinano a coloro che per istinto sentono non nemici ma protettori – fanno sì che dopo poco, a pochi centimetri da Gesù, saltellano gli uccellini, e il pettirosso, ormai sazio, vola in alto del masso a cui è appoggiato Gesù e si aggrappa ad un esilissimo rametto di vitalba e si altalena sul capo di Gesù con una voglia di scendere sulla testa bionda o sulla spalla. Il pasto è finito.
   Il sole indora la cima del monte e poi i più alti rami della boscaglia, mentre a valle ancora tutto è nella luce pallida dell’alba. Gli uccellini volano, soddisfatti e sazi, al sole e cantano con tutte le loro piccole gole. 

 3 «Ed ora andiamo a svegliare questi altri miei figli» dice Gesù, e scende, perché la sua caverna è la più alta, entrando di volta in volta nelle grotte e chiamando a nome i dodici dormenti.
   Simone, Bartolomeo, Filippo, Giacomo, Andrea rispondono subito. Matteo, Pietro e Tommaso sono più tardi a rispondere. E mentre Giuda Taddeo si fa incontro a Gesù non appena lo vede farsi sulla soglia, già pronto e ben desto, l’altro cugino, e con lui l’Iscariota e Giovanni, dormono sodo, tanto che Gesù deve scuoterli sul loro letto di foglie perché si destino. Giovanni, ultimo chiamato, dorme così profondamente che non si raccapezza di chi lo chiama, e nelle nebbie del sonno per metà interrotto dice fra le labbra: 
   «Sì, mamma. Vengo subito…». Ma poi si gira di là. 
   Gesù sorride, si siede sul silvestre pagliericcio di fogliame raccolto nel bosco, si china e bacia sulla guancia il suo Giovanni, che apre gli occhi e resta di stucco nel vedere lì Gesù. 
   Si siede di scatto e dice: «Hai bisogno di me? Eccomi». 
   «No. Ti ho svegliato come tutti. Ma tu mi hai creduto tua mamma. E allora ti ho baciato, per fare quello che fanno le mamme». 
   Giovanni, seminudo nella sottoveste, perché si è messo il vestito e il mantello come coperta, si attacca al collo di Gesù e ci si rifugia col capo fra la spalla e la guancia dicendo: «Oh! sei ben più della mamma Tu! Lei l’ho lasciata per Te. Ma Tu, non ti lascerei per essa! Lei mi ha partorito alla terra. Ma Tu mi partorisci al Cielo. Oh! lo so!».

 4 «Che sai di più degli altri?». 
   «Quello che mi ha detto il Signore in questo speco. Vedi, io non sono mai venuto da Te e penso che i compagni abbiano detto che ciò era indifferenza e superbia. Ma di ciò che pensano non mi importa. So che Tu sai la verità. Io non venivo da Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato; ma ciò che Tu sei in seno del Fuoco che è l’Amore eterno della Trinità Ss., la sua Natura, la sua Essenza, la sua vera Essenza – oh! che non so dire tutto quanto ho pure capito in questa tetra grotta oscura che mi è divenuta così piena di luci, in questa fredda caverna in cui sono stato arso da un fuoco senza aspetto ma che mi è sceso nel profondo e lo ha acceso di un dolce martirio, in questo antro senza voce ma che mi ha cantato delle verità celesti – ma ciò che Tu sei, Seconda Persona dell’ineffabile Mistero che è Dio e che io penetro perché Dio a Sé mi ha aspirato, io l’ho avuto sempre con me. E tutti i miei desideri, tutti i miei pianti, tutte le mie domande, le ho versate sul tuo seno divino, Verbo di Dio. Né ci fu mai parola, fra le tante che da Te ho udite, vasta così come quella che mi dicesti qui, Tu, Dio Figlio; Tu, Dio come il Padre; Tu, Dio come lo Spirito Santo; Tu, Tu che sei il perno della Triade… oh! forse bestemmio! ma così mi pare perché se Tu non fossi, amore del Padre e amore al Padre, ecco che mancherebbe l’Amore, il divino Amore, e la Divinità più non sarebbe Trina, e mancherebbe ad Essa il più confacente attributo di Dio: il suo amore!
   Oh! ho tanto qui, ma è come dell’acqua che gorgoglia contro una chiusa e non può uscire… mi sembra di morirne tanto è violento e sublime il tumulto che mi è sceso in cuore da quando ti ho capito… ma per nulla al mondo vorrei esserne liberato… Fammi morire di questo amore, mio dolce Iddio!». Giovanni sorride e piange, affannato, acceso dal suo amore, abbandonato sul petto di Gesù, come se la fiamma lo spossasse. 
   E Gesù se lo carezza, ardendo di amore a sua volta.
   Giovanni si riprende sotto un’onda di umiltà che lo fa supplicare: «Non dire agli altri quanto io ti ho detto. Certo essi pure hanno saputo vivere di Dio come io vissi in questi giorni. Ma lascia sul mio segreto la pietra del silenzio». 
   «Sta’ sicuro, Giovanni. Nessuno saprà le tue nozze con l’Amore. Vestiti, vieni. Dobbiamo partire».

 5 Gesù esce sul sentiero dove già sono gli altri. I volti hanno un aspetto più venerabile, più raccolto. Gli anziani sembrano patriarchi, i giovani hanno un che di maturo, di dignitoso, che prima la gioventù nascondeva. L’Iscariota guarda Gesù con un timido sorriso sul volto segnato di pianto. Gesù lo carezza nel passare. Pietro… non parla. Ed è così strano in lui che stupisce più di ogni altro mutamento. Guarda attentamente Gesù, ma con una dignità nuova che pare fargli più spaziosa la fronte un poco stempiata e più severo l’occhio fino allora tutto un brillìo d’arguzie.
   Gesù se lo chiama vicino e se lo tiene vicino in attesa di Giovanni, che finalmente esce col volto non so se dire più pallido o più rosso, ma certo acceso da una fiamma che non muta il colore ma pure è palese. Tutti lo guardano. 
   «Vieni qui, Giovanni, presso a Me. E anche tu, Andrea, e tu Giacomo di Zebedeo. Poi tu Simone e tu Bartolomeo, Filippo e voi, fratelli miei, e Matteo. Giuda di Simone qui, di fronte a Me. Tommaso, vieni qui. Sedete. Vi devo parlare». 
   Si siedono quieti come bambini, tutti un poco assorti nel loro mondo interiore e pure attenti a Gesù come non furono mai.

 6 «Sapete che vi ho fatto? Tutti lo sapete. L’anima lo ha detto alla ragione. Ma l’anima, che in questi giorni fu regina, ha insegnato alla ragione due grandi virtù: l’umiltà e il silenzio, figlio dell’umiltà e della prudenza, le quali sono le figlie della carità.
   Solo otto giorni sono sareste venuti a proclamare, come bravi bambini che vogliono stupire e superare il rivale, le vostre bravure, le vostre nuove cognizioni. Ora tacete. Vi siete mutati da bambini in adolescenti e già sapete che questa proclamazione potrebbe mortificare il compagno forse meno beneficato da Dio, e non parlate.
   Siete inoltre come fanciulle non più impuberi. É nato in voi il santo pudore sulla metamorfosi che vi ha rivelato il mistero nuziale delle anime con Dio. Queste caverne il primo giorno vi parvero fredde, ostili, repellenti… ora le guardate come profumate e luminose camere nuziali. In esse avete conosciuto Dio. Prima sapevate di Lui. Ma non lo conoscevate nell’intimità che fa di due uno. Fra voi sono uomini che da anni sono sposati, altri che non ebbero che fallaci rapporti con donne, alcuni che per cause diverse sono casti. Ma i casti sanno ora cosa è l’amore perfetto così come lo sanno gli sposati. Anzi posso dire che nessuno come l’ignaro di ogni carnale appetito sa cosa è l’amore perfetto. Perché Dio si rivela ai vergini in tutta la sua pienezza, e per sua delizia di darsi a chi è puro, ritrovando parte di Sé, Purissimo, nella creatura monda di lussuria, e per compensarla di quanto essa si nega per amore di Lui.

 7 In verità vi dico che per l’amore che ho per voi e per la sapienza che posseggo, se non avessi il dovere di compiere l’opera del Padre, Io vorrei tenervi qui e stare con voi, isolati, certo che così farei di voi, e sollecitamente, dei grandi santi, senza più smarrimenti, senza defezioni, cadute, rallentamenti, ritorni.
   Ma non posso. Io devo andare. E voi dovete andare. Il mondo ci aspetta. Il profanato e profanatore mondo che ha bisogno di maestri e redentori. Io vi ho voluto fare conoscere Dio perché lo amaste ben più del mondo, che con tutti i suoi affetti non vale un solo sorriso di Dio. Ho voluto che poteste meditare su ciò che è il mondo e su ciò che è Dio per farvi anelanti del migliore. In questo momento voi non siete anelanti che di Dio. Oh! potessi fissarvi in quest’ora, in questo anelito! Ma il mondo ci aspetta. E noi andremo al mondo che aspetta.
   Per la santa Carità che, come ha mandato Me al mondo, così manda voi, per mio ordine, al mondo. Ma ve ne scongiuro! Come perla nello scrigno chiudetevi il tesoro di questi giorni – in cui vi siete guardati, curati, alzati, rivestiti, disposati a Dio – nel vostro cuore e, come le pietre della testimonianza elevate dai Patriarchi a ricordo delle alleanze con Dio, conservate e guardate questi preziosi ricordi nel vostro cuore.

 8 Da oggi non siete più i prediletti discepoli, ma gli apostoli, i capi della mia Chiesa. Da voi verranno, nei secoli dei secoli, tutte le gerarchie della stessa e maestri sarete detti, avendo a Maestro vostro Dio nella sua triplice potenza, sapienza, carità. Non ho scelto voi perché siete i più meritevoli. Ma per un complesso di cause che non necessita voi conosciate ora. Vi ho scelti al posto dei pastori che sono i miei discepoli da quando vagivo. Perché l’ho fatto? Perché così era bene di fare. Fra di voi sono galilei e giudei, dotti e indotti, ricchi e poveri. Questo per il mondo. Acciò non dica che ho preferito una sola categoria. Ma voi non bastereste a tutto quanto c’è da fare. Né ora, né poi.
   Non tutti avrete presente un punto del Libro. Ve lo ricordo. Nel II° dei Paralipomeni, al 29° capitolo, è narrato come Ezechia, re di Giuda, fece purificare il Tempio e, dopo che fu purificato, fece sacrificare per il peccato, per il regno, per il santuario e per Giuda, e poscia ebbe inizio l’offerta dei singoli. Ma non bastando alle immolazioni i sacerdoti, furono chiamati in aiuto i leviti, consacrati con rito più breve che i sacerdoti. Questo è quello che Io farò. Voi siete i sacerdoti, preparati con lunga cura da Me, Pontefice eterno. Ma non bastate al lavoro sempre più vasto di immolazione dei singoli al Signore Iddio loro. Onde Io vi associo i discepoli che tali restano, quelli che ci attendono ai piedi del monte, quelli che già stanno più su, quelli che sparsi sono per la terra d’Israele e che saranno poi sparsi per ogni punto della terra.
   A loro verranno dati compiti uguali, perché unica è la missione, ma diversa sarà la loro classifica agli occhi del mondo. Non agli occhi di Dio presso il quale è giustizia, di modo che l’oscuro discepolo, ignorato da apostoli e confratelli, che vivrà santamente portando a Dio anime, sarà più grande del conosciuto apostolo che di apostolo non ha che il nome e che abbassa la sua dignità di apostolo a scopi umani.
   Compito di apostoli e di discepoli sarà sempre quello dei sacerdoti e leviti di Ezechia: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola. Compito più santo non c’è sulla terra. Dignità più alta della vostra neppure. Ma è per questo che vi ho detto: “Ascoltatevi, esaminatevi”.

 9 Guai all’apostolo che cade! Seco trascina molti discepoli, ed essi trascinano un ancor più grande numero di fedeli, e la rovina sempre più cresce come valanga che cade o come cerchio che si estende sul lago per un susseguirsi di pietre lanciate nello stesso punto.
   Sarete tutti perfetti? No. Lo spirito di ora durerà? No. Il mondo lancerà i suoi tentacoli per strozzare la vostra anima. Vittoria del mondo, figlio di Satana per cinque parti, servo di Satana per altre tre, apatico verso Dio nelle altre due, quella di spegnere le luci dei cuori dei santi. Difendete voi stessi da voi stessi contro di voi, contro il mondo, la carne, il demonio. Ma soprattutto difendetevi di voi stessi. Sulle difese, o figli, contro la superbia, la sensualità, la doppiezza, la tiepidezza, il sopore spirituale, contro l’avarizia!
   Quando l’io inferiore parla e piagnucola sopra pretese crudeltà a suo danno, mettetelo a tacere dicendo: “Per un attimo di privazione che ti do, ti procuro, ed eternamente, il banchetto d’estasi avuto nella caverna montana al finire della luna di scebat”. 

 10 Andiamo. Andiamo incontro agli altri che in gran numero attendono la mia venuta. E poi Io andrò per poche ore a Tiberiade e voi, predicando di Me, mi andrete ad attendere ai piedi del monte che è sulla strada diretta da Tiberiade al mare. Io verrò là e salirò a predicare. Prendete borse e mantelli. La sosta è finita e l’elezione è avvenuta».

   17 maggio 1945

11 Dice Gesù: 
   
«Stai male e ti lascio quieta. Solo ti faccio osservare come può cambiare tutto una sola frase omessa o una parola male trascritta. E tu, scrivente, sei viva e puoi riparare subito. Pensa dunque e comprendi come venti secoli abbiano potuto privare di parti, non deleterie alla dottrina ma alla facilità di comprendere il Vangelo, il Vangelo apostolico. Questo, opera che se risaliamo alle origini scopriamo ancora fatica del Disordine, spiega tante cose e si presta ai figli del Disordine per tante altre cose. E tu vedi come è facile cadere in errore di trascrizione… Piccolo Giovanni, sta’ buono oggi. Sei un fiore spezzato. Passerò poi Io a ristorare il tuo stelo. Per oggi mi occorrono le lacrime della tua ferita. Dio è con te».

   Cap. CLXVI. I miracoli dopo l’elezione apostolica. Prima predica di Simone Zelote e di Giovanni.

  18 maggio 1945

 1 Gesù, scendendo a mezza costa, trova molti discepoli e molti altri ancora che si sono uniti piano piano ai discepoli, portati qui, in questo luogo fuori via, dal bisogno del miracolo, dal desiderio della parola di Gesù, venuti sicuri per indicazioni di gente o per istinto d’anima. Io penso che gli angeli degli uomini guidassero gli stessi, desiderosi di Dio, al Figlio di Dio. Né credo di fare con ciò della leggenda. Se si pensa con quale pronta e astuta costanza Satana portava i nemici a Dio e al suo Verbo, nei momenti in cui lo spirito demonico poteva fare apparire agli uomini una parvenza di colpa nel Cristo, è lecito poter pensare, più che lecito è giusto, che anche gli angeli non fossero inferiori ai demoni e portassero gli spiriti non demonici al Cristo.
   E Gesù, a tutti questi che lo hanno atteso senza stanchezze e timori, si prodiga in soccorsi di miracoli e in soccorsi di parola. Quanti miracoli! Una fioritura pari a quella che decora le balze del monte: grandi come è quello di un fanciullo, estratto ustionato atrocemente da un paghaio in fiamme, portato qui su una barella, mucchio di carne arsa che mugola lamentosamente sotto al lino di cui lo hanno ricoperto tanto è atroce il suo aspetto arso, morente ormai, e che Gesù risana alitandogli sopra e risarcendo le bruciature che si annullano completamente, tanto che il fanciullo sorge nudo affatto, e corre felice verso la mamma che ne carezza piangendo di gioia le carni tutte guarite, senza tracce di fuoco, ne bacia gli occhi che si pensavano arsi e invece sono vivi e scintillanti di gioia, i capelli che sono appena corti, ma non distrutti, quasi la vampa avesse fatto da rasoio e non da distruzione; fino al piccolo miracolo di un vecchietto tossicoloso che dice: «Non per me, ma perché devo fare da padre ai nipotini orfani e non posso lavorare il suolo con questo umore fermo qui, in gola, e che mi affoga»… 
   E poi il miracolo non visibile, ma certo esistente, che provocano le parole di Gesù: «Fra voi è uno che piange con l’anima e non osa dire con la parola: “Abbi pietà! “. Io rispondo: “Sia come tu chiedi. Tutta la pietà. Perché tu sappia che Io sono la Misericordia”. Solo, a mia volta, ti dico: “Abbi generosità”. Sii generoso con Dio. Strappa ogni legame col passato. Dio lo senti e a Lui che senti vieni allora con libero cuore, con totale amore».
   Chi sia, fra la folla, colui o colei al quale vanno queste parole, non so.

 2 Gesù dice ancora: «Questi sono i miei apostoli. Altrettanti Cristi sono, perché Io tali li ho eletti. Rivolgetevi ad essi con fiducia. Essi sanno da Me tutto quanto vi abbisogna per le anime vostre…».
   Gli apostoli guardano Gesù perfettamente spaventati. Ma Egli sorride e prosegue: «…e daranno alle vostre anime luce di stella e ristoro di rugiada tanto da impedirvi di languire nelle tenebre. E poi Io verrò, e vi darò pienezza di sole e di onde, tutta la sapienza per farvi forti e felici di soprannaturale fortezza e gioia. La pace a voi, figli. Sono atteso da altri, più infelici e poveri di voi. Ma soli non vi lascio. Vi lascio i miei apostoli, ed è come lasciassi i figli del mio amore affidati alle cure delle più amorose e fidate delle nutrici».
   Gesù fa un gesto di addio e di benedizione e si avvia, fendendo la folla che non lo vuole lasciare partire; ed è allora che si ha l’ultimo miracolo, quello di una vecchierella semiparalizzata, condotta qui dal nipote e che agita festosa il braccio destro prima inerte e grida: «Egli mi ha sfiorata col suo manto, nel passare, e sono guarita! Neppure lo chiedevo, perché vecchia sono… Ma Egli ha avuto pietà anche del mio desiderio segreto. E col manto, un lembo di esso che mi ha sfiorato il braccio perduto, mi ha guarita! Oh! che grande Figlio ha avuto il santo Davide nostro! Gloria al suo Messia! Ma guardate! Ma guardate! Anche la gamba è spedita come il braccio… Oh! come a vent’anni sono!». 
   Il convergere di molti verso la vecchietta, che strilla con tutto il suo fiato la sua felicità, fa sì che Gesù possa svignarsela senza essere più oltre impedito. E gli apostoli dietro.

 3 Quando sono in un luogo deserto, quasi al piano, fra una folta brughiera che va verso il lago, si fermano un momento. Gesù per dire: «Vi benedico! Tornate al vostro lavoro e fatelo finché Io verrò come ho detto». 
   Pietro, fino ad allora sempre zitto, prorompe: «Ma, Signor mio, che hai fatto? Perché dire che noi abbiamo tutto quanto abbisogna alle anime? E vero! Tu ci hai detto molto. Ma noi siamo zucconi, io almeno, e… e di quello che mi hai dato me ne è rimasto poco, molto poco mi è rimasto. É come uno che, di un pasto, ha ancora nello stomaco il più greve. Il resto non ce più». 
   Gesù sorride apertamente: «E dove è allora il resto del cibo?». 
   «Ma… non so. So che, se io mangio piattini delicati, dopo ora non mi sento più niente nello stomaco. Mentre se mangio radici pesanti o lenticchie con l’olio, eh! ci vuole a mandarle giù!».
   «Ci vuole. Ma credi che radici e lenticchie, che sembra ti empiano di più, sono quelle che meno ti lasciano di sostanza: tutta scoria che passa con poco utile. Mentre i piattini che in un’ora non ti senti più, sono non nello stomaco dopo un’ora, ma nel tuo stesso sangue. Quando un cibo è digerito non è più nello stomaco, ma il suo succo è nel sangue e giova di più. Ora a te e ai tuoi compagni vi pare che di quanto vi ho detto più nulla o ben poco sia in voi. Forse vi ricordate bene le parti che più sono consone alla vostra particolare natura: i violenti le parti violente, i meditativi le parti meditative, gli amorosi le parti tutto amore. Senza forse è così. Ma credete: tutto è in voi. Anche se vi pare che sia dileguato. Lo avete assorbito. Il pensiero vi si dipanerà come un filo multicolore portandovi le tinte dolci o severe a seconda che ne avete bisogno. Non abbiate paura. Pensate pure che Io so e che mai vi manderei se vi sapessi incapaci di fare. Addio, Pietro. Su! Sorridi! Abbi fede! Un bell’atto di fede nella Sapienza onnipresente. Addio a tutti. Il Signore resta con voi». E rapido li lascia, ancora stupiti e agitati di quanto hanno udito dire di dover fare.

 4 «Eppure bisogna ubbidire» dice Tommaso. 
   «Eh!… già!… Oh! povero me! Quasi gli corro dietro…» mormora Pietro. 
   «No. Non lo fare. L’ubbidienza è amore a Lui» dice Giacomo di Alfeo. 
   «E cominciare mentre ancora Egli ci è presso, e può consigliarci se sbagliamo, è elementare e anche santa prudenza. Aiutarlo dobbiamo» consiglia lo Zelote. 
  «E vero. Gesù è piuttosto affaticato. Bisogna sollevarlo un poco, come possiamo. Non basta portare le sacche, preparare il letti e il cibo. Questo chiunque lo può fare. Ma aiutarlo, come Egli vuole, nella sua missione» conferma Bartolomeo. 
   «Tu dici bene perché sei dotto. Ma io… Quasi ignorante sono io…» geme Giacomo di Zebedeo. 
   «O Dio! Ecco che arrivano quelli che erano lassù! Come facciamo?» esclama Andrea.      E Matteo: «Scusate se io, il più miserabile, consiglio. Ma non sarebbe meglio pregare il Signore, invece di stare qui a lamentarsi su ciò che coi lamenti non si ripara? Su, Giuda, tu che sai tanto bene la Scrittura, di’ per tutti la preghiera di Salomone per ottenere la Sapienza. Presto! Prima che ci raggiungano». 
   E il Taddeo con la sua bella voce baritonale inizia: « Dio dei milei padri, Signore di misericordia che tutto hai creato…» ecc… ecc…, fino al punto: « … per la sapienza furono salvati tutti quelli che a Te, Signore, piacquero fin dal principio».
   Appena in tempo prima che la gente li raggiunga, li attorni, li assalga con mille domande sul dove è andato il Maestro, sul quando tornerà, e, più difficile ad essere accontentata, con la richiesta: «Ma come si fa a seguire il Maestro non con le gambe, ma con l’anima, per le vie della Via che Egli indica?».
   A questa domanda gli apostoli restano imbarazzati. Si guardano fra di loro e l’Iscariota risponde: «Col seguire la perfezione» quasi fosse una risposta che possa spiegare tutto!… 
   Giacomo di Alfeo, più umile e più pacato, pensa e poi dice: «La perfezione a cui accenna il mio compagno si raggiunge ubbidendo alla Legge. Perché la Legge è giustizia e la giustizia è perfezione». 

 5 Ma la gente ancora non è contenta e chiede per bocca di uno che pare un capo:«Ma noi siamo piccoli come fanciulli nel Bene. I fanciulli non sanno ancora il significato del Bene e del Male, non distinguono. E noi, in questa Via che Egli indica, siamo così informi da essere incapaci di distinguere. Avevamo una via nota. Quella antica che ci è stata insegnata nelle scuole. Così difficile, lunga, paurosa! Ora, dalle sue parole, sentiamo che è come quell’acquedotto che vediamo di qui. Sotto c’è la via delle bestie e dell’uomo, sopra, sugli archi leggeri, alta nel sole e nell’azzurro, presso ai rami più alti che frusciano e cantano per il vento e gli uccelli, vi è un’altra via, liscia, pulita, luminosa quanto quella inferiore è scabra, sporca, oscura, una via, per l’acqua che è limpida e sonante, che è benedizione, per l’acqua che viene da Dio e che è accarezzata da ciò che è di Dio: raggi di sole e di stelle, fronde novelle, fiori, ali di rondine. Noi vorremmo salire a quella via più alta, e che è la sua, e non sappiamo, perché siamo confitti qui, in basso, sotto il peso di tutta la costruzione antica. Come facciamo?». 
   Colui che ha parlato è un giovane sui venticinque anni, bruno, robusto, dallo sguardo intelligente e l’aspetto meno popolano della maggioranza dei presenti. Si appoggia ad un altro più maturo. L’Iscariota, che alto come è lo vede, sussurra ai compagni:
   «Presto, parlate bene. Vi è Erma con Stefano, Stefano, amato da Gamaliele!». 
Cosa che finisce di imbarazzare del tutto gli apostoli.

 6 Infine lo Zelote risponde: «L’arco non sarebbe se non ci fosse la base nella via oscura. Questa è la matrice di quello, che da essa si lancia e sale nell’azzurro di cui tu sei voglioso. Le pietre confitte nel suolo, e che sorreggono il peso senza godere dei raggi e dei voli, non ignorano però che essi ci sono, perché talora una rondine cala con uno strido fino al fango e carezza la base dell’arco, e scende un raggio di sole o di stella a dire quanto è bello il firmamento. Così nei secoli passati è scesa, di tempo in tempo, una parola celeste di promessa, un raggio celeste di sapienza, per carezzare le pietre oppresse dal corruccio divino. Perché le pietre erano necessarie. Non sono, non furono e non saranno mai inutili. Su esse si è elevato lentamente il tempo e la perfezione del conoscere umano fino a raggiungere la libertà del tempo presente e la sapienza del conoscere sovrumano.
   Già leggo la tua obbiezione, ti è scritta in volto. E quella che tutti abbiamo avuto, prima di saper comprendere che questa è la Nuova Dottrina, la Buona Novella predicata a coloro che per un processo a ritroso non sono divenuti adulti con l’elevarsi delle pietre del sapere, ma si sono sempre più oscurati come muro che sprofonda in un abisso cieco.
   Noi, per uscire da questa malattia di oscuramento soprannaturale, dobbiamo liberare coraggiosamente la pietra fondamentale da tutte le pietre sovrapposte. Non abbiate tema di demolire quello che è un alto muro ma che non porta la linfa pura della sorgente eterna. Tornate alla base. Quella non va mutata. E’ da Dio. Ed immobile è. Ma prima di scartare le pietre, perché non tutte sono malvagie e inutili, provatele una ad una, al suono della parola di Dio. Se le sentite non discordi, ritenetele, riusatele per ricostruire. Ma se in esse sentite il suono discorde della voce umana o quello lacerante della voce satanica – e non vi potete sbagliare perché se è voce di Dio è suono d’amore, se è voce umana è suono di senso, se voce satanica è voce d’odio – allora frantumate le pietre malvagie. Dico: frantumate, perché è carità non lasciare indietro germi od oggetti di male che possano sedurre il viandante ed indurlo ad usarle per suo danno. Frantumate letteralmente ogni cosa non buona che fu vostra in opere, scritti, insegnamenti o atti. Meglio restare con poco, elevarsi appena di un cubito ma con buone pietre, che per dei metri ma con pietre malvagie. I raggi e le rondini scendono anche sulle muricce appena elevate dal suolo, e i fioretti umili della proda con facilità giungono ad accarezzare le pietre basse. Mentre le superbe pietre che vogliono elevarsi inutili e scabre non hanno che schiaffi di rovi e abbracci di tossici. Demolite per ricostruire e per salire provando la bontà delle vostre antiche pietre alla voce di Dio».

 7 «Bene parli, uomo. Ma salire! Come? Ti abbiamo detto che meno di pargoli siamo. Chi ci fa salire sull’erta colonna? Proveremo le pietre al suono di Dio, frantumeremo le meno buone. Ma come salire? E’ vertigine solo a pensarlo!» dice Stefano.

 8 Giovanni, che ha ascoltato a capo chino sorridendo a se stesso, alza un volto luminoso e prende la parola. «Fratelli! Vertigine è pensare di salire. E’ vero. Ma chi vi dice che è necessario attaccare l’altezza direttamente? Questo non i pargoli, ma neppure gli adulti lo possono fare. Solo gli angeli possono lanciarsi negli azzurri, perché hanno libertà da ogni peso di materia. E negli uomini solo gli eroi della santità lo possono fare. Abbiamo un vivente che tuttora, in questo mondo avvilito, sa essere eroe di santità come gli antichi di cui si infiora Israele, quando i Patriarchi erano amici di Dio e la parola del Codice eterno era la sola, ma la ubbidita da ogni retta creatura. Giovanni, il Precursore, insegna come si attacca l’altezza direttamente. E’ un uomo, Giovanni. Ma la Grazia che il Fuoco di Dio gli ha comunicata, mondandolo dal ventre della madre, così come fu mondato dal serafino il labbro del Profeta, perché potesse precedere il Messia senza lasciare fetore di colpa d’origine sulla via regale del Cristo, ha dato a Giovanni ali di angelo e la penitenza le ha fatte crescere, abolendo insieme quel peso di umanità che la sua natura di nato di donna aveva conservato. Onde Giovanni, dal suo speco dove predica penitenza, e dal suo corpo dove arde lo spirito sposato alla Grazia, lancia, può lanciare se stesso al sommo dell’arco oltre il quale è Dio, l’altissimo Signore Iddio nostro, e può, dominando i secoli passati, il giorno presente, il tempo futuro, annunciare, con voce di profeta, con occhio d’aquila che può fissare il Sole eterno e riconoscerlo: “Ecco l’Agnello di Dio. Colui che leva i peccati del mondo”, e morire dopo questo suo canto sublime, che sarà usato non solo nel tempo limitato ma nel tempo senza fine, nella Gerusalemme per sempre eterna e beata, per acclamare la Seconda Persona, per invocarla sulle miserie umane, per osannarla nei fulgori eterni.

 9 Ma l’Agnello di Dio, il dolcissimo Agnello che ha lasciato la sua luminosa dimora dei Cieli nei quali è Fuoco di Dio in abbraccio di fuoco – oh! eterna generazione del Padre che concepisce col Pensiero illimitato e santissimo il suo Verbo, e se lo assorbe producendo una fusione d’amore che crea lo Spirito di Amore in cui si accentra la Potenza e la Sapienza! – ma l’Agnello di Dio che ha lasciato la sua purissima, incorporea forma, per chiudere la sua purezza infinita, la sua santità, la sua natura divina in carne mortale, sa che noi non siamo i mondati dalla Grazia, ancora non lo siamo, e sa che non potremmo, come l’aquila che è Giovanni, lanciarci nelle altezze, sul culmine dove è Dio Uno e Trino. Noi siamo i piccoli passeri del tetto e della via, siamo le rondini che toccano l’azzurro ma si cibano di insetti, siamo le calandre che vogliono cantare per imitare gli angeli ma rispetto al cui canto il nostro è fremito discorde di cicala estiva. Questo, il dolce Agnello di Dio, venuto per levare i peccati del mondo, lo sa. Perché, se non è più lo Spirito infinito dei Cieli, avendo costretto Se stesso in carne mortale, la sua infinità non è menomata per questo, e tutto sa essendo sempre infinita la sua sapienza.
   Ed ecco allora che ci insegna la sua via. La via dell’amore. Egli è l’Amore che per misericordia di noi si fa carne. Ecco allora che questo Amore misericordioso ci crea la via che anche i piccoli possono salire. Ed Egli, non per bisogno proprio, ma per insegnarcela, la percorre per primo. Egli neppure avrebbe bisogno di aprire le ali per rifondersi col Padre. Il suo spirito, io ve lo giuro, è chiuso qui, sulla misera terra, ma è sempre col Padre, perché tutto può Dio, e Dio Egli è. Ma va avanti, lasciando dietro di Sé gli aromi della sua santità, l’oro e il fuoco del suo amore. Osservate la sua via. Oh! ben giunge all’arco sommo! Ma come è placida e sicura! Non è una retta: è una spirale. Più lunga, e il suo sacrificio di amore misericordioso si svela in questa lunghezza su cui Egli trattiene Se stesso per amore di noi deboli. Più lunga, ma più adatta alla nostra miseria. La salita all’Amore, a Dio, è semplice come è semplice l’Amore. Ma è profonda perché Dio è un abisso che direi irraggiungibile se Egli non si abbassasse per farsi raggiungere, per sentirsi baciare dalle anime di Lui innamorate (Giovanni parla e piange sorridendo con la bocca, nell’estasi del suo svelare Dio). E’ lunga la semplice via dell’Amore, perché l’Abisso che è Dio non ha fondo, e tanto uno potrebbe salire quanto volesse. Ma l’Abisso mirabile chiama il nostro abisso miserabile. Chiama con le sue luci e dice: “Venite a Me!”. Oh! Invito di Dio! Invito di Padre!

 10 Udite! Udite! Dai Cieli lasciati aperti, perché il Cristo ne ha spalancato le porte – mettendo a tenerle tali gli angeli della Misericordia e del Perdono, perché in attesa della Grazia sugli uomini ne fluissero almeno luci, profumi, canti e sereni, atti a sedurre santamente i cuori umani – vengono incontro a noi parole soavissime. E’ la voce di Dio che parla. E la voce dice: “La vostra puerizia? Ma è la vostra moneta migliore! Vorrei che tutt’affatto piccoli diveniste per avere in voi l’umiltà, la sincerità e l’amore dei pargoli, il confidente amore dei pargoli verso il padre. La vostra incapacità? Ma è la mia gloria! Oh! venite. Neppure vi chiedo che voi da voi stessi proviate il suono delle pietre buone e cattive. Ma datele a Me! Io le sceglierò e voi vi ricostruirete. La scalata alla perfezione? Oh! no, piccoli figli miei. Qui la mano nella mano del Figlio mio, fratello vostro, ora e così, al suo fianco ascendete… Ascendere! Venire a Te, eterno Amore! Prendere la tua somiglianza, ossia l’Amore!
   Amare! Ecco il segreto!… Amare! Darsi.,. Amare! Abolirsi… Amare! Fondersi… La carne? Un nulla. Il dolore? Un nulla. Il tempo? Un nulla. Il peccato stesso diviene nulla se io lo sciolgo nel tuo fuoco, o Dio! L’Amore solo è. L’Amore! L’Amore, che ci ha dato l’incarnato Iddio, ci darà ogni perdono. E amare è atto che nessuno sa meglio dei pargoli fare. E nessuno è amato più di un pargolo.

 11 O tu che non conosco, ma che vuoi conoscere il Bene per distinguerlo dal Male, per avere l’azzurro, il sole celeste, tutto quanto è letizia soprannaturale, ama e l’avrai. Ama Cristo. Morirai nella vita, ma risusciterai nello spirito. Con uno spirito nuovo, senza più avere bisogno di usare le pietre, sarai per l’eternità un fuoco che non muore. La fiamma sale. Non abbisogna di scalini né di ali per salire. Libera il tuo io da ogni costruzione, poni in te l’Amore. Fiammeggerai. Lascia che ciò avvenga senza restrizioni. Aizza anzi la fiamma gettandovi ad alimentarla tutto il tuo passato di passioni, di sapere. Si distruggerà nella fiamma il men buono, e ciò che già è metallo nobile si farà puro. Gettati, o fratello, nell’amore attivo e gaudente della Trinità. Comprenderai ciò che ora ti pare incomprensibile, perché comprenderai Dio, il Comprensibile solo da quelli che si dànno senza misura al suo fuoco sacrificatore. Ti fisserai in ultimo in Dio in un abbraccio di fiamma, pregando per me, il pargolo di Cristo, che ha osato parlarti dell’Amore». 
   Sono tutti di stucco: apostoli, discepoli, fedeli… L’interpellato è pallido, mentre Giovanni è di porpora non tanto per la fatica quanto per l’amore.
   Infine Stefano ha un grido: «Te benedetto! Ma dimmi, chi sei?» E Giovanni – ed ha un atto che mi ricorda molto la Vergine nell’atto dell’Annunciazione – dice piano, curvandosi come adorando Colui che nomina: «Sono Giovanni. Tu vedi in me il minimo fra i servi del Signore.»
   «Ma chi il tuo maestro prima d’ora?». 
   «Alcuno che Dio non sia, poiché ho avuto il latte spirituale da Giovanni il presantificato di Dio, mangio il pane di Cristo Verbo di Dio, e bevo il fuoco di Dio che mi viene dai Cieli. Sia gloria al Signore!». 
   «Ah! ma io non vi lascio più! Né te né costui, nessuno lascio. Prendetemi!». 
   «Quando… Oh! ma qui è Pietro, il capo fra noi » e Giovanni prende lo sbalordito Pietro e lo proclama così «il primo». 
   E Pietro ritrova se stesso: «Figlio, a grande missione occorre severa riflessione. Questo è l’angelo di noi e accende. Ma occorre sapere se la fiamma in noi potrà durare. Misura te stesso. E poi vieni al Signore. Noi ti apriremo il cuore come a fratello carissimo. Per intanto, se vuoi conoscere meglio la nostra vita, resta. Le greggi del Cristo possono crescere a dismisura per essere scelti, fra i perfetti e gli imperfetti, i veri agnelli dai falsi montoni.»
   E con questo ha fine la prima manifestazione apostolica.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Lc 6, 6-11: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?».

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 6-11
Dal Vangelo secondo Luca

Un sabato Gesù entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. C’era là un uomo che aveva la mano destra paralizzata. Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato, per trovare di che accusarlo.
Ma Gesù conosceva i loro pensieri e disse all’uomo che aveva la mano paralizzata: «Àlzati e mettiti qui in mezzo!». Si alzò e si mise in mezzo.
Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: in giorno di sabato, è lecito fare del bene o fare del male, salvare una vita o sopprimerla?». E guardandoli tutti intorno, disse all’uomo: «Tendi la tua mano!». Egli lo fece e la sua mano fu guarita.
Ma essi, fuori di sé dalla collera, si misero a discutere tra loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Egli lo fece e la sua mano fu guarita».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo 

   Cap. CCLXIII. Guarigione dell’uomo dal braccio atrofizzato.

 1 Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao, che si affolla lentamente di fedeli perché è sabato. Lo stupore di vederlo è molto grande. Tutti se lo accennano bisbigliando, e qualcuno tira la veste a questo o a quell’apostolo per chiedere quando sono tornati in città, perché nessuno sapeva che erano giunti.
  «Siamo sbarcati adesso al “pozzo del fico” venendo da Betsaida per non fare un passo fuori del prescritto, amico», risponde Pietro ad Uria il fariseo, e questo, offeso di sentirsi chiamare amico da un pescatore, se ne va sdegnoso a raggiungere i suoi, in prima fila.
  «Non li stuzzicare, Simone!», avverte Andrea.
  «Stuzzicarli? Mi ha interrogato e ho risposto dicendo anche che abbiamo evitato di camminare per rispetto al sabato».
  «Diranno che abbiamo faticato con la barca…».
  «Finiranno col dire che abbiamo faticato respirando! Stolto! È la barca che fatica, è il vento e l’onda, non noi andando in barca».
  Andrea si prende il rabbuffo e tace.

 2 Dopo le preghiere preliminari viene il momento della lettura di un brano e spiegazione dello stesso. Il sinagogo chiede a Gesù di farlo, ma Gesù accenna ai farisei dicendo: «Lo facciano loro». Ma, posto che loro non lo vogliono fare, deve parlare Lui.
  Gesù legge il brano[59] del primo libro dei Re dove è narrato come Davide, tradito dagli Zifei, fu segnalato a Saul che era a Gabaa. Restituisce il rotolo e inizia a parlare.
  «Violare il precetto della carità, dell’ospitalità, dell’onestà, è sempre male. Ma l’uomo non si perita di farlo con la massima indifferenza. Qui abbiamo un duplice episodio di questa violazione e la conseguente punizione di Dio. La condotta degli Zifei era subdola. Quella di Saul non lo era da meno. I primi, vili nell’intento di ingrazionirsi il più forte e averne utile. Il secondo, vile nell’intento di levare di mezzo l’unto del Signore.
  L’egoismo perciò li accumunava. E all’indegna proposta il falso e peccatore re d’Israele osa dare una risposta in cui è nominato il Signore: “Siate benedetti dal Signore”.
  Irrisione della giustizia di Dio! Abituale irrisione! Sulle malvagità dell’uomo troppe volte si invoca a premio o a mallevadoria il Nome del Signore e la sua benedizione. È detto: “Non nominerai il Nome di Dio invano”. E vi può essere cosa più vana, peggio, più malvagia di quella di nominarlo per compiere un delitto contro il prossimo? Eppure è peccato comune più di ogni altro, fatto con indifferenza anche da quelli che sono sempre i primi nelle adunanze del Signore, nelle cerimonie e nell’insegnamento. Ricordatevi che è peccaminoso indagare, notare, preparare ogni cosa per nuocere al prossimo. E pure peccaminoso è fare indagare, notare e preparare ogni cosa, per nuocere al prossimo, da altri. È indurre gli altri al peccato tentandoli con mercede o minacciandoli di rappresaglie.
  Io vi avverto che è peccato. Io vi avverto che è egoismo e odio una simile condotta. E voi sapete che odio ed egoismo sono i nemici dell’amore. Ve ne avverto perché mi preoccupo delle vostre anime. Perché vi amo. Perché non vi voglio in peccato. Perché non vi voglio puniti da Dio come avvenne a Saul che, mentre inseguiva Davide per prenderlo e ucciderlo, ebbe il paese distrutto dai filistei. In verità che ciò avverrà sempre a chi nuoce al prossimo.  La sua vittoria durerà quanto l’erba sul prato. Presto sorgerà, ma presto seccherà e sarà tritata dal piede indifferente del passante. Mentre la buona condotta, la vita onesta, pare stenti a nascere ed affermarsi. Ma formata che sia come abito di vita, diviene albero potente e fronzuto che neppure il turbine divelle e la canicola non brucia. In verità chi è fedele alla Legge, ma realmente fedele, diviene un albero potente che non è piegato dalle passioni né arso dal fuoco di Satana.
 Ho detto. 

 3 Se alcuno vuol dire di più, lo dica».
  «Noi ti chiediamo se hai parlato per noi, farisei».
  «Di farisei è forse piena la sinagoga? Voi siete quattro, la folla è di cento e cento persone. La parola è per tutti».
  «L’allusione però era chiara».
  «In verità non si è mai visto che uno, solo indiziato da un parallelo, si accusi da sé! E voi lo fate. Ma perché vi accusate se Io non vi accuso? Sapete forse di agire come ho detto? Io non lo so. Ma se così è, ravvedetevene. Perché l’uomo è debole e può peccare. Ma Dio lo perdona se sorge in lui il pentimento sincero e la voglia di non peccare più. Ma certo che persistere nel male è doppio peccato e su esso non scende il perdono».
  «Noi non abbiamo questo peccato».
  «E allora non vi affliggete per le mie parole».
  L’incidente è chiuso. E la sinagoga si empie del canto degli inni. Poi sembra prossima a sciogliersi l’adunanza senz’altri incidenti.

 4 Ma il fariseo Gioachino scopre un uomo fra la folla e gli intima coi cenni e lo sguardo di venire in prima fila. È un uomo sulla cinquantina ed ha un braccio atrofizzato, reso, anche nella mano, molto più piccolo dell’altro perché l’atrofia ha distrutto i muscoli.
  Gesù lo vede. E vede tutto l’armeggio fatto per farglielo vedere. Ha una mossa di disgusto e di compatimento sul viso, un lampo di espressione, ma molto chiara. Pure non devia il colpo. Anzi affronta la situazione con fermezza.
  «Vieni qui, nel mezzo», ordina all’uomo. E quando lo ha davanti si volge ai farisei dicendo: «Perché mi tentate? Non ho cessato ora di parlare contro l’insidia e l’odio? E voi non avete or ora detto: “Non abbiamo questo peccato”? Non rispondete? Rispondete almeno a questo: È lecito fare del bene o del male in sabato? È lecito salvare o togliere la vita? Non rispondete? Risponderò Io per voi e al cospetto di tutto il popolo, che giudicherà meglio di voi perché è semplice e senza odio e superbia. Non è lecito fare nessun lavoro in sabato. Ma come è lecito pregare così è lecito fare del bene, perché il bene è orazione più grande ancora degli inni e dei salmi che abbiamo cantato. Mentre né in sabato né in altro giorno è lecito fare del male. E voi lo avete fatto armeggiando per avere qui quest’uomo, che non è neppure di Cafarnao e che avete fatto venire da due giorni sapendo che Io ero a Betsaida e intuendo che sarei venuto alla mia città. E lo avete fatto per vedere di trarmi in accusa. E così commettete anche il peccato di uccidere la vostra anima in luogo di salvarla. Ma per quanto sta a Me vi perdono e non deluderò la fede di questo, al quale voi avete detto di venire dicendo che lo avrei guarito, mentre lo volevate per farmi un tranello. Egli è incolpevole perché vi è venuto senz’altra intenzione che di guarire. E ciò sia. Uomo, stendi la tua mano e va’ in pace».
  L’uomo ubbidisce e la sua mano è sana, uguale all’altra. La usa subito per prendere un lembo del mantello di Gesù per baciarlo dicendogli: «Tu lo sai che io non sapevo la vera intenzione di costoro. L’avessi saputa, non sarei venuto, preferendo tenermi la mano secca al servire contro di Te. Perciò non mi volere del male».
  «Va’ in pace, uomo. Io so la verità e verso di te non ho che benevolenza».
  La folla esce commentando e per ultimo esce Gesù con gli undici apostoli.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Mc 7, 31-37:”Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

Vangelo Novus Ordo Mc 7, 31-37
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: “Effatà”, cioè: “Apriti!”. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
“Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!”

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXLI. La mano ferita di Gesù. Guarigione di un sordomuto ai confini siro-fenici.

   25 Novembre 1945

 1 Non so dove abbiano pernottato i pellegrini. So che è di nuovo mattina, che sono per via, sempre per luoghi montuosi, e che Gesù ha la mano fasciata e Giacomo di Alfeo ha fasciata la fronte, mentre Andrea zoppica forte e Giacomo di Zebedeo è senza la sacca, che ha preso suo fratello Giovanni.
   Per due volte Gesù ha chiesto: «Ce la fai a camminare, Andrea?».
   «Si, Maestro. Cammino male per la fasciatura. Ma il dolore non è forte». E la seconda volta aggiunge: «E la tua mano, Maestro?».
   «Una mano non è una gamba. Sta a riposo e duole poco».
   «Uhm! Poco non credo, così gonfia e aperta fino all’osso come è… L’olio fa bene. Ma forse era meglio se di quell’unguento di tua Madre ce ne facevamo dare un poco da…».
   «Da mia Madre. Hai ragione», dice svelto Gesù sentendo ciò che sta per uscire dalle labbra di Pietro, che arrossisce confuso, guardando con uno sguardo così desolato il suo Gesù che Egli ne sorride e appoggia proprio la mano ferita sulla spalla di Pietro per attirarlo a Sé.
   «Ti farà male a stare così».
   «No, Simone. Tu mi vuoi bene e il tuo amore è un grande olio salutare».
   «Oh! Allora, se è per questo, dovresti essere già guarito! Abbiamo sofferto tutti di vederti trattato così, e c’è chi ha pianto». E Pietro guarda Giovanni e Andrea…
   «Olio e acqua sono buona medicina, ma il pianto d’amore e di pietà è più potente di tutto. E, vedete? Io sono molto più lieto oggi di ieri. Perché oggi so quanto siete ubbidienti e amorosi di Me. Tutti», e Gesù li guarda col suo sguardo soave, nella cui ormai abituale mestizia è una luce tenue di gioia, questa mattina.

 2 «Ma che iene! Mai visto un odio tale! », dice Giuda d’Alfeo. «Dovevano essere tutti giudei».
   «No, fratello. Non c’entra la regione. L’odio è uguale dappertutto. Ricordati che a Nazaret, da mesi, fui cacciato e mi si voleva prendere a colpi di pietra. Non te lo ricordi?», dice calmo Gesù, e ciò serve a consolare quelli che sono giudei delle parole del Taddeo.
   Tanto consolare che l’Iscariota dice: «Ma questo lo dirò. Oh! se lo dirò! Non facevamo nulla di male. Non abbiamo reagito e Lui ha parlato tutto amore all’inizio. E a sassate, come serpi, ci hanno preso. Lo dirò».
   «E a chi mai, se sono tutti contro di noi?».
   «Lo so io a chi. Intanto, non appena vedo Stefano o Erma, glielo dico. Lo saprà subito Gamaliele. Ma a Pasqua lo dirò a chi so io. Dirò: “Non è giusto fare così. Siete illegali nel vostro furore. Voi siete colpevoli, non Lui”».
   «Faresti meglio a non andarci molto vicino a quei signori!… Mi sembra che anche tu sia in colpa agli occhi loro», consiglia saggiamente Filippo.
   «È vero. Meglio è che non li avvicini mai più. Sì. È meglio. Ma a Stefano lo dirò. Lui è buono e non avvelena…».
   «Lascia andare, Giuda. Non muteresti nulla in meglio. Io ho perdonato. Non ci pensiamo più», dice calmo e persuasivo Gesù.

 3 Due volte, incontrando ruscelli, tanto Andrea come i due Giacomi si bagnano le fasce che hanno sulle contusioni. Gesù no. Prosegue tranquillo come non sentisse dolore.
   Pure il dolore deve essere sensibile se, quando si fermano per mangiare, deve chiedere ad Andrea di spezzargli il pane; se, quando gli si slaccia un sandalo, deve pregare Matteo di legarglielo di nuovo…; se, soprattutto, nello scendere per una scorciatoia precipitosa e urtando in un tronco perché gli scivola il piede, non può reprimere un lamento, e se gli si arrossa di nuovo la benda di sangue, tanto che alla prima casa di un paese, dove giungono verso il tramonto, si fermano chiedendo acqua e olio per medicargli la mano che appare, levate le bende, molto gonfia, bluastra nel dorso con la ferita rosseggiante al centro.
   Mentre aspettano che la donna della casa accorra con quanto desiderato, si curvano tutti ad osservare la mano ferita e fanno i loro commenti. Ma Giovanni si ritira un poco più in là a nascondere il suo pianto.
   Gesù lo chiama: «Vieni qui. Non è un gran male. Non piangere».
   «Lo so. Lo avessi io non piangerei. Ma l’hai Tu. E non lo dici tutto il male che ti fa questa cara mano, che non ha mai nociuto a nessuno», risponde Giovanni, al quale Gesù ha abbandonato la mano ferita, che Giovanni carezza dolcemente sulla punta delle dita, sul polso, tutto intorno alla lividura, e che volta dolcemente per baciarla sul palmo e appoggiare la sua guancia nel cavo della mano dicendo: «Scotta… Oh! quanto ti deve dolere!», e lacrime di pietà cadono su di essa.
   La donna porta l’acqua e l’olio, e con un lino Giovanni vuole detergere il sangue che imbratta la mano, e con delicatezza fa scorrere l’acqua tiepida sul posto ferito e poi la unge, la fascia con strisce pulite e sulla legatura pone un bacio. Gesù gli mette l’altra mano sulla testa china.

 4 La donna chiede: «E’ tuo fratello?».
   «No. È il mio Maestro. Il nostro Maestro».
   «Da dove venite?», chiede ancora agli altri.
   «Dal mare di Galilea».
   «Lontano! Perché?».
   «Per predicare la Salute».
   «E’ quasi sera. Fermatevi in casa mia. Casa da poveri. Ma di onesti. Posso darvi del latte non appena tornano i miei figli con le pecore. Il mio uomo vi accoglierà volentieri».
   «Grazie donna, se il Maestro vorrà, resteremo qui».
   La donna va alle sue faccende mentre gli apostoli chiedono a Gesù cosa devono fare.
   «Si. È bene. Domani andremo a Cedes e poi verso Paneade. Ho pensato, Bartolomeo. Conviene fare come tu dici. Mi hai dato un buon consiglio. Spero trovare gli altri discepoli e mandarli avanti a Me a Cafarnao. So che a Cedes devono ormai esservene stati alcuni, fra i quali i tre pastori Libanesi».
   Torna la donna e chiede: «Ebbene?».
   «Si buona donna. Restiamo qui per la notte».
   «E per la cena. Oh! graditela. Non mi pesa. E poi ci è stata insegnata la misericordia da alcuni che sono i discepoli di quel Gesù di Galilea, detto il Messia, che fa tanti miracoli e predica il Regno di Dio. Ma qui non c’è mai venuto. Forse perché siamo ai confini siro-fenici. Ma sono venuti i suoi discepoli. Ed è già molto. Per la Pasqua noi del paese vogliamo andare tutti in Giudea per vedere se lo vediamo questo Gesù. Perché abbiamo dei malati e i discepoli ne hanno guariti alcuni, ma altri no. E fra questi c’è un giovane figlio di un fratello della moglie di mio cognato».
   «Che ha?», chiede Gesù sorridendo.
   «È… Non parla e non sente. Nato così. Forse un demonio è entrato nel seno della madre per farla disperare e soffrire. Ma è buono, come indemoniato non fosse. I discepoli hanno detto che per lui ci vuole Gesù di Nazaret, perché deve essere con qualche cosa di mancante, e solo questo Gesù…

 5 Oh! ecco i miei figli e il mio sposo! Melchia, ho accolto questi pellegrini in nome del Signore e stavo raccontando di Levi… Sara, và presto a mungere il latte e tu, Samuele, scendi a prendere olio e vino nella grotta, e porta mele dal solaio. Spicciati, Sara, prepareremo i letti nelle stanze alte».
   «Non ti affaticare, donna. Staremo bene da per tutto. Potrei vedere l’uomo di cui parlavi?».
   «Si… Ma… Oh! Signore! Ma sei forse Tu il Nazareno?».
   «Sono Io».
   La donna crolla in ginocchio strillando: «Melchia, Sara, Samuele! Venite ad adorare il Messia! Che giorno! Che giorno! E io l’ho in casa mia! E gli parlavo così! E gli ho portato l’acqua per lavare la ferita… Oh!…»; è strozzata dall’emozione. Ma poi corre al catino e lo vede vuoto: «Perché avete gettato quell’acqua? Era santa! Oh Melchia! Il Messia tra noi».
   «Si. Ma stà buona, donna, e non lo dire a nessuno. Và piuttosto a prendere il sordomuto e portamelo qui…», dice Gesù sorridendo…

 6 … E presto Melchia torna col giovane sordomuto e con i parenti di lui e mezzo paese almeno… La madre dell’infelice adora Gesù e lo supplica.
   «Si, sarà come tu vuoi », e preso per mano il sordomuto lo attira un po’ fuori dalla folla che si accalca, e che gli apostoli, per pietà della mano ferita, si danno da fare a respingere. Gesù si accosta bene il sordomuto, gli pone gli indici nelle orecchie e la lingua sulle labbra socchiuse, poi, alzando gli occhi al cielo che imbruna, alita sul volto del sordomuto e grida forte: «Apritevi», e lo lascia andare.
   Il giovane lo guarda un momento mentre la folla bisbiglia. È sorprendente la mutazione del volto prima apatico e mesto del sordomuto e poi sorpreso e sorridente. Si porta le mani alle orecchie, le preme e le stacca. Si persuade che sente per davvero e apre la bocca dicendo: «Mamma! Io sento! Oh! Signore, io ti adoro!».
   La folla è presa dal solito entusiasmo e tanto più lo è perché si chiede: «E come può già sapere parlare se mai udì parola da quando è nato? Un miracolo nel miracolo! Gli ha slegato la favella e aperto le orecchie e insieme lo ha istruito a parlare. Viva Gesù di Nazaret! Osanna al Santo, al Messia!».
   E si premono contro di Lui che alza la sua mano ferita a benedire, mentre alcuni, istruiti dalla donna della casa, si bagnano il viso o le membra con le superstiti gocce rimaste nel catino.
   Gesù li vede e grida: «Per la vostra fede siate tutti guariti. Andate alle vostre case. Siate buoni, onesti. Credete nella parola del Vangelo. E tenete ciò che sapete per voi finchè sia l’ora di bandirlo sulle piazze e per le vie della Terra. La mia pace sia con voi».
   Ed entra nella vasta cucina, dove splende il fuoco e tremolano le luci di due lucerne.   

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te! 

Vangelo Lc 6, 1-5: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 1-5
Dal Vangelo secondo Luca

Un sabato Gesù passava fra campi di grano e i suoi discepoli coglievano e mangiavano le spighe, sfregandole con le mani.
Alcuni farisei dissero: «Perché fate in giorno di sabato quello che non è lecito?».
Gesù rispose loro: «Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell’offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non sia lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?».
E diceva loro: «Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Il Figlio dell’uomo è signore del sabato».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCXVII. Le spighe colte nel giorno di sabato.

  13 luglio 1945.

 1 Ancora lo stesso luogo, ma il sole è meno implacabile perché si avvia al tramonto.
   «Occorre andare per raggiungere quella casa» dice Gesù.
   E vanno. La raggiungono. Chiedono pane e ristoro. Ma il fattore li respinge duramente.
   «Razza di filistei! Vipere! Sempre quelli! Sono nati da quel ceppo e dànno i frutti di veleno» brontolano i discepoli affamati e stanchi.
   «Vi sia reso ciò che date».
   «Ma perché mancate di carità? Non è più il tempo del tagione. Venite avanti. Ancora non è notte, e morenti di fame non siete. Un poco di sacrificio perché queste anime giungano ad avere fame di Me» esorta Gesù.
   Ma i discepoli, e credo più per dispetto che per insopportabile fame, entrano nel bel mezzo di un campo e si dànno a cogliere spighe, le sgranano sulle palme e si mettono a mangiarle.
   «Sono buone, Maestro» urla Pietro.
   «Non ne prendi? E poi hanno un doppio sapore… Ne vorrei mangiare tutto il campo».
   «Hai ragione! Così si pentirebbero di non averci dato un pane» dicono gli altri, e vanno camminando fra le spighe e mangiando di gusto.
   Gesù cammina solo sulla strada polverosa. A un cinque o sei metri indietro sono lo Zelote con Bartolomeo, ma parlano fra di loro.

 2 Un altro quadrivio, per una via secondaria che traversa la via maestra, e fermi a quel punto un gruppo di arcigni farisei, certo di ritorno dalle funzioni del sabato, alle quali hanno assistito nel paesotto che si vede in fondo a questa via secondaria, largo, piatto, come fosse un bestione acquattato nella sua tana.
   Gesù li vede, li guarda mite e sorridente, e saluta: «La pace sia con voi».
   In luogo della risposta al saluto, uno dei farisei chiede arrogantemente: «Chi sei?».
   «Gesù di Nazaret».
   «Vedete che è Lui?» dice uno agli altri.
   Intanto Natanaele e Simone si accostano al Maestro mentre gli altri, camminando fra i solchi, vengono verso la via. Masticano ancora e hanno nel cavo delle mani chicchi di grano.
   Il fariseo che ha parlato per primo, forse il più potente, torna a parlare con Gesù che si è fermato in attesa di sentire il resto: «Ah! Tu dunque sei il famoso Gesù di Nazaret? Come mai fin qui?».
   «Perché anche qui vi sono anime da salvare».
   «Bastiamo noi a questo. Noi sappiamo salvare le nostre e sappiamo salvare quelle dei nostri dipendenti».
   «Se così è, bene fate. Ma Io sono stato mandato per evangelizzare e salvare».
   «Mandato! Mandato! E chi ce lo prova? Non le tue opere certo!».
   «Perché dici così? Non ti preme la tua vita?».
   «Ah! già! Tu sei quello che amministri la morte a quelli che non ti adorano. Vuoi allora uccidere tutta la classe sacerdotale, farisaica, quella degli scribi e molte altre, perché esse non ti adorano e non ti adoreranno mai. Mai, capisci? Mai, noi, gli eletti di Israele, ti adoreremo. E neppure ti ameremo».
   «Non vi forzo ad amarmi e vi dico: “Adorate Dio” perché…»
   «Ossia Te, perché Tu sei Dio, vero? Ma noi non siamo i pidocchiosi popolani galilei, né gli stolti di Giuda che vengono dietro a Te dimenticando i nostri rabbi…»
   «Non ti inquietare, uomo. Io non chiedo nulla. Compio la mia missione, insegno ad amare Dio e torno a ripetere il Decalogo perché è troppo dimenticato e, ancor di più, è male applicato. Io voglio dare la Vita. Quella eterna. Io non auguro morte corporale, né, meno ancora, morte spirituale. La vita che ti domandavo se non ti premeva di perdere, era quella dell’anima tua, perché Io la tua anima l’amo, anche se essa non mi ama. E mi addoloro vedendo che tu la uccidi coll’offendere il Signore spregiando il suo Messia».
   Il fariseo sembra preso da una convulsione tanto si agita; si scompone le vesti, si spennacchia le frange, si leva il copricapo e si arruffa i capelli, e grida: «Udite! Udite! A me, a Gionata di Uziel, discendente diretto di Simone il Giusto, a me, questo si dice. Io offendere il Signore! Non so chi mi tenga da maledirti, ma…».
   «La paura ti tiene. Ma fàllo pure. Non ne sarai incenerito lo stesso. A suo tempo lo sarai e mi invocherai allora. Ma fra Me e te vi sarà, allora, un ruscello rosso: il mio Sangue».
   «Va bene.

3 Ma intanto, Tu, che ti dici santo, perché permetti certe cose? Tu, che ti dici Maestro, perché non istruisci i tuoi apostoli prima degli altri? Guardali lì, dietro a Te!… Eccoli con ancora lo strumento del peccato fra le mani! Li vedi? Hanno colto delle spighe, ed è sabato. Hanno colto delle spighe non loro. Hanno violato il sabato e hanno rubato».
«Avevamo fame. Abbiamo chiesto al paese, dove siamo giunti ieri sera, alloggio e cibo. Ci hanno cacciati. Solo una vecchierella ci ha dato del suo pane e un pugno d’ulive. Dio glielo renda centuplicato perché ha dato tutto ciò che aveva, chiedendo soltanto una benedizione. Abbiamo camminato per un miglio e poi abbiamo sostato, come di legge, bevendo l’acqua di un rio. Poi, venuto il tramonto, siamo andati a quella casa… Ci hanno respinto. Tu vedi che in noi c’era volontà di ubbidire alla Legge» risponde Pietro.
«Ma non lo avete fatto. Non è lecito in sabato fare opera manuale e non è mai lecito prendere ciò che è di altri. Io e i miei amici ne siamo scandalizzati».
«Io, invece, no. Non avete mai letto come Davide a Nobe prese i pani sacri della Proposizione per cibarsi lui ed i suoi compagni? I pani sacri erano di Dio, nella sua casa, riserbati per ordine eterno ai sacerdoti. È detto: “Apparterranno ad Aronne e ai suoi figli che li mangeranno in luogo santo perché sono cosa santissima”. Eppure Davide li prese per sé e per i suoi compagni, perché ebbe fame. Or dunque, se il santo re entrò nella casa di Dio e mangiò i pani della Proposizione in sabato, lui a cui non era lecito cibarsene, eppure non gli fu ascritto a peccato, perché Dio continuò anche dopo questo ad averlo caro, come puoi tu dire che noi siamo peccatori se cogliamo sul suolo di Dio le spighe cresciute e maturate per suo volere, le spighe che sono anche degli uccelli, e che tu neghi che se ne cibino gli uomini, figli del Padre?» chiede Gesù.
«Li avevano chiesti quei pani, non li avevano presi senza chiedere. E ciò cambia aspetto. E poi non è vero che Dio non ascrisse questo a peccato a Davide. Lo colpì ben duramente Dio!».
«Ma non per questo. Per la lussuria, per il censimento, non per…» ribatte il Taddeo.
«Oh! basta! Non è lecito, e non è lecito. Non avete diritto di farlo, e non lo farete.

 4 Andatevene. Non vi vogliamo nelle nostre terre. Non abbiamo bisogno di voi. Non sappiamo che fare di voi».
   «Ce ne andremo» dice Gesù, impedendo ai suoi di ribattere oltre.
   «E per sempre, ricordalo. Che mai più Gionata di Uziel ti trovi al suo cospetto. Via!».
   «Sì. Via. Eppure ci troveremo ancora. E allora sarà Gionata quello che mi vorrà vedere per ripetere la condanna e per liberare per sempre il mondo di Me. Ma allora sarà il Cielo che ti dirà: “Non ti è lecito di farlo”, e quel “non ti è lecito” ti suonerà nel cuore come urlo di buccina per tutta la vita, e oltre la vita. Come nei giorni di sabato i sacerdoti nel Tempio violano il riposo sabatico e non fanno peccato, così noi, servi del Signore, possiamo, posto che l’uomo ci nega l’amore, attingere amore e soccorso dal Padre santissimo, senza per questo commettere colpe. Qui c’è Uno che è ben più grande del Tempio e può prendere ciò che vuole di quanto è nel creato, perché Dio ha messo tutto a far da sgabello alla Parola. Ed Io prendo e dono. Così le spighe del Padre, posate sulla immensa tavola che è la terra, come la Parola. Prendo e dono. Ai buoni come ai malvagi. Perché Misericordia sono. Ma voi non sapete cosa è la Misericordia. Se sapeste cosa vuol dire il mio essere Misericordia, capireste anche che Io non voglio che quella. Se voi sapeste cosa è la Misericordia non avreste condannato degli innocenti. Ma voi non lo sapete. Voi non sapete neppure che Io non vi condanno, voi non sapete che Io vi perdonerò, che chiederò, anzi, perdono al Padre per voi. Perché Io voglio misericordia e non castigo. Ma voi non sapete. Non volete sapere. E questo è un peccato più grande di quello che mi ascrivete, di quello che dite abbiano fatto questi innocenti. Del resto sappiate che il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato, e che il Figlio dell’uomo è padrone anche del sabato. Addio…».
   Si volge ai discepoli: «Venite. Andiamo a cercare un letto fra le sabbie che sono ormai vicine. Avremo sempre a compagne le stelle e ci daranno ristoro le rugiade. Dio provvederà, Lui che mandò la manna ad Israele, a nutrire noi pure, poveri e fedeli a Lui».
   E Gesù lascia in asso il gruppo astioso e se ne va coi suoi, mentre la sera scende con le prime ombre violette…
   Trovano finalmente una siepe di fichi d’India sulla cui cima, irta di palette pungenti, sono dei fichi che iniziano a maturare. Ma tutto è buono per chi ha fame. E, pungendosi, colgono i più maturi e vanno, finché i campi cessano in dune sabbiose. Viene da lontano un rumore di mare.
   «Sostiamo qui. La sabbia è soffice e calda. Domani entreremo in Ascalona» dice Gesù, e tutti cadono stanchi ai piedi di un’alta duna.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te!