Vangelo Gv 8, 21-30: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato».

Vangelo Novus Ordo Gv 8, 21-30
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai farisei: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». Dicevano allora i Giudei: «Vuole forse uccidersi, dal momento che dice: “Dove vado io, voi non potete venire”?».
E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che Io Sono, morirete nei vostri peccati».
Gli dissero allora: «Tu, chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che io vi dico. Molte cose ho da dire di voi, e da giudicare; ma colui che mi ha mandato è veritiero, e le cose che ho udito da lui, le dico al mondo». Non capirono che egli parlava loro del Padre.
Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora conoscerete che Io Sono e che non faccio nulla da me stesso, ma parlo come il Padre mi ha insegnato. Colui che mi ha mandato è con me: non mi ha lasciato solo, perché faccio sempre le cose che gli sono gradite». A queste sue parole, molti credettero in lui.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
” Non capirono che egli parlava loro del Padre ” .

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. DVII. La grande disputa con i Giudei e fuga dal Tempio con l’aiuto del levita Zaccaria.

  30 settembre 1946

 Gesù entra nel Tempio con apostoli e discepoli. E alcuni apostoli, e non soltanto apostoli, gli fanno osservare che è imprudente farlo. Ma Egli risponde: «Con quale diritto potrebbero negarmi di entrarvi? Sono forse condan-nato? No, per ora ancora non lo sono. Salgo dunque all’altare di Dio come ogni israelita che teme il Signore».
   «Ma Tu hai intenzione di parlare…».
   «E non è questo il luogo dove solitamente si adunano i rabbi per parlare? Essere fuori di qui per parlare e ammaestrare è l’eccezione, e può rappresentare il riposo preso da un rabbi, o una necessità personale. Ma il luogo dove ognuno ama tenere scuola ai discepoli è questo. Non vedete intorno ai rabbi gente di ogni nazionalità, che si accosta a sentire almeno una volta i celebri rabbi? Se non altro per poter dire, tornando al paese natio: “Abbiamo sentito un maestro o un filosofo parlare secondo il modo d’Israele”. Maestro, per quelli che già sono o tendono d’essere ebrei; filosofo, per i gentili veri e propri. Né i rabbi sdegnano di essere ascoltati da questi ultimi, poiché sperano di farne dei proseliti Senza questa speranza, che se fosse umile sarebbe santa, essi non starebbero nel cortile dei Pagani, ma esigerebbero di parlare in quello degli Ebrei e, fosse possibile, nel Santo stesso, ché, secondo il loro giudizio verso se stessi, essi sono tanto santi che solo Dio è a loro superiore… Ed Io, Maestro, parlo dove i maestri parlano. Ma non temete! Non è ancora il momento loro. Quando sarà il momento loro, Io ve lo dirò, perché voi fortifichiate il vostro cuore».
   «Tu non lo dirai», dice l’Iscariota.
   «Perché?».
   «Perché non lo potrai sapere. Nessun segno te lo indicherà. Non c’è segno. Sono quasi tre anni che sono con Te e ti ho sempre visto minacciato e perseguitato. Anzi, allora eri solo. Ora hai dietro a Te il popolo che ti ama e che i farisei temono. Sei dunque più forte. Da cosa vuoi capire il momento?».
   «Da ciò che vedo nel cuore degli uomini».
Giuda resta un attimo interdetto, poi dice: «E non lo dirai anche perché… Tu ci risparmi temendo del nostro coraggio».
   «Per non affliggerci tace», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Anche. Ma certo non lo dirai».
   «Io ve lo dirò. E, finché non ve lo dirò, qualunque sia la violenza e l’odio che vedrete contro di Me, non spaventatevene. Sono senza conseguenze. 

 Andate avanti. Io resto qui ad attendere Mannaen e Marziam».
   A malincuore i dodici e chi è con loro vanno avanti.
   Gesù torna verso la porta per attendere i due, e anzi esce nella strada e piega verso l’Antonia.
   Dei legionari, fermi presso la fortezza, se lo additano e confabulano tra loro. Sembra ci sia come un poco di discussione, poi uno dice forte: «Io glielo chiedo», e si stacca verso Gesù.
   «Salve, Maestro. Parli anche oggi là dentro?».
   «La Luce ti illumini. Sì. Parlerò».
   «Allora… guardati. Uno che sa ci ha avvertito. E una che ti ammira ha ordinato di vegliare. Noi saremo presso il sotterraneo d’oriente. Ne sai l’entrata?».
   «Non l’ignoro. Ma è chiusa dall’una e l’altra parte».
   «Lo credi?». Il legionario ride di un riso breve, e nell’ombra del suo elmo gli occhi e i denti brillano facendolo più giovane. Poi saluta irrigidendosi: «Salve, Maestro. Ricordati di Quinto Felice».
   «Ricorderò. La Luce ti illumini».
   Gesù torna a camminare e il legionario torna al posto di prima e parla coi suoi commilitoni.
   «Maestro, abbiamo tardato? Erano tanti i lebbrosi!», dicono insieme Mannaen, vestito semplicemente di marrone scuro, e Marziam.
   «No. Avete fatto presto. Andiamo però. Gli altri ci attendono. Mannaen, sei stato tu che hai avvisato i romani?».
   «Di che, Signore? Io non ho parlato con nessuno. E non saprei… Le romane non sono in Gerusalemme».
   Sono di nuovo presso la porta della cinta. Come ci fosse per caso, è lì presso il levita Zaccaria.
   «La pace a Te, Maestro. Ti voglio dire… Io cercherò di essere sempre dove Tu sei, qui dentro. E Tu non mi perdere d’occhio. E se c’è tumulto e vedi che io vado via, cerca di seguirmi sempre. Ti odiano tanto! Io non posso fare di più… Comprendimi…».
   «Dio ti compensi e benedica per la pietà che hai per il suo Verbo. Farò ciò che dici. E non temere, ché nessuno saprà del tuo amore per Me».
   Si separano.
   «Forse è stato lui a dire ai romani. Stando lì dentro, avrà saputo…», sussurra Mannaen.

 Vanno a pregare, passando fra la gente che li guarda con sentimenti diversi e che si riunisce poi dietro a Gesù quando, finita la preghiera, Egli torna via dal cortile degli Ebrei.
   Fuori della seconda cinta Gesù fa per fermarsi, ma viene circondato da un gruppo misto di scribi, farisei e sacerdoti. Uno dei magistrati del Tempio parla per tutti.
   «Sei qui ancora? Non capisci che non ti vogliamo? Neppure temi il pericolo che qui ti incombe? Vattene. È già molto se ti lasciamo entrare per pregare. Non ti permettiamo più di insegnare le tue dottrine».
   «Sì. Vattene. Vattene, bestemmiatore!».
   «Sì. Me ne vado come voi volete. E non solo fuor da queste mura. Me ne andrò, sto già andando, più lontano, dove più non mi potete raggiungere. E verranno ore in cui mi cercherete anche voi, e non più per perseguitarmi soltanto, ma anche per un superstizioso terrore di esser percossi per avermi cacciato, per un ansia superstiziosa di essere perdonati del vostro peccato per ottenere misericordia. Ma Io ve lo dico. Questa è l’ora della misericordia. Questa è l’ora di farsi amico l’Altissimo. Passata questa, sarà inutile ogni riparo. Non mi avrete più e morirete nel vostro peccato. Percorreste anche tutta la Terra e riusciste a raggiungere gli astri e i pianeti, non mi trovereste più, perché dove Io vado voi non potete venire. Ve l’ho già detto. Dio viene e passa. Chi è sapiente lo accoglie coi suoi doni nel suo passaggio. Chi è stolto lo lascia andare e non lo ritrova mai più. Voi siete di quaggiù. Io sono di lassù. Voi siete di questo mondo. Io non sono di questo mondo. Perciò, una volta che Io sia tornato nella dimora del Padre mio, fuori di questo vostro mondo, non mi troverete più e morirete nei vostri peccati, perché neppure saprete raggiungermi spiritualmente con la fede».
   «Ti vuoi uccidere, insatanassato? Certo che allora, nell’Inferno dove scendono i violenti, noi non potremo venire a raggiungerti, ché l’Inferno è dei dannati, dei maledetti, e noi siamo i benedetti figli dell’Altissimo», dicono alcuni.
   E altri approvano dicendo: «Certo si vuole uccidere, perché dice che dove va noi non potremo andare. Comprende di essere scoperto e di aver fallito la prova, e si sopprime senza attendere di essere soppresso come l’altro galileo falso Cristo».
   E altri, benevoli: «E se fosse invece proprio il Cristo e tornasse proprio a Colui che lo ha mandato?».
   «Dove? In Cielo? Non vi è Abramo e vuoi che Egli ci vada? Prima deve venire il Messia».
   «Ma Elia fu rapito al Cielo su un carro di fuoco».
   «Su un carro, sì. Ma al Cielo!… Chi lo assicura?».
   E il contrasto dura mentre farisei, scribi, magistrati, sacerdoti, giudei servili ai sacerdoti, scribi e farisei, incalzano il Cristo per i vasti porticati come una muta di cani incalza la selvaggina scovata.

 Ma alcuni, i buoni fra la massa ostile, quelli veramente mossi da desiderio onesto, si fanno largo sino a raggiungere Gesù e gli fanno l’ansiosa domanda, già tante volte sentita fare o con amore o con odio: «Chi sei Tu? Diccelo, perché noi si sappia regolarsi. Dì la verità in nome dell’Altissimo!».
   «Io sono la Verità stessa e non uso mai menzogna. Io sono quello che vi ho dichiarato sempre d’essere dal primo giorno che ho parlato alle turbe, in ogni luogo della Palestina, quello che ho detto d’essere qui, più volte, presso il Santo dei santi, del quale non temo le folgori perché Io dico la verità. Ho molte cose ancora da dire e da giudicare nel mio giorno e a riguardo di questo popolo e, per quanto paia già prossima per Me la sera, Io so che le dirò e giudicherò tutti, perché così mi ha promesso Colui che mi ha mandato e che è verace. Egli ha parlato con Me in un eterno amplesso d’amore, dicendomi tutto il suo Pensiero, perché Io lo potessi dire con la mia Parola al mondo, e non potrò tacermi, né alcuno potrà farmi tacere sino a che Io avrò annunziato al mondo tutto quanto ho sentito dal Padre mio».
   «E ancora bestemmi? E continui a dirti Figlio di Dio? Ma chi vuoi che ti creda? Chi vuoi che vede in Te il Figlio di Dio?», gli gestiscono i nemici quasi coi pugni sul viso, fatti stravolti dall’odio.
   Apostoli, discepoli e bene intenzionati li respingono, facendo come una barriera di protezione al Maestro. Il levita Zaccaria si insinua piano piano, con mosse attente e volte a non attirare l’attenzione degli energumeni, presso Gesù, vicino a Mannaen e ai due figli di Alfeo.

 Sono ormai al termine del portico dei Pagani, perché l’andare è lento fra le correnti contrarie, e Gesù si ferma al suo solito posto, all’ultima colonna del lato orientale. Si ferma. Dal luogo dove stanno anche i pagani non possono cacciare un vero israelita, a meno di non eccitare la folla. Cosa che i subdoli evitano di fare. E di lì riprende a parlare, rispondendo ai suoi offensori e a tutti con essi: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo…».
   Urlano i farisei e scribi: «E chi vuoi che ti innalzi? Misero quel paese che ha per re un ciarlatore folle e un bestemmiatore inviso a Dio. Nessuno di noi ti innalzerà, stanne certo. E quel resto di lume che ti rimane te lo ha fatto capire in tempo quando fosti tentato (Vol 7 Cap 464). Tu lo sai che non potremo mai farti nostro re!».
   «Lo so. Non mi innalzerete su un trono, eppure mi innalzerete. E crederete di abbassarmi innalzandomi. Ma proprio quando crederete di avermi abbassato, sarò innalzato. Non soltanto sulla Palestina, non soltanto su tutto Israele sparso nel mondo, ma su tutto il mondo, e persino sulle nazioni pagane, persino su quei luoghi che ancora i dotti del mondo ignorano. E lo sarò non per una vita d’uomo, ma per tutta la vita della Terra, e sempre più l’ombra del padiglione del mio trono si espanderà sulla Terra finché tutta la coprirà. Solo allora tornerò e mi vedrete. Oh! mi vedrete!».
   «Ma udite che discorsi da folle! Lo innalzeremo abbassandolo e lo abbasseremo alzandolo! Un pazzo! Un pazzo! E l’ombra del suo trono su tutta la Terra! Più grande di Ciro! Più di Alessandro! Più di Cesare! Dove lo metti Cesare? Credi che ti lasci prendere l’impero di Roma? E durerà sul trono per tutto il tempo del mondo! Ah Ah! Ah!». Sono schiaffeggianti, peggio, staffilanti nella loro ironia più di un flagello.

 Ma Gesù li lascia dire. Alza la voce per essere inteso nel clamore di chi deride e di chi difende, e che empie il luogo col rumore di un mare inquieto.
   «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora comprenderete Chi sono e che da Me nulla faccio, ma dico ciò che mio Padre mi ha insegnato e faccio ciò che Egli vuole. Né già Colui che mi ha mandato mi lascia solo, ma è meco. Così come l’ombra segue il corpo, altrettanto dietro Me, vegliante, presente se pur invisibile, è il Padre. È dietro di Me e mi conforta e aiuta e non si allontana, perché Io faccio sempre ciò che a Lui piace. Dio si allontana invece quando i suoi figli non ubbidiscono alle sue leggi e alle sue ispirazioni. Allora se ne va e li lascia soli. Per questo molti in Israele peccano. Perché l’uomo lasciato a se stesso difficilmente si conserva giusto e facilmente cade fra le spire del Serpente. E in verità, in verità vi dico che, per il vostro peccato di resistenza alla Luce e alla Misericordia di Dio, Dio si allontana da voi e lascerà vuoto di Sé questo luogo e i vostri cuori, e ciò che pianse Geremia nelle sue profezie e nelle sue lamentazioni si compirà esattamente. Meditate quelle parole profetiche e tremate (parole che sono in quasi tutto il libro di Geremia e in quello delle Lamentazioni, attribuito allo stesso profeta). Tremate e rientrate in voi stessi con spirito buono. Sentite non le minacce, ma ancora la bontà del Padre che avverte i suoi figli mentre ancora è loro concesso di riparare e salvarsi. Sentite Dio nelle parole e nei fatti e, se non volete credere alle mie parole, perché il vecchio Israele vi soffoca, credete almeno al vecchio Israele. In esso gridano i profeti i pericoli e le sciagure della Città Santa e di tutta la Patria nostra, se non si converte al Signore Iddio suo e non segue il Salvatore. Su questo popolo già pesò la mano di Dio nei secoli passati. Ma nulla sarà il passato e il presente rispetto al tremendo futuro che lo aspetta per non aver voluto accogliere il Mandato da Dio. Né in rigore, né in durata è paragonabile ciò che attende Israele che ripudia il Cristo. Io ve lo dico, spingendo lo sguardo nei secoli: come pianta stroncata e gettata su un turbinoso fiume, così sarà la razza ebraica colpita da anatema divino. Tenace, cercherà di fermarsi sulle rive, in questo o in quel punto, e rigogliosa come è getterà polloni e radici. Ma quando crederà di essersi messa a dimora, la riprenderà la violenza della fiumana e la strapperà ancora, la spezzerà nelle radici e nei polloni, ed essa andrà più là, a soffrire, per abbarbicarsi, per essere di nuovo strappata e dispersa. E nulla potrà darle pace, perché la fiumana che incalza sarà l’ira di Dio e lo sprezzo dei popoli. Solo gettandosi in un mare di Sangue vivo e santificante potrebbe trovare pace. Ma essa fuggirà quel Sangue perché, nonostante che esso avrà ancora voci d’invito per essa, sembrerà ad essa che abbia la voce del sangue d’Abele verso essa: Caino dell’Abele celeste».
   Altro vasto brusio che si propaga per il vasto recinto come rumore d’onde. Ma mancano in questo brusio le voci aspre dei farisei e scribi, e dei giudei a loro asserviti.
   Gesù ne approfitta per tentare di andarsene.

Ma alcuni che erano lontani si accostano a Lui e gli dicono: «Maestro, ascoltaci. Non tutti noi siamo come essi (e accennano i nemici), ma però facciamo fatica a seguirti, anche perché la tua voce è sola contro cento e mille che dicono il contrario di ciò che Tu dici. E sono le cose che dicono essi, quelle che abbiamo sentito dai padri nostri sino dall’infanzia. Però le tue parole ci inducono a credere. Ma come faremo a credere completamente e ad avere vita? Noi siamo come legati dal pensiero del passato…».
   «Se vi stabilirete nella mia Parola come se rinasceste ora, crederete completamente e diverrete miei discepoli. Ma occorre che vi spogliate del passato e accettiate la mia dottrina. Essa non cancella tutto il passato. Anzi, mantiene e rinvigorisce ciò che è santo e soprannaturale del passato, e leva il superfluo umano mettendo la perfezione della mia dottrina là dove ora sono le dottrine umane sempre imperfette. Se venite a Me conoscerete la Verità, e la Verità vi farà liberi».
   «Maestro, è vero che ti abbiamo detto che siamo come legati dal passato. Ma questo legame non è prigionia né schiavitù. Noi siamo posterità di Abramo (Genesi 16-17; 21, 8-20). Nelle cose dello spirito. Perché la posterità di Abramo, se non siamo in errore, è detta per dire posterità spirituale contrapposta a quella di Agar, che è posterità di schiavi. Come dunque puoi dire che diverremo liberi?».
   «Era posterità di Abramo anche Ismaele ed i figli di lui, ve lo faccio notare. Perché Abramo fu padre e di Isacco e di Ismaele».
   «Ma impura, perché figlio di donna schiava ed egizia».
   «In verità, in verità vi dico: non vi è che una schiavitù, quella del peccato. Soltanto chi commette peccato è uno schiavo. E di una schiavitù che nessuna moneta riscatta. E verso un padrone inesorabile e crudele. E perdente ogni diritto alla libera sovranità nel Regno dei Cieli. Lo schiavo, l’uomo che una guerra o delle sciagure hanno fatto schiavo, può cadere anche in possesso di un buon padrone. Ma è sempre precario il suo benestare, perché il padrone lo può vendere ad altro padrone crudele. Egli è una merce e nulla più. Talora serve anche come moneta per saldare un debito. E non ha neppure il diritto di piangere. Il servo invece vive nella casa del padrone finché esso non lo licenzia. Ma il figlio resta sempre nella casa del padre, né il padre pensa a cacciarlo. Soltanto per sua libera volontà ne può uscire. E in questo stà la differenza fra schiavitù e servitù e figliolanza. La schiavitù mette l’uomo in catene. La servitù lo mette a servizio di un padrone. La figliolanza lo colloca per sempre, e con parità di vita, nella casa del padre. La schiavitù annichila l’uomo. La servitù lo rende soggetto. La figliolanza lo fa libero e felice. Il peccato fa l’uomo schiavo del padrone più crudele e senza termine: Satana. La servitù, in questo caso l’antica Legge, fa l’uomo timoroso di Dio come di un essere intransigente. La figliolanza, ossia il venire a Dio insieme al suo Primogenito, con Me, fa l’uomo libero e felice, che conosce la fiducia nella carità del Padre suo. Accettare la mia dottrina è venire a Dio insieme a Me, primogenito di molti figli diletti. Io spezzerò le vostre catene sol che voi veniate a Me perché le spezzi, e sarete veramente liberi e coeredi con Me del Regno dei Cieli.

 Lo so che siete posterità di Abramo. Ma chi fra di voi cerca di farmi morire non onora più Abramo ma Satana, e lo serve da schiavo fedele. Perché? Perché respinge la mia Parola, ed essa non può penetrare in molti di voi. Dio non violenta l’uomo a credere. Non lo violenta ad accettarmi. Ma mi manda perché Io vi indichi la sua volontà. Ed Io vi dico quello che ho veduto e udito presso il Padre mio. E faccio ciò che Egli vuole. Ma quelli fra voi che mi perseguitano fanno quello che hanno imparato dal padre loro e quello che egli suggerisce».
   Come un parossismo che risorge dopo una sosta del male, l’ira dei giudei, farisei e scribi, che pareva calmata alquanto, si ridesta violenta. Si insinuano come un cuneo nel cerchio compatto che stringe Gesù e cercano avvicinarlo. La folla ha un ondeggiare di marosi contrari, come sono contrari i sentimenti dei cuori. Urlano i giudei lividi d’ira e di odio: «Il padre nostro è Abramo. Non abbiamo nessun altro padre».
   «Il padre degli uomini è Dio. Abramo stesso è figlio del Padre universale. Ma molti ripudiano il Padre vero per uno che padre non è, ma che essi eleggono tale perché sembra più potente e pronto ad accontentarli nei loro desideri smodati. I figli fanno le opere che vedono fare dal padre loro. Se siete figli di Abramo perché non fate le opere di Abramo? (Genesi 12; 13; 15; 18; 22. Citato nell’opera fin dal Vol 1 Cap 8, in relazione al noto episodio del sacrificio del figlio Isacco, Abramo viene più volte ricordato come padre d’Israele e di tutti i credenti. È chiamato seno di Abramo, vedi nota al Vol 3 Cap 223, il luogo della beata attesa per coloro che muoiono nella fedeltà al Dio d’Israele. Altre note si Abramo, oltre alla nota al Vol 5 Cap 300 che riguarda Rebecca sposa di Isacco, sono ai capitoli 509 e 514, al Vol 10 Capp 635 e 638). Non le conoscete? Ve le devo enumerare come natura e come simbolo? Abramo ubbidì andando nel paese che Dio gli indicò, figura dell’uomo che deve essere pronto a lasciare tutto per andare dove Dio lo manda. Abramo fu condiscendente col figlio di suo fratello e gli lasciò scegliere la regione preferita, figura del rispetto alla libertà d’azione e della carità che si deve avere per il prossimo nostro.
   Abramo fu umile dopo la predilezione di Dio e l’onorò in Mambre sentendosi sempre un nulla rispetto all’Altissimo che gli aveva parlato, figura della posizione di amore reverenziale che l’uomo deve sempre tenere verso il suo Dio. Abramo credette ed ubbidì a Dio anche nelle cose più difficili a credersi e penose a compiersi, e per sentirsi sicuro non si fece egoista, ma pregò per quei di Sodoma. Abramo non patteggiò col Signore volendo premio per le sue molte ubbidienze, ma anzi per onorarlo sino alla fine, al termine massimo gli sacrificò il figlio diletto…».
   «Non lo sacrificò».
   «Gli sacrificò il figlio diletto, perché in verità il suo cuore aveva già sacrificato, durante il tragitto, con la sua volontà di ubbidienza, arrestata dall’angelo quando già il cuore del padre si fendeva nel procinto di fendere il cuore del figlio. Uccideva il figlio per onorare Dio. Voi uccidete a Dio il Figlio per onorare Satana. Fate voi allora le opere di chi dite vostro padre? No, non le fate. Voi cercate di uccidere Me perché vi dico la verità così come l’ho udita da Dio. Abramo non faceva così. Non cercava di uccidere la voce che veniva dal Cielo, ma la ubbidiva. No, voi non fate le opere di Abramo, ma quelle che vi indica il padre vostro».

 «Non siamo nati da una prostituta. Bastardi non siamo. Tu lo hai detto, Tu stesso, che il Padre degli uomini è Dio; e noi, poi, siamo del Popolo eletto, e delle caste elette fra questo Popolo. Perciò abbiamo Dio per unico Padre».
   «Se riconosceste Dio per Padre in spirito e in verità mi amereste, perché Io procedo e vengo da Dio; non vengo già da Me stesso, ma è Lui che mi ha mandato. Perciò, se veramente conosceste il Padre, conoscereste anche Me, suo Figlio e vostro fratello e Salvatore. Possono i fratelli non riconoscersi? Possono i figli di Un solo non conoscere il linguaggio che si parla nella Casa dell’unico Padre? Perché allora non capite il mio linguaggio e non tollerate le mie parole? Perché Io vengo da Dio e voi no. Voi avete lasciato la dimora paterna e dimenticato il volto e il linguaggio di Colui che l’abita. Siete andati volontariamente in altre regioni, in altre dimore, dove regna un altro che Dio non è, e dove si parla altro idioma. E chi vi regna impone che per entrarvi uno si faccia suo figlio e l’ubbidisca. E voi lo avete fatto e lo fate. Voi abiurate, rinnegate il Padre Iddio per scegliervi un altro padre. E questo è Satana. Voi avete a padre il demonio, e volete compiere ciò che egli vi suggerisce. E i desideri del demonio sono di peccato e di violenza, e voi li accogliete. Fin dal principio egli era omicida, e non perseverò nella verità perché egli, che si ribellò alla Verità, non può avere in sé amore alla verità. Quando egli parla, parla come egli è, ossia da bugiardo e tenebroso, perché in verità egli è bugiardo e ha generato e partorito la menzogna dopo essersi fecondato con la superbia e nutrito con la ribellione. Tutta la concupiscenza è nel suo seno, ed egli la sputa e la inocula ad avvelenare le creature. È il tenebroso, lo schernitore, lo strisciante rettile maledetto, è l’Obbrobrio e l’Orrore. Da secoli e secoli le sue opere tormentano l’uomo, e i segni e i frutti di esse sono davanti agli intelletti degli uomini. Eppure a lui, che mente e rovina, date ascolto, mentre, se Io parlo e dico ciò che è vero ed è buono, non mi credete e mi dite peccatore. Ma chi fra i tanti che mi hanno avvicinato, con odio o con amore, può dire di avermi visto peccare? Chi lo può dire con verità? Dove le prove per convincere Me e chi crede in Me che Io sono peccatore? A quale dei dieci comandamenti ho mancato? Chi davanti all’altare di Dio può giurare di avermi visto violare la Legge e le consuetudini, i precetti, le tradizioni, le preghiere? Chi fra tutti gli uomini potrà farmi mutare nel volto per essere, con prove sicure, convinto di peccato? Nessuno può fare questo. Nessuno fra gli uomini e nessuno fra gli angeli. Dio nel cuore degli uomini grida: “Egli è l’Innocente”. Di questo tutti ne siete convinti, e ancor più voi che mi accusate, di questi altri che sono incerti su chi fra Me e voi ha ragione. Ma soltanto chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Voi non le ascoltate per quanto esse rimbombino nelle vostre anime notte e giorno, e non le ascoltate perché non siete da Dio».

 10«Noi, noi che viviamo per la Legge e nella più minuta osservanza dei precetti per onorare l’Altissimo, non siamo ha Dio? E Tu osi dirlo? Ah!!». Sembrano asfissiare dall’orrore come fosse un capestro.
   «E non dobbiamo dire che sei un indemoniato e un samaritano?».
   «Non sono né l’uno né l’altro, ma onoro il Padre mio, anche se voi lo negate per vituperarmi. Ma il vostro vituperio non mi addolora. Non cerco la mia gloria. Vi è chi ne prende cura e giudica. Questo dico a voi che mi volete avvilire. Ma a chi ha volontà buona dico che chi accoglierà la mia parola, o già l’ha accolta, e la saprà custodire, non vedrà mai la morte in eterno».
   «Ah! ora ben vediamo che per le tue labbra parla il demonio che ti possiede! Tu stesso lo hai detto: “Egli parla da bugiardo”. Ciò che Tu hai detto è parola di menzogna, perciò è parola demoniaca. Abramo è morto e morti sono i profeti. E Tu dici che chi custodisce la tua parola non vedrà mai la morte in eterno. Tu dunque non morirai?».
   «Io non morrò che come Uomo, per risorgere nel tempo di Grazia, ma come Verbo non morrò. La Parola è Vita e non muore. E chi accoglie la Parola ha in sé la Vita e non muore in eterno, ma risorge in Dio perché Io lo risusciterò».
   «Bestemmiatore! Folle! Demonio! Sei più del nostro padre Abramo, che è morto, e dei profeti? Chi pretendi di essere?».
   «Il Principio che vi parlo».
   Succede un pandemonio. E, mentre avviene, il levita Zaccaria spinge Gesù insensibilmente in un angolo del portico, aiutato in ciò dai figli di Alfeo e da altri che forse lo coadiuvano senza neppur sapere bene ciò che fanno.

 11Quando Gesù è ben addossato al muro e con la protezione dei più fedeli davanti a Lui, e un poco si quieta il tumulto anche nel cortile, Egli dice con la sua voce così incisiva e bella, calma anche nei momenti più turbati: «Se Io mi glorifico da Me stesso, non ha valore la mia gloria. Ognuno può dire di sé ciò che vuole. Ma chi mi glorifica è il Padre mio che voi dite essere il vostro Dio, sebbene sia tanto poco vostro che voi non lo conoscete e non lo avete mai conosciuto né lo volete conoscere attraverso Me che ve ne parlo, perché Io lo conosco; e se dicessi di non conoscerlo per calmare il vostro odio verso di Me, sarei un mentitore come lo siete voi dicendo di conoscerlo. Io so che non devo mentire per nessuna ragione. Il Figlio dell’uomo non deve mentire, anche se dire la verità sarà cagione della sua morte. Perché, se il Figlio dell’uomo mentisse, non sarebbe più veramente Figlio della Verità, e la Verità lo respingerebbe da Sé. Io conosco Iddio, e come Dio e come Uomo. E come Dio e come Uomo conservo le sue parole e le osservo. Israele, rifletti! Qui è che si compie la promessa. In Me si compie. Riconoscimi per ciò che Io sono! Abramo vostro padre sospirò di vedere il mio giorno. Lo vide, profeticamente, per una grazia di Dio, e ne tripudiò. E voi che in verità lo vivete…».
   «Ma taci! Non hai ancora cinquanta anni e vuoi dire che Abramo ti ha veduto e Tu lo hai visto?», e la loro risata di scherno si propaga come un’onda di veleno e di acido che corrode.
   «In verità, in verità Io ve lo dico: prima che Abramo nascesse, Io sono».
   «”Io sono”? Solo Dio lo può dire che è, perché è eterno. Non Tu! Bestemmiatore! “Io sono”! Anatema! Sei forse Dio, Tu, per dirlo?», gli urla uno che deve essere un gran personaggio perché, sopraggiunto da poco, è già vicino a Gesù, dato che tutti si scansano quasi con terrore al suo venire.
   «Lo hai detto», risponde Gesù con voce tonante.
   Tutto diventa arma in mano di chi odia. Mentre l’ultimo che ha interrogato il Maestro si abbandona a tutta una mimica di scandalizzato orrore e si strappa dal capo il copricapo, si scompiglia capelli e barba e si slaccia le fibbie che tengono la veste al collo, come se si sentisse mancare dall’orrore, manciate di terra, e sassi, usati dai venditori di colombi e altre bestie per tenere tesi le funi dei recinti, e dai cambiavalute per… prudenziale tutela dei loro cofani di cui sono gelosi più della loro vita, vengono scagliati contro il Maestro, e naturalmente ricadono sulla folla stessa, perché Gesù è troppo in dentro, sotto il porticato, perché sia colpito, e la folla impreca e si lamenta…

 12Zaccaria, il levita, dà un potente urto a Gesù, unico mezzo per fargli raggiungere una porticina bassa, celata nella muraglia del portico e già preparata ad aprirsi, e ve lo spinge insieme a i due figli di Alfeo, a Giovanni, Mannaen, Tommaso. Gli altri restano fuori, nel tumulto… E il rumore dello stesso giunge affievolito nel cunicolo, fra le potenti muraglie di pietre, che non so come si chiamino in architettura. Sono fatte a incastro, direi io, ossia pietre larghe e pietre più piccole, e sopra a queste più piccole le larghe e viceversa. Non so se mi spiego bene. Scure, potenti, scalpellate rudemente, appena visibili nella penombra che è prodotta da feritoie strette messe a distanza regolari nell’alto, per aerare e rendere non completamente tenebroso il luogo, che è una stretta galleria che non so a che serve, ma che mi dà l’impressione che giri per tutto il porticato. Forse era stata fatta per protezione, per ricovero, per rendere doppie, e perciò più resistenti, le muraglie dei portici che fanno come altrettante cinte al vero e proprio Tempio, al Santo dei santi. Insomma non so. Dico ciò che vedo. Odor di umido, e di quell’umido che non si sa dire se è freddo o no, come in certe cantine.
   «E che facciamo qui?», chiede Tommaso.
   «Taci! Mi ha detto Zaccaria che verrà lui, e di stare zitti e fermi», risponde il Taddeo.
   «Ma… c’è da fidarsi?».
   «Lo spero».
   «Non temete. L’uomo è buono», conforta Gesù.
   Fuori il tumulto si allontana. Passa del tempo. Poi un rumore sordo di passi e una piccola luce tremula, che viene avanti da profondità oscure.
   «Sei lì, Maestro?», dice una voce che vuol farsi sentire ma teme di esser sentita.
   «Sì, Zaccaria».
   «Lode a Jeovè! Mi sono fatto aspettare? Ho dovuto attendere che corressero tutti agli altri sbocchi. Vieni, Maestro… I tuoi apostoli… Sono riuscito a dire a Simone di andare tutti verso Betesda e di attendere. Di qui si scende… Poca luce. Ma via sicura. Si scende alle cisterne… e si esce verso il Cedron. Via antica. Non sempre destinata a buon uso. Ma questa volta sì… E questo la santifica…».
   Scendono continuamente in un’ombra rotta soltanto dalla fiammella ballonzolante del lume, finché un chiarore diverso si intravede là in fondo… e, oltre il chiarore, del verde che par lontano… Una cancellata, che è quasi una porta tanto è massiccia e fitta, termina la galleria.
   «Maestro ti ho salvato,. Puoi andare. Ma ascoltami. Non venire per qualche tempo. Non potrei sempre servirti senza essere notato. E… dimentica, dimenticate tutti questa via e me che vi ci ho condotto», dice Zaccaria facendo agire dei congegni che sono nella cancellata pesante e socchiudendola quel tanto che serva a lasciare uscire le persone.
   E ripete: «Dimenticate, per pietà di me».
   «Non temere. Nessuno di noi parlerà. E Dio sia con te per la tua carità». Gesù alza la mano posandola sul capo chino del giovane.
   Esce seguito dai cugini e dagli altri. Si trova su un piccolo spiazzo selvaggio di rovi che appena può riceverli tutti, di fronte all’Uliveto. Un sentierino da capre scende fra i rovi verso il torrente.
   «Andiamo. Risaliremo poi all’altezza della porta delle Pecore e Io con i fratello andrò da Giuseppe, mentre voi andrete a Betesda a prendere gli altri e mi raggiungerete. Andremo a Nobe domani sera dopo il tramonto».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo GV 8, 12-20: «Dov’è tuo padre?».

Vangelo Novus Ordo Gv 8,12-20 
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù parlò [ai farisei] e disse: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita».
Gli dissero allora i farisei: «Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera». Gesù rispose loro: «Anche se io do testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove sono venuto e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado. Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno. E anche se io giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato. E nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera. Sono io che do testimonianza di me stesso, e anche il Padre, che mi ha mandato, dà testimonianza di me».
Gli dissero allora: «Dov’è tuo padre?». Rispose Gesù: «Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».
Gesù pronunziò queste parole nel luogo del tesoro, mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora venuta la sua ora.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Voi non conoscete né me né il Padre mio; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. DVI. Nel Tempio, il contestato discorso che rivela in Gesù la Luce del mondo.

   28 settembre 1946.

   506.1Gesù è ancora in Gerusalemme, ma non dentro ai cortili del Tempio. È però certo in una vasta stanza ben ornata, una delle tante sparse entro la cinta grande quanto un paese.
   Vi è entrato da poco, vi sta ancora camminando al fianco di chi lo ha invitato ad entrare, forse per ripararlo dal vento freddo che scorre sul Moria, e dietro di Lui camminano gli apostoli e qualche discepolo. Dico “qualche” perché, oltre Isacco e Marziam, vi è Gionata e, mescolati fra la gente, che pure entra dietro al Maestro, vi è quel levita Zaccaria che pochi giorni avanti gli ha detto[11] di volere essere suo discepolo, e vi sono anche altri due che già ho visto coi discepoli, ma dei quali non so il nome. Ma fra questi, benevoli, non mancano i soliti, gli inevitabili ed immutabili farisei. Si fermano quasi sulla porta, quasi si fossero trovati lì per caso a discutere d’affari, ma intanto sono lì per sentire. Viva è l’attesa della parola del Signore fra i presenti.
   Egli guarda questa accolta visibilmente di nazionalità diverse, non tutte palestinesi, sebbene di religione ebraica. Guarda questa accolta di persone, delle quali molti membri domani forse si spargeranno nelle regioni dalle quali vengono e porteranno ad esse la sua parola dicendo: «Abbiamo sentito l’Uomo che è detto il nostro Messia». E non parla ad essi, già istruiti nella Legge, della Legge, come fa molte volte quando comprende di avere di fronte delle ignoranze o delle fedi scosse, ma parla di Se stesso, perché lo conoscano.
   Dice: «Io sono la Luce del mondo e chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della Vita». E tace, dopo aver enunciato il tema del discorso che svolgerà, come fa abitualmente quando sta per pronunciare un grande discorso. Tace per lasciare tempo alla gente di decidere se l’argomento la interessa o meno, e dare anche tempo a quelli cui il tema proposto non interessa di andarsene. Dei presenti non se ne va nessuno; anzi, i farisei che erano sulla porta, intenti in una conversazione forzata e studiata, e che hanno taciuto e si sono voltati verso l’interno della sinagoga alla prima parola di Gesù, entrano facendosi largo con la loro immancabile prepotenza.

   506.2Quando ogni brusio è cessato, Gesù ripete la frase anzidetta con voce ancor più forte ed incisiva, e prosegue.
   «Io sono la Luce del mondo, essendo il Figlio del Padre che è il Padre della Luce. Il figlio sempre assomiglia al padre che lo ha generato e ne ha la stessa natura. Ugualmente Io assomiglio ed ho la natura di Colui che mi ha generato. Dio, l’Altissimo, lo Spirito perfetto e infinito, è luce d’Amore, luce di Sapienza, luce di Potenza, luce di Bontà, luce di Bellezza. Egli è il Padre delle luci, e chi vive di Lui ed in Lui vede perché è nella Luce, così come è desiderio di Dio che le creature vedano. Egli ha dato all’uomo intelletto e sentimento perché potessero vedere la Luce, ossia Lui stesso, e comprenderla e amarla. E ha dato all’uomo gli occhi perché potesse vedere la cosa più bella fra le cose create, la perfezione degli elementi, quella per la quale è visibile la creazione, quella che è una delle prime azioni di Dio Creatore e porta il segno più visibile di Colui che l’ha creata: la luce, incorporea, luminosa, beatifica, consolante, necessaria, così come lo è il Padre di tutti: Dio eterno e altissimo.
   Per un comando del suo Pensiero, Egli creò il firmamento e la terra, ossia la massa dell’atmosfera e la massa della polvere, l’incorporeo e il corporeo, il leggerissimo e il pesante, ma ambedue ancor poveri e vuoti, informi ancora, perché avvolti nelle tenebre, vuoti di astri e di vita.
   Ma per dare alla terra e al firmamento la loro vera fisionomia, per farne due cose belle, utili, atte al proseguimento dell’opera creativa, lo Spirito di Dio — che si librava sopra alle acque e che era tutt’uno col Creatore che creava e con l’Ispiratore che spingeva a creare, per poter amare non soltanto Se stesso nel Padre e nel Figlio, ma anche un numero infinito di creature, dai nomi di astri, pianeti, acque, mari, selve, piante, fiori, animali che volano, guizzano, strisciano, corrono, saltano, arrampicano, e l’uomo infine, il più perfetto fra i creati, più perfetto del sole perché avente l’anima oltre che la materia, l’intelligenza oltre l’istinto, la libertà oltre l’ordine, l’uomo simile a Dio per lo spirito, simile all’animale per la carne, il semidio che dio diventa per partecipazione e per grazia di Dio e volontà propria, l’essere umano che volendo può trasformarsi in angelo, l’amatissimo del creato sensibile per il quale, pur sapendolo peccatore, da prima che il tempo fosse ha preparato il Salvatore, la Vittima, nell’Essere amato senza misura, nel Figlio, nel Verbo, per cui tutto è stato fatto — ma per dare alla terra e al firmamento la loro vera fisionomia, dicevo, ecco che lo Spirito di Dio, librantesi nel cosmo, grida, ed è la Parola che per la prima volta si manifesta: “Sia la luce”, e la luce è, buona, salutare, potente nel giorno, tenue nella notte, ma imperitura sino a che il tempo sarà.
   Dall’oceano di meraviglie che è il trono di Dio, il seno di Dio, Dio trae la gemma più bella, ed è la luce, che precede la gemma più perfetta, che è la creazione dell’uomo, nel quale non è un gioiello di Dio ma Dio stesso, col suo soffio alitato sul fango a farne una carne e una vita e un suo erede nel Paradiso celeste, dove Egli attende i giusti, i figli, per bearsi in loro e loro in Lui.
   Se all’inizio della creazione Dio volle sulle sue opere la luce, se per fare la luce si servì della sua Parola, se Dio ai più amati dona la sua somiglianza più perfetta: la luce — luce materiale gaudiosa ed incorporea, luce spirituale sapiente e santifican­te-— potrà al Figlio del suo amore non aver dato ciò che è Egli stesso? In verità, a Colui in cui ab eterno Egli si compiace, l’Altissimo ha dato tutto, e del tutto ha voluto che fosse prima e potentissima la Luce, perché senza attendere di salire al Cielo gli uomini conoscessero la meraviglia della Triade, ciò che fa cantare i Cieli nei beati cori, cantare per l’armonia della gioia ammirata che viene agli angeli dal mirare la Luce, ossia Dio, la Luce che riempie il Paradiso e lo fa beato in tutti i suoi abitanti.
   Io sono la Luce del mondo. Chi mi segue non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della Vita! Come la luce sulla terra informe permise la vita a piante ed animali, così la mia Luce permette agli spiriti la Vita eterna. Io, la Luce che Io sono, creo in voi la Vita e la mantengo, l’aumento, vi ricreo in essa, vi trasformo, vi porto alla Dimora di Dio per vie di sapienza, d’amore, di santificazione. Chi ha in sé la Luce ha in sé Dio, perché la Luce è una con la Carità, e chi ha la Carità ha Dio. Chi ha in sé la Luce ha in sé la Vita, perché Dio è là dove è accolto il suo Figlio diletto».

   506.3«Tu dici parole senza ragione. Chi ha visto ciò che è Dio? Neppure Mosè[12] ha visto Dio, perché sull’Oreb, non appena seppe chi parlava dal roveto ardente, si coperse il volto; e anche le altre volte non poté vederlo fra le abbacinanti folgori. E Tu dici di aver visto Dio? A Mosè, che solo lo sentì parlare, rimase uno splendore sul volto. Ma Tu, che luce hai sul tuo viso? Sei un povero galileo dal volto pallido come i più fra voi. Un malato sei, stanco e magro. In verità, se avessi visto Dio ed Egli ti amasse, non saresti come uno che è prossimo a morire. Vuoi dare la vita Tu che non l’hai neppure per Te stesso?», e scuotono il capo compassionandolo ironici.
   «Dio è Luce ed Io so quale è la sua Luce, perché i figlioli conoscono il loro padre e perché ognuno conosce se stesso. Io conosco il Padre mio e so chi sono. Io sono la Luce del mondo. Sono la Luce perché mio Padre è la Luce e mi ha generato dandomi la sua Natura. La Parola non è dissimile dal Pensiero, perché la parola esprime ciò che l’intelletto pensa. E del resto,
   non conoscete più i profeti? Non ricordate Ezechiele e soprattutto Daniele? Descrivendo Dio, visto nella visione, sul carro dei quattro animali, dice il primo[13]: “Sul trono vi stava uno che all’aspetto sembrava un uomo e dentro di lui e intorno a lui io vidi una specie di elettro come l’apparenza del fuoco, e dai suoi lombi al di sopra e al di sotto vidi come una specie di fuoco che risplendeva all’intorno; come l’aspetto dell’arcobaleno quando si forma nella nube in giorno di pioggia, tale era l’aspetto dello splendore all’intorno”. E dice Daniele: “Io stava ad osservare finché non furono alzati dei troni e non s’assise l’Antico dei giorni. Le sue vesti erano bianche come la neve, i capelli come candida lana; vive fiamme erano il suo trono e le ruote del suo trono erano fuoco divampante. Un fiume di fuoco scorreva rapidamente davanti alla sua faccia”. Così è Dio, e così Io sarò quando verrò a giudicarvi».

   506.4«La tua testimonianza non è valida. Ti rendi testimonianza da Te stesso. Perciò la tua testimonianza che valore ha? Per noi non è vera».
   «Benché Io renda testimonianza a Me stesso, la mia testimonianza è vera, perché Io so da dove sono venuto e dove vado. Ma voi non sapete né da dove vengo né dove vado. Voi avete per sapienza ciò che vedete. Io conosco invece tutto quello che è ignoto all’uomo, e sono venuto perché voi pure lo conosciate. Per questo ho detto che Io sono Luce. Perché la luce fa conoscere ciò che era celato dalle ombre. Nel Cielo è luce, in Terra molto regnano le tenebre e celano le verità agli spiriti, perché le tenebre odiano gli spiriti degli uomini e non vogliono che conoscano la Verità e le verità perché non si santifichino. E per questo Io sono venuto. Perché voi abbiate Luce e perciò Vita. Ma voi non mi volete accogliere. Voi volete giudicare ciò che non conoscete e ciò che non potete giudicare, perché è tanto più in alto di voi ed è incomprensibile a chiunque non lo contempli con l’occhio dello spirito, e spirito umile e nutrito di fede. Ma voi giudicate secondo la carne. Perciò non potete essere nella verità di giudizio. Io invece non giudico alcuno, sol che possa astenermi dal giudicare. Vi guardo con misericordia e prego per voi. Perché vi apriate alla Luce. Ma quando devo proprio giudicare, allora il mio giudizio è vero, perché Io non sono solo, ma sono con il Padre che mi ha mandato, ed Egli vede dalla sua gloria l’interno dei cuori. E, come vede il vostro, vede il mio. E se vedesse nel mio cuore un giudizio ingiusto, per amore di Me e per l’onore della sua Giustizia me ne avvertirebbe. Ma Io e il Padre giudichiamo in un unico modo, e perciò siamo in due, e non sono solo a giudicare e a testimoniare.
   Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza[14] di due testimoni che affermano la stessa cosa è da accertarsi per vera e valida. Io dunque rendo testimonianza alla mia Natura, e con Me il Padre che mi ha mandato testimonia la stessa cosa. Perciò ciò che Io dico è vero».

   506.5«Noi non sentiamo la voce dell’Altissimo. Tu lo dici che ti è Padre…».
   «Egli ha parlato di Me sul Giordano…».
   «Va bene. Ma non eri solo Tu al Giordano. C’era anche Giovanni. Poteva parlare di lui. Egli era un grande profeta».
   «Con le vostre stesse labbra vi condannate. Ditemi: chi parla sulle labbra dei profeti?».
   «Lo Spirito di Dio».
   «E per voi Giovanni era profeta?».
   «Uno dei più grandi, se non il più grande».
   «E allora perché non avete creduto alle sue parole e non ci credete? Egli mi indicava come l’Agnello di Dio venuto a cancellare i peccati del mondo. A chi lo interrogava se era egli il Cristo diceva: “Io non sono il Cristo, ma colui che lo precede. E dietro di me è Colui che in realtà mi precede, perché esisteva da prima di me, ed io non lo conoscevo, ma Colui che mi ha preso dal ventre di mia madre e che mi ha investito nel deserto e mi ha mandato a battezzare, mi ha detto: ‘Colui su cui vedrai scendere lo Spirito, quello è Colui che battezzerà con lo Spirito Santo e nel fuoco’”. Non ve ne ricordate? Eppure molti di voi eravate presenti… Perché dunque non credete al profeta che mi indicò avendo sentito le parole del Cielo? Questo devo dire al Padre mio: che il suo Popolo non crede più nei profeti?».
   «E dove è mai il padre tuo? Giuseppe il legnaiolo dorme da anni nel sepolcro. Tu non hai più padre».
   «Voi non conoscete né Me né il Padre mio. Ma, se mi voleste conoscere, conoscereste anche il mio vero Padre».
   «Sei un ossesso e un mentitore. Sei un bestemmiatore, volendo sostenere che l’Altissimo ti è Padre. E meriteresti di esser colpito secondo la Legge».
   I farisei e altri del Tempio urlano minacciosi, mentre la gente li guarda torva in difesa del Cristo.
   Gesù li guarda senza aggiungere parola e poi esce dalla stanza, da una porticina laterale che dà su un portico.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 8, 1-11: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei».

Vangelo Novus Ordo Gv 8, 1-11
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CDXCIV. La donna adultera e l’ipocrisia dei suoi accusatori. Vari insegnamenti.

   20 marzo 1944.
 
 1 Vedo l’interno del recinto del Tempio, ossia uno dei tanti cortili contornati da porticati. E vedo anche Gesù, il quale, molto ammantellato nel suo manto che lo fascia sopra la veste, non bianca ma rosso cupo (sembra una stoffa di lana pesante), parla a della folla che lo circonda.
   Direi che è una giornata invernale, perché vedo che tutti sono molto ammantellati, e che faccia piuttosto freddo, perché invece di star fermi tutti camminano alla svelta come per scaldarsi. Vi è del vento che smuove i mantelli e solleva la polvere dei cortili.
   Il gruppo che si stringe intorno a Gesù, l’unico che stia fermo mentre tutti gli altri, intorno a questo o a quel maestro, vanno avanti e indietro, si fende per lasciar passare un drappello di scribi e farisei gesticolanti e più che mai velenosi. Sprizzano veleno dallo sguardo, dal colore del volto, dalla bocca. Che vipere! Più che condurre, trascinano una donna sui trent’anni, scapigliata, disordinata nelle vesti come chi è stata malmenata, e piangente. La buttano ai piedi di Gesù come fosse un mucchio di cenci o una spoglia morta. E lei resta là, rannicchiata su se stessa, col volto appoggiato alle due braccia, nascosto da esse che le fanno cuscino fra il volto e il suolo.
   «Maestro, costei è stata colta in flagrante adulterio. Suo marito l’amava, nulla le faceva mancare. Ella era regina nella sua casa. E lei lo ha tradito perché è una peccatrice, una viziosa, un’ingrata, una profanatrice. Adultera è, e come tale va lapidata. Mosé l’ha detto. Nella sua legge lo comanda che queste tali siano lapidate come bestie immonde. E immonde sono. Perché tradiscono la fede e l’uomo che le ama e le cura, perché come terra mai sazia sempre sono affamate di lussuria. Peggio delle meretrici sono, perché senza morso di bisogno danno se stesse per dare cibo alla loro impudicizia. Corrotte sono. Contaminatrici sono. A morte devono esser condannate. Mosè l’ha detto. E Tu, Maestro, che ne dici?».
 2 Gesù, che aveva interrotto di parlare all’arrivo tumultuoso dei farisei e che aveva guardato la muta astiosa con sguardo penetrante e poi aveva chinato lo sguardo sulla donna avvilita, gettata ai suoi piedi, tace. Si è curvato, restando seduto, e con un dito scrive sulle pietre del portico, che la polvere sollevata dal vento copre di terriccio. Quelli parlano e Lui scrive.
   «Maestro? Parliamo a Te. Ascoltaci. Rispondici. Non hai capito? Questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Nella sua casa. Nel letto dell’uomo suo. Ella lo ha sporcato con la sua libidine».
   Gesù scrive.
   «Ma è stolto quest’uomo! Non vedete che non capisce nulla e traccia dei segni sulla polvere come un povero folle?».
   «Maestro, per il tuo buon nome, parla. La tua sapienza risponda al nostro interrogare. Ti ripetiamo: questa donna non mancava di nulla. Aveva vesti, cibo, amore. E ha tradito».
   Gesù scrive.
   «Ha mentito all’uomo che aveva fiducia in lei. Con bocca mendace l’ha salutato e col sorriso l’ha accompagnato alla porta, e poi ha aperto la porta segreta e ha ammesso il suo amante. E mentre il suo uomo era assente per lavorare per lei, essa, come una bestia immonda, s’è avvoltolata nella sua lussuria».
   «Maestro, è una profanatrice della Legge oltre che del talamo. Una ribelle, una sacrilega, una bestemmiatrice».
   Gesù scrive. Scrive e cancella lo scritto col piede calzato dal sandalo e scrive più là, girandosi piano su Se stesso per trovare altro spazio. Sembra un bambino che giuochi. Ma quello che scrive non è parola di giuoco. Ha scritto successivamente: «Usuraio», «Falso», «Figlio irriverente», «Fornicatore», «Assassino», «Profanatore della Legge», «Ladro», «Libidinoso», «Usurpatore», «Marito e padre indegno», «Bestemmiatore», «Ribelle a Dio», «Adultero». Scritto e riscritto mentre sempre nuovi accusatori parlano.
   «Ma insomma, Maestro! Il tuo giudizio. La donna va giudicata. Non può col suo peso contaminare la terra. Il suo fiato è veleno che turba i cuori».
 3 Gesù si alza. Misericordia! Che viso! È un balenare di lampi che si avventano sugli accusatori. Sembra ancor più alto, tanto tiene la testa eretta. Sembra un re sul suo trono, tanto è severo e solenne. Il manto gli è caduto da una spalla e fa un lieve strascico dietro a Lui. Ma Egli non se ne cura. Con volto chiuso e senza la più lontana traccia di sorriso sulla bocca e negli occhi, pianta questi occhi in volto alla folla, che arretra come davanti a due lame ben pontute. Fissa uno per uno. Con una intensità di indagine che fa paura. I fissati cercano di arretrare nella folla e di nascondersi in essa. Il cerchio così si allarga e sgretola come minato da una forza occulta.
    Infine parla. «Chi di voi è senza peccato scagli sulla donna la prima pietra». E la voce è un tuono accompagnato da un ancor più vivo lampeggiare di sguardi. Gesù ha conserto le braccia sul petto e sta così, ritto come un giudice, in attesa. Il suo sguardo non dà pace. Fruga, penetra, accusa.
   Prima uno, poi due, poi cinque, poi a gruppi, i presenti si allontanano a capo basso. Non solo gli scribi e i farisei, ma anche quelli che erano prima intorno a Gesù ed altri che si erano accostati per sentire il giudizio e la condanna e che, tanto quelli che questi, si erano uniti per insolentire la colpevole e chiedere la lapidazione.
 G  esù resta solo con Pietro e Giovanni. Non vedo gli altri apostoli.
   Gesù si è rimesso a scrivere, mentre la fuga degli accusatori avviene, e ora scrive: «Farisei»,   «Vipere», «Sepolcri di marciume», «Menzogneri», «Traditori», «Nemici di Dio», «Insultatori del suo Verbo»…
 4 Quando tutto il cortile si è svuotato e un gran silenzio si è fatto, non rimanendo che il fruscio del vento e quello di una fontanella in un angolo, Gesù alza il capo e guarda. Ora il volto si è placato. È mesto, ma non più irato. Dà un’occhiata a Pietro, che si è lievemente allontanato appoggiandosi ad una colonna, ed una a Giovanni che, quasi dietro a Gesù, lo guarda col suo sguardo innamorato. Gesù ha un’ombra di sorriso guardando Pietro e un più vivo sorriso guardando Giovanni. Due sorrisi diversi.
   Poi guarda la donna, ancora prostrata e piangente ai suoi piedi. L’osserva. Si alza, si riaggiusta il manto come fosse in procinto di mettersi in cammino. Fa un cenno ai due apostoli di avviarsi verso l’uscita.
   Quando resta solo, chiama la donna. «Donna, ascoltami. Guardami». Ripete il comando, perché essa non osa alzare il viso. «Donna, siamo soli. Guardami».
   La disgraziata alza un viso su cui pianto e polvere fanno una maschera di avvilimento.
   «Dove sono, o donna, quelli che ti accusavano?». Gesù parla piano. Con serietà pietosa. Tiene il volto e il corpo lievemente piegati verso terra, verso quella miseria, e gli occhi sono pieni di una espressione indulgente e risanatrice. «Nessuno ti ha condannata?».
   La donna, fra un singulto e l’altro, risponde: «Nessuno, Mae­stro».
   «E neppure Io ti condannerò. Va’. E non peccare più. Va’ alla tua casa. E sappi farti perdonare. Da Dio e dall’offeso. Non abusare della benignità del Signore. Va’».
   E la aiuta a rialzarsi prendendola per una mano. Ma non la benedice e non le dà la pace. La guarda avviarsi, a capo chino e lievemente barcollante sotto la sua vergogna, e poi, quando è scomparsa, si avvia a sua volta coi due discepoli.
 

 5 Dice Gesù:
   «Quello che mi feriva era la mancanza di carità e di sincerità negli accusatori. Non che mentissero nell’accusa. La donna era realmente colpevole. Ma erano insinceri facendosi scandalo di cosa da loro commessa le mille volte e che unicamente una maggior astuzia e una maggior fortuna avevano permesso rimanesse occulta. La donna, al suo primo peccato, era stata meno astuta e meno fortunata. Ma nessuno dei suoi accusatori ed accusatrici — perché anche le donne, se non alzavano la loro parola, la accusavano in fondo al cuore — erano scevri di colpa.
   Adultero è chi trascende all’atto e chi appetisce all’atto e lo desidera con tutte le sue forze. La lussuria è tanto in chi pecca che in chi desidera peccare. Ricordati, Maria, la prima parola del tuo Maestro, quando ti ho chiamata dall’orlo del precipizio dove eri: “Il male non basta non farlo. Bisogna anche non desiderare di farlo”. Chi accarezza pensieri di senso, e suscita con letture e spettacoli cercati appositamente e con abitudini malsane sensazioni di senso, è ugualmente impuro come chi commette la colpa materialmente. Oso dire: è maggiormente colpevole. Perché va col pensiero contro natura, oltre che contro morale. Non parlo poi di chi trascende a veri atti contro natura. L’unica attenuante di costui è in una malattia organica o psichica. Chi non ha tale scusante è di dieci gradi inferiore alla bestia più lurida.
   Per condannare con giustizia occorrerebbe essere immuni da colpa. Vi rimando a dettati passati, quando parlo delle condizioni essenziali per esser giudice. A Me non erano ignoti i cuori di quei farisei e di quegli scribi, non quelli di coloro che si erano uniti ad essi nell’inveire contro la colpevole. Peccatori contro Dio e contro il prossimo, erano in loro colpe contro il culto, colpe contro i genitori, colpe contro il prossimo, colpe, soprattutto numerose, contro le mogli loro. Se per un miracolo avessi ordinato al loro sangue di scrivere sulla loro fronte il loro peccato, fra le molte accuse avrebbe imperato quella di “adulteri” di fatto o di desiderio.
 6 Io ho detto: “È quello che viene dal cuore che contamina l’uomo”. E, tolto il mio cuore, non vi era alcuno fra i giudici che avesse il cuore incontaminato. Senza sincerità e senza carità. Neppure l’esser simili a lei nella fame concupiscente li induceva a carità. Io ero che avevo carità per l’avvilita. Io, l’Unico che ne avrei dovuto aver schifo. Ma ricordatevi però questo: che quanto più uno è buono e più è pietoso verso i colpevoli. Non indulge alla colpa per se stessa. Questo no. Ma compatisce i deboli che alla colpa non hanno saputo resistere.
   L’uomo! Oh! più che canna fragile e vilucchio sottile è facile ad esser piegato dalla tentazione e portato ad avvinghiarsi là dove spera trovare un conforto. Perché molte volte la colpa avviene, specie nel sesso più debole, per questa ricerca di conforto. Perciò Io dico che chi manca di affetto per la sua donna, ed anche per la figlia sua propria, è per novanta parti su cento responsabile della colpa della sua donna o della sua creatura e ne risponderà per esse. Tanto l’affetto stolto, che è soltanto stupido schiavismo di un uomo ad una donna o di un genitore ad una figlia, quanto una trascuratezza d’affetti, o peggio una colpa di propria libidine che porta un marito ad altri amori e dei genitori ad altre cure che non siano i figli, sono fomite ad adulterio e prostituzione e, come tali, sono da Me condannati.
   Siete esseri dotati di ragione e guidati da una legge divina e da una legge morale. Avvilirsi perciò ad una condotta da selvaggi o da bruti dovrebbe fare orrore alla vostra grande superbia. Ma la superbia, che in questo caso sarebbe anche utile, voi l’avete per ben altre cose.
 7 Ho guardato Pietro e Giovanni in diversa maniera, perché al primo, uomo, ho voluto dire: “Pietro, non mancare tu pure di carità e di sincerità”, e dirgli pure, come a futuro mio Pontefice: “Ricorda quest’ora e giudica come il tuo Maestro, in avvenire”; mentre al secondo, giovane dall’anima di bambino, ho voluto dire: “Tu puoi giudicare e non giudichi perché hai il mio stesso cuore. Grazie, amato, d’esser tanto mio da essere un secondo Me”.
   Ho allontanato i due prima di chiamare la donna per non aumentare la sua mortificazione con la presenza di due testimoni. Imparate, o uomini senza pietà. Per quanto uno sia colpevole, va sempre trattato con rispetto e carità. Non gioire del suo annichilimento, non accanircisi contro neppure con sguardi curiosi. Pietà, pietà per chi cade!
   Alla colpevole indico la via da seguirsi per redimersi. Tornare alla sua casa, umilmente chiedere perdono e ottenerlo con una vita retta. Non cedere più alla carne. Non abusare della bontà divina e della bontà umana per non scontare più duramente di ora la duplice o molteplice colpa. Dio perdona, e perdona perché è la Bontà. Ma l’uomo, per quanto Io abbia detto:
   “Perdona al fratello tuo settanta volte sette”, non sa perdonare due volte.
   Non le do pace e benedizione perché non era in lei quella completa recisione dal suo peccato che è richiesta per esser perdonati. Nella sua carne, e purtroppo nel suo cuore, non era la nausea per il peccato. Maria di Magdala, sentito il sapore del mio Verbo, aveva avuto disgusto per il peccato ed era venuta a Me con la volontà totale di essere un’altra. In costei era ancora un ondeggiamento fra le voci della carne e dello spirito. Né ella, nel turbamento dell’ora, aveva ancora potuto mettere la scure contro il ceppo della carne e reciderla per andare mutilata del suo peso bramoso al Regno di Dio. Mutilata di ciò che era rovina, ma accresciuta di ciò che è salvezza.
   Vuoi sapere se si è poi salvata? Non a tutti fui Salvatore. Per tutti lo volli essere, ma non lo fui perché non tutti ebbero la volontà d’esser salvati. E questo è stato uno dei più penetranti strali della mia agonia del Getsemani.
   Va’ in pace tu, Maria di Maria, e non voler più peccare neppure nelle inezie. Sotto il manto di Maria non stanno che cose pure. Ricordalo. […]».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 7, 40-53: «Il Cristo viene forse dalla Galilea?».

Vangelo Novus Ordo Gv 7, 40-53
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, all’udire le parole di Gesù, alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!». Altri dicevano: «Costui è il Cristo!». Altri invece dicevano: «Il Cristo viene forse dalla Galilea? Non dice la Scrittura: “Dalla stirpe di Davide e da Betlemme, il villaggio di Davide, verrà il Cristo”?». E tra la gente nacque un dissenso riguardo a lui.
Alcuni di loro volevano arrestarlo, ma nessuno mise le mani su di lui. Le guardie tornarono quindi dai capi dei sacerdoti e dai farisei e questi dissero loro: «Perché non lo avete condotto qui?». Risposero le guardie: «Mai un uomo ha parlato così!». Ma i farisei replicarono loro: «Vi siete lasciati ingannare anche voi? Ha forse creduto in lui qualcuno dei capi o dei farisei? Ma questa gente, che non conosce la Legge, è maledetta!».
Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: «La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?». Gli risposero: «Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!». E ciascuno tornò a casa sua.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
Alcuni fra la gente dicevano: «Costui è davvero il profeta!».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CDXCI. Al Tempio nell’ultimo giorno della festa dei Tabernacoli. Discorso sull’Acqua viva.

   13 settembre 1946.
 
 1 Il Tempio è addirittura rigurgitante di gente. Manca però
 molto dell’elemento femminile e dei fanciulli. Il persistere di una stagione ventosa e con precoci acquazzoni, violenti anche se brevi, deve aver persuaso le donne alla partenza insieme coi fanciulli. Ma gli uomini di ogni parte della Palestina e i proseliti della Diaspora affollano letteralmente il Tempio per fare le ultime preghiere, le ultime offerte, e ascoltare le ultime lezioni degli scribi.
   I galilei seguaci di Gesù sono al completo, coi capi più importanti in prima fila, e al centro, molto compreso della sua qualità di parente, è Giuseppe d’Alfeo con il fratello Simone. Un altro gruppo serrato e in attesa è quello dei settantadue discepoli, dico così per dire i discepoli eletti da Gesù ad evangelizzare, mutato di numero e di volti perché alcuni degli anziani non ci sono più dopo la defezione seguita al discorso del Pane del Cielo, e altri se ne sono uniti di nuovi come Nicolai d’Antiochia. Terzo gruppo, pure molto unito e numeroso, quello dei giudei, fra i quali vedo il sinagogo di Emmaus, di Ebron, di Keriot; di Jutta invece è presente il marito di Sara, e di Betsur i parenti di Elisa.
   Sono presso la porta Bella ed è chiara la loro intenzione di circondare il Maestro non appena appaia. Infatti Gesù non può fare un passo entro la cinta senza che questi tre gruppi lo circondino, quasi ad isolarlo dai malevoli o anche da coloro che sono soltanto dei curiosi.
   Gesù si dirige all’atrio degli Israeliti per le preghiere, e gli altri lo seguono compatti per quanto lo permette l’affollamento, sordi ai malcontenti di chi deve scansarsi e far posto al gran numero di persone che è intorno a Gesù. Egli è fra i fratelli. E non è dolce come quello di Gesù lo sguardo, né umile come quello di Gesù il contegno di Giuseppe d’Alfeo, che squadra espressivamente alcuni farisei…
   Pregano e poi ritornano nel cortile dei Pagani. Gesù si siede umilmente al suolo, con le spalle al muro del portico e con un semicerchio che sempre più si fa fitto per file e file di persone, che si mettono alle spalle delle file più vicine a Lui, si siedono, oppure si addossano stando in piedi: un convergere di volti e di sguardi su un unico Volto. I curiosi, gli ignari venuti da lontano, i malevoli, sono oltre questa barriera di fedeli e si sforzano a vedere allungando i colli, sollevandosi sulle punte dei piedi.
   Gesù ascolta intanto questo e quello che chiede consigli, o riferisce notizie. Parlano così i parenti di Elisa riferendo di lei e domandando se può venire a servire il Maestro. Ed Egli risponde: «Non rimango qui. Più tardi verrà». E parla il parente di Maria di Simone, madre di Giuda di Keriot, dicendo che egli è rimasto a guardare i poderi, ma Maria è quasi sempre con la madre di Joanna. Giuda sbarra gli occhi stupito, ma non parla. E parla il marito di Sara, dicendo che presto gli nascerà un altro figlio e chiede come chiamarlo. Gesù risponde: «Giovanni se maschio, Anna se femmina». E il vecchio sinagogo di Emmaus gli sussurra piano qualche caso di coscienza, e Gesù piano gli risponde. E così via.

 2 Intanto la gente cresce sempre più. Gesù alza il capo e guarda. Essendo il portico sopraelevato di alcuni gradini, Egli, pur stando seduto al suolo, domina buona parte di cortile, da quel lato, e vede volti e volti.
   Si alza in piedi e dice a gran voce, con tutta la sua tonata e forte voce: «Chi ha sete venga a Me e beva! Dal seno di coloro che credono in Me scaturiranno fiumi d’acqua viva».
   La sua voce riempie l’ampio cortile, gli splendidi porticati, certo valica anche quelli di questo lato e si propaga altrove, soverchia ogni altra voce, come un armonico tuono pieno di promesse. Dice e poi tace qualche istante, come se avesse voluto enunciare il tema del discorso e poi dare tempo, a chi non ha interesse di ascoltarlo, di andarsene senza disturbare poi. Gli scribi ed i dottori tacciono, ossia abbassano le loro voci in un sussurro certo malevolo. Gamaliele non lo vedo.
   Gesù si fa avanti, fra il semicerchio che si apre al suo venire per poi rinchiudersi alle sue spalle, mutandosi da semicerchio in anello. Cammina adagio, maestosamente. Sembra scivolare sui marmi policromi del pavimento, col manto un poco allentato che gli fa dietro un accenno di strascico. Va sull’angolo del portico, del gradino sporgente sul cortile, e là si ferma. Domina così due lati della prima cinta. Alza il braccio destro nel suo atto abituale di quando inizia a parlare, mentre con la sinistra stretta sul petto si tiene a posto il manto.
   Ripete le parole iniziali:
   «Chi ha sete venga a Me e beva! Dal seno di coloro che credono in Me scaturiranno fiumi d’acqua viva!

 3 Colui che vide la teofania] del Signore, il grande Ezechiele, sacerdote e profeta, dopo avere profeticamente visto gli atti impuri nella profanata casa del Signore, dopo avere sempre profeticamente visto che solo i segnati dal Tau saranno viventi nella Gerusalemme vera, mentre gli altri conosceranno una e una strage, una e una condanna, uno e un castigo — e il tempo è vicino, o voi che mi udite, è vicino, è più vicino di quanto voi pensiate, onde vi esorto come Maestro e Salvatore a non tardare oltre a segnarvi del segno che salva, a non tardare oltre a mettere in voi la Luce e la Sapienza, a non tardare oltre a pentirvi e piangere, per voi e per gli altri, per potervi salvare — Ezechiele, dopo aver visto tutto questo e altro ancora, parla di una terribile visione. Quella delle ossa aride.
   Un giorno verrà che su un mondo morto, sotto un firmamento spento, appariranno allo squillo angelico ossa e ossa di morti. Come un ventre che si apre per partorire, così la Terra espellerà dalle sue viscere ogni ossa d’uomo che è morto su di essa ed è sepolto nel suo fango, da Adamo all’ultimo uomo. E sarà allora la risurrezione dei morti per il grande e supremo giudizio, dopo il quale, come un pomo di Sodoma, il mondo si svuoterà, divenendo un nulla, e cesserà il firmamento coi suoi astri. Tutto avrà termine, meno due cose eterne, lontane, agli estremi di due abissi di una profondità incalcolabile, in antitesi totale nella forma e nell’aspetto e nel modo con cui in essi proseguirà in eterno la potenza di Dio: il Paradiso: luce, gioia, pace, amore; l’Inferno: tenebre, dolore, orrore, odio.

 Ma credete voi che, perché il mondo non è ancora morto e le trombe angeliche non suonano a raccolta, lo sterminato campo della Terra non sia coperto di ossa senza vita, disseccate oltremodo, inerti, separate, morte, morte, morte? In verità vi dico che così è. Fra i viventi, perché respirano ancora, innumerevoli sono coloro che sono simili a cadaveri, alle ossa aride viste da Ezechiele. Chi sono costoro? Sono quelli che non hanno in loro la vita dello spirito.
   Ve ne sono in Israele come in tutto il mondo. E che fra i gentili e gli idolatri non siano che morti che attendono di essere vitalizzati dalla Vita, è cosa naturale, e dà dolore soltanto a coloro che possiedono la vera Sapienza, perché Essa fa loro comprendere che l’Eterno ha creato le creature per Lui e non per le idolatrie, e si affligge di vederne tante nella morte. Ma se l’Altissimo ha questo dolore, ed è già grande, quale dolore sarà il suo per quelli del suo Popolo che sono ossa biancheggianti, senza vita, senza spirito?
   Gli eletti, i prediletti, i protetti, i nutriti, gli istruiti da Lui direttamente o dai suoi servi e profeti, perché devono essere colpevolmente ossa aride, mentre per loro ha sempre gemuto un filo d’acqua vitale dal Cielo e li ha abbeverati di Vita e Verità? Perché si sono disseccati essi, piantati nella terra del Signore? Perché il loro spirito è morto, quando tutto un tesoro sapienziale lo Spirito Eterno ha messo a loro disposizione perché ne attingessero e vivessero? Chi, con qual prodigio potranno tornare alla Vita, se essi hanno lasciato le fonti, i pascoli, le luci date da Dio, e brancolano fra le caligini, e bevono fonti non pure, e si pascono di cibi non santi?
   Non torneranno dunque mai più vivi? Sì. In nome dell’Altissimo Io lo giuro. Molti risorgeranno. Dio ha già pronto il miracolo, anzi esso è già attivo, esso ha già operato in alcuni, e delle ossa aride si sono rivestite di vita perché l’Altissimo, al quale nulla è vietato, ha mantenuto la promessa e la mantiene, e sempre più la completa. Egli, dall’alto dei Cieli, grida a queste ossa che attendono la Vita: “Ecco, Io infonderò in voi lo spirito e vivrete”. Ed ha preso il suo Spirito, Se stesso ha preso, e ha formato una Carne a rivestire la sua Parola, e l’ha mandata a questi morti perché, parlando ad essi, si infondesse di nuovo in essi la Vita.
   Quante volte nei secoli Israele ha gridato: “Sono inaridite le nostre ossa, la nostra speranza è morta, siamo staccati!”. Ma ogni promessa è sacra, ogni profezia è vera. Ecco che è venuto il tempo in cui il Messo di Dio apre le tombe per trarne i morti e vivificarli per condurli seco nella vera Israele, nel Regno del Signore, nel Regno del Padre mio e vostro.

 5 Io sono la Risurrezione e la Vita! Io sono la Luce venuta ad illuminare chi giaceva nelle tenebre! Io sono la Fonte che zampilla Vita eterna. Chi viene a Me non conoscerà la Morte. Chi ha sete di Vita venga e beva. Chi vuole possedere la Vita, ossia Dio, creda in Me, e dal suo seno sgorgheranno non stille, ma fiumi d’acqua viva. Perché chi crede in Me formerà con Me il nuovo Tempio, dal quale scaturiscono le acque salutari delle quali parla Ezechiele.
   Venite a Me, o popoli! Venite a Me, o creature! Venite a formare un unico Tempio, perché Io non respingo nessuno, ma per amore vi voglio con Me, nel mio lavoro, nei miei meriti, nella mia gloria.
   “E io vidi acque che scaturivano di sotto la porta della casa, ad oriente… E le acque scendevano nel lato destro, a mezzogiorno dell’altare”.
   Quel Tempio sono i credenti nel Messia del Signore, nel Cristo, nella Nuova Legge, nella Dottrina del tempo di Salute e di Pace. Come di pietre sono formati i muri di questo tempio, così di spiriti vivi saranno formate le mistiche mura del Tempio che non morrà in eterno e che dalla Terra assurgerà al Cielo, come il suo Fondatore, dopo la lotta e la prova.
   Quell’altare dal quale sgorgano le acque, quell’altare a oriente sono Io. E le mie acque sgorgano da destra perché la destra è il posto degli eletti al Regno di Dio. Sgorgano da Me per riversarsi nei miei eletti e farli ricchi delle acque vitali, portatori di esse, spargitori di esse a settentrione e a mezzogiorno, a oriente e occidente, per dare Vita alla Terra nei suoi popoli che attendono l’ora di Luce, l’ora che verrà, che assolutamente verrà per ogni luogo prima che la Terra cessi di essere.
   Sgorgano e si spargono le mie acque mescolate a quelle che Io stesso ho dato e darò ai miei seguaci, e pur essendo sparse per bonificare la Terra saranno unite in un solo fiume di Grazia, sempre più profondo, sempre più vasto, accrescentesi giorno per giorno, passo per passo, delle acque dei nuovi seguaci, finché diverrà come un mare che bagnerà ogni luogo per santificare tutta la Terra.

 6 Dio questo vuole. Dio questo fa. Un diluvio ha lavato il mondo dando morte ai peccatori. Un nuovo diluvio, di altro liquido che pioggia non sia, laverà il mondo dando Vita. E, per un misterioso atto di grazia, gli uomini potranno esser parte di quel diluvio santificatore, unendo le loro volontà alla mia, le loro fatiche alla mia, le loro sofferenze alla mia. E il mondo conoscerà la Verità e la Vita. E chi vorrà parteciparvi potrà. E solo chi non vorrà essere nutrito delle acque di Vita diverrà luogo paludoso e pestifero, o rimarrà tale, e non conoscerà i pingui raccolti dei frutti di grazia, sapienza, salute, che conosceranno coloro che vivranno in Me.
   In verità vi dico per un’altra volta che chi ha sete e venga a Me beverà e non avrà più sete, perché la mia Grazia aprirà in lui fonti e fiumi d’acqua viva. E chi non crede in Me perirà come salina dove la vita non può sussistere.
   In verità vi dico che dopo di Me non cesserà la Fonte, perché Io non morrò ma vivrò e, dopo che me ne sarò andato, andato e non morto, ad aprire le porte dei Cieli, un Altro verrà che mi è uguale e che completerà la mia opera facendovi comprendere quello che vi ho detto e incendiandovi per farvi “luci”, posto che avete accolto la Luce».
 Gesù tace.

 7 La folla, che è stata silenziosa sotto l’impero del discorso, bisbiglia ora e commenta in diversa maniera.
   Chi dice: «Che parole! Egli è un vero profeta!».
   Chi: «È il Cristo. Ve lo dico. Neppur Giovanni parlava così. E nessun profeta è così forte».
   «E poi Egli ci fa capire i profeti, anche Ezechiele, tanto oscuro nei suoi simboli».
   «Sentito, eh!? Le acque! L’altare! È chiaro!».
   «E le ossa aride?! Hai visto come si sono turbati scribi e farisei e sacerdoti? Hanno capito il salmo!».
   «Già! E hanno mandato le guardie. Ma esse!… Si sono dimenticate di prenderlo e sono rimaste come pargoli che vedono gli angeli. Guardatele là! Sembrano sbalordite».
   «Guarda! Guarda! Un magistrato le richiama e rimprovera. Andiamo a sentire!».
 Intanto Gesù guarisce dei malati che gli vengono portati e non si cura di altro finché, facendosi largo fra la gente, un gruppo di sacerdoti e farisei, capitanati da un uomo sui trenta-trentacinque anni, che vedo scansare da tutti con un timore che è quasi un terrore, lo raggiunge.
   «Ancora sei qui? Vattene! In nome del Sommo Sacerdote!».
 Gesù si alza — era curvo su un paralitico — e li guarda calmo e mite. Poi torna a curvarsi per imporre le mani al malato.
   «Vattene! Hai capito? Seduttore di folle. O ti faremo arrestare».
   «Va’, e loda il Signore con una vita santa», dice Gesù al malato che sorge guarito, e questa è la sua unica risposta, mentre quelli che minacciano spumano veleno e la folla li ammonisce a non fare del male a Gesù coi suoi osanna.
   Ma, se Gesù è mite, non lo è Giuseppe d’Alfeo che, raddrizzandosi impettito, gettando il capo indietro per parere più alto, grida: «Eleazaro, o tu che coi tuoi pari vorresti abbattere lo scettro del Figlio eletto di Dio e di Davide, sappi che tu stai tagliando ogni pianta, la tua per prima, quella di cui tanto sei borioso. Perché la tua nequizia agita sul tuo capo la spada del Signore!», e direbbe dell’altro, ma Gesù gli posa la mano sulla spalla dicendo: «Pace, pace, fratello mio!», e Giuseppe, paonazzo di sdegno, tace.

 8 Si avviano verso l’uscita. E fuori della cinta viene riportato a Gesù che i capi dei sacerdoti e i farisei hanno rimproverato le guardie per non avere arrestato Gesù, e che esse si erano scusate dicendo che nessuno aveva mai parlato come Gesù. Risposta che aveva fatto imbestialire i principi dei sacerdoti e i farisei, fra i quali erano molti sinedristi. Tanto che, per provare alle guardie che solo gli stolidi potevano essere sedotti da un pazzo, volevano venire ad arrestarlo come bestemmiatore. Anche per insegnare alla folla a capire la verità. Ma Nicodemo, che era presente, si era opposto dicendo: «Non potete procedere contro di Lui. La nostra Legge vieta di condannare un uomo prima di averlo sentito e aver visto ciò che fa. E noi da Lui abbiamo sentito e visto soltanto cose non condannabili». Al che l’ira dei nemici di Gesù si era riversata su Nicodemo con minacce e insulti e beffe, come fosse uno stolto e un peccatore. E Eleazar ben Anna era partito personalmente, coi più furenti, per cacciare Gesù, non osando fare di più, data la folla.
   Giuseppe d’Alfeo è furente. Gesù lo guarda e dice: «Lo vedi, o fratello?». Non dice di più… ma c’è tanto in quelle parole! C’è il monito che Egli ha ragione se parla o se tace, c’è il ricordo di sue parole, c’è l’indice di ciò che è la Giudea nelle caste più importanti, di ciò che è il Tempio e così via.
   Giuseppe china il capo e dice: «Hai ragione…». Tace pensoso. Poi, d’improvviso, getta le braccia intorno alle spalle di Gesù e gli piange sul petto dicendo: «Povero fratello mio! Povera Maria! Povera Madre!». Credo che Giuseppe intuisca chiaramente, in questo momento, la sorte di Gesù…
   «Non piangere! Fa’ tu pure, come Io faccio, la volontà del Padre nostro!», lo conforta Gesù e lo bacia per consolarlo.

 9 Quando Giuseppe è un poco calmato, si avviano verso la casa dove egli è ospite e là si salutano baciandosi. E Giuseppe, molto, molto commosso, dice per ultime parole: «Va’ in pace, Gesù! Su tutto. Quello che ti ho detto presso Nazaret te lo ripeto, e più fortemente ancora. Va’ in pace. Abbi solo le cure del tuo lavoro. Al resto penso io. Va’ e Dio ti conforti». E lo bacia ancora, paterno nella faccia e nella carezza che, come una benedizione di capo famiglia, gli posa sul capo.
   Poi Giuseppe saluta i fratelli. Si salutano anche con Simone. Ma noto che Giacomo, non so per qual motivo, è piuttosto sostenuto con Giuseppe e viceversa. Invece con Simone c’è più affettuosità. L’ultima parola di Giuseppe a Giacomo è: «Devo dunque dire che ti ho perduto?».
   «No, fratello. Devi dire che tu sai dove sono e che perciò sta in te a trovarmi. Senza rancore. Con molte orazioni per te, anzi. Ma nelle cose dello spirito non bisogna prendere due sentieri insieme. Tu sai ciò che voglio dire…».
   «Lo vedi che io lo difendo…».
   «Difendi l’uomo e il parente. Non basta per darti quei fiumi di Grazia di cui Egli parlava. Difendi il Figlio di Dio, senza paura del mondo, senza calcolo di interesse, e sarai perfetto. Addio. Ti raccomando la madre nostra e Maria di Giuseppe…».
   Gesù — non so se ha sentito, perché intento a salutare gli altri nazareni e galilei — finiti i saluti ordina: «Andiamo sull’Uliveto. Da lì ci dirigeremo in qualche luogo…».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 7, 1-2.10.25-30: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero».

Vangelo Novus Ordo Gv 7, 1-2. 10. 25-30
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto.
Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov’è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia».
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».
Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
” Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora “.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CDLXXVIII. A colloquio con Giuseppe e Simone d’Alfeo che vanno alla festa dei Tabernacoli.

   22 agosto 1946

 1 Sorge appena il sole sulla natura rorida di una breve pioggia, caduta certo da poco perché la polvere della via ne è ancora bagnata senza per altro essere divenuta fango. Ecco perché dico che è piovuto da poco e che la pioggia è stata breve. Una prima acqua d’autunno, un’avvisaglia delle piogge novembrine che muteranno le strade palestinesi in un viscido nastro di mota. Ma questa, leggera, propizia ai viandanti, non ha fatto che bagnare la polvere – l’altro flagello di Palestina, riserbato ai mesi estivi, come il fango a quelli invernali – e lavare l’atmosfera e le foglie e le erbe, che brillano tutte, deterse, al primo raggio del sole. Un venticello dolce, puro, scorre per gli uliveti che coprono i colli nazareni, e sembra che un volo d’angeli scorra fra le piante pacifiche, tanto le fronde hanno nel loro frusciare un suono di grandi penne mosse in volo, e brillano nel loro argento imbrillantato, piegandosi tutte da un lato, come se dietro all’angelico volo rimanesse una scia di paradisiaca luce.
   La città è già sorpassata da qualche stadio quando Gesù, che ha camminato per delle scorciatoie fra i colli, entra nella strada maestra che da Nazaret va verso la piana di Esdrelon, la strada carovaniera che di minuto in minuto si anima di pellegrini. Fa pochi stadi sulla via quando ad un bivio – dove essa biforca presso una pietra miliare che sui due lati opposti porta scritto “Jafia Simonia-Betlem Carmelo” a ovest, e “Xalot-Naim scyolis-Engannim” ad est – vede fermi sul ciglio della strada i suoi cugini Giuseppe e Simone, insieme a Giovanni di Zebedeo, che lo salutano subito.
   «La pace a voi! Già qui siete? Io contavo di fermarmi qui aspettandovi e di essere il primo… e già vi trovo », e li bacia visibilmente contento di vederli.
   «Non potevi giungere per primo. Per tema che Tu passassi prima che noi qui fossimo, siamo partiti al lume delle stelle, subito offuscate dalle nubi ».
   «Vi avevo detto che mi avreste visto. Allora tu, Giovanni, non hai dormito ».
   «Poco, Maestro, ma sempre più di Te certo. Ma non fa nulla », e il sereno viso di Giovanni sorride, vero specchio del suo felice carattere sempre contento di tutto.

 2 «Ebbene, fratello mio. Mi volevi parlare? », dice Gesù a Giuseppe.
   «Sì… Vieni un poco dentro quel vigneto. Saremo più in pace », e per primo Giuseppe d’Alfeo si inoltra fra due filari di viti già dispogliate del loro frutto. Solo qualche racimolo resta ancora sui tralci, fra le foglie che biondeggiano prossime a cadere, per la fame del povero e del pellegrino, secondo le prescrizioni mosaiche.
   Gesù lo segue con Simone. Giovanni resta sulla via, ma Gesù lo chiama dicendo: «Puoi venire, Giovanni. Tu sei il mio testimonio ».
   «Ma… », dice l’apostolo guardando interdetto i due figli d’Alfeo.
   «No, no. Vieni pure. Anzi, vogliamo che tu senta le nostre parole », dice Giuseppe e allora Giovanni scende a sua volta nel vigneto, dove tutti insieme si inoltrano tanto, seguendo la curva dei filari, da essere non visti dalla via.

 3 «Gesù, io ho avuto gioia vedendo che mi ami », dice Giuseppe.
   «E lo potevi dubitare? Non ti ho sempre amato? ».
   «Io pure ti ho sempre amato. Ma… nel nostro amore da qualche tempo non ci comprendevamo più. Io… non potevo approvare ciò che facevi. Perché mi pareva la tua rovina, quella di tua Madre e la nostra. Tu sai… Tutti noi galilei anziani ricordiamo come fu percosso Giuda il Galileo e come furono dispersi i suoi parenti e seguaci e confiscati i loro beni. Chi non fu ucciso fu mandato alle galere e i suoi beni confiscati. Io non volevo questo per noi. Perché… Sì, mi pareva che non dovesse essere vero che proprio da noi, della stirpe di Davide, sì, ma così… Non ci manca il pane, questo no, e ne venga data lode all’Altissimo. Ma dove è la grandezza regale che tutte le profezie attribuiscono a colui che sarà Messia? E sei Tu la verga che percuote per dominare?. Luce non fosti al sorgere. Neppure nella tua casa nascesti!… Oh! le so le profezie! Noi, legno secco ormai. Ma nulla diceva che lo avesse il Signore rivestito di fronde. E Tu che sei, se non un giusto? Questi i pensieri per cui ti combattevo, gemendo sulla nostra rovina. E su questo mio gemere ecco venire dei tentatori a far divampare ancor più le mie idee di grandezza, di regalità… Gesù, tuo fratello fu stolto. Ho creduto ad essi e ti ho dispiaciuto. È duro confessarlo, ma lo devo dire. E Tu pensa che tutto Israele era in me, come me stolto, come me sicuro che la forma del Messia non fosse quale tu ce la dai… È duro dire: “Ho sbagliato! Abbiamo sbagliato e sbagliamo! Da secoli”. Ma tua Madre mi ha spiegato le parole dei profeti. Oh! sì! Ha ragione Giacomo. E ha ragione Giuda. Sentite da Lei, così come essi le sentirono da fanciulli, si vede che Tu sei il Messia. Ecco. I miei capelli imbiancano perché non sono più un fanciullo, e non lo ero neppure quando Maria tornò dal Tempio sposata a Giuseppe. E ricordo quei giorni. E la riprovazione stupita di mio padre quando vide che il fratello non compiva le nozze in breve tempo. Stupore suo, stupore di Nazaret. E anche mormorazione. Perché non è d’uso lasciar scorrere tanti mesi avanti le nozze, mettendosi in condizioni di peccare e di… Gesù, io ho stima di Maria e onoro la memoria del parente mio. Ma il mondo… Per il mondo non è stato un buon momento… Tu… Oh! ora io so. Tua Madre mi ha spiegato le profezie. Ecco perché Dio volle che avessero ritardo le nozze. Perché la tua nascita coincidesse con il grande editto e Tu nascessi in Betlem di Giuda. E… tutto, sì, mi ha spiegato Maria, ed è stato come una luce a capire quanto Ella per umiltà ha taciuto. E dico: sei il Messia. Così ho detto, così dirò. Ma dirlo non era ancora cambiare la mente… perché la mia mente pensava re il Messia. Le profezie parlano… ed è difficile capire altro carattere del Messia che non sia di re… 

 4 Mi segui? Sei stanco?».   
   «No, ascolto ».
   «Ebbene… Quelli che seducevano il mio cuore sono tornati e volevano che io ti forzassi… E, perché non ho voluto, dal loro volto è caduto il velo e sono apparsi qual sono. I falsi amici: i veri nemici… E altri sono venuti, piangenti come peccatori, e li ho uditi. Hanno ripetuto le tue parole nella casa di Cusa… Ora io so che Tu regnerai sugli spiriti, ossia sarai Colui in cui tutta la sapienza d’Israele si accentra per dare leggi nuove e universali. In Te la sapienza dei patriarchi e quella dei giudici, e quella dei profeti, e quella dei nostri avi Davide e Salomone, in Te la sapienza che guidò i re, Neemia ed Esdra, in Te quella che resse i Maccabei. Tutta la sapienza di un popolo, del nostro popolo, del Popolo di Dio. Capisco che Tu darai al mondo, tutto soggetto al tuo potere, le tue leggi sapientissime. E veramente popolosi santi sarà il tuo popolo. 

 5 Ma, fratello mio, Tu non puoi fare questo da solo. Mosè, per tanto meno, si scelse degli aiuti. E non era che un popolo! Tu… Tutto il mondo! Tutto ai tuoi piedi!… Ah! Ma per questo Tu devi farti conoscere… Perché sorridi con le labbra, stando ad occhi chiusi? ».
   «Perché ascolto e perché mi chiedo: “Il mio fratello dimentica di avermi rimproverato perché mi facevo conoscere, dicendo che avrei nuociuto a tutta la famiglia!”. Ecco perché sorrido. E anche penso che da due anni e sei mesi Io non faccio che farmi conoscere ».
   «È vero. Ma… Chi ti conosce? Dei poveri. Dei contadini. Dei pescatori. Dei peccatori. E delle donne! Bastano le dita della mano a contare, fra chi ti conosce, chi non è una nullità senza valore. Io dico che Tu devi farti conoscere dai grandi d’Israele. Dai Sacerdoti, dai Principi dei Sacerdoti, dagli Anziani, dagli Scribi, dai grandi Rabbi d’Israele, da tutti quelli che sono pochi ma valgono una moltitudine. Questi ti devono conoscere! Essi, quelli che non ti amano, fra le loro accuse che, ora lo capisco, sono false, una ne hanno di vera, di giusta: quella che Tu li trascuri. Perché non vai per quello che sei e li conquisti colla sapienza tua? Sali al Tempio e insediati nel Portico di Salomone – sei della stirpe di Davide e profeta, quel posto ti spetta, a nessuno coma a Te spetta, di diritto – e parla ».
   «Ho parlato. Mi hanno odiato per questo ».
   «Insisti. E parla da re. Non ricordi la potenza, la maestà degli atti di Salomone? Se (splendido questo se!) Tu sei proprio il profetizzato dai profeti, come le profezie viste con gli occhi dello spirito illustrano, Tu sei più che uomo. Egli, Salomone, non era che uomo. E allora mostrati per ciò che sei, ed essi ti adoreranno ».
   «Mi adoreranno i Giudei, i Principi e i Capi delle famiglie e tribù d’Israele? Non tutti, ma qualcuno che non mi adora mi adorerà in spirito e verità. Ma non sarà ora. Prima devo cingere la corona e prendere lo scettro e vestire la porpora ».
   «Ah! Allora sei re, lo sarai presto! Tu lo dici! È come io pensavo! È come molti pensano! ».
   «In verità tu non sai come Io regnerò. Solo Io e l’Altissimo, e poche anime alle quali lo Spirito del Signore si è compiaciuto di rivelarlo, ora e nei tempi passati, sappiamo come regnerà il Re d’Israele, l’Unto di Dio».

 6 «Però, ascolta anche me, fratello. Però Giuseppe ha ragione. Come vuoi che ti amino o che ti temano se Tu sfuggi sempre di sbalordirli? Non vuoi chiamare Israele alle armi? Il vecchio grido di guerra e vittoria non lo vuoi dire? Ma almeno – non è la prima volta che così avvengono le acclamazioni al trono in Israele – ma almeno per osanna di popolo, ma almeno per aver saputo strappare questo osanna colla tua potenza di Rabbi e Profeta, diventa re », dice Simone d’Alfeo.
   «Già lo sono. Da sempre ».
   «Sì. Ce lo ha detto un capo del Tempio. Sei nato re dei giudei. Ma Tu non ami la Giudea. Sei un re disertore perché ad essa non vai. Sei un re non santo se non ami il Tempio dove il volere di un popolo ti ungerà re. Senza il volere di un popolo, se ad esso non vuoi importi con violenza, Tu non puoi regnare», ribatte Simone.
   «Senza il volere di Dio, vuoi dire Simone. Che è il volere del popolo? Che è il popolo? Per chi è popolo? Chi lo regge tale? Dio. Non dimenticarlo, Simone. E Io sarò ciò che Dio vuole. Per suo volere sarò ciò che devo essere. E nulla potrà impedire che Io lo sia. Non avrò da gettare Io il grido a raccolta. Israele non sarà tutto presente alla mia proclamazione. Non avrò Io da salire al Tempio per essere proclamato. Mi ci porteranno. Tutto un popolo mi ci porterà perché Io salga sul mio trono. Mi accusate di non amare la Giudea… Nel cuore di essa, in Gerusalemme, Io diverrò il “Re dei Giudei”. Saul non fu proclamato re a Gerusalemme, e Davide neppure, e neppure Salomone. Ma Io sarò unto Re in Gerusalemme. Ma ora Io non andrò pubblicamente al Tempio e non mi ci insedierò, perché non è la mia ora ».

 7 Giuseppe riprende la parola. «Tu fai passare la tua ora. Io te lo dico. Il popolo è stanco degli oppressori stra-nieri e dei nostri capi. Questa è l’ora. Io te lo dico. Tutta la Palestina, meno la Giudea, e non tutta, ti segue come Rabbi e più ancora. Sei come un vessillo alzato su una vetta. Tutti ti guardano. Sei come un’aquila e tutti seguono il tuo volo. Sei come un vendicatore. E tutti attendono che Tu scocchi la freccia. Và. Lascia la Galilea, la Decapoli, la Perea, le altre regioni, e và nel cuore d’Israele, nella cittadella dove tutto il male è rinchiuso e da dove deve venire il bene, e conquistala. Anche là hai discepoli. Ma tiepidi, perché poco ti conoscono. Ma pochi, perché non vi sosti. Ma dubbiosi, perché non hai fatto là opere che hai fatto altrove. Vattene in Giudea, affinché anche quelli vedranno ciò che Tu sei attraverso le tue opere. Tu rimproveri i giudei di non amarti. Ma come puoi pretendere di esserlo se stai nascosto a loro? Nessuno, che cerchi e desideri di essere acclamato in pubblico, fa di nascosto le sue opere, ma le fa in modo che il pubblico le veda. Se Tu dunque puoi fare prodigi sui cuori, sui corpi e sugli elementi, và là e fatti conoscere al mondo». 
   «Ve l’ho detto: non è la mia ora. Non è ancor venuto il mio tempo. A voi sembra sempre il tempo giusto, ma così non è. Io devo prendere il tempo mio. Non prima. Non poi. Prima sarebbe inutile. Mi farei cancellare dal mondo e dai cuori prima di aver compiuto la mia opera. E il lavoro già fatto non darebbe frutto, perché non compiuto e non aiutato da Dio, il quale vuole che Io lo compia senza tralasciarne una parola o un’azione. Io devo ubbidire al Padre mio. E non farò mai ciò che sperate, perché ciò servirebbe a nuocere al disegno del Padre mio.
   Io vi capisco e vi compatisco. Non ho rancore per voi. Non ho neppure stanchezza, tedio per la vostra cecità… Non sapete. Ma Io so. Voi non sapete. Voi vedete la superficie del volto del mondo. Io vedo il profondo. Il mondo mostra a voi un volto ancor buono. Non vi odia, non perché vi ami ma perché non meritate il suo odio. Siete troppo poca cosa. Ma odia Me, perché Io sono un pericolo per il mondo. Un pericolo per la falsità, per la cupidigia, per la violenza che è il mondo.

 8 Io sono la Luce, e la luce illumina. Il mondo non ama la luce, perché essa disvela le azioni del mondo. Il mondo non mi ama, non mi può amare, perché sa che Io sono venuto a vincerlo nel cuore degli uomini e nel re tenebroso che lo domina e lo travia. Il mondo non si vuole convincere che Io sono il suo Medico e Medicina e, come un folle, vorrebbe abbattermi per non essere guarito. Il mondo ancora non vuole persuadersi che Io sono il Maestro, perché ciò che Io dico è contrario a ciò che esso dice. E allora cerca di strozzare la Voce che parla al mondo per ammaestrarlo a Dio, per mostrargli la vera natura delle sue azioni che sono malvagie.
   Fra Me e il mondo è un abisso. E non per mia colpa. Io sono venuto per dare al mondo la Luce, la Via, la Verità, la Vita. Ma il mondo non mi vuole accogliere, e la mia luce per esso diviene tenebre, perché sarà la causa della condanna di coloro che non mi vollero. Nel Cristo è tutta la Luce per coloro fra gli uomini che lo vogliono accogliere, ma sono anche nel Cristo tutte le tenebre per coloro che mi odiano e mi respingono. Per questo, all’inizio dei miei giorni mortali, Io sono stato profeticamente indicato come “segno di contraddizione”. Perché, a seconda di come sarò accolto, sarà salute o condanna, morte o vita, luce o tenebre. Ma coloro che mi accolgono, in verità in verità vi dico che diverranno figli della Luce, ossia di Dio, nati, per avere accolto Dio, a Dio.

 Perciò, se Io sono venuto per fare degli uomini di Figli di Dio, come posso Io fare di Me un re, come, per amore o per odio, per semplicità o malizia, molti in Israele volete fare? Non comprendete che distruggerei Me stesso, ossia il Messia, non il Gesù di Maria e Giuseppe di Nazaret? Distruggerei il Re dei re, il Redentore, il Nato da una Vergine chiamato Emmanuele (Isaia 7, 14), chiamato l’Ammirabile, il Consigliere (Isaia 9, 5-6), il Forte, il Padre del secolo futuro, il Principe della pace, Dio, Colui il cui impero e la cui pace non avranno confini, sedendo sul trono di Davide per la discendenza umana, ma avendo il mondo a sgabello ai suoi piedi, a sgabello ai suoi piedi tutti i suoi nemici e il Padre al suo fianco, come è detto nel libro dei Salmi (Salmo 110, 1), per diritto sovrumano di origine divina? Non capite che Dio non può essere Uomo altro che per perfezione di bontà, per salvare l’uomo, ma non può, non deve avvilire Se stesso a povere cose umane? Non capite che se Io accettassi la corona, questo regno come voi lo concepite, confesserei che sono un falso Cristo, mentirei a Dio, rinnegherei Me stesso e il Padre, e peggio di lucifero sarei, perché priverei Dio della gioia di avervi, sarei peggio di Caino per voi, perché vi condannerei a un perpetuo esilio da Dio in un Limbo senza speranza di Paradiso?
   Tutto questo non capite? Non capite il tranello degli uomini per farmi cadere? Il tranello di satana per colpire l’Eterno nel suo Diletto e nelle sue creature: gli uomini? Non capite che questo è il segno che Io sono più che uomo, che Io sono l’Uomo-Dio? Questo mio non appetire che a cose spirituali per darvi il Regno spirituale di Dio?… Non capite che il segno che Io… ».
   «Le parole di Gamaliele!», esclama Simone.
   «…che Io non sono un re, ma il Re, è questo odio di tutto l’inferno e di tutto il mondo verso di Me? Io devo insegnare, soffrire, salvarvi. Questo devo. E questo satana non vuole e non vogliono i satana. 

10 Uno di voi ha detto: “Le parole di Gamaliele”. Ecco. Egli non è mio discepolo e non lo sarà mai mentre Io sarò di questo mondo. Ma egli è un giusto. Ebbene, fra quelli che mi tentano e che vi tentano al povero regno umano, è forse Gamaliele? ».
   «Oh! no! Stefano ha detto che il rabbi, saputo ciò che è avvenuto da Cusa, ha esclamato: “Il mio spirito trasale domandandosi se Egli possa essere veramente ciò che dice. Ma ogni domanda sarebbe morta prima di formarsi nella mente, e per sempre, se Egli avesse acconsentito a questa cosa. Il fanciullo che io ho sentito ha detto che la schiavitù come la regalità non saranno quali le credevamo, mal comprendendo i profeti, ossia materiali, ma dello spirito, per opera del Cristo, Redentore della colpa e fondatore del Regno di Dio negli spiriti. Io ricordo queste parole. E misuro il Rabbi su quelle. Se nel misurarlo Egli fosse inferiore a quell’altezza, io lo respingerei come peccatore e mentitore. E ho tremato di vedere disciogliersi nel nulla la speranza che quel fanciullo vi ha messa” », dice Simone.
   «Sì, ma intanto non lo dice Messia », ribatte Giuseppe.
   «Attende un segno, dice », risponde Simone.
   «E Tu daglielo allora! E che sia potente ».
   «Gli darò ciò che gli ho promesso. Ma non ora. 

11 Andate voi intanto a questa festa. Io non ci vengo pubblicamente, come rabbi, come profeta, per impormi, perché non è ancora il mio tempo ».
   «Ma almeno in Giudea ci andrai? Darai ai giudei delle prove che li facciano convinti? Perché non possano dire… ».
   «Sì. Ma credi che gioveranno alla mia pace? Fratello, più Io farò e più sarò odiato. Ma ti accontenterò. Darò loro delle prove che più grandi non potranno essercene… e dirò loro parole capaci di mutare i lupi in agnelli, le dure pietre in molle cera. Ma non gioveranno… ». Gesù è triste.
   «Ti ho dato dolore? Dicevo per il tuo bene ».
   «Non tu mi dài dolore… Vorrei però che tu mi capissi, che tu, fratello mio, mi vedessi per ciò che sono… Vorrei andarmene con la gioia di saperti mio amico. L’amico comprende e tutela gli interessi dell’amico… ».
   «E io ti dico che lo farò. So che ti odiano. Ormai lo so. Per questo sono venuto. Ma Tu lo sai. Veglierò su Te. Sono il maggiore. E rintuzzerò le calunnie. E penserò a tua Madre », promette Giuseppe.
«Grazie, Giuseppe. È grande il mio peso, e tu lo sollevi. Il dolore, un mare, si avanza con le sue onde a sommergermi, e con esso l’odio… Ma, se ho il vostro amore, nulla è. Perché il Figlio dell’uomo ha un cuore… e questo cuore ha bisogno di amore… ».
   «E io te lo do. Sì. Per l’occhio di Dio che mi vede, io ti dico che te lo do. Và in pace, Gesù, al tuo lavoro. Io ti aiuterò. Ci volevamo bene. Poi… Ma ora torniamo quelli di un tempo. Uno per l’altro. Tu: il Santo, io: l’uomo, ma uniti per la gloria di Dio. Addio, fratello».
   «Addio, Giuseppe ».
   Si baciano, e poi è la volta di Simone che chiede: «Benedicici perché si aprano i nostri cuori a tutta la luce».
   Gesù li benedice e prima di lasciarli dice ancora: «Vi affido mia Madre… ».
   «Và in pace. Due figli avrà in noi ».
   Si lasciano.

12 Gesù torna sulla via e con Giovanni al fianco si dà a camminare svelto svelto.
   Dopo un bel poco di tempo Giovanni rompe il silenzio per chiedere: «Ma Giuseppe d’Alfeo è o non è convinto ormai? ».
   «Non ancora ».
   «E allora Tu cosa sei per lui? Messia? Uomo? Re? Dio? Non ho capito bene. Mi pare che egli…».
   «Giuseppe è come uno di quei sogni del mattino, in cui la mente già si accosta alla realtà alleggerendosi del sonno pesante che dava irreali sogni talora d’incubo. I fantasmi della notte recedono, ma ancora la mente fluttua nel sogno che non si vorrebbe avesse fine, perché bello… Così lui. Si avvicina al risveglio. Ma per ora carezza ancora il sogno. Lo trattiene quasi. Perché per lui è bello… Ma bisogna saper prendere ciò che l’uomo può dare. E lodare l’Altissimo per la trasformazione sin qui avvenuta. Beati i fanciulli! Così facile per loro credere! », e Gesù passa un braccio alla cintura di Giovanni, che sa esser fanciullo e credere, per fargli sentire il suo amore.

   Cap. CDLXXXVII. Al Tempio per la festa dei Tabernacoli. Discorso sulla natura del Cristo.

   4 settembre 1946.
 
 1 Il Tempio è ancor più affollato del giorno avanti. E nella folla che empie e si agita nel primo cortile vedo molti gentili, molti più di ieri. Sono tutti in viva attesa, tanto gli israeliti come i gentili. E parlano, gentili con gentili, ebrei con ebrei fra di loro, a capannelli sparsi qua e là, senza perdere d’occhio le porte.
   I dottori, sotto i portici, si affannano ad alzare la voce per attirare e fare sfoggio di eloquenza. Ma la gente è distratta ed essi predicano a pochi allievi.
   Gamaliele c’è. Al suo posto. Ma non parla. Passeggia avanti e indietro sul suo sontuoso tappeto, con le braccia conserte, il capo chino, meditando, e la lunga veste, l’ancor più lungo mantello, che ha disciolto e che pende trattenuto da due rosoni d’argento alle spalle, gli fanno dietro uno strascico che egli respinge col piede quando torna sui suoi passi. I suoi discepoli, i più fedeli, addossati al muro, lo guardano in silenzio, intimoriti, e rispettano la meditazione del loro maestro.
     Dei farisei, dei sacerdoti, mostrano di avere un gran da fare, e vanno e vengono… La gente, che capisce le loro vere intenzioni, se li addita e qualche commento parte come un razzo bruciante a bruciare la loro ipocrisia. Ma essi fingono di non sentire. Sono pochi rispetto ai molti che non odiano Gesù e che invece odiano loro, e trovano perciò prudente non reagire.
 2 «Eccolo! Eccolo! Viene dalla porta Dorata, oggi!».
   «Corriamo!».
  «Io resto qua. Verrà qua a parlare. Non perdo il posto».
   «Neppure io, anzi quelli che se ne vanno fanno posto a noi che restiamo».
   «Ma lo lasceranno parlare?».
   «Se lo hanno lasciato entrare!…».
   «Sì, ma è un’altra cosa. Come figlio della Legge non possono impedirgli di entrare. Ma come rabbi possono cacciarlo se vogliono».
   «Quante differenze! Se lo lasciano andare a parlare al Dio, perché non lo devono lasciar parlare a degli uomini?» (questo è un gentile che parla).
   «È vero», dice un altro gentile. «Noi perché siamo impuri non ci lasciate andare là, ma qui sì, sperando che si diventi circoncisi…».
   «Taci, Quinto. È per questo che lo lasciano parlare a noi. Sperando di potarci come fossimo alberi. Noi invece veniamo per mettere le sue idee come rami d’innesto in noi selvatici».
   «Dici bene. L’unico che non ci sdegni!».
   «Oh! per questo! Quando si va con una borsa di monete a comperare non ci sdegnano neanche gli altri».
   «Guarda! Noi gentili siamo rimasti padroni del luogo. Sentiremo bene! E vedremo meglio! Mi piace vedere i visi dei suoi nemici. Per Giove! Un combattimento di volti…».
   «Taci! Non ti far sentire a nominare Giove. È proibito qui».
   «Oh! fra Giove e Jeové non c’è che poca differenza. E fra dèi non si offenderanno… Io sono venuto per buon desiderio di ascolto. Non per deridere. Se ne parla tanto da per tutto di questo Nazareno! Ho detto: è buona la stagione e vado a sentirlo. C’è chi va più lontano a sentire gli oracoli…».
   «Da dove vieni?».
   «Da Perge. E tu?».
   «Da Tarso».
   «Io sono quasi ebreo. Mio padre era un ellenista di Iconio. Ma sposò ad Antiochia di Cilicia una romana e poi morì prima che io nascessi. Ma il seme è ebreo».
   «Tarda a venire… Che lo abbiano preso?».
   «Non temere. Ce lo direbbero gli urli della folla. Questi ebrei strillano come gazze inquiete, sempre…».
   «Oh! eccolo proprio. Verrà proprio qui?».
   «Non vedi che ad arte hanno occupato tutti i luoghi meno quest’angolo? Senti quanti ranocchi gracidano per fingersi mae­stri?».
   «Quello là tace, però. È vero che è il più grande dottore d’Israele?».
   «Sì, ma… che pedante! Lo ascoltai un giorno e per digerire la sua scienza ho dovuto bere molte coppe di falerno da Tito a Bezeta». Ridono fra loro.
 3 Gesù si avvicina lentamente. Passa davanti a Gamaliele, il quale non alza neppure la testa, e poi va al posto di ieri.
   La gente, ora mista di israeliti, proseliti e gentili, capisce che sta per parlare e sussurra: «Ecco che parla pubblicamente e non gli dicono niente».
   «Forse i principi e i capi hanno riconosciuto in Lui il Cristo. Ieri Gamaliele, andato via il Galileo, ha parlato molto con degli Anziani».
   «Possibile? Come hanno fatto a riconoscerlo di un subito, se solo poco prima lo ritenevano un degno di morte?».
   «Forse Gamaliele possedeva delle prove…».
   «E che prove? Che prove volete che abbia in favore di quel­l’uomo?», investe uno.
   «Sta’ zitto, sciacallo. Non sei che l’ultimo degli scrivani. Chi ti ha interrogato?», e gli danno la baia. Egli si allontana.
   Ma ne subentrano altri, non appartenenti al Tempio, ma certo agli increduli giudei: «Le prove le abbiamo noi. Noi sappiamo di dove è costui. Ma il Cristo, quando verrà, nessuno saprà di dove sia. Di Quello non sapremo l’origine. Ma di questo!!! È figlio di un falegname di Nazaret, e tutto il suo paese può portare qui testimonianza contro noi se mentiamo…».
 Intanto si sente la voce di un gentile che dice: «Maestro, parla un poco a noi, oggi. Ci è stato detto che Tu asserisci essere tutti gli uomini venuti da un solo Dio, il tuo. Tanto che li chiami figli del Padre. Una simile idea ebbero anche dei poeti stoici nostri. Dissero: “Noi siamo progenie di Dio”. I tuoi connazionali ci dicono più impuri di bestie. Come concili le due tendenze?».
   La questione è posta secondo le consuetudini delle dispute filosofiche, almeno credo. E Gesù sta per rispondere, quando più forte si alza la disputa fra i giudei increduli e quelli credenti, e una voce stridula ripete: «Egli è un semplice uomo. Il Cristo non sarà tale. Tutto sarà di eccezione in Lui. Forma, natura, origine…».
 4 Gesù si volge in quella direzione e dice forte: «Dunque conoscete Me e conoscete da dove vengo? Ne siete ben sicuri? E anche quel poco che sapete non vi dice nulla? Non vi è conferma alle profezie? Ma voi tutto di Me non conoscete. In verità, in verità vi dico che Io non sono venuto da Me e da dove voi credete che Io sia venuto. È la stessa Verità, che voi non conoscete, quella che mi ha mandato».
   Un urlo di sdegno si alza dai nemici.
   «La stessa Verità. Voi non sapete le sue opere. Voi non sapete le sue vie. Quelle vie per le quali Io sono venuto. L’odio non può conoscere le vie e le opere dell’Amore. Le tenebre non possono sostenere la vista della Luce. Ma Io conosco Colui che mi ha mandato perché Io sono suo, sua parte e un Tutto con Lui. Ed Egli mi ha mandato perché Io compia ciò che il suo Pensiero vuole».
   Avviene un tumulto. I nemici si avventano per mettergli addosso le mani, catturarlo, percuoterlo. Apostoli, discepoli, popolo, gentili, proseliti, reagiscono per difenderlo. Accorrono altri in soccorso dei primi e forse riuscirebbero, ma Gamaliele, che fino a quel momento pareva estraneo ad ogni cosa, lascia il suo tappeto e viene verso Gesù, respinto da chi lo vuole difendere sotto il porticato, e grida: «Lasciatelo stare. Voglio sentire ciò che dice». Più del drappello di legionari, che dall’Antonia accorrono a sedare il tumulto, fa la voce di Gamaliele. Il tumulto cade come un turbine che si spezza, e si cheta il clamore in un brusio. I legionari, per prudenza, restano presso la cinta esterna, ma inutili ormai.
   «Parla», ordina Gamaliele a Gesù. «Rispondi a chi ti accu­sa». Il tono è imperioso, ma non schernitore.
 5 Gesù si fa avanti, verso il cortile. Pacato, riprende a parlare. Gamaliele resta dove è, e i suoi discepoli si affannano a portargli tappeto e sgabello perché stia comodo. Ma egli rimane in piedi, con le sue braccia conserte, il capo chino, gli occhi chiusi, concentrato ad ascoltare.
   «Mi avete accusato senza ragione come se avessi bestemmiato in luogo di aver detto la verità. Io, non per difendermi, ma per darvi la luce acciò possiate conoscere la Verità, parlo. E non parlo per Me stesso. Ma parlo ricordando le parole nelle quali credete e sulle quali giurate. Esse testimoniano di Me. Voi, lo so, non vedete in Me che un uomo simile a voi, inferiore a voi. E vi pare che sia impossibile che un uomo possa essere il Messia. Almeno pensate che avesse ad essere un angelo, questo Messia, che deve essere di un’origine talmente misteriosa da poter essere re solo per l’autorità che il mistero della sua origine suscita. Ma quando mai nella storia del nostro popolo, nei libri che formano questa storia e che saranno libri eterni quanto il mondo, perché ad essi dottori di ogni paese e di ogni tempo attingeranno per corroborare la loro scienza e le loro ricerche sul passato con le luci della verità, quando mai in questi libri è detto che Dio abbia parlato ad un suo angelo per dirgli: “Tu mi sarai d’ora in poi Figlio perché Io ti ho generato”?».
   Vedo Gamaliele che si fa dare una tavoletta e delle pergamene e si siede scrivendo…
 6 «Gli angeli, creature spirituali, serve dell’Altissimo e sue messaggere, sono state create da Lui come l’uomo, come gli animali, come tutto ciò che fu creato. Ma non sono state generate da Lui. Perché Dio genera unicamente un altro Se stesso, non potendo il Perfetto generare altro che un Perfetto, un altro Essere pari a Se stesso, per non avvilire la sua perfezione col generare una creatura di Sé inferiore. Or dunque, se Dio non può generare gli angeli e neppure elevarli alla dignità di suoi figli, quale sarà il Figlio al quale Egli dice: “Tu sei mio Figlio. Oggi ti ho generato”? E di che natura sarà se, generandolo, Egli dice indicandolo ai suoi angeli: “E Lui adorino tutti gli angeli di Dio”? E come sarà questo Figlio, per meritare di sentirsi dire dal Padre, da Colui che è per sua grazia se gli uomini lo possono nominare col cuore che si annichila adorando: “Siedi alla mia destra finché Io faccia dei tuoi nemici sgabello ai tuoi piedi”? Quel Figlio non potrà essere che Dio come il Padre, del quale divide gli attributi e le potenze, e col quale gode della Carità che li letifica negli ineffabili e inconoscibili amori della Perfezione per Se stessa.
   Ma, se Dio non ha giudicato conveniente elevare al grado di Figlio un angelo, avrebbe mai potuto dire di un uomo ciò che disse di Colui che qui vi parla — e molti fra voi che mi combattete eravate presenti quando lo disse — là al guado di Betabara, al finire di tre anni da questo? Voi lo udiste e tremaste. Perché la voce di Dio è inconfondibile, e senza una sua speciale grazia atterra chi la ode e ne scrolla il cuore.
   Cosa è dunque l’Uomo che vi parla? È forse uno nato da seme e da volere d’uomo come tutti voi? E potrebbe l’Altissimo aver posto lo Spirito suo ad abitare una carne priva di grazia, quale è quella degli uomini nati da voler carnale? E potrebbe l’Altissimo, a soddisfare la gran Colpa, essere pago del sacrificio di un uomo? Pensate. Egli non elegge un angelo ad esser Messia e Redentore, può mai allora eleggere un uomo ad esserlo? E poteva il Redentore essere soltanto Figlio del Padre senza assumere natura umana, ma con mezzi e poteri che superano le umane deduzioni? E il Primogenito di Dio poteva mai aver dei genitori, se Egli è il Primogenito eterno? Non vi si sconvolge il superbo pensiero davanti a questi interrogativi, che salgono verso i regni della Verità, sempre più vicini ad essa, e che trovano risposta solo in un cuore umile e pieno di fede?
   Chi deve essere il Cristo? Un angelo? Più che un angelo. Un uomo? Più che un uomo. Un Dio? Sì, un Dio. Ma con unita una Carne, perché essa possa compiere l’espiazione della carne colpevole. Ogni cosa va redenta attraverso la materia con cui peccò. Dio avrebbe perciò dovuto mandare un angelo per espiare le colpe degli angeli decaduti, e che espiasse per Lucifero e i suoi seguaci angelici. Perché, lo sapete, anche Lucifero peccò. Ma Dio non manda uno spirito angelico a redimere gli angeli tenebrosi. Essi non hanno adorato il Figlio di Dio, e Dio non perdona il peccato contro il suo Verbo generato dal suo Amore. Però Dio ama l’uomo e manda l’Uomo, l’Unico perfetto, a redimere l’uomo e a ottenere pace con Dio. E giusto è che solo un Uomo-Dio possa compiere la redenzione dell’uomo e placare Dio.
 7 Il Padre e il Figlio si sono amati e compresi. E il Padre ha detto: “Voglio”. E il Figlio ha detto: “Voglio”. E poi il Figlio ha detto: “Dammi”. E il Padre ha detto: “Prendi”, e il Verbo ebbe una Carne la cui formazione è misteriosa, e questa Carne si chiamò Gesù Cristo, Messia, Colui che deve redimere gli uomini, portarli al Regno, vincere il demonio, infrangere le schiavitù.
   Vincere il demonio! Non poteva un angelo, non può compiere ciò che il Figlio dell’uomo può. E per questo, alla grande opera ecco che Dio non chiama gli angeli ma l’Uomo. Ecco l’Uomo della cui origine voi siete incerti, negatori o pensosi. Ecco l’Uomo. L’Uomo accettevole a Dio. L’Uomo rappresentante di tutti i suoi fratelli. L’Uomo come voi nella somiglianza, l’Uomo superiore e diverso a voi per la provenienza, il quale, non da uomo ma da Dio generato e consacrato al suo ministero, sta davanti all’eccelso altare per essere Sacerdote e Vittima per i peccati del mondo, eterno e supremo Pontefice, Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedecco.
   Non tremate! Io non tendo le mani alla tiara ponteficale. Un altro serto mi aspetta. Non tremate! Io non vi toglierò il razionale. Un altro è già pronto per Me. Ma tremate soltanto che per voi non serva il sacrificio dell’Uomo e la misericordia del Cristo. Vi ho tanto amati, vi amo tanto che ho ottenuto dal Padre di annichilire Me stesso. Vi ho tanto amati e vi amo tanto che ho chiesto di consumare tutto il dolore del mondo per darvi la salute eterna.
 8 Perché non mi volete credere? Non potete credere ancora? Non è detto del Cristo: “Tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedecco”? Ma quando si è iniziato il sacerdozio? Forse ai tempi di Abramo? No. E voi lo sapete. Il re di giustizia e di pace che appare ad annunciarmi, con figura profetica, all’aurora del nostro popolo, non vi ammonisce che c’è un sacerdozio più perfetto, che viene direttamente da Dio, così come Melchisedec di cui nessuno poté mai dare le origini e che viene chiamato “il sacerdote” e sacerdote rimarrà in eterno? Non credete più alle parole ispirate? E, se ci credete, come mai, o dottori, non sapete dare una spiegazione accettabile alle parole che dicono, e di Me parlano: “Tu sei Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech”? Vi è dunque un altro sacerdozio, oltre, prima di quello di Aronne. E di questo è detto “sei“. Non “fosti”. Non “sarai”. Sei sacerdote in eterno. Ecco allora che questa frase preannuncia che l’eterno Sacerdote non sarà della nota stirpe di Aronne, non sarà di nessuna stirpe sacerdotale. Ma sarà di provenienza nuova, misteriosa come Melchisedec. È di questa provenienza. E se la potenza di Dio lo manda, segno è che vuole rinnovare il Sacerdozio e il rito perché divenga giovevole all’Umanità.
   Conoscete voi la mia origine? No. Sapete voi le mie opere? No. Intuite voi i frutti di esse? No. Nulla conoscete di Me. Vedete dunque che anche in questo sono il “Cristo”, la cui origine e natura e missione devono essere sconosciute fin quando a Dio non piaccia svelarle agli uomini. Beati quelli che sapranno, che sanno credere prima che la rivelazione tremenda di Dio non li schiacci col suo peso al suolo e ve li inchiodi e stritoli sotto la folgorante, potente verità tuonata dai Cieli, urlata dalla terra: “Costui era il Cristo di Dio”.
 Voi dite: “Egli è di Nazaret. Suo padre era Giuseppe. Sua madre è Maria”. No. Io non ho padre che mi abbia generato uomo. Io non ho madre che mi abbia generato Dio. Eppure ho una carne e l’ho assunta per misteriosa opera dello Spirito, e sono venuto fra voi passando per un tabernacolo santo. E vi salverò, dopo avere formato Me stesso per volere di Dio, vi salverò facendo uscire il vero Me stesso dal tabernacolo del mio Corpo per consumare il grande Sacrificio di un Dio che si immola per la salvezza dell’uomo.
 9 Padre, Padre mio! Io te l’ho detto all’inizio dei giorni: “Eccomi a fare la tua volontà”. Io te l’ho detto all’ora di grazia prima di lasciarti per rivestirmi di carne onde patire: “Eccomi a fare la tua volontà”. Io te lo dico ancora una volta per santificare coloro per i quali sono venuto: “Eccomi a fare la tua volontà”. E te lo dirò ancora, sempre, sinché la tua volontà sia compiuta…».
   Gesù, che ha alzato le braccia verso il cielo, pregando, ora le abbassa e le raccoglie sul petto e china la testa, chiude gli occhi e si sprofonda in una orazione segreta.
   La gente bisbiglia. Non tutti hanno capito, anzi i più (e io con loro) non hanno capito. Siamo troppo ignoranti. Ma intuiamo che Egli ha enunciato delle grandi cose. E tacciamo ammirati.
   I malevoli, che non hanno capito o non hanno voluto capire, ghignano: «È un delirante!». Ma non osano dire di più e si scostano o si avviano alle porte scuotendo il capo. Tanta prudenza io credo sia il frutto delle lance e daghe romane che brillano al sole contro la muraglia estrema.
 10Gamaliele si fa largo fra i rimasti. Giunge presso Gesù, che prega ancora, assorto, lontano dalla folla e dal luogo, e lo chiama: «Rabbi Gesù!».
   «Che vuoi, rabbi Gamaliele?», chiede Gesù alzando il capo, con gli occhi ancora assorti in un’interna visione.
   «Una spiegazione da Te».
   «Parla».
   «Ritiratevi tutti!», ordina Gamaliele e con un tale tono che apostoli, discepoli, seguaci, curiosi, e gli stessi discepoli di Gamaliele, si scostano alla svelta.
   Restano soli l’uno di fronte all’altro. E si guardano. Gesù sempre mite e dolce, l’altro autoritario senza volere e involontariamente superbo nell’aspetto. Espressione venutagli certo da anni di ossequio esagerato.
   «Maestro… Mi sono state riportate delle tue parole. Dette ad un convito… che io ho disapprovato perché insincero. Io combatto o non combatto, ma sempre apertamente… Ho meditato quelle parole. Le ho confrontate a quelle che sono nel mio ricordo… E ti ho atteso, qui, per interrogarti su esse… E prima ho voluto sentirti parlare… Essi non hanno capito. Io spero di poter capire. Ho scritto le tue parole mentre le dicevi. Per meditarle. E non per nuocerti. Mi credi?».
   «Ti credo. E voglia l’Altissimo farle fiammeggiare al tuo spirito».
   «Così sia. Odi. Le pietre che devono fremere sono forse quelle dei nostri cuori?».
   «No, rabbi. Queste (e indica le muraglie del Tempio con atto circolare). Perché lo chiedi?».
 «Perché il mio cuore ha fremuto quando mi furono riportate le tue parole del convito e le tue risposte ai tentatori. Credevo che quel fremito fosse il segno…».
   «No, rabbi. È troppo poco il fremito del tuo cuore e quello di pochi altri per essere il segno che non lascia dubbi… Anche se tu, con raro giudizio di umile conoscimento di te, definisci il tuo cuore: pietra. Oh! Rabbi Gamaliele, proprio non puoi far del tuo impietrito cuore un luminoso altare accogliente Iddio? Non per mio utile, rabbi. Ma perché la tua giustizia sia completa…».
   E Gesù guarda dolcemente l’anziano maestro, che si tormenta la barba e insinua le dita sotto il copricapo stringendosi la fronte e mormorando, e curva il capo per dirlo: «Non posso… Non posso ancora… Ma spero… Quel segno lo darai sempre?».
   «Lo darò».
   «Addio, rabbi Gesù».
   «Il Signore venga a te, rabbi Gamaliele».
   Si separano. Gesù fa un cenno ai suoi e con essi si avvia fuori del Tempio.
 11Scribi, farisei, sacerdoti, discepoli di rabbi si precipitano come tanti avvoltoi intorno a Gamaliele, che sta mettendosi nell’alta cintura i fogli che ha scritto. «Ebbene? Che te ne pare? Un pazzo? Hai fatto bene a scrivere quei deliri. Ci serviranno. Hai deciso? Sei persuaso? Ieri… oggi… Più che non occorra per persuaderti». Parlano tumultuariamente e Gamaliele tace mentre si assetta la cintura, chiude il calamaio che vi ha appeso, rende al suo discepolo la tavoletta su cui si è appoggiato per scrivere sulle pergamene.
   «Non rispondi? Da ieri non parli…», incalza un suo collega.
   «Ascolto. Non voi. Lui. E cerco di riconoscere nelle parole di ora la parola che mi ha parlato un giorno. Qui».
   «E la trovi forse?», ridono in molti.
   «Così come un tuono, che ha diversa voce a seconda se è più vicino o più lontano. Ma è sempre rumore di tuono».
   «Suono inconcludente, allora», beffeggia uno.
   «Non ridere, Levi. Nel tuono può essere anche la voce di Dio, e noi essere tanto stolti da crederla rumor di nubi lacerate… Non ridere neppur tu, Elchia, e tu Simone, che il tuono non si abbia a cangiare in fulmine e incenerirvi…».
   «Allora… tu… quasi dici che il Galileo è quel fanciullo che con Illele credeste profeta, e che quel fanciullo e quell’uomo sono il Messia…», chiedono motteggiatori, per quanto in sordina, perché Gamaliele si fa rispettare.
   «Non dico nulla. Dico che il rumore del tuono è sempre rumore di tuono».
   «Più vicino o più lontano?».
   «Ahimè! Le parole sono più forti, come l’età lo importa. Ma i venti anni passati hanno fatto venti volte più chiuso il mio intelletto sul tesoro che possiede. E il suono penetra più debolmente…». E Gamaliele lascia cadere la testa sul petto, meditabondo.
   «Ah! Ah! Ah! Invecchi e ti fai stolto, Gamaliele! Prendi per realtà i fantasmi. Ah! Ah! Ah!», ridono tutti.
   Gamaliele ha una sdegnosa alzata di spalle. Poi raccoglie il suo manto, che gli pendeva dalle spalle, vi si avvolge a più giri tanto è ampio, e volta le spalle a tutti senza ribattere parola, sprezzante nel suo silenzio.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 5, 31-47: ” Le opere che il Padre mi ha dato da compiere, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato” .

Vangelo Novus Ordo Gv 5, 31-47
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei:
«Se fossi io a testimoniare di me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera. C’è un altro che dà testimonianza di me, e so che la testimonianza che egli dà di me è vera.
Voi avete inviato dei messaggeri a Giovanni ed egli ha dato testimonianza alla verità. Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché siate salvati. Egli era la lampada che arde e risplende, e voi solo per un momento avete voluto rallegrarvi alla sua luce.
Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.
E anche il Padre, che mi ha mandato, ha dato testimonianza di me. Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato.
Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprio esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere vita.
Io non ricevo gloria dagli uomini. Ma vi conosco: non avete in voi l’amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi accogliete; se un altro venisse nel proprio nome, lo accogliereste. E come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall’unico Dio?
Non crediate che sarò io ad accusarvi davanti al Padre; vi è già chi vi accusa: Mosè, nel quale riponete la vostra speranza. Se infatti credeste a Mosè, credereste anche a me; perché egli ha scritto di me. Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
” Ma voi non avete mai ascoltato la sua voce né avete mai visto il suo volto, e la sua parola non rimane in voi; infatti non credete a colui che egli ha mandato”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCXXV. Il paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del Figlio di Dio.

   21 luglio 1945.
 
 1 Gesù è in Gerusalemme e precisamente nei pressi dell’Antonia. Con Lui sono tutti gli apostoli meno l’Iscariota. Molta folla si affretta al Tempio. Sono in veste di festa tutti, tanto gli apostoli come gli altri pellegrini, e penso perciò siano i giorni di Pentecoste. Molti mendicanti si mescolano alla gente, lamentando le loro miserie con delle nenie pietose e dirigendosi ai posti migliori, presso le porte del Tempio o ai crocevia da cui la folla viene verso di esso. Gesù passa beneficando questi miserabili, dei quali è cura fare l’esposizione integrale delle loro miserie oltre che la narrazione delle stesse.
   Ho l’impressione che Gesù sia già stato al Tempio, perché sento che gli apostoli parlano di Gamaliele che ha fatto mostra di non vederli, nonostante che Stefano, uno dei suoi uditori, gli segnalasse il passaggio di Gesù.
   Sento anche che Bartolomeo chiede ai compagni: «Che avrà voluto dire quello scriba con la frase: “Un gruppo di montoni da basso macello”?».
   «Avrà parlato di qualche suo affare», risponde Tommaso.
   «No. Indicava noi. L’ho visto bene. E poi! La seconda frase era conferma della prima. Ha detto sarcastico: “Fra poco l’agnello sarà lui pure da tosa e poi da macello”».
   «Sì, ho sentito io pure», conferma Andrea.
   «Già! Ma a me brucia la voglia di tornare indietro e chiedere al compagno dello scriba che cosa sa di Giuda di Simone», dice Pietro.
   «Ma nulla sa! Questa volta Giuda non c’è perché veramente ammalato. Noi lo sappiamo. Forse ha realmente troppo sofferto del viaggio fatto. Noi siamo più robusti. Lui è vissuto qui, comodo. Si stanca», risponde Giacomo di Alfeo.
   «Sì, noi lo sappiamo. Ma quello scriba ha detto: “Manca il camaleonte al gruppo”. Il camaleonte non è quello che cambia colore tutte le volte che vuole?», chiede Pietro.
   «Sì, Simone. Ma certo hanno voluto dire per i suoi abiti sempre nuovi. Ci tiene. È giovane. Va compatito…», concilia lo Zelote.
   «È vero anche questo. Però!… Che frasi curiose!», conclude Pietro.
   «Sembra sempre che minaccino», dice Giacomo di Zebedeo.
   «È che noi sappiamo di essere minacciati e sentiamo minacce anche dove non ce ne sono…», osserva Giuda Taddeo.
   «E vediamo colpe anche dove non esistono», termina Tommaso.
   «Eh! già! Il sospetto è brutto… Chissà come sta oggi Giuda? Intanto si gode quel paradiso, con quegli angeli… Ci starei anche io ad ammalarmi per avere tutte quelle delizie!», dice Pietro; e Bartolomeo gli risponde: «Speriamo che guarisca presto. È necessario terminare il viaggio perché il caldo incalza».
   «Oh! le cure non gli mancano, e poi… ci pensa il Maestro se mai», assicura Andrea.
   «Aveva molta febbre quando lo abbiamo lasciato. Non so come gli sia venuta, così…», dice Giacomo di Zebedeo; e Matteo gli risponde: «Come viene la febbre! Perché deve venire. Ma non sarà nulla. Il Maestro non è per nulla impensierito. Se avesse visto del brutto non avrebbe lasciato il castello di Giovanna».

 2 Infatti Gesù non è per nulla impensierito. Parla con Marziam e con Giovanni, andando avanti e dando elemosine. Certo spiega al bambino molte cose, perché vedo che gli indica questo e quello. È diretto verso la fine delle mura del Tempio all’angolo nord-est. Là vi è molta folla che si dirige verso un luogo molto porticato, che precede una porta che sento chiamare “del Gregge”.
   «Questa è la Probatica, la piscina di Betseida. Ora guarda bene l’acqua. Vedi come è ferma ora? Fra poco vedrai che ha come un movimento e si alza, toccando quel segno umido. Lo vedi? Allora scende l’angelo del Signore, l’acqua lo sente e lo venera come può. Egli porta l’ordine all’acqua di guarire l’uomo pronto a tuffarsi in essa. Vedi quanta gente? Ma troppi si distraggono e non vedono il primo movimento dell’acqua; oppure i più forti, senza carità, respingono i più deboli. Non ci si deve mai distrarre davanti ai segni di Dio. Occorre tenere l’anima sempre vigilante, perché non si sa mai quando Dio si mostri o mandi il suo angelo. E non si deve mai essere egoisti, neanche per salute. Molte volte, per stare a litigare su chi tocca prima o chi ne ha maggiore bisogno, questi infelici perdono il beneficio della venuta angelica».
   Gesù spiega paziente a Marziam, che lo guarda coi suoi occhi ben spalancati, attenti, e intanto tiene d’occhio anche l’acqua.
   «Si può vedere l’angelo? Mi piacerebbe».
   «Levi, pastore della tua età, lo vide. Guarda bene anche tu e sii pronto a lodarlo».
   Il bambino non si distrae più. I suoi occhi sono sull’acqua e sopra l’acqua, alternativamente, e non sente più nulla, non vede più altro. Gesù intanto guarda quel piccolo popolo di infermi, ciechi, storpi, paralitici, che aspettano. Anche gli apostoli osservano attentamente. Il sole fa giuochi di luce sull’acqua e invade da re i cinque ordini di portici che circondano le piscine.
   «Ecco, ecco!», trilla Marziam. «L’acqua cresce, si muove, splende! Che luce! L’angelo!»,… e il bambino si inginocchia.
   Infatti nel moto del liquido nella vasca, che pare accrescersi per un flutto subitamente immesso che lo gonfi, elevandolo verso il bordo, l’acqua splende come uno specchio messo al sole. Un bagliore abbacinante per un attimo.
   Uno zoppo è pronto a tuffarsi nell’acqua per uscirne dopo poco con la gamba, già rattratta da una grande cicatrice, perfettamente guarita. Gli altri si lamentano e litigano col risanato, dicendo che infine lui non era impossibilitato al lavoro mentre loro sì. E la zuffa continua.

 3 Gesù si volge intorno e vede un paralitico sul suo lettuccio che piange piano. Gli va vicino, si curva e lo carezza domandandogli: «Piangi?».
   «Sì. Nessuno pensa mai a me. Sto qui, sto qui, tutti guariscono, io mai. Sono trentotto anni che giaccio sul dorso, ho consumato tutto, mi sono morti i miei, ora sono di peso ad un parente lontano che mi porta qui al mattino, mi riprende alla sera… Ma come gli pesa farlo! Oh! vorrei morire!».
   «Non ti desolare. Tanta pazienza e fede hai avuto! Dio ti esaudirà».
   «Lo spero… ma vengono momenti di sconforto. Tu sei buono. Ma gli altri… Chi è guarito potrebbe, in ringraziamento a Dio, stare qui a soccorrere i poveri fratelli…».
   «Dovrebbe farlo, infatti. Ma non avere rancore. Essi non ci pensano. Non è malanimo il loro. È la gioia di essere guariti che li rende egoisti. Perdonali…».
   «Tu sei buono. Tu non faresti così. Io mi sforzo a trascinarmi con le mani fino là, quando la vasca è mossa. Ma sono sempre preceduto da un altro, e presso l’orlo non ci posso stare; sarei calpestato. E anche stessi là, chi mi calerebbe? Se ti avevo visto prima lo chiedevo a Te…».
   «Vuoi proprio guarire? Allora alzati! Prendi il tuo letto e cammina!».
   Gesù si è rialzato per dare il comando e pare che, alzandosi, alzi anche il paralitico, perché questo sorge in piedi e poi fa uno, due, tre passi, quasi incredulo, dietro a Gesù che se ne va, e visto che cammina proprio ha un grido che fa volgere tutti.
   «Ma chi sei? In nome di Dio, dimmelo! L’angelo del Signore, forse?».
   «Io sono da più di un angelo. Il mio nome è Pietà. Va’ in pace».
   Tutti si affollano. Vogliono vedere. Vogliono parlare. Vogliono guarire. Ma accorrono le guardie del Tempio, che credo sorvegliassero anche la piscina, e respingono quel vociante assembramento minacciando castighi.
 Il paralitico prende la sua barellina – due stanghe su due paia di piccole ruote e un telo sdruscito inchiodato sulle stanghe – e se ne va felice, urlando a Gesù: «Ti ritroverò. Non dimenticherò il tuo nome e il tuo volto».

 4 Gesù, mescolandosi alla folla, se ne va in un altro senso, verso le mura.
   Ma non ha ancora superato l’ultimo portico che giungono, come spinti da una furia di vento, un gruppo di giudei delle caste peggiori, tutti accumunati nel desiderio di dire insolenze a Gesù. Cercano, guardano, scrutano. Ma non riescono a capire bene di che si tratta, e Gesù se ne va mentre questi, delusi, dietro indicazioni delle guardie, assalgono il povero e felice risanato e lo rimproverano: «Perché porti via questo letto? È sabato. Non ti è lecito».
   L’uomo li guarda e dice: «Io non so niente. So che quello che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina”. Questo so».
   «Sarà certo un demonio, perché ti ha ordinato di violare il sabato. Come era? Chi era? Giudeo? Galileo? Proselite?».
   «Non lo so. Era qui. Mi ha visto piangere e mi è venuto vicino. Mi ha parlato. Mi ha guarito. Se ne è andato con un bambino per mano. Credo suo figlio, perché è in età di avere un figlio di quel tempo».
   «Un bambino? Allora non è Lui!… Come ha detto di chiamarsi? Non glielo hai chiesto? Non mentire!».
   «Mi ha detto che si chiama Pietà».
   «Sei uno stolto! Quello non è un nome!».
   L’uomo si stringe nelle spalle e se ne va.
 Gli altri dicono: «Era certo Lui. Lo hanno visto nel Tempio gli scribi Ania e Zaccheo».
   «Ma Lui non ha figli!».
   «Eppure è Lui. Era coi discepoli».
   «Ma Giuda non c’era. È quello che conosciamo bene. Gli altri… possono essere gente qualunque».
   «No. Erano loro».
   E la discussione continua mentre i portici si riaffollano di malati…
   […].

 5 Gesù rientra nel Tempio da un altro lato, quello del lato ovest che è quello che fronteggia il più della città. Gli apostoli lo seguono. Gesù si guarda intorno e vede finalmente ciò che cerca, Gionata, che a sua volta lo cerca.
   «Sta meglio, Maestro. La febbre cala. Tua Madre dice che spera potere venire entro il prossimo sabato».
   «Grazie, Gionata. Sei stato puntuale».
   «Non molto. Mi ha trattenuto Massimino di Lazzaro. Ti sta cercando. È andato al portico di Salomone».
   «Vado a raggiungerlo. La pace sia con te, e porta la mia pace alla Madre e alle discepole, oltre che a Giuda».
   E Gesù va svelto verso il portico di Salomone, dove infatti trova Massimino.
   «Lazzaro ha saputo che sei qui. Ti vuol vedere per dirti una grande cosa. Verrai?».
   «Senza dubbio. E presto. Puoi dire che mi attenda in settimana».
   Anche Massimino se ne va dopo poche altre parole.
   «Andiamo a pregare ancora, poiché siamo tornati fin qui», dice Gesù e va verso l’atrio degli Ebrei.
   Ma presso il medesimo incontra il paralitico guarito, che è andato a ringraziare il Signore. Il miracolato lo scorge fra la folla e lo saluta con gioia, e gli racconta quanto è accaduto alla piscina dopo la sua partenza. E termina: «Mi ha poi detto uno, che si è stupito di vedermi qui sano, chi Tu sei. Tu sei il Messia. È vero?».
   «Lo sono. Ma anche tu fossi stato guarito dall’acqua, o da un altro potere, avresti sempre lo stesso dovere verso Dio. Quello di usare la salute per buone opere. Tu sei guarito. Va’ dunque con buone intenzioni a riprendere le attività della vita. E non peccare mai più. Che Dio non ti abbia a punire più ancora. Addio. Va’ in pace».
   «Io sono vecchio… non so nulla… Ma vorrei seguirti per servirti, e per sapere. Mi vuoi?».
   «Non respingo nessuno. Pensaci però prima di venire. E se sei deciso vieni».
   «Dove? Non so dove vai…».
   «Per il mondo. Dovunque troverai dei discepoli che ti guideranno a Me. Il Signore ti illumini per il meglio».
   Gesù ora va al suo posto e prega…

 6 Io non so se il guarito vada spontaneamente dai giudei o se questi, essendo alla posta, lo fermino per chiedergli se quello che gli ha ora parlato è colui che lo ha miracolato. So che l’uomo parla coi giudei e poi se ne va, mentre questi vengono presso la scala da dove deve scendere Gesù per passare negli altri cortili e uscire dal Tempio. Senza salutarlo, quando Gesù giunge gli dicono: «Dunque Tu continui a violare il sabato, nonostante tutti i rimproveri che ti vengono fatti? E vuoi che ti si rispetti come inviato di Dio?».
   «Inviato? Più ancora, come Figlio. Perché Dio mi è Padre. Se non mi volete rispettare, astenetevene. Ma Io non cesserò di compiere la mia missione per questo. Non c’è un attimo in cui Dio cessi di operare. Anche ora il Padre mio opera, ed Io pure opero, perché un buon figlio fa ciò che fa il padre suo, e perché per operare sulla Terra Io sono venuto».
   Della gente si avvicina per udire la disputa. Fra essa vi sono persone che conoscono Gesù, altre che ne sono state beneficate, altre che lo vedono per la prima volta; alcuni lo amano, altri lo odiano, molti sono incerti. Gli apostoli fanno nucleo col Maestro. Marziam ha quasi paura e fa un visetto prossimo al pianto.
   I giudei, una mescolanza di scribi, farisei e sadducei, gridano alto il loro scandalo: «Tu osi! Oh! Si dice Figlio di Dio! Sacrilegio! Dio è Colui che è, e non ha figli! Ma chiamate Gamaliele! Ma chiamate Sadoc! Adunate i rabbi, che odano e confutino».
   «Non vi agitate. Chiamateli e vi diranno, se è vero che sanno, che Dio è uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Verbo, ossia il Figlio del Pensiero, è venuto, secondo che era profetizzato, per salvare Israele e il mondo dal Peccato. Il Verbo sono Io. Sono il Messia predetto. Nessun sacrilegio perciò se do al Padre il nome di Padre mio.

 7 Voi vi inquietate perché Io faccio miracoli, perché con ciò attiro a Me le folle e le convinco. Voi mi accusate di essere un demonio perché opero prodigi. Ma Belzebù è per il mondo da secoli e, in verità, non gli mancano gli adoratori devoti… Perché allora egli non fa ciò che Io faccio?».
   La gente bisbiglia: «È vero! È vero! Nessuno fa ciò che Egli fa».
   Gesù continua:
   «Io ve lo dico: è perché Io so ciò che egli non sa e posso ciò che egli non può. Se Io faccio opere di Dio è perché Io sono suo Figlio. Da sé uno non può arrivare a fare se non ciò che ha veduto fare. Io, Figlio, non posso fare se non ciò che ho veduto fare dal Padre essendo Uno con Lui nei secoli dei secoli, non dissimile nella natura né nel potere. Tutte le cose che fa il Padre le faccio Io pure che sono suo Figlio. Né Belzebù né altri possono fare ciò che Io faccio, perché Belzebù e gli altri non sanno ciò che Io so. Il Padre ama Me, suo Figlio, e mi ama senza misura così come Io lo amo. Perciò mi ha mostrato e mi mostra tutto quanto Egli fa, acciò Io faccia ciò che Egli fa, Io sulla Terra, in questo tempo di Grazia, Egli in Cielo, da prima che il Tempo fosse per la Terra. E mi mostrerà opere sempre maggiori acciò Io le faccia e voi ne restiate meravigliati. Il suo Pensiero è inesauribile nel pensare. Io lo imito essendo inesauribile nel compiere ciò che il Padre pensa e col pensiero vuole.

 8 Voi ancora non sapete quanto l’Amore crei inesauribilmente. Noi siamo l’Amore. E non vi è limitazione per Noi, né vi è cosa che non possa essere applicata sui tre gradi dell’uomo: l’inferiore, il superiore, lo spirituale. Infatti, così come il Padre risuscita i morti e rende loro la vita, ugualmente Io, Figlio, posso dare la vita a quelli che voglio, e anzi, per l’amore infinito che il Padre ha per il Figlio, mi è concesso non solo di rendere vita alla parte inferiore, ma bensì anche vita alla superiore liberando il pensiero dell’uomo e il suo cuore dagli errori mentali e dalle male passioni, e alla parte spirituale rendendo allo spirito la sua libertà dal peccato, perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, essendo il Figlio Colui che col proprio sacrificio ha comperato l’Umanità per redimerla; e ciò il Padre fa per giustizia, perché a Colui che paga con sua moneta è giusto sia dato, e perché tutti onorino il Figlio come già onorano il Padre.
 Sappiate che, se separate il Padre dal Figlio o il Figlio dal Padre e non vi ricordate dell’Amore, voi non amate Dio come va amato, con verità e sapienza, ma commettete un’eresia perché date culto a uno solo mentre Essi sono una mirabile Trinità. Perciò chi non onora il Figlio è come non onorasse il Padre, perché il Padre, Dio, non accetta che una sola parte di Sé sia adorata, ma vuole sia adorato il suo Tutto. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato per pensiero perfetto di amore. Nega dunque che Dio sappia fare opere giuste. In verità vi dico che chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è colpito da condanna, ma passa da morte a vita, perché credere in Dio e accettare la mia parola vuol dire infondere in sé la Vita che non muore.
   Sta venendo l’ora, anzi per molti è già venuta, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l’avrà sentita risuonare vivificatrice in fondo al cuore vivrà.

 9 Che dici, tu, scriba?».
   «Dico che i morti non odono più nulla, e che Tu sei folle».
   «Il Cielo ti persuaderà che così non è, e che il tuo sapere è nullo rispetto a quello di Dio. Voi avete talmente umanizzato le cose soprannaturali che non date più alle parole altro che un significato immediato e terreno. Avete insegnato l’Haggadda su formole fisse,vostre, senza sforzarvi a comprendere le allegorie nella loro verità, e ora, nel vostro animo stanco di essere pressato da una umanità trionfante sullo spirito, non credete più neppure a ciò che insegnate. E questa è la ragione per cui non potete più lottare contro le forze occulte.
   La morte di cui Io parlo non è quella della carne, ma dello spirito. Verranno coloro che odono con le orecchie la mia parola e l’accolgono nel loro cuore e la mettono in pratica. Costoro, anche se morti nello spirito, riavranno vita, perché la mia Parola è Vita che si infonde. Ed Io la posso dare a chi voglio, perché in Me è perfezione di Vita, perché come il Padre ha in Sé la Vita perfetta così pure il Figlio ebbe dal Padre la Vita, in Se stesso, perfetta, completa, eterna, inesauribile e trasfondibile. E con la Vita il Padre mi ha dato il potere di giudicare, perché il Figlio del Padre è il Figlio dell’uomo, e può e deve giudicare l’uomo. E non vi meravigliate di questa prima risurrezione, quella spirituale, che Io opero con la mia Parola. Ne vedrete di più forti ancora, più forti per i vostri sensi pesanti, perché in verità vi dico che non vi è cosa più grande della invisibile ma reale risurrezione di uno spirito. Presto viene l’ora in cui i sepolcri saranno penetrati dalla voce del Figlio di Dio e tutti quelli che sono in essi la udranno. E coloro che fecero il bene ne usciranno per andare alla risurrezione della Vita eterna, e quanti fecero il male alla risurrezione della condanna eterna.
   Questo Io non dico di fare e non farò da Me stesso, per mio solo volere, ma per volere del Padre unito al mio. Io parlo e giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è retto perché non cerco il mio volere, ma il volere di Colui che mi ha mandato. Io non sono separato dal Padre. Io sono in Lui ed Egli è in Me, ed Io conosco il suo pensiero e lo traduco in parola ed in azione.

 10Quanto Io dico per rendere testimonianza a Me stesso non può essere accettabile al vostro spirito incredulo, che non vuole vedere in Me altro che l’uomo simile a voi tutti. Anche un altro ve ne è che testifica per Me, e che voi dite di venerare come grande profeta. Io so che la sua testimonianza è vera. Ma voi, voi che dite di venerarlo, non accettate la sua testimonianza perché è disforme al vostro pensiero che mi è nemico. Voi non accettate la testimonianza dell’uomo giusto, del Profeta ultimo di Israele perché, in ciò che vi piace, dite che egli non è che un uomo e può sbagliare. Voi avete mandato ad interrogare Giovanni, sperando che dicesse di Me ciò che voi desideravate, ciò che di Me voi pensate, ciò che voi di Me volete pensare. Ma Giovanni ha reso testimonianza di verità e voi non l’avete potuta accettare. Poiché il Profeta dice che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, voi, nel segreto dei cuori, perché temete le folle, dite che il Profeta è un folle come lo è il Cristo. Io pure, però, non ricevo testimonianza dall’uomo, sia pure il più santo di Israele. Io vi dico: egli era la lampada ardente e luminosa, ma voi avete per poco voluto godere della sua luce. Quando questa luce si è proiettata su Me, per farvi conoscere il Cristo per ciò che Egli è, voi avete lasciato che la lampada fosse messa sotto al moggio, e prima ancora avevate drizzato fra essa e voi un muro, per non vedere nella sua luce il Cristo del Signore.
   Io sono grato a Giovanni della sua testimonianza, e grato gliene è il Padre. E Giovanni avrà gran premio per questa sua testimonianza, ardendo anche per questo in Cielo, il primo sole che vi splenderà di tutti gli uomini lassù, ardendo come arderanno tutti quelli che sono stati fedeli alla Verità e affamati di Giustizia. Ma Io però ho una testimonianza maggiore a quella di Giovanni. E questa testimonianza sono le mie opere. Perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere Io faccio, ed esse testificano che il Padre mi ha mandato dandomi ogni potere. E così è il Padre stesso che mi ha mandato, Colui che rende testimonianza in mio favore. Voi non ne avete mai sentito la Voce, né visto il Volto. Ma Io l’ho visto e lo vedo, l’ho udita e la odo. Voi non avete dimorante in voi la sua Parola, perché non credete a Colui che Egli ha mandato.
   Voi investigate la Scrittura perché credete di ottenere, per la sua conoscenza, la Vita eterna. E non vi accorgete allora che sono proprio le Scritture che parlano di Me? E come mai allora continuate a non volere venire a Me per avere la Vita? Io ve lo dico: è perché quando qualche cosa è contraria alle vostre inveterate idee voi la respingete. Vi manca l’umiltà. Non potete giungere a dire: “Ho sbagliato. Costui, o questo libro, dice giusto e io sono in errore”. Così avete fatto con Giovanni, così con le Scritture, così con il Verbo che vi parla. Non potete più vedere e capire perché siete fasciati di superbia e rintronati dalle vostre voci.

 11Credete voi che Io parli così perché Io voglia essere da voi glorificato? No, sappiatelo, Io non cerco e non accetto gloria dagli uomini. Quello che Io cerco e voglio è la vostra salvezza eterna. Questa è la gloria che cerco. La mia gloria di Salvatore, che non può esserci se Io non ho dei salvati, che aumenta più salvati Io ho, che mi deve essere data dagli spiriti salvati e dal Padre, Spirito purissimo.
   Ma voi non sarete salvati. Vi ho conosciuto per quello che siete. Voi non avete in voi amore di Dio. Siete senza amore. E perciò non venite all’Amore che vi parla e non entrerete nel Regno dell’Amore. Là voi siete degli sconosciuti. Non vi conosce il Padre, perché voi non conoscete Me che sono nel Padre. Non mi volete conoscere. Io sono venuto in nome del Padre mio e voi non mi ricevete, mentre siete pronti a ricevere chiunque viene in nome proprio, purché dica ciò che a voi piace. Dite di essere spiriti di fede? No. Non lo siete. Come potete credere, voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria dei Cieli che da Dio solo procede? La gloria che è Verità, non giuoco di interessi che si fermano sulla Terra e carezzano solo l’umanità viziosa dei degradati figli di Adamo.
   Io non vi accuserò al Padre. Non ve lo pensate. Vi è già chi vi accusa. Quel Mosè in cui voi sperate. Egli vi rimprovererà di non credere in lui poiché non credete in Me, perché egli di Me ha scritto e voi non mi riconoscete secondo quanto egli di Me ha lasciato scritto. Voi non credete alle parole di Mosè che è il grande su cui giurate. Come potete allora credere alle mie, a quelle del Figlio dell’uomo, nel quale non avete fede? Umanamente parlando ciò è logico. Ma qui siamo nel campo dello spirito, e sono in confronto le vostre anime. Dio le osserva alla luce delle mie opere e confronta le azioni che fate con ciò che Io sono venuto a insegnare. E Dio vi giudica.
   Io me ne vado. Per molto non mi troverete. E credete pure che questo non è un trionfo. Ma è un castigo. Andiamo».
   E Gesù fende la folla, in parte muta, in parte bisbigliante approvazioni che la paura dei farisei trattiene a bisbiglio, e se ne va.

 Facoltativo e dello stesso periodo della Vita sulla terra del Cristo nostro Signore:

   Cap. CCXXIII. Un discorso di Gesù evita ad una carovana nuziale l’assalto dei predoni.

   19 luglio 1945.
 
 1 «Nel luogo in cui andremo parlerò Io», dice il Signore mentre sempre più la comitiva si addentra in vallate che assalgono il monte con vie difficili, sassose, strette, e salgono e scendono perdendo orizzonti, riacquistandoli, finché, giunta ad una valle profonda per una discesa ripidissima sulla quale si sente a suo agio solo il caprone, come dice Pietro, la comitiva prende riposo e consuma il suo pasto presso una sorgiva molto ricca d’acque.
   Altre persone sono sparse per i prati ed i boschetti e fanno il loro pasto come Gesù e i suoi. Deve essere un posto di sosta preferito per essere riparato dai venti, con prati soffici e acque. Sono pellegrini che vanno verso Gerusalemme, viaggiatori diretti forse al Giordano, mercanti di agnelli destinati al Tempio, pastori con le loro greggi. Alcuni fanno il viaggio con le cavalcature, i più a piedi.

 2 Giunge anche una carovana nuziale tutta bardata a festa. Gli ori tralucono sotto il velo che avviluppa la sposa, una poco più che fanciulla, accompagnata da due matrone tutte scintillanti di bracciali e collane, e da un uomo, forse il paraninfo, oltre che da due servi. Sono arrivati su asini pieni di fiocchi e sonagli, e si ritirano in un angolo per mangiare, come avessero paura che l’occhio dei presenti violasse la sposina. Il paraninfo, o parente che sia, monta la guardia minaccioso mentre le donne mangiano. Vi è della curiosità molto viva, infatti, e con la scusa di chiedersi del sale, un coltello, un goccio di aceto, vi è sempre qualcuno che va da questo o quello per interrogare se è conosciuta la sposa e dove va, e tante belle cose del genere… C’è uno, infatti, che sa da dove viene e dove va e che è ben felice di raccontare tutto quanto sa, stuzzicato da un altro che gli apre sempre più l’ugola col versargli vino generoso. A momenti vengono sciorinati anche i più segreti particolari di due famiglie, del corredo che la sposa porta in quei cassoni, delle ricchezze che l’attendono nella casa dello sposo, e così via. Si viene così a sapere che la sposa è figlia di un ricco mercante di Joppe, e che va sposa al figlio di un ricco mercante di Gerusalemme, e che lo sposo l’ha preceduta per ornare la casa nuziale nell’imminenza del suo arrivo, e che quello che l’accompagna, l’amico dello sposo, è lui pure figlio di un mercante, di Abramo, colui che lavora i diamanti e le gemme, mentre lo sposo è battiloro, e il padre della sposa mercante di lane, tele, tappeti, tende…

 3 Dato che il chiacchierone è prossimo al gruppo apostolico, Tommaso sente e chiede: «Ma è forse Natanaele di Levi, lo sposo?».
   «È proprio lui. Lo conosci?».
   «Conosco bene il padre per scambio di affari, un poco meno Natanaele. Matrimonio ricco!».
   «E sposa felice! È ricoperta d’oro. Abramo, parente della madre della sposa e padre dell’amico dello sposo, si è fatto onore, e così lo sposo e il padre di lui. Si dice che in quelle casse è il valore di molti talenti d’oro».
   «Salute!», esclama Pietro e fa una fischiatina. E aggiunge:
   «Vado a vedere da vicino se la merce principale corrisponde al resto», e si alza insieme a Tommaso, e vanno a fare un giretto intorno al gruppo nuziale e guardano ben bene le tre donne, un ammasso di stoffe e di veli dai quali emergono le mani e i polsi ingioiellati e trapelano scintillii dalle orecchie e dal collo, e guardano il rodomantesco paraninfo che sembra debba respingere un assalto di corsari alla verginella, tanto fa il bravaccio.
   Guarda male anche i due apostoli. Ma Tommaso lo prega di salutare, a nome di Tommaso detto Didimo, Natanaele di Levi. E la pace è fatta, tanto fatta che, mentre lui chiacchiera, la sposina trova il modo di farsi ammirare, alzandosi in modo che il mantello e il velo cadano ed ella appaia in tutta la sua leggiadria di corpo e di vesti e nella sua ricchezza di idolo. Avrà quindici anni al massimo, e certi occhi furbi! Si muove vezzosa nonostante la disapprovazione delle matrone, si spunta le trecce e se le riaggiusta con l’aiuto di forcine preziose, si stringe la cintura gemmata, si slaccia, sfila e si rimette i sandali a scarpetta, ben serrati dalle fibbie in oro sul piedino, e intanto ha modo di mostrare le magnifiche chiome morate, le belle mani e le morbide braccia, la vita sottile, il petto e le anche ben modellati, il piedino perfetto, e tutti i monili che tintinnano e sfaccettano alle ultime luci del giorno e alle fiamme dei primi falò.

 4 Pietro e Tommaso tornano indietro. Tommaso dice: «È una bella fanciulla».
   «E una perfetta civetta. Sarà… ma il tuo amico Natanaele conoscerà presto che c’è chi gli tiene caldo il letto mentre lui tiene caldo l’oro per lavorarlo. E il suo amico è un perfetto sciocco. L’ha affidata bene la sposina!», termina Pietro sedendosi presso i compagni.
   «A me non è piaciuto quell’uomo che faceva parlare quell’altro sciocco là. Quando ha saputo tutto quanto voleva sapere, se ne è andato su per il monte… Sono posti brutti questi. E il tempo è quello buono per i colpi da malandrini. Notti di luna. Calore che spossa. Alberi pieni di fronde. Hum! non mi piace questo posto», brontola Bartolomeo. «Era meglio proseguire».
   «E quell’imbecille che ha raccontato tante ricchezze! E quell’altro che fa l’eroe e il guardiano alle ombre e non vede i corpi veri!… Ebbene, io veglierò ai fuochi. Chi viene con me?», dice Pietro.
   «Io, Simone», risponde lo Zelote. «Resisto bene al sonno».
   Molti del campo, specie i viaggiatori isolati, si sono alzati e se ne sono andati alla spicciolata. Restano dei pastori coi greggi, la comitiva degli sposi, quella apostolica e tre mercanti di agnelli che dormono già. Anche la sposina dorme con le matrone sotto una tenda che i servi hanno montato. Gli apostoli si cercano un posto, Gesù si isola in preghiera, i pastori fanno un gran fuoco al centro dello spiazzo in cui sono. Pietro e Simone ne fanno un altro presso il sentiero del greppo su cui si è imbucato l’uomo che ha dato sospetto a Bartolomeo.
 5 Passano le ore e chi non russa ciondola col capo. Gesù prega. Il silenzio è totale. Pare che taccia anche la fonte che splende alla luna, ormai alta nel cielo e illuminante alla perfezione lo spiazzo mentre le coste restano in ombra sotto al frascame fitto.
   Un grosso cane da pastore ringhia. Un mandriano alza il capo. Il cane si drizza e alza il pelo sulla schiena, puntandosi in atto di difesa e di ascolto. Trema persino mentre il ringhio sordo che gli bolle dentro si fa sempre più forte. Simone alza anche lui la testa e scuote Pietro che sonnecchia. Un fruscio cauto viene dal bosco.
   «Andiamo dal Maestro. Portiamolo con noi», dicono i due.
   E intanto il mandriano sveglia i compagni. Sono tutti in ascolto e senza fare rumore. Gesù pure si è alzato, prima ancora di essere chiamato, e va verso i due apostoli. Si riuniscono presso i compagni e perciò presso i pastori, il cui cane dà segni sempre più manifesti di agitazione.
   «Chiamate coloro che dormono. Tutti. Dite che vengano qui senza rumore, e specie le donne e i servi coi cofani. Dite che forse ci sono dei malandrini. Ma non alle donne. A tutti gli uomini».
   Gli apostoli si spargono ubbidendo al Maestro, che dice ai pastori: «Nutrite il fuoco, ben forte, che faccia fiamma molto viva».
   I pastori ubbidiscono e, poiché appaiono agitati, Gesù dice:
   «Non temete. Non vi sarà tolto un bioccolo di lana».
   Sopraggiungono i mercanti e sussurrano: «Oh! i nostri guadagni!», e aggiungono una litania di improperi ai governanti romani e giudei che non ripuliscono il mondo dai ladroni.
   «Non temete. Non perderete uno spicciolo», conforta Gesù.
   Giungono le donne piangenti, spaurite, perché il coraggioso paraninfo, fra i tremiti di una paura colossale, le terrorizza gemendo: «È la morte! La morte per mano dei predoni!».
   «Non temete. Non sarete sfiorate neppure con uno sguardo», conforta Gesù conducendo le donne al centro del piccolo popolo di uomini e bestie spaventate.
   Gli asini ragliano, il cane ulula, le pecore belano, le donne singhiozzano, gli uomini imprecano, o basiscono peggio delle donne, in una cacofonia data dallo spavento. Gesù è calmo come nulla fosse. Il fruscio nel bosco non si può più sentire in questo baccano. Ma che nel bosco ci siano dei malviventi che si avvicinano lo denunciano dei rami che si schiantano o delle pietre che rotolano.
   «Silenzio!», impone Gesù. E lo dice in un modo tale che il silenzio si fa.

 6 Gesù lascia il suo posto e va verso il bosco, al limite dello spiazzo. Volge le spalle al bosco e inizia a parlare.
   «La malvagia fame dell’oro travolge gli uomini in sentimenti abbietti. Per l’oro si svela l’uomo più che per altre cose. Guardate quanto male semina col suo affascinante e inutile splendore questo metallo. Io credo che del suo colore sia l’aria dell’Inferno, tanto esso è di natura infernale da quando l’uomo è peccatore.
   Il Creatore lo aveva lasciato nelle viscere di quell’enorme lapislazzuli che è la Terra, creatasi per suo volere, perché fosse utile all’uomo coi suoi sali e fosse di bellezza nei suoi templi.
   Ma Satana, baciando gli occhi di Eva e mordendo l’io dell’uomo, dette un sapore di maleficio al metallo innocente. E da allora per l’oro si uccide e si pecca. La donna per esso diviene civetta e facile al peccato carnale. L’uomo per esso diviene ladro, usurpatore, omicida, duro al suo prossimo e alla sua anima che egli spoglia della sua vera eredità per darsi una effimera cosa, all’anima alla quale egli depreda il tesoro eterno per darsi poche scaglie lucenti che alla morte vanno abbandonate.

 7 O voi, che per l’oro peccate più o meno leggermente, più o meno gravemente, e tanto più peccate e tanto più vi ridete di quanto vi è stato insegnato dalla madre e dai maestri, ossia che vi è un premio e un castigo per le azioni fatte durante l’esistenza, non riflettete dunque che per questo peccato voi perderete la protezione di Dio, la vita eterna, la gioia, e avrete rimorsi, maledizioni nel cuore, la paura a compagna, la paura delle punizioni umane, sempre un niente rispetto alla paura, che dovreste avere e non avete, alla santa paura delle punizioni divine? Non riflettete che potrete avere una fine tremenda per i vostri misfatti, se essi sono giunti al delitto; e una fine ancor più tremenda perché eterna, se i vostri misfatti per amore dell’oro non sono giunti allo spargimento di sangue ma hanno vilipeso la legge dell’amore e del rispetto al prossimo, negando soccorsi a chi ha fame per l’avarizia, rubando posti, o pesi, o denari, per ingordigia?
   No. Non ci pensate. Dite: “Tutto è fola! Io ho schiacciato queste fole sotto il peso del mio oro. E non vivono più”. Non sono fole. Sono verità. Non dite: “Ebbene, morto che io sia, tutto è finito”. No. Tutto incomincia. L’altra vita non è l’abisso senza pensiero e senza ricordo per il passato vissuto e senza aspirazione a Dio che voi credete sarà la sosta in attesa della liberazione del Redentore. L’altra vita è attesa beata per i giusti, attesa paziente per i penanti, attesa orrenda per i dannati. Per i primi nel Limbo, per i secondi nel Purgatorio, per gli ultimi nell’Inferno. E mentre ai primi l’attesa cesserà con l’entrata nei Cieli dietro al Redentore, nei secondi dopo quell’ora si farà più confortata di speranza, mentre per i terzi incupirà la sua tremenda certezza di maledizione eterna.
   Pensateci, voi che peccate. Non è mai tardi per ravvedersi. Mutate il verdetto, che si sta scrivendo nei Cieli per voi, con un vero pentimento. Lo sceol sia per voi non inferno, ma penitente attesa, quella almeno, per il vostro volere. Non buio ma crepuscolo di luce. Non strazio ma nostalgia. Non disperazione ma speranza.

 8 Andate. Non cercate lottare con Dio. Egli è il Forte e il Buono. Non vilipendete il nome dei vostri parenti. Udite come quella fonte ha gemito, un gemito simile a quello che spezza il cuore alle vostre madri sapendovi assassini. Udite come mugola il vento nella gola. Pare che minacci e maledica. Come vi maledice il padre per la vita che conducete. Udite come ulula il rimorso nei vostri cuori. Perché volete soffrire mentre potreste essere serenamente paghi col poco sulla Terra e col tutto in Cielo? Date pace al vostro spirito! Date pace agli uomini che temono, che devono temere di voi come di altrettante belve! Datevi pace, poveri sciagurati! Alzate lo sguardo al Cielo, staccate la bocca dal velenoso cibo, purificatevi le mani che grondano di sangue fraterno, purificatevi il cuore.
   Io ho fede in voi. Per questo vi parlo. Perché, se tutto il mondo vi odia e vi teme, Io non vi odio e non vi temo. Ma solo vi tendo la mano per dirvi: “Sorgete. Venite. Tornate mansueti fra gli uomini, uomini fra gli uomini”. Tanto poco vi temo che ora dico a questi tutti: “Tornate al riposo. Senza rancore per i poveri fratelli. Pregate per loro. Io resto qui a guardarli con occhi di amore e vi giuro che nulla accadrà più. Perché l’amore disarma i violenti e sazia gli avidi. Sia benedetto l’Amore, forza vera del mondo. Forza sconosciuta e potente. Forza che è Dio”».
   E volgendosi a tutti: «Andate, andate. Non temete. Là non sono più dei malfattori. Ma uomini sbigottiti e uomini che piangono. Chi piange non fa male. Volesse Iddio che così, come ora, essi rimanessero. Sarebbe la loro redenzione».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 5, 17-30: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco».

Vangelo Novus Ordo Gv 5, 17-30
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse ai Giudei: «Il Padre mio agisce anche ora e anch’io agisco». Per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo, perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
Gesù riprese a parlare e disse loro: «In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa allo stesso modo. Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, perché voi ne siate meravigliati.
Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi egli vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato ogni giudizio al Figlio, perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.
In verità, in verità io vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita. In verità, in verità io vi dico: viene l’ora – ed è questa – in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio e quelli che l’avranno ascoltata, vivranno.
Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso anche al Figlio di avere la vita in se stesso, e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell’uomo. Non meravigliatevi di questo: viene l’ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e usciranno, quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.
Da me, io non posso fare nulla. Giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«In verità, in verità io vi dico: il Figlio da se stesso non può fare nulla, se non ciò che vede fare dal Padre».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCXXV. Il paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del Figlio di Dio.

   21 luglio 1945.
 
 1 Gesù è in Gerusalemme e precisamente nei pressi dell’Antonia. Con Lui sono tutti gli apostoli meno l’Iscariota. Molta folla si affretta al Tempio. Sono in veste di festa tutti, tanto gli apostoli come gli altri pellegrini, e penso perciò siano i giorni di Pentecoste. Molti mendicanti si mescolano alla gente, lamentando le loro miserie con delle nenie pietose e dirigendosi ai posti migliori, presso le porte del Tempio o ai crocevia da cui la folla viene verso di esso. Gesù passa beneficando questi miserabili, dei quali è cura fare l’esposizione integrale delle loro miserie oltre che la narrazione delle stesse.
   Ho l’impressione che Gesù sia già stato al Tempio, perché sento che gli apostoli parlano di Gamaliele che ha fatto mostra di non vederli, nonostante che Stefano, uno dei suoi uditori, gli segnalasse il passaggio di Gesù.
   Sento anche che Bartolomeo chiede ai compagni: «Che avrà voluto dire quello scriba con la frase: “Un gruppo di montoni da basso macello”?».
   «Avrà parlato di qualche suo affare», risponde Tommaso.
   «No. Indicava noi. L’ho visto bene. E poi! La seconda frase era conferma della prima. Ha detto sarcastico: “Fra poco l’agnello sarà lui pure da tosa e poi da macello”».
   «Sì, ho sentito io pure», conferma Andrea.
   «Già! Ma a me brucia la voglia di tornare indietro e chiedere al compagno dello scriba che cosa sa di Giuda di Simone», dice Pietro.
   «Ma nulla sa! Questa volta Giuda non c’è perché veramente ammalato. Noi lo sappiamo. Forse ha realmente troppo sofferto del viaggio fatto. Noi siamo più robusti. Lui è vissuto qui, comodo. Si stanca», risponde Giacomo di Alfeo.
   «Sì, noi lo sappiamo. Ma quello scriba ha detto: “Manca il camaleonte al gruppo”. Il camaleonte non è quello che cambia colore tutte le volte che vuole?», chiede Pietro.
   «Sì, Simone. Ma certo hanno voluto dire per i suoi abiti sempre nuovi. Ci tiene. È giovane. Va compatito…», concilia lo Zelote.
   «È vero anche questo. Però!… Che frasi curiose!», conclude Pietro.
   «Sembra sempre che minaccino», dice Giacomo di Zebedeo.
   «È che noi sappiamo di essere minacciati e sentiamo minacce anche dove non ce ne sono…», osserva Giuda Taddeo.
   «E vediamo colpe anche dove non esistono», termina Tommaso.
   «Eh! già! Il sospetto è brutto… Chissà come sta oggi Giuda? Intanto si gode quel paradiso, con quegli angeli… Ci starei anche io ad ammalarmi per avere tutte quelle delizie!», dice Pietro; e Bartolomeo gli risponde: «Speriamo che guarisca presto. È necessario terminare il viaggio perché il caldo incalza».
   «Oh! le cure non gli mancano, e poi… ci pensa il Maestro se mai», assicura Andrea.
   «Aveva molta febbre quando lo abbiamo lasciato. Non so come gli sia venuta, così…», dice Giacomo di Zebedeo; e Matteo gli risponde: «Come viene la febbre! Perché deve venire. Ma non sarà nulla. Il Maestro non è per nulla impensierito. Se avesse visto del brutto non avrebbe lasciato il castello di Giovanna».

 2 Infatti Gesù non è per nulla impensierito. Parla con Marziam e con Giovanni, andando avanti e dando elemosine. Certo spiega al bambino molte cose, perché vedo che gli indica questo e quello. È diretto verso la fine delle mura del Tempio all’angolo nord-est. Là vi è molta folla che si dirige verso un luogo molto porticato, che precede una porta che sento chiamare “del Gregge”.
   «Questa è la Probatica, la piscina di Betseida. Ora guarda bene l’acqua. Vedi come è ferma ora? Fra poco vedrai che ha come un movimento e si alza, toccando quel segno umido. Lo vedi? Allora scende l’angelo del Signore, l’acqua lo sente e lo venera come può. Egli porta l’ordine all’acqua di guarire l’uomo pronto a tuffarsi in essa. Vedi quanta gente? Ma troppi si distraggono e non vedono il primo movimento dell’acqua; oppure i più forti, senza carità, respingono i più deboli. Non ci si deve mai distrarre davanti ai segni di Dio. Occorre tenere l’anima sempre vigilante, perché non si sa mai quando Dio si mostri o mandi il suo angelo. E non si deve mai essere egoisti, neanche per salute. Molte volte, per stare a litigare su chi tocca prima o chi ne ha maggiore bisogno, questi infelici perdono il beneficio della venuta angelica».
   Gesù spiega paziente a Marziam, che lo guarda coi suoi occhi ben spalancati, attenti, e intanto tiene d’occhio anche l’acqua.
   «Si può vedere l’angelo? Mi piacerebbe».
   «Levi, pastore della tua età, lo vide. Guarda bene anche tu e sii pronto a lodarlo».
   Il bambino non si distrae più. I suoi occhi sono sull’acqua e sopra l’acqua, alternativamente, e non sente più nulla, non vede più altro. Gesù intanto guarda quel piccolo popolo di infermi, ciechi, storpi, paralitici, che aspettano. Anche gli apostoli osservano attentamente. Il sole fa giuochi di luce sull’acqua e invade da re i cinque ordini di portici che circondano le piscine.
   «Ecco, ecco!», trilla Marziam. «L’acqua cresce, si muove, splende! Che luce! L’angelo!»,… e il bambino si inginocchia.
   Infatti nel moto del liquido nella vasca, che pare accrescersi per un flutto subitamente immesso che lo gonfi, elevandolo verso il bordo, l’acqua splende come uno specchio messo al sole. Un bagliore abbacinante per un attimo.
   Uno zoppo è pronto a tuffarsi nell’acqua per uscirne dopo poco con la gamba, già rattratta da una grande cicatrice, perfettamente guarita. Gli altri si lamentano e litigano col risanato, dicendo che infine lui non era impossibilitato al lavoro mentre loro sì. E la zuffa continua.

 3 Gesù si volge intorno e vede un paralitico sul suo lettuccio che piange piano. Gli va vicino, si curva e lo carezza domandandogli: «Piangi?».
   «Sì. Nessuno pensa mai a me. Sto qui, sto qui, tutti guariscono, io mai. Sono trentotto anni che giaccio sul dorso, ho consumato tutto, mi sono morti i miei, ora sono di peso ad un parente lontano che mi porta qui al mattino, mi riprende alla sera… Ma come gli pesa farlo! Oh! vorrei morire!».
   «Non ti desolare. Tanta pazienza e fede hai avuto! Dio ti esaudirà».
   «Lo spero… ma vengono momenti di sconforto. Tu sei buono. Ma gli altri… Chi è guarito potrebbe, in ringraziamento a Dio, stare qui a soccorrere i poveri fratelli…».
   «Dovrebbe farlo, infatti. Ma non avere rancore. Essi non ci pensano. Non è malanimo il loro. È la gioia di essere guariti che li rende egoisti. Perdonali…».
   «Tu sei buono. Tu non faresti così. Io mi sforzo a trascinarmi con le mani fino là, quando la vasca è mossa. Ma sono sempre preceduto da un altro, e presso l’orlo non ci posso stare; sarei calpestato. E anche stessi là, chi mi calerebbe? Se ti avevo visto prima lo chiedevo a Te…».
   «Vuoi proprio guarire? Allora alzati! Prendi il tuo letto e cammina!».
   Gesù si è rialzato per dare il comando e pare che, alzandosi, alzi anche il paralitico, perché questo sorge in piedi e poi fa uno, due, tre passi, quasi incredulo, dietro a Gesù che se ne va, e visto che cammina proprio ha un grido che fa volgere tutti.
   «Ma chi sei? In nome di Dio, dimmelo! L’angelo del Signore, forse?».
   «Io sono da più di un angelo. Il mio nome è Pietà. Va’ in pace».
   Tutti si affollano. Vogliono vedere. Vogliono parlare. Vogliono guarire. Ma accorrono le guardie del Tempio, che credo sorvegliassero anche la piscina, e respingono quel vociante assembramento minacciando castighi.
 Il paralitico prende la sua barellina – due stanghe su due paia di piccole ruote e un telo sdruscito inchiodato sulle stanghe – e se ne va felice, urlando a Gesù: «Ti ritroverò. Non dimenticherò il tuo nome e il tuo volto».

 4 Gesù, mescolandosi alla folla, se ne va in un altro senso, verso le mura.
   Ma non ha ancora superato l’ultimo portico che giungono, come spinti da una furia di vento, un gruppo di giudei delle caste peggiori, tutti accumunati nel desiderio di dire insolenze a Gesù. Cercano, guardano, scrutano. Ma non riescono a capire bene di che si tratta, e Gesù se ne va mentre questi, delusi, dietro indicazioni delle guardie, assalgono il povero e felice risanato e lo rimproverano: «Perché porti via questo letto? È sabato. Non ti è lecito».
   L’uomo li guarda e dice: «Io non so niente. So che quello che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina”. Questo so».
   «Sarà certo un demonio, perché ti ha ordinato di violare il sabato. Come era? Chi era? Giudeo? Galileo? Proselite?».
   «Non lo so. Era qui. Mi ha visto piangere e mi è venuto vicino. Mi ha parlato. Mi ha guarito. Se ne è andato con un bambino per mano. Credo suo figlio, perché è in età di avere un figlio di quel tempo».
   «Un bambino? Allora non è Lui!… Come ha detto di chiamarsi? Non glielo hai chiesto? Non mentire!».
   «Mi ha detto che si chiama Pietà».
   «Sei uno stolto! Quello non è un nome!».
   L’uomo si stringe nelle spalle e se ne va.
 Gli altri dicono: «Era certo Lui. Lo hanno visto nel Tempio gli scribi Ania e Zaccheo».
   «Ma Lui non ha figli!».
   «Eppure è Lui. Era coi discepoli».
   «Ma Giuda non c’era. È quello che conosciamo bene. Gli altri… possono essere gente qualunque».
   «No. Erano loro».
   E la discussione continua mentre i portici si riaffollano di malati…
   […].

 5 Gesù rientra nel Tempio da un altro lato, quello del lato ovest che è quello che fronteggia il più della città. Gli apostoli lo seguono. Gesù si guarda intorno e vede finalmente ciò che cerca, Gionata, che a sua volta lo cerca.
   «Sta meglio, Maestro. La febbre cala. Tua Madre dice che spera potere venire entro il prossimo sabato».
   «Grazie, Gionata. Sei stato puntuale».
   «Non molto. Mi ha trattenuto Massimino di Lazzaro. Ti sta cercando. È andato al portico di Salomone».
   «Vado a raggiungerlo. La pace sia con te, e porta la mia pace alla Madre e alle discepole, oltre che a Giuda».
   E Gesù va svelto verso il portico di Salomone, dove infatti trova Massimino.
   «Lazzaro ha saputo che sei qui. Ti vuol vedere per dirti una grande cosa. Verrai?».
   «Senza dubbio. E presto. Puoi dire che mi attenda in settimana».
   Anche Massimino se ne va dopo poche altre parole.
   «Andiamo a pregare ancora, poiché siamo tornati fin qui», dice Gesù e va verso l’atrio degli Ebrei.
   Ma presso il medesimo incontra il paralitico guarito, che è andato a ringraziare il Signore. Il miracolato lo scorge fra la folla e lo saluta con gioia, e gli racconta quanto è accaduto alla piscina dopo la sua partenza. E termina: «Mi ha poi detto uno, che si è stupito di vedermi qui sano, chi Tu sei. Tu sei il Messia. È vero?».
   «Lo sono. Ma anche tu fossi stato guarito dall’acqua, o da un altro potere, avresti sempre lo stesso dovere verso Dio. Quello di usare la salute per buone opere. Tu sei guarito. Va’ dunque con buone intenzioni a riprendere le attività della vita. E non peccare mai più. Che Dio non ti abbia a punire più ancora. Addio. Va’ in pace».
   «Io sono vecchio… non so nulla… Ma vorrei seguirti per servirti, e per sapere. Mi vuoi?».
   «Non respingo nessuno. Pensaci però prima di venire. E se sei deciso vieni».
   «Dove? Non so dove vai…».
   «Per il mondo. Dovunque troverai dei discepoli che ti guideranno a Me. Il Signore ti illumini per il meglio».
   Gesù ora va al suo posto e prega…

 6 Io non so se il guarito vada spontaneamente dai giudei o se questi, essendo alla posta, lo fermino per chiedergli se quello che gli ha ora parlato è colui che lo ha miracolato. So che l’uomo parla coi giudei e poi se ne va, mentre questi vengono presso la scala da dove deve scendere Gesù per passare negli altri cortili e uscire dal Tempio. Senza salutarlo, quando Gesù giunge gli dicono: «Dunque Tu continui a violare il sabato, nonostante tutti i rimproveri che ti vengono fatti? E vuoi che ti si rispetti come inviato di Dio?».
   «Inviato? Più ancora, come Figlio. Perché Dio mi è Padre. Se non mi volete rispettare, astenetevene. Ma Io non cesserò di compiere la mia missione per questo. Non c’è un attimo in cui Dio cessi di operare. Anche ora il Padre mio opera, ed Io pure opero, perché un buon figlio fa ciò che fa il padre suo, e perché per operare sulla Terra Io sono venuto».
   Della gente si avvicina per udire la disputa. Fra essa vi sono persone che conoscono Gesù, altre che ne sono state beneficate, altre che lo vedono per la prima volta; alcuni lo amano, altri lo odiano, molti sono incerti. Gli apostoli fanno nucleo col Maestro. Marziam ha quasi paura e fa un visetto prossimo al pianto.
   I giudei, una mescolanza di scribi, farisei e sadducei, gridano alto il loro scandalo: «Tu osi! Oh! Si dice Figlio di Dio! Sacrilegio! Dio è Colui che è, e non ha figli! Ma chiamate Gamaliele! Ma chiamate Sadoc! Adunate i rabbi, che odano e confutino».
   «Non vi agitate. Chiamateli e vi diranno, se è vero che sanno, che Dio è uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Verbo, ossia il Figlio del Pensiero, è venuto, secondo che era profetizzato, per salvare Israele e il mondo dal Peccato. Il Verbo sono Io. Sono il Messia predetto. Nessun sacrilegio perciò se do al Padre il nome di Padre mio.

 7 Voi vi inquietate perché Io faccio miracoli, perché con ciò attiro a Me le folle e le convinco. Voi mi accusate di essere un demonio perché opero prodigi. Ma Belzebù è per il mondo da secoli e, in verità, non gli mancano gli adoratori devoti… Perché allora egli non fa ciò che Io faccio?».
   La gente bisbiglia: «È vero! È vero! Nessuno fa ciò che Egli fa».
   Gesù continua:
   «Io ve lo dico: è perché Io so ciò che egli non sa e posso ciò che egli non può. Se Io faccio opere di Dio è perché Io sono suo Figlio. Da sé uno non può arrivare a fare se non ciò che ha veduto fare. Io, Figlio, non posso fare se non ciò che ho veduto fare dal Padre essendo Uno con Lui nei secoli dei secoli, non dissimile nella natura né nel potere. Tutte le cose che fa il Padre le faccio Io pure che sono suo Figlio. Né Belzebù né altri possono fare ciò che Io faccio, perché Belzebù e gli altri non sanno ciò che Io so. Il Padre ama Me, suo Figlio, e mi ama senza misura così come Io lo amo. Perciò mi ha mostrato e mi mostra tutto quanto Egli fa, acciò Io faccia ciò che Egli fa, Io sulla Terra, in questo tempo di Grazia, Egli in Cielo, da prima che il Tempo fosse per la Terra. E mi mostrerà opere sempre maggiori acciò Io le faccia e voi ne restiate meravigliati. Il suo Pensiero è inesauribile nel pensare. Io lo imito essendo inesauribile nel compiere ciò che il Padre pensa e col pensiero vuole.

 8 Voi ancora non sapete quanto l’Amore crei inesauribilmente. Noi siamo l’Amore. E non vi è limitazione per Noi, né vi è cosa che non possa essere applicata sui tre gradi dell’uomo: l’inferiore, il superiore, lo spirituale. Infatti, così come il Padre risuscita i morti e rende loro la vita, ugualmente Io, Figlio, posso dare la vita a quelli che voglio, e anzi, per l’amore infinito che il Padre ha per il Figlio, mi è concesso non solo di rendere vita alla parte inferiore, ma bensì anche vita alla superiore liberando il pensiero dell’uomo e il suo cuore dagli errori mentali e dalle male passioni, e alla parte spirituale rendendo allo spirito la sua libertà dal peccato, perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, essendo il Figlio Colui che col proprio sacrificio ha comperato l’Umanità per redimerla; e ciò il Padre fa per giustizia, perché a Colui che paga con sua moneta è giusto sia dato, e perché tutti onorino il Figlio come già onorano il Padre.
 Sappiate che, se separate il Padre dal Figlio o il Figlio dal Padre e non vi ricordate dell’Amore, voi non amate Dio come va amato, con verità e sapienza, ma commettete un’eresia perché date culto a uno solo mentre Essi sono una mirabile Trinità. Perciò chi non onora il Figlio è come non onorasse il Padre, perché il Padre, Dio, non accetta che una sola parte di Sé sia adorata, ma vuole sia adorato il suo Tutto. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato per pensiero perfetto di amore. Nega dunque che Dio sappia fare opere giuste. In verità vi dico che chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è colpito da condanna, ma passa da morte a vita, perché credere in Dio e accettare la mia parola vuol dire infondere in sé la Vita che non muore.
   Sta venendo l’ora, anzi per molti è già venuta, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l’avrà sentita risuonare vivificatrice in fondo al cuore vivrà.

 9 Che dici, tu, scriba?».
   «Dico che i morti non odono più nulla, e che Tu sei folle».
   «Il Cielo ti persuaderà che così non è, e che il tuo sapere è nullo rispetto a quello di Dio. Voi avete talmente umanizzato le cose soprannaturali che non date più alle parole altro che un significato immediato e terreno. Avete insegnato l’Haggadda su formole fisse,vostre, senza sforzarvi a comprendere le allegorie nella loro verità, e ora, nel vostro animo stanco di essere pressato da una umanità trionfante sullo spirito, non credete più neppure a ciò che insegnate. E questa è la ragione per cui non potete più lottare contro le forze occulte.
   La morte di cui Io parlo non è quella della carne, ma dello spirito. Verranno coloro che odono con le orecchie la mia parola e l’accolgono nel loro cuore e la mettono in pratica. Costoro, anche se morti nello spirito, riavranno vita, perché la mia Parola è Vita che si infonde. Ed Io la posso dare a chi voglio, perché in Me è perfezione di Vita, perché come il Padre ha in Sé la Vita perfetta così pure il Figlio ebbe dal Padre la Vita, in Se stesso, perfetta, completa, eterna, inesauribile e trasfondibile. E con la Vita il Padre mi ha dato il potere di giudicare, perché il Figlio del Padre è il Figlio dell’uomo, e può e deve giudicare l’uomo. E non vi meravigliate di questa prima risurrezione, quella spirituale, che Io opero con la mia Parola. Ne vedrete di più forti ancora, più forti per i vostri sensi pesanti, perché in verità vi dico che non vi è cosa più grande della invisibile ma reale risurrezione di uno spirito. Presto viene l’ora in cui i sepolcri saranno penetrati dalla voce del Figlio di Dio e tutti quelli che sono in essi la udranno. E coloro che fecero il bene ne usciranno per andare alla risurrezione della Vita eterna, e quanti fecero il male alla risurrezione della condanna eterna.
   Questo Io non dico di fare e non farò da Me stesso, per mio solo volere, ma per volere del Padre unito al mio. Io parlo e giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è retto perché non cerco il mio volere, ma il volere di Colui che mi ha mandato. Io non sono separato dal Padre. Io sono in Lui ed Egli è in Me, ed Io conosco il suo pensiero e lo traduco in parola ed in azione.

 10Quanto Io dico per rendere testimonianza a Me stesso non può essere accettabile al vostro spirito incredulo, che non vuole vedere in Me altro che l’uomo simile a voi tutti. Anche un altro ve ne è che testifica per Me, e che voi dite di venerare come grande profeta. Io so che la sua testimonianza è vera. Ma voi, voi che dite di venerarlo, non accettate la sua testimonianza perché è disforme al vostro pensiero che mi è nemico. Voi non accettate la testimonianza dell’uomo giusto, del Profeta ultimo di Israele perché, in ciò che vi piace, dite che egli non è che un uomo e può sbagliare. Voi avete mandato ad interrogare Giovanni, sperando che dicesse di Me ciò che voi desideravate, ciò che di Me voi pensate, ciò che voi di Me volete pensare. Ma Giovanni ha reso testimonianza di verità e voi non l’avete potuta accettare. Poiché il Profeta dice che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, voi, nel segreto dei cuori, perché temete le folle, dite che il Profeta è un folle come lo è il Cristo. Io pure, però, non ricevo testimonianza dall’uomo, sia pure il più santo di Israele. Io vi dico: egli era la lampada ardente e luminosa, ma voi avete per poco voluto godere della sua luce. Quando questa luce si è proiettata su Me, per farvi conoscere il Cristo per ciò che Egli è, voi avete lasciato che la lampada fosse messa sotto al moggio, e prima ancora avevate drizzato fra essa e voi un muro, per non vedere nella sua luce il Cristo del Signore.
   Io sono grato a Giovanni della sua testimonianza, e grato gliene è il Padre. E Giovanni avrà gran premio per questa sua testimonianza, ardendo anche per questo in Cielo, il primo sole che vi splenderà di tutti gli uomini lassù, ardendo come arderanno tutti quelli che sono stati fedeli alla Verità e affamati di Giustizia. Ma Io però ho una testimonianza maggiore a quella di Giovanni. E questa testimonianza sono le mie opere. Perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere Io faccio, ed esse testificano che il Padre mi ha mandato dandomi ogni potere. E così è il Padre stesso che mi ha mandato, Colui che rende testimonianza in mio favore. Voi non ne avete mai sentito la Voce, né visto il Volto. Ma Io l’ho visto e lo vedo, l’ho udita e la odo. Voi non avete dimorante in voi la sua Parola, perché non credete a Colui che Egli ha mandato.
   Voi investigate la Scrittura perché credete di ottenere, per la sua conoscenza, la Vita eterna. E non vi accorgete allora che sono proprio le Scritture che parlano di Me? E come mai allora continuate a non volere venire a Me per avere la Vita? Io ve lo dico: è perché quando qualche cosa è contraria alle vostre inveterate idee voi la respingete. Vi manca l’umiltà. Non potete giungere a dire: “Ho sbagliato. Costui, o questo libro, dice giusto e io sono in errore”. Così avete fatto con Giovanni, così con le Scritture, così con il Verbo che vi parla. Non potete più vedere e capire perché siete fasciati di superbia e rintronati dalle vostre voci.

 11Credete voi che Io parli così perché Io voglia essere da voi glorificato? No, sappiatelo, Io non cerco e non accetto gloria dagli uomini. Quello che Io cerco e voglio è la vostra salvezza eterna. Questa è la gloria che cerco. La mia gloria di Salvatore, che non può esserci se Io non ho dei salvati, che aumenta più salvati Io ho, che mi deve essere data dagli spiriti salvati e dal Padre, Spirito purissimo.
   Ma voi non sarete salvati. Vi ho conosciuto per quello che siete. Voi non avete in voi amore di Dio. Siete senza amore. E perciò non venite all’Amore che vi parla e non entrerete nel Regno dell’Amore. Là voi siete degli sconosciuti. Non vi conosce il Padre, perché voi non conoscete Me che sono nel Padre. Non mi volete conoscere. Io sono venuto in nome del Padre mio e voi non mi ricevete, mentre siete pronti a ricevere chiunque viene in nome proprio, purché dica ciò che a voi piace. Dite di essere spiriti di fede? No. Non lo siete. Come potete credere, voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria dei Cieli che da Dio solo procede? La gloria che è Verità, non giuoco di interessi che si fermano sulla Terra e carezzano solo l’umanità viziosa dei degradati figli di Adamo.
   Io non vi accuserò al Padre. Non ve lo pensate. Vi è già chi vi accusa. Quel Mosè in cui voi sperate. Egli vi rimprovererà di non credere in lui poiché non credete in Me, perché egli di Me ha scritto e voi non mi riconoscete secondo quanto egli di Me ha lasciato scritto. Voi non credete alle parole di Mosè che è il grande su cui giurate. Come potete allora credere alle mie, a quelle del Figlio dell’uomo, nel quale non avete fede? Umanamente parlando ciò è logico. Ma qui siamo nel campo dello spirito, e sono in confronto le vostre anime. Dio le osserva alla luce delle mie opere e confronta le azioni che fate con ciò che Io sono venuto a insegnare. E Dio vi giudica.
   Io me ne vado. Per molto non mi troverete. E credete pure che questo non è un trionfo. Ma è un castigo. Andiamo».
   E Gesù fende la folla, in parte muta, in parte bisbigliante approvazioni che la paura dei farisei trattiene a bisbiglio, e se ne va.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 5, 1-16: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina».

Vangelo Novus Ordo Gv 5,1-16
Dal Vangelo secondo Giovanni

Ricorreva una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. A Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, vi è una piscina, chiamata in ebraico Betzatà, con cinque portici, sotto i quali giaceva un grande numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.
Si trovava lì un uomo che da trentotto anni era malato. Gesù, vedendolo giacere e sapendo che da molto tempo era così, gli disse: «Vuoi guarire?». Gli rispose il malato: «Signore, non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, un altro scende prima di me». Gesù gli disse: «Àlzati, prendi la tua barella e cammina». E all’istante quell’uomo guarì: prese la sua barella e cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. Dissero dunque i Giudei all’uomo che era stato guarito: «È sabato e non ti è lecito portare la tua barella». Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi la tua barella e cammina”». Gli domandarono allora: «Chi è l’uomo che ti ha detto: “Prendi e cammina”?». Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato perché vi era folla in quel luogo.
Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio». Quell’uomo se ne andò e riferì ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. Per questo i Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva tali cose di sabato

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Ecco: sei guarito! Non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCXXV. Il paralitico della piscina di Betseida e la disputa sulle opere del Figlio di Dio.

   21 luglio 1945.
 
 1 Gesù è in Gerusalemme e precisamente nei pressi dell’Antonia. Con Lui sono tutti gli apostoli meno l’Iscariota. Molta folla si affretta al Tempio. Sono in veste di festa tutti, tanto gli apostoli come gli altri pellegrini, e penso perciò siano i giorni di Pentecoste. Molti mendicanti si mescolano alla gente, lamentando le loro miserie con delle nenie pietose e dirigendosi ai posti migliori, presso le porte del Tempio o ai crocevia da cui la folla viene verso di esso. Gesù passa beneficando questi miserabili, dei quali è cura fare l’esposizione integrale delle loro miserie oltre che la narrazione delle stesse.
   Ho l’impressione che Gesù sia già stato al Tempio, perché sento che gli apostoli parlano di Gamaliele che ha fatto mostra di non vederli, nonostante che Stefano, uno dei suoi uditori, gli segnalasse il passaggio di Gesù.
   Sento anche che Bartolomeo chiede ai compagni: «Che avrà voluto dire quello scriba con la frase: “Un gruppo di montoni da basso macello”?».
   «Avrà parlato di qualche suo affare», risponde Tommaso.
   «No. Indicava noi. L’ho visto bene. E poi! La seconda frase era conferma della prima. Ha detto sarcastico: “Fra poco l’agnello sarà lui pure da tosa e poi da macello”».
   «Sì, ho sentito io pure», conferma Andrea.
   «Già! Ma a me brucia la voglia di tornare indietro e chiedere al compagno dello scriba che cosa sa di Giuda di Simone», dice Pietro.
   «Ma nulla sa! Questa volta Giuda non c’è perché veramente ammalato. Noi lo sappiamo. Forse ha realmente troppo sofferto del viaggio fatto. Noi siamo più robusti. Lui è vissuto qui, comodo. Si stanca», risponde Giacomo di Alfeo.
   «Sì, noi lo sappiamo. Ma quello scriba ha detto: “Manca il camaleonte al gruppo”. Il camaleonte non è quello che cambia colore tutte le volte che vuole?», chiede Pietro.
   «Sì, Simone. Ma certo hanno voluto dire per i suoi abiti sempre nuovi. Ci tiene. È giovane. Va compatito…», concilia lo Zelote.
   «È vero anche questo. Però!… Che frasi curiose!», conclude Pietro.
   «Sembra sempre che minaccino», dice Giacomo di Zebedeo.
   «È che noi sappiamo di essere minacciati e sentiamo minacce anche dove non ce ne sono…», osserva Giuda Taddeo.
   «E vediamo colpe anche dove non esistono», termina Tommaso.
   «Eh! già! Il sospetto è brutto… Chissà come sta oggi Giuda? Intanto si gode quel paradiso, con quegli angeli… Ci starei anche io ad ammalarmi per avere tutte quelle delizie!», dice Pietro; e Bartolomeo gli risponde: «Speriamo che guarisca presto. È necessario terminare il viaggio perché il caldo incalza».
   «Oh! le cure non gli mancano, e poi… ci pensa il Maestro se mai», assicura Andrea.
   «Aveva molta febbre quando lo abbiamo lasciato. Non so come gli sia venuta, così…», dice Giacomo di Zebedeo; e Matteo gli risponde: «Come viene la febbre! Perché deve venire. Ma non sarà nulla. Il Maestro non è per nulla impensierito. Se avesse visto del brutto non avrebbe lasciato il castello di Giovanna».
 2 Infatti Gesù non è per nulla impensierito. Parla con Marziam e con Giovanni, andando avanti e dando elemosine. Certo spiega al bambino molte cose, perché vedo che gli indica questo e quello. È diretto verso la fine delle mura del Tempio all’angolo nord-est. Là vi è molta folla che si dirige verso un luogo molto porticato, che precede una porta che sento chiamare “del Gregge”.
   «Questa è la Probatica, la piscina di Betseida. Ora guarda bene l’acqua. Vedi come è ferma ora? Fra poco vedrai che ha come un movimento e si alza, toccando quel segno umido. Lo vedi? Allora scende l’angelo del Signore, l’acqua lo sente e lo venera come può. Egli porta l’ordine all’acqua di guarire l’uomo pronto a tuffarsi in essa. Vedi quanta gente? Ma troppi si distraggono e non vedono il primo movimento dell’acqua; oppure i più forti, senza carità, respingono i più deboli. Non ci si deve mai distrarre davanti ai segni di Dio. Occorre tenere l’anima sempre vigilante, perché non si sa mai quando Dio si mostri o mandi il suo angelo. E non si deve mai essere egoisti, neanche per salute. Molte volte, per stare a litigare su chi tocca prima o chi ne ha maggiore bisogno, questi infelici perdono il beneficio della venuta angelica».
   Gesù spiega paziente a Marziam, che lo guarda coi suoi occhi ben spalancati, attenti, e intanto tiene d’occhio anche l’acqua.
   «Si può vedere l’angelo? Mi piacerebbe».
   «Levi, pastore della tua età, lo vide. Guarda bene anche tu e sii pronto a lodarlo».
   Il bambino non si distrae più. I suoi occhi sono sull’acqua e sopra l’acqua, alternativamente, e non sente più nulla, non vede più altro. Gesù intanto guarda quel piccolo popolo di infermi, ciechi, storpi, paralitici, che aspettano. Anche gli apostoli osservano attentamente. Il sole fa giuochi di luce sull’acqua e invade da re i cinque ordini di portici che circondano le piscine.
   «Ecco, ecco!», trilla Marziam. «L’acqua cresce, si muove, splende! Che luce! L’angelo!»,… e il bambino si inginocchia.
   Infatti nel moto del liquido nella vasca, che pare accrescersi per un flutto subitamente immesso che lo gonfi, elevandolo verso il bordo, l’acqua splende come uno specchio messo al sole. Un bagliore abbacinante per un attimo.
   Uno zoppo è pronto a tuffarsi nell’acqua per uscirne dopo poco con la gamba, già rattratta da una grande cicatrice, perfettamente guarita. Gli altri si lamentano e litigano col risanato, dicendo che infine lui non era impossibilitato al lavoro mentre loro sì. E la zuffa continua.
 3 Gesù si volge intorno e vede un paralitico sul suo lettuccio che piange piano. Gli va vicino, si curva e lo carezza domandandogli: «Piangi?».
   «Sì. Nessuno pensa mai a me. Sto qui, sto qui, tutti guariscono, io mai. Sono trentotto anni che giaccio sul dorso, ho consumato tutto, mi sono morti i miei, ora sono di peso ad un parente lontano che mi porta qui al mattino, mi riprende alla sera… Ma come gli pesa farlo! Oh! vorrei morire!».
   «Non ti desolare. Tanta pazienza e fede hai avuto! Dio ti esaudirà».
   «Lo spero… ma vengono momenti di sconforto. Tu sei buono. Ma gli altri… Chi è guarito potrebbe, in ringraziamento a Dio, stare qui a soccorrere i poveri fratelli…».
   «Dovrebbe farlo, infatti. Ma non avere rancore. Essi non ci pensano. Non è malanimo il loro. È la gioia di essere guariti che li rende egoisti. Perdonali…».
   «Tu sei buono. Tu non faresti così. Io mi sforzo a trascinarmi con le mani fino là, quando la vasca è mossa. Ma sono sempre preceduto da un altro, e presso l’orlo non ci posso stare; sarei calpestato. E anche stessi là, chi mi calerebbe? Se ti avevo visto prima lo chiedevo a Te…».
   «Vuoi proprio guarire? Allora alzati! Prendi il tuo letto e cammina!».
   Gesù si è rialzato per dare il comando e pare che, alzandosi, alzi anche il paralitico, perché questo sorge in piedi e poi fa uno, due, tre passi, quasi incredulo, dietro a Gesù che se ne va, e visto che cammina proprio ha un grido che fa volgere tutti.
   «Ma chi sei? In nome di Dio, dimmelo! L’angelo del Signore, forse?».
   «Io sono da più di un angelo. Il mio nome è Pietà. Va’ in pace».
   Tutti si affollano. Vogliono vedere. Vogliono parlare. Vogliono guarire. Ma accorrono le guardie del Tempio, che credo sorvegliassero anche la piscina, e respingono quel vociante assembramento minacciando castighi.
 Il paralitico prende la sua barellina – due stanghe su due paia di piccole ruote e un telo sdruscito inchiodato sulle stanghe – e se ne va felice, urlando a Gesù: «Ti ritroverò. Non dimenticherò il tuo nome e il tuo volto».
 4 Gesù, mescolandosi alla folla, se ne va in un altro senso, verso le mura.
   Ma non ha ancora superato l’ultimo portico che giungono, come spinti da una furia di vento, un gruppo di giudei delle caste peggiori, tutti accumunati nel desiderio di dire insolenze a Gesù. Cercano, guardano, scrutano. Ma non riescono a capire bene di che si tratta, e Gesù se ne va mentre questi, delusi, dietro indicazioni delle guardie, assalgono il povero e felice risanato e lo rimproverano: «Perché porti via questo letto? È sabato. Non ti è lecito».
   L’uomo li guarda e dice: «Io non so niente. So che quello che mi ha guarito mi ha detto: “Prendi il tuo letto e cammina”. Questo so».
   «Sarà certo un demonio, perché ti ha ordinato di violare il sabato. Come era? Chi era? Giudeo? Galileo? Proselite?».
   «Non lo so. Era qui. Mi ha visto piangere e mi è venuto vicino. Mi ha parlato. Mi ha guarito. Se ne è andato con un bambino per mano. Credo suo figlio, perché è in età di avere un figlio di quel tempo».
   «Un bambino? Allora non è Lui!… Come ha detto di chiamarsi? Non glielo hai chiesto? Non mentire!».
   «Mi ha detto che si chiama Pietà».
   «Sei uno stolto! Quello non è un nome!».
   L’uomo si stringe nelle spalle e se ne va.
 Gli altri dicono: «Era certo Lui. Lo hanno visto nel Tempio gli scribi Ania e Zaccheo».
   «Ma Lui non ha figli!».
   «Eppure è Lui. Era coi discepoli».
   «Ma Giuda non c’era. È quello che conosciamo bene. Gli altri… possono essere gente qualunque».
   «No. Erano loro».
   E la discussione continua mentre i portici si riaffollano di malati…
   […].
 5 Gesù rientra nel Tempio da un altro lato, quello del lato ovest che è quello che fronteggia il più della città. Gli apostoli lo seguono. Gesù si guarda intorno e vede finalmente ciò che cerca, Gionata, che a sua volta lo cerca.
   «Sta meglio, Maestro. La febbre cala. Tua Madre dice che spera potere venire entro il prossimo sabato».
   «Grazie, Gionata. Sei stato puntuale».
   «Non molto. Mi ha trattenuto Massimino di Lazzaro. Ti sta cercando. È andato al portico di Salomone».
   «Vado a raggiungerlo. La pace sia con te, e porta la mia pace alla Madre e alle discepole, oltre che a Giuda».
   E Gesù va svelto verso il portico di Salomone, dove infatti trova Massimino.
   «Lazzaro ha saputo che sei qui. Ti vuol vedere per dirti una grande cosa. Verrai?».
   «Senza dubbio. E presto. Puoi dire che mi attenda in settimana».
   Anche Massimino se ne va dopo poche altre parole.
   «Andiamo a pregare ancora, poiché siamo tornati fin qui», dice Gesù e va verso l’atrio degli Ebrei.
   Ma presso il medesimo incontra il paralitico guarito, che è andato a ringraziare il Signore. Il miracolato lo scorge fra la folla e lo saluta con gioia, e gli racconta quanto è accaduto alla piscina dopo la sua partenza. E termina: «Mi ha poi detto uno, che si è stupito di vedermi qui sano, chi Tu sei. Tu sei il Messia. È vero?».
   «Lo sono. Ma anche tu fossi stato guarito dall’acqua, o da un altro potere, avresti sempre lo stesso dovere verso Dio. Quello di usare la salute per buone opere. Tu sei guarito. Va’ dunque con buone intenzioni a riprendere le attività della vita. E non peccare mai più. Che Dio non ti abbia a punire più ancora. Addio. Va’ in pace».
   «Io sono vecchio… non so nulla… Ma vorrei seguirti per servirti, e per sapere. Mi vuoi?».
   «Non respingo nessuno. Pensaci però prima di venire. E se sei deciso vieni».
   «Dove? Non so dove vai…».
   «Per il mondo. Dovunque troverai dei discepoli che ti guideranno a Me. Il Signore ti illumini per il meglio».
   Gesù ora va al suo posto e prega…
 6 Io non so se il guarito vada spontaneamente dai giudei o se questi, essendo alla posta, lo fermino per chiedergli se quello che gli ha ora parlato è colui che lo ha miracolato. So che l’uomo parla coi giudei e poi se ne va, mentre questi vengono presso la scala da dove deve scendere Gesù per passare negli altri cortili e uscire dal Tempio. Senza salutarlo, quando Gesù giunge gli dicono: «Dunque Tu continui a violare il sabato, nonostante tutti i rimproveri che ti vengono fatti? E vuoi che ti si rispetti come inviato di Dio?».
   «Inviato? Più ancora, come Figlio. Perché Dio mi è Padre. Se non mi volete rispettare, astenetevene. Ma Io non cesserò di compiere la mia missione per questo. Non c’è un attimo in cui Dio cessi di operare. Anche ora il Padre mio opera, ed Io pure opero, perché un buon figlio fa ciò che fa il padre suo, e perché per operare sulla Terra Io sono venuto».
   Della gente si avvicina per udire la disputa. Fra essa vi sono persone che conoscono Gesù, altre che ne sono state beneficate, altre che lo vedono per la prima volta; alcuni lo amano, altri lo odiano, molti sono incerti. Gli apostoli fanno nucleo col Maestro. Marziam ha quasi paura e fa un visetto prossimo al pianto.
   I giudei, una mescolanza di scribi, farisei e sadducei, gridano alto il loro scandalo: «Tu osi! Oh! Si dice Figlio di Dio! Sacrilegio! Dio è Colui che è, e non ha figli! Ma chiamate Gamaliele! Ma chiamate Sadoc! Adunate i rabbi, che odano e confutino».
   «Non vi agitate. Chiamateli e vi diranno, se è vero che sanno, che Dio è uno e trino: Padre, Figlio e Spirito Santo, e che il Verbo, ossia il Figlio del Pensiero, è venuto, secondo che era profetizzato, per salvare Israele e il mondo dal Peccato. Il Verbo sono Io. Sono il Messia predetto. Nessun sacrilegio perciò se do al Padre il nome di Padre mio.
 7 Voi vi inquietate perché Io faccio miracoli, perché con ciò attiro a Me le folle e le convinco. Voi mi accusate di essere un demonio perché opero prodigi. Ma Belzebù è per il mondo da secoli e, in verità, non gli mancano gli adoratori devoti… Perché allora egli non fa ciò che Io faccio?».
   La gente bisbiglia: «È vero! È vero! Nessuno fa ciò che Egli fa».
   Gesù continua:
   «Io ve lo dico: è perché Io so ciò che egli non sa e posso ciò che egli non può. Se Io faccio opere di Dio è perché Io sono suo Figlio. Da sé uno non può arrivare a fare se non ciò che ha veduto fare. Io, Figlio, non posso fare se non ciò che ho veduto fare dal Padre essendo Uno con Lui nei secoli dei secoli, non dissimile nella natura né nel potere. Tutte le cose che fa il Padre le faccio Io pure che sono suo Figlio. Né Belzebù né altri possono fare ciò che Io faccio, perché Belzebù e gli altri non sanno ciò che Io so. Il Padre ama Me, suo Figlio, e mi ama senza misura così come Io lo amo. Perciò mi ha mostrato e mi mostra tutto quanto Egli fa, acciò Io faccia ciò che Egli fa, Io sulla Terra, in questo tempo di Grazia, Egli in Cielo, da prima che il Tempo fosse per la Terra. E mi mostrerà opere sempre maggiori acciò Io le faccia e voi ne restiate meravigliati. Il suo Pensiero è inesauribile nel pensare. Io lo imito essendo inesauribile nel compiere ciò che il Padre pensa e col pensiero vuole.
 8 Voi ancora non sapete quanto l’Amore crei inesauribilmente. Noi siamo l’Amore. E non vi è limitazione per Noi, né vi è cosa che non possa essere applicata sui tre gradi dell’uomo: l’inferiore, il superiore, lo spirituale. Infatti, così come il Padre risuscita i morti e rende loro la vita, ugualmente Io, Figlio, posso dare la vita a quelli che voglio, e anzi, per l’amore infinito che il Padre ha per il Figlio, mi è concesso non solo di rendere vita alla parte inferiore, ma bensì anche vita alla superiore liberando il pensiero dell’uomo e il suo cuore dagli errori mentali e dalle male passioni, e alla parte spirituale rendendo allo spirito la sua libertà dal peccato, perché il Padre non giudica nessuno, ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio, essendo il Figlio Colui che col proprio sacrificio ha comperato l’Umanità per redimerla; e ciò il Padre fa per giustizia, perché a Colui che paga con sua moneta è giusto sia dato, e perché tutti onorino il Figlio come già onorano il Padre.
 Sappiate che, se separate il Padre dal Figlio o il Figlio dal Padre e non vi ricordate dell’Amore, voi non amate Dio come va amato, con verità e sapienza, ma commettete un’eresia perché date culto a uno solo mentre Essi sono una mirabile Trinità. Perciò chi non onora il Figlio è come non onorasse il Padre, perché il Padre, Dio, non accetta che una sola parte di Sé sia adorata, ma vuole sia adorato il suo Tutto. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato per pensiero perfetto di amore. Nega dunque che Dio sappia fare opere giuste. In verità vi dico che chi ascolta la mia parola e crede in Colui che mi ha mandato ha la vita eterna e non è colpito da condanna, ma passa da morte a vita, perché credere in Dio e accettare la mia parola vuol dire infondere in sé la Vita che non muore.
   Sta venendo l’ora, anzi per molti è già venuta, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e chi l’avrà sentita risuonare vivificatrice in fondo al cuore vivrà.
 9 Che dici, tu, scriba?».
   «Dico che i morti non odono più nulla, e che Tu sei folle».
   «Il Cielo ti persuaderà che così non è, e che il tuo sapere è nullo rispetto a quello di Dio. Voi avete talmente umanizzato le cose soprannaturali che non date più alle parole altro che un significato immediato e terreno. Avete insegnato l’Haggadda su formole fisse,vostre, senza sforzarvi a comprendere le allegorie nella loro verità, e ora, nel vostro animo stanco di essere pressato da una umanità trionfante sullo spirito, non credete più neppure a ciò che insegnate. E questa è la ragione per cui non potete più lottare contro le forze occulte.
   La morte di cui Io parlo non è quella della carne, ma dello spirito. Verranno coloro che odono con le orecchie la mia parola e l’accolgono nel loro cuore e la mettono in pratica. Costoro, anche se morti nello spirito, riavranno vita, perché la mia Parola è Vita che si infonde. Ed Io la posso dare a chi voglio, perché in Me è perfezione di Vita, perché come il Padre ha in Sé la Vita perfetta così pure il Figlio ebbe dal Padre la Vita, in Se stesso, perfetta, completa, eterna, inesauribile e trasfondibile. E con la Vita il Padre mi ha dato il potere di giudicare, perché il Figlio del Padre è il Figlio dell’uomo, e può e deve giudicare l’uomo. E non vi meravigliate di questa prima risurrezione, quella spirituale, che Io opero con la mia Parola. Ne vedrete di più forti ancora, più forti per i vostri sensi pesanti, perché in verità vi dico che non vi è cosa più grande della invisibile ma reale risurrezione di uno spirito. Presto viene l’ora in cui i sepolcri saranno penetrati dalla voce del Figlio di Dio e tutti quelli che sono in essi la udranno. E coloro che fecero il bene ne usciranno per andare alla risurrezione della Vita eterna, e quanti fecero il male alla risurrezione della condanna eterna.
   Questo Io non dico di fare e non farò da Me stesso, per mio solo volere, ma per volere del Padre unito al mio. Io parlo e giudico secondo che ascolto, e il mio giudizio è retto perché non cerco il mio volere, ma il volere di Colui che mi ha mandato. Io non sono separato dal Padre. Io sono in Lui ed Egli è in Me, ed Io conosco il suo pensiero e lo traduco in parola ed in azione.
 10Quanto Io dico per rendere testimonianza a Me stesso non può essere accettabile al vostro spirito incredulo, che non vuole vedere in Me altro che l’uomo simile a voi tutti. Anche un altro ve ne è che testifica per Me, e che voi dite di venerare come grande profeta. Io so che la sua testimonianza è vera. Ma voi, voi che dite di venerarlo, non accettate la sua testimonianza perché è disforme al vostro pensiero che mi è nemico. Voi non accettate la testimonianza dell’uomo giusto, del Profeta ultimo di Israele perché, in ciò che vi piace, dite che egli non è che un uomo e può sbagliare. Voi avete mandato ad interrogare Giovanni, sperando che dicesse di Me ciò che voi desideravate, ciò che di Me voi pensate, ciò che voi di Me volete pensare. Ma Giovanni ha reso testimonianza di verità e voi non l’avete potuta accettare. Poiché il Profeta dice che Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, voi, nel segreto dei cuori, perché temete le folle, dite che il Profeta è un folle come lo è il Cristo. Io pure, però, non ricevo testimonianza dall’uomo, sia pure il più santo di Israele. Io vi dico: egli era la lampada ardente e luminosa, ma voi avete per poco voluto godere della sua luce. Quando questa luce si è proiettata su Me, per farvi conoscere il Cristo per ciò che Egli è, voi avete lasciato che la lampada fosse messa sotto al moggio, e prima ancora avevate drizzato fra essa e voi un muro, per non vedere nella sua luce il Cristo del Signore.
   Io sono grato a Giovanni della sua testimonianza, e grato gliene è il Padre. E Giovanni avrà gran premio per questa sua testimonianza, ardendo anche per questo in Cielo, il primo sole che vi splenderà di tutti gli uomini lassù, ardendo come arderanno tutti quelli che sono stati fedeli alla Verità e affamati di Giustizia. Ma Io però ho una testimonianza maggiore a quella di Giovanni. E questa testimonianza sono le mie opere. Perché le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle opere Io faccio, ed esse testificano che il Padre mi ha mandato dandomi ogni potere. E così è il Padre stesso che mi ha mandato, Colui che rende testimonianza in mio favore. Voi non ne avete mai sentito la Voce, né visto il Volto. Ma Io l’ho visto e lo vedo, l’ho udita e la odo. Voi non avete dimorante in voi la sua Parola, perché non credete a Colui che Egli ha mandato.
   Voi investigate la Scrittura perché credete di ottenere, per la sua conoscenza, la Vita eterna. E non vi accorgete allora che sono proprio le Scritture che parlano di Me? E come mai allora continuate a non volere venire a Me per avere la Vita? Io ve lo dico: è perché quando qualche cosa è contraria alle vostre inveterate idee voi la respingete. Vi manca l’umiltà. Non potete giungere a dire: “Ho sbagliato. Costui, o questo libro, dice giusto e io sono in errore”. Così avete fatto con Giovanni, così con le Scritture, così con il Verbo che vi parla. Non potete più vedere e capire perché siete fasciati di superbia e rintronati dalle vostre voci.
 11Credete voi che Io parli così perché Io voglia essere da voi glorificato? No, sappiatelo, Io non cerco e non accetto gloria dagli uomini. Quello che Io cerco e voglio è la vostra salvezza eterna. Questa è la gloria che cerco. La mia gloria di Salvatore, che non può esserci se Io non ho dei salvati, che aumenta più salvati Io ho, che mi deve essere data dagli spiriti salvati e dal Padre, Spirito purissimo.
   Ma voi non sarete salvati. Vi ho conosciuto per quello che siete. Voi non avete in voi amore di Dio. Siete senza amore. E perciò non venite all’Amore che vi parla e non entrerete nel Regno dell’Amore. Là voi siete degli sconosciuti. Non vi conosce il Padre, perché voi non conoscete Me che sono nel Padre. Non mi volete conoscere. Io sono venuto in nome del Padre mio e voi non mi ricevete, mentre siete pronti a ricevere chiunque viene in nome proprio, purché dica ciò che a voi piace. Dite di essere spiriti di fede? No. Non lo siete. Come potete credere, voi che mendicate la gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria dei Cieli che da Dio solo procede? La gloria che è Verità, non giuoco di interessi che si fermano sulla Terra e carezzano solo l’umanità viziosa dei degradati figli di Adamo.
   Io non vi accuserò al Padre. Non ve lo pensate. Vi è già chi vi accusa. Quel Mosè in cui voi sperate. Egli vi rimprovererà di non credere in lui poiché non credete in Me, perché egli di Me ha scritto e voi non mi riconoscete secondo quanto egli di Me ha lasciato scritto. Voi non credete alle parole di Mosè che è il grande su cui giurate. Come potete allora credere alle mie, a quelle del Figlio dell’uomo, nel quale non avete fede? Umanamente parlando ciò è logico. Ma qui siamo nel campo dello spirito, e sono in confronto le vostre anime. Dio le osserva alla luce delle mie opere e confronta le azioni che fate con ciò che Io sono venuto a insegnare. E Dio vi giudica.
   Io me ne vado. Per molto non mi troverete. E credete pure che questo non è un trionfo. Ma è un castigo. Andiamo».
   E Gesù fende la folla, in parte muta, in parte bisbigliante approvazioni che la paura dei farisei trattiene a bisbiglio, e se ne va.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!


Vangelo Gv 4, 43-54: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia».

Vangelo Novus Ordo Gv 4, 43-54
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa.
Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire.
Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.
Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia.
Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CVI. Cacciata da Nazareth e conforto alla Madre. Riflessioni su quattro contemplazioni.

Sera del 13 febbraio 1944

 1 Vedo uno stanzone quadrato. Dico stanzone, per quanto capisca che è la sinagoga di Nazareth (come mi dice l’interno ammonitore) perché non c’è altro che le pareti nude tinte di giallino e una specie di cattedra da un parte. Vi è anche un alto leggio con sopra dei rotoli. Leggio, scansia, dica come crede. E, insomma, una specie di tavola inclinata, sorretta su un piede e sulla quale sono allineati dei rotoli. Vi è della gente che prega, non come preghiamo noi, ma volti tutti da un lato con le mani non congiunte ma come su per giù sta un sacerdote all’altare. Vi sono delle lampade messe così: e sopra alla cattedra e al leggio. 
   E Non vedo lo scopo di questa veduta, che non si cambia e che mi resta fissa così per del tempo. Ma Gesù mi dice di scriverla e lo faccio…

 2 Mi trovo nella sinagoga di Nazareth, da capo. Ora il rabbino legge. Sento la cantilena della voce nasale, ma non capisco le parole dette in una lingua a me ignota. Fra la gente vi è anche Gesù coi cugini apostoli e con altri che sono certo parenti essi pure, ma che non conosco. 
   Dopo la lettura, il rabbino volge lo sguardo sulla folla in muta domanda. Gesù si fa avanti e chiede di tenere Lui l’adunanza, oggi. Odo la sua bella voce leggere il passo di Isaia citato dal Vangelo: 
   «Lo spirito del Signore è sopra di Me…». E odo il commento che Egli ne fa, dicendosi 
   «il portatore della Buona Novella, della legge d’amore che sostituisce il rigore di prima con la misericordia, per cui tutti coloro che la colpa d’Adamo fa malati nello spirito, e nella carne per riflesso, perché il peccato sempre suscita vizio, e il vizio malattia anche fisica, otterranno la salute. Per cui tutti coloro che sono prigionieri dello Spirito del male avranno liberazione. Io sono venuto a rompere queste catene, a riaprire la via dei Cieli, a dar luce alle anime accecate e udito alle anime sorde. 
   E’ venuto il tempo della Grazia del Signore. Ella è fra voi, Ella è questa che vi parla. I Patriarchi hanno desiderato vedere questo giorno, di cui la voce dell’Altissimo ha proclamato l’esistenza ed i Profeti hanno predetto il tempo. E già, portata a loro da ministero soprannaturale, conoscono che l’alba di questo giorno s’è levata, e il loro ingresso nel Paradiso è ormai vicino e ne esultano coi loro spiriti, santi ai quali non manca che la mia benedizione per esser cittadini dei Cieli. Voi lo vedete. Venite alla Luce che è sorta. Spogliatevi delle vostre passioni per esser agili a seguire il Cristo. Abbiate la buona volontà di credere, di migliorare, di volere la salute, e la salute vi sarà data. Essa è in mia mano. Ma non la do che a chi ha buona volontà di averla. Perché sarebbe offesa alla Grazia darla a chi vuol continuare a servire Mammona». 

 3 Il mormorio si leva per la sinagoga. Gesù gira lo sguardo. Legge sui volti e nei cuori e prosegue: «Comprendo il vostro pensiero. Voi, poiché sono di Nazareth, vorreste un favore di privilegio. Ma questo per il vostro egoismo, non per potenza di fede. Onde Io vi dico che in verità nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Altri paesi mi hanno accolto e mi accoglieranno con maggior fede, anche quelli il cui nome è scandalo fra di voi. Là Io mieterò i miei seguaci, mentre in questa terra nulla potrò fare, perché m’è chiusa e ostile. Ma vi ricordo di Elia e d’Eliseo. Il primo trovò fede in una donna fenicia e il secondo in un siro. E a quella e a questo poterono operare il miracolo. 
   I morenti di fame d’Israele ed i lebbrosi d’Israele non ebbero pane e mondezza, perché il loro cuore non aveva la buona volontà come perla fine che il Profeta vedeva. Questo succederà a voi pure, che siete ostili e increduli alla Parola di Dio».

 4 La folla tumultua e impreca e tenta mettere le mani addosso a Gesù. Ma gli apostoli-cugini – Giuda, Giacomo e Simone – lo difendono, ed allora gli infuriati nazareni cacciano fuori dalla città Gesù. Lo inseguono con minacce, non solamente verbali, sino al ciglio del monte. Ma Gesù si volge e li immobilizza col suo sguardo magnetico, e passa incolume in mezzo a loro, scomparendo su per un sentiero del monte. 

 5 Vedo una piccola, piccolissima borgata. Un pugno di case. Una frazione, diremmo noi ora. É più alta di Nazareth, che si vede più sotto, e dista dalla stessa pochi chilometri. Una borgatella misera misera. 
   Gesù parla con Maria stando seduto su un muretto presso una casuccia. Forse è una casa amica, o per lo meno ospitale secondo le leggi dell’ospitalità orientale. E Gesù ci si è rifugiato dopo esser stato scacciato da Nazareth, per attendere gli apostoli che certo si erano sparsi nella zona mentre Egli era presso la Madre. 
   Con Lui non ci sono che i tre apostoli-cugini, i quali, in questo momento, sono raccolti nell’interno della cucina e parlano con una donna anziana che Taddeo chiama «madre». Perciò capisco che è Maria di Cleofa. É una donna piuttosto anziana e la riconosco per quella che era con Maria Ss. alle nozze di Cana. 
   Certo Maria di Cleofa e i figli si sono ritirati là per lasciare liberi Gesù e la Madre di parlare.

 6 Maria è afflitta. Ha saputo del fatto della sinagoga ed è addolorata. Gesù la consola. Maria supplica il Figlio di stare lontano da Nazareth, dove tutti sono maldisposti verso di Lui, anche gli altri parenti, che lo giudicano un pazzo desideroso di suscitare rancori e dispute. Ma Gesù fa un gesto sorridendo. Pare dica: 
   «Ci vuol altro, lascia perdere!». Ma Maria insiste. Allora Egli risponde: 
   «Mamma, se il Figlio dell’uomo dovesse andare unicamente là dove è amato, dovrebbe volgere il suo passo da questa Terra e tornare al Cielo. Ho ovunque dei nemici. Perché la Verità è odiata, ed Io sono Verità. Ma Io non sono venuto per trovare facile amore. Io sono venuto per fare la volontà del Padre e redimere l’uomo. L’amore sei tu, Mamma, il mio amore, quello che mi compensa di tutto. Tu e questo piccolo gregge, che tutti i giorni si accresce di qualche pecorella che Io strappo ai lupi delle passioni e porto nell’ovile di Dio. Il resto è il dovere. Sono venuto per compiere questo dovere e lo devo compiere anche fino a sfracellarmi contro le pietre dei cuori tetragoni al bene. Anzi, solo quando sarò caduto, bagnando di sangue quei cuori, Io li ammollirò stampandovi il mio segno che annulla quello del Nemico. 
   Mamma, sono sceso dal Cielo per questo. Non posso che desiderare di compiere questo». 
   «Oh! Figlio! Figlio mio!». Maria ha la voce straziata. Gesù la carezza. Noto che Maria ha sul capo, oltre il velo, anche il manto. É più che mai velata, come una sacerdotessa. 

 7 «Starò assente qualche tempo, per farti contenta. Quando sarò vicino manderò ad avvisarti». 
   «Manda Giovanni. Mi pare di vedere un poco Te nel vedere Giovanni. Anche la madre sua è piena di cure per me e per Te. Ella spera, è vero, un posto di privilegio per i suoi figli. É donna ed è mamma, Gesù. Bisogna compatirla. Ne parlerà anche a Te. Ma ti è devota sinceramente. E quando sarà liberata dall’umanità, che fermenta in lei come nei suoi figli, come negli altri, come in tutti, Figlio mio, sarà grande nella fede. 
   É doloroso che tutti sperino da Te un bene umano, un bene che, anche se non è umano, è egoista. Ma il peccato è in loro con la sua concupiscenza. Ancora l’ora benedetta, e tanto, tanto temuta, per quanto l’amore di Dio e dell’uomo me la faccia desiderare, in cui Tu annullerai il Peccato, non è venuta. Oh! quell’ora! Come trema il cuore della tua Mamma per quell’ora! Che ti faranno, Figlio? Figlio Redentore, di cui i Profeti dicono tanto martirio?». 
   «Non ci pensare, Mamma. Dio ti aiuterà in quell’ora. Me e te aiuterà Dio. E dopo sarà la pace. Te lo dico una volta ancora. Ora va’, ché la sera scende e lungo è il cammino. Io ti benedico».

 8 Dice Gesù: 
   «Piccolo Giovanni, molto lavoro oggi. Ma siamo indietro di un giorno e non si può andare piano. Ti ho dato la forza per questo, oggi. Le quattro contemplazioni te le ho concesse per poterti parlare sui dolori di Maria e miei, preparatori alla Passione. Avrei dovuto parlarne ieri, sabato, giorno dedicato a mia Madre. Ma ho avuto pietà. Oggi si riprende il tempo perduto. 
   Dopo i dolori che ti ho fatto conoscere, Maria ha avuto anche questi. Ed Io con Lei.

 9 Il mio sguardo aveva letto nel cuore di Giuda Iscariota. Nessuno deve pensare che la Sapienza di Dio non sia stata capace di comprendere quel cuore. Ma, come ho detto a mia Madre, egli ci voleva. 
   Guai a lui per esser stato il traditore! Ma un traditore ci voleva. Doppio, astuto, avido, lussurioso, ladro, e intelligente e colto più della massa, egli aveva saputo imporsi a tutti. Audace, mi spianava la via, anche se era via difficile. Gli piaceva, oltre tutto, emergere e far risaltare il suo posto di fiducia presso di Me. 
   Non era servizievole per istinto di carità. Ma unicamente perché era uno di quelli che voi chiamereste “faccendoni”.    Ciò gli permetteva anche di tenere la borsa e di avvicinare la donna. Due cose che, insieme alla terza, la carica umana, amava sfrenatamente. 
   La Pura, l’Umile, la Distaccata dalle ricchezze terrene, non poteva non avere ribrezzo di quel serpe. Io pure ne avevo ribrezzo. Ed Io solo ed il Padre e lo Spirito sappiamo quali superamenti ho dovuto sostenere per poterlo sopportare vicino. Ma te li spiegherò in altro tempo. 

10 Ugualmente non ignoravo l’ostilità dei sacerdoti, farisei, scribi e sadducei. Erano volpi astute che cercavano spingermi nella loro tana per sbranarmi. Avevano fame del mio sangue. E cercavano di mettermi trappole ovunque per catturarmi, per avere arma di accusa, per levarmi di mezzo. 
   Per tre anni è stata lunga l’insidia e non si è placata altro che quando mi hanno saputo morto. Quella sera hanno dormito felici. La voce del loro accusatore era per sempre estinta. Lo credevano. No. Non è ancora spenta. Non lo sarà mai e tuona, tuona e maledice i loro simili di ora. 
   Quanto dolore ebbe mia Madre per colpa di loro! Ed Io quel dolore non lo dimentico.

11 Che la folla fosse volubile, non era cosa nuova. Essa è la belva che lecca la mano del domatore, se è armata di scudiscio o se offre un pezzo di carne alla sua fame. Ma, basta che il domatore cada e non possa più usare lo scudiscio, oppure non abbia più prede per la sua fame, che essa si avventa e lo sbrana. Basta dire la verità ed essere dei buoni per essere odiati dalla folla dopo il primo momento di entusiasmo. La verità è rimprovero e monito. La bontà spoglia dello scudiscio e fa sì che i non buoni non temano più. Onde: “crucifige”, dopo aver detto: “osanna”. La mia vita di Maestro è satura di queste due voci. E l’ultima è stata “crucifige”. 
L’osanna è come l’anelito che prende il cantore per aver fiato di fare l’acuto. Maria, nella sera del Venerdì Santo, ha riudito in sé tutti gli osanna bugiardi, divenuti urli di morte per la sua Creatura, e ne è rimasta trafitta. Anche questo Io non lo dimentico. 

12 L’umanità degli apostoli! Quanta! Portavo sulle braccia, per alzarli al Cielo, dei massi che pesavano verso terra. Anche coloro che non si vedevano ministri di un re terreno come Giuda Iscariota, coloro che non pensavano come lui di salire, all’occorrenza, in mia vece sul trono, erano sempre, però, ansiosi di gloria. Venne il giorno che anche il mio Giovanni e suo fratello appetirono a questa gloria, che vi abbaglia come un miraggio anche nelle cose celesti. Non santo anelito al Paradiso, che voglio che abbiate. Ma desiderio umano che la vostra santità sia conosciuta. Non solo, ma esosità di cambiavalute, di usuraio per cui, per un poco di amore dato a Colui al quale Io vi ho detto dovete dare tutti voi stessi, pretendete un posto alla sua destra in Cielo.
   No, figli. No. Prima occorre saper bere tutto il calice che Io ho bevuto. Tutto: con la sua carità data in compenso dell’odio, con la sua castità contro le voci del senso, con la sua eroicità nelle prove, col suo olocausto per amore di Dio e dei fratelli. Poi, quando s’è tutto compiuto del proprio dovere, dire ancora: “Siamo servi inutili”, e attendere che il Padre mio e vostro vi conceda, per sua bontà, un posto nel suo Regno. Occorre spogliarsi, come mi hai visto spogliato nel Pretorio, di tutto ciò che è umano, tenendo solo quell’indispensabile che è rispetto verso il dono di Dio che è la vita, e verso i fratelli ai quali possiamo essere utili più dal Cielo che sulla Terra, e lasciare che Dio vi rivesta della stola immortale, fatta candida nel sangue dell’Agnello.

13 Ti ho mostrato i dolori preparatori della Passione. Altri te li mostrerò. Per quanto siano sempre dolori, è stato riposo per l’anima tua il contemplarli. Ora basta. Sta’ in pace».

   Cap. CL. A Nazareth dalla Madre, che dovrà seguire il Figlio.

 1 Gesù è solo. Cammina svelto per la via maestra che è prossima a Nazaret ed entra nella città dirigendosi verso la casa. Quando è prossimo ad essa vede la Madre che va a sua volta verso la casa con a fianco il nipote Simone carico di fascine secche. 
   La chiama: «Mamma!». 
   Maria si volge esclamando: «Oh! Figlio mio benedetto!», e ambedue si corrono incontro mentre Simone, gettate a terra le sue fascine, imita Maria andando verso il cugino, che saluta cordialmente. 
   «Mamma mia, sono venuto. Sei contenta, ora?». 
   «Tanto, Figlio …se è solo per la mia preghiera che lo hai fatto, io ti dico che non mi è e non ti è lecito seguire il sangue più che la missione». 
   «No, Mamma. Sono venuto anche per altre cose». 
   «È dunque proprio vero, Figlio mio? Io credevo, volevo credere che fossero voci di menzogna e che Tu non fossi tanto odiato…». Le lacrime sono nella voce e nell’occhio di Maria. 
   «Non piangere, Mamma. Non mi dare questo dolore. Ho bisogno del tuo sorriso». 
   «Si, Figlio, sì. É vero. Tu vedi tanti volti duri di nemici che hai bisogno di tanto amore e di sorriso. Ma qui, vedi? C’è chi ti ama per tutti…». Maria, che si appoggia lievemente al Figlio che la tiene abbracciata alle spalle, camminando lentamente verso casa, cerca di sorridere per cancellare ogni pena dal cuore di Gesù. Simone ha ripreso le sue fascine e cammina al fianco di Gesù. 
   «Sei pallida, Mamma. Ti hanno dato molto dolore? Sei stata ammalata? Ti sei troppo affaticata?». 
   «No, Figlio. No. Nessun dolore a me. Unica pena Te lontano e non amato. Ma qui, con me, sono tutti molto buoni. Non parlo neppure di Maria e di Alfeo; quelli Tu lo sai che sono. Ma anche Simone, vedi come è buono? Sempre così. È stato il mio aiuto in questi mesi. Ora mi rifornisce di legna. È tanto buono. E anche Giuseppe, sai? Tanti pensieri gentili per la loro Maria». 
   «Dio ti benedica, Simone, e benedica anche Giuseppe. Che ancora non mi amiate come Messia ve lo perdono. Oh! all’amore di Me Cristo verrete! Ma come potrei perdonarvi di non amare Lei?». 
   «Amare Maria è una giustizia e una pace, Gesù. Ma anche Tu sei amato… solo, ecco, noi temiamo troppo per Te». 
   «Si. Mi amate umanamente. Verrete all’altro amore». 
   «Ma anche Tu, Figlio mio, sei pallido e smagrito». 
   «Sì. Più vecchio sembri. Lo vedo io pure», osserva Simone.

 2 Entrano in casa e Simone, deposte al loro posto le fascine, si ritira discretamente. 
   «Figlio, ora che siamo soli dimmi la verità. Tutta. Perché ti hanno cacciato?». Maria parla tenendo le mani sulle spalle del suo Gesù e lo fissa nel volto smagrito. 
   Gesù ha un sorriso dolce e stanco: «Perché cercavo di portare l’uomo alla onestà, alla giustizia, alla vera religione». 
   «Ma chi ti accusa? Il popolo?». 
   «No, Madre. I farisei e gli scribi, meno qualche giusto fra essi». 
   «Ma che hai fatto per attirarti le loro accuse?». 
   «Ho detto la verità. Non sai che è il più grande sbaglio presso gli uomini?». 
   «E che hanno potuto dire per giustificare le loro accuse?». 
   «Delle menzogne. Quelle che sai e altre ancora». 
   «Dille alla tua Mamma. Il tuo dolore mettilo tutto nel mio seno. Un seno di madre è abituato al dolore ed è felice di consumarlo, pur di levarlo al cuore del figlio. Dammi il tuo dolore, Gesù. Mettiti qui, come quando eri piccino, e deponi tutta la tua amarezza».
   Gesù si siede su un panchettino ai piedi di sua Madre e racconta tutto di quei mesi di Giudea. Senza rancore ma senza veli. Maria lo accarezza sui capelli, con un eroico sorriso sulle labbra che combatte con il luccichio di pianto che è nell’occhio azzurro. Gesù dice anche le necessità di avvicinare donne per redimerle e la sua pena per non poterlo fare per la malignità umana. 
   Maria assente e poi decide: «Figlio, non mi devi negare quanto io voglio. D’ora in poi verrò io con Te quando Tu ti allontani. In qualunque tempo e stagione e in qualunque luogo. Io ti difenderò dalla calunnia. La sola mia presenza farà cadere il fango. E Maria verrà con me. Lo desidera tanto. Questo ci vuole presso il Santo e contro il demonio e il mondo: il cuore delle mamme».

   Cap. CLI. A Cana in casa di Susanna, che diventerà discepola. L’ufficiale regio.

 1 maggio 1945

 1 Gesù è diretto forse verso il lago. Certo è che giunge a Cana dirigendosi alla casa di Susanna. Sono con Lui i cugini. Mentre sostano nella casa e prendono riposo e vitto, e mentre, ascoltato come dovrebbe sempre esserlo dai parenti o amici di Cana, Gesù ammaestra semplicemente queste buone persone e consola la pena dello sposo di Susanna che sembra ammalata perché non è presente e sento che insistentemente si parla del suo soffrire – entra un uomo ben vestito che si prosterna ai piedi di Gesù. 
   «Chi sei? Che vuoi?» 
   Mentre questo ancora sospira e piange, il padrone di casa tira Gesù per un lembo della veste e sussurra: 
   «E’ un ufficiale del Tetrarca. Non ti fidare troppo». 
   «Parla dunque. Che vuoi da Me?». 
   «Maestro, ho saputo che sei tornato. Ti attendevo come si attende Iddio. Vieni subito a Cafarnao. Il mio maschio giace tanto ammalato che le sue ore sono contate. Ho visto Giovanni tuo discepolo. Da lui ho saputo che Tu eri diretto qui. Vieni, vieni subito, prima che sia troppo tardi». 
   «Come? Tu che sei servo del persecutore del santo d’Israele puoi credere in Me? Non credete al Precursore del Messia. Come potete credere nel Messia, allora?». 
   «È vero. Siamo in peccato di incredulità e di crudeltà. Ma abbi pietà di un padre! Io conosco Cusa. E ho visto Giovanna. Prima e dopo il miracolo l’ho vista. E ho creduto in Te». 
   «Già! Siete una generazione tanto incredula e perversa che senza segni e prodigi non credete. Vi manca la prima qualità necessaria ad ottenere il miracolo». 
   «È vero! È tutto vero! Ma lo vedi… Io credo in Te ora e ti prego: vieni, vieni subito a Cafarnao. Ti farò trovare una barca a Tiberiade perché Tu venga più veloce. Ma vieni, prima che il mio bambino muoia!», e piange desolatamente. 
   «Io non vengo per ora. Ma va’ a Cafarnao. Tuo figlio da questo momento è guarito e vive». 
   «Dio ti benedica, mio Signore. Io credo. Ma, poiché voglio che tutta la casa mia ti festeggi, vieni poi a Cafarnao, nella mia casa».
   «Verrò. Addio. La pace sia con te». L’uomo esce con fretta e si sente subito dopo il trotto di un cavallo. 

 2 «Ma è proprio guarito quel ragazzo?», chiede lo sposo di Susanna. 
   «E tu puoi credere che Io menta?». 
   «No, Signore. Ma Tu sei qui e il ragazzo è là». 
   «Non vi sono barriere per lo spirito mio e non distanze». 
   «Oh! mio Signore, che hai cambiato l’acqua in vino per le mie nozze, cambia il mio pianto in sorriso, allora.    Guariscimi Susanna».
   «Che mi darai in cambio di questo?». 
   «La somma che vuoi». 
   «Non sporco ciò che è santo col sangue di Mammona. Chiedo al tuo spirito che mi darà». 
   «Ma me stesso, se vuoi». 
   «E se ti chiedessi, senza parole, un grande sacrificio?». 
   «Mio Signore, io ti chiedo la salute corporale della mia sposa e la santificazione di tutti noi. Credo che io, per avere questo, non possa chiamare nulla troppo grande…». 
   «Tu spasimi per la donna tua. Ma se Io te la rendessi alla vita conquistandola per sempre come discepola, che diresti tu?». 
   «Che… che Tu ne hai diritto… e che… e che imiterò Abramo nella prontezza al sacrificio». 
   «Bene hai detto.

 3 Udite tutti: il tempo si avvicina del mio Sacrificio. Come un’acqua esso scorre veloce e senza sosta alla foce. Io devo compiere tutto ciò che devo. E la durezza umana mi preclude tanto campo di missione. Mia Madre e Maria d’Alfeo verranno con Me quando mi allontanerò per andare fra popolazioni che non mi amano ancora o non mi ameranno mai. La mia sapienza sa che le donne potranno aiutare il Maestro in questo campo precluso. Io sono venuto a redimere anche la donna e nel secolo futuro, nel mio tempo, si vedranno le donne simili a sacerdotesse servire il Signore e i servi di Dio. 
   Io ho scelto i miei discepoli. Ma per eleggere le donne, che libere non sono, devo chiederlo ai padri e ai mariti. Lo vuoi tu?». 
   «Signore… io amo Susanna. E per ora l’ho amata come carne più che come spirito. Ma sotto il tuo ammaestramento già qualcosa è mutato in me e guardo la mia donna come anima oltre che corpo. L’anima è di Dio e Tu sei il Messia Figlio di Dio. Non ti posso contendere il tuo diritto su ciò che è di Dio. 
   Se Susanna vorrà seguirti io non le sarò ostile. Solo, ti prego, opera il miracolo di sanare lei nella carne e me nel senso…». 
«Susanna è guarita. Ella verrà entro poche ore a dirti la sua gioia. Lascia che la sua anima segua il suo impulso senza parlare di quanto ora ho detto. Vedrai che l’anima sua verrà a Me spontaneamente come la fiamma tende a salire. Né per questo morrà il suo amore di sposa. Ma salirà al grado più alto, che è quello di amarsi con la parte migliore: con lo spirito». 
«Susanna ti appartiene, Signore. Ella doveva morire, e lentamente, con spasimi forti. E’ morta che fosse l’avrei davvero perduta sulla Terra. Essendo così come Tu dici, io l’avrò ancora al fianco per condurmi con sé sulle tue vie. Dio me l’ha data e Dio me la leva. Sia benedetto nel dare e nell’avere l’Altissimo».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 15, 1-3. 11-32: “Ma ora che è tornato questo tuo figlio, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.

Vangelo Novus Ordo Lc 15, 1-3. 11-32
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: «Costui accoglie i peccatori e mangia con loro».
Ed egli disse loro questa parabola: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa.
Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
“Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCV. La parabola del figlio prodigo.

  30 giugno 1945.

 1 «Giovanni di Endor, vieni qui con Me. Ti devo parlare» dice Gesù affacciandosi sull’uscio. L’uomo accorre lasciando il bambino al quale insegnava qualcosa. «Che mi vuoi dire, Maestro?» chiede.
   «Vieni con Me qui sopra».
   Salgono sulla terrazza e si siedono dalla parte più riparata perché, per quanto sia mattina, il sole è già forte. Gesù gira lo sguardo sulla campagna coltivata in cui i grani di giorno in giorno divengono d’oro e gli alberi gonfiano le loro frutta. Pare volere attingere il pensiero da quella metamorfosi vegetale.
   «Senti, Giovanni. Oggi Io credo che verrà Isacco per condurmi i contadini di Giocana prima della loro partenza. Ho detto a Lazzaro di prestare a Isacco un carro per fare loro accelerare il ritorno senza tema di giungere con un ritardo che provocherebbe loro un castigo. E Lazzaro lo fa. Perché Lazzaro fa tutto ciò che Io dico. Ma da te voglio un’altra cosa. Ho qui una somma che mi è stata data da una creatura per i poveri del Signore. Generalmente è un mio apostolo l’incaricato di tenere le monete e di dare gli oboli. E’ Giuda di Keriot generalmente; qualche volta gli altri. Giuda non è presente. Gli altri non voglio siano a cognizione di quel che voglio fare. Anche Giuda questa volta non lo sarebbe. Lo farai tu, in mio nome…».
   «Io, Signore?… Io?… Oh! non ne sono degno!…».
   «Ti devi abituare a lavorare in mio nome. Non sei venuto per questo?»
   «Sì. Ma pensavo dovere lavorare a ricostruire la povera anima mia».
   «E Io te ne do il mezzo. In che hai peccato? Contro la misericordia e l’amore. Con l’odio hai demolito la tua anima. Con l’amore e la misericordia la ricostruirai. Io te ne do il materiale. Ti adibirò particolarmente alle opere di misericordia e di amore. Tu sei anche capace di curare, tu sei capace di parlare. Per questo sei atto ad avere cura delle infelicità fisiche e morali, e hai capacità di farlo. Inizierai con quest’opera. Tieni la borsa. La darai a Michea e ai suoi amici. Fànne parti uguali. Ma fàlle così come Io dico. La dividi per dieci, poi ne dai quattro parti a Michea: una per sé, una per Saulo, una per Gioele, e una per Isaia. E le altre sei le dai a Michea perché le dia al vecchio padre di Jabè, per sé e per i suoi compagni. Potranno così avere qualche conforto».
   «Va bene. Ma che dico per giustificare?»
   «Dirai: “Questo è perché vi ricordiate di pregare per un’anima che si redime”».
   «Ma potranno pensare che sia io! Non è giusto!».
   «Perché? Non ti vuoi redimere?».
   «Non è giusto che pensino che sia io il donatore».
   «Lascia, e fa’ come Io dico».
   «Ubbidisco… ma almeno concedimi di mettere anche io qualche cosa. Tanto… ora non mi occorre più nulla. Libri non ne compro più, polli da nutrire non ne ho più. A me basta tanto poco… Tieni, Maestro. Serbo solo un minimo per le spese dei sandali…» ed estrae da una borsa che aveva in cintura molte monete e le aggiunge alle monete di Gesù.
   «Dio ti benedica per la tua misericordia…

 2 Giovanni, fra poco ci lasceremo perché tu andrai con Isacco».
   «Me ne duole, Maestro. Ma ubbidisco».
   «Anche a Me duole di allontanarti. Ma ho tanto bisogno di discepoli peregrinanti. Io non basto più. Presto lancerò gli apostoli, poi manderò i discepoli. E tu farai molto bene. Ti serberò a speciali missioni. Intanto con Isacco ti formerai. E’ tanto buono e lo Spirito di Dio lo ha veramente istruito durante la lunga malattia. Ed è uomo che tutto ha sempre perdonato… Lasciarci, del resto, non vuole dire non vederci più. Ci incontreremo sovente, e ogni volta che ci ritroveremo parlerò proprio per te, ricordatelo…».
   Giovanni si piega su se stesso, si nasconde il volto fra le mani con un aspro scoppio di pianto, e geme: «Oh! allora dimmi subito qualche cosa che mi persuada che io sono perdonato… che io posso servire Dio… Se sapessi, ora che è caduto il fumo dell’odio, come vedo la mia anima… e come… e come penso a Dio…».
   «Lo so, non piangere. Resta nell’umiltà, ma non ti avvilire. L’avvilimento è ancora superbia. Solo, solo umiltà abbi. Suvvia, non piangere…».
   Giovanni di Endor si calma poco a poco…
   Quando lo vede calmato Gesù dice: «Vieni, andiamo sotto quel folto di meli e raduniamo i compagni e le donne. Parlerò a tutti, ma ti dirò come Dio ti ama».
   Scendono, radunandosi intorno gli altri man mano che vanno, e si siedono poi a cerchio sotto l’ombra del pometo. Anche Lazzaro, che parlava con lo Zelote, si aggiunge alla compagnia. Venti persone in tutto.

 3 «Udite. E’ una bella parabola che vi guiderà con la sua luce in tanti casi.
   Un uomo aveva due figli. Il maggiore era serio, lavoratore, affezionato, ubbidiente. Il secondo era intelligente più del maggiore – che in verità era un poco ottuso e si lasciava guidare per non avere da affaticarsi a decidere da sé – ma in compenso era anche ribelle, svagato, amante del lusso e del piacere, dissipatore e ozioso. L’intelligenza è un grande dono di Dio. Ma è un dono che va usato saggiamente. Altrimenti è come certi farmachi i quali, usati in mal modo, non sanano ma uccidono. Il padre – era nel suo diritto e nel suo dovere – lo richiamava a vita più saggia. Ma senza alcun utile, tolto quello di averne male risposte e un maggior irrigidimento del figlio nelle proprie cattive idee.
   Infine un giorno, dopo una disputa più fiera, il figlio minore disse: «Dammi la mia parte di beni. Così non sentirò più i tuoi rimproveri e i lagni del fratello. Ognuno il suo e sia finito tutto”. “Guarda” rispose il padre “che presto sarai rovinato. Che farai allora? Pensa che io non sarò ingiusto in favore di te e non riprenderò un picciolo a tuo fratello per darlo a te”. “Non ti chiederò nulla. Sta’ sicuro. Dàmmi la mia parte”.
   Il padre fece stimare le terre e le cose preziose e, visto che denaro e gioielli facevano tanto quanto le terre, dette al maggiore i campi e i vigneti, le mandre e gli ulivi, e al minore il denaro e i gioielli, che il giovane vendette subito mutando tutto in denaro. E fatto questo, in pochi giorni, se ne andò in lontano paese dove visse da gran signore, scialacquando tutto il suo in bagordi di ogni specie, facendosi credere un figlio di re perché si vergognava di dire: “sono campagnolo”, rinnegando perciò il padre suo. Festini, amici e amiche, vesti, vini, giuoco… vita dissoluta… Presto vide scemare la sostanza e venire avanti la miseria. E con la miseria, a farla più grave, venne nel paese una grande carestia che dette fondo ai resti della sostanza.

 4 Avrebbe voluto andare dal padre. Ma era superbo e non volle. Andò allora da un riccone del paese, già suo amico in tempi buoni, e lo pregò dicendo: “Accoglimi fra i tuoi servi in ricordo di quanto godesti delle mie dovizie”. Vedete voi come è stolto l’uomo! Preferisce mettersi sotto la frusta di un padrone anziché dire ad un padre: “Perdono! Ho sbagliato!”. Quel giovane aveva imparato tante cose inutili con la sua intelligenza aperta, ma non aveva voluto imparare il detto dell’Ecclesiastico: “Quanto è infame colui che abbandona il padre suo e quanto è maledetto da Dio chi fa inquietare la madre”. Era intelligente, ma non sapiente.
   L’uomo a cui si era rivolto, in cambio del molto che aveva goduto dal giovane stolto, mise questo stolto di guardia ai porci – perché si era in un paese pagano e vi erano molti porci – e lo mandò a pasturare nei suoi possessi le mandre dei porci. Lurido, stracciato, puzzolente, affamato – perché il cibo era scarso per tutti i servi e specie per gli infimi, e lui, straniero mandriano di porci e deriso, era ritenuto tale – vedeva i porci satollarsi delle ghiande e sospirava: “Potessi almeno io pure empirmi il ventre di questi frutti! Ma sono troppo amari! Neppure la fame me li fa parere buoni”. E piangeva pensando ai ricchi festini da satrapo fatti poco tempo prima fra risa, canti, danze… e pensava poi agli onesti pranzi ben nutriti della sua casa lontana, alle porzioni che il padre faceva a tutti imparzialmente, serbando per sé sempre il meno, lieto di vedere il sano appetito dei suoi figli… e pensava anche alle parti fatte ai servi da quel giusto, e sospirava: “I garzoni di mio padre, anche i più infimi, hanno pane in abbondanza… e io qui muoio di fame…”. Un lungo lavoro di riflessione, una lunga lotta per strozzare la superbia…

 5 Infine venne il giorno che, rinato nell’umiltà e nella sapienza, sorse in piedi e disse: “Io vado dal padre mio! E’ stolto questo orgoglio che mi fa prigione. E di che? Perché soffrire e nel corpo e più nel cuore mentre posso avere perdono e sollievo? Vado dal padre mio. E’ detto. Che gli dirò? Ma quello che è nato qui dentro, in questa abiezione, fra queste lordure, fra i morsi della fame! Gli dirò: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami perciò come l’infimo dei tuoi garzoni, ma sopportami sotto il tuo tetto. Che io ti veda passare…”. Non potrò dirgli: “…perché ti amo”. Non lo crederebbe. Ma lo dirà la mia vita, ed egli lo comprenderà, e prima di morire mi benedirà ancora… Oh! lo spero. Perché mio padre mi ama”. E, tornato la sera in paese, si licenziò dal padrone, e mendicando per via tornò a casa sua. Ecco i campi paterni… e la casa… e il padre che dirigeva i lavori, invecchiato, scarnito dal dolore, ma sempre buono… Il colpevole guardando quella rovina causata da lui, si fermò intimorito… ma il padre, girando l’occhio, lo vide e gli corse incontro, perché era ancora lontano, e raggiuntolo gli gettò le braccia al collo e lo baciò. Solo il padre aveva riconosciuto in quel mendicante avvilito la sua creatura e solo lui aveva avuto un movimento di amore.
   Il figlio, stretto fra quelle braccia, con il  capo sulla spalla paterna, mormorò fra i singhiozzi: “Padre, lascia che io mi getti ai tuoi piedi”. “No, figlio mio! Non ai piedi. Sul mio cuore, che ha tanto sofferto della tua assenza e che ha bisogno di rivivere col sentire il tuo calore sul mio petto”. E il figlio, piangendo più forte, disse: “Oh! padre mio! Io ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato da te: figlio. Ma permettimi di vivere fra i tuoi servi, sotto il tuo tetto, vedendoti, mangiando il tuo pane, servendoti, bevendo il tuo alito. Ad ogni boccone di pane, ad ogni tuo respiro si riformerà il mio cuore tanto corrotto e diverrò onesto…”.
   Ma il padre, sempre tenendolo abbracciato, lo condusse verso i servi, che si erano ammucchiati in distanza e che osservavano, e disse loro: “Presto, portate qui la veste più bella e catini di acque odorose, lavatelo, profumatelo, rivestitelo, mettetegli dei calzari nuovi e un anello al dito. Poi prendete un vitello ingrassato ed ammazzatelo. E si prepari un banchetto. Perché questo figlio mio era morto ed ora è risuscitato, era perduto ed è stato ritrovato. Io voglio che ora lui pure ritrovi il suo semplice amore di pargolo; e il mio amore e la festa della casa per il suo ritorno glielo devono dare. Deve capire che egli è sempre per me il caro bambino ultimo nato, quale era nella infanzia sua lontana, quando mi camminava al fianco facendomi beato col suo sorriso e il suo balbettio”. E così fecero i servi.

 6 Il figlio maggiore era in campagna e non seppe nulla fino al suo ritorno. A sera, venendo verso casa, la vide luminosa di lumi, e udì suoni di strumenti e danze uscire da essa. Chiamò un servo che correva indaffarato e gli disse: “Che avviene?”. E il servo rispose: “E’ tornato tuo fratello! Tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso perché ha riavuto il figlio e sano, guarito dal suo grande male, ed ha ordinato banchetto. Non si attende che te per cominciare”. Ma il primogenito, in collera perché gli pareva ingiustizia tanta festa per il minore, che oltre che minore era stato cattivo, non volle entrare e anzi fece per allontanarsi da casa.
   Ma il padre, avvertito di questo, corse fuori e lo raggiunse tentando di convincerlo e pregandolo di non amareggiargli la sua gioia. Il primogenito rispose al padre suo: “E vuoi che io non sia inquieto? Tu fai ingiustizia e spregio al tuo primogenito. Io da quando ho potuto lavorare ti ho servito, e sono molti anni. Io non ho mai trasgredito ad un tuo comando, neppure ad un tuo desiderio. Io ti sono sempre stato vicino, e ti ho amato per due per farti guarire dalla piaga fatta da mio fratello. E tu non mi hai dato neppure un capretto per godermelo cogli amici. Questo, che ti ha offeso, che ti ha abbandonato, che è stato infingardo e dissipatore e che torna ora perché è spinto dalla fame, tu lo onori e per lui ammazzi il vitello più bello. Vale la pena essere lavoratori e senza vizi! Questo non me lo dovevi fare!”.
   Il padre disse allora stringendoselo al seno: “Oh! figlio mio! E puoi credere che io non ti ami perché non stendo un velo di festa sulle tue azioni? Le tue azioni sono sante di loro, e il mondo ti loda per esse. Ma questo tuo fratello, invece, ha bisogno di essere rialzato nella stima del mondo e nella stima sua stessa. E credi tu che io non ti ami perché non ti do un premio visibile? Ma mattina e sera e in ogni mio alito e pensiero tu sei presente al mio cuore, e ad ogni attimo io ti benedico. Tu hai il premio continuo di essere sempre con me, e tutto quanto è mio è tuo. Ma era giusto banchettare e fare festa per questo tuo fratello, che era morto ed è risuscitato al Bene, che era perduto ed è stato ritornato al nostro amore”. E il primogenito si arrese.

 7 Così, amici miei, succede nella Casa del Padre. E chi si sa uguale al figlio minore della parabola pensi pure che, se lo imita nell’andare al Padre, il Padre gli dice: “Non ai miei piedi. Ma sul mio cuore, che ha sofferto della tua assenza e che ora è beato per tuo ritorno”. Chi è in condizione di figlio primogenito e senza colpa verso il Padre, non sia geloso della gioia paterna, ma ne prenda parte, dando amore al fratello redento.
   Ho detto. Rimani, Giovanni di Endor, e tu, Lazzaro. Gli altri vadano a preparare le mense. Presto verremo».
   Tutti si ritirano. Quando Gesù, Lazzaro e Giovanni sono soli, Gesù dice a Lazzaro e Giovanni: «Così si farà dell’anima cara che tu attendi, Lazzaro, e così si fa della tua, Giovanni. La bontà di Dio supera ogni misura»…

 8 …Gli apostoli, insieme alla Madre e alle donne, vanno verso casa preceduti da Marjziam che saltella correndo avanti. Ma presto ritorna e prende Maria per mano dicendole: «Vieni con me. Ti devo dire una cosa, da soli». E Maria lo accontenta.
   Torcono verso il pozzo, sito in un angolo del cortiletto, tutto velato da una pergola folta che da terra sale con un arco verso la terrazza. Là dietro è l’Iscariota.
   «Giuda, che vuoi? Vai, Marjziam… Parla, che vuoi?».
   «Io sono in colpa… Non oso andare dal Maestro né affrontare i compagni… Aiutami…».
   «Ti aiuterò. Ma non pensi quanto dolore dài? Mio Figlio ha pianto per causa tua. E i compagni ne hanno sofferto. Ma vieni. Nessuno ti dirà niente. E, se puoi, non ricadere più in queste colpe. E’ indegno di un uomo, ed è sacrilego verso il Verbo di Dio».
   «E Tu, Madre, mi perdoni?».
   «Io? Io non conto presso te che ti senti tanto grande. Io sono la più piccola delle serve del Signore. Come ti puoi preoccupare di me se non hai pietà di mio Figlio?».
   «Perché ho anche io una madre e, se ho il tuo perdono, mi pare di avere anche il suo».
   «Ella non sa questa tua colpa».
   «Ma ella mi aveva fatto giurare di essere buono col Maestro. Sono spergiuro. Sento il rimprovero dell’anima di mia madre».
   «Senti questo? E il lamento e il rimprovero del Padre e del Verbo non lo senti? Sei un disgraziato, Giuda! Semini, in te e in chi ti ama, il dolore».
   Maria è molto seria e mesta. Senza acredine parla, ma con molta serietà. Giuda piange.
   «Non piangere. Ma migliorati. Vieni» e lo prende per mano entrando così nella cucina.
   Lo stupore di tutti è vivissimo. Ma Maria previene ogni uscita poco pietosa. Dice: «Giuda è ritornato. Fate come il primogenito dopo il discorso del padre. Giovanni, va’ ad avvisare Gesù».
   Giovanni di Zebedeo parte di corsa.
   Un silenzio grava nella cucina… Poi Giuda dice: «Perdonatemi, tu Simone per primo. Hai un cuore tanto paterno. Sono un orfano io pure».
   «Sì, sì, ti perdono. Per favore, non parlarne più. Siamo fratelli… e non mi piacciono questi alti e bassi di perdoni chiesti e di ricadute fatte. Avviliscono chi li fa e chi li dà. Ecco Gesù. Vai da Lui. E basta».
   Giuda va mentre Pietro, non potendo fare altro, si dà a spezzare con foga delle legna secche…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!