Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 27 Maggio 2022

Vangelo Gv 16, 20-23

“La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell’afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo”.

La suggestiva immagine che Gesù usa per spiegare il significato del dolore dei discepoli, illumina, per quanto possibile, l’insondabile abisso che si spalanca davanti a noi nell’ora del dolore. Infatti paragonando il dolore dei discepoli a quello di una madre che sta per partorire, Gesù collega la sofferenza a un motivo che non soltanto fa valere la pena di quel dolore, ma che diventa esso stesso il modo attraverso cui superarlo. Infatti un dolore è insopportabile quando lo percepiamo senza motivo.

È il motivo ciò che ci fa reggere anche la fatica di qualcosa. Quando noi perdiamo il senso ogni cosa diventa assurda e quindi invivibile, insopportabile. Il dolore di una madre che partorisce non è mai dolore assurdo, ma è dolore carico di significato, e questo significato viene dal figlio stesso. Potremmo quasi dire che una madre affronta quel dolore “per amore” del figlio.

Nella nostra vita a volte manca il “per amore” per cui le cose non scadano nell’assurdo e quindi nell’insopportabile. La venuta di Gesù è quell’evento che ci dà un “per amore” per cui non far diventare mai la vita insopportabile. Infatti non di rado siamo costretti a vivere cose che ci appaiono come vuote, prive di senso, assurde: la morte di un figlio, la perdita di un lavoro, l’esperienza amara di un tradimento, l’esperienza del fallimento.

Gesù riempie di significato queste cose non perché le spiega o perché le giustifica, ma perché ci dice ‘vivi e affronta questo “per amore” mio, e io ti prometto che queste cose non saranno l’ultima parola’. È qui che comincia o cade il cristianesimo. Infatti potremmo dire che è tutta un’invenzione per farci piacere ciò che non ci piace, o che è tutto vero fino al punto che tutto sia davvero possibile.

Chi ha fede scommette su questa speranza. Senza questa scommessa è già tutto perduto.

Sant’ Agostino di Canterbury prega per noi – 27 maggio

Volgeva l’anno 596 quando i Sassoni, gli Angli e gli Juti, popoli germanici pagani, cacciati i Bretoni occuparono l’odierna Inghilterra. Angli sunt? Angeli fiant!, disse San Gregorio Magno. Non potendo andarvi lui stesso salito al Pontificato, scelse un gagliardo manipolo di suoi monaci benedettini e li inviò alla conquista dei conquistatori. Capo di questo eroico manipolo era Agostino, priore del monastero di SantAndrea. Giunti in Francia, atterriti dalle relazioni loro fatte, si arrestarono spaventati.

Il Papa, anima grande, li rincorò e quei missionari rianimati, con alcuni francesi per interpreti, approdavano nel 597 all’isola di Thanet in numero di quaranta.

Agostino notificò la sua venuta ad Etelberto, re di Kent, il più potente re dell’eptarchia. Questi andò a visitarli in quell’isola e dopo familiari conversazioni: « I vostri discorsi, disse, sono assai belli, lusimsbiere e magnifiche le promesse, ma sembrano un po’ incerte. Però non sarà permesso che siate molestati; predicate pure liberamente ai miei popoli ». Li condusse nella capitale Canterbury dove li provvide di tutto quanto abbisognavano.

Quegli ardenti figli di San Benedetto si erano preparati alla missione con veglie, austerità, digiuni e ferventi preghiere ed ora erano pronti a suggellare col sangue la loro fede. Alla loro infuocata parola, fecondata dallo Spirito Santo, le genti accorrevano in folla, abbandonavano le loro superstizioni e venivano battezzate. La conversione del re (che poi si fece santo) fu seguita da quella di un’innumerevole moltitudine di sudditi. Nel Natale del 597 diecimila furono i rigenerati alla grazia nelle acque battesimali del Tamigi.

Poco appresso Agostino, invitato dal Papa, passò in Francia per essere consacrato vescovo ad Arles. Nel 601, il Papa gli mandò il pallio e lo costituì metropolita d’Inghilterra.

Agostino scriveva spessissimo a Roma per informare il Papa e consigliarsi in ogni contingenza.

Favorito del dono dei miracoli, attirava le moltitudini alla croce, e la fede progrediva mirabilmente di giorno in giorno. Alla sua prima visita pastorale, fu accolto ovunque con entusiasmo.

Volle pure arrivare ai Bretoni, i quali cacciati dagli invasori, come dicemmo, si erano ritirati sulle montagne del Galles. Essi erano cristiani, però avevano degenerato. Agostino, giunto alla loro frontiera, chiamò a concilio i loro vescovi e sacerdoti: costoro con varie pretese vollero che si convocasse un Sinodo generale: Agostino acconsentì, ma essi si ostinarono nei loro errori, onde Agostino, piangendo, predisse il loro sterminio. Finalmente, estenuato dalle fatiche apostoliche, volava al cielo il 28 maggio del 607.

PRATICA. Tre quarti degli uomini sono ancora nelle tenebre dell’idolatria e della superstizione. Preghiamo e aiutiamo le opere missionarie.

PREGHIERA. O Signore, che con la predicazione e i miracoli del tuo beato confessore e vescovo Agostino, ti sei degnato illuminare della luce della vera fede la Nazione inglese, concedi, te ne preghiamo per la sua intercessione, che i cuori degli erranti ritornino all’unità della vera fede, e noi restiamo fedeli alla tua santa volontà.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Canterbury, in Inghiltérra, sant’Agostino Vescovo e Confessore, il quale, mandato là insieme con altri dal beato Gregório Papa, predicò agli Inglesi il santo Vangelo di Cristo, ed ivi, glorioso per virtù e per miracoli, si riposò nel Signore. La sua festa si celebra il ventotto di questo mese.

Nome: Sant’ Agostino di Canterbury
Titolo: Vescovo
Nascita: 13 novembre 534, Roma
Morte: 26 maggio 604, Canterbury, Inghilterra
Ricorrenza: 27 maggio
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Mc 10, 46-52: «Va’, la tua fede ti ha salvato».

Vangelo Mc 10, 46-52
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, mentre Gesù partiva da Gèrico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Àlzati, ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». E Gesù gli disse: «Va’, la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

   Cap. DLXXX. Delazioni dell’Iscariota e profezie su Israele. Miracoli sulla via da Gerico a Betania.

   17 marzo 1947.

 1 È un’alba che appena sfuma il suo candore in un primo roseo d’aurora. Il silenzio fresco della campagna si rompe sempre più, ornandosi dei trilli degli uccelli ridesti. 
   Gesù esce per il primo dalla casa di Niche, accosta silenziosamente la porta e si dirige al verde frutteto, dove si sgranano le note limpide dei capineri e flautano i merli il loro canto. 
   Ma non vi è ancora giunto quando da esso vengono avanti quattro persone. Quattro di quelli che erano ieri nel gruppo sconosciuto e che non si erano mai scoperti il volto. Si prostrano sino a terra e, al comando e alla domanda che Gesù fa loro dopo averli salutati col suo saluto di pace: «Alzatevi! Che volete da Me?», si alzano e gettano indietro i mantelli e i copricapi di lino, nei quali avevano tenuto celato il volto come tanti beduini. 
   Riconosco il viso pallido e magro dello scriba Gioele di Abia, visto nella visione di Sabea. Gli altri mi sono sconosciuti, sinché non si nominano: «Io, Giuda di Beteron, ultimo dei veri Assidei, amici di Matatia Asmoneo»; «Io, Eliel, e mio fratello Elcana di Betlem di Giuda, fratelli di Giovanna, la tua discepola, e non c’è per noi titolo più grande di questo. Assenti quando eri forte, presenti ora che sei perseguitato»; «Io, Gioele di Abia, dagli occhi ciechi per tanto tempo, ma ora aperti alla Luce». 
   «Vi avevo già congedati. Che volete da Me?». 
   «Dirti che… se stiamo coperti non è per Te, ma…», dice Eliel. 
   «Avanti! Parlate!». 
   «Ma… Parla tu, Gioele. Perché tu sei quello che più di tutti sai…». 

 2 «Signore… Ciò che io so è così… orrendo… Vorrei che neppure le zolle sapessero, sentissero ciò che sto per dire…».
   «Le zolle in verità trasaliranno. Non Io. Perché so ciò che vuoi dire. Ma parla ugualmente…». 
   «Se lo sai… lascia che le mie labbra non fremano nel dire questa orrenda cosa. Non che io pensi che Tu menti dicendo che sai e che vuoi che io dica per sapere, ma proprio perché…». 
   «Sì. Perché è cosa che grida al Signore. Ma la dirò per persuadere tutti che Io conosco il cuore degli uomini. Tu, membro del Sinedrio e conquistato alla Verità, hai scoperto cosa che non hai saputo portare da te solo. Perché è troppo grande. E sei   andato   da   questi,  veri   giudei  nei  quali  è  unicamente  spirito  buono,  per consigliarti con essi. Bene hai fatto, anche se a nulla giova ciò che hai fatto. L’ultimo degli Assidei sarebbe pronto a ripetere il gesto (1 Maccabei 2, 42-48) dei suoi padri per servire il Liberatore vero. E non è solo. Anche suo parente Barzelai lo farebbe e molti con lui. E i fratelli di Giovanna, per amore di Me e della sorella loro, oltre che della Patria, sarebbero con lui. Ma Io non trionferò per lance né per spade. Entrate del tutto nella Verità. Io trionferò con trionfo celeste.

 3 Tu, ecco ciò che ti fa ancor più pallido e smunto del consueto, sai chi è che ha presentato i testi di accusa contro di Me, i testi che, se falsi sono nel loro spirito, veri sono nella realtà delle loro parole, perché Io in verità ho violato il sabato quando dovetti fuggire, non essendo ancor venuta la mia ora, e quando strappai due innocenti ai ladroni, e potrei dire che la necessità giustifica l’atto così come necessità giustificò Davide (1 Samuele 21,2-7) per essersi nutrito dei pani della proposizione. In verità Io mi sono rifugiato in Samaria, anche se, venuta la mia ora e propostomi dai samaritani di star presso loro come Pontefice, ho rifiutato onori e sicurezza per rimanere fedele alla Legge, anche se questo vuol dire consegnarmi ai nemici. E vero è che amo i peccatori e le peccatrici sino a strapparli al peccato. E vero è che predico la rovina del Tempio, anche se queste mie parole non sono che conferma del Messia alle parole dei suoi profeti. Colui che fornisce queste e altre accuse, e anche i miracoli li volge ad atto di accusa, e di ogni cosa della Terra si è servito per cercare di trarmi in peccato e poter unire altre accuse alle prime, è un mio amico. Anche questo è detto dal re profeta da cui, per Madre, Io discendo: (Salmo 41, 10) “Colui che mangiava il mio pane alzò contro di Me il suo calcagno”. Lo so. Morirei due volte, se potessi non impedire che egli compia il delitto – ormai… la sua volontà si è data  alla  Morte,  e  Dio  non violenta la libertà dell’uomo – ma che almeno… oh! che almeno lo schianto dell’orrore compiuto lo gettasse pentito ai piedi di Dio… Per questo tu, Giuda di Beteron, ammonivi ieri Mannaen di tacere. Perché il serpente era presente e poteva danneggiare il discepolo, oltre il Maestro. No. Solo il Maestro sarà colpito. Non temete. Non sarà per Me che avrete pene e sventure. Ma per il delitto di tutto un popolo avrete tutti ciò che hanno detto i profeti.

 4 Misera, misera Patria mia! Misera terra che conoscerà il castigo di Dio! Miseri abitanti, e fanciulli che ora Io benedico e vorrei salvi e che, pur innocenti, conosceranno da adulti il morso della più grande sventura. Guardatela questa vostra terra florida, bella, verde e fiorita come un tappeto mirabile, fertile come un Eden… Imprimetevene la bellezza nel cuore, e poi… quando Io sarò tornato onde venni… fuggite. Fuggite sinché potete farlo, prima che, come rapace d’inferno, la desolazione della rovina si spanda qui e abbatta e distrugga e sterilisca, bruci, più che a Gomorra, più che a Sodoma… Sì. Più che là, che  non  fu  che  rapida  morte.  Qui…  Gioele,  ricordi  Sabea?  Ella  ha profetato un’ultima volta il futuro del Popolo di Dio che non volle il Figlio di Dio». 
   I quattro sono sbalorditi. La paura del futuro li fa muti. Infine parla Eliel: «Tu ci consigli?…». 
   «Sì. Andate. Nulla sarà più, qui, che valga a trattenere i figli del popolo di Abramo. E d’altronde, specie voi, notabili di esso, non sareste lasciati… I potenti fatti prigionieri abbellano il trionfo del vincitore. Il Tempio nuovo e immortale empirà di sé la Terra, e ognun che mi cerchi mi avrà, perché Io sarò dovunque un cuore mi ami. Andate. Portate via le vostre donne, i figli, i vecchi… Voi mi offrite salvezza e aiuto. Io vi consiglio salvezza e vi aiuto con questo consiglio… Non lo sprezzate». 
   «Ma ormai… che più deve nuocerci Roma? Dominati siamo. E se dura è la sua legge, vero è anche che Roma ha riedificato case e città e…». 
   «In verità, sappiatelo, in verità non una pietra di Gerusalemme rimarrà intatta. Fuoco, ariete, frombole e giavellotti atterreranno, morderanno, sconvolgeranno ogni casa, e spelonca diverrà la Città sacra, e non essa sola… Spelonca questa Patria nostra. Posto di onagri e di lamie, come dicono i profeti. (Isaia 32, 14; 34, 14; Geremia 14, 6; Daniele 5, 21). E non per uno o più anni, o per secoli, ma per sempre. Il deserto, l’arsione, la sterilità… Ecco la sorte di queste terre! Campo di contese, luogo di torture, sogno di ricostruzione sempre distrutto da una condanna inesorabile, tentativi di risurrezione spenti in sul nascere. La sorte della Terra che respinse il Salvatore e volle una rugiada che è fuoco sui colpevoli». 

 5 «Non… non ci sarà dunque più, mai più un Regno d’Israele? Non saremo mai più ciò che sognammo?», chiedono con voce affannosa i tre notabili giudei. Lo scriba Gioele piange… 
   «Avete mai osservato una pianta annosa dal midollo distrutto dalla malattia? Per anni vegeta stentatamente, tanto stentatamente che non fiorisce né fa frutto. Solo qualche rara foglia sui rami esausti dice che ancor vi è un poco di linfa che sale… Poi, ad un aprile, eccola fiorire miracolosamente e coprirsi di foglie numerose, e se ne rallegra il padrone che per tanti anni la curò senza frutti, se ne rallegra pensando che la pianta è guarita e torna ad essere rigogliosa dopo tanto squallore… Oh! inganno! Dopo tanto esuberante esplodere di vita, ecco la subita morte. Cadono fiori, foglie e i frutticini che parevano già allegare sui rami e promettevano pingue raccolto, e con un improvviso scroscio la pianta crolla al suolo marcita alla base. Così farà Israele. Dopo secoli di sterile vegetare sparso, si riunirà sull’annoso tronco e avrà una parvenza di ricostruzione. Riunito alfine il Popolo disperso. Riunito e perdonato. Sì. Dio attenderà quell’ora per recidere i secoli. Non vi saranno più secoli, ma eternità allora. Beati quelli che, essendo perdonati, costituiranno la fioritura fugace dell’ultimo Israele, divenuto, dopo tanti secoli, del Cristo, e moriranno redenti, insieme con tutti i popoli della Terra, beati con quelli che, fra essi, hanno non solo conosciuto l’esistenza mia,  ma  abbracciata la mia Legge come legge di Salute e Vita.

 6 Sento le voci dei miei apostoli. Andate prima che vengano…». 
   «Non è per viltà, Signore, che cerchiamo di rimanere ignoti. Ma per servirti. Per poterti servire. Se si sapesse che noi, che io soprattutto, siamo venuti a Te, saremmo esclusi dalle deliberazioni…», dice Gioele. 
   «Comprendo. Ma badate che il serpente è astuto. Tu in specie sii cauto, Gioele…». 
   «Oh! mi uccidessero! Preferirei la mia alla tua morte! E non vedere i giorni che dici! Benedicimi, Signore, per fortificarmi…». 
   «Vi benedico tutti nel Nome di Dio uno e trino e nel Nome del Verbo incarnato per essere salute agli uomini di buona volontà». Li benedice collettivamente con un largo gesto e poi posa la mano, singolarmente, sulle quattro teste chine ai suoi piedi. 
   Essi poi si alzano, si coprono di nuovo il volto e si imboscano fra le piante del frutteto e le siepi di more, che dividono i peri dai meli e questi da altri alberi. In tempo, perché in gruppo escono dalla casa i dodici apostoli, cercando il Maestro per mettersi in cammino. 

 7 E Pietro dice: «Sul davanti della casa, verso la città, è una turba di popolo che a stento abbiamo trattenuta per lasciarti pregare. Vogliono seguirti. Nessuno di quelli che hai congedato è partito. Anzi, molti sono tornati indietro e molti sono sopraggiunti. Li abbiamo sgridati…». 
   «Perché? Lasciate che mi seguano! Così fosse di tutti! Andiamo!». 
   E Gesù, aggiustatosi il manto che Giovanni gli porge, si mette alla testa dei suoi, raggiunge la casa, la costeggia, mette piede sulla via che va a Betania e intona a gran voce un salmo. La gente, una vera folla, prima tutti gli uomini, poi le donne e i fanciulli, lo seguono, cantando con Lui… 
   La città si allontana fra la sua cinta di verde. La strada è percorsa da molti pellegrini. E ai margini molti mendichi alzano i loro lagni per impietosire la folla e fare così questue fruttuose. Storpi, monchi, ciechi… La solita miseria che in ogni era e in ogni regione costuma adunarsi là dove una festività convoglia le folle. E se i ciechi non vedono chi passa, gli altri vedono e, conoscendo la bontà del Maestro verso i poveri, gettano il loro grido più forte del solito per attirare l’attenzione di Gesù. Però non chiedono miracolo. Soltanto obolo. E Giuda dà l’obolo. 

 8 Una donna di civile condizione ferma il ciuchino, sul quale è in sella, presso un robusto albero che ombreg-gia un bivio, e attende Gesù. Quando Egli è vicino, scivola dalla sua cavalcatura e si prostra, a fatica, perché ha fra le braccia una creaturina molto inerte. La solleva senza dire una parola. I suoi occhi pregano nel volto afflitto. Ma Gesù è fra una siepe di gente e non vede la povera madre inginocchiata ai margini della via. 
   Un uomo e una donna, che sembrano in compagnia della madre afflitta, le parlano. «Non c’è nulla per noi», dice scuotendo il capo l’uomo. E la donna: «Padrona, Egli non ti ha vista. Chiamalo con fede ed Egli ti esaudirà». 
   La madre le dà ascolto e grida, forte, per vincere il rumore dei canti e dei passi: «Signore! Pietà di me!». 
   Gesù, che è già avanti qualche metro, si arresta e si volge cercando chi ha gridato, e la servente dice: «Padrona, ti cerca. Alzati, dunque, e va’ da Lui, e Fabia sarà guarita», e l’aiuta ad alzarsi guidandola verso il Signore, che dice: «Chi mi ha invocato venga a Me. È tempo di misericordia per chi sa sperare in essa». 
   Le due donne si fanno largo, prima la servente per preparare la strada alla madre, poi la stessa, e stanno per raggiungere Gesù quando una voce grida: «Il mio braccio perduto! Guardate! Benedetto il Figlio di Davide! Il sempre potente e santo nostro vero Messia!». 
   Succede un trambusto, perché molti si girano e la folla ha un rimescolio, un movimento di onde contrarie intorno a Gesù. Tutti vogliono sapere, vedere… Interrogano un vecchio, che agita il suo braccio destro come fosse una bandiera e che risponde: «Egli si era fermato. Io sono riuscito a prendere un lembo del suo manto e a coprirmi di esso, e come un fuoco mi è corso per il braccio morto e una vita, ed ecco, il destro è come il sinistro, solo perché fu toccato dalla sua veste». 

 9 Gesù intanto chiede alla donna: «Che vuoi?». 
   La donna tende la sua creatura e dice: «Anche essa ha diritto alla vita. Innocente essa. Non chiese d’essere di un o dell’altro luogo, di un o dell’altro sangue. Io colpevole. Io punita. Non lei». 
   «Speri tu che la misericordia di Dio sia più grande di quella degli uomini?». 
   «Lo spero, Signore. Io credo. Per me e per la mia creatura alla quale spero Tu renda pensiero e moto. Si dice che Tu sei la Vita…», e piange.
   «Io sono la Vita, e chi crede in Me avrà vita dello spirito e delle membra. Voglio!». 
   Gesù ha gridato queste parole con voce forte e ora abbassa la mano sulla creatura inerte, e questa ha un fremito, un sorriso, una parola: «Mamma!». 
   «Si scuote! Sorride! Ha parlato! Fabio! Padrone!». Le due donne hanno seguito le fasi del miracolo e le
hanno proclamate forte. E hanno chiamato il padre, che si fa largo fra la gente e giunge alle donne quando già esse sono ai piedi di Gesù piangendo, e mentre la servente dice: «Io te lo avevo detto che Egli ha pietà di tutti!», la madre dice: «E ora perdonami anche il mio peccato». 
   «Non te lo mostra il Cielo, colla grazia concessa, che il tuo errore è perdonato? Sorgi e cammina. Nella via nuova, con tua figlia e coll’uomo che hai scelto. Va’. La pace a te. E a te, fanciullina. E a te, fedele israelita. Molta pace a te, per la tua fedeltà a Dio e alla figlia della famiglia che servivi e che col tuo cuore hai tenuto vicina alla Legge. E pace anche a te, uomo, che sei stato più rispettoso, per il Figlio dell’uomo, di molti altri di Israele». 
   Si congeda mentre la folla, lasciato il vecchio, si interessa del nuovo miracolo sulla fanciullina paralizzata ed ebete, forse per una meningite, e che ora saltella felice, dicendo le uniche parole che sa, quelle che forse sapeva quando si era ammalata e che ritrova intatte nella mente risorta: «Padre, mamma, Elisa. Il bel sole! I fiori!…». 

10 Gesù fa per andare, ma dal bivio ormai superato, da presso gli asinelli lasciati in asso dai miracolati, altri due gridi, lamentosi, dalla caratteristica cadenza ebrea: «Gesù, Signore! Figlio di Davide, abbi pietà di me!». E di nuovo, più forte, per superare i gridi della folla che dice: «Tacete. Lasciate andare il Maestro. Lunga è la via e si alza il sole sempre più forte. Che Egli possa essere sui colli prima del calore», gridano di nuovo: «Gesù, Signore, Figlio di Davide, abbi di me pietà». 
   Gesù si ferma di nuovo dicendo: «Andate a prendere quelli che gridano e conducetemeli qui». 
   Alcuni volonterosi vanno. Raggiungono i due ciechi e dicono: «Venite. Egli ha pietà di voi. Alzatevi, ché vi vuole esaudire. Ha mandato noi a chiamarvi in suo nome», e cercano di guidare i due ciechi fra la folla. 
   Ma se uno si fa condurre, l’altro, più giovane e forse più credente, precorre il desiderio dei volonterosi e si fa avanti da solo, col suo bastoncello puntato in avanti, il caratteristico sorriso e atteggiamento dei ciechi sul volto alzato a cercare la luce… e sembra che il suo angelo lo guidi, tanto va svelto e sicuro. Se non avesse gli occhi bianchi, non parrebbe cieco. 
   Giunge per primo davanti a Gesù, che lo ferma dicendo: «Che vuoi che ti faccia?». 
   «Che io veda, Maestro. Fa’, o Signore, che i miei occhi e quelli del mio compagno si aprano». 
   È sopraggiunto l’altro cieco e lo fanno inginocchiare presso il compagno.
   Gesù posa le mani sulle loro facce alzate e dice: «Sia fatto come chiedete. Andate! La vostra fede vi ha salvati!». 
   Leva le mani e due gridi escono dalle labbra dei ciechi: «Io vedo, Uriel!», «Io vedo, Bartimeo!», e poi insieme: «Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Benedetto Colui che lo ha mandato! Gloria a Dio! Osanna al Figlio di Davide», e due volti al suolo a baciare i piedi di Gesù, e poi si alzano, i due già ciechi, e quello detto Uriel dice: «Vado a mostrarmi ai parenti e poi torno a seguirti, o Signore». Ma Bartimeo dice invece: «Io non ti lascio. Manderò ad avvisarli. Sarà sempre gioia. Ma separarmi da Te, no. Mi hai dato la vista. Io ti consacro la vita. Abbi pietà del desiderio del tuo infimo servo». 
   «Vieni e seguimi. La buona volontà uguaglia ogni condizione, e solo è grande chi meglio sa servire il Signore». 
   E Gesù riprende il cammino fra gli osanna della folla, e Bartimeo si mette fra essa e va, osannando con gli altri, dicendo: «Ero venuto per un pane e ho trovato il Signore. Ero povero, ora sono ministro del Re santo. Gloria al Signore e al suo Messia»…  

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!