Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 20 giugno 2022

La questione del giudizio è una questione che riguarda ognuno di noi per un motivo molto semplice: l’altro per noi lo specchio migliore in cui vedere la verità di noi stessi. L’errore però che facciamo è quello di pensare cl ci stiamo accorgendo dei difetti degli altri, del loro limite della loro debolezza, dimenticando che in tutto quello che apparentemente di vero stiamo dicendo dell’altro, ci siamo noi.

Sovente l’asprezza dei nostri giudizi nei confronti degli altri, sottintende una mancanza di accettazione di quelle stesse cose dentro di noi. Solo chi non si vuole bene vede sempre il male negli altri. Chi è riconciliato con se stesso guarda l’altro sempre con misericordia, con benedizione.

Gesù è netto nel chiedere ai suoi discepoli di prendere di petto una simile cosa e correggerla: <<Non giudicate, per non essere giudicati; perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati>>. È un po’ come se volesse dirci che ci conviene lavorare sul nostro giudizio per  poter trovare lo stesso giudizio benevolo quando alla fine della storia saremo tutti giudicati da colui che è il giusto per eccellenza.

E il primo passo è correggere in noi stessi ciò che vorremmo correggere negli altri: <<Perché osservi la pagliuzza nell’occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell’occhio tuo c’è la trave? Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello>>.

Messa in questo modo, la nostra capacità di giudicare ha come sbocco naturale la nostra personale conversione. Tutto il male di cui ci accorgiamo nel mondo e nell’altro dobbiamo estirparlo innanzitutto da noi, e così avremo davvero cambiato il mondo. Infatti, sono io il primo pezzo del mondo che deve cambiare. Se parto da me, smetto di tenere il dito puntato.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 19 giugno 2022

Date voi stessi da mangiare

Che cos’è l’eucaristia ? Forse a questa domanda risponde la festa di oggi. E’ la festa del corpus domini che viene dopo la Pentecoste e la festa della santissima trinità.

E il vangelo prova a rispondere a questa domanda raccontandoci questo episodio della vita di Gesù. Una folla affamata che ha ascoltato Gesù per un’intera giornata e l’imbarazzo dei discepoli che davanti alla fame di quella folla vogliono scappare. Congedala perché torni a casa dicono i discepoli a Gesù.

Ma Gesù invece vuole educare i propri discepoli, vuole dire che davanti ai bisogni della gente non bisogna scappare che la gente non bisogna intrattenerla soltanto in maniera amichevole come se stiamo seduti attorno a un tavolino a prendere un tè, ma la gente va presa sul serio proprio per la propria fame che è una fame molto più profonda che non è semplicemente la fame di pane, la fame di senso, di amore e di vita.

E’ questa la fame che Gesù prende sul serio; l’eucaristia è innanzitutto un Dio che prende sul serio la fame nostra, la fame di vita, di amore, di senso, è un Dio che non soltanto guarda o sta a guardare questa fame ma provvede a questa fame e lo fa innanzitutto inchiodando i discepoli cioè noi cristiani a non scappare davanti alla fame della gente perché è attraverso le nostre mani attraverso la disponibilità delle nostre mani che quella fame poi viene saziata. Date voi stessi da mangiare.

Non è Gesù a distribuire quel pane, lascia che siano i discepoli, lui si limita a prendere quel poco che hanno nelle tasche i discepoli quei cinque pani e due pesci e li moltiplica lo fa bastare per tutti. Il miracolo dell’eucaristia innanzitutto un Dio che prende sul serio questa fame e poi prende la nostra povertà la moltiplica e la fa diventare cibo per una folla affamata.

L’eucarestia è la sua presenza, la sua compagnia , è qualcosa che intercetta tutte le fami che ci portiamo nel cuore. Un cristiano non eucaristico, cioè un cristiano staccato dell’eucaristia è un cristiano che si deve tenere questa fame e se guarda Dio da lontano, cioè se non lo fa entrare concretamente dentro la propria vita, che praticamente significa se noi non prendiamo la comunione o non abbiamo un atteggiamento profondo nei confronti dell’eucaristia, possiamo al massimo interpretare la nostra fame ma non saziarla e Dio non è uno che interpreta i nostri bisogni è uno che li sazia, soltanto che li sazia un po’ alla volta, li sazia in una maniera molto più misteriosa di quella che noi ci immaginiamo ma in una maniera molto più profonda.

Per questo il nostro cristianesimo è un cristianesimo eucaristico cioè un cristianesimo che prende sul serio la fame di senso di verità e di amore, è un cristianesimo a cui Dio ha risposto e a cui ogni cristiano deve prestare le mani perché questo miracolo della moltiplicazione e del saziare la folla possa ripetersi.

C’è bisogno del nostro sì , c’è bisogno che ci siano ancora persone disposte a distribuire questi pani e questi pesci. Dio è uno che agisce sempre attraverso l’umanità di qualcuno ma se non c’è l’umanità di qualcuno questo grande dono e questa grande grazia rimangono sprecati.

La festa del Corpo di Cristo, dell’eucaristia, non è semplicemente qualcosa che Dio ha fatto per ciascuno di noi ma la grande responsabilità di distribuire quello che Dio ha fatto per ciascuno di noi. Chiediamo al signore di aiutarci in tutto questo, di farci diventare anche a noi collaboratori eucaristici, collaboratori di una fame che può essere saziata.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 17 giugno 2022

“Perché, dov’è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”.

Il suggerimento del Vangelo di oggi è decisivo per ciascuno di noi. Scopri in che posto hai messo il tuo cuore e capirai cosa tu consideri tesoro. Potresti rimanere stupito. Potresti accorgerti che la banca dove hai depositato il tuo cuore non è particolarmente sicura e più che renderti qualcosa ti consuma in ansia, paura ed energie. Potresti accorgerti che ci sono posti dove i tesori si consumano e dove ladri scassinano e rubano. E poi invece ci sono posti che sono luoghi sicuri dove il tuo cuore ti frutta cento volte tanto e ti garantisce un retrogusto di paradiso già sulla terra. In certi investimenti bisogna essere santamente furbi.

Non si può mettere il cuore in una relazione con la speranza che non si abbiano mai problemi o crisi. Invece se vuoi proteggere quella relazione metti il tuo cuore in cielo e ama quella persona con libertà e non con la paura di essere ferito o tradito. Allo stesso modo non si può mettere il cuore nella sola realizzazione umana su questa terra.

Pensate davvero che una buona carriera certamente ci renderà felici? Basta essere sazi per essere felici? Il cibo buono non è quello che ti riempie lo stomaco ma quello che ti prepara chi ti ama, anche se a volte è un po’ bruciacchiato o salato.

Il cielo è un posto sicuro dove mettere il cuore perché se il tuo cuore è lì allora funziona anche la terra. Poi il Vangelo continua: “se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!”, che tradotto significa che non è solo importante la luce, ma è importante in che modo quella luce entra dentro di noi.

Se ci sono ferite, impedimenti, peccati che ostruiscono la vista della luce, allora dentro di noi è buio fitto. Un po’ come coloro che invece di prendersela con la luce che non illumina abbastanza si devono accorgere che se pulissero i vetri delle finestre la situazione cambierebbe radicalmente.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 16 giugno 2022

“Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole”.

La nostra preghiera rischia spesso di diventare uno spreco di parole. È lo stesso spreco di chi è convinto di affrontare un esame evitando accuratamente di fare scena muta e cominciando a parlare di qualunque cosa pur cercare di convincere il professore che in realtà ha studiato.

Effettivamente qualche volta questo può anche riuscire come stratagemma, ma con Dio questa strategia non riesce perché sa bene che le parole sono la grande maschera dietro cui ci nascondiamo. In questo senso la vera preghiera non è fatta di molte parole, ma di molti silenzi, molti sguardi, e pochissime parole perlopiù significative, preziose, cariche di senso. Più si cresce nella vita di preghiera e più le parole diminuiscono.

I grandi santi, i grandi maestri di vita spirituale a volte pregavano solo con delle brevissime giaculatorie, quasi sempre le stesse eppure ogni volta sempre nuove nella loro efficacia. È la stessa efficacia di uno che è innamorato e non smette di dire “ti amo” alla persona amata, anche se è sempre la stessa frase, la stessa parola, perché ciò che conta non è la quantità ma la qualità.

Gesù nel vangelo di oggi fa il medesimo ragionamento e nell’insegnare ai suoi discepoli a pregare, suggerisce loro una breve preghiera che racchiude in sé il significato della preghiera. In fondo il Padre nostro è preghiera che insegna la preghiera. In questo senso riflettere e sostare su ciascuna delle parole di cui è composta è mettersi davvero alla scuola di Gesù. Ma c’è una condizione necessaria per poter pregare, una condizione che è più importante anche delle parole giuste: perdonare.

“Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe”.

Chi non ha liberato il cuore dal rancore, dal dolore, dal risentimento, non riesce a pregare perché non esiste cielo per chi ha gli occhi solo sulle proprie ferite.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 15 giugno

Non mi stancherò mai di ripeterlo: il cristianesimo è una questione di stile. Si, è lo stile di chi non fa le cose per essere visto o per sentirsi gratificato dagli applausi degli altri. È lo stile di chi sa che l’amore più bello è quello che non si fa vedere, che agisce silenziosamente, che gode solo di amare e non di sentirsi dire grazie.

“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli”.

Dovremmo passare dalle logiche dell’apparenza alle logiche dell’appartenenza. Perché chi vuole apparire cerca conferme, chi si sente parte di qualcuno cerca invece solo il bene di questo qualcuno senza altre conferme. Potremmo avere quindi una madre che fa la buona madre nella speranza che i figli se ne accorgano, e che il marito l’apprezzi, oppure potremmo avere una madre che è una buona madre solo per il fatto che cerca il bene e la felicità dei figli e per questo a volte incassa anche le incomprensioni con il marito.

La prima madre è una donna che si sente sola e poco amata e cerca amore e conferme da chi le sta intorno. La seconda madre si sente profondamente amata e sa che quell’amore è più grande anche dell’essere capite fino in fondo e del grazie quasi mai detto dei figli per cui sta dando la vita ogni giorno.

“E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.

Così il nascondimento diventa il luogo della libertà e non dell’umiliazione ricercata. Tanto più rifuggiremo di metterci in mostra, di cercare contraccambio, di volere che gli altri se ne accorgano, tanto più significherà che ci sentiamo amati e liberi, e proprio per questo non cercheremo niente di più. Gesù ci parla nel Vangelo non per farci venire i sensi di colpa, ma per saper leggere i sintomi della nostra vita e così capire davvero qual è il nome del nostro problema. Dietro il sintomo dell’apparenza c’è quasi sempre una richiesta di amore e attenzione.

La vita spirituale è risposta a una domanda del genere.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 14 giugno 2022

C’è una cosa che è più difficile dell’amore? È l’amore ai nemici. Gesù lo chiede esplicitamente nel Vangelo di oggi disarmando tutti quei cristiani che credono di rendere culto a Dio impugnando armi di ogni genere. A volte sono le pietre delle parole usate male, a volte solo le armi delle lobby, a volte sono le logiche di esclusione che ci sentiamo autorizzati ad attuare per amore di verità.

La verità è però che Gesù ci chiede di non scendere a patti con il male ma di amare il nemico. E amare è una faccenda seria che non può essere risolta con qualche parola sbiascicata nel chiuso delle nostre sagrestie verso un cielo di cui fondamentalmente non ci fidiamo. L’amore è sempre amore per la verità, ma è anche sempre amore per il volto di chi ho accanto pur se non la pensa come me. Io odio la parola tolleranza perché ha il sapore delle solitudini accostate che tendono a ignorarsi per quieto vivere. Non credo che il Vangelo ci inviti alla tolleranza ma anzi a una grande passione.

La passione per il dialogo. La passione per l’uomo. La passione per il bene che vince i nemici. La passione più grande che è morire per chi si ama. Il vero miracolo non è “dare la vita per i propri amici” ma scoprire gli amici seppelliti sotto la montagna di difetti e distanze di cui vediamo pieni i nostri nemici. “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”.

Ma noi siamo chiamati ad essere come il Padre: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma come si fa ad essere perfetti nell’amore proprio noi che siamo radicalmente imperfetti? La nostra è una chiama in tensione, cioè siamo chiamati a tendere alla perfezione, pur sperimentando le cadute, i fallimenti, i limiti, le imperfezioni. Finché avremo vita dobbiamo tendere la nostra umanità quando più possibile, esattamente come si tende la corda di un arco. Solo così le frecce vanno lontano. Solo così andremo anche noi lontano.

Molto più lontano di chi invece di tendere ha mollato scegliendo la via più semplice.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo -13 Giugno 2022

La nostra natura funziona con la logica dello specchio: ad azione reazione. Non è facile liberarsi da questo meccanismo che invece che renderci liberi ci rende solo reattivi alle scelte degli altri. Se uno si comporta bene, io mi comporto bene; se uno si comporta male, io mi comporto male. Ma la domanda che nasce spontanea è: chi sono davvero io? Posso solo essere lo specchio di chi ho di fronte?

È questo il senso delle parole di Gesù nel Vangelo di oggi: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Porgere l’altra guancia non è segno di debolezza ma di liberazione. Solo chi ha il coraggio di non reagire ma di fare esattamente il contrario può dirsi davvero libero. Libero è non chi ha innanzitutto la forza di difendersi, ma chi nonostante abbia la forza di difendersi decide di attuare una politica totalmente diversa.

Il male lo si sconfigge sbaragliandolo. Porgere l’altra guancia è un atto straordinariamente stupefacente. In un mondo che vive delle logiche di reazione, chi fa qualcosa di diverso rompe questo circuito e fa nascere una situazione completamente nuova. L’invito del vangelo è chiaro: se vuoi vincere il male non usare le sue stesse armi. Sii creativo (non cretino). E i creativi a volte sanno incassare ma solo perché sanno aspettare il momento giusto per affondare lo scacco matto del bene.

Ma tutto questo può essere possibile solo se si ricorda che l’essenziale per vivere non dipende dalle circostanze, dal mondo che ci circonda, da quanto ci gira bene la vita intorno. Per un cristiano l’essenziale è in Qualcuno. E proprio per questo nessuna circostanza avversa, ingiustizia, o male subito può mai veramente privarci di ciò che conta. Perché siamo inseparabili da ciò che conta. San Paolo ha parole bellissime per dire questo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”

Niente e nessuno potrà mai separaci dall’amore di Cristo che ha dato la vita per noi. Motivo per cui possiamo agire imprevedibilmente contro ogni logica solamente umana.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 12 Giugno 2022

Nel vangelo di oggi la parola chiave forse dovrebbe essere “gradualità”: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Gesù sa bene che noi riusciamo a capire e a vivere le cose solo un po’ alla volta. Tutta la Bibbia potremmo leggerla come un graduale disvelamento della Verità.

Dio non dice tutto subito ma non perché vuole tenerci nell’ignoranza ma semplicemente perché vuole che essa penetri davvero in noi senza sortire conseguenze negative. Infatti se una persona è immersa in una stanza buia, e vi rimane per molto tempo, non riceverà beneficio da chi da un momento all’altro spalanca le finestre e fa entrare dentro tutto il sole di mezzogiorno.

Quella luce forte e limpida produrrebbe una immediata cecità, sarebbe appunto insopportabile. Ma se qualcuno cominciasse ad aprire la finestra poco la volta, l’occhio si abituerebbe, e spalancate tutte le finestre lo stesso uomo che prima era immerso nel buio potrebbe beneficiare della luce ad occhi aperti senza soffrirne. Così Dio pian piano attraverso Gesù ha cominciato ad aprire la finestra della Verità, educandoci gradualmente all’esperienza immensa e luminosa del Suo Amore gratuito.

Il ruolo dello Spirito è appunto quello di attraversare e ricordare tutta la gradualità data da Cristo e portarla al totale compimento. Come riallacciare i fili già messi in tensione dall’annuncio e dalla testimonianza di Cristo stesso. “Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l’annunzierà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l’annunzierà”.

Accadrà allora che l’opera sarà compiuta e che quella che noi giudicavamo un’assenza in realtà la vedremo come una Presenza più profonda.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 10 giugno 2022

“Avete inteso che fu detto: ‘Non commetterai adulterio’. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore”.

Messo così questo Vangelo credo ci condanni tutti senza eccezioni. Come si fa a poter vivere una pagina del Vangelo del genere? La si può vivere solo se si pensa a noi stessi come un tutt’uno e non come persone che fanno delle cose, mentre ne pensano delle altre e mentre ne provano delle altre ancora. La vera libertà è creare comunione tra il dentro e il fuori.

Che senso avrebbe rimanere formalmente fedeli alla propria moglie (magari per paura delle conseguenze) e vivere interiormente un attaccamento e un desiderio compulsivo per qualcun altro costruendoci magari sopra castelli in aria? E bisogna stare anche molto attenti al fatto che Gesù non sta parlando di ciò che sentiamo ma di ciò che costruiamo sulle nostre sensazioni. Non posso vietarmi di essere attratto da una cosa bella. Quell’attrazione non è un peccato e non è un male.

Comincia a farmi male quando ci costruisco io qualcosa sopra. Se non so gestire i miei pensieri come potrò gestire le mie azioni? Dicevano i Padri. Noi non siamo abituati a questa forma di igiene interiore. Non siamo abituati alla radicalità. Ma la radicalità del Vangelo non implica violenza su noi stessi o sugli altri, ma implica dare una direzione chiara a ciò che pensiamo essere un bene.

“Cavare, tagliare, gettare” non sono verbi mutilativi, ma verbi che dicono quanto ci possa stare a cuore fare ciò che siamo chiamati a fare. E se qualcosa si frappone come impedimento, dobbiamo avere il coraggio di saper togliere con forza ciò che ostruisce la vita, ciò che le impedisce di scorrere davvero, ciò che non la fa arrivare al suo vero scopo. Non dobbiamo imparare a farci male, ma a togliere con forza il male che ci blocca.

Non dobbiamo essere violenti ma imparare a forzare lì dove tutto sembra andare alla deriva. Gesù ci domanda carattere, poi la Grazia la metterà Lui.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 9 Giugno 2022

“Se dunque tu presenti la tua offerta all’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna a offrire il tuo dono”.

Quando si legge questo passo del vangelo ci si accorge di come in realtà pochi di noi potrebbero andare a “presentarsi all’altare” con un cuore libero e leggero. Molti di noi, pur desiderando con tutto il cuore una situazione di pace con tutti, si portano addosso le ferite ricevute o inferte da certi rapporti con chi ci sta intorno che appesantiscono il cuore e affaticano anche la capacità di amare e di pregare. Diciamoci la verità: quando si sta bene con la gente che abbiamo accanto, si ha un rapporto migliore anche con Dio.

Per questo una sana vita spirituale non ha solo bisogno di crescere nel rapporto verticale con Dio ma anche del rapporto orizzontale con i fratelli. Se tu vuoi migliorare i rapporti con gli altri allora migliora anche il tuo rapporto con Dio, e viceversa se vuoi migliorare il tuo rapporto con Dio dedicati anche a migliorare il tuo rapporto con gli altri. Le due dimensioni vanno sempre insieme. E se unisci queste due dimensioni ti verrà fuori una croce.

In questo senso Cristo ha rimesso insieme il cielo e la terra, l’amore per Dio e l’amore per il prossimo; l’altare e il volto del fratello. Credere è sempre questa doppia capacità di amare. Ma guai a pensare che l’amore a cui siamo chiamati deve essere semplicemente un amore giusto: “se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”. Siamo chiamati ad amare con un amore che è più grande della giustizia.

È l’amore che è più grande del dovere. È l’amore gratuito non richiesto da nessuna regola e da nessun altro. È l’amore che ama e basta, senza misura. È l’amore che va al fondo delle questioni e non solo amore che salva la faccia, o la forma. Siamo chiamati a una giustizia più grande. È la giustizia di chi fa non perché gli viene chiesto, ma perché sceglie da se.