Vangelo Gv 6, 1-15: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!».

Vangelo Gv 6, 1-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CCLXXI. Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.

   5 settembre 1945

 1 È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie ed i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
   Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua o là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

 2 Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!», dice facendo un sobbalzo.
  Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
  Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro, con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
  «Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
  «Là, Maestro. Dorme…».
  «Lascialo dormire», dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
  «No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
  «Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
  «E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga!».
  «Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
  Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola si vedono meglio le alterazioni dei visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
  «Il bambino ha mangiato prima», spiega Simone.
  «È meglio lasciarlo dormire, allora», dice Gesù.
  E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

 3 «Ditemi ora che avete fatto…», incoraggia Gesù.
  «Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato», dice Pietro.
  «Veramente è stato Simone che lo ha guarito», dice Filippo che non vuole prendersi una gloria non sua.
  «Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivivere insomma, ho avuto quasi paura».
  Gesù gli posa la mano sul capo senza parlare.
  «Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me», dice Tommaso.
  «Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto», dice Matteo.
  «Allora anche Andrea», dice Giacomo d’Alfeo.
  «Invece Simone lo Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”», dice Bartolomeo.
  «Hai detto bene, Simone. E voi due?», chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
  «Oh! io non ho fatto nulla», dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
  «E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?», chiede Pietro.
  «So essere umile anche io», risponde l’Iscariota.
  «E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha proprio ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
  Giuda assente senza parlare.
  «Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
  «Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
  «Non puoi averne un’altra?».
  «Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
  «Va’. E, appena fatto, torna. E non dare molte spiegazioni».
  I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli. 

 4 Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
  «Maestro, vai lontano?».
  «Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure.
  Conto andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
  «Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
  «Forse tutta la settimana e non oltre».
  «Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
  «Quale, Mannaen?».
  «Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…».
  «No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dall’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
  Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli aposto li che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
  «È fatto, Maestro. Possiamo andare».
  «Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
  Pietro si curva per svegliare Marziam.
  «No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io», dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma poi si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù. 

 5 Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori: Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
  «Dove, Maestro?», chiede Pietro.
  «A Tarichea. Dove sbarcammo[72] dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
  Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
  «A chi parli, Simone?», chiede Bartolomeo.
  «Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa?
  Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
  «Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
  Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
  «Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
  «Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
  «Va bene. Faremo così…».
  «Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
  «Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
  «Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
  Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.

   Cap. CCLXXIII. La prima moltiplicazione dei pani.

   7 settembre 1945 

 1 Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E sotto questo fogliame denso già la luce è molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebbriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cala con le pompe finali del giorno.
  Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti. «Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».
  «Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».
  «Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».
  «Portatemeli».
  «Andrea, va’ a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa. Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

 2 Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio[77] vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.
  «Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».
  Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù.

 3 Portano questi cibi al Maestro.
  «Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciassette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…». Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».
  «Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».
  «Dài del mio. Te lo concedo».
  «Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre le donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».
  «Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».
  «Oh! allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».
  «Fàtti dare allora una cesta tu pure».
  Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.
  «Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».
  E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice. Lo scriba non lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce — un pezzettino ben meschino — in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.
  «E ora prendete e date a sazietà. Andate. 

 4 Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».
  «Uh! come è peso!», dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.
  Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti… Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.
  Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E dànno, dànno, dànno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.
  La distribuzione è lunga e abbondante… e l’unico che non mostra stupore è Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo: «Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…», e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.
  Pian piano tornano gli apostoli e i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.
  «Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».
  Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

 5 Intanto la gente satolla si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.
  «Maestro», chiede lo scriba, «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo parco… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».
  «Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo», dice Giovanni.
  «Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato», dice Mannaen.
  «Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai», dice Bartolomeo.
  «Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesci!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Va’ a distribuirli con fede e vedrai”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato a riluttanza… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!», dice Tommaso.
  «No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».
  «Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”», dice l’Iscariota. «Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».
  «Molto più di Tommaso tu sei “mondo”».
  «Ma pure ho pensato di fare elemosina per essere Cielo! Erano denari miei privati…».
  «Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio.
  Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».
  Giuda china il capo e tace.
  «Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può esser più nutriente di un banchetto», dice Simone Zelote.
  «E voi che pensavate?», chiede Pietro ai cugini di Gesù.
  «Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo», dice serio Giuda.
  «E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».
  «No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto[78] a me… È così o sbaglio?».
  Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

 6 Lo scriba conserva una crosta fra le dita.
  «Che ne fai?».
  «Un… ricordo».
  «La tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa», dice Pietro.
  «Io la porterò alla madre nostra», dice Giovanni.
  «E noi? Abbiamo mangiato tutto…», dicono mortificati gli altri.
  «Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».
  Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.
  «Va bene. Andate pure».
  Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi o si cerca un posto per dormire fra gli alti e asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

 7 Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormenti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto nel lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il monticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

 8 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del 4 marzo 1944: Gesù che cammina sulle acque».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

San Damiano de Vauster prega per noi – 15 aprile

«La politica e il mondo giornalistico possono vantare eroi, ma pochi possono essere paragonati a padre Damiano di Molokai. Vale la pena dare un’occhiata alle fonti di tale eroismo» (Gandhi)

Padre Damiano stesso rivela in una lettera i motivi della sua scelta: «Amo molto questi poveri indigeni per la loro semplicità e faccio per loro tutto ciò che posso. Essi mi amano come fanno i bambini con i propri genitori, e attraverso questo reciproco affetto spero di poterli condurre a Dio. Se amano il prete, infatti, ameranno più facilmente Cristo nostro Signore».

Joseph de Veuster (Damiano era il suo nome cr religione) nacque nel Belgio fiammingo nel 1840. A 19 anni chiese l’ammissione presso i padri dei Sacri Cuori. Dopo alcuni anni di preparazione, venne inviato missionario nelle Hawaii dove gli venne affidato un esteso territorio con soli 2000 abitanti. Il giovane prete non si perse d’animo. Imparò la lingua degli indigeni, condivise il loro povero cibo, dormiva come loro su un pagliericcio. Nel 1873 compì un’ulteriore discesa nell’abisso della carità, imbarcandosi per Molokai per assistere gli ammalati di lebbra. Negli anni trascorsi sul’isola Damiano restituì ai lebbrosi il senso della loro dignità, li aiutò a organizzarsi, a costruirsi una capanna, a coltivare piccoli appezza menti di terreno. Finì per sentirsi talmente in comunione con loro da iniziare la sua omelia con le parole: «Noi altri lebbrosi». Ed effettivamente la terribile malattia si annunciò sul suo corpo prima sommessamente, poi con segni sempre più evidenti. Morì il 15 aprile 1889. Ai funerali partecipò una folla straordinaria di lebbrosi inconsolabili.

Padre Damiano è stato beatificato a Bruxelles da papa Giovanni Paolo II il 3 giugno 1995.

La Congregazione per le cause dei santi ha esaminato alcuni casi di guarigioni attribuite all’intercessione di padre Damiano e ne ha riconosciuto la natura sovrannaturale.

L’11 ottobre 2009 papa Benedetto XVI ha canonizzato padre Damiano.

MARTIROLOGIO ROMANO. In località Kalawao sull’isola di Molokai in Oceania, San Damiano de Veuster, sacerdote della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori di Gesù e Maria, che attese con tale dedizione all’assistenza dei lebbrosi, da morire colpito anch’egli dalla lebbra.

Nome: San Damiano de Veuster
Titolo: Sacerdote
Nascita: 3 gennaio 1840, Belgio
Morte: 15 aprile 1889, Molokai, Isole Hawaii
Ricorrenza: 15 aprile
Tipologia: Commemorazione
Protettore: lebbrosi

Vangelo Gv 3, 31-36 : “Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”.

Vangelo Gv 3, 31-36 
Dal Vangelo secondo Giovanni

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXXVII. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non tentare il Signore Iddio tuo. Testimonianza del Battista.

11 marzo 1945

 1 Una serenissima giornata d’inverno. Sole e vento e un cielo sereno, unito, senza neppure il più piccolo ricordo di una nuvola. Le prime ore del giorno. Ancora un leggero velo di brina, meglio di rugiada quasi gelata, fa da spolvero diamantifero sul suolo e sulle erbe. 
   Vengono verso la casa tre uomini, che camminano sicuri come chi sa dove si reca. Infine vedono Giovanni che traversa la corte carico di secchi d’acqua attinta al pozzo. E lo chiamano. 
   Giovanni si volge, posa le brocche e dice: “Voi qui? Benvenuti! Il Maestro vi vedrà con gioia. Venite, venite, prima che sia qui la gente. Ora ne viene tanta!…”. 
   Sono i tre pastori discepoli di Giovanni Battista. Simeone, Giovanni e Mattia seguono contenti l’apostolo. 
   “Maestro, ci sono tre amici. Guarda” dice Giovanni entrando nella cucina dove arde allegro un grande fuoco di stipe, spandendo un odore grato di bosco e di alloro bruciato. 
   “Oh! La pace a voi, amici miei! Come mai venite a Me? Sventura al Battista?” 
   “No, Maestro. Con sua licenza siamo venuti. Egli ti saluta e dice di raccomandare a Dio il leone inseguito dagli arcieri. Non si illude sulla sua sorte. Ma per ora è libero. Ed è felice perché sa che Tu hai molti fedeli. Anche quelli che prima erano suoi. Maestro… noi pure ardiamo di esserlo, ma… non vogliamo abbandonarlo ora che è perseguitato. Comprendici…” dice Simeone. 
   “Vi benedico perché lo fate, anzi. Il Battista merita ogni rispetto e amore.” 
   “Sì. Dici bene. E’ grande il Battista, e sempre più giganteggia. Sembra l’agave che, quando è presso a morire, fa il grande candelabro del settiforme fiore e fiammeggia con esso e profuma. Così lui. E sempre dice: ‘Solo vorrei vederlo una volta ancora…’ Vedere Te. Noi abbiamo raccolto questo suo grido d’anima e, senza dirglielo, te lo portiamo. Egli è ‘il Penitente’, ‘l’Astinente’ è. E si macera anche dal desiderio santo di vederti e udirti. Io sono Tobia, or Mattia. Ma penso che non diverso da lui doveva essere l’arcangelo dato a Tobiolo. Tutto in lui è saggezza. 
   “Non è detto che Io non lo veda…

 2 Ma per questo solo siete venuti? E’ penoso l’andare in questa stagione. Oggi è sereno. Ma fino a tre giorni sono, quanta pioggia sulle vie!” 
   “Non per questo solo. Giorni fa è venuto Doras, il fariseo, a purificarsi. Ma il Battista gli ha negato il rito, dicendo:    ‘Non giunge l’acqua dove è sì grande crosta di peccato. Uno solo ti può perdonare. Il Messia”. E lui allora ha detto: ‘Andrò da Lui. Voglio guarire e penso che questo male sia il suo maleficio’. Allora il Battista lo ha cacciato come avrebbe cacciato Satana. E lui nell’andarsene ha incontrato Giovanni, che egli conosceva da quando andava da Giona di cui era un poco parente, e gli ha detto: ‘Io vado. Tutti vanno. Vi è stato anche Mannanen e fin le… (io dico meretrici, ma lui ha detto un più sozzo nome) vi vanno. L’Acqua Speciosa è piena di illusi. Ora se mi guarisce e mi ritira l’anatema dalle terre, scavate come macchine di guerra da eserciti di talpe e vermi e grillovampiri che scavano i grani e rodono le radici degli alberi da frutto e delle vigne, e non c’è nulla che li vinca, gli diverrò amico.    Ma altrimenti… guai a Lui!’. Noi gli abbiamo risposto: ‘E con questo cuore vai là?’. E lui ha risposto: ‘E chi ci crede al satanasso? Del resto, come fa casa con le meretrici può fare alleanza anche con me’. Noi abbiamo voluto venire a dirtelo, perché Tu ti possa regolare con Doras’.” 
   “E’ già tutto fatto.” 
   “Già fatto? Ah! è vero! Lui ha carri e cavalli, noi le gambe soltanto. Quando è venuto?” 
   “Ieri.” 
   “E che è avvenuto?” 
   “Questo: che, se preferite occuparvi di Doras, potete andare nella sua casa di Gerusalemme e fare cordoglio per lui. Stanno preparandolo per il sepolcro.” 
   “Morto?!!” 
   “Morto. Qui. Ma non parliamo di lui.” 
   “Sì, Maestro…

 3 Solo… dicci una cosa. E’ vero quanto ha detto di Mannanen?” 
   “Sì. Ve ne dispiace?” 
   “Oh! ma è la nostra gioia! Tanto abbiamo parlato di Te a lui in Macheronte! E che vuole l’apostolo se non che sia amato il Maestro? Ciò vuole Giovanni, e noi con lui.” 
   “Bene parli, Mattia. La sapienza è con te.” 
   “E… Io non lo credo. Ma ora l’abbiamo incontrata… Fu anche da noi a cercare Te avanti i Tabernacoli. E le dicemmo: ‘Ciò che tu cerchi non è qui. Ma presto sarà a Gerusalemme per i Tabernacoli’. Così dicemmo perché il Battista ci disse: ‘Vedete quella peccatrice: è una crosta di lordura, ma dentro ha una fiamma che va alimentata. Diverrà così forte che eromperà dalla crosta e tutto arderà. Cadrà la lordura e resterà solo la fiamma’. Così ha detto. Ma… è vero che dorme qui, come sono venuti a dirci due scribi potenti?” 
   “No. E’ in una delle stalle del fattore, ad oltre uno stadio da qui.” 
   “Lingue d’inferno! Hai udito? E loro!…” 
   “Lasciateli dire. I buoni non credono alle loro parole, ma alle mie opere.” 
   “Lo dice anche Giovanni,

 4 Giorni sono alcuni discepoli suoi gli hanno detto, noi presenti: ‘Rabbi, Colui che era con te di là dal Giordano e al quale tu rendesti testimonianza, ora battezza. E tutti vanno da Lui. Resterai senza fedeli’. E Giovanni ha risposto: 
   ‘Beato il mio orecchio che ode questo annuncio! Voi non sapete che gioia mi date. Sappiate che l’uomo non può prendere nulla se non gli è dato dal Cielo. Voi potete testimoniare che io ho detto: ‘Io non sono il Cristo, ma colui che sono stato mandato innanzi a Lui a preparargli la via’. L’uomo giusto non si appropria di un nome non suo e, anche se l’uomo vuol dargli lode col dirgli: ‘Sei quello’, ossia: il Santo, egli dice. ‘No. Per la verità, no. Io sono il suo servo’. E ne ha ugualmente grande gioia perché dice: ‘Ecco, un poco io gli somiglio se l’uomo può scambiarmi per Lui’. E che vuole colui che ama se non assomigliare all’amato suo? Solo la sposa gode dello sposo. Il paraninfo non potrebbe goderne, perché sarebbe immoralità e furto. Ma l’amico dello sposo, che gli sta vicino e ne ascolta la parola piena di gioia nuziale, prova una gioia tanto viva da essere quasi simile a quella che fa beata la vergine a lui sposata, che in essa pregusta il miele delle parole nuziali. Questa è la mia  gioia, ed è completa. Che fa ancora l’amico dello sposo, dopo avere per mesi servito l’amico ed avergli scortato alla casa la sposa? Si ritira e scompare. Così io! Così io! Uno solo resta, lo sposo con la sposa: l’Uomo con l’Umanità. Oh! profonda parola! Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca. Chi viene dal Cielo è al di spora di tutti. Patriarchi e Profeti scompaiono al suo venire, perché Egli è pari al sole che tutto illumina e di così viva luce che gli astri e pianeti, spenti di luce, se ne vestono, e quelli che spenti non sono si annullano nel suo supremo splendore. Così avviene perché Egli viene dal Cielo, mentre i Patriarchi e i Profeti andranno al Cielo, ma dal Cielo non vengono. Chi viene dal Cielo è superiore a tutti. E annunzia ciò che ha visto e udito. Ma nessuno può accettare la sua testimonianza fra quelli che al Cielo non tendono e perciò rinnegano Iddio. Chi accetta la testimonianza di Colui che dal Cielo è disceso suggella, con questo suo credere, la sua fede che Dio è vero e non fola senza verità, e sente la Verità perché ha l’animo volenteroso di lei. Perché Colui che Dio ha inviato, pronunzia parole di Dio, perché dio gli dà lo Spirito con plenitudine, e lo Spirito dice: ‘Eccomi. Prendimi, ché voglio essere teco, Tu delizia del nostro amore’. Perché il Padre ama il Figlio senza misura e tutte le cose ha messo in sua mano. Perciò chi crede nel Figlio ha la vita eterna. Ma chi rifiuta di credere nel Figlio, non vedrà la Vita. E la collera di Dio resterà in lui e su lui.” 
   “Così ha detto. Me le sono stampate nella mente per dirtele, queste parole” dice Mattia. 
   “Ed Io te ne do lode e grazie.

 5 Il Profeta ultimo di Israele non è Colui che dal Cielo discende, ma, per essere stato beneficato dei divini doni nel ventre della madre – voi non lo sapete ma Io ve lo dico – è colui che più al Cielo si accosta.” 
   “Che? Che? Oh! racconta! Egli dice di sé: ‘Io sono il peccatore’. ” I tre pastori sono ansiosi di sapere e anche i discepoli sono lo stesso vogliosi di sapere. 
   “Quando la Madre mi portava, di Me-Dio essendo incinta, andò a servire, perché è l’Umile e Amorosa, la madre di Giovanni, cugina a Lei per madre, e gravida in vecchiezza. Già il Battista aveva la sua anima, perché era al settimo mese della sua formazione. E il germe dell’uomo, chiuso nel seno materno, trabalzò di gioia nel sentire la voce della Sposa di Dio. Precursore anche in questo, egli precorse i redenti, perché da seno a seno si effuse la Grazia, e penetrò, e cadde la Colpa d’origine dall’anima del fanciullo. Onde Io dico che sulla terra tre sono i possessori della Sapienza così come in Cielo tre sono coloro che Sapienza sono: il Verbo, La Madre, il Precursore sulla terra; il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo in Cielo.” 
   “Il nostro animo è ricolmo di stupore… Quasi come quando ci fu detto: ‘E’ nato il Messia…’ Perché Tu eri l’abisso della misericordia e questo nostro Giovanni è l’abisso della umiltà.” 
   “E mia Madre è l’abisso della purezza, della grazia, della carità, dell’ubbidienza, dell’umiltà, di ogni altra virtù che è di Dio e che Dio infonde ai suoi santi.” 

 6 “Maestro” dice Giacomo di Zebedeo “Vi è molta gente.” 
   “Andiamo. Venite voi pure.” 
   La gente è moltissima. 
   “La pace sia con voi” dice Gesù. E’ sorridente come poche volte. La gente bisbiglia e lo accenna. Vi è molta curiosità. 
   “ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto. 
   Troppe volte, si dimentica questo comando. Si tenta Dio quando si vuole imporre a Lui la nostra volontà. Si tenta Dio quando imprudentemente si agisce contro le regole della Legge, che è santa e perfetta e nel suo lato spirituale, il principale, si occupa e preoccupa anche di quella carne che Dio ha creata. Si tenta Dio quando, perdonati da Lui, si torna a peccare. Si tenta Dio quando, beneficati da Lui, si volge a danno il beneficio ricevuto perché fosse un bene per noi e ci richiamasse a Dio. 
   Dio non si irride e non si deride. Troppe volte questo avviene. Ieri avete visto quale castigo attende i derisori di Dio. L’eterno Iddio, tutto pietoso a chi si pente, è all’opposto tutto severità coll’impenitente che per nessuna cosa modifica se stesso. 
   Voi venite a Me per udire la parola di Dio. Vi venite per avere il miracolo. Vi venite per avere perdono. E il Padre vi dà parola, miracolo e perdono. Ed Io non rimpiango il Cielo, perché vi posso dare miracolo e perdono e posso farvi conoscere Iddio. 

 7 L’uomo è caduto ieri fulminato, come Nadab ed Abiu, dal fuoco divino del corruccio. Ma astenetevi dal giudicarlo.    Solo quanto è avvenuto, miracolo nuovo, vi faccia meditare sul come occorre agire per avere amico Iddio. Egli voleva l’acqua penitenziale ma senza spirito soprannaturale. Lo voleva per spirito umano. Come una pratica magica che lo sanasse dal morbo e lo liberasse dalla iattura. Il corpo e il raccolto. Ecco i suoi fini. Non la povera anima sua.    Quella non aveva valore per lui. Il valore per lui era la vita e il denaro. 
   Io dico: ‘Il cuore è là dove è il tesoro, e il tesoro è là dove è il cuore’. Perciò il tesoro è nel cuore.
   Egli nel cuore aveva la sete di vivere e di avere molto denaro. Come averlo? Con qualunque modo. Anche col delitto. E allora chiedere il battesimo non era irridere e tentare Iddio? Sarebbe bastato il pentimento sincero per la sua lunga vita di peccato a dargli santa morte e anche quanto era giusto avere sulla terra. Ma egli era l’impenitente. Non avendo mai amato nessuno fuorché se  stesso, giunse a non amare neppure se stesso. Perchè l’odio uccide anche l’animale amore egoista dell’uomo a se stesso. Il pianto del pentimento sincero doveva essere la sua acqua lustrale. E così sia per tutti voi che udite. Perché senza peccato non vi è alcuno, e tutti perciò avete bisogno di quest’acqua. Essa scende, spremuta dal cuore, e lava, riverginizza chi è profanato, rialza chi è prostrato, rinvigorisce chi è dissanguato dalla colpa. 
   Quell’uomo si preoccupava solo della miseria della terra. Ma un’unica miseria deve rendere pensoso l’uomo. Ed è l’eterna miseria del perdere Iddio. Quell’uomo non mancava di fare lo offerte rituali. Ma non sapeva offrire a Dio sacrificio di spirito, ossia allontanarsi dal peccato, fare penitenza, chiedere con gli atti il perdono. Le ipocrite offerte fatte con ricchezze di male acquisto sono simili a inviti a Dio perché si faccia complice nel male operare dell’uomo. Può mai questo avvenire? Non è irridere Dio osare questo? Dio rigetta da Sé colui che dice: ‘Ecco sacrifico’ ma arde di continuare il suo peccato. Giova forse il digiuno corporale quando l’anima non digiuna dal peccato? 
   La morte dell’uomo qui avvenuta vi faccia meditare sulle condizioni necessarie per essere bene amati da Dio. Ora nel suo ricco palazzo i parenti e le piangenti fanno cordoglio sulla salma che fra poco verrà portata al sepolcro. Oh! vero cordoglio e vera salma! Non più che una salma! Non altro che uno sconfortato cordoglio. Perché l’anima già morta, sarà per sempre separata da coloro che amò per parentela e affinità d’idee. Anche se un’uguale dimora li unirà in sempiterno, l’odio che là regna li farà divisi. E allora la morte è ‘vera’ separazione. Meglio sarebbe che, in luogo degli altri, fosse l’uomo che fa pianto su se stesso, quando ha l’anima uccisa. E per quel pianto di contrito e umile cuore, rendere all’anima la vita col perdono di Dio. 
   Andate. Senza odio o commenti. Senza altro che umiltà. Come Io che, senza odio, ma per giustizia ho parlato di lui. La vita e la morte sono maestre per ben vivere e ben morire, e per conquistare  la Vita senza morte. La pace sia con voi.” 

 8 Non vi sono malati né miracoli, e Pietro dice ai tre discepoli del Battista: “ Me ne spiace per voi.” 
   “Oh! non occorre. Noi crediamo senza vedere. Abbiamo avuto il miracolo del suo natale a farci credenti E ora abbiamo la sua  parola a confermare la nostra fede. Non chiediamo che di servirla sino al Cielo come Giona, fratello nostro.” 
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Santa Liduina prega per noi – 14 aprile

Vergine e santa nacque a Schiedam nel 1380. A quindici anni Liduina fece una brutta caduta mentre pattinava sul ghiaccio, Liduina restò paralizzata a letto, l’incidente fu all’origine di tutti i mali che la tormentarono fino alla morte.

Una lettera del 12 settembre 1421, che gli scabini del suo borgo natale redassero dopo averla osservata a lungo, attesta fino a che punto, fisicamente parlando, la giovane fosse solo un relitto. Tuttavia, è proprio questo “nientino” che s’impegna sulla via maestra della passione del Salvatore per eguagliare i più grandi mistici della scuola spirituale da lei seguita, come ad esempio Geert Groote e Tommaso da Kempis.

Liduina è la prima persona di cui si abbia notizia a cui furono riscontrati i sintomi della sclerosi multipla. Secondo altri autori presentava i sintomi dell’anoressia

Subito dopo la sua morte nacque spontaneamente un culto popolare: si costruì una cappella, le si fecero dei ritratti, si scrissero molte Vite. Il culto fu approvato nel 1650 e solennemente confermato da Leone XIII nel 1890. Una biografia di L., pubblicata a Parigi nel 1901, capolavoro firmato da JorisKarl Huysmans, ha contribuito a rendere popolare la sua figura.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Schiedam in Geldria, nell’odierna Olanda, santa Liduina, vergine, che per la conversione dei peccatori e la liberazione delle anime sopportò con pazienza per tutta la vita le infermità del corpo, confidando solo in Dio.

Nome: Santa Liduina
Titolo: Vergine
Nascita: 18 marzo 1380, Schiedam
Morte: 14 aprile 1433, Schiedam
Ricorrenza: 14 aprile
Tipologia: Commemorazione
Protettrice: malati cronici, pattinatori su ghiaccio

Vangelo Gv 3, 16-21: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Vangelo Gv 3, 16-21
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Facoltativo e dello stesso periodo della Vita sulla terra del Cristo nostro Signore: 

   Cap. CXV. Guarigione di un bambino colpito dal cavallo di Alessandro. Gesù scacciato dal Tempio.

22 febbraio 1945

 1 L’interno del Tempio. Gesù è coi suoi molto presso al Tempio vero e proprio, ossia al Luogo Santo dove solo entravano i sacerdoti. É un bellissimo cortilone al quale si accede per un atrio e dal quale per un altro, ancora più ricco, si passa all’alta terrazza su cui è il cubo del Santo. 
   É inutile! Vedessi mille volte il Tempio e lo descrivessi duemila, sia per la complessità del luogo, sia per la mia ignoranza dei nomi e per l’incapacità di fare un grafico, sarò sempre incompleta nel descrivere questo pomposo e labirintico luogo… 
   Sembrano in preghiera. Anche molti altri israeliti, tutti uomini, sono lì e pregano ognuno per proprio conto. Scende la sera precoce di una plumbea giornata di novembre. Un vocio, in cui è una stentorea e inquieta voce di uomo che bestemmia anche in latino, si mesce a stridule e acute voci ebraiche. Vi è come il tramestio di una lotta e una acuta voce femminile grida: 
   «Oh! lasciatelo andare! Egli dice che Lui lo salverà». 
I   l raccoglimento del suntuoso cortile è rotto. Molte teste si volgono verso il punto da cui vengono le voci. E si volge anche Giuda Iscariota, che è anche lui coi discepoli. Alto come è vede e dice: 
   «Un soldato romano che lotta per entrare! Viola, ha già violato il luogo sacro! Orrore!». Molti fanno eco. 
   «Lasciatemi passare, cani giudei! Qui è Gesù. Lo so! Voglio Lui! Delle vostre pietre stupide non so che fare. Il bambino muore e Lui lo salva. Via! Ipocrite iene…». 
   Gesù, che quando ha capito che si voleva Lui si è subito diretto verso l’atrio sotto cui si agitava la mischia, giunge ad esso e grida: 
   «Pace e rispetto al luogo e all’ora dell’offerta». 
   «Oh! Gesù! Salve! Sono Alessandro. Fate largo, cani!». 
   E Gesù pacato: «Sì, fate largo. Condurrò altrove il pagano che non sa che è per noi questo luogo». 
   Il cerchio si fende e Gesù raggiunge il soldato, che ha la corazza insanguinata. 
   «Sei ferito? Vieni. Qui non si può stare», e lo conduce per l’altro cortile e oltre. 
   «Non sono ferito io. Un bambino… Il mio cavallo, presso l’Antonia, mi ha preso la mano e l’ha travolto. Gli zoccoli gli hanno aperto la testa. Procolo ha detto: “Nulla da fare!”. Io… non ne ho colpa… ma per me è successo e la madre è là disperata. Ti avevo visto passare… venire qui… Ho detto: “Procolo no, ma Lui sì”. Ho detto: “Donna, vieni. Gesù lo sanerà”. Mi hanno trattenuto quei dementi… e forse il bambino sarà morto». «Dove è?», chiede Gesù. 
   «Sotto quel portico, in grembo alla madre», risponde il milite già visto alla porta dei Pesci. 
   «Andiamo». 
   E Gesù va lesto più ancora, seguito dai suoi e da un codazzo di gente.

 2 Sui gradini che limitano il portico, addossata ad una colonna, è una donna straziata che piange sul figlioletto morente. 
   Il bambino è terreo, con le labbra violacee semiaperte nel rantolo caratteristico dei colpiti al cervello. Una benda lo stringe al capo, rossa di sangue sulla nuca e sulla fronte. 
   «Ha aperta la testa davanti e dietro. Si vede il cervello. E’ tenero il capo a quell’età, e il cavallo era grosso e ferrato da poco», spiega Alessandro. 
   Gesù è presso la donna che non parla neppure più, agonizzante sul figlio che muore. Le pone la mano sul capo.    «Non piangere, donna», dice con tutta la soavità di cui è capace, ossia infinita. «Abbi fede. Dammi il tuo bambino». 
   La donna lo guarda inebetita. La folla impreca ai romani e compiange il morente e la madre. Alessandro è fra il contrasto dell’ira per le accuse ingiuste, la pietà e la speranza. Gesù si siede presso la donna, poi che vede che ella non sa fare più nessun gesto. Si china. Prende fra le sue lunghe mani il piccolo capo ferito, si china più ancora, si piega sulla cerea faccina, alita sulla bocchina rantolante… Qualche attimo. Poi ha un sorriso che appena si vede fra le ciocche di capelli piovute in avanti. Si raddrizza. Il bimbo apre gli occhietti e fa un atto per sedersi. La madre teme sia l’estremo conato e urla tenendolo sul cuore. 
   «Lascialo andare, donna. Bambino, vieni a Me», dice Gesù sempre seduto a fianco della donna e tendendo le braccia con un sorriso. E il bambino si getta sicuro in quelle braccia e piange col pianto non del dolore, ma della paura che torna con il tornare del pensiero. 
   «Non c’è il cavallo, non c’è», rassicura Gesù. «Tutto è passato. Ti fa più male qui?». 
   «No. Ma ho paura, ho paura!». 
   «Lo vedi, donna. Non è che la paura. Ora passa. Portatemi dell’acqua. Il sangue e la benda lo impressionano.    Dammi una delle mele che hai, Giovanni… Prendi, piccino. Mangia. É buona…» 
   Portano dell’acqua, anzi è il soldato Alessandro che la porta nel suo elmo. Gesù fa l’atto di sciogliere la benda. Alessandro e la madre dicono: 
   «No! Risorge… ma la testa è aperta!…». 
   Gesù sorride e scioglie la benda. Uno, due, tre, otto giri. Leva le pezze insanguinate. Dalla metà della fronte alla nuca, a destra, è un solo grumo di sangue ancora molle fra i capellucci del bambino. Gesù intinge una benda e lava. 
   «Ma sotto è la ferita… se levi il grumo tornerà a sanguinare», insiste Alessandro. 
   La madre si tappa gli occhi per non vedere. Gesù lava, lava, lava. Il grumo si scioglie… ecco i capellucci nettati.    Sono umidi, ma sotto non vi è ferita. La fronte anche è sana. Solo ha un segnetto rosso dove la cicatrice è nata.    La gente urla di stupore. La donna osa guardare, e quando vede non si trattiene più. Crolla tutta addosso a Gesù e lo abbraccia insieme al bambino e piange. Gesù sopporta quell’espansione e quella pioggia di lacrime. 
   «Io ti ringrazio, Gesù», dice Alessandro. «Mi dolevo di aver ucciso questo innocente». 
   «Hai avuto bontà e fiducia. Addio, Alessandro. Va’ al tuo servizio». 

 3 Alessandro sta per andarsene quando arrivano come tanti cicloni degli ufficiali del Tempio e dei sacerdoti. «Il Sommo Sacerdote ti intima a mezzo nostro di uscire dal Tempio, Te e il pagano profanatore. Subito. Avete turbato l’offerta dell’incenso. Costui è penetrato dove è luogo di Israele. Non è la prima volta che per causa tua il Tempio è a rumore. Il Sommo Sacerdote, e con lui gli Anziani di turno, ti ordinano di non porre più piede qui dentro. Vai e stai coi tuoi pagani». 
   «Non siamo dei cani neppure noi. Egli lo dice: “Vi è un Dio solo, Creatore dei giudei e dei romani”. Se questa è la sua Casa ed io sono creato da Lui, potrò entrarci io pure», risponde Alessandro, punto dallo sprezzo con cui i sacerdoti dicono «pagani». 
   «Taci, Alessandro. Io parlo», interloquisce Gesù, che dopo avere baciato il piccolo lo ha reso alla madre e si è alzato in piedi. Dice al gruppo che lo scaccia: 
   «Nessuno può vietare ad un fedele, ad un vero israelita che nessuno può provare reo di peccato, di pregare presso il Santo». 
   «Ma di spiegare nel Tempio la Legge, sì. Te ne sei preso il diritto senza averlo e senza chiederlo. Chi sei? Chi ti conosce? Come usurpi un nome e un posto non tuo?».

 4 In coda è Alessandro, rimasto alla disputa. Fuori del recinto, presso la torre Antonia, dice: 
   «Io ti saluto, Maestro. E ti chiedo perdono di esser stato causa di rampogna per Te». 
   «Oh! non te ne dolere! Cercavano l’appiglio. Lo hanno trovato. Se non eri tu, era un altro… Voi, a Roma, fate i giuochi nel Circo con fiere e serpenti, non è vero? Ebbene, ti dico che nessuna belva è più feroce e subdola dell’uomo che vuol uccidere un altro uomo». 
   «Ed io ti dico che al servizio di Cesare ho percorso tutte le regioni di Roma. Ma non ho mai, fra i mille e mille soggetti incontrati, trovato uno più divino di Te. No, che anche i nostri dèi non sono come Te divini! Sono vendicativi, crudeli, rissosi, bugiardi. Tu sei buono. Tu sei veramente un Uomo non uomo. Salute, Maestro». 
   «Addio, Alessandro. Procedi nella Luce». Tutto ha fine. 

   Cap. CXVII. Lazzaro mette a disposizione di Gesù una casetta nella piana dell’Acqua Speciosa.

25 febbraio 1945

 1 Gesù sale per  il ripido sentiero che porta al pianoro su cui è costruita Betania. Non segue questa volta la via maestra, ha preso questa più ripida e più rapida, che viene in direzione da nord ovest verso est e che è molto meno battuta forse perché tanto ripida. Solo viaggiatori frettolosi se ne servono, quelli che hanno delle mandre e che preferiscono non metterle nell’andirivieni della via maestra, quelli che come Gesù, oggi, non vogliono farsi notare da molti. Egli sale avanti, parlando fitto fitto con lo Zelote. Dietro, in gruppo, sono i cugini con Giovanni e Andrea, poi un altro gruppo di Giacomo di Zebedeo con Matteo, Tommaso, Filippo, ultimi Bartolomeo con Pietro e l’Iscariota.
   Ma quando è raggiunto l’altipiano, su cui Betania ride al sole di una serena giornata di novembre, e dal quale, guardando verso oriente, si vede la valle del Giordano e la via che viene da Gerico, Gesù dà ordine a Giovanni di andare ad avvertire Lazzaro del suo arrivo. Mentre Giovanni se ne va a passo rapido, Gesù procede coi suoi lentamente, salutato per ogni dove da persone del luogo.

 2 La prima a venire dalla casa di Lazzaro è una donna che si prostra fino a terra dicendo: “Felice questo giorno per la casa della mia signora. Vieni, Maestro. Ecco Massimino e, già sul cancello, ecco Lazzaro.”
   Anche Massimino accorre. Non so di preciso chi sia costui. Ho l’impressione che sia o un parente meno ricco e ospitato dai figli di Teofilo, oppure un intendente dei loro averi, ma trattato da amico per il suo merito e per il lungo tempo di servizio nella casa. Forse è il figlio di qualche intendente del padre, rimasto poi al posto dello stesso presso i figli di Teofilo. E’ di poco più anziano di Lazzaro, ossia sarà sui trentacinque anni, poco più. 
   “Non speravamo averti così presto” dice.
   “Chiedo ricovero per una notte.”
   “Fosse per sempre ci faresti felici.”
   Sono sulla soglia e Lazzaro bacia e abbraccia Gesù  e saluta i discepoli. Poi, tenendo un braccio intorno alla vita di Gesù, entra con Lui nel giardino e si isola dagli altri chiedendo subito: “A che devo la gioia di averti?”
   “All’odio dei sinedristi.”
   “Ti hanno fatto del male? Ancora?”
   “No. Ma me lo vogliono fare. E non è l’ora. Finché non avrò arato tutta la Palestina e sparso il seme, non devo essere abbattuto.”
   “Devi anche cogliere il tuo raccolto, Maestro buono. E’ giusto che così sia.”
   “Il mio raccolto lo raccoglieranno i miei amici. Essi metteranno la falce dove Io ho seminato.

 3 Lazzaro, Io ho deciso di allontanarmi da Gerusalemme. So che non serve, lo so in anticipo. Ma servirà a potere evangelizzare, se non altro. A Sionne mi è negato anche questo.”
   “Ti avevo mandato a dire da Nicodemo di andare in una delle mie proprietà. Nessuno osa violarle. Potresti fare il tuo ministero senza molestie. Ed, oh! casa mia! La più beata di tutte le mie case per essere santificata dal tuo insegnare, dal tuo respirare in essa! Dammi la gioia di esserti utile, Maestro mio!”
   “Lo vedi che già sto dandotela. Ma a Gerusalemme non posso rimanere. Non sarei molestato Io, ma si farebbe molestia a coloro che venissero. Vado verso Efraim, fra questo luogo e il Giordano. Là evangelizzerò e battezzerò come il Battista.”
   “Nelle campagne di quel luogo ho una casetta. Ma è ricovero degli attrezzi dei lavoratori. Talora vi dormono quando vanno al tempo dei fieni o delle viti. E’ misera. Un semplice tetto su quattro muri. Ma è sempre nelle mie terre. E lo si sa… Il saperlo farà da spauracchio agli sciacalli. Accetta, Signore. Manderò i servi a prepararlo…”
   “Non occorre. Se vi dormono i tuoi contadini, basterà pure a noi.”
   “Non metterò ricchezze, ma completerò il numero dei letti, oh! poveri come Tu vuoi, e farò portare coperte, sedili, anfore e coppe. Dovrete pure mangiare e coprirvi, specie in questi mesi d’inverno. Lasciami fare. Non farò neppure io.

 4 Ecco Marta che viene a noi. Ella ha il genio pratico e solerte di tutte le cure famigliari. E’ fatta per la casa e per essere il conforto dei corpi e degli spiriti che sono nella casa. Vieni, mia dolce e pura albergatrice! Lo vedi? Io pure mi sono rifugiato sotto la sua materna cura, nella sua parte di eredità. Non rimpiango mia madre troppo duramente, così. Marta, Gesù si ritira nella piana dell’Acqua Speciosa. Di specioso non c’è che il fertile suolo; la casa è un ovile.    Ma Egli vuole una casa da poveri. Bisogna fornirla del minimo. Dài ordini, tu, tanto brava!” e Lazzaro bacia la mano bellissima della sorella, che si leva poi ad accarezzarlo con vero amore di madre.
   Poi Marta dice: “Vado subito. Porto con me Massimino e Marcella. Gli uomini del carro aiuteranno a sistemare.    Benedicimi, Maestro, così porterò meco qualcosa di tuo.”
   “Sì, mia dolce albergatrice. Ti chiamerò come Lazzaro. Ti do il mio cuore da portare con te, nel tuo.”

 5 “Lo sai, Maestro, che oggi è per queste campagne Isacco con Elia e gli altri? Mi hanno chiesto pascolo giù nella piana, per essere un poco insieme, ed ho acconsentito. Oggi trasmigrano. Li attendo per il pasto.”
   “Ne ho gioia. Darò loro istruzioni….”
   “Sì. Per poterci tenere a contatto. Qualche volta verrai, però…”
   “Verrò. Ne ho parlato già con Simone. E, poiché non è giusto che Io invada la tua casa con i discepoli, andrò in casa di Simone…”
   “No, Maestro. Perché questo dolore?”
   “Non indagare, Lazzaro. Io so che è bene.”
   “Ma allora…”
   “Ma allora sarò sempre nei tuoi possessi. Ciò che anche Simone ignora Io lo so. Colui che volle acquistare, senza mostrarsi e senza discutere, pur di stare presso a Lazzaro di Betania, era il figlio di Teofilo, il fedele amico di Simone lo Zelote e il grande amico di Gesù di Nazaret. Colui che ha raddoppiata la somma per Giona e non ha inciso sull’avere di Simone per dare gioia allo stesso di potere molto fare per il Maestro povero e per i poveri del Maestro, è uno che ha nome Lazzaro. Colui che è discreto e attento muove, dirige, aiuta tutte le forze buone per darmi aiuto e conforto e protezione, è Lazzaro di Betania. Io so.”
   “Oh! non lo dire! Avevo creduto di fare così bene e in segreto!”
   “E per gli uomini c’è il segreto. Ma non per Me. Io leggo nel cuore.

 6 Vuoi che ti dica il perché la tua già naturale bontà si intinge di perfezione soprannaturale? E’ perché chiedi dono soprannaturale, chiedi la salvezza di un’anima e la santità tua e di Marta. E senti che non basta essere buoni secondo il mondo, ma occorre essere buoni secondo le leggi dello spirito per avere la grazia da Dio. Tu non hai udito le mie parole. Ma Io ho detto: ‘Quando fate il bene fatelo in segreto, e il Padre ve ne darà grande ricompensa.’ Tu lo hai fatto per naturale impulso all’umiltà. Ed in verità ti dico che il Padre prepara a te una ricompensa che tu neppure puoi immaginare.”
   “La redenzione di Maria?!…”
   “Questa e più,  più ancora.”
   “Cosa allora, Maestro, di più impossibile di questo?”
   Gesù lo guarda e sorride. Poi dice col tono di un salmo: “Il Signore regna e con Lui i suoi santi.
   Dei suoi raggi intreccia corona e sul capo dei santi la posa. Onde in eterno essa splenda agli occhi di Dio e dell’universo.
   Di che metallo è codesta? Di quali pietre decorata? Oro, oro purissimo è il cerchio ottenuto col duplice fuoco dell’amore divino e dell’amore dell’uomo, lavorata a cesello dalla volontà che martella, limo, taglia e affina.
Perle con grande dovizia e smeraldi più verdi dell’erba nata ad aprile, turchesi del color del cielo, opali dal color della luna, ametiste come viole pudiche, e diaspri e zaffiri e giacinti e topazi. Questi incastonati per tutta la vita. E poi un cerchio di rubini messi per ultimo lavoro, un gran cerchio sulla fronte gloriosa.
   Perché il benedetto avrà avuto fede e speranza, avrà avuto mitezza e castità, temperanza e fortezza, giustizia e prudenza, misericordia senza misura, e in fondo avrà scritto col sangue il mio Nome e la fede in Me, il suo amore in lui per Me, e il suo nome in Cielo.
   Esultate, o giusti del Signore. L’uomo  ignora e Dio vede. 
   Egli scrive nei libri eterni le mie promesse e le vostre opere, e con esse i vostri nomi, prìncipi del secolo futuro, trionfatori eterni col Cristo del Signore.”
   Lazzaro lo guarda stupito. Poi mormora: “Oh!… io… non sarò capace…”
   “Lo credi?” e Gesù coglie un ramo flessibile di salice spiovente sul sentiero e dice: “Guarda: come la mia mano piega facilmente questo ramo, così l’amore piegherà la tua anima e ne farà corona eterna. E’ l’amore il redentore individuale. Chi ama inizia la sua redenzione. Il completamento di essa lo compierà il Figlio dell’uomo.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

San Martino I prega per noi – 13 aprile

La vita di questo martire del dovere, che con ammirabile eroismo bevette fino all’ultima stilla il calice delle amarezze per la difesa della Chiesa, dovette certamente apparir grande ai suoi contemporanei!

Martino nacque a Todi nell’Umbria e studiò a Roma, ove si rese celebre per il suo sapere non meno che per le sue rare doti e virtù. Era appena stato consacrato sacerdote quando Papa Teodoro lo mandò come nunzio a Costantinopoli per tentare il richiamo dei Monoteliti all’unità della fede. Ma morto pochi anni dopo il Papa (649), Martino fu richiamato a Roma a succedergli.

Egli sali sulla Cattedra Apostolica col dolore di aver lasciato l’Oriente in preda alle eresie ed alle più gravi ribellioni. Onde, per prima cosa convocò il Concilio Lateranense, dove espose al venerando consesso la triste situazione e condannò gli eresiarchi principali: il patriarca Sergio, Paolo e Pirro; inoltre mandò un suo nunzio a Costantinopoli.

I Monoteliti anzichè sottomettersi s’accesero maggiormente di rabbia e tosto inviarono a Roma l’eresiarca Olimpio, coll’incarico di uccidere il Pontefice, o almeno di impadronirsi della sua persona.

Non avendo potuto ottenere il loro scopo, ricorsero a mezzi ancor più diabolici, calunniando il santo Pontefice presso l’imperatore, il quale, già infetto di eresia, fu spinto ad assecondare i loro empi disegni. Costante spedì tosto un secondo nucleo di satelliti che con la violenza e con l’inganno riuscirono a legarlo, e nella stessa notte 8 giugno 654, a imbarcarlo per Costantinopoli.

Colà giunto, dopo lungo e dolorissimo viaggio, fra privazioni e crudeli trattamenti, il santo Pontefice provò con irrefragabili ragioni la sua innocenza : ma invano. Costante tentò di costringerlo a sottoscrivere gli editti già condannati, ma il Papa disprezzando la minaccia, l’esilio e la morte stessa, rispose : « Non possumus ». Allora fu dai magistrati vilmente spogliato delle insegne pontificie, incatenato ed esposto all’infamia per le vie della città, mentre i fedeli gemevano. Fu poi messo in prigione per alcuni mesi, finché il 10 marzo del 655 venne deportato definitivamente in Crimea, per attendervi l’esecuzione della sentenza.

Di là il santo Pontefice scriveva : « Vivo fra le angosce dell’esilio, spogliato di tutto, lontano dalla mia sede; sostento il fragile mio corpo con duro pane, ma ciò non mi importa. Prego continuamente Iddio che, per intercessione dei Ss. Pietro e Paolo, tutti rimangano nella vera fede. Confido nella divina misericordia che chiuderà presto la mia mortale carriera… ». Il Signore esaudì la preghiera del santo pontefice, che morì martire del dovere per la difesa della giustizia e della verità, il 16 settembre del 665, dopo 6 anni di dolorosissimo pontificato.

Il suo corpo venne sepolto provvisoriamente in una cappella della B. Vergine, e poco dopo trasferito a Roma.

PRATICA. Ricordiamo che le sofferenze di questa vita, sopportate con pazienza, ci aumentano i meriti.

PREGHIERA. Dio, che ci allieti ogni anno con la solennità del tuo beato Martino Papa e martire, concedi, propizio, che mentre ne celebriamo la festa ci rallegriamo della sua protezione.

MARTIROLOGIO ROMANO. San Martino I, papa e martire, che condannò nel Sinodo Lateranense l’eresia monotelita; quando poi l’esarca Calliopa per ordine dell’imperatore Costante II assalì la Basilica Lateranense, fu strappato dalla sua sede e condotto a Costantinopoli, dove giacque prigioniero sotto strettissima sorveglianza; fu infine relegato nel Chersoneso, dove, dopo circa due anni, giunse alla fine delle sue tribolazioni e alla corona eterna.

Nome: San Martino I
Titolo: Papa e martire
Nascita: 600 circa, Todi
Morte: 16 settembre 665, Chersonea, Crimea
Ricorrenza: 13 aprile
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Gv 3, 7-15 : «In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza ».

Vangelo Gv 3, 7-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

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Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

San Giuseppe Moscati prega per noi – 12 aprile

Settimo figlio di Francesco, magistrato, e di Rosa De Luca, Giuseppe nacque a Benevento il 25 luglio 1880. Ma era cresciuto a Napoli, dove la famiglia si era trasferita essendo il papà stato chiamato a svolgere la sua professione presso la Corte d’appello. Giuseppe era dotato di una vivace intelligenza, ma anche di una intensa sensibilità religiosa e umana che lo portava a essere vicino a chi si trovava nel disagio e nella sofferenza.

Per fare qualcosa di concreto per loro, decise di fare il medico. Con i rimedi offerti dalla medicina avrebbe portato anche il conforto della fede. Studiò con impegno, tanto da riuscire a laurearsi a soli ventidue anni. E con il massimo dei voti. Partecipò ad alcuni importanti concorsi, che vinse, aprendosi la strada per una brillante e comoda carriera. Ottenne l’abilitazione all’insegnamento universitario ed entrò nella prestigiosa Accademia partenopea di medicina e chirurgia. Ma poi mise tutte le sue doti di intelligenza e di cuore al servizio dei malati poveri scegliendo il posto di «medico ordinario» nell’Ospedale degli incurabili, il più antico della città. Ritenne quello il luogo ideale per poter svolgere la missione che s’era prefissato fin da ragazzino, così sintetizzata in un suo scritto: «Negli ospedali la missione dei medici è di collaborare all’infinita misericordia di Dio, aiutando, perdonando, sacrificandosi».

A questo programma ispirò la sua vita di medico, dedicandosi senza risparmio a lenire le sofferenze degli altri, sia nella quotidiana assistenza ai malati in ospedale o andandoli a visitare nei miseri tuguri dei quartieri più poveri della città, sia dedicandosi allo studio e alla ricerca per aggiornare le proprie conoscenze da porre al servizio dei malati.

Come diagnostico era bravissimo. In un tempo in cui gli strumenti di analisi e di ricerca erano quasi inesistenti, l’individuazione della malattia era affidata alla preparazione e all’intuizione del medico. E in questo la capacità di diagnosticare di Moscati sorprendeva gli stessi colleghi che vedevano nelle sue diagnosi qualcosa di miracoloso. Lui con molta umiltà rispondeva che aveva una fonte segreta cui attingeva a piene mani ed era l’eucaristia alla quale si accostava ogni giorno. Dio è l’artefice della vita, era solito dire, noi siamo suoi collaboratori, ma il più lo fa lui.

Una volta era riuscito a diagnosticare l’esatta malattia di un operaio che i suoi colleghi avevano inesorabilmente dichiarato tisico: si trattava invece di un ascesso polmonare che con una cura apposita si risolse. L’operaio, felice per la salute ritrovata, voleva a tutti i costi pagarlo. E Moscati: «Se proprio mi vuoi pagare, vatti a confessare perché è Dio che ti ha salvato».

Con i poveri si comportava sempre così, non accettava compensi. Caso mai, era lui a dare loro qualche soldo. Non faceva il medico per la carriera, e tanto meno per arricchirsi. Come Francesco d’Assisi aveva preso sul serio la povertà evangelica, a essa conformava la propria vita. Viveva da povero e con i poveri spartiva quello che aveva. Assisteva, ad esempio, un anziano signore che viveva in uno dei miserevoli tuguri della città, e non potendo andare a trovarlo ogni giorno, lo aveva invitato a recarsi tutte le mattine a fare colazione (avrebbe pagato lui) al bar di fronte all’entrata dell’ospedale. «Andando al lavoro — gli aveva detto — darò un’occhiata all’interno del caffè, se vi vedo vuol dire che tutto va bene, altrimenti verrò a farvi visita a casa».

La carità gli moltiplicava le forze, lo rendeva disponibile ai suoi malati, ai suoi poveri in qualsiasi ora del giorno e della notte e sempre in prima fila, quando calamità e tragedie colpivano la povera gente. Nel 1906 c’era stata un’eruzione del Vesuvio particolarmente violenta. Molti i danni e le vittime. A Torre del Greco, uno dei paesi più colpiti, l’ospedale dove erano ricoverati gli anziani minacciava di crollare sotto il peso di quintali di cenere: bisognava sgomberare in tutta fretta i reparti. Moscati, allora giovane medico, si era associato ai soccorritori lavorando duramente per trasferire malati e quant’altro era ritenuto utile: venti ore di lavoro, sotto la minaccia della lava che continuava ad avanzare lungo le pendici del vulcano. Avevano trasferito l’ultimo degente quando l’ospedale rovinava fragorosamente sui letti ormai vuoti.

Ma anche quando, nel 1911, Napoli fu colpita da una terribile epidemia di colera, il medico Moscati non risparmiò tempo ed energie: molti poveri se la cavarono, grazie alle sue cure, e altri morirono con il conforto della fede che lui aveva loro portato.

Moscati, medico buono e santo che aveva posto la sua intelligenza e il suo cuore al servizio dei poveri e dei sofferenti, moriva in età ancora giovane, a soli quarantasette anni, il pomeriggio del 12 aprile 1927. La mattina s’era recato come al solito all’ospedale a visitare i malati. Avrebbe dovuto proseguire le visite il pomeriggio, ma i suoi pazienti lo attesero invano. Verso le quindici avvertì un intenso malore. Ritiratosi nella camera, si accasciò sulla poltrona. «Sto male», disse ai fratelli che lo avevano visto impallidire. Furono le ultime parole. Un istante dopo cessava di vivere.

I poveri di Napoli accolsero la notizia con dolore e costernazione. Perdendo lui, perdevano un amico, un fratello. Ma guadagnavano un santo in cielo. E tale lo ritennero da subito.

Paolo VI confermò la loro certezza elevandolo nel 1975 all’onore degli altari con il titolo di beato. Fu proclamato santo nel 1987 da Giovanni Paolo Il, al termine del sinodo dei vescovi «Sulla vocazione e missione dei laici nella chiesa».

MARTIROLOGIO ROMANO. A Napoli, san Giuseppe Moscati, che, medico, mai venne meno al suo servizio di quotidiana e infaticabile opera di assistenza ai malati, per la quale non chiedeva alcun compenso ai più poveri, e nel prendersi cura dei corpi accudiva al tempo stesso con grande amore anche le anime.

Nome: San Giuseppe Moscati
Titolo: Laico
Nascita: 25 luglio 1880, Benevento
Morte: 12 aprile 1927, Napoli
Ricorrenza: 12 aprile
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Gv 3, 1-8 : «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».

Vangelo Gv 3, 1-8
Dal Vangelo secondo Giovanni

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Domenica della Divina Misericordia – 11 aprile

La Festa della Divina Misericordia è la più importante forma di devozione alla Divina Misericordia tra tutte quelle rivelate da Gesù a Santa Faustina.

Gesù parlò per la prima volta di questa solennità a Plock nel 1931 proprio a Santa Faustina, quando le trasmise la sua volontà riguardo all’immagine: « La sera, stando nella mia cella, vidi il Signore Gesù vestito di una veste bianca: una mano alzata per benedire, mentre l’altra toccava sul petto la veste, che ivi leggermente scostata lasciava uscire due grandi raggi, rosso l’uno e l’altro pallido. Muta tenevo gli occhi fissi sul Signore; l’anima mia era presa da timore, ma anche da gioia grande. Dopo un istante, Gesù mi disse: Dipingi un’immagine secondo il modello che vedi, con sotto scritto: Gesù, confido in Te. Desidero che questa immagine venga venerata prima nella vostra cappella, e poi nel mondo intero. Prometto che l’anima, che venererà quest’immagine, non perirà. Prometto pure già su questa terra, ma in particolare nell’ora della morte, la vittoria sui nemici…»(Diario, p. 75).

La richiesta del dipinto che Gesù fece a Faustina fu cosa irrealizzabile date le sue scarse abilità artistiche ma provò ugualmente a dipingere il quadro senza riuscirci e ciò le provocò una sofferenza enorme. Ma il Signore non demorde e incoraggia ulteriormente la Santa nel portare a termine la sua opera: « Ad un tratto vidi il Signore che mi disse: Sappi che, se trascuri di dipingere quell’immagine e tutta l’opera della Misericordia, nel giorno del giudizio risponderai di un gran numero di anime »

Successivamente Faustina si trasferì a Vilnius dove incontrò il suo confessore e direttore spirituale, don Sopocko che incaricò l’artista pittore Eugeniusz Kazimirowski di dipingere questa immagine sacra mantenendo il segreto. Con i dettagli e le correzioni necessarie di Faustina Eugeniusz cercava di ottenere un’immagine fedele di Gesù Misericordioso esattamente come quella della visione, ma il risultato non era soddisfacente come fu chiaramente riportato sul diario della Santa: « Andai subito in cappella e mi sfogai piangendo a dirotto. Dissi al Signore: Chi può dipingerTi bello come sei? – All’improvviso udii queste parole: Non nella bellezza dei colori nè del pennello sta la grandezza di questa immagine, ma nella Mia grazia » L’immagine fu esposta nella finestra della cappella di Porta dell’Aurora a Vilnius, nei giorni 26-28 aprile 1935 e per la prima volta fu venerata pubblicamente durante le solennità di chiusura del Giubileo di 1900-ennio della Redenzione del Mondo.

I due raggi rappresentano il Sangue e l’Acqua. Il raggio pallido rappresenta l’Acqua che giustifica le anime; il raggio rosso rappresenta il Sangue che è la vita delle anime. Entrambi i raggi uscirono dall’intimo della Mia Misericordia, quando sulla croce il Mio Cuore, già in agonia, venne squarciato con la lancia (…). Beato colui che vivrà alla loro ombra, poiché non lo colpirà la giusta mano di Dio

Ma l’immagine attuale fu realizzata successivamente da Adolf Hyla che si propose spontaneamente di dipingere una nuova opera e donarla alla Congregazione delle Suore della Beata Vergine Maria della Misericordia. Giunto a Cracovia Lagiewniki seguendo le indicazioni delle suore nel 1944 realizzò il dipinto e fu collocato nella cappella della Congregazione a Cracovia, dove è venerata fino ad oggi.

Oltre alla commissione dell’opera Gesù ordinò a Faustina come venerare la sua immagine impressa nel dipinto: « Io desidero che vi sia una festa della Misericordia: voglio che l’immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia »

Fu scelta proprio la domenica dopo Pasqua per il forte legame tra il mistero pasquale della Redenzione e il mistero della Divina Misericordia ed è il concetto principale della Novena alla Divina Misericordia che precede la festa e inizia il Venerdì Santo e durante la quale si recita la Coroncina. La festa non è soltanto un giorno di particolare adorazione di Dio nel mistero della misericordia, ma è un tempo di grazia per tutti gli uomini: «Desidero che la Festa della Misericordia sia un rifugio per tutte le anime e specialmente per i poveri peccatori. In quel giorno sono aperte le viscere della mia Misericordia, riverserò tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicineranno alla sorgente della mia Misericordia. L’anima che si accosta alla confessione ed alla Santa Comunione, riceve il perdono totale delle colpe e delle pene. In quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me, anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto (Diario 699). Figlia mia, dì che la Festa della mia Misericordia è uscita dalle mie viscere a conforto del mondo intero » (Diario, p. 440).

Dal diario di Faustina si evince concretamente perché Gesù ha voluto fortemente l’istituzione della festa: « Le anime periscono, nonostante la Mia dolorosa Passione. Concedo loro l’ultima tavola di salvezza, cioè la festa della Mia Misericordia. Se non adoreranno la Mia Misericordia, periranno per sempre » (Diario, p. 561)

L’importanza di questa festa si misura con le straordinarie promesse che Gesù ha legato ad essa: « In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene » (Diario, p. 235)

Per ottenere questi grandi doni bisogna adempiere alle condizioni del Culto alla Divina Misericordia (fiducia nella bontà di Dio e carità attiva verso il prossimo), essere in stato di grazia (dopo la confessione) e ricevere degnamente la santa Comunione: « Nessun’anima troverà giustificazione finché non si rivolgerà con fiducia alla Mia Misericordia e perciò la prima domenica dopo Pasqua deve essere la festa della Misericordia ed i sacerdoti in quel giorno debbono parlare alle anime della Mia grande ed insondabile Misericordia »(Diario, p.378).

PREGHIERA. Dio, Padre Misericordioso, che hai rivelato il Tuo amore nel Figlio Tuo Gesù Cristo, e l’hai riversato su di noi nello Spirito Santo Consolatore, Ti affidiamo oggi i destini del mondo e di ogni uomo. Chinati su di noi peccatori, risana la nostra debolezza, sconfiggi ogni male, fa’ che tutti gli abitanti della terra sperimentino la Tua Misericordia, affinché in Te, Dio Uno e Trino, trovino sempre la fonte della speranza. Eterno Padre, per la dolorosa Passione e la Resurrezione del Tuo Figlio, abbi misericordia di noi e del mondo intero. Amen.

Nome: Domenica della Divina Misericordia
Titolo: Liberazione dalle pene
Ricorrenza: 11 aprile
Tipologia: Commemorazione