Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 14 Aprile 2022

Vangelo Gv 13, 1-15

“Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”.

Non si può entrare nel Triduo Santo senza comprendere con quale amore siamo amati.

“Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: «Signore, tu lavi i piedi a me?». Rispose Gesù: «Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo». Gli disse Simon Pietro: «Non mi laverai mai i piedi!»”.

Ma non si può capire niente di Gesù finchè non gli si permette di amarci nella nostra miseria:

“Gli rispose Gesù: «Se non ti laverò, non avrai parte con me». Gli disse Simon Pietro: «Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!»”.

Quando abbiamo capito che è l’esperienza della Sua misericordia la cosa più importante, allora vorremmo esporre tutto di noi a quell’esperienza.

“Soggiunse Gesù: «Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti». Sapeva infatti chi lo tradiva”.

Ma pur sapendo chi lo tradiva, lavò i piedi anche a lui. Gesù in quest’ultima sera della Sua vita si mette in ginocchio davanti ai suoi discepoli. Si inginocchia davanti a tutti, anche davanti a Giuda.

Ama contro ogni speranza.

Santa Liduina prega per noi – 14 aprile

Vergine e santa nacque a Schiedam nel 1380. A quindici anni Liduina fece una brutta caduta mentre pattinava sul ghiaccio, Liduina restò paralizzata a letto, l’incidente fu all’origine di tutti i mali che la tormentarono fino alla morte.

Una lettera del 12 settembre 1421, che gli scabini del suo borgo natale redassero dopo averla osservata a lungo, attesta fino a che punto, fisicamente parlando, la giovane fosse solo un relitto. Tuttavia, è proprio questo “nientino” che s’impegna sulla via maestra della passione del Salvatore per eguagliare i più grandi mistici della scuola spirituale da lei seguita, come ad esempio Geert Groote e Tommaso da Kempis.

Liduina è la prima persona di cui si abbia notizia a cui furono riscontrati i sintomi della sclerosi multipla. Secondo altri autori presentava i sintomi dell’anoressia

Subito dopo la sua morte nacque spontaneamente un culto popolare: si costruì una cappella, le si fecero dei ritratti, si scrissero molte Vite. Il culto fu approvato nel 1650 e solennemente confermato da Leone XIII nel 1890. Una biografia di L., pubblicata a Parigi nel 1901, capolavoro firmato da JorisKarl Huysmans, ha contribuito a rendere popolare la sua figura.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Schiedam in Geldria, nell’odierna Olanda, santa Liduina, vergine, che per la conversione dei peccatori e la liberazione delle anime sopportò con pazienza per tutta la vita le infermità del corpo, confidando solo in Dio.

Nome: Santa Liduina
Titolo: Vergine
Nascita: 18 marzo 1380, Schiedam
Morte: 14 aprile 1433, Schiedam
Ricorrenza: 14 aprile
Tipologia: Commemorazione
Protettrice: malati cronici, pattinatori su ghiaccio

Vangelo Gv 3, 16-21: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Vangelo Gv 3, 16-21
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Facoltativo e dello stesso periodo della Vita sulla terra del Cristo nostro Signore: 

   Cap. CXV. Guarigione di un bambino colpito dal cavallo di Alessandro. Gesù scacciato dal Tempio.

22 febbraio 1945

 1 L’interno del Tempio. Gesù è coi suoi molto presso al Tempio vero e proprio, ossia al Luogo Santo dove solo entravano i sacerdoti. É un bellissimo cortilone al quale si accede per un atrio e dal quale per un altro, ancora più ricco, si passa all’alta terrazza su cui è il cubo del Santo. 
   É inutile! Vedessi mille volte il Tempio e lo descrivessi duemila, sia per la complessità del luogo, sia per la mia ignoranza dei nomi e per l’incapacità di fare un grafico, sarò sempre incompleta nel descrivere questo pomposo e labirintico luogo… 
   Sembrano in preghiera. Anche molti altri israeliti, tutti uomini, sono lì e pregano ognuno per proprio conto. Scende la sera precoce di una plumbea giornata di novembre. Un vocio, in cui è una stentorea e inquieta voce di uomo che bestemmia anche in latino, si mesce a stridule e acute voci ebraiche. Vi è come il tramestio di una lotta e una acuta voce femminile grida: 
   «Oh! lasciatelo andare! Egli dice che Lui lo salverà». 
I   l raccoglimento del suntuoso cortile è rotto. Molte teste si volgono verso il punto da cui vengono le voci. E si volge anche Giuda Iscariota, che è anche lui coi discepoli. Alto come è vede e dice: 
   «Un soldato romano che lotta per entrare! Viola, ha già violato il luogo sacro! Orrore!». Molti fanno eco. 
   «Lasciatemi passare, cani giudei! Qui è Gesù. Lo so! Voglio Lui! Delle vostre pietre stupide non so che fare. Il bambino muore e Lui lo salva. Via! Ipocrite iene…». 
   Gesù, che quando ha capito che si voleva Lui si è subito diretto verso l’atrio sotto cui si agitava la mischia, giunge ad esso e grida: 
   «Pace e rispetto al luogo e all’ora dell’offerta». 
   «Oh! Gesù! Salve! Sono Alessandro. Fate largo, cani!». 
   E Gesù pacato: «Sì, fate largo. Condurrò altrove il pagano che non sa che è per noi questo luogo». 
   Il cerchio si fende e Gesù raggiunge il soldato, che ha la corazza insanguinata. 
   «Sei ferito? Vieni. Qui non si può stare», e lo conduce per l’altro cortile e oltre. 
   «Non sono ferito io. Un bambino… Il mio cavallo, presso l’Antonia, mi ha preso la mano e l’ha travolto. Gli zoccoli gli hanno aperto la testa. Procolo ha detto: “Nulla da fare!”. Io… non ne ho colpa… ma per me è successo e la madre è là disperata. Ti avevo visto passare… venire qui… Ho detto: “Procolo no, ma Lui sì”. Ho detto: “Donna, vieni. Gesù lo sanerà”. Mi hanno trattenuto quei dementi… e forse il bambino sarà morto». «Dove è?», chiede Gesù. 
   «Sotto quel portico, in grembo alla madre», risponde il milite già visto alla porta dei Pesci. 
   «Andiamo». 
   E Gesù va lesto più ancora, seguito dai suoi e da un codazzo di gente.

 2 Sui gradini che limitano il portico, addossata ad una colonna, è una donna straziata che piange sul figlioletto morente. 
   Il bambino è terreo, con le labbra violacee semiaperte nel rantolo caratteristico dei colpiti al cervello. Una benda lo stringe al capo, rossa di sangue sulla nuca e sulla fronte. 
   «Ha aperta la testa davanti e dietro. Si vede il cervello. E’ tenero il capo a quell’età, e il cavallo era grosso e ferrato da poco», spiega Alessandro. 
   Gesù è presso la donna che non parla neppure più, agonizzante sul figlio che muore. Le pone la mano sul capo.    «Non piangere, donna», dice con tutta la soavità di cui è capace, ossia infinita. «Abbi fede. Dammi il tuo bambino». 
   La donna lo guarda inebetita. La folla impreca ai romani e compiange il morente e la madre. Alessandro è fra il contrasto dell’ira per le accuse ingiuste, la pietà e la speranza. Gesù si siede presso la donna, poi che vede che ella non sa fare più nessun gesto. Si china. Prende fra le sue lunghe mani il piccolo capo ferito, si china più ancora, si piega sulla cerea faccina, alita sulla bocchina rantolante… Qualche attimo. Poi ha un sorriso che appena si vede fra le ciocche di capelli piovute in avanti. Si raddrizza. Il bimbo apre gli occhietti e fa un atto per sedersi. La madre teme sia l’estremo conato e urla tenendolo sul cuore. 
   «Lascialo andare, donna. Bambino, vieni a Me», dice Gesù sempre seduto a fianco della donna e tendendo le braccia con un sorriso. E il bambino si getta sicuro in quelle braccia e piange col pianto non del dolore, ma della paura che torna con il tornare del pensiero. 
   «Non c’è il cavallo, non c’è», rassicura Gesù. «Tutto è passato. Ti fa più male qui?». 
   «No. Ma ho paura, ho paura!». 
   «Lo vedi, donna. Non è che la paura. Ora passa. Portatemi dell’acqua. Il sangue e la benda lo impressionano.    Dammi una delle mele che hai, Giovanni… Prendi, piccino. Mangia. É buona…» 
   Portano dell’acqua, anzi è il soldato Alessandro che la porta nel suo elmo. Gesù fa l’atto di sciogliere la benda. Alessandro e la madre dicono: 
   «No! Risorge… ma la testa è aperta!…». 
   Gesù sorride e scioglie la benda. Uno, due, tre, otto giri. Leva le pezze insanguinate. Dalla metà della fronte alla nuca, a destra, è un solo grumo di sangue ancora molle fra i capellucci del bambino. Gesù intinge una benda e lava. 
   «Ma sotto è la ferita… se levi il grumo tornerà a sanguinare», insiste Alessandro. 
   La madre si tappa gli occhi per non vedere. Gesù lava, lava, lava. Il grumo si scioglie… ecco i capellucci nettati.    Sono umidi, ma sotto non vi è ferita. La fronte anche è sana. Solo ha un segnetto rosso dove la cicatrice è nata.    La gente urla di stupore. La donna osa guardare, e quando vede non si trattiene più. Crolla tutta addosso a Gesù e lo abbraccia insieme al bambino e piange. Gesù sopporta quell’espansione e quella pioggia di lacrime. 
   «Io ti ringrazio, Gesù», dice Alessandro. «Mi dolevo di aver ucciso questo innocente». 
   «Hai avuto bontà e fiducia. Addio, Alessandro. Va’ al tuo servizio». 

 3 Alessandro sta per andarsene quando arrivano come tanti cicloni degli ufficiali del Tempio e dei sacerdoti. «Il Sommo Sacerdote ti intima a mezzo nostro di uscire dal Tempio, Te e il pagano profanatore. Subito. Avete turbato l’offerta dell’incenso. Costui è penetrato dove è luogo di Israele. Non è la prima volta che per causa tua il Tempio è a rumore. Il Sommo Sacerdote, e con lui gli Anziani di turno, ti ordinano di non porre più piede qui dentro. Vai e stai coi tuoi pagani». 
   «Non siamo dei cani neppure noi. Egli lo dice: “Vi è un Dio solo, Creatore dei giudei e dei romani”. Se questa è la sua Casa ed io sono creato da Lui, potrò entrarci io pure», risponde Alessandro, punto dallo sprezzo con cui i sacerdoti dicono «pagani». 
   «Taci, Alessandro. Io parlo», interloquisce Gesù, che dopo avere baciato il piccolo lo ha reso alla madre e si è alzato in piedi. Dice al gruppo che lo scaccia: 
   «Nessuno può vietare ad un fedele, ad un vero israelita che nessuno può provare reo di peccato, di pregare presso il Santo». 
   «Ma di spiegare nel Tempio la Legge, sì. Te ne sei preso il diritto senza averlo e senza chiederlo. Chi sei? Chi ti conosce? Come usurpi un nome e un posto non tuo?».

 4 In coda è Alessandro, rimasto alla disputa. Fuori del recinto, presso la torre Antonia, dice: 
   «Io ti saluto, Maestro. E ti chiedo perdono di esser stato causa di rampogna per Te». 
   «Oh! non te ne dolere! Cercavano l’appiglio. Lo hanno trovato. Se non eri tu, era un altro… Voi, a Roma, fate i giuochi nel Circo con fiere e serpenti, non è vero? Ebbene, ti dico che nessuna belva è più feroce e subdola dell’uomo che vuol uccidere un altro uomo». 
   «Ed io ti dico che al servizio di Cesare ho percorso tutte le regioni di Roma. Ma non ho mai, fra i mille e mille soggetti incontrati, trovato uno più divino di Te. No, che anche i nostri dèi non sono come Te divini! Sono vendicativi, crudeli, rissosi, bugiardi. Tu sei buono. Tu sei veramente un Uomo non uomo. Salute, Maestro». 
   «Addio, Alessandro. Procedi nella Luce». Tutto ha fine. 

   Cap. CXVII. Lazzaro mette a disposizione di Gesù una casetta nella piana dell’Acqua Speciosa.

25 febbraio 1945

 1 Gesù sale per  il ripido sentiero che porta al pianoro su cui è costruita Betania. Non segue questa volta la via maestra, ha preso questa più ripida e più rapida, che viene in direzione da nord ovest verso est e che è molto meno battuta forse perché tanto ripida. Solo viaggiatori frettolosi se ne servono, quelli che hanno delle mandre e che preferiscono non metterle nell’andirivieni della via maestra, quelli che come Gesù, oggi, non vogliono farsi notare da molti. Egli sale avanti, parlando fitto fitto con lo Zelote. Dietro, in gruppo, sono i cugini con Giovanni e Andrea, poi un altro gruppo di Giacomo di Zebedeo con Matteo, Tommaso, Filippo, ultimi Bartolomeo con Pietro e l’Iscariota.
   Ma quando è raggiunto l’altipiano, su cui Betania ride al sole di una serena giornata di novembre, e dal quale, guardando verso oriente, si vede la valle del Giordano e la via che viene da Gerico, Gesù dà ordine a Giovanni di andare ad avvertire Lazzaro del suo arrivo. Mentre Giovanni se ne va a passo rapido, Gesù procede coi suoi lentamente, salutato per ogni dove da persone del luogo.

 2 La prima a venire dalla casa di Lazzaro è una donna che si prostra fino a terra dicendo: “Felice questo giorno per la casa della mia signora. Vieni, Maestro. Ecco Massimino e, già sul cancello, ecco Lazzaro.”
   Anche Massimino accorre. Non so di preciso chi sia costui. Ho l’impressione che sia o un parente meno ricco e ospitato dai figli di Teofilo, oppure un intendente dei loro averi, ma trattato da amico per il suo merito e per il lungo tempo di servizio nella casa. Forse è il figlio di qualche intendente del padre, rimasto poi al posto dello stesso presso i figli di Teofilo. E’ di poco più anziano di Lazzaro, ossia sarà sui trentacinque anni, poco più. 
   “Non speravamo averti così presto” dice.
   “Chiedo ricovero per una notte.”
   “Fosse per sempre ci faresti felici.”
   Sono sulla soglia e Lazzaro bacia e abbraccia Gesù  e saluta i discepoli. Poi, tenendo un braccio intorno alla vita di Gesù, entra con Lui nel giardino e si isola dagli altri chiedendo subito: “A che devo la gioia di averti?”
   “All’odio dei sinedristi.”
   “Ti hanno fatto del male? Ancora?”
   “No. Ma me lo vogliono fare. E non è l’ora. Finché non avrò arato tutta la Palestina e sparso il seme, non devo essere abbattuto.”
   “Devi anche cogliere il tuo raccolto, Maestro buono. E’ giusto che così sia.”
   “Il mio raccolto lo raccoglieranno i miei amici. Essi metteranno la falce dove Io ho seminato.

 3 Lazzaro, Io ho deciso di allontanarmi da Gerusalemme. So che non serve, lo so in anticipo. Ma servirà a potere evangelizzare, se non altro. A Sionne mi è negato anche questo.”
   “Ti avevo mandato a dire da Nicodemo di andare in una delle mie proprietà. Nessuno osa violarle. Potresti fare il tuo ministero senza molestie. Ed, oh! casa mia! La più beata di tutte le mie case per essere santificata dal tuo insegnare, dal tuo respirare in essa! Dammi la gioia di esserti utile, Maestro mio!”
   “Lo vedi che già sto dandotela. Ma a Gerusalemme non posso rimanere. Non sarei molestato Io, ma si farebbe molestia a coloro che venissero. Vado verso Efraim, fra questo luogo e il Giordano. Là evangelizzerò e battezzerò come il Battista.”
   “Nelle campagne di quel luogo ho una casetta. Ma è ricovero degli attrezzi dei lavoratori. Talora vi dormono quando vanno al tempo dei fieni o delle viti. E’ misera. Un semplice tetto su quattro muri. Ma è sempre nelle mie terre. E lo si sa… Il saperlo farà da spauracchio agli sciacalli. Accetta, Signore. Manderò i servi a prepararlo…”
   “Non occorre. Se vi dormono i tuoi contadini, basterà pure a noi.”
   “Non metterò ricchezze, ma completerò il numero dei letti, oh! poveri come Tu vuoi, e farò portare coperte, sedili, anfore e coppe. Dovrete pure mangiare e coprirvi, specie in questi mesi d’inverno. Lasciami fare. Non farò neppure io.

 4 Ecco Marta che viene a noi. Ella ha il genio pratico e solerte di tutte le cure famigliari. E’ fatta per la casa e per essere il conforto dei corpi e degli spiriti che sono nella casa. Vieni, mia dolce e pura albergatrice! Lo vedi? Io pure mi sono rifugiato sotto la sua materna cura, nella sua parte di eredità. Non rimpiango mia madre troppo duramente, così. Marta, Gesù si ritira nella piana dell’Acqua Speciosa. Di specioso non c’è che il fertile suolo; la casa è un ovile.    Ma Egli vuole una casa da poveri. Bisogna fornirla del minimo. Dài ordini, tu, tanto brava!” e Lazzaro bacia la mano bellissima della sorella, che si leva poi ad accarezzarlo con vero amore di madre.
   Poi Marta dice: “Vado subito. Porto con me Massimino e Marcella. Gli uomini del carro aiuteranno a sistemare.    Benedicimi, Maestro, così porterò meco qualcosa di tuo.”
   “Sì, mia dolce albergatrice. Ti chiamerò come Lazzaro. Ti do il mio cuore da portare con te, nel tuo.”

 5 “Lo sai, Maestro, che oggi è per queste campagne Isacco con Elia e gli altri? Mi hanno chiesto pascolo giù nella piana, per essere un poco insieme, ed ho acconsentito. Oggi trasmigrano. Li attendo per il pasto.”
   “Ne ho gioia. Darò loro istruzioni….”
   “Sì. Per poterci tenere a contatto. Qualche volta verrai, però…”
   “Verrò. Ne ho parlato già con Simone. E, poiché non è giusto che Io invada la tua casa con i discepoli, andrò in casa di Simone…”
   “No, Maestro. Perché questo dolore?”
   “Non indagare, Lazzaro. Io so che è bene.”
   “Ma allora…”
   “Ma allora sarò sempre nei tuoi possessi. Ciò che anche Simone ignora Io lo so. Colui che volle acquistare, senza mostrarsi e senza discutere, pur di stare presso a Lazzaro di Betania, era il figlio di Teofilo, il fedele amico di Simone lo Zelote e il grande amico di Gesù di Nazaret. Colui che ha raddoppiata la somma per Giona e non ha inciso sull’avere di Simone per dare gioia allo stesso di potere molto fare per il Maestro povero e per i poveri del Maestro, è uno che ha nome Lazzaro. Colui che è discreto e attento muove, dirige, aiuta tutte le forze buone per darmi aiuto e conforto e protezione, è Lazzaro di Betania. Io so.”
   “Oh! non lo dire! Avevo creduto di fare così bene e in segreto!”
   “E per gli uomini c’è il segreto. Ma non per Me. Io leggo nel cuore.

 6 Vuoi che ti dica il perché la tua già naturale bontà si intinge di perfezione soprannaturale? E’ perché chiedi dono soprannaturale, chiedi la salvezza di un’anima e la santità tua e di Marta. E senti che non basta essere buoni secondo il mondo, ma occorre essere buoni secondo le leggi dello spirito per avere la grazia da Dio. Tu non hai udito le mie parole. Ma Io ho detto: ‘Quando fate il bene fatelo in segreto, e il Padre ve ne darà grande ricompensa.’ Tu lo hai fatto per naturale impulso all’umiltà. Ed in verità ti dico che il Padre prepara a te una ricompensa che tu neppure puoi immaginare.”
   “La redenzione di Maria?!…”
   “Questa e più,  più ancora.”
   “Cosa allora, Maestro, di più impossibile di questo?”
   Gesù lo guarda e sorride. Poi dice col tono di un salmo: “Il Signore regna e con Lui i suoi santi.
   Dei suoi raggi intreccia corona e sul capo dei santi la posa. Onde in eterno essa splenda agli occhi di Dio e dell’universo.
   Di che metallo è codesta? Di quali pietre decorata? Oro, oro purissimo è il cerchio ottenuto col duplice fuoco dell’amore divino e dell’amore dell’uomo, lavorata a cesello dalla volontà che martella, limo, taglia e affina.
Perle con grande dovizia e smeraldi più verdi dell’erba nata ad aprile, turchesi del color del cielo, opali dal color della luna, ametiste come viole pudiche, e diaspri e zaffiri e giacinti e topazi. Questi incastonati per tutta la vita. E poi un cerchio di rubini messi per ultimo lavoro, un gran cerchio sulla fronte gloriosa.
   Perché il benedetto avrà avuto fede e speranza, avrà avuto mitezza e castità, temperanza e fortezza, giustizia e prudenza, misericordia senza misura, e in fondo avrà scritto col sangue il mio Nome e la fede in Me, il suo amore in lui per Me, e il suo nome in Cielo.
   Esultate, o giusti del Signore. L’uomo  ignora e Dio vede. 
   Egli scrive nei libri eterni le mie promesse e le vostre opere, e con esse i vostri nomi, prìncipi del secolo futuro, trionfatori eterni col Cristo del Signore.”
   Lazzaro lo guarda stupito. Poi mormora: “Oh!… io… non sarò capace…”
   “Lo credi?” e Gesù coglie un ramo flessibile di salice spiovente sul sentiero e dice: “Guarda: come la mia mano piega facilmente questo ramo, così l’amore piegherà la tua anima e ne farà corona eterna. E’ l’amore il redentore individuale. Chi ama inizia la sua redenzione. Il completamento di essa lo compierà il Figlio dell’uomo.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!