Atto di Consacrazione al Cuore immacolato di Maria

(Formula indulgenziate, n. 390 e 391)

O pietosissimo Cuore Immacolato di Maria, eccomi con la mia famiglia ai tuoi piedi. Con l’autorità che mi viene da Dio e in soddi-sfazione dei tuoi desideri ripetutamente manifestati a Fatima e alla tua prediletta Suor Lucia, voglio consacrare me, la mia famiglia e tutto quanto mi appartiene al tuo misericordiosissimo Cuore Immacolato. O Maria, Vergine potente e Madre di Misericordia, Regina del Cielo e Rifugio dei peccatori, noi interamente ci consacriamo al tuo Cuore Immacolato. Ti consacriamo tutto il nostro essere e tutta la nostra vita: tutto ciò che abbiamo, tutto ciò che amiamo, tutto ciò che siamo: i nostri corpi, i nostri cuori, le nostre anime. A Te consacria-mo il nostro focolare, la nostra casa, i nostri averi. Noi vogliamo che tutto ciò che é in noi e attorno a noi ti appartenga e desideriamo che partecipi ai benefici delle tue benedizioni materne.

E affinché questa consacrazione sia davvero efficace e duratura, rinnoviamo oggi ai tuoi piedi, o Maria, le promesse del nostro Battesimo e della nostra prima Comunione. Noi ci impegniamo a professare sempre coraggiosamente le verità della Fede; a vivere da veri cattolici, pienamente sottomessi a tutte le direttive del Papa e dei Vescovi in comunione con lui. Noi ci impegniamo a osservare i Comandamenti di Dio e della Chiesa, ed in particolare la santificazio-ne delle feste. Noi ci impegniamo inoltre a far entrare nella nostra vita, per quanto ci sarà possibile, le consolanti pratiche della Religione cri-stiana, specialmente quelle del S. Rosario quotidiano, della santa Confessione e della santa Comunione.

Noi ti promettiamo infine, o gloriosa Madre di Dio e tenera Madre degli uomini, di mettere tutto il nostro cuore al servizio del tuo culto benedetto, al fine di affrettare e di assicurare, per mezzo del Regno del tuo Cuore Immacolato, il Regno del Cuore del tuo adora-bile Figlio nelle anime nostre ed in quelle di tutti gli uomini, nel nostro caro Paese e in tutto l’universo, sulla terra come in Cielo.

O dolce Madre nostra, così come ebbe a dirti il tuo devoto Papa Pio XII, in quest’ora grave della storia umana, ci affidiamo e ci con-sacriamo al tuo Cuore Immacolato.

Ti commuovano tante rovine materiali e morali, tanti dolori, tante angosce, tante anime torturate, tante in pericolo di perdersi eterna-mente!

Regina della pace, prega per noi e da’ al mondo la pace nella veri-tà, nella giustizia, nella carità di Cristo; riconduci all’unico ovile di Gesù, sotto l’unico e vero Pastore, i popoli separati per l’errore e per la discordia; difendi la Santa Chiesa di Dio dai suoi nemici; arresta il diluvio dilagante dell’immoralità; suscita nei fedeli l’amore alla purezza, la pratica della vita cristiana e lo zelo apostolico.

Noi in perpetuo ci consacriamo a te, al tuo Cuore Immacolato, o Madre nostra e Regina del mondo, affinché tutte le genti, pacificate con Dio e tra loro, ti proclamino Beata e con te intonino, da un’estremità all’altra della terra, l’eterno “Magnificat” di gloria, di amore e di rico-noscenza al Cuore di Gesù, nel quale solo possono trovare la Verità, la Vita e la Pace. Amen.

Santi Cristoforo, Antonio e Giovanni pregate per noi – 23 settembre

Il conquistatore spagnolo Hernàn Cortés sbarcò in Messico nel marzo 1519 con circa cinquecento soldati e cento marinai, e si accorse immediatamente che il modo migliore di conquistare il paese era di approfittare della crisi politica interna dell’impero azteco, perciò alla fine, usando sia la forza sia le sue buone relazioni pubbliche, oltre all’aiuto ricevuto della sua donna indios, “la Malinche”, si conquistò degli alleati tra i sudditi, in particolare i tlaxcalani, che odiavano gli oppressori aztechi. Successivamente in quello stesso anno, quando con la sua piccola compagnia spagnola e un migliaio di tlaxcalani circa, Cortés iniziò la conquista sulla grande città fortificata di Tenochtitliín, il re azteco Montezuma, restò in attesa di sviluppi ulteriori. Presto, tuttavia, decise che Cortés era, se non la reincarnazione del dio azteco Quetzalcoatl, almeno il suo messaggero, e ricevendolo pacificamente anche se cautamente, offrì ospitalità agli spagnoli.

Cortés, che a sua volta sapeva di dover attendere un’occasione migliore, gradualmente, con l’aiuto della Malinche, fece in modo di far prigioniero Montezuma, e alla fine conquistò Tenochtitlàn per conto della Spagna, il 13 agosto 1521.

Inevitabilmente alcuni indios, e in particolare i loro capi, consideravano la nuova forma di sottomissione con un certo risentimento, ma molti missionari si comportarono con sufficiente sensibilità, e dopo aver imparato a esprimersi negli idiomi locali, cominciarono le conversioni. Tra i conversi vi fu un capotribù, che donò ai francescani le case necessarie a creare una base per la loro missione, dove i frati aprirono un collegio per i figli delle famiglie di ceto sociale elevato, poiché pensavano di raggiungere i loro genitori, per mezzo loro.

Tra coloro che mandarono i figli a studiare nel collegio vi fu Axotecatl, un potente capotribù di Tlaxcala: il maggiore dei tre, nato nella vicina Atlihuetzia, nel 1514 o 1515, aveva circa dodici anni quando fu battezzato con il nome di Cristoforo (Cristòbal), e cominciò ad accompagnare i missionari durante le visite nei villaggi, tentando allo stesso tempo, ma senza risultato, di suscitare l’interesse del padre nella nuova fede.

Osò anche metterlo in guardia contro l’idolatria e di condannare le orge cui partecipava.

Accorgendosi che il padre lo ignorava, fece a pezzi gli idoli in sua presenza, oltre a frantumare le giare con il vino per i festini. Incoraggiato da una delle mogli, che desiderava l’eredità di Cristoforo per il proprio figlio, Axotecatl percosse il ragazzo fino a farlo diventare un ammasso di ferite e di ossa rotte, e al tentativo della madre di intervenire, picchiò anche lei, poi accorgendosi che Cristoforo era ancora vivo, lo costrinse a stare su un fuoco vivo per alcuni momenti.

Il ragazzo trascorse la notte in agonia, e la mattina seguente chiese di vedere il padre: «Non pensare che ce l’abbia con te,» gli disse «sono anzi molto felice perché ciò che hai fatto mi ha reso un onore maggiore della tua paternità», poi chiese da bere, ma morì nelfrattempo.

Il padre lo fece seppellire sotto il pavimento della casa, ma la notizia della sua azione criminale prestò cominciò a diffondersi. Il corpo, trovato incorrotto quando fu riesumato, fu seppellito questa volta nella chiesa francescana a Tlaxcala (ora cattedrale della diocesi più antica del Messico).

Nome: Santi Cristoforo, Antonio e Giovanni
Titolo: Adolescenti, protomartiri del Messico
Ricorrenza: 23 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Santa Maria de Jesus Sacramentado prega per noi – 30 luglio

Maria nacque a Zapotlanejo, 1’8 settembre 1868. Rimasta orfana all’età di 19 anni, entrò nell’associazione delle Figlie di Maria, distinguendosi per umiltà, silenzio e attenzione nei rapporti fraterni. Dal 1921 fu superiora generale; fu sempre pronta al servizio dei sacerdoti, che riteneva con convinzione vicari di Cristo. Morì il 30 luglio 1959. È stata canonizzata da Giovanni Paolo II il 21 maggio 2000.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nello stesso luogo, beata Maria di Gesù Sacramentato Venegas de la Torre, vergine, che per cinquantaquattro anni si dedicò alla cura degli infermi in un piccolo ospedale per i poveri, nel quale fondò la Congregazione delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù.

Titolo: Fondatrice
Nome: Santa Maria de Jesus Sacramentado
Nome di battesimo: María Venegas de la Torre
Nascita: 8 settembre 1868, Zapotlanejo, Messico
Morte: 30 luglio 1959, Messico
Ricorrenza: 30 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Messaggio del 25 Luglio 2022 rivolto alla Parrocchia attraverso la veggente Marija di Medjugorje

”Cari figli! Sono con voi per guidarvi sulla via della conversione perché, figlioli, con le vostre vite potete avvicinare tante anime a mio Figlio.

Siate testimoni gioiosi della Parola di Dio e dell’amore, con la speranza nel cuore che vince ogni male.

Perdonate coloro che vi fanno del male e camminate sulla via della santità.

Io vi guido a mio Figlio affinché Lui sia per voi via, verità e vita.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

Santa Giuliana Falconieri – 19 giugno

Giuliana nacque a Firenze nel 1270 circa le notizie che la riguardano derivano principalmente dal “Dialogus ad Petrum Cosmae” opera redatta da fra Paolo Attavanti nella seconda metà del quindicesimo secolo:

« La nostra città generò Giuliana, specchio di verginità e memorabile esempio per tutte le donne, tanto che Ella diventò celebre per lo splendore della sua santità. Seguendo infatti i santi insegnamenti, come ci testimonia il suo comportamento, si adornò non di vane doti o dell’approvazione dei mortali per la sua singolare bellezza, ma del merito della sua virtù vera nella quale spesso risiede il decoro e la gloria del successo. Tra l’altro, abbracciando la devozione della «vedovanza» della Santa Madre (Maria Addolorata), ne vestì l’abito della salvezza (che, secondo un’accettabile ipotesi, avrebbe ricevuto ritualmente nel 1305). »

Appena quindicenne Giuliana, sentendo parlare il beato Alessio sul giudizio finale, colpita da quelle parole, decise di dedicarsi tutta alla contemplazione di Dio e alla sequela di Cristo. Prendendo a frequentare la famiglia dei Servi rimase tanto edificata dalla vita evangelica di quei frati, che non cessò di pregare la Regina del cielo e i propri genitori, finché non le fu concesso di vestire l’abito dei Servi.

Assieme ad altre giovani e donne di santa vita, che perseguivano lo stesso proposito di conversione e di carità, si ritrovava nella chiesa dei Servi, a Cafaggio, alla porta della città. Qui esse prendevano parte alla liturgia, cantavano le lodi della Vergine, e si dedicavano a servire i fratelli, specialmente i più poveri. Giuliana era guida alle altre compagne che aspiravano a vivere più da vicino l’esempio di Cristo, sotto la protezione della Vergine. Per questo motivo Giuliana «divenne capostipite delle suore e delle monache serve di santa Maria».

Da vera discepola di Gesù e della sua Madre, rinnegava con forza l’egoismo, lo spirito mondano e il demonio. Ancora giovane di età, superava gli adulti nella virtù. La sua santità ebbe a manifestarsi attraverso molteplici prodigi, in vita e segnatamente nell’ora del suo transito. Ridotta infatti agli estremi, Giuliana non poteva più ingerire alcun cibo, stremata com’era dal cilicio, dalle veglie, dall’orazione e dai digiuni. E poiché bramava di ricevere il Corpo del Signore, chiese con insistenza che le fosse deposto sul petto l’ostia consacrata. Pratica diffusa nel Medioevo a conforto di quegli infermi che desideravano fare la comunione, ma ne erano impediti per la gravità della malattia. Il sacerdote accompagnava questo rito con una preghiera: si invocava Dio perché egli, che aveva infuso l’anima nel corpo, santificasse l’anima del malato mediante il Corpo del Figlio suo. Giuliana tornò alla casa del Padre, colma di gioia per essere stata esaudita nella sua richiesta. Si dice che l’ostia sparisse, quasi fosse penetrata misteriosamente nel corpo di lei. Le sue spoglie sono conservate nella basilica della santissima Annunziata di Firenze. Giuliana fu canonizzata da Clemente XII il 16 giugno 1737.

Nome: Santa Giuliana Falconieri
Titolo: Vergine
Nome di battesimo: Giuliana Falconieri
Nascita: 1270, Firenze
Morte: 19 giugno 1341, Firenze
Ricorrenza: 19 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 15 giugno

Non mi stancherò mai di ripeterlo: il cristianesimo è una questione di stile. Si, è lo stile di chi non fa le cose per essere visto o per sentirsi gratificato dagli applausi degli altri. È lo stile di chi sa che l’amore più bello è quello che non si fa vedere, che agisce silenziosamente, che gode solo di amare e non di sentirsi dire grazie.

“State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli”.

Dovremmo passare dalle logiche dell’apparenza alle logiche dell’appartenenza. Perché chi vuole apparire cerca conferme, chi si sente parte di qualcuno cerca invece solo il bene di questo qualcuno senza altre conferme. Potremmo avere quindi una madre che fa la buona madre nella speranza che i figli se ne accorgano, e che il marito l’apprezzi, oppure potremmo avere una madre che è una buona madre solo per il fatto che cerca il bene e la felicità dei figli e per questo a volte incassa anche le incomprensioni con il marito.

La prima madre è una donna che si sente sola e poco amata e cerca amore e conferme da chi le sta intorno. La seconda madre si sente profondamente amata e sa che quell’amore è più grande anche dell’essere capite fino in fondo e del grazie quasi mai detto dei figli per cui sta dando la vita ogni giorno.

“E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà”.

Così il nascondimento diventa il luogo della libertà e non dell’umiliazione ricercata. Tanto più rifuggiremo di metterci in mostra, di cercare contraccambio, di volere che gli altri se ne accorgano, tanto più significherà che ci sentiamo amati e liberi, e proprio per questo non cercheremo niente di più. Gesù ci parla nel Vangelo non per farci venire i sensi di colpa, ma per saper leggere i sintomi della nostra vita e così capire davvero qual è il nome del nostro problema. Dietro il sintomo dell’apparenza c’è quasi sempre una richiesta di amore e attenzione.

La vita spirituale è risposta a una domanda del genere.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 14 giugno 2022

C’è una cosa che è più difficile dell’amore? È l’amore ai nemici. Gesù lo chiede esplicitamente nel Vangelo di oggi disarmando tutti quei cristiani che credono di rendere culto a Dio impugnando armi di ogni genere. A volte sono le pietre delle parole usate male, a volte solo le armi delle lobby, a volte sono le logiche di esclusione che ci sentiamo autorizzati ad attuare per amore di verità.

La verità è però che Gesù ci chiede di non scendere a patti con il male ma di amare il nemico. E amare è una faccenda seria che non può essere risolta con qualche parola sbiascicata nel chiuso delle nostre sagrestie verso un cielo di cui fondamentalmente non ci fidiamo. L’amore è sempre amore per la verità, ma è anche sempre amore per il volto di chi ho accanto pur se non la pensa come me. Io odio la parola tolleranza perché ha il sapore delle solitudini accostate che tendono a ignorarsi per quieto vivere. Non credo che il Vangelo ci inviti alla tolleranza ma anzi a una grande passione.

La passione per il dialogo. La passione per l’uomo. La passione per il bene che vince i nemici. La passione più grande che è morire per chi si ama. Il vero miracolo non è “dare la vita per i propri amici” ma scoprire gli amici seppelliti sotto la montagna di difetti e distanze di cui vediamo pieni i nostri nemici. “Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?”.

Ma noi siamo chiamati ad essere come il Padre: “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”. Ma come si fa ad essere perfetti nell’amore proprio noi che siamo radicalmente imperfetti? La nostra è una chiama in tensione, cioè siamo chiamati a tendere alla perfezione, pur sperimentando le cadute, i fallimenti, i limiti, le imperfezioni. Finché avremo vita dobbiamo tendere la nostra umanità quando più possibile, esattamente come si tende la corda di un arco. Solo così le frecce vanno lontano. Solo così andremo anche noi lontano.

Molto più lontano di chi invece di tendere ha mollato scegliendo la via più semplice.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 31 Maggio 2022

Vangelo Lc 1, 39-56

La festa della Visitazione è una di quelle feste che ci costringe a metterci in cammino, o perlomeno a metterci in cammino seguendo il racconto del Vangelo. Maria è la protagonista di un gesto talmente tanto rivoluzionario che rimarrà come battistrada per tutti coloro che vogliono prendere sul serio Dio.

Ella davanti all’annuncio dell’angelo non si ritira in una preghiera solipsistica, ma sente l’urgenza di trasformare in carità il dono ricevuto.  Ed è proprio in questo gesto che Maria ritrova la parola per se, cioè la rilettura sapienziale di ciò che le è accaduto. Infatti le parole che Ella pronuncia nel Vangelo di oggi, sono la diretta conseguenza delle parole di Elisabetta. Maria canta la sua storia, la racconta, la condivide. E mentre ci guarda dentro scorge anche i segni del domani e non solo traccia del passato.

Quando guardiamo la nostra vita non dobbiamo soltanto tirare le conclusioni dalle nostre esperienze, dobbiamo avere il coraggio di guardare anche avanti, al futuro, e ricordarci che siamo figli di un Dio che disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti e gratifica gli umili, ricolma di beni chi è affamato e a chi si crede ricco lo lascia a mani vuote. Maria dice tutto questo mentre sa che dovrà fare i conti con le angherie di Erode, le incomprensioni dei vicini, la disoccupazione di Giuseppe, la povertà dell’esilio forzato in Egitto.

Ella sa bene che la cronaca è molto spesso cronaca nera, ma nonostante ciò sa cantare la luce nascosta in essa. L’esperienza della fede non è l’esperienza di vedersi risolti tutti i problemi e per questo sentirsi grati, è invece l’esperienza di saper scorgere un misterioso bene lì dove tutti vedono solo ingiustizia e imprevisti. Ma il dono di questo sguardo viene donato solo a coloro che sanno mettersi in gioco nella carità concreta, così come ha fatto Maria. Anzi è proprio Lei che ci dice in fondo qual è lo scopo vero di ogni carità portare gioia nella vita degli altri.

Chi sa fare questo trova gioia anche per sé.

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo di oggi -17 Maggio 2022

“Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi”.

La pace che viene a portarci Cristo è una pace radicalmente diversa da quella che dà il mondo. È anche radicalmente diversa da quella che possiamo dare noi stessi agli altri. La nostra pace è sempre a scadenza e soprattutto è legata alle circostanze. Non appena però quelle circostanze cambiano anche la pace viene meno. La pace che ci dona Cristo non è legata alle circostanze ma alla Sua stessa persona, e Lui non viene mai meno.

Siamo noi ad essere infedeli, Egli rimane sempre fedele a noi. Il vero segreto della fede è legarsi indissolubilmente alla persona di Gesù, e questo ci manterrà nella pace nonostante tutto quella che accadrà nella nostra vita. Ma non dobbiamo pensare che chi ha questa pace non vive le stesse paure, angosce, precarietà della vita, ma semplicemente tutte le volte che si troverà in balia di queste tempeste gli basterà andare al fondo del suo cuore e ritrovare lì una pace stabile, inattaccabile.

In questo senso noi usiamo la preghiera solo perché vogliamo cambiare le cose difficili, ma il vero scopo della preghiera è recuperare questa pace di fondo che ci dà Cristo e che non viene dal mondo.

“Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore. Avete udito che vi ho detto: “Vado e tornerò da voi”. Se mi amaste, vi rallegrereste che io vado al Padre, perché il Padre è più grande di me. Ve l’ho detto ora, prima che avvenga, perché, quando avverrà, voi crediate”.

L’atto di fede è sempre un atto di disobbedienza alla paura che ci abita e che solitamente ha più argomenti convincenti. Solo quando strappiamo il nostro cuore alla seduzione della paura sperimentiamo la pace vera. E ciò accade quando riusciamo a fidarci e ad affidarci. Il santo sacerdote don Dolindo Ruotolo aveva coniato un’espressione breve e lapidaria a questo proposito: “Gesù, pensaci tu!”.

Quando una simile parola non è detta solo con la testa ma con il cuore, in un istante tutto il nostro animo è inondato di un’inspiegabile pace. 

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 14 Maggio 2022

Vangelo Gv 15, 9-17

La gioia è la più grande conseguenza che nasce dall’esperienza autentica della fede. È la gioia come senso di pienezza, cioè come ciò che riempie la vita e la riscatta da quella sensazione di vuoto che troppo spesso ne fa da padrona. È la gioia che nasce dal sapersi amati in maniera definitiva senza se e senza ma. È la gioia che si manifesta soprattutto nei momenti più difficili e più faticosi. È la gioia di sapere che non siamo mai radicalmente soli, e che “se il nostro cuore ci rimprovera qualcosa, Dio è più grande del nostro cuore”.

È la gioia che viene dal perdono, dal vedersi dare quella seconda opportunità che ci fa rimettere in piedi. È la gioia che cambia lo sguardo dei poveri. È la gioia che ci rende autentici perché riconciliati con la nostra debolezza. È la gioia di vedere crescere dentro di noi il seme del regno di Dio che fa germogliare fiori tra le rocce. Un cristiano senza l’esperienza della gioia non è pienamente cristiano.

Ma la gioia è dono e scelta. È dono perché nasce solo dal dono di sapersi di qualcuno, dal dono di sapersi amati. È scelta perché bisogna scegliere di vivere nella gioia, e di cominciare a pensare e guardare la nostra vita da un altro punto di vista radicalmente diverso. Ha ragione quindi Chiara Amirante, fondatrice di Nuovi Orizzonti, quando scrive:

“Impegnati ad eliminare tutta quella sofferenza che dipende molto di più da te, dalla tua modalità di reagire alle persone e alle situazioni, che da eventi esterni. Vivi al meglio tutta quella sofferenza che non puoi in alcun modo evitare, cerca di darle un senso perché ogni difficoltà, ogni croce, possa trasformarsi in una nuova importante opportunità!”.

In questo senso la gioia cristiana trasborda la semplice emozione di gioia, e diventa un impegno da assumersi ogni giorno. Ma nessuno potrebbe davvero assumersi questo impegno se prima innanzitutto non sperimenta che da Gesù in poi, la gioia non è più una promessa che riguarda il futuro ma un’esperienza da scoprire nel presente