Vangelo Gv 6, 1-15: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!».

Vangelo Gv 6, 1-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù passò all’altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, e lo seguiva una grande folla, perché vedeva i segni che compiva sugli infermi. Gesù salì sul monte e là si pose a sedere con i suoi discepoli. Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei.
Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva quello che stava per compiere. Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo».
Gli disse allora uno dei suoi discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: «C’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci; ma che cos’è questo per tanta gente?». Rispose Gesù: «Fateli sedere». C’era molta erba in quel luogo. Si misero dunque a sedere ed erano circa cinquemila uomini.
Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li diede a quelli che erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, quanto ne volevano. E quando furono saziati, disse ai suoi discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d’orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, diceva: «Questi è davvero il profeta, colui che viene nel mondo!». Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CCLXXI. Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.

   5 settembre 1945

 1 È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie ed i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
   Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua o là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

 2 Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!», dice facendo un sobbalzo.
  Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
  Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro, con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
  «Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
  «Là, Maestro. Dorme…».
  «Lascialo dormire», dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
  «No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
  «Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
  «E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga!».
  «Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
  Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola si vedono meglio le alterazioni dei visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
  «Il bambino ha mangiato prima», spiega Simone.
  «È meglio lasciarlo dormire, allora», dice Gesù.
  E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

 3 «Ditemi ora che avete fatto…», incoraggia Gesù.
  «Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato», dice Pietro.
  «Veramente è stato Simone che lo ha guarito», dice Filippo che non vuole prendersi una gloria non sua.
  «Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivivere insomma, ho avuto quasi paura».
  Gesù gli posa la mano sul capo senza parlare.
  «Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me», dice Tommaso.
  «Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto», dice Matteo.
  «Allora anche Andrea», dice Giacomo d’Alfeo.
  «Invece Simone lo Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”», dice Bartolomeo.
  «Hai detto bene, Simone. E voi due?», chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
  «Oh! io non ho fatto nulla», dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
  «E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?», chiede Pietro.
  «So essere umile anche io», risponde l’Iscariota.
  «E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha proprio ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
  Giuda assente senza parlare.
  «Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
  «Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
  «Non puoi averne un’altra?».
  «Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
  «Va’. E, appena fatto, torna. E non dare molte spiegazioni».
  I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli. 

 4 Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
  «Maestro, vai lontano?».
  «Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure.
  Conto andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
  «Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
  «Forse tutta la settimana e non oltre».
  «Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
  «Quale, Mannaen?».
  «Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…».
  «No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dall’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
  Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli aposto li che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
  «È fatto, Maestro. Possiamo andare».
  «Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
  Pietro si curva per svegliare Marziam.
  «No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io», dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma poi si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù. 

 5 Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori: Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
  «Dove, Maestro?», chiede Pietro.
  «A Tarichea. Dove sbarcammo[72] dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
  Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
  «A chi parli, Simone?», chiede Bartolomeo.
  «Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa?
  Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
  «Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
  Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
  «Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
  «Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
  «Va bene. Faremo così…».
  «Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
  «Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
  «Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
  Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.

   Cap. CCLXXIII. La prima moltiplicazione dei pani.

   7 settembre 1945 

 1 Il luogo è sempre quello. Soltanto il sole non viene più da oriente, filtrando fra la boscaglia che costeggia il Giordano in questo luogo selvaggio presso lo sbocco delle acque del lago nel letto del fiume, ma viene, ugualmente obliquo, da ponente, mentre cala in una gloria di rosso, sciabolando il cielo coi suoi ultimi raggi. E sotto questo fogliame denso già la luce è molto temperata, tendente alle tinte pacate della sera. Gli uccelli, inebbriati dal sole avuto per tutto il giorno, dal cibo abbondante carpito alle limitrofe campagne, si danno ad un baccanale di trilli e canti, sulle vette delle piante. La sera cala con le pompe finali del giorno.
  Gli apostoli lo fanno notare a Gesù, che sempre ammaestra a seconda degli argomenti a Lui esposti. «Maestro, la sera si avvicina. Il luogo è deserto, lontano da case e paesi, ombroso e umido. Fra poco qui non sarà più possibile vederci, né camminare. La luna alza tardi. Licenzia il popolo affinché vada a Tarichea o ai villaggi del Giordano a comprarsi cibo e cercare alloggio».
  «Non occorre che se ne vadano. Date loro da mangiare. Possono dormire qui come dormirono attendendomi».
  «Non ci sono rimasti che cinque pani e due pesci, Maestro, lo sai».
  «Portatemeli».
  «Andrea, va’ a cercare il bambino. È lui di guardia alla borsa. Poco fa era col figlio dello scriba e due altri, intento a farsi coroncine di fiori giocando ai re».

 2 Andrea va sollecito. E anche Giovanni e Filippo si danno a cercare Marziam fra la folla che sempre si sposta. Lo trovano quasi contemporaneamente, con la sua borsa dei viveri a tracolla, un grande tralcio di vitalba girato intorno alla testa e una cintura di vitalba dalla quale pende a far da spada un nocchio: l’elsa è il nocchio[77] vero e proprio, la lama il gambo a canna dello stesso. Con lui sono altri sette, ugualmente bardati, e fanno corteggio al figlio dello scriba, un esilissimo fanciullo dall’occhio molto serio di chi ha tanto sofferto, che più infiorato degli altri fa da re.
  «Vieni, Marziam. Il Maestro ti vuole!».
  Marziam lascia in asso gli amici e va lesto senza neppure levarsi le sue… insegne floreali. Ma lo seguono anche gli altri e presto Gesù è circondato da una coroncina di fanciulli inghirlandati di fiori. Egli li carezza, mentre Filippo leva dalla borsa un fagotto con del pane, nel centro del quale sono avvolti due grossi pesci: due chili di pesce, poco più. Insufficienti anche ai diciassette, anzi diciotto con Mannaen, della comitiva di Gesù.

 3 Portano questi cibi al Maestro.
  «Va bene. Ora portatemi dei cesti. Diciassette, quanti voi siete. Marziam darà il cibo ai bambini…». Gesù guarda fisso lo scriba, che gli è sempre stato vicino, e chiede: «Vuoi dare anche te il cibo agli affamati?».
  «Mi piacerebbe. Ma ne sono privo io pure».
  «Dài del mio. Te lo concedo».
  «Ma… intendi sfamare un cinquemila uomini, oltre le donne e i bambini, con quei due pesci e quei cinque pani?».
  «Senza dubbio. Non essere incredulo. Chi crede vedrà compiersi il miracolo».
  «Oh! allora voglio proprio distribuire il cibo anche io!».
  «Fàtti dare allora una cesta tu pure».
  Tornano gli apostoli con ceste e cestelli larghi e bassi, oppure fondi e stretti. E torna lo scriba con un paniere piuttosto piccolo. Si capisce che la sua fede o la sua incredulità gli hanno fatto scegliere quello come il massimo.
  «Va bene. Mettete tutto qui davanti. E fate sedere le turbe con ordine, a linee regolari per quanto si può».
  E, mentre ciò avviene, Gesù alza il pane con sopra i pesci, li offre, prega e benedice. Lo scriba non lo abbandona un istante con l’occhio. Poi Gesù spezza i cinque pani in diciotto parti e spezza i due pesci in diciotto parti, e mette il pezzo di pesce — un pezzettino ben meschino — in ogni cesta, e fa a bocconi i diciotto pezzi di pane: ogni pezzo in molti bocconi. Molti relativamente: una ventina, non di più. Ogni pezzo spezzettato, in un cesto, col pesce.
  «E ora prendete e date a sazietà. Andate. 

 4 Vai, Marziam, a darlo ai tuoi compagni».
  «Uh! come è peso!», dice Marziam alzando il suo cesto e andando subito dai suoi piccoli amici, camminando come chi porta un peso.
  Gli apostoli, i discepoli, Mannaen, lo scriba, lo guardano andare, incerti… Poi prendono i cesti e, scuotendo il capo, dicono l’un coll’altro: «Il bambino scherza! Non pesano più di prima». E lo scriba guarda anche dentro e vi mette la mano a frugare nel fondo, perché ormai non c’è più molta luce, lì nel folto dove Gesù è, mentre più là, nella radura, vi è ancora una buona luce.
  Ma però, nonostante la constatazione, vanno verso la gente e iniziano a distribuire. E dànno, dànno, dànno. E ogni tanto si volgono stupiti, sempre più lontani, verso Gesù che a braccia conserte, addossato ad un albero, sorride finemente del loro stupore.
  La distribuzione è lunga e abbondante… e l’unico che non mostra stupore è Marziam, che ride felice di empire di pane e pesce il grembo di tanti bambini poverelli. È anche il primo a tornare da Gesù dicendo: «Ho dato tanto, tanto, tanto!… perché io so cosa è la fame…», e alza il visetto non più macilento, che nel ricordo però impallidisce sbarrando gli occhi… Ma Gesù lo carezza e il sorriso torna luminoso su quel volto fanciullo che, fidente, si appoggia contro Gesù, suo Maestro e Protettore.
  Pian piano tornano gli apostoli e i discepoli, ammutoliti dallo stupore. Ultimo lo scriba che non dice nulla. Ma fa un atto che è più di un discorso. Si inginocchia e bacia l’orlo della veste di Gesù.
  «Prendete la vostra parte e datemene un poco. Mangiamo il cibo di Dio».
  Mangiano infatti pane e pesce, ognuno secondo il bisogno…

 5 Intanto la gente satolla si scambia le sue impressioni. Anche chi è intorno a Gesù osa parlare osservando Marziam che, finendo il suo pesce, scherza con altri fanciulli.
  «Maestro», chiede lo scriba, «perché il bambino ha sentito subito il peso e noi no? Io ho anche frugato dentro. Erano sempre quei pochi bocconi di pane e quell’unico di pesce. Ho cominciato a sentire il peso andando verso la folla. Ma, se avesse pesato per quanto ne ho dato, ci sarebbe voluto una coppia di muli a portarlo, non già il cesto ma un carro, pieno, stivato di cibo. In principio andavo parco… poi mi sono messo a dare, dare, e per non essere ingiusto sono ripassato dai primi dando di nuovo, perché ai primi avevo dato poco. Eppure è bastato».
  «Io pure ho sentito farsi pesante il cesto mentre mi avviavo, ed ho dato subito molto perché ho capito che avevi fatto miracolo», dice Giovanni.
  «Io invece mi sono fermato e mi sono seduto per rovesciare in grembo il peso e vedere… E ho visto pani e pani. Allora sono andato», dice Mannaen.
  «Io li ho anche contati, perché non volevo fare brutte figure. Erano cinquanta piccoli pani. Ho detto: “Li darò a cinquanta persone e poi tornerò indietro”. E ho contato. Ma arrivato a cinquanta il peso era uguale ancora. Ho guardato dentro. Erano ancora tanti. Sono andato avanti e ne ho dati a centinaia. Ma non diminuivano mai», dice Bartolomeo.
  «Io, lo confesso, non credevo e ho preso in mano i bocconi di pane e quel briciolo di pesce, e li guardavo dicendo: “E a chi servono? Gesù ha voluto scherzare!…” e li guardavo, li guardavo stando nascosto dietro un albero, sperando e disperando di vederli crescere. Ma rimanevano sempre gli stessi. Stavo per tornare indietro quando è passato Matteo dicendo: “Hai visto come sono belli?”. “Cosa?” ho detto. “Ma i pani e i pesci!…”. “Sei matto? Io vedo sempre pezzi di pane”. “Va’ a distribuirli con fede e vedrai”. Ho gettato dentro nel cestone quei pochi bocconi e sono andato a riluttanza… E poi… Perdonami, Gesù, perché sono un peccatore!», dice Tommaso.
  «No. Sei uno spirito del mondo. Ragioni da mondo».
  «Anche io, Signore, allora. Tanto che pensavo dare una moneta insieme al pane pensando: “Mangeranno altrove”», dice l’Iscariota. «Speravo aiutarti a fare una figura migliore. Che sono io, dunque? Come Tommaso o più ancora?».
  «Molto più di Tommaso tu sei “mondo”».
  «Ma pure ho pensato di fare elemosina per essere Cielo! Erano denari miei privati…».
  «Elemosina a te stesso, al tuo orgoglio. Ed elemosina a Dio.
  Quest’ultimo non ne ha bisogno, e l’elemosina al tuo orgoglio è colpa, non merito».
  Giuda china il capo e tace.
  «Io invece pensavo che quel boccone di pesce, che quei bocconi di pane li avrei dovuti sbriciolare per farli bastare. Ma non dubitavo che sarebbero stati sufficienti, né per numero né per nutrimento. Una goccia d’acqua data da Te può esser più nutriente di un banchetto», dice Simone Zelote.
  «E voi che pensavate?», chiede Pietro ai cugini di Gesù.
  «Noi ricordavamo Cana… e non dubitavamo», dice serio Giuda.
  «E tu, Giacomo, fratello mio, questo solo pensavi?».
  «No. Pensavo fosse un sacramento, come Tu hai detto[78] a me… È così o sbaglio?».
  Gesù sorride: «È e non è. Alla verità della potenza del nutrimento in una goccia d’acqua, detta da Simone, va unito il tuo pensiero per una figura lontana. Ma ancora non è un sacramento».

 6 Lo scriba conserva una crosta fra le dita.
  «Che ne fai?».
  «Un… ricordo».
  «La tengo anche io. La metterò al collo di Marziam in una piccola borsa», dice Pietro.
  «Io la porterò alla madre nostra», dice Giovanni.
  «E noi? Abbiamo mangiato tutto…», dicono mortificati gli altri.
  «Alzatevi. Girate di nuovo coi cesti, raccogliete gli avanzi, separate fra la gente i più poveri e portatemeli qui insieme ai cesti, e poi andate tutti, voi discepoli miei, alle barche, e prendete il largo andando alla pianura di Genezaret. Io congederò la gente dopo aver beneficato i più poveri e poi vi raggiungerò».
  Gli apostoli ubbidiscono… e tornano con dodici panieri colmi di avanzi e seguiti da una trentina di mendicanti o persone molto misere.
  «Va bene. Andate pure».
  Gli apostoli e quelli di Giovanni salutano Mannaen e se ne vanno con un poco di riluttanza a lasciare Gesù. Ma ubbidiscono. Mannaen attende a lasciare Gesù quando la folla, alle ultime luci del giorno, o si avvia ai villaggi o si cerca un posto per dormire fra gli alti e asciutti falaschi. Poi si accomiata. Prima di lui se ne è andato lo scriba, uno dei primi, anzi, perché, insieme al figlioletto, si è avviato in coda agli apostoli.

 7 Partiti tutti, oppure caduti nel sonno, Gesù si alza, benedice i dormenti e a passo lento si porta verso il lago, verso la penisoletta di Tarichea, sopraelevata di qualche metro sul lago come fosse un frastaglio di colle spinto nel lago. E, raggiunto che ne ha le basi, senza entrare in città, ma costeggiandola, sale il monticello e si mette su uno scrimolo, in preghiera davanti all’azzurro e al candore della notte serena e lunare.

 8 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del 4 marzo 1944: Gesù che cammina sulle acque».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 3, 31-36 : “Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna”.

Vangelo Gv 3, 31-36 
Dal Vangelo secondo Giovanni

Chi viene dall’alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla secondo la terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza. Chi ne accetta la testimonianza, conferma che Dio è veritiero. Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito.
Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l’ira di Dio rimane su di lui.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXXVII. I discorsi dell’Acqua Speciosa: Non tentare il Signore Iddio tuo. Testimonianza del Battista.

11 marzo 1945

 1 Una serenissima giornata d’inverno. Sole e vento e un cielo sereno, unito, senza neppure il più piccolo ricordo di una nuvola. Le prime ore del giorno. Ancora un leggero velo di brina, meglio di rugiada quasi gelata, fa da spolvero diamantifero sul suolo e sulle erbe. 
   Vengono verso la casa tre uomini, che camminano sicuri come chi sa dove si reca. Infine vedono Giovanni che traversa la corte carico di secchi d’acqua attinta al pozzo. E lo chiamano. 
   Giovanni si volge, posa le brocche e dice: “Voi qui? Benvenuti! Il Maestro vi vedrà con gioia. Venite, venite, prima che sia qui la gente. Ora ne viene tanta!…”. 
   Sono i tre pastori discepoli di Giovanni Battista. Simeone, Giovanni e Mattia seguono contenti l’apostolo. 
   “Maestro, ci sono tre amici. Guarda” dice Giovanni entrando nella cucina dove arde allegro un grande fuoco di stipe, spandendo un odore grato di bosco e di alloro bruciato. 
   “Oh! La pace a voi, amici miei! Come mai venite a Me? Sventura al Battista?” 
   “No, Maestro. Con sua licenza siamo venuti. Egli ti saluta e dice di raccomandare a Dio il leone inseguito dagli arcieri. Non si illude sulla sua sorte. Ma per ora è libero. Ed è felice perché sa che Tu hai molti fedeli. Anche quelli che prima erano suoi. Maestro… noi pure ardiamo di esserlo, ma… non vogliamo abbandonarlo ora che è perseguitato. Comprendici…” dice Simeone. 
   “Vi benedico perché lo fate, anzi. Il Battista merita ogni rispetto e amore.” 
   “Sì. Dici bene. E’ grande il Battista, e sempre più giganteggia. Sembra l’agave che, quando è presso a morire, fa il grande candelabro del settiforme fiore e fiammeggia con esso e profuma. Così lui. E sempre dice: ‘Solo vorrei vederlo una volta ancora…’ Vedere Te. Noi abbiamo raccolto questo suo grido d’anima e, senza dirglielo, te lo portiamo. Egli è ‘il Penitente’, ‘l’Astinente’ è. E si macera anche dal desiderio santo di vederti e udirti. Io sono Tobia, or Mattia. Ma penso che non diverso da lui doveva essere l’arcangelo dato a Tobiolo. Tutto in lui è saggezza. 
   “Non è detto che Io non lo veda…

 2 Ma per questo solo siete venuti? E’ penoso l’andare in questa stagione. Oggi è sereno. Ma fino a tre giorni sono, quanta pioggia sulle vie!” 
   “Non per questo solo. Giorni fa è venuto Doras, il fariseo, a purificarsi. Ma il Battista gli ha negato il rito, dicendo:    ‘Non giunge l’acqua dove è sì grande crosta di peccato. Uno solo ti può perdonare. Il Messia”. E lui allora ha detto: ‘Andrò da Lui. Voglio guarire e penso che questo male sia il suo maleficio’. Allora il Battista lo ha cacciato come avrebbe cacciato Satana. E lui nell’andarsene ha incontrato Giovanni, che egli conosceva da quando andava da Giona di cui era un poco parente, e gli ha detto: ‘Io vado. Tutti vanno. Vi è stato anche Mannanen e fin le… (io dico meretrici, ma lui ha detto un più sozzo nome) vi vanno. L’Acqua Speciosa è piena di illusi. Ora se mi guarisce e mi ritira l’anatema dalle terre, scavate come macchine di guerra da eserciti di talpe e vermi e grillovampiri che scavano i grani e rodono le radici degli alberi da frutto e delle vigne, e non c’è nulla che li vinca, gli diverrò amico.    Ma altrimenti… guai a Lui!’. Noi gli abbiamo risposto: ‘E con questo cuore vai là?’. E lui ha risposto: ‘E chi ci crede al satanasso? Del resto, come fa casa con le meretrici può fare alleanza anche con me’. Noi abbiamo voluto venire a dirtelo, perché Tu ti possa regolare con Doras’.” 
   “E’ già tutto fatto.” 
   “Già fatto? Ah! è vero! Lui ha carri e cavalli, noi le gambe soltanto. Quando è venuto?” 
   “Ieri.” 
   “E che è avvenuto?” 
   “Questo: che, se preferite occuparvi di Doras, potete andare nella sua casa di Gerusalemme e fare cordoglio per lui. Stanno preparandolo per il sepolcro.” 
   “Morto?!!” 
   “Morto. Qui. Ma non parliamo di lui.” 
   “Sì, Maestro…

 3 Solo… dicci una cosa. E’ vero quanto ha detto di Mannanen?” 
   “Sì. Ve ne dispiace?” 
   “Oh! ma è la nostra gioia! Tanto abbiamo parlato di Te a lui in Macheronte! E che vuole l’apostolo se non che sia amato il Maestro? Ciò vuole Giovanni, e noi con lui.” 
   “Bene parli, Mattia. La sapienza è con te.” 
   “E… Io non lo credo. Ma ora l’abbiamo incontrata… Fu anche da noi a cercare Te avanti i Tabernacoli. E le dicemmo: ‘Ciò che tu cerchi non è qui. Ma presto sarà a Gerusalemme per i Tabernacoli’. Così dicemmo perché il Battista ci disse: ‘Vedete quella peccatrice: è una crosta di lordura, ma dentro ha una fiamma che va alimentata. Diverrà così forte che eromperà dalla crosta e tutto arderà. Cadrà la lordura e resterà solo la fiamma’. Così ha detto. Ma… è vero che dorme qui, come sono venuti a dirci due scribi potenti?” 
   “No. E’ in una delle stalle del fattore, ad oltre uno stadio da qui.” 
   “Lingue d’inferno! Hai udito? E loro!…” 
   “Lasciateli dire. I buoni non credono alle loro parole, ma alle mie opere.” 
   “Lo dice anche Giovanni,

 4 Giorni sono alcuni discepoli suoi gli hanno detto, noi presenti: ‘Rabbi, Colui che era con te di là dal Giordano e al quale tu rendesti testimonianza, ora battezza. E tutti vanno da Lui. Resterai senza fedeli’. E Giovanni ha risposto: 
   ‘Beato il mio orecchio che ode questo annuncio! Voi non sapete che gioia mi date. Sappiate che l’uomo non può prendere nulla se non gli è dato dal Cielo. Voi potete testimoniare che io ho detto: ‘Io non sono il Cristo, ma colui che sono stato mandato innanzi a Lui a preparargli la via’. L’uomo giusto non si appropria di un nome non suo e, anche se l’uomo vuol dargli lode col dirgli: ‘Sei quello’, ossia: il Santo, egli dice. ‘No. Per la verità, no. Io sono il suo servo’. E ne ha ugualmente grande gioia perché dice: ‘Ecco, un poco io gli somiglio se l’uomo può scambiarmi per Lui’. E che vuole colui che ama se non assomigliare all’amato suo? Solo la sposa gode dello sposo. Il paraninfo non potrebbe goderne, perché sarebbe immoralità e furto. Ma l’amico dello sposo, che gli sta vicino e ne ascolta la parola piena di gioia nuziale, prova una gioia tanto viva da essere quasi simile a quella che fa beata la vergine a lui sposata, che in essa pregusta il miele delle parole nuziali. Questa è la mia  gioia, ed è completa. Che fa ancora l’amico dello sposo, dopo avere per mesi servito l’amico ed avergli scortato alla casa la sposa? Si ritira e scompare. Così io! Così io! Uno solo resta, lo sposo con la sposa: l’Uomo con l’Umanità. Oh! profonda parola! Bisogna che Egli cresca e che io diminuisca. Chi viene dal Cielo è al di spora di tutti. Patriarchi e Profeti scompaiono al suo venire, perché Egli è pari al sole che tutto illumina e di così viva luce che gli astri e pianeti, spenti di luce, se ne vestono, e quelli che spenti non sono si annullano nel suo supremo splendore. Così avviene perché Egli viene dal Cielo, mentre i Patriarchi e i Profeti andranno al Cielo, ma dal Cielo non vengono. Chi viene dal Cielo è superiore a tutti. E annunzia ciò che ha visto e udito. Ma nessuno può accettare la sua testimonianza fra quelli che al Cielo non tendono e perciò rinnegano Iddio. Chi accetta la testimonianza di Colui che dal Cielo è disceso suggella, con questo suo credere, la sua fede che Dio è vero e non fola senza verità, e sente la Verità perché ha l’animo volenteroso di lei. Perché Colui che Dio ha inviato, pronunzia parole di Dio, perché dio gli dà lo Spirito con plenitudine, e lo Spirito dice: ‘Eccomi. Prendimi, ché voglio essere teco, Tu delizia del nostro amore’. Perché il Padre ama il Figlio senza misura e tutte le cose ha messo in sua mano. Perciò chi crede nel Figlio ha la vita eterna. Ma chi rifiuta di credere nel Figlio, non vedrà la Vita. E la collera di Dio resterà in lui e su lui.” 
   “Così ha detto. Me le sono stampate nella mente per dirtele, queste parole” dice Mattia. 
   “Ed Io te ne do lode e grazie.

 5 Il Profeta ultimo di Israele non è Colui che dal Cielo discende, ma, per essere stato beneficato dei divini doni nel ventre della madre – voi non lo sapete ma Io ve lo dico – è colui che più al Cielo si accosta.” 
   “Che? Che? Oh! racconta! Egli dice di sé: ‘Io sono il peccatore’. ” I tre pastori sono ansiosi di sapere e anche i discepoli sono lo stesso vogliosi di sapere. 
   “Quando la Madre mi portava, di Me-Dio essendo incinta, andò a servire, perché è l’Umile e Amorosa, la madre di Giovanni, cugina a Lei per madre, e gravida in vecchiezza. Già il Battista aveva la sua anima, perché era al settimo mese della sua formazione. E il germe dell’uomo, chiuso nel seno materno, trabalzò di gioia nel sentire la voce della Sposa di Dio. Precursore anche in questo, egli precorse i redenti, perché da seno a seno si effuse la Grazia, e penetrò, e cadde la Colpa d’origine dall’anima del fanciullo. Onde Io dico che sulla terra tre sono i possessori della Sapienza così come in Cielo tre sono coloro che Sapienza sono: il Verbo, La Madre, il Precursore sulla terra; il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo in Cielo.” 
   “Il nostro animo è ricolmo di stupore… Quasi come quando ci fu detto: ‘E’ nato il Messia…’ Perché Tu eri l’abisso della misericordia e questo nostro Giovanni è l’abisso della umiltà.” 
   “E mia Madre è l’abisso della purezza, della grazia, della carità, dell’ubbidienza, dell’umiltà, di ogni altra virtù che è di Dio e che Dio infonde ai suoi santi.” 

 6 “Maestro” dice Giacomo di Zebedeo “Vi è molta gente.” 
   “Andiamo. Venite voi pure.” 
   La gente è moltissima. 
   “La pace sia con voi” dice Gesù. E’ sorridente come poche volte. La gente bisbiglia e lo accenna. Vi è molta curiosità. 
   “ ‘Non tentare il Signore Iddio tuo’ è detto. 
   Troppe volte, si dimentica questo comando. Si tenta Dio quando si vuole imporre a Lui la nostra volontà. Si tenta Dio quando imprudentemente si agisce contro le regole della Legge, che è santa e perfetta e nel suo lato spirituale, il principale, si occupa e preoccupa anche di quella carne che Dio ha creata. Si tenta Dio quando, perdonati da Lui, si torna a peccare. Si tenta Dio quando, beneficati da Lui, si volge a danno il beneficio ricevuto perché fosse un bene per noi e ci richiamasse a Dio. 
   Dio non si irride e non si deride. Troppe volte questo avviene. Ieri avete visto quale castigo attende i derisori di Dio. L’eterno Iddio, tutto pietoso a chi si pente, è all’opposto tutto severità coll’impenitente che per nessuna cosa modifica se stesso. 
   Voi venite a Me per udire la parola di Dio. Vi venite per avere il miracolo. Vi venite per avere perdono. E il Padre vi dà parola, miracolo e perdono. Ed Io non rimpiango il Cielo, perché vi posso dare miracolo e perdono e posso farvi conoscere Iddio. 

 7 L’uomo è caduto ieri fulminato, come Nadab ed Abiu, dal fuoco divino del corruccio. Ma astenetevi dal giudicarlo.    Solo quanto è avvenuto, miracolo nuovo, vi faccia meditare sul come occorre agire per avere amico Iddio. Egli voleva l’acqua penitenziale ma senza spirito soprannaturale. Lo voleva per spirito umano. Come una pratica magica che lo sanasse dal morbo e lo liberasse dalla iattura. Il corpo e il raccolto. Ecco i suoi fini. Non la povera anima sua.    Quella non aveva valore per lui. Il valore per lui era la vita e il denaro. 
   Io dico: ‘Il cuore è là dove è il tesoro, e il tesoro è là dove è il cuore’. Perciò il tesoro è nel cuore.
   Egli nel cuore aveva la sete di vivere e di avere molto denaro. Come averlo? Con qualunque modo. Anche col delitto. E allora chiedere il battesimo non era irridere e tentare Iddio? Sarebbe bastato il pentimento sincero per la sua lunga vita di peccato a dargli santa morte e anche quanto era giusto avere sulla terra. Ma egli era l’impenitente. Non avendo mai amato nessuno fuorché se  stesso, giunse a non amare neppure se stesso. Perchè l’odio uccide anche l’animale amore egoista dell’uomo a se stesso. Il pianto del pentimento sincero doveva essere la sua acqua lustrale. E così sia per tutti voi che udite. Perché senza peccato non vi è alcuno, e tutti perciò avete bisogno di quest’acqua. Essa scende, spremuta dal cuore, e lava, riverginizza chi è profanato, rialza chi è prostrato, rinvigorisce chi è dissanguato dalla colpa. 
   Quell’uomo si preoccupava solo della miseria della terra. Ma un’unica miseria deve rendere pensoso l’uomo. Ed è l’eterna miseria del perdere Iddio. Quell’uomo non mancava di fare lo offerte rituali. Ma non sapeva offrire a Dio sacrificio di spirito, ossia allontanarsi dal peccato, fare penitenza, chiedere con gli atti il perdono. Le ipocrite offerte fatte con ricchezze di male acquisto sono simili a inviti a Dio perché si faccia complice nel male operare dell’uomo. Può mai questo avvenire? Non è irridere Dio osare questo? Dio rigetta da Sé colui che dice: ‘Ecco sacrifico’ ma arde di continuare il suo peccato. Giova forse il digiuno corporale quando l’anima non digiuna dal peccato? 
   La morte dell’uomo qui avvenuta vi faccia meditare sulle condizioni necessarie per essere bene amati da Dio. Ora nel suo ricco palazzo i parenti e le piangenti fanno cordoglio sulla salma che fra poco verrà portata al sepolcro. Oh! vero cordoglio e vera salma! Non più che una salma! Non altro che uno sconfortato cordoglio. Perché l’anima già morta, sarà per sempre separata da coloro che amò per parentela e affinità d’idee. Anche se un’uguale dimora li unirà in sempiterno, l’odio che là regna li farà divisi. E allora la morte è ‘vera’ separazione. Meglio sarebbe che, in luogo degli altri, fosse l’uomo che fa pianto su se stesso, quando ha l’anima uccisa. E per quel pianto di contrito e umile cuore, rendere all’anima la vita col perdono di Dio. 
   Andate. Senza odio o commenti. Senza altro che umiltà. Come Io che, senza odio, ma per giustizia ho parlato di lui. La vita e la morte sono maestre per ben vivere e ben morire, e per conquistare  la Vita senza morte. La pace sia con voi.” 

 8 Non vi sono malati né miracoli, e Pietro dice ai tre discepoli del Battista: “ Me ne spiace per voi.” 
   “Oh! non occorre. Noi crediamo senza vedere. Abbiamo avuto il miracolo del suo natale a farci credenti E ora abbiamo la sua  parola a confermare la nostra fede. Non chiediamo che di servirla sino al Cielo come Giona, fratello nostro.” 
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 3, 16-21: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna».

Vangelo Gv 3, 16-21
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.
E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità viene verso la luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Facoltativo e dello stesso periodo della Vita sulla terra del Cristo nostro Signore: 

   Cap. CXV. Guarigione di un bambino colpito dal cavallo di Alessandro. Gesù scacciato dal Tempio.

22 febbraio 1945

 1 L’interno del Tempio. Gesù è coi suoi molto presso al Tempio vero e proprio, ossia al Luogo Santo dove solo entravano i sacerdoti. É un bellissimo cortilone al quale si accede per un atrio e dal quale per un altro, ancora più ricco, si passa all’alta terrazza su cui è il cubo del Santo. 
   É inutile! Vedessi mille volte il Tempio e lo descrivessi duemila, sia per la complessità del luogo, sia per la mia ignoranza dei nomi e per l’incapacità di fare un grafico, sarò sempre incompleta nel descrivere questo pomposo e labirintico luogo… 
   Sembrano in preghiera. Anche molti altri israeliti, tutti uomini, sono lì e pregano ognuno per proprio conto. Scende la sera precoce di una plumbea giornata di novembre. Un vocio, in cui è una stentorea e inquieta voce di uomo che bestemmia anche in latino, si mesce a stridule e acute voci ebraiche. Vi è come il tramestio di una lotta e una acuta voce femminile grida: 
   «Oh! lasciatelo andare! Egli dice che Lui lo salverà». 
I   l raccoglimento del suntuoso cortile è rotto. Molte teste si volgono verso il punto da cui vengono le voci. E si volge anche Giuda Iscariota, che è anche lui coi discepoli. Alto come è vede e dice: 
   «Un soldato romano che lotta per entrare! Viola, ha già violato il luogo sacro! Orrore!». Molti fanno eco. 
   «Lasciatemi passare, cani giudei! Qui è Gesù. Lo so! Voglio Lui! Delle vostre pietre stupide non so che fare. Il bambino muore e Lui lo salva. Via! Ipocrite iene…». 
   Gesù, che quando ha capito che si voleva Lui si è subito diretto verso l’atrio sotto cui si agitava la mischia, giunge ad esso e grida: 
   «Pace e rispetto al luogo e all’ora dell’offerta». 
   «Oh! Gesù! Salve! Sono Alessandro. Fate largo, cani!». 
   E Gesù pacato: «Sì, fate largo. Condurrò altrove il pagano che non sa che è per noi questo luogo». 
   Il cerchio si fende e Gesù raggiunge il soldato, che ha la corazza insanguinata. 
   «Sei ferito? Vieni. Qui non si può stare», e lo conduce per l’altro cortile e oltre. 
   «Non sono ferito io. Un bambino… Il mio cavallo, presso l’Antonia, mi ha preso la mano e l’ha travolto. Gli zoccoli gli hanno aperto la testa. Procolo ha detto: “Nulla da fare!”. Io… non ne ho colpa… ma per me è successo e la madre è là disperata. Ti avevo visto passare… venire qui… Ho detto: “Procolo no, ma Lui sì”. Ho detto: “Donna, vieni. Gesù lo sanerà”. Mi hanno trattenuto quei dementi… e forse il bambino sarà morto». «Dove è?», chiede Gesù. 
   «Sotto quel portico, in grembo alla madre», risponde il milite già visto alla porta dei Pesci. 
   «Andiamo». 
   E Gesù va lesto più ancora, seguito dai suoi e da un codazzo di gente.

 2 Sui gradini che limitano il portico, addossata ad una colonna, è una donna straziata che piange sul figlioletto morente. 
   Il bambino è terreo, con le labbra violacee semiaperte nel rantolo caratteristico dei colpiti al cervello. Una benda lo stringe al capo, rossa di sangue sulla nuca e sulla fronte. 
   «Ha aperta la testa davanti e dietro. Si vede il cervello. E’ tenero il capo a quell’età, e il cavallo era grosso e ferrato da poco», spiega Alessandro. 
   Gesù è presso la donna che non parla neppure più, agonizzante sul figlio che muore. Le pone la mano sul capo.    «Non piangere, donna», dice con tutta la soavità di cui è capace, ossia infinita. «Abbi fede. Dammi il tuo bambino». 
   La donna lo guarda inebetita. La folla impreca ai romani e compiange il morente e la madre. Alessandro è fra il contrasto dell’ira per le accuse ingiuste, la pietà e la speranza. Gesù si siede presso la donna, poi che vede che ella non sa fare più nessun gesto. Si china. Prende fra le sue lunghe mani il piccolo capo ferito, si china più ancora, si piega sulla cerea faccina, alita sulla bocchina rantolante… Qualche attimo. Poi ha un sorriso che appena si vede fra le ciocche di capelli piovute in avanti. Si raddrizza. Il bimbo apre gli occhietti e fa un atto per sedersi. La madre teme sia l’estremo conato e urla tenendolo sul cuore. 
   «Lascialo andare, donna. Bambino, vieni a Me», dice Gesù sempre seduto a fianco della donna e tendendo le braccia con un sorriso. E il bambino si getta sicuro in quelle braccia e piange col pianto non del dolore, ma della paura che torna con il tornare del pensiero. 
   «Non c’è il cavallo, non c’è», rassicura Gesù. «Tutto è passato. Ti fa più male qui?». 
   «No. Ma ho paura, ho paura!». 
   «Lo vedi, donna. Non è che la paura. Ora passa. Portatemi dell’acqua. Il sangue e la benda lo impressionano.    Dammi una delle mele che hai, Giovanni… Prendi, piccino. Mangia. É buona…» 
   Portano dell’acqua, anzi è il soldato Alessandro che la porta nel suo elmo. Gesù fa l’atto di sciogliere la benda. Alessandro e la madre dicono: 
   «No! Risorge… ma la testa è aperta!…». 
   Gesù sorride e scioglie la benda. Uno, due, tre, otto giri. Leva le pezze insanguinate. Dalla metà della fronte alla nuca, a destra, è un solo grumo di sangue ancora molle fra i capellucci del bambino. Gesù intinge una benda e lava. 
   «Ma sotto è la ferita… se levi il grumo tornerà a sanguinare», insiste Alessandro. 
   La madre si tappa gli occhi per non vedere. Gesù lava, lava, lava. Il grumo si scioglie… ecco i capellucci nettati.    Sono umidi, ma sotto non vi è ferita. La fronte anche è sana. Solo ha un segnetto rosso dove la cicatrice è nata.    La gente urla di stupore. La donna osa guardare, e quando vede non si trattiene più. Crolla tutta addosso a Gesù e lo abbraccia insieme al bambino e piange. Gesù sopporta quell’espansione e quella pioggia di lacrime. 
   «Io ti ringrazio, Gesù», dice Alessandro. «Mi dolevo di aver ucciso questo innocente». 
   «Hai avuto bontà e fiducia. Addio, Alessandro. Va’ al tuo servizio». 

 3 Alessandro sta per andarsene quando arrivano come tanti cicloni degli ufficiali del Tempio e dei sacerdoti. «Il Sommo Sacerdote ti intima a mezzo nostro di uscire dal Tempio, Te e il pagano profanatore. Subito. Avete turbato l’offerta dell’incenso. Costui è penetrato dove è luogo di Israele. Non è la prima volta che per causa tua il Tempio è a rumore. Il Sommo Sacerdote, e con lui gli Anziani di turno, ti ordinano di non porre più piede qui dentro. Vai e stai coi tuoi pagani». 
   «Non siamo dei cani neppure noi. Egli lo dice: “Vi è un Dio solo, Creatore dei giudei e dei romani”. Se questa è la sua Casa ed io sono creato da Lui, potrò entrarci io pure», risponde Alessandro, punto dallo sprezzo con cui i sacerdoti dicono «pagani». 
   «Taci, Alessandro. Io parlo», interloquisce Gesù, che dopo avere baciato il piccolo lo ha reso alla madre e si è alzato in piedi. Dice al gruppo che lo scaccia: 
   «Nessuno può vietare ad un fedele, ad un vero israelita che nessuno può provare reo di peccato, di pregare presso il Santo». 
   «Ma di spiegare nel Tempio la Legge, sì. Te ne sei preso il diritto senza averlo e senza chiederlo. Chi sei? Chi ti conosce? Come usurpi un nome e un posto non tuo?».

 4 In coda è Alessandro, rimasto alla disputa. Fuori del recinto, presso la torre Antonia, dice: 
   «Io ti saluto, Maestro. E ti chiedo perdono di esser stato causa di rampogna per Te». 
   «Oh! non te ne dolere! Cercavano l’appiglio. Lo hanno trovato. Se non eri tu, era un altro… Voi, a Roma, fate i giuochi nel Circo con fiere e serpenti, non è vero? Ebbene, ti dico che nessuna belva è più feroce e subdola dell’uomo che vuol uccidere un altro uomo». 
   «Ed io ti dico che al servizio di Cesare ho percorso tutte le regioni di Roma. Ma non ho mai, fra i mille e mille soggetti incontrati, trovato uno più divino di Te. No, che anche i nostri dèi non sono come Te divini! Sono vendicativi, crudeli, rissosi, bugiardi. Tu sei buono. Tu sei veramente un Uomo non uomo. Salute, Maestro». 
   «Addio, Alessandro. Procedi nella Luce». Tutto ha fine. 

   Cap. CXVII. Lazzaro mette a disposizione di Gesù una casetta nella piana dell’Acqua Speciosa.

25 febbraio 1945

 1 Gesù sale per  il ripido sentiero che porta al pianoro su cui è costruita Betania. Non segue questa volta la via maestra, ha preso questa più ripida e più rapida, che viene in direzione da nord ovest verso est e che è molto meno battuta forse perché tanto ripida. Solo viaggiatori frettolosi se ne servono, quelli che hanno delle mandre e che preferiscono non metterle nell’andirivieni della via maestra, quelli che come Gesù, oggi, non vogliono farsi notare da molti. Egli sale avanti, parlando fitto fitto con lo Zelote. Dietro, in gruppo, sono i cugini con Giovanni e Andrea, poi un altro gruppo di Giacomo di Zebedeo con Matteo, Tommaso, Filippo, ultimi Bartolomeo con Pietro e l’Iscariota.
   Ma quando è raggiunto l’altipiano, su cui Betania ride al sole di una serena giornata di novembre, e dal quale, guardando verso oriente, si vede la valle del Giordano e la via che viene da Gerico, Gesù dà ordine a Giovanni di andare ad avvertire Lazzaro del suo arrivo. Mentre Giovanni se ne va a passo rapido, Gesù procede coi suoi lentamente, salutato per ogni dove da persone del luogo.

 2 La prima a venire dalla casa di Lazzaro è una donna che si prostra fino a terra dicendo: “Felice questo giorno per la casa della mia signora. Vieni, Maestro. Ecco Massimino e, già sul cancello, ecco Lazzaro.”
   Anche Massimino accorre. Non so di preciso chi sia costui. Ho l’impressione che sia o un parente meno ricco e ospitato dai figli di Teofilo, oppure un intendente dei loro averi, ma trattato da amico per il suo merito e per il lungo tempo di servizio nella casa. Forse è il figlio di qualche intendente del padre, rimasto poi al posto dello stesso presso i figli di Teofilo. E’ di poco più anziano di Lazzaro, ossia sarà sui trentacinque anni, poco più. 
   “Non speravamo averti così presto” dice.
   “Chiedo ricovero per una notte.”
   “Fosse per sempre ci faresti felici.”
   Sono sulla soglia e Lazzaro bacia e abbraccia Gesù  e saluta i discepoli. Poi, tenendo un braccio intorno alla vita di Gesù, entra con Lui nel giardino e si isola dagli altri chiedendo subito: “A che devo la gioia di averti?”
   “All’odio dei sinedristi.”
   “Ti hanno fatto del male? Ancora?”
   “No. Ma me lo vogliono fare. E non è l’ora. Finché non avrò arato tutta la Palestina e sparso il seme, non devo essere abbattuto.”
   “Devi anche cogliere il tuo raccolto, Maestro buono. E’ giusto che così sia.”
   “Il mio raccolto lo raccoglieranno i miei amici. Essi metteranno la falce dove Io ho seminato.

 3 Lazzaro, Io ho deciso di allontanarmi da Gerusalemme. So che non serve, lo so in anticipo. Ma servirà a potere evangelizzare, se non altro. A Sionne mi è negato anche questo.”
   “Ti avevo mandato a dire da Nicodemo di andare in una delle mie proprietà. Nessuno osa violarle. Potresti fare il tuo ministero senza molestie. Ed, oh! casa mia! La più beata di tutte le mie case per essere santificata dal tuo insegnare, dal tuo respirare in essa! Dammi la gioia di esserti utile, Maestro mio!”
   “Lo vedi che già sto dandotela. Ma a Gerusalemme non posso rimanere. Non sarei molestato Io, ma si farebbe molestia a coloro che venissero. Vado verso Efraim, fra questo luogo e il Giordano. Là evangelizzerò e battezzerò come il Battista.”
   “Nelle campagne di quel luogo ho una casetta. Ma è ricovero degli attrezzi dei lavoratori. Talora vi dormono quando vanno al tempo dei fieni o delle viti. E’ misera. Un semplice tetto su quattro muri. Ma è sempre nelle mie terre. E lo si sa… Il saperlo farà da spauracchio agli sciacalli. Accetta, Signore. Manderò i servi a prepararlo…”
   “Non occorre. Se vi dormono i tuoi contadini, basterà pure a noi.”
   “Non metterò ricchezze, ma completerò il numero dei letti, oh! poveri come Tu vuoi, e farò portare coperte, sedili, anfore e coppe. Dovrete pure mangiare e coprirvi, specie in questi mesi d’inverno. Lasciami fare. Non farò neppure io.

 4 Ecco Marta che viene a noi. Ella ha il genio pratico e solerte di tutte le cure famigliari. E’ fatta per la casa e per essere il conforto dei corpi e degli spiriti che sono nella casa. Vieni, mia dolce e pura albergatrice! Lo vedi? Io pure mi sono rifugiato sotto la sua materna cura, nella sua parte di eredità. Non rimpiango mia madre troppo duramente, così. Marta, Gesù si ritira nella piana dell’Acqua Speciosa. Di specioso non c’è che il fertile suolo; la casa è un ovile.    Ma Egli vuole una casa da poveri. Bisogna fornirla del minimo. Dài ordini, tu, tanto brava!” e Lazzaro bacia la mano bellissima della sorella, che si leva poi ad accarezzarlo con vero amore di madre.
   Poi Marta dice: “Vado subito. Porto con me Massimino e Marcella. Gli uomini del carro aiuteranno a sistemare.    Benedicimi, Maestro, così porterò meco qualcosa di tuo.”
   “Sì, mia dolce albergatrice. Ti chiamerò come Lazzaro. Ti do il mio cuore da portare con te, nel tuo.”

 5 “Lo sai, Maestro, che oggi è per queste campagne Isacco con Elia e gli altri? Mi hanno chiesto pascolo giù nella piana, per essere un poco insieme, ed ho acconsentito. Oggi trasmigrano. Li attendo per il pasto.”
   “Ne ho gioia. Darò loro istruzioni….”
   “Sì. Per poterci tenere a contatto. Qualche volta verrai, però…”
   “Verrò. Ne ho parlato già con Simone. E, poiché non è giusto che Io invada la tua casa con i discepoli, andrò in casa di Simone…”
   “No, Maestro. Perché questo dolore?”
   “Non indagare, Lazzaro. Io so che è bene.”
   “Ma allora…”
   “Ma allora sarò sempre nei tuoi possessi. Ciò che anche Simone ignora Io lo so. Colui che volle acquistare, senza mostrarsi e senza discutere, pur di stare presso a Lazzaro di Betania, era il figlio di Teofilo, il fedele amico di Simone lo Zelote e il grande amico di Gesù di Nazaret. Colui che ha raddoppiata la somma per Giona e non ha inciso sull’avere di Simone per dare gioia allo stesso di potere molto fare per il Maestro povero e per i poveri del Maestro, è uno che ha nome Lazzaro. Colui che è discreto e attento muove, dirige, aiuta tutte le forze buone per darmi aiuto e conforto e protezione, è Lazzaro di Betania. Io so.”
   “Oh! non lo dire! Avevo creduto di fare così bene e in segreto!”
   “E per gli uomini c’è il segreto. Ma non per Me. Io leggo nel cuore.

 6 Vuoi che ti dica il perché la tua già naturale bontà si intinge di perfezione soprannaturale? E’ perché chiedi dono soprannaturale, chiedi la salvezza di un’anima e la santità tua e di Marta. E senti che non basta essere buoni secondo il mondo, ma occorre essere buoni secondo le leggi dello spirito per avere la grazia da Dio. Tu non hai udito le mie parole. Ma Io ho detto: ‘Quando fate il bene fatelo in segreto, e il Padre ve ne darà grande ricompensa.’ Tu lo hai fatto per naturale impulso all’umiltà. Ed in verità ti dico che il Padre prepara a te una ricompensa che tu neppure puoi immaginare.”
   “La redenzione di Maria?!…”
   “Questa e più,  più ancora.”
   “Cosa allora, Maestro, di più impossibile di questo?”
   Gesù lo guarda e sorride. Poi dice col tono di un salmo: “Il Signore regna e con Lui i suoi santi.
   Dei suoi raggi intreccia corona e sul capo dei santi la posa. Onde in eterno essa splenda agli occhi di Dio e dell’universo.
   Di che metallo è codesta? Di quali pietre decorata? Oro, oro purissimo è il cerchio ottenuto col duplice fuoco dell’amore divino e dell’amore dell’uomo, lavorata a cesello dalla volontà che martella, limo, taglia e affina.
Perle con grande dovizia e smeraldi più verdi dell’erba nata ad aprile, turchesi del color del cielo, opali dal color della luna, ametiste come viole pudiche, e diaspri e zaffiri e giacinti e topazi. Questi incastonati per tutta la vita. E poi un cerchio di rubini messi per ultimo lavoro, un gran cerchio sulla fronte gloriosa.
   Perché il benedetto avrà avuto fede e speranza, avrà avuto mitezza e castità, temperanza e fortezza, giustizia e prudenza, misericordia senza misura, e in fondo avrà scritto col sangue il mio Nome e la fede in Me, il suo amore in lui per Me, e il suo nome in Cielo.
   Esultate, o giusti del Signore. L’uomo  ignora e Dio vede. 
   Egli scrive nei libri eterni le mie promesse e le vostre opere, e con esse i vostri nomi, prìncipi del secolo futuro, trionfatori eterni col Cristo del Signore.”
   Lazzaro lo guarda stupito. Poi mormora: “Oh!… io… non sarò capace…”
   “Lo credi?” e Gesù coglie un ramo flessibile di salice spiovente sul sentiero e dice: “Guarda: come la mia mano piega facilmente questo ramo, così l’amore piegherà la tua anima e ne farà corona eterna. E’ l’amore il redentore individuale. Chi ama inizia la sua redenzione. Il completamento di essa lo compierà il Figlio dell’uomo.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 3, 7-15 : «In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza ».

Vangelo Gv 3, 7-15
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».
Gli replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro di Israele e non conosci queste cose? In verità, in verità io ti dico: noi parliamo di ciò che sappiamo e testimoniamo ciò che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

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Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 3, 1-8 : «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».

Vangelo Gv 3, 1-8
Dal Vangelo secondo Giovanni

Vi era tra i farisei un uomo di nome Nicodèmo, uno dei capi dei Giudei. Costui andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei venuto da Dio come maestro; nessuno infatti può compiere questi segni che tu compi, se Dio non è con lui». Gli rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio».
Gli disse Nicodèmo: «Come può nascere un uomo quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». Rispose Gesù: «In verità, in verità io ti dico, se uno non nasce da acqua e Spirito, non può entrare nel regno di Dio. Quello che è nato dalla carne è carne, e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CXVI. Al Getsemani con Gesù, i discepoli parlano dei pagani e della “velata”. Il colloquio con Nicodemo.

24 febbraio 1945 

 1 Gesù è nella cucina della casetta dell’Uliveto, a cena fra i suoi discepoli. Parlano dei fatti della giornata, che però non è quella precedentemente descritta, perché sento parlare di altri avvenimenti, fra cui la guarigione di un lebbroso avvenuta presso i sepolcri lungo la via di Betfage.
“Vi era anche un centurione romano ad osservare” dice Bartolomeo. E aggiunge: “Mi ha chiesto, dall’alto del suo cavallo: ‘L’uomo che tu segui, fa spesso simili cose?’ e alla mia risposta affermativa ha esclamato: ‘Allora è più grande di Esculapio e diventerà più ricco di Creso’. Ho risposto: ‘Sarà sempre povero secondo il mondo, perché non riceve ma dà e non vuole che anime da portare al Dio vero’. Il centurione mi ha guardato stupito e poi ha spronato il cavallo andandosene al galoppo.”
“C’era anche una donna romana nella sua lettiga. Non poteva essere che una donna. Aveva le tende calate, ma occhieggiava da esse. Ho visto” dice Tommaso.
“Sì. Era presso la curva alta della via. Aveva dato ordine di fermarsi quando il lebbroso aveva gridato: ‘Figlio di Davide, abbi pietà di me!’ Allora aveva una tenda scostata ed io ho visto che ti ha guardato con una lente preziosa, e poi ha riso ironica. Ma quando ha visto che Tu, solo col comando, lo hai guarito! Allora mi ha chiamato e mi ha chiesto: ‘Ma è quello che dicono il vero Messia?’ Ho risposto di sì e lei mi ha detto: ‘E tu sei con Lui?’ E poi ha chiesto: ‘E’ proprio buono?’” dice Giovanni.
“Allora l’hai vista! Come era?” chiedono Pietro e Giuda.
“Mah! una donna…”
“Che scoperta!” ride Pietro. E l’Iscariota incalza: “Ma era bella, giovane, ricca?”
“Si. Mi pare fosse giovane e anche bella. Ma guardavo più verso Gesù che verso lei. Volevo vedere se il Maestro si metteva di nuovo per via…”
“Sciocco!” mormora fra i denti l’Iscariota.
“Perché?” lo difende Giacomo di Zebedeo. “Mio fratello non era un ganimde in cerca d’avventure. Ha risposto per educazione. Ma non ha mancato alla sua prima qualità”
“Quale?” chiede l’Iscariota.
“Quella del discepolo che ha per suo unico amore il Maestro.”
Giuda china il capo stizzito.

 2 “E poi… non è molto bene farsi vedere parlare coi romani” dice Filippo. “Già ci accusano di essere galilei e perciò meno ‘puri’ dei giudei. E ciò per nascita. Poi ci accusano di sostare sovente a Tiberiade, luogo di ritrovo dei gentili, dei romani, fenici, siri… E poi… oh! di quante cose ci accusano!…”
   “Sei buono, Filippo, e metti un velo sulla durezza della verità che dici. Ma essa è, senza il velo, questa: di quante cose mi accusano” dice Gesù, che fino allora ha taciuto.
   “In fondo non hanno del tutto torto. Troppi contatti coi pagani” dice l’Iscariota.
   “Credi tu pagani solo coloro che non hanno legge mosaica? ” chiede Gesù.
   “E quali altri allora?”
   “Giuda!… Puoi giurare sul nostro Dio di non avere paganesimo in cuore? E puoi giurare non lo abbiano gli israeliti più in vista?”
   “Ma, Maestro… degli altri non so… ma io… io di me posso giurare.”
   “Cosa è per te, secondo il tuo pensiero, il paganesimo?” chiede Gesù ancora.
   “Ma è il seguire una religione non vera, adorare gli dèi” ribatte veemente Giuda.
   “I quali sono?”
   “Gli dèi di Grecia e Roma, quelli dell’Egitto… insomma gli dèi dai mille nomi e dalle inesistenti persone che secondo i pagani empiono i loro Olimpi.”
   “Nessun altro Dio esiste? Solo questi olimpici?”
   “E quale altro? Non sono fin troppi?”
   “Troppi. Sì, troppi. Ma ve ne sono altri e ai loro altari vengono bruciati incensi da ogni uomo, anche dai sacerdoti, scribi, rabbi, farisei, sadducei, erodiani, tutte persone d’Israele, non è vero? Non solo, ma ne  vengono bruciati anche dai miei discepoli.”
   “Ah! questo poi no!” dicono tutti.
   “No? Amici… Chi non ha fra voi un culto o più culti segreti? Uno ha la bellezza e l’eleganza. L’altro l’orgoglio del suo sapere. Un altro incensa la speranza di divenire un grande, umanamente. Un altro ancora adora la femmina. Un altro il denaro… Un altro si prostra davanti al suo sapere… e così via. In verità vi dico che non vi è uomo che non sia intinto di idolatria. Come allora sdegnare i pagani che per sventura, quando, pur essendo col Dio vero, pagani si resta per volontà?”
   “Ma siamo uomini, Maestro” esclamano in molti.
   “E’ vero. Ma allora… abbiate carità per tutti, perché Io sono venuto per tutti e voi non siete da più di Me.”
   “Ma intanto ci fanno accuse e la tua missione viene inceppata.”
   “Andrà avanti lo stesso.”

 3 “A proposito di donne” dice Pietro che, forse perché è seduto presso Gesù, è talmente in sollucchero che è buono buono. “E’ un poco di giorni, e anzi da quando hai parlato a Betania la prima volta dopo il ritorno in Giudea, che una donna, tutta velata, ci segue sempre. Non so come faccia a sapere le nostre intenzioni. So che, o in fondo alle ultime file di popolo che ascolta se Tu parli, o dietro al popolo che ti segue se cammini, o anche dietro a noi se andiamo ad annunciarti per le campagne, c’è quasi sempre. A Betania la prima volta mi ha sussurrato dietro al velo: ‘Quell’uomo che dici parlerà è proprio Gesù di Nazaret?’. Le ho risposto di sì, e la sera era dietro il tronco di un albero per udirti. Poi l’avevo persa di vista. Ma ora, qui a Gerusalemme, l’ho già vista due o tre volte. Oggi le ho chiesto: ‘Hai bisogno di Lui? Sei malata? Vuoi l’obolo?’ Ha risposto sempre di no col capo, perché non parla mai con nessuno.”
   “A me ha detto un giorno: ‘Dove abita Gesù?’ e le ho detto: ‘Al Get Semnì’ ” dice Giovanni.
   “Bravo stolto! Non dovevi. Dovevi dirle: ‘Scopriti. Fatti conoscere e te lo dirò’ ” dice l’Iscariota iracondo.
   “Ma quando mai chiediamo queste cose?!” esclama Giovanni semplice e innocente.
   “Gli altri si vedono. Questa sta tutta velata. O è una spia o è una lebbrosa. Non deve seguirci e sapere. Se è spia è per fare del male. Forse è pagata dal Sinedrio per questo…”
   “Ah! usa questi sistemi il Sinedrio?” chiede Pietro. “Ne sei sicuro?”
   “Sicurissimo. Sono stato del Tempio e so.”
   “Bella roba! A questa si adatta come un cappuccio la ragione detta dal Maestro poco fa…” commenta Pietro.
   “Quale ragione?” Giuda è già rosso di stizza.
   “Quella che anche fra i sacerdoti ci sono dei pagani.”
   “Che c’entra questo col pagare una spia?”
   “C’entra, c’entra! E’ già dentro anzi! Perché pagano? Per abbattere il Messia e trionfare loro. Dunque si mettono sull’altare loro con le loro sudicie anime sotto le vesti monde” risponde, con il suo buon giudizio popolano Pietro.
   “Bene, insomma” abbrevia Giuda. “Quella donna è un pericolo per noi o per la folla. Per la folla se è lebbrosa, per noi se spia.”
   “Cioè: per Lui, se mai” ribatte Pietro.
   “Ma cadendo Lui si cade anche noi…”
   “Ah! Ah!” ride Pietro e termina: “E se si cade, l’idolo va in pezzi e ci si rimette tempo, stima e forse la pelle, e allora, ah! ah!… e allora è meglio cercare che non cada o… scansarsi in tempo, vero? Io, invece, guarda. Lo abbraccio più stretto. Se cade, abbattuto dai traditori di Dio, voglio cadere con Lui” e Pietro abbraccia stretto, con le sue corte braccia, Gesù.
   “Non credevo di aver fatto tanto male, Maestro” dice tutto triste Giovanni che è di fronte a Gesù. “Picchiami, maltrattami, ma salvati. Guai se fossi io la causa del tuo morire!… Oh! non me ne darei pace. Sento che il volto mi si scaverebbe per il continuo pianto e se ne brucerebbe la vista. Che ho fatto mai! Ha ragione Giuda: sono uno stolto!”
   “No, Giovanni. Non lo sei e hai fatto bene. Lasciatela venire. Sempre. E rispettate il suo velo. Può essere messo a difesa di una lotta fra il peccato e la sete di redimersi. Sapete voi che ferite si incidono su un essere quando questa lotta avviene? Sapete che pianto e che rossore? Tu hai detto, Giovanni, caro figlio dal cuore di fanciullo buono, che il tuo volto si scaverebbe per il continuo pianto se mi fossi causa di  male. Ma sappi che, quando una coscienza  ridestata incomincia a rodere una carne, che fu peccato, per distruggerla e trionfare con lo spirito, essa deve per forza consumare tutto quanto fu attrazione della carne, e la creatura invecchia, appassisce sotto la vampa di questo fuoco trivellatore. Solo dopo, a redenzione completa, si ricompone una seconda, santa e più perfetta bellezza, perché è il bello dell’anima che affiora dallo sguardo, dal sorriso, dalla voce, dall’onesta alterezza della fronte sulla quale è sceso e splende come diadema il perdono di Dio.”
   “Allora non ho fatto male?…”
   “No. E male non ha fatto Pietro. Laciatela fare.

 4 Ed ora ognuno vada al suo riposo. Io resto con Giovanni e Simone ai quali devo parlare. Andate.”
   I discepoli si ritirano. Forse dormono nel frantoio. Non so. Vanno via e certo non rientrano in Gerusalemme, perché le porte sono chiuse da ore.
   “Hai detto, Simone, che Lazzaro ti ha mandato Isacco con Massimino, oggi, mentre Io ero presso la torre di Davide. Che voleva?”
   “Voleva dirti che Nicodemo è da lui e che voleva parlarti in segreto. Mi sono permesso di dire: ‘Che venga. Il Maestro lo attenderà nella notte’. Non hai che la notte per essere solo. Per questo ti ho detto: ‘Congeda tutti, meno Giovanni e me’. Giovanni serve per andare al ponte del Cedron ad attendere Nicodemo, che è in una delle case di Lazzaro, fuori le mura. Io servivo a spiegare. Ho fatto male?”
   “Hai fatto bene. Vai, Giovanni, al tuo posto.”
   Restano soli Simone e Gesù. Gesù è pensieroso. Simone rispetta il suo silenzio. Ma Gesù lo rompe d’improvviso e, come terminando ad alta voce un interno discorso, dice: “Sì. E’ bene fare così. Isacco, Elia, gli altri, bastano per tenere viva l’idea che già si afferma fra i buoni e negli umili. Per i potenti… vi sono altre leve. Vi è Lazzaro, Cusa, Giuseppe, altri ancora… Ma i potenti… non mi vogliono. Temono e tremano per il loro potere. Io andrò lontano da questo cuore giudeo, sempre più ostile al Cristo.”
   “Torniamo in Galilea?”
   “No. Ma lontano da Gerusalemme. La Giudea va evangelizzata. E’ Israele essa pure. Ma qui, lo vedi… Tutto serve ad accusarmi. Mi ritiro. E per la seconda volta…”

 5 “Maestro, ecco Nicodemo” dice Giovanni entrando per primo.
   Si salutano e poi Simone prende Giovanni ed esce dalla cucina, lasciando soli i due.
   “Maestro, perdona se ti ho voluto parlare in segreto. Diffido per Te e per me di molti. Non tutta viltà la mia.    Anche prudenza e desiderio di giovarti più che se ti appartenessi apertamente. Tu hai molti nemici. Io sono uno dei pochi che qui ti ammirano. Mi sono consigliato con Lazzaro. Lazzaro è potente per nascita, temuto perché in favore presso Roma, giusto agli occhi di Dio, saggio per maturazione di ingegno e cultura, tuo vero amico e mio vero amico. Per tutto questo ho voluto parlare con lui. E’ sono felice che egli abbia giudicato nel mio stesso modo.    Gli ho detto le ultime… discussioni del Sinedrio su Te.”
   “Le ultime accuse. Di’ pure le verità nude come sono.”
   “Le ultime accuse. Sì, Maestro. Io ero in procinto di dire, ‘Ebbene: io pure sono dei suoi’. Tanto perché in quell’assemblea ci fosse almeno uno che fosse in tuo favore. Ma Giuseppe, che mi era venuto vicino, mi ha sussurrato: ‘Taci. Teniamo occulto il nostro pensiero. Ti dirò poi’. E uscito di là ha detto; sì, ha detto: ‘Giova di più così. Se ci sanno discepoli, ci tengono all’oscuro di quanto pensano e decidono, e possono nuocergli e nuocerci. Come semplici studiosi di Lui, non ci faranno sotterfugi’. Ho capito che aveva ragione. Sono tanto… cattivi! Anche io ho i miei interessi e i miei doveri… e così Giuseppe… Capisci, Maestro.”
   “Non vi dico nessuna rampogna. Prima che tu venissi, dicevo questo a Simone.

 6 E ho deciso anche di allontanarmi da Gerusalemme.”
   “Ci odi perché non ti amiamo!”
   “No. Non odio neppure i nemici.”
   “Tu lo dici. Ma così è. Hai ragione. Ma che dolore per me e Giuseppe! E Lazzaro? Che dirà Lazzaro, che proprio oggi ha deciso di farti dire di lasciare questo luogo per andare in una delle sue proprietà di Sionne. Tu sai? Lazzaro è potente in ricchezza. Buona parte della città è sua e così molte terre di Palestina. Il padre, al suo censo ed a quello di Eucheria della sua tribù e famiglia, aveva unito quanto era ricompensa dei romani al servitore fedele, ed ai figli ha lasciato ben grande eredità. E, quel che più conta, una velata ma potente amicizia con Roma. Senza quella, chi avrebbe salvato dall’improperio tutta la casa dopo l’infamante condotta di Maria, il suo divorzio, solo avuto perché era ‘lei’, la sua vita di licenza in quella città che è suo feudo e in Tiberiade che è l’elegante lupanare dove Roma e Atene hanno fatto letto di prostituzione per tanti del popolo eletto? Veramente, se Teofilo siro fosse stato un proselite più convinto, non avrebbe dato ai figli quella educazione ellenicizzante che uccide tanta virtù e semina tanta voluttà e che, bevuta ed espulsa senza conseguenze da Lazzaro, e specie da Marta, ha contagiato e proliferato nella sfrenata Maria, ed ha fatto di lei il fango della famiglia e della Palestina. No, senza la potente ombra del favore di Roma, più che ai lebbrosi, sarebbe stato mandato il loro anatema. Ma posto che così è, approfittane.”
   “No. Mi ritiro. Chi mi vuole verrà con Me.”
   “Ho fatto male a parlare!” Nicodemo è accasciato.
   “No. Attendi e persuaditi.” e Gesù apre una porta e chiama: “Simone! Giovanni! Venite da Me.”
   Accorrono i due.
   “Simone, di’ a Nicodemo quanto ti dicevo quando entrò lui.”
   “Che per gli umili bastano i pastori, per i potenti Lazzaro, Nicodemo e Giuseppe con Cusa, e che Tu ti ritiri lontano da Gerusalemme pur senza lasciare la Giudea. Questo dicevi. Perché me lo fai ripetere? Che è avvenuto?”
   “Nulla. Nicodemo temeva che Io me ne andassi per le sue parole.”
   “Ho detto al Maestro che il Sinedrio è sempre più nemico, e che era bene si mettesse sotto la protezione di Lazzaro. Ha protetto i tuoi beni perché ha dalla sua Roma. Proteggerebbe anche Gesù.”
   “E’ vero. E’ un buon consiglio. Per quanto la mia casta sia invisa anche a Roma, pure una parola di Teofilo mi ha conservato l’avere durante la proscrizione e la lebbra. E Lazzaro ti è molto amico, Maestro.”
   “Lo so. Ma ho detto. E quello che ho detto, faccio.”
   “Noi ti perdiamo, allora!”
   “No, Nicodemo. Dal Batttista vanno uomini di tutte le sètte. Da Me potranno venire uomini di tutte le sètte e di tutte le cariche.”
   “Noi venivamo da Te sapendoti da più di Giovanni.”
   “Potete venirci ancora. Sarò un rabbi solitario Io pure come Giovanni, e parlerò alle turbe vogliose di sentire la voce di Dio e capaci di credere che Io sono quella Voce. E gli altri mi dimenticheranno. Se almeno saranno capaci di tanto.”

 7 “Maestro, Tu sei triste e deluso. Ne hai ragione. Tutti ti ascoltano. E credono in Te tanto da ottenere dei miracoli. Persino uno di Erode, uno che deve per forza avere corrotta la bontà naturale in quella corte incestuosa.    Persino dei soldati romani. Solo noi di Sionne siamo così duri… Ma non tutti. Lo vedi… Maestro, noi sappiamo che sei venuto da parte di Dio, suo dottore che più alto non c’è. Lo dice anche Gamaliele. Nessuno può fare i miracoli che Tu fai se non ha seco Iddio. Questo credono anche i dotti come Gamaliele. Come allora avviene che non possiamo avere la fede che hanno i piccoli d’Israele? Oh! dimmelo proprio. Io non ti tradirò anche se mi dicessi: ‘Ho mentito per avvalorare le mie sapienti parole sotto un sigillo che nessuno può deridere’. Sei Tu il Messia del Signore? l’Atteso? la Parola del Padre, incarnata per istruire e redimere Israele secondo il Patto?”
   “Da te lo domandi, o altri ti mandano a chiederlo?”
   “Da me, da me, Signore. Ho un tormento qui. Ho una burrasca. Venti contrari e contrarie voci. Perché non in me, uomo maturo, quella pacifica certezza che ha costui, quasi analfabeta e fanciullo, e che gli mette quel sorriso beato sul volto, quella luce negli occhi, quel sole nel cuore? Come credi tu, Giovanni, per essere così sicuro? Insegnami o figlio, il tuo segreto, il segreto per cui sapesti vedere e capire il Messia in Gesù Nazareno!”
Giovanni si fa rosso come una fragola e poi china il capo come si scusasse di dire una cosa così grande, e risponde semplicemente: “Amando.”
   “Amando! E tu, Simone, uomo probo e sulle soglie della vecchiezza, tu dotto e tanto provato da essere indotto a temere inganno dovunque?”
   “Meditando.”
   “Amando! Meditando! Io pure amo e medito, e non sono certo ancora!”

 8 Interloquisce Gesù dicendo: “Io te lo dico il segreto vero. Costoro seppero nascere nuovamente, con uno spirito nuovo, libero da ogni catena, vergine da ogni idea. E compresero perciò Dio. Se uno non nasce di nuovo, non può vedere il Regno di Dio, né credere nel suo Re.”
   “Come può un uomo rinascere essendo già adulto? Espulso dal seno materno, l’uomo non può mai più rientrarvi. Alludi forse alla reincarnazione come la credono tanti pagani? Ma no, non è possibile in Te questo. E poi non sarebbe un rientrare nel seno, ma un rincarnare oltre il tempo. Perciò non più ora. Come? Come?”
   “Non vi è che una esistenza della carne sulla terra e una eterna vita dello spirito oltre la terra. Ora Io non parlo della carne e del sangue. Ma dello spirito immortale, il quale per due cose rinasce a nuova vita. Per l’acqua e per lo Spirito. Ma il più grande è lo Spirito, senza il quale l’acqua non è che un simbolo. Chi si è mondato con l’acqua deve purificarsi poi con lo Spirito e con Esso accendersi e splendere, se vuole vivere in seno a Dio qui e nell’eterno Regno. Perché ciò che è generato dalla carne è e resta carne, e con essa muore dopo averla servita nei suoi appetiti e peccati. Ma ciò che è generato dallo Spirito è spirito, e vive tornando allo Spirito Generatore dopo aver allevato sino all’età perfetta il proprio spirito. Il Regno dei Cieli non sarà abitato che da esseri giunti all’età spirituale perfetta. Non meravigliarti dunque se dico: ‘Bisogna che voi nasciate di nuovo’. Costoro hanno saputo rinascere. Il giovane ha ucciso la carne e fatto rinascere lo spirito mettendo il suo io sul rogo dell’amore. Tutto fu arso di ciò che era la materia. Dalle ceneri ecco sorgere il nuovo fiore spirituale, meraviglioso elianto che sa volgersi al Sole eterno. Il vecchio ha messo la scure della meditazione onesta ai piedi del suo vecchio pensiero ed ha sradicato la vecchia pianta lasciando solo il pollone della buona volontà, dal quale ha fatto nascere il suo nuovo pensiero. Ora ama Dio con spirito nuovo e lo vede. 

 9 Ognuno ha il suo metodo per giungere al suo porto. Ogni vento è buono purché si sappia usare la vela. Voi sentite soffiare il vento e dalla sua corrente potete regolarvi e dirigere la manovra. Ma non potete dire da dove esso viene né chiamare quello che vi occorre. Anche lo Spirito chiama e viene chiamato e passa. Ma solo chi è attento lo può seguire. Conosce la voce del padre il figlio, conosce la voce dello Spirito lo spirito da Lui generato.”
   “Come può avvenire questo?”
   “Tu maestro in Israele me lo chiedi? Tu ignori queste cose? Si parla e si testifica di ciò che sappiamo e abbiamo visto. Or dunque Io parlo e testifico di ciò che so. Come potrai mai accettare le cose non viste se non accetti la testimonianza che Io ti porto? Come potrai credere allo Spirito se non credi all’incarnata Parola? Io sono disceso per risalire e meco trarre coloro che sono quaggiù. Uno solo è disceso dal Cielo: il Figlio dell’uomo. E uno solo salirà col potere di aprire il Cielo: Io, Figlio dell’uomo. Ricorda Mosè. Egli alzò un serpente nel deserto per guarire i morbi d’Israele. Quando Io sarò innalzato, coloro che la febbre della colpa fa ciechi, sordi, muti, folli, lebbrosi, malati, saranno guariti e chiunque crederà in Me avrà vita eterna. Anche coloro che in Me avranno creduto, avranno questa beata vita. Non chinare la fronte, Nicodemo. Io sono venuto a salvare, non a perdere. Dio non ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo perché chi è nel mondo sia condannato, ma perché il mondo sia salvo per mezzo di Lui. Nel mondo Io ho trovato tutte le colpe, tutte le eresie, tutte le idolatrie. Ma può la rondine che vola ratta sulla polvere sporcarsene la piuma? No. Porta solo per le tristi vie della terra una virgola d’azzurro, un odore di cielo, getta un richiamo per scuotere gli uomini e far loro alzare lo sguardo dal fango e seguire il suo volo che al cielo ritorna. Così Io. Vengo per portarvi meco. Venite!… Chi crede nel Figlio Unigenito non è giudicato. E’ già salvo, perché questo Figlio perora al Padre e dice ‘Costui mi amò’. Ma chi non crede è inutile faccia opere sante. E’ già giudicato perché non ha creduto nel nome del Figlio Unico di Dio. 

10 Quale è il mio Nome, Nicodemo?”
   “Gesù.”
   “No. Salvatore. Io sono la Salvazione. Chi non mi crede, rifiuta la sua salute ed è giudicato dalla Giustizia eterna. E il giudizio è questo: ‘La Luce ti era stata mandata, a te e al mondo, per esservi di salvezza, e tu e gli uomini avete preferito le tenebre alla Luce perché preferivate le opere malvagie, che ormai erano la consuetudine vostra, alle opere buone che Egli vi additava da seguire per essere santi’. Voi avete odiato la Luce perché i malfattori amano le tenebre per i loro delitti, e avete sfuggito la Luce perché non vi illuminasse nelle vostre piaghe nascoste. Non per te, Nicodemo. Ma la verità è questa. E la punizione sarà in rapporto alla condanna, nel singolo e nella collettività. Riguardo a coloro che mi amano e mettono in pratica la verità che insegno, nascendo perciò nello spirito per una seconda volta, che è la più vera, ecco Io dico che essi non temono la Luce, ma anzi ad essa si accostano, perché la loro luce aumenta quella da cui furono illuminati, reciproca gloria che fa beato Dio nei suoi figli e i figli nel Padre. No, che i figli della Luce non temono d’essere illuminati. Ma anzi col cuore e con le opere dicono: ‘Non io; Egli il Padre, Egli il Figlio, Egli lo Spirito hanno compiuto in me il Bene. Ad essi gloria in eterno’. E dal Cielo risponde l’eterno canto dei Tre che si amano nella loro perfetta Unità: ‘A te benedizione in eterno, figlio vero del nostro volere’. Giovanni, ricorda queste parole per quando sarà l’ora di scriverle. Nicodemo, sei persuaso?”
   “Maestro… sì.

11 Quando potrò parlarti ancora?”
   “Lazzaro saprà dove condurti. Andrò da lui prima di allontanarmi da qui.”
   “Io vado, Maestro. Benedici il tuo servo.”
   “La mia pace sia teco.”
   Nicodemo esce con Giovanni.
   Gesù si volge a Simone: “Vedi l’opera della potestà delle tenebre? Come un ragno, tende la sua insidia e invischia e imprigiona chi non sa morire per rinascere farfalla, tanto forte da lacerare la tela tenebrosa e passare oltre, portando a ricordo della sua vittoria brandelli di lucente rete sulle ali d’oro, come orifiamme e labari vinti al nemico. Morire per vivere. Morire per darvi la forza di morire. Vieni, Simone, al riposo. E Dio sia con te.”
   Tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 20, 19-31: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».

Vangelo Gv 20, 19-31
Dal Vangelo secondo Giovanni

La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore.
Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!».
Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXVII. Apparizione agli apostoli nel Cenacolo.

   6 aprile 1945.
 
 1 Sono raccolti nel Cenacolo. La sera deve essere ben tarda, perché nessun rumore viene più dalla via né dalla casa. Penso che anche quelli che erano venuti prima si siano tutti ritirati o alle proprie case o a dormire, stanchi di tante emozioni.
   I dieci invece, dopo avere mangiato dei pesci, di cui ancora qualcuno sussiste su un vassoio posato sulla credenza, stanno parlando sotto la luce di una sola fiammella del lampadario, la più vicina alla tavola. Sono ancora seduti alla stessa. E hanno discorsi spezzati. Quasi dei monologhi, perché pare che ognuno, più che col compagno, parli con se stesso. E gli altri lo lasciano parlare, magari parlando a loro volta di tutt’altra cosa. Però questi discorsi slegati, che mi fanno l’impressione dei raggi di una ruota sfasciata, si sente che appartengono ad un solo argomento che li accentra, anche se così sparsi. E che è Gesù.

 2 «Non vorrei che Lazzaro avesse udito male, e meglio di lui avessero capito le donne…», dice Giuda d’Alfeo.
   «A che ora ha detto di averlo visto la romana?», chiede Matteo. Nessuno gli risponde.
   «Domani io vado a Cafarnao», dice Andrea.
   «Che meraviglia! Fare sì che esca proprio in quel momento la lettiga di Claudia!», dice Bartolomeo.
   «Abbiamo fatto male, Pietro, a venire via subito questa mattina… Fossimo rimasti, lo avremmo visto come la Maddalena», sospira Giovanni.
   «Io non capisco come poté essere a Emmaus e in palazzo insieme. E come qui dalla Madre, e dalla Maddalena e da Giovanna insieme…», dice a se stesso Giacomo di Zebedeo.
   «Non verrà. Non ho pianto abbastanza per meritarlo… Ha ragione. Io dico che per tre giorni mi fa aspettare per le mie tre negazioni. Ma come, come ho potuto fare quello?».
   «Come era trasfigurato Lazzaro! Vi dico: pareva lui un sole. Io penso gli sia successo come a Mosè dopo avere visto Dio. E subito — vero, voi che eravate là? — subito dopo avere offerto la sua vita!», dice lo Zelote. Nessuno lo ascolta.

 3 Giacomo d’Alfeo si volta da Giovanni e dice: «Come ha detto a quelli di Emmaus? Mi pare che ci abbia scusati, non è vero? Non ha detto che tutto è avvenuto per il nostro errore di israeliti sul modo di capire il suo Regno?».
   Giovanni non gli dà nessuna retta e, volgendosi a guardare Filippo, dice… all’aria, perché a Filippo non parla: «A me basta di saperlo risorto. E poi… E poi che il mio amore sia sempre più forte. Visto, eh! È andato, se voi guardate, in proporzione all’amore che avemmo: la Madre, Maria Maddalena, i bambini, mia madre e la tua, e poi Lazzaro e Marta… Quando a Marta? Io dico quando ella intonò il salmo davidico: “Il Signore è mio pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, mi ha condotto ad acque ristoratrici. Ha richiamato a Sé l’anima mia…”. Ricordi come ci fece sussultare con quell’inaspettato canto? E quelle parole si riconnettono a quanto ha detto: “Ha richiamato a Sé l’anima mia”. Infatti Marta sembra avere ritrovato la sua via… Prima era smarrita, lei, la forte! Forse nel richiamo le ha detto il luogo dove la vuole.-È certo anzi, perché, se le ha dato appuntamento, deve sapere dove lei sarà. Che avrà voluto dire dicendo: “sponsali compiuti?”».
   Filippo, che lo ha guardato un momento e poi lo ha lasciato monologare, geme: «Io non saprò che dirgli se viene… Io sono fuggito… e sento che fuggirò. Prima per paura degli uomini. Ora per paura di Lui».
   «Dicono tutti: “è bellissimo”. Può mai essere più bello di quanto già era?», si chiede Bartolomeo.
   «Io gli dirò: “Mi hai perdonato senza parola quando ero pubblicano. Perdonami anche ora col tuo silenzio, perché non merita la mia viltà la tua parola”», dice Matteo.
   «Longino dice che ha pensato: “Devo chiedergli di guarire o di credere?”. Ma ha detto il suo cuore: “Di credere”, e allora la Voce ha detto: “Vieni a Me”, ed egli ha sentito la volontà di credere e la guarigione insieme. Me lo ha proprio detto così», afferma Giuda d’Alfeo.
   «Io sono sempre fisso al pensiero di Lazzaro, premiato subito per la sua offerta… L’ho detto io pure: “La mia vita per la tua gloria”. Ma non è venuto», sospira lo Zelote.

 4 «Che dici, Simone? Tu che sei colto, dimmi: che gli devo dire per fargli capire che lo amo e chiedo perdono? E tu, Giovanni? Tu hai parlato molto con la Madre. Aiutami. Non è pietà lasciare solo il povero Pietro!».
   Giovanni si muove a compassione dell’avvilito compagno e dice: «Ma… ma io gli direi semplicemente: “Ti amo”. Nel­l’amore è compreso anche il desiderio del perdono e il pentimento. Però… non so. Simone, che dici tu?».
   E lo Zelote: «Io direi quello che era il grido dei miracoli: “Gesù, pietà di me!”. Direi: “Gesù”. E basta. Perché è ben più del Figlio di Davide!».
   «È ben quello che penso e che mi fa tremare. Oh! io nasconderò il capo… Anche stamane avevo paura di vederlo e…».
   «… e poi sei entrato per primo. Ma non temere così. Sembra che tu non lo conosca», lo rincuora Giovanni.

 5 La stanza si illumina vivamente come per un lampo abbagliante. Gli apostoli si celano il viso temendo sia un fulmine. Ma non odono rumore e alzano il capo.
   Gesù è in mezzo alla stanza, presso la tavola. Apre le braccia dicendo: «La pace sia con voi».
   Nessuno risponde. Chi più pallido, chi più rosso, lo fissano tutti con paura e soggezione. Affascinati e nello stesso tempo vogliosi quasi di fuggire.
   Gesù fa un passo avanti, aumentando il suo sorriso. «Ma non temete così! Sono Io. Perché così turbati? Non mi desideravate? Non vi avevo fatto dire che sarei venuto? Non ve lo avevo detto fin dalla sera pasquale?».
   Nessuno osa aprire bocca. Pietro piange già e Giovanni già sorride, mentre i due cugini, con gli occhi lustri e un movimento di parola senza suono sulle labbra, sembrano due statue raffiguranti il desiderio.
   «Perché nei cuori avete pensieri così in contrasto fra il dubbio e la fede, l’amore e il timore? Perché ancora volete essere car­ne e non spirito, e con questo solo vedere, comprendere, giudicare, operare? Sotto la vampa del dolore non si è tutto arso il vecchio io, e non è sorto il nuovo io di una vita nuova?

 Sono Gesù. Il vostro Gesù, risorto come aveva detto. Guardate. Tu che le hai viste le ferite e voi che ignorate la mia tortura. Perché quanto sapete è ben diverso dalla conoscenza esatta che ne ha Giovanni. Vieni, tu per il primo. Sei già tutto mondo. Tanto mondo che mi puoi toccare senza tema. L’amore, l’ubbidienza, la fedeltà già ti avevano fatto mondo. Il mio Sangue, di cui fosti tutto rorido quando mi deponesti dal patibolo, ti ha finito di purificare. Guarda. Sono vere mani e vere ferite. Osserva i miei piedi. Vedi come il segno è quello del chiodo? Sì. Sono proprio Io e non un fantasma. Toccatemi. Gli spettri non hanno corpo. Io ho vera carne sopra un vero scheletro».
   Posa la Mano sul capo di Giovanni che ha osato andargli vicino: «Senti? È calda e pesante». Gli alita in volto: «E questo è respiro».
   «Oh! mio Signore!», Giovanni mormora piano, così…
   «Sì. Il vostro Signore. Giovanni, non piangere di timore e di desiderio. Vieni a Me. Sono sempre quello che ti amo. Sediamo, come sempre, alla tavola. Avete nulla più da mangiare? Datemelo, dunque».
   Andrea e Matteo, con mosse da sonnambuli, prendono dalle credenze il pane e i pesci e un vassoio con un favo appena sbocconcellato in un angolo.
   Gesù offre il cibo e mangia, e dà ad ognuno un poco di quanto mangia. E li guarda. Tanto buono. Ma tanto maestoso che essi ne sono paralizzati.

 7 Osa parlare per primo Giacomo, fratello di Giovanni: «Perché ci guardi così?».
   «Perché voglio conoscervi».
   «Non ci conosci ancora?».
   «Come voi non conoscete Me. Se mi conosceste, sapreste Chi sono e come vi amo, e trovereste le parole per dirmi il vostro tormento. Voi tacete. Come di fronte ad un estraneo potente di cui temete. Poco fa parlavate… Sono quasi quattro giorni che parlate con voi stessi dicendo: “Gli dirò questo…”, dicendo allo Spirito mio: “Torna, Signore, che io ti possa dire questo”. Ora sono venuto e voi tacete? Tanto mutato sono che più non vi paio Io? O tanto mutati siete da non amarmi più?».
   Giovanni, seduto presso al suo Gesù, ha l’atto abituale di posargli la testa sul petto mentre mormora: «Io ti amo, mio Dio», ma si irrigidisce vietandosi questo abbandono per rispetto allo sfolgorante Figlio di Dio. Perché Gesù pare emanare una luce pur essendo di una carne pari alla nostra.
 Ma Gesù se lo attira sul Cuore, e allora Giovanni apre la diga al suo pianto beato. Ed è il segnale a tutti di farlo.

 8 Pietro, due posti dopo Giovanni, scivola fra la tavola e il sedile e piange gridando: «Perdono, perdono! Levami da questo inferno in cui sono da tante ore. Dimmi che hai visto il mio errore per quello che fu. Non dello spirito. Ma della carne che mi ha soverchiato il cuore. Dimmelo che hai visto il mio pentimento… Esso durerà fino alla morte. Ma Tu… ma Tu dimmi che come Gesù non ti devo temere… e io, e io… io cercherò di fare così bene da farmi perdonare anche da Dio… e morire… avendo solo un gran purgatorio da fare».
   «Vieni qui, Simone di Giona».
   «Ho paura».
   «Vieni qui. Non essere oltre vile».
   «Non lo merito di venirti accosto».
   «Vieni qui. Che ti ha detto la Madre? “Se non lo guardi su questo sudario non avrai cuore di guardarlo mai più”. O uomo stolto! Quel Volto non ti ha detto col suo sguardo doloroso che ti capivo e che ti perdonavo? Eppure l’ho dato quel lino per con­for­to, per guida, per assoluzione, per benedizione… Ma che vi ha fatto Satana per accecarvi tanto? Ora Io ti dico: se non mi guardi ora che sulla mia gloria ho ancora steso un velo per adeguarmi alla vostra debolezza, non potrai mai più venire senza paura al tuo Signore. E che ti avverrà allora? Per presunzione peccasti. Vuoi ora tornare a peccare per ostinazione? Vieni, ti dico».
   Pietro si trascina sui ginocchi, fra il tavolo e i sedili, con le mani sul volto piangente. Lo ferma Gesù, quando è ai suoi piedi, mettendogli la Mano sul capo. Pietro, con un pianto anche più forte, prende quella Mano e la bacia fra un vero singhiozzare senza freno. Non sa che dire: «Perdono! Perdono!».
   Gesù si libera dalla sua stretta e, facendo leva della sua mano sotto il mento dell’apostolo, lo obbliga ad alzare il capo e lo fissa negli occhi arrossati, bruciati, straziati dal pentimento, coi suoi fulgidi Occhi sereni. Pare gli voglia trivellare l’anima. Poi dice: «Andiamo. Levami l’obbrobrio di Giuda. Baciami dove egli baciò. Lava col tuo bacio il segno del tradimento».
   Pietro alza il capo, mentre Gesù si china ancora di più, e sfiora la guancia… poi china il capo sulle ginocchia di Gesù e sta così… come un vecchio bambino che ha fatto del male ma che è perdonato.

 9 Gli altri, ora che vedono la bontà del loro Gesù, ritrovano un po’ di ardire e si accostano come possono.
   Vengono prima i cugini… Vorrebbero dire tanto e non riescono a dire nulla. Gesù li carezza e rincuora col suo sorriso.
   Viene Matteo con Andrea. Matteo dicendo: «Come a Cafarnao…», e Andrea: «Io, io… ti amo io».
   Viene Bartolomeo gemendo: «Non sapiente fui. Ma stolto. Questo è sapiente», e accenna allo Zelote, al quale Gesù sorride già.
   Giacomo di Zebedeo viene e sussurra a Giovanni: «Diglielo tu…»; e Gesù si volge e dice: «Da quattro sere lo hai detto e da tanto Io ti ho compatito».
   Filippo, per ultimo, viene tutto curvo. Ma Gesù lo forza ad alzare il capo e gli dice: «Per predicare il Cristo occorre maggior coraggio».

 10Ora sono tutti intorno a Gesù. Si rinfrancano piano piano. Ritrovano quanto hanno perduto o temuto di avere per sempre perduto. Riaffiora la confidenza, la tranquillità e, per quanto Gesù sia tanto maestoso da tenere in un rispetto nuovo i suoi apostoli, essi trovano finalmente il coraggio di parlare.
   È il cugino Giacomo che sospira: «Perché ci hai fatto questo, Signore? Tu lo sapevi che noi non siamo nulla e che ogni cosa da Dio viene. Perché non ci hai dato la forza di essere al tuo fianco?».
   Gesù lo guarda e sorride.
   «Ora tutto è avvenuto. E nulla più Tu devi patire. Ma non mi chiedere più questa ubbidienza. Sono invecchiato ad ogni ora di un lustro, e le tue sofferenze, che l’amore e Satana ugualmente aumentavano nella mia immaginazione di cinque volte quel che già non fossero, hanno proprio consumato ogni mia forza. Non me ne è rimasta altro che per continuare ad ubbidire, tenendo, come un che affoga con le mani spezzate, la mia forza con la volontà come fossero i denti afferranti una tavola, per non perire… Oh! non chiedere più questo al tuo lebbroso!».
   Gesù guarda Simone Zelote e sorride.
   «Signore, Tu lo sai quello che voleva il mio cuore. Ma poi non ho più avuto cuore… come me lo avessero strappato i manigoldi che ti hanno preso… e mi è rimasto un buco da cui fuggiva ogni mio pensiero antecedente. Perché hai permesso questo, Signore?», chiede Andrea.
   «Io… tu dici il cuore? Io dico che fui uno senza più ragione. Come chi prende un colpo di clava sulla nuca. Quando, a notte fatta, io mi trovai a Gerico… oh! Dio! Dio!… Ma può un uomo perire così? Io credo che così è la possessione. Ora la capisco cosa è questa cosa tremenda!…». Filippo sbarra ancora gli occhi al ricordo del suo soffrire.
   «Ha ragione Filippo. Io guardavo indietro. Vecchio sono e non povero di sapienza. E più nulla sapevo di quanto avevo saputo fino a quell’ora.

 11Guardavo Lazzaro, così straziato ma così sicuro, e mi dicevo: “Ma come può essere che egli sappia ancora trovare una ragione ed io nulla più?”», dice Bartolomeo.
   «Io pure guardavo Lazzaro. E poiché io so appena ciò che Tu ci hai spiegato, non pensavo al sapere. Ma dicevo: “Almeno nel cuore fossi uguale!”; invece io non avevo che dolore, dolore, dolore. Lazzaro aveva dolore e pace… Perché a lui tanta pace?».
   Gesù guarda a turno prima Filippo, poi Bartolomeo, poi Gia­como di Zebedeo. Sorride e tace.
   Giuda dice: «Io speravo giungere a vedere ciò che certo Lazzaro vedeva. Per questo gli stavo sempre presso… Il suo viso!… Uno specchio. Un poco prima del terremoto del Venerdì egli era come uno che muore stritolato. E poi divenne di colpo maestoso nel suo dolore. Vi ricordate quando disse: “Il dovere compiuto dà pace”? Noi tutti credemmo fosse solo un rimprovero per noi o un’approvazione per se stesso. Ora penso che lo dicesse per Te. Era un faro nelle nostre tenebre, Lazzaro. Quanto gli hai dato, Signore!».
   Gesù sorride e tace.
   «Sì. La vita. E forse con quella gli hai dato un’anima diversa. Perché, infine, che è lui di diverso da noi? Eppure non è più un uomo. È già qualcosa di più dell’uomo e, per quello che era in passato, avrebbe dovuto essere ancora meno di noi perfetto di spirito. Ma lui si è fatto, e noi… Signore, il mio amore è stato vuoto come certe spighe. Solo pula ho dato», dice Andrea.
   E Matteo: «Io nulla posso chiedere. Perché già tanto ho avuto con la mia conversione. Ma sì! Avrei voluto avere ciò che ebbe Lazzaro. Un’anima data da Te. Perché penso anche io come Andrea…».
    «Anche Maddalena e Marta furono dei fari. Sarà la razza. Voi non le avete viste. Una era pietà e silenzio. L’altra! Oh! se siamo stati tutti un fascio intorno alla Benedetta, è perché Maria di Magdala ci ha stretti con le fiamme del suo coraggioso amore. Sì. Ho detto: la razza. Ma devo dire: l’amore. Ci hanno superati nell’amore. Per questo sono stati quelli che furono», dice Giovanni.
   Gesù sorride e tace sempre.
   «Ne hanno avuto gran premio però…».
   «A loro apparisti».
   «A tutti e tre».
   «A Maria subito dopo tua Madre…».
   È chiaro negli apostoli un rimpianto per queste apparizioni di privilegio.
   «Maria ti sa risorto già da tante ore. E noi solo ora ti possiamo vedere…».
   «Non più dubbi in loro. In noi, invece, ecco… solo ora sentiamo che nulla è finito. Perché a loro, Signore, se ancora ci ami e non ci ripudi?», chiede Giuda d’Alfeo.
   «Sì. Perché alle donne, e specie a Maria? L’hai anche toccata sulla fronte, e lei dice che le pare di portare un serto eterno. E a noi, i tuoi apostoli, nulla…».

 12Gesù non sorride più. Il suo Volto non è turbato, ma cessa il suo sorriso. Guarda serio Pietro che ha parlato per ultimo, riprendendo ardire man mano che la paura gli passa, e dice:
   «Avevo dodici apostoli. E li amavo con tutto il mio Cuore. Io li avevo scelti e come una madre ne avevo curato la crescita nella mia Vita. Non avevo segreti per loro. Tutto dicevo, tutto spiegavo, tutto perdonavo. E le umanità, e le sventatezze, e le caparbietà… tutto. E avevo dei discepoli. Dei ricchi e dei poveri discepoli. Avevo donne dal fosco passato o dalla debole costituzione. Ma i prediletti erano gli apostoli.
   È venuta la mia ora. Uno mi ha tradito e consegnato ai carnefici. Tre hanno dormito mentre Io sudavo sangue. Tutti, meno due, sono fuggiti per viltà. Uno mi ha rinnegato avendo paura, nonostante avesse l’esempio dell’altro, giovane e fedele. E, quasi non bastasse, fra i dodici ho avuto un suicida disperato e uno che ha dubitato tanto del mio perdono da non credere che a fatica, e per materna parola, alla Misericordia di Dio. Di modo che, se avessi guardato alla mia schiera, se l’avessi guardata con occhio umano, avrei dovuto dire: “Meno Giovanni, fedele per amore, e Simone, fedele all’ubbidienza, Io non ho più apostoli”. Questo avrei dovuto dire mentre soffrivo nel recinto del Tempio, nel Pretorio, per le vie e sulla Croce.

 13Avevo delle donne… E una, la più colpevole in passato, è stata, come Giovanni ha detto, la fiamma che ha saldato le spezzate fibre dei cuori. Quella donna è Maria di Magdala. Tu mi hai rinnegato e sei fuggito. Ella ha sfidato la morte per starmi vicino. Insultata, ha scoperto il suo volto, pronta a ricevere sputi e ceffoni, pensando di assomigliare così di più al suo Re crocifisso. Schernita nel fondo dei cuori per la sua tenace fede nella mia Risurrezione, ha saputo continuare a credere. Straziata, ha agito. Desolata, stamane, ha detto: “Di tutto mi spoglio, ma datemi il mio Maestro”. Puoi osare ancora la domanda: “Perché a lei?”.
   Avevo dei discepoli poveri: dei pastori. Poco li ho avvicinati, eppure come seppero confessarmi con la loro fedeltà!
   Avevo delle discepole timide, come tutte le donne ebree. Eppure hanno saputo lasciare la casa e venire fra la marea di un popolo che mi bestemmiava, per darmi quel soccorso che i miei apostoli mi avevano negato.
   Avevo delle pagane che ammiravano il “filosofo”. Per loro ero tale. Ma seppero scendere ad usi ebrei, le potenti romane, per dirmi, nell’ora dell’abbandono di un mondo d’ingrati: “Noi ti siamo amiche”.

 14Avevo il volto coperto di sputi e sangue. Lacrime e sudore gocciavano sulle ferite. Lordure e polvere me lo incrostavano. Di chi la mano che mi deterse? La tua? o la tua? o la tua? Nessuna delle vostre mani. Costui era presso alla Madre. Costui riuniva le pecore sperse. Voi. E se sperse erano le mie pecore, come potevano darmi soccorso? Tu nascondevi il tuo volto per paura del disprezzo del mondo, mentre il tuo Maestro veniva coperto del disprezzo di tutto il mondo, Lui che era innocente.
   Avevo sete. Sì. Sappi anche questo. Morivo di sete. Non avevo più che febbre e dolore. Il sangue era già corso nel Getsemani, tratto dal dolore di essere tradito, abbandonato, rinnegato, percosso, sommerso dalle colpe infinite e dal rigore di Dio. Ed era corso nel Pretorio… Chi mi volle dare una stilla per le fauci arse? Una mano d’Israele? No. La pietà di un pagano. La stessa mano che, per decreto eterno, mi aprì il petto per mostrare che il Cuore aveva già una ferita mortale, ed era quella che il non amore, la viltà, il tradimento, vi avevano fatta. Un pagano. Vi ricordo: “Ebbi sete e mi desti da bere”. Non uno che mi desse un conforto in tutto Israele. O per impossibilità di farlo, come la Madre e le donne fedeli, o per mala volontà di farlo. E un pagano trovò per lo Sconosciuto la pietà che il mio popolo mi aveva negato. Troverà in Cielo il sorso a Me dato.
   In verità vi dico che, se Io ho rifiutato ogni conforto, perché quando si è Vittima non bisogna temperare la sorte, non ho voluto respingere il pagano, nella cui offerta ho sentito il miele di tutto l’amore che dai Gentili mi verrà dato a compenso del­l’amarezza che mi dette Israele. Non mi ha levato la sete. Ma lo sconforto, sì. Per questo ho preso quel sorso ignorato. Per attirare a Me colui che già verso il Bene piegava. Sia benedetto dal Padre per la sua pietà!

 15Non parlate più? Perché non chiedete ancora il perché ho così agito? Non osate di chiederlo? Io ve lo dirò. Tutto vi dirò dei perché di quest’ora.
   Chi siete voi? I miei continuatori. Sì. Lo siete nonostante il vostro smarrimento. Che dovete fare? Convertire il mondo a Cristo. Convertire! È la cosa più delicata e difficile, amici miei. Gli sdegni, i ribrezzi, gli orgogli, gli zeli esagerati sono tutti deleteri alla riuscita. Ma, poiché nulla e nessuno vi avrebbe persuaso alla bontà, alla condiscendenza, alla carità per quelli che sono nelle tenebre, è stato necessario — comprendete? — necessario è stato che voi aveste, una buona volta, frantumato il vostro orgoglio di ebrei, di maschi, di apostoli, per dare luogo solo alla vera sapienza del ministero vostro. Alla mitezza, pazienza, pietà, amore senza borie e ribrezzi.
   Voi vedete che tutti vi hanno superato nel credere e nell’agire, fra quelli che voi guardavate con sprezzo o con compatimento orgoglioso.Tutti. E la peccatrice di un giorno. E Lazzaro, intinto di cultura profana, il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato. E le donne pagane. E la debole moglie di Cusa. Debole? Invero ella tutti vi supera! Prima martire della mia fede. E i soldati di Roma. E i pastori. E l’erodiano Mannaen. E persino Gamaliele, il rabbino. Non sussultare, Giovanni. Credi tu che il mio Spirito fosse nelle tenebre? Tutti. E questo perché domani, ricordando il vostro errore, non chiudiate il cuore a chi viene alla Croce.
   Ve lo dico. E già so che, nonostante lo dica, non lo farete che quando la Forza del Signore vi piegherà come fuscelli al mio Volere, che è quello di avere dei cristiani di tutta la Terra. Ho vinto la Morte. Ma è meno dura del vecchio ebraismo. Ma vi piegherò.

 16Tu, Pietro, in luogo di stare piangente e avvilito, tu che devi essere la Pietra della mia Chiesa, scolpisciti queste amare verità nel cuore. La mirra è usata per preservare dalla corruzione. Intriditi di mirra, dunque. E quando vorrai chiudere il cuore e la Chiesa ad uno d’altra fede, ricorda che non Israele, non Israele, non Israele, ma Roma mi difese e volle avere pietà. Ricordati che non tu, ma una peccatrice seppe stare ai piedi della Croce e meritò di vedermi per prima. E per non essere degno di biasimo sii imitatore del tuo Dio. Apri il cuore e la Chiesa dicendo: “Io, il povero Pietro, non posso sprezzare, perché se sprezzerò sarò sprezzato da Dio ed il mio errore tornerà vivo agli occhi suoi”. Guai se non ti avessi spezzato così! Non un pastore ma un lupo saresti divenuto».

 17Gesù si alza. Maestosissimo.
   «Figli miei. Ancora vi parlerò nel tempo che fra voi resterò. Ma per intanto vi assolvo e perdono. Dopo la prova che, se fu avvilente e crudele, è stata anche salutare e necessaria, venga in voi la pace del perdono. E, con essa in cuore, tornate i miei amici fedeli e forti. Il Padre mi ha mandato nel mondo. Io mando voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. Miserie di ogni sorta verranno a voi chiedendo sollievo. Siate buoni pensando alla miseria vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. Siate illuminati. Nelle tenebre non è lecito vedere. Siate mondi per dare mondezza. Siate amore per amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore. Ma intanto, per prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi. A chi li riterrete saranno ritenuti. L’esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi faccia santi per santificare. Il sincero volere di superare il vostro mancamento vi faccia eroici per la vita che vi aspetta. Quanto ancora è da dire ve lo dirò quando l’assente sarà venuto. Pregate per lui. Rimanete con la mia pace e senza orgasmo di dubbio sul mio amore».
   E Gesù scompare così come era entrato, lasciando fra Giovanni e Pietro un posto vuoto. Scompare in un bagliore che fa chiudere gli occhi tanto è forte. E, quando gli occhi abbacinati si riaprono, trovano solo che la pace di Gesù è rimasta, fiamma che brucia e che medica e che consuma le amarezze del passato in un unico desiderio: di servire.

   Cap. DCXXVIII. Il ritorno di Tommaso e la sua incredulità.

   7 aprile 1945.
 
1 I dieci sono nel cortile della casa del Cenacolo. Parlano fra loro e poi pregano. E poi tornano a parlare.
   Dice Simone Zelote: «Sono veramente afflitto della sparizione di Tommaso. Non so più dove cercarlo».
   «Ed io neppure», dice Giovanni.
   «Dai parenti non c’è. E non è stato visto da nessuno. Che lo abbiano preso?».
   «Se così fosse, il Maestro non avrebbe detto: “Dirò il resto quando ci sarà l’assente”».
   «È vero. Io però voglio ancora andare a Betania. Forse si aggira per quelle montagne senza osare di mostrarsi».
   «Vai, vai, Simone. Tu ci hai tutti riuniti e… salvati col riunirci, perché ci hai portati da Lazzaro. Avete sentito che parole ebbe il Signore per lui? Ha detto: “il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato”. Perché non lo mette al posto dell’Iscariota?», chiede Matteo.
   «Perché non vorrà dare al perfetto amico il posto del Traditore», risponde Filippo.

 2 «Ho sentito poco fa, quando ho fatto un giro per i mercati e ho parlato a venditori di pesce, che… — sì, mi posso fidare di loro — che quelli del Tempio non sanno che fare del corpo di Giuda. Non so chi fu… ma questa mattina all’alba i guardiani del Tempio hanno trovato dentro al sacro recinto il suo corpo putrido, con ancora la fune al collo. Io penso siano stati dei pagani a staccarlo e a gettarlo là dentro chissà come», dice Pietro.
   «A me invece hanno detto ieri sera alla fonte, ho sentito dire, anzi, che da ieri sera hanno frombolato le viscere del Traditore fin contro la casa di Anna. Pagani, certo. Perché nessun ebreo avrebbe toccato, dopo più di cinque giorni, quel corpo. Chissà come era putrido!», dice Giacomo d’Alfeo.
   «Oh! un orrore fin dal sabato!». Giovanni impallidisce al ricordo.
   «Ma come finì in quel posto? Era suo?».
   «E chi ha mai saputo niente di esatto da Giuda di Keriot? Vi ricordate come era chiuso, complicato…».
   «Puoi dire: bugiardo, Bartolomeo. Mai era sincero. Per tre anni fu con noi, e noi, che tutto avevamo in comune, davanti a lui eravamo come davanti all’alto muro di un fortezza».
   «Di una fortezza? Oh! Simone! Di’ di un labirinto!», esclama Giuda d’Alfeo.
   «Oh! sentite! Non parliamo di lui! Mi pare di averlo a evocare e che debba venire a darci disturbo. Io vorrei cancellare il suo ricordo da me e da ogni cuore. Ebreo o gentile che sia.
 E­breo, per non arrossire di avere partorito dalla nostra razza questo mostro. Gentile, perché fra loro non ci sia chi ci può dire un giorno: “Fu uno di Israele il suo Traditore”.

 3 Io sono un ragazzo. E non dovrei parlare davanti a voi per primo. Sono l’ultimo e tu, Pietro, sei il primo. E qui c’è lo Zelote e Bartolomeo, istruiti, e ci sono i fratelli del Signore. Ma, ecco, io vorrei presto mettere uno al dodicesimo posto, uno che santo fosse, perché, finché vedrò quel posto vuoto nel gruppo nostro, io vedrò la bocca dell’inferno coi suoi fetori fra noi. E ho paura che ci travii…».
   «Ma no, Giovanni! Sei rimasto impressionato dalla bruttezza del suo delitto e del suo corpo appeso…».
   «No, no. Anche la Madre ha detto: “Ho visto Satana vedendo Giuda di Keriot”. Oh! facciamo presto a cercare un santo da mettere a quel posto!».
   «Senti, io non scelgo nessuno. Se Lui, che era Dio, ha scelto un Iscariota, che sceglierà mai il povero Pietro?».
   «Eppure dovrai bene…».
   «No, caro. Io non scelgo nulla. Lo chiederò al Signore. Basta di peccati fatti da Pietro!».

 4 «Tante cose dobbiamo chiedere. L’altra sera siamo rimasti come ebeti. Ma dobbiamo farci insegnare. Perché… Come faremo a capire se una cosa è peccato proprio? O se non lo è? Vedi come il Signore parla diverso da noi sui pagani. Vedi come scusa più una viltà e un rinnegamento di quanto non scusi il dubbio sul possibile suo perdono… Oh! io ho paura di fare male», dice sconsolato Giacomo d’Alfeo.
   «Veramente ci ha tanto parlato. Eppure mi pare di sapere niente. Sono ebete da una settimana», confessa sconsolato l’altro Giacomo.
   «Io pure».
   «Io pure».
   «E anche io».
   Sono tutti nelle stesse condizioni e, stupiti, si guardano l’un l’altro. Ricorrono alla ormai abituale soluzione: «Andremo da Lazzaro», dicono. «Forze là troveremo il Signore e… Lazzaro ci aiuterà».

 5 Bussano al portone. Tacciono tutti ascoltando. E hanno un «oh!» di stupore vedendo entrare nel vestibolo Elia insieme a Tommaso. Un Tommaso così stranito che non pare più lui.
   I compagni gli si affollano intorno gridando il loro giubilo: «Lo sai che è risorto e che è venuto? E aspetta te per tornare!».
   «Sì. Me lo ha detto anche Elia. Ma non ci credo. Io credo a ciò che vedo. E vedo che per noi è finita. Vedo che siamo tutti dispersi. Vedo che non c’è più neppure un sepolcro noto dove piangerlo. Vedo che il Sinedrio si vuole disfare, e del complice di cui decreta il seppellimento, come fosse un animale sozzo, ai piedi dell’ulivo dove si è impiccato, e dei seguaci del Nazareno. Io sono stato fermato nel venerdì, alle porte, e mi hanno detto: “Anche tu eri uno dei suoi? È morto, ormai. Torna a battere l’oro”. E sono scappato…».
   «Ma dove? Ti abbiamo cercato da per tutto!».
   «Dove? Sono andato verso la casa di mia sorella a Rama. Poi non ho osato entrare perché… per non essere rimproverato da una donna. Allora ho vagato per le montagne giudee e ieri sono finito a Betlemme, nella sua grotta. Quanto ho pianto… Mi sono addormentato fra le macerie e lì mi ha trovato Elia, che era venuto… non so perché».
   «Perché? Ma perché nelle ore di gioia o di dolore troppo grande si va dove più si sente Dio. Io molte volte, in questi anni, ero andato là, di notte, come un ladro, per sentirmi carezzare l’anima dal ricordo del suo vagito. E poi scappavo al primo sole per non essere lapidato. Ma ero già consolato. Ora sono andato là per dire a quel luogo: “Io sono felice” e per prendere quanto posso di esso. Abbiamo deciso così. Noi vogliamo predicare la sua Fede. Ma ce ne darà forza un pezzo di quel muro, un pugno di quella terra, una scheggia di quei pali. Non siamo santi tanto da osare di prendere la terra del Calvario…».
   «Hai ragione, Elia. Lo dovremo fare noi pure. E lo faremo. Ma Tommaso?…».
   «Tommaso dormiva e piangeva. Gli ho detto: “Svegliati e non piangere più. È risorto”. Non mi voleva credere. Ma tanto ho insistito che l’ho persuaso. Eccolo. Ora è fra voi ed io mi ritiro. Raggiungo i compagni diretti in Galilea. La pace a voi». Elia se ne va.

 6 «Tommaso, è risorto. Io te lo dico. Fu con noi. Mangiò. Parlò. Ci benedisse. Ci perdonò. Ci ha dato potestà di perdonare. Oh! perché non sei venuto prima?».
   Tommaso non si scuote dal suo abbattimento. Crolla il capo, testardo. «Io non credo. Avete visto un fantasma. Siete tutti folli. Le donne per le prime. Un uomo morto, da sé non risorge».
   «Un uomo no. Ma Egli è Dio. Non lo credi?».
   «Sì. Lo credo che è Dio. Ma, appunto perché lo credo, penso e dico che, per quanto sia tanto buono, non può esserlo al punto di venire fra chi lo ha così poco amato. E dico che, per quanto sia tanto umile, deve averne basta di avvilirsi nella nostra carnaccia. No. Sarà, certo lo è, trionfante in Cielo e, forse, apparirà come spirito. Dico: forse. Non meritiamo neppure questo! Ma risorto in carne e ossa, no. Non lo credo».
   «Ma se lo abbiamo baciato, visto mangiare, udito la voce, sentito la sua mano, visto le ferite!».
   «Niente. Io non credo. Non posso credere. Dovrei vedere per credere. Se non vedo nelle sue mani il foro dei chiodi e non vi metto dentro il dito, se non tocco le ferite dei piedi e se non metto la mano dove la lancia ha aperto il costato, io non credo. Non sono un bambino o una donna. Io voglio l’evidenza. Quello che la mia ragione non può accettare lo rifiuto. E io non posso accettare questa vostra parola».
   «Ma Tommaso! Ti pare che ti si voglia ingannare?».
   «No, poverini. Anzi! Beati voi che siete tanto buoni da volermi portare ad avere la pace che siete riusciti a darvi con questa vostra illusione. Ma… io non credo alla sua Risurrezione».
   «Non temi di essere punito da Lui? Sente e vede tutto, sai?».
   «Chiedo che mi persuada. Ho una ragione, e l’uso. Lui, Padrone della ragione umana, raddrizzi la mia se è deviata».
   «Ma la ragione, Lui lo diceva, è libera».
   «Ragion di più perché io non la faccia schiava di una suggestione collettiva. Io vi voglio bene e voglio bene al Signore. Lo servirò come posso e starò con voi per aiutarvi a servirlo. Predicherò la sua dottrina. Ma non posso credere altro che vedendo».
   E Tommaso, cocciuto, non intende altro che se stesso. Gli parlano di tutti quelli che lo hanno visto, e come lo hanno visto. Lo consigliano a parlare con la Madre. Ma lui crolla il capo, seduto su un sedile di pietra, più pietra lui del sedile. Testardo come un bambino, ripete: «Crederò se vedrò…».
   La grande parola degli infelici che negano ciò che è tanto dolce e santo credere ammettendo che Dio può tutto.

   Cap. DCXXIX. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del sacerdozio e sui sacerdoti futuri.

   9 agosto 1944.
 
   […]
 1 Gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.
   Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.
   Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.
   Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di por­­gere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

 2 Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.
   Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.
   Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.
   Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente. Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite. In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

 3 Giovanni lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.
   Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.
   Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
   Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.
   Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

 4 L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.
   Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.
   Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
   Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.
   Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vie­ni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.
   Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
   «Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
   Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
   «Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
   Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
   Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.
   «Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
   Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.
   Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

 5 Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.
   «Mangiate, amici», dice Gesù.
   Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.
   Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.
   Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul Cuore e parla tenendolo così.

 6 «Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».
   Gesù appoggia molto su queste ultime parole.
   «Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».
   Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.
   «Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore? Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

 7 Amici, pensate alla vostra dignità di sacerdoti.
   Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?
   Ecco perché Io creo i sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio Sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della Morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete. Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa accieca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.
   Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!
   Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio. Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

 8 Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa Carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.
   Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.
   Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatasi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe. Al suo centro è il granello di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite al peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.
   Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

 9 Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio o mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo — che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia — usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia. Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?
   O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempo sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

 10Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo. Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.
   Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col lo­ro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo…
   E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e a maledire.
   Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci nella notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”. Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

 11Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No. Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori. La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!

 12Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppo rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane — anime umili e laiche — Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.
   Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

 13Alziamoci, amici, e venite meco, ché Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».
   E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.
   Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».
   E la visione finisce.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Mc 16, 9 -15 : «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Vangelo Mc 16, 9-15
Dal Vangelo secondo Marco

Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero.
Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro.
Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXIX. Le pie donne al Sepolcro.

   2 aprile 1945.

 1 Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare.
   «Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna.
   «Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome.
   «Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna.
   «Chi?», domanda la Maddalena.
   «I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì… entrano pochi ed escono meno ancora… Daremo sospetti…».
   «E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi».
   «Però… Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?…».
   «Allungheremo la strada».
   «Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua…».
   «Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa.
   «Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona…», pregano tutte.
   «E va bene.

2 Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei…».
   «Oh! sì. Anche per le guardie messe là… Lei è nota e temuta…».
   «Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo».
   «Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo-— io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete) — ci lasceranno fare tutto».
   «Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione».
   «Allora andate, che io vado».
   «Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella.
   «No. Tu va’ con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno.
   Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Né nessuno la ferma…

 3 Le altre la guardano andare, poi volgono le spalle alla biforcazione di vie dove erano e ne prendono un’altra, stretta e oscura, che poi si apre, in prossimità del Sisto, in una più vasta e aperta in cui sono belle case. Si dividono ancora, Salome e Susanna procedendo per la via, mentre Marta e Maria d’Alfeo bussano al portone ferrato e si mostrano al finestrino (spioncino) che il portinaio socchiude.
   Entrano e vanno da Giovanna che, già alzata e tutta vestita di un viola scurissimo che la fa ancora più pallida, manipola anche essa degli oli insieme alla nutrice e ad una servente.
   «Siete venute? Dio ve ne compensi. Ma, non foste venute, sarei andata da me… Per trovare conforto… Perché molte cose sono rimaste turbate dopo quel tremendo giorno. E per non sentirmi sola devo andare contro quella pietra e bussare e dire: “Maestro, sono la povera Giovanna… Non mi lasciare sola anche Tu…”».
   Giovanna piange piano ma con molta desolazione, mentre Ester, la nutrice, fa dei grandi segni indecifrabili dietro le spalle della padrona, intanto che le mette il mantello.
   «Io vado, Ester».
   «Dio ti conforti!».
 Escono dal palazzo per raggiungere le compagne. È in questo momento che avviene il breve e forte terremoto, che getta di nuovo nel panico i gerosolimitani, ancora terrorizzati dagli avvenimenti del Venerdì. Le tre donne tornano sui loro passi, precipitosamente, e nell’ampio vestibolo, fra le serve e i servi urlanti e invocanti il Signore, stanno paurose di nuove scosse…

 4… La Maddalena, invece, è proprio al limitare del viottolo che porta all’orto dell’Arimatea quando la coglie il boato potente, e pure armonico, di questo segno celeste, mentre, nella luce appena rosata dell’aurora che si avanza nel cielo, dove ancora a occidente resiste una tenace stella, e che fa bionda l’aria fino allora verdolina, si accende una grande luce, che scende come fosse un globo incandescente, splendidissimo, tagliando a zig-zag l’aria quieta.
   Maria di Magdala ne è quasi sfiorata e rovesciata al suolo. Si curva un momento mormorando: «Mio Signore!», e poi si raddrizza come uno stelo dopo il passar del vento e, ancora più ratta, corre verso l’ortaglia.
   Vi entra veloce, andando, come un uccello inseguito e cercante il nido, verso il sepolcro di roccia. Ma, per quanto vada veloce, non può essere là quando la celeste meteora fa da leva e da fiamma sul sigillo di calcina messo a rinforzo del pesante pietrone, né quando con fragore finale la porta di pietra cade, dando uno scuotio che si unisce a quello del terremoto che, se è breve, è di una violenza tale che atterra le guardie come morte.
   Maria, sopraggiungendo, vede questi inutili carcerieri del Trionfatore gettati al suolo come un fascio di spighe falciate. Maria Maddalena non riconnette il terremoto con la Risurrezione. Ma, vedendo quello spettacolo, crede che sia il castigo di Dio sui profanatori del Sepolcro di Gesù, e cade a ginocchio dicendo: «Ahimé! Lo hanno rapito!». È veramente desolata e piange come una bambina che sia venuta sicura di trovare il padre cercato e trovi invece vuota la dimora.

 5 Poi si alza e corre via per andare da Pietro e Giovanni. E, dato che più non pensa che ad avvisare i due, non ricorda di andare incontro alle compagne, di arrestarsi sulla via, ma veloce come una gazzella ripassa per la strada già fatta, supera la porta Giudiziaria e vola per le strade che sono un poco più animate, si abbatte contro il portone della casa ospitale e lo batte e lo scuote furiosamente.
   Le apre la padrona. «Dove sono Giovanni e Pietro?», chiede affannosa Maria Maddalena.
   «Là», e la donna indica il Cenacolo.
   Maria di Magdala entra e, appena è dentro, davanti ai due stupiti dice, e nella voce tenuta bassa per pietà della Madre è più affanno che se avesse urlato, dice: «Hanno portato via il Signore dal Sepolcro! Chissà dove lo hanno messo!», e per la prima volta traballa e vacilla e, per non cadere, si afferra dove può.
   «Ma come? Che dici?», chiedono i due.
   E lei, con affanno: «Sono andata avanti… per comperare le guardie… perché ci lasciassero fare. Loro sono là come morte… Il Sepolcro è aperto, la pietra per terra… Chi? Chi sarà stato? Oh! venite! Corriamo…».
   Pietro e Giovanni si avviano subito. Maria li segue per qualche passo. Poi torna indietro. Afferra la padrona di casa, la scrolla, violenta nel suo previdente amore, e le fischia in volto: «Guardati bene da far passare nessuno da Lei (e accenna la porta della stanza di Maria). Ricòrdati che io sono la tua padrona. Ubbidisci e taci». E poi la lascia esterrefatta e raggiunge gli apostoli, che a gran passi vanno verso il Sepolcro…

 6… Susanna e Salome, intanto, lasciate le compagne e raggiunte le mura, vengono colte dal terremoto. Impaurite, si rifugiano sotto una pianta e stanno là, combattute fra la smania di andare verso il Sepolcro e quella di scappare presso Giovanna. Ma l’amore vince la paura e vanno verso il Sepolcro.
   Entrano ancora sbigottite nell’ortaglia e vedono le guardie tramortite… vedono una grande luce uscire dal Sepolcro aperto. Si aumenta il loro sbigottimento e finisce di farsi completo quando, tenendosi per mano per farsi coraggio a vicenda, si affacciano sulla soglia e, nel buio della grotta sepolcrale, vedono una creatura luminosa e bellissima, dolcemente sorridente, salutarle dal posto dove sta: appoggiata a destra della pietra dell’unzione, che si annulla col suo grigio dietro a tanto incandescente splendore. Cadono a ginocchi, sbalordite di stupore.
   Ma l’angelo dolcemente parla loro: «Non abbiate timore di me. Sono l’angelo del divino Dolore. Sono venuto per bearmi della fine di esso. Più non è il dolore del Cristo, il suo avvilimento nella morte. Gesù di Nazaret, il Crocifisso che voi cercate, è risorto. Non è più qui! Vuoto è il posto dove era deposto. Giubilate con me. Andate. Dite a Pietro e ai discepoli che Egli è risorto e vi precede in Galilea. Là lo vedrete ancora per poco, secondo che ha detto».
   Le donne cadono col volto a terra e quando lo alzano fuggono come fossero inseguite da un castigo. Sono terrorizzate e mormorano: «Ora morremo! Abbiamo visto l’angelo del Signore!».
   Si calmano un poco in aperta campagna e si consigliano. Che fare? Se dicono ciò che hanno visto, non saranno credute. Se dicono anche di venire di là, possono essere accusate dai giudei di aver ucciso le guardie. No. Non possono dire nulla, né agli amici, né ai nemici…
   Pavide, ammutolite, tornano da altra via verso casa. Entrano e si rifugiano nel Cenacolo. Neppure chiedono di vedere Maria… E là pensano che quanto hanno visto non sia che un inganno del Demonio. Umili come sono, giudicano che «non può essere che a loro sia stato concesso di vedere il messo di Dio. È Satana che le ha volute impaurire per allontanarle di là».
 Piangono e pregano come due bambine impaurite da un incubo…

 7… Il terzo gruppo, quello di Giovanna, Maria d’Alfeo e Marta, visto che nulla succede di nuovo, si decide ad andare là dove certo le compagne attendono. Escono nelle strade, dove ormai vi è gente impaurita, che commenta il nuovo terremoto e lo ricollega ai fatti del Venerdì e vede anche quello che non c’è.
   «Meglio se sono tutti spauriti! Forse lo saranno anche le guardie e non faranno eccezioni», dice Maria d’Alfeo. E vanno svelte verso le mura.

 8 Ma, mentre loro vanno là, all’ortaglia sono già giunti Pietro e Giovanni, seguiti dalla Maddalena. E Giovanni, più svelto, giunge per primo al Sepolcro. Le guardie non ci sono più. E più non c’è l’angelo.
   Giovanni si inginocchia, timoroso e dolente, sulla soglia spalancata, e per venerare e per cogliere qualche indizio dalle cose che vede. Ma non vede che ammucchiati per terra i pannilini messi sopra la sindone. «Non c’è proprio, Simone! Maria ha visto bene. Vieni, entra, guarda».
   Pietro, col fiato grosso per il gran correre fatto, entra nel Sepolcro. Aveva detto per via: «Io non oserò accostarmi a quel posto». Ma ora non pensa altro che a scoprire dove può essere il Maestro. E lo chiama anche, come Egli potesse essere nascosto in qualche angolo buio.
   L’oscurità, in questa ora mattutina, è ancora forte nel pro­fondo del Sepolcro, a cui dà luce solo la piccola apertura della porta su cui ora fanno ombra Giovanni e la Maddalena… E Pietro stenta a vedere, e deve aiutarsi con le mani a vedere… Tocca, e trema, il tavolo dell’unzione e lo sente vuoto…
   «Non c’è, Giovanni! Non c’è!… Oh! vieni anche tu! Io ho tanto pianto che non ci vedo quasi in questa poca luce».
   Giovanni si alza in piedi ed entra. E, mentre lo fa, Pietro scopre il sudario posto in un angolo, ben piegato e con dentro la sindone arrotolata con cura.
   «Lo hanno proprio rapito. Le guardie erano non per noi, ma per fare questo… E noi l’abbiamo lasciato fare. Coll’andarcene lo abbiamo permesso!…».
   «Oh! dove lo avranno messo?».
   «Pietro! Pietro! Ora… è proprio finita!».
   I due discepoli escono annientati.
   «Andiamo, donna. Tu lo dirai alla Madre…».
   «Io non vengo via. Sto qui… Qualcuno verrà… Oh! io non vengo… Qui c’è ancora qualcosa di Lui. Aveva ragione la Madre… Respirare l’aria dove Egli fu è l’unico sollievo che ci resta».
   «L’unico sollievo… Ora lo vedi tu pure che era fola sperare…», dice Pietro.
 Maria neppure risponde. Si accascia al suolo, proprio presso la porta, e piange, mentre gli altri vanno via lentamente.

 9 Poi alza il capo e guarda dentro, e fra le lacrime vede due angeli seduti a capo e a piedi della pietra dell’unzione. È tanto intontita la povera Maria, nella sua più fiera battaglia fra la speranza che muore e la fede che non vuole morire, che li guarda inebetita, senza neppure stupirsene. Non ha più altro che lacrime la forte che a tutto ha resistito da eroina.
   «Perché piangi, donna?», chiede uno dei due luminosi fanciulli, perché di adolescenti bellissimi hanno l’aspetto.
   «Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove me lo hanno messo».
   Maria non ha paura a parlare con loro, non chiede: «Chi siete?». Nulla. Nulla più le fa stupore. Tutto quanto può stupire una creatura ella lo ha già subito. Ora non è che una cosa spezzata che piange senza vigore e ritegno.
   Il giovinetto angelico guarda il compagno e sorride. E l’altro pure. E in un balenare di letizia angelica ambedue guardano fuori, verso l’ortaglia tutta in fiore per i milioni di corolle che si sono aperte al primo sole sui meli fitti del pometo.

 10Maria si volta per vedere chi guardano. E vede un Uomo, bellissimo, che non so come non possa riconoscere subito. Un Uomo che la guarda con pietà e le chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». È vero che è un Gesù offuscato dalla sua pietà verso la creatura, che le troppe emozioni hanno sfinita e che potrebbe morire per improvvisa gioia, ma proprio mi chiedo come possa non riconoscerlo.
   E Maria fra i singhiozzi: «Mi hanno preso il Signore Gesù! Ero venuta per imbalsamarlo in attesa che sorgesse… Ho tenuto raccolto tutto il mio coraggio e la mia speranza e la mia fede intorno al mio amore… e ora non lo trovo più… Anzi ho messo il mio amore intorno alla fede, alla speranza e al coraggio, per difendere questi dagli uomini… Ma è tutto inutile! Gli uomini hanno rubato il mio Amore e con esso tutto mi hanno levato… O mio signore, se sei tu che lo hai portato via, dimmi dove lo hai messo. Ed io lo prenderò… Non lo dirò a nessuno… Sarà un segreto fra me e te. Guarda: sono la figlia di Teofilo, la sorella di Lazzaro, ma ti sto in ginocchio davanti a supplicarti, come una schiava. Vuoi che ti compri il suo Corpo? Lo farò. Quanto vuoi? Sono ricca. Posso darti tant’oro e gemme per quanto esso pesa. Ma rendimelo. Non ti denuncerò. Vuoi percuotermi? Fallo. A sangue, se vuoi. Se hai un odio per Lui, fallo scontare a me. Ma rendimelo. Oh! non mi fare povera di questa miseria, o mio signore! Pietà di una povera donna!… Per me non vuoi? Per sua Madre, allora. Dimmi! Dimmi dove è il mio Signore Gesù. Sono forte. Lo prenderò fra le braccia e lo porterò come un bambino in salvo. Signore… signore… tu lo vedi… da tre giorni siamo percossi dall’ira di Dio per quello che fu fatto al Figlio di Dio… Non aggiungere Profanazione a Delitto…».
   «Maria!». Gesù sfavilla nel chiamarla. Si svela nel suo fulgore trionfante.
 «Rabboni!». Il grido di Maria è veramente “il grande grido” che chiude il ciclo della morte. Col primo le tenebre dell’odio fasciarono la Vittima di bende funebri, col secondo le luci del­l’amore aumentarono il suo splendore. E Maria si alza nel grido che empie l’ortaglia, corre ai piedi di Gesù, li vorrebbe baciare.
   Gesù la scosta toccandola appena col sommo delle dita presso la fronte: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e di’ loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro». E Gesù scompare, assorbito da una luce insostenibile.

 11Maria bacia il suolo dove Egli era e corre verso casa. Entra come un razzo, perché il portone è socchiuso per dare passaggio al padrone che esce per andare alla fonte; apre la porta della stanza di Maria e le si abbandona sul cuore gridando: «È risorto! È risorto!», e piange beata.
   E mentre accorrono Pietro e Giovanni, e dal Cenacolo avanzano le spaurite Salome e Susanna e ascoltano il suo racconto, ecco entrare anche, dalla via, Maria d’Alfeo con Marta e Giovanna, che a fiato mozzo dicono di «essere anche loro state là e di avere visto due angeli che si dicevano il Custode dell’Uomo Dio e l’angelo del suo Dolore, e che hanno dato loro l’ordine di dire ai discepoli che Egli era risorto». E poiché Pietro scrolla il capo, insistono dicendo: «Sì. Hanno detto: “Perché cercate il Vivente fra i morti? Egli non è qui. È risorto, come disse quando ancora era in Galilea. Non ricordate? Disse: ‘Il Figlio del­l’uo­mo deve essere dato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso. Ma il terzo giorno risusciterà'”».
   Pietro scrolla il capo dicendo: «Troppe cose in questi giorni! Ne siete rimaste turbate».
   La Maddalena alza il capo dal petto di Maria e dice: «L’ho visto! Gli ho parlato. Mi ha detto che sale al Padre e poi viene. Come era bello!», e piange come non ha mai pianto, ora che non ha più da torturare se stessa per fare forza contro il dubbio sorgente da ogni lato.
   Ma Pietro, e anche Giovanni, restano molto dubbiosi. Si guardano, ma il loro occhio dice: «Immaginazione di donne!».
   Anche Susanna e Salome osano allora parlare. Ma la stessa inevitabile diversità nei particolari delle guardie che prima ci sono come morte e poi non ci sono, degli angeli che ora sono uno e ora due e che agli apostoli non si sono mostrati, delle due versioni sul venire qui di Gesù o sul precedere i suoi in Galilea, fa sì che il dubbio e, anzi, la persuasione degli apostoli cresca sempre più.

 12Maria, la Madre beata, tace sorreggendo la Maddalena… Non comprendo il mistero di questo silenzio materno.
   Maria d’Alfeo dice a Salome: «Torniamo là noi due. Vediamo se siamo tutte ebbre…». E corrono fuori.
   Le altre restano, pacatamente derise dai due apostoli, presso Maria che tace, assorta in un pensiero che tutti interpretano a modo loro, e nessuno comprende che è estasi.
   Tornano le due attempate donne: «È vero! È vero! Noi lo abbiamo visto. Ci ha detto, presso l’orto di Barnaba: “La pace a voi. Non temete. Andate a dire ai miei fratelli che sono risorto e che vadano fra qualche giorno in Galilea. Là staremo ancora insieme”. Così ha detto. Maria ha ragione. Bisogna dirlo a quelli di Betania, a Giuseppe, a Nicodemo, ai discepoli più fidi, ai pastori, andare, fare, fare… Oh! è risorto!…», piangono tutte beate.
   «Folli siete, donne. Il dolore vi ha turbate. La luce vi è parsa angelo. Il vento voce. Il sole il Cristo. Io non vi critico. Vi capisco, ma non posso che credere che a ciò che io ho visto: il Sepolcro aperto e vuoto, e le guardie fuggite col Cadavere involato».
   «Ma se lo dicono le guardie stesse che è risorto! Se la città è in subbuglio e i principi dei Sacerdoti sono folli d’ira, perché le guardie hanno parlato fuggendo esterrefatte! Ora vogliono che dicano diverso e le pagano perciò. Ma già si sa. E se i giudei non credono alla Risurrezione, non vogliono credere, molti altri credono…».
   «Uhm! Le donne!…». Pietro alza le spalle e fa per andarsene.

 13Allora la Madre, che ha sempre sul cuore la Maddalena che piange come un salice sotto un’acquata per la sua troppo grande gioia e che la bacia sui capelli biondi, alza il viso trasfigurato e dice una breve frase: «È realmente risorto. Io l’ho avuto fra le braccia e ne ho baciato le Piaghe». E poi si curva sui capelli dell’appassionata e dice: «Sì, la gioia è ancora più forte del dolore. Ma non è che una briciola di rena di quello che sarà il tuo oceano di gioia eterna. Te beata che sopra la ragione hai fatto parlare lo spirito».
   Pietro non osa più negare… e con uno di quei trapassi del Pietro antico, che ora ritorna ad affiorare, dice, e urla, come se dagli altri e non da lui dipendesse il ritardo: «Ma allora, se è così, bisogna farlo sapere agli altri. A quelli dispersi per le campagne… cercare… fare… Su, muovetevi. Se dovesse proprio venire… che ci trovi almeno», e non si accorge che ancora confessa di non credere ciecamente alla sua Risurrezione.

   Cap. DCXXV. Apparizione ai discepoli di Emmaus.

   5 aprile 1945.
 
 1 Per una strada montuosa due uomini, di media età, vanno lesti volgendo le spalle a Gerusalemme, le cui alture scompaiono sempre più dietro le altre che si susseguono con ondulazioni di cime e di valli continue.
   Parlano fra di loro. E il più anziano dice all’altro, che avrà un trentacinque anni al massimo: «Credi che è stato meglio fare così. Io ho famiglia e tu ce l’hai. Il Tempio non scherza. Vuole proprio farla finita. Avrà ragione? Avrà torto? Non lo so. So che in esso è chiaro il pensiero di finirla per sempre con tutto questo».
   «Con questo delitto, Simone. Dàgli il nome giusto. Perché almeno delitto lo è».
   «Secondo. In noi l’amore fa lievito contro il Sinedrio. Ma forse… chissà!».
   «Niente. L’amore illumina. Non porta all’errore».
   «Anche il Sinedrio, anche i sacerdoti e i capi amano. Loro amano Jeovè, Colui che tutto Israele ha amato da quando il patto fu stretto fra Dio e i Patriarchi. Allora pure ad essi l’amo­re è luce e non porta errore!».
   «Non è amore per il Signore il loro. Sì. Israele da secoli è in quella Fede. Ma dimmi. Puoi dire che è ancora una fede quella che ci dànno i capi del Tempio, i farisei, gli scribi, i sacerdoti? Tu lo vedi. Con l’oro sacro al Signore — già si sapeva, o almeno si sospettava che ciò avvenisse — con l’oro sacro al Signore essi hanno pagato il Traditore e ora pagano le guardie. Il primo perché tradisse il Cristo, le seconde perché mentano. Oh! Io non so come la Potenza eterna si sia limitata a scardinare le muraglie e a lacerare il Velo! Ti dico che io avrei voluto che sotto le macerie seppellisse i nuovi filistei. Tutti!».
   «Clofa! Tu saresti tutto vendetta».
   «Vendetta sarei. Perché, ammettiamo che Egli fosse solo un profeta, è egli lecito uccidere un innocente? Perché innocente era! Lo hai mai visto fare uno dei delitti di cui fu accusato per ucciderlo?».
   «No. Nessuno.

 2 Però un errore lo ha fatto».
   «Quale, Simone?».
   «Quello di non sprigionare potenza dall’alto della sua Croce. Per confermare la nostra fede e per punire gli increduli sacrileghi. Egli doveva raccogliere la sfida e scendere di Croce».
   «Ha fatto di più. È risorto».
   «Sarà poi vero? Risorto come? Con lo Spirito solo o con lo Spirito e la Carne?».
   «Ma lo spirito è eterno! Non ha bisogno di risorgere!», esclama Cleofa.
   «Lo so anche io. Volevo dire: se è risorto con la sua unica natura di Dio, superiore ad ogni insidia dell’uomo. Perché ora il suo spirito fu insidiato col terrore dall’uomo. Hai sentito, eh? Marco ha detto che nel Getsemani, dove Egli andava a pregare contro un masso, è tutto sangue. E Giovanni, che ha parlato con Marco, gli ha detto: “Non far calpestare quel luogo, perché è sangue sudato dall’Uomo Dio”. Se ha sudato sangue prima della tortura, deve ben avere avuto terrore di essa!».
   «Nostro povero Maestro!…».
   Tacciono afflitti.

 3 Li raggiunge Gesù e chiede: «Di chi parlavate? Sentivo nel silenzio le vostre parole a intervalli. Chi fu ucciso?».
   È un Gesù velato sotto una apparenza modesta di povero viandante frettoloso. I due non lo ravvisano.
   «Sei d’altri luoghi, uomo? Non sostasti in Gerusalemme? La tua veste polverosa ed i sandali così ridotti ci paiono di instancabile pellegrino».
   «Lo sono. Vengo da molto lontano…».
   «Stanco sarai, allora. E vai lontano?».
   «Molto, ancora più di quanto Io ne venga».
   «Hai commerci da fare? Mercati?».
   «Ho da acquistare un numero sterminato di greggi per il più grande Signore. Tutto il mondo devo girare per scegliere pecore e agnelli, e scendere anche fra greggi selvatiche che pure, quando saranno rese domestiche, saranno migliori di quelle che selvatiche ora non sono».
   «Difficile lavoro. E hai proseguito senza sostare in Gerusalemme?».
   «Perché lo chiedete?».
   «Perché tu solo sembri ignorare quanto in essa è accaduto in questi giorni».
   «Che vi è accaduto?».
   «Tu vieni da lontano e perciò forse non sai. Ma la tua parlata è pure galilea. Perciò, anche se servo di un re straniero o figlio di galilei espatriati, saprai, se sei circonciso, che da tre anni nella patria nostra era sorto un grande profeta di nome Gesù di Nazaret, potente in opere e in parole davanti a Dio e agli uomini, che andava predicando per tutto il Paese. E si diceva il Messia. Le sue parole e le sue opere erano realmente da Figlio di Dio, come Egli si diceva. Ma solo da Figlio di Dio. Tutto Cielo… Ora tu sai perché…

 4 Ma sei circonciso?».
   «Primogenito sono e sacro al Signore».
   «Allora sai la nostra Religione?».
   «Non ne ignoro una sillaba. Conosco i precetti e gli usi. L’halascia, il midrascia e l’aggada mi sono note come gli elementi dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della luce, che sono i primi a cui tende l’intelligenza, l’istinto, il bisogno dell’uomo che da poco è nato da seno».
   «Orbene, allora tu sai che Israele ebbe promesso il Messia, ma come re potente che avrebbe riunito Israele. Questo invece così non era…».
   «Come, dunque?».
   «Egli non mirava a terreno potere. Ma di un regno eterno e spirituale si diceva re. Egli non ha riunito, ma anzi ha scisso Israele, perché ora esso è diviso fra coloro che in Lui credono e coloro che malfattore lo dicono. In verità, di re non aveva stoffa, perché voleva solo mitezza e perdono. E come soggiogare e vincere con queste armi?…».
   «E allora?».
   «E allora i capi dei Sacerdoti e gli Anziani d’Israele lo presero e lo hanno giudicato reo di morte… accusandolo, per verità, di colpe non vere. Sua colpa era essere troppo buono e troppo severo…».
   «Come poteva, se era l’uno, essere l’altro?».
   «Poteva, perché era troppo severo nel dire le verità ai Capi d’Israele e troppo buono nel non fare su essi miracolo di morte, fulminando i suoi ingiusti nemici».
   «Severo come il Battista era?».
   «Ecco… non saprei. Duramente rimproverava, specie negli ultimi tempi, scribi e farisei, e minacciava quelli del Tempio come segnati dall’ira di Dio. Ma poi, se uno era peccatore e si pentiva, ed Egli vedeva nel suo cuore vero pentimento, perché il Nazareno leggeva nei cuori meglio che uno scriba nel testo, allora era più dolce di una madre».
   «E Roma ha permesso fosse ucciso un innocente?».
   «Lo ha condannato Pilato… Ma non voleva e lo diceva “Giusto”. Ma di accusarlo a Cesare lo minacciarono ed ebbe paura.

 5 Insomma fu condannato alla croce e vi morì. E questo, insieme al timore dei sinedristi, ci ha molto avviliti. Perché io sono Clofé figlio di Clofé e questo è Simone, ambedue di Emmaus, e parenti, perché io sono lo sposo della sua prima figlia, e discepoli del Profeta eravamo».
   «E ora più non lo siete?».
   «Noi speravamo che sarebbe Lui che libererebbe Israele e anche che, con un prodigio, confermasse le sue parole. Invece!…».
   «Che parole aveva dette?».
   «Te lo abbiamo detto: “Io sono venuto al Regno di Davide. Io sono il Re pacifico” e così via. E diceva: “Venite al Regno”, ma poi non ci ha dato il regno. E diceva: “Il terzo giorno risorgerò”. Ora è il terzo giorno che è morto. Anzi è già compiuto, perché l’ora di nona è già trascorsa, e Lui non è risorto. Delle donne e delle guardie dicono che sì, è risorto. Ma noi non lo abbiamo visto. Dicono le guardie, ora, che così hanno detto per giustificare il furto del cadavere fatto dai discepoli del Nazareno. Ma i discepoli!… Noi lo abbiamo tutti lasciato per paura mentre era vivo… e non certo lo abbiamo rapito ora che è morto. E le donne… chi ci crede ad esse? Noi ragionavamo di questo. E volevamo sapere se Egli si è inteso di risorgere solo con lo Spirito tornato divino, o se anche con la Carne. Le donne dicono che gli angeli — perché dicono di avere visto anche gli angeli dopo il terremoto, e può essere, perché già il venerdì sono apparsi i giusti fuori dai sepolcri — dicono che gli angeli hanno detto che Egli è come uno che non è mai morto. E tale infatti alle donne parve di vederlo. Ma però due di noi, due capi, sono andati al Sepolcro. E, se lo hanno visto vuoto, come le donne hanno detto, non hanno visto Lui, né lì, né altrove. Ed è una grande desolazione, perché non sappiamo più che pensare!».

 6 «Oh! come siete stolti e duri nel comprendere! e come lenti nel credere alle parole dei profeti! E non era ciò stato detto? L’errore di Israele è questo: dell’avere male interpretato la regalità del Cristo. Per questo Egli non fu creduto. Per questo Egli fu temuto. Per questo ora voi dubitate. In alto, in basso, nel Tempio e nei villaggi, ovunque si pensava ad un re secondo l’umana natura. La ricostruzione del regno d’Israele non era limitata, nel pensiero di Dio, nel tempo, nello spazio e nel mezzo, come fu in voi.
   Non nel tempo: ogni regalità, anche la più potente, non è eterna. Ricordate i potenti Faraoni che oppressero gli ebrei ai tempi di Mosè. Quante dinastie non sono finite, e di esse restano mummie senz’anima in fondo ad ipogei secreti! E resta un ricordo, se pur resta quello, del loro potere di un’ora, e anche meno, se misuriamo i loro secoli sul Tempo eterno. Questo Regno è eterno.
   Nello spazio. Era detto: regno di Israele. Perché da Israele è venuto il ceppo della razza umana; perché in Israele è, dirò così, il seme di Dio, e perciò, dicendo Israele, volevasi dire: il regno dei creati da Dio. Ma la regalità del Re Messia non è limitata al piccolo spazio della Palestina, ma si estende da settentrione a meridione, da oriente a occidente, dovunque è un essere che nella carne abbia uno spirito, ossia dovunque è un uomo. Come avrebbe potuto uno solo accentrare in sé tutti i popoli fra loro nemici e farne un unico regno senza spargere a fiumi il sangue e tenere tutti soggetti con crudeli oppressioni d’armati? E come allora avrebbe potuto essere il re pacifico di cui parlano i profeti?
   Nel mezzo: il mezzo umano, ho detto, è l’oppressione. Il mezzo sovrumano è l’amore. Il primo è sempre limitato, perché i popoli ben si rivoltano all’oppressore. Il secondo è illimitato, perché l’amore è amato o, se amato non è, è deriso. Ma, essendo cosa spirituale, non può mai essere direttamente aggredito. E Dio, l’Infinito, vuole mezzi che come Lui siano. Vuole ciò che finito non è perché eterno è: lo spirito; ciò che è dello spirito; ciò che porta allo Spirito. Questo è stato l’errore: di avere concepito nella mente un’idea messianica sbagliata nei mezzi e nella forma.
   Quale è la regalità più alta? Quella di Dio. Non è vero? Or dunque, questo Ammirabile, questo Emmanuele, questo Santo, questo Germe sublime, questo Forte, questo Padre del secolo futuro, questo Principe della pace, questo Dio come Colui dal quale Egli viene, perché tale è detto e tale è il Messia, non avrà una regalità simile a quella di Colui che lo ha generato? Sì, che l’avrà. Una regalità tutta spirituale ed eterna, pura da rapine e sangue, ignara di tradimenti e soprusi. La sua Regalità! Quella che la Bontà eterna concede anche ai poveri uomini, per dare onore e gioia al suo Verbo.

 7 Ma non è detto da Davide che questo Re potente ha avuto messa sotto i suoi piedi ogni cosa a fargli da sgabello? Non è detta da Isaia tutta la sua Passione e da Davide numerate, potrebbesi dire, anche le torture? E non è detto che Egli è il Salvatore e Redentore, che col suo olocausto salverà l’uomo peccatore?
   E non è precisato, e Giona ne è segno, che per tre giorni sarebbe ingoiato dal ventre insaziabile della Terra e poi ne sarebbe espulso come il profeta dalla balena? E non è stato detto da Lui: “Il Tempio mio, ossia il mio Corpo, il terzo dì dopo essere stato distrutto, sarà da Me (ossia da Dio) ricostruito”? E che pensavate? Che per magia Egli rialzasse le mura del Tempio? No. Non le mura. Ma Se stesso. E solo Dio poteva far sorgere Se stesso. Egli ha rialzato il Tempio vero: il suo Corpo di Agnello. Immolato, così come ne ebbe l’ordine e la profezia Mosè, per preparare il “passaggio” da morte a Vita, da schiavitù a libertà, degli uomini figli di Dio e schiavi di Satana.
   “Come è risorto?”, vi chiedete. Io rispondo: È risorto con la sua vera Carne e col suo divino Spirito che l’abita, come in ogni carne mortale è l’anima abitante regina nel cuore. Così è risorto dopo avere tutto patito per tutto espiare, e riparare all’Offesa primigenia e alle infinite che ogni giorno dall’Umanità vengono compite. È risorto come era detto sotto il velo delle profezie. Venuto al suo tempo, vi ricordo Daniele, al suo tempo fu immolato. E, udite e ricordate, al tempo predetto dopo la sua morte la città deicida sarà distrutta. 

 8 Io ve ne consiglio: leggete con l’anima, non con la mente superba, i profeti, dal principio del Libro alle parole del Verbo immolato; ricordate il Precursore che lo indicava Agnello; risovvenitevi quale era il destino del simbolico agnello mosaico. Per quel sangue furono salvati i primogeniti d’Israele. Per questo Sangue saranno salvati i primogeniti di Dio, ossia quelli che con la buona volontà si saranno fatti sacri al Signore. Ricordate e comprendete il messianico salmo di Davide e il messianico profeta Isaia. Ricordate Daniele, riportatevi alla memoria, ma alzando questa dal fango all’azzurro celeste, ogni parola sulla regalità del Santo di Dio, e comprenderete che altro segno più giusto non vi poteva essere dato più forte di questa vittoria sulla Morte, di questa Risurrezione da Se stesso compiuta.
   Ricordatevi che disforme alla sua misericordia e alla sua missione sarebbe stato il punire dall’alto della Croce coloro che su essa lo avevano messo. Ancora Egli era il Salvatore, anche se era il Crocifisso schernito e inchiodato ad un patibolo! Crocifisse le membra, ma libero lo spirito e il volere. E con questi volle ancora attendere, per dare tempo ai peccatori di credere e di invocare, non con urlo blasfemo, ma con gemito di contrizione, il suo Sangue su loro.

 9 Ora è risorto. Tutto ha compiuto. Glorioso era avanti la sua incarnazione. Tre volte glorioso lo è ora che, dopo essersi annichilito per tanti anni in una carne, ha immolato Se stesso, portando l’Ubbidienza alla perfezione del saper morire sulla croce per compiere la Volontà di Dio. Gloriosissimo, in un con la Carne glorificata, adesso che Egli ascende al Cielo ed entra nella Gloria eterna, iniziando il Regno che Israele non ha compreso.
 Ad esso Regno Egli, più che mai pressantemente, con l’amore e l’autorità di cui è pieno, chiama le tribù del mondo. Tutti, come videro e previdero i giusti di Israele ed i profeti, tutti i popoli verranno al Salvatore. E non vi saranno più Giudei o Romani, Sciti o Africani, Iberi o Celti, Egizi o Frigi. L’oltre Eufrate si unirà alle sorgenti del Fiume perenne. Gli iperborei a fianco dei numidi verranno al suo Regno, e cadranno razze e idiomi. Costumi e colori di pelle e capelli non avranno più luogo. Ma sarà uno sterminato popolo fulgido e candido, un unico linguaggio, un solo amore. Sarà il Regno di Dio. Il Regno dei Cieli. Monarca eterno: l’Immolato Risorto. Sudditi eterni: i credenti nella sua Fede. Vogliate credere per essere di esso.

 10Ecco Emmaus, amici. Io vado oltre. Non è concessa sosta al Viandante che tanta strada ha da fare».
   «Signore, tu sei istruito più di un rabbi. Se Egli non fosse morto, diremmo che Egli ci ha parlato. Ancora vorremmo udire da te altre e più estese verità. Perché ora, noi pecore senza pastore, turbate dalla bufera dell’odio d’Israele, più non sappiamo comprendere le parole del Libro. Vuoi che veniamo con te? Vedi, ci istruiresti ancora, compiendo l’opera del Maestro che ci fu tolto».
   «L’avete avuto per tanto e non vi poté fare completi? Non è questa una sinagoga?».
   «Sì. Io sono Cleofa, figlio di Cleofa il sinagogo, morto nella sua gioia di avere conosciuto il Messia».
   «E ancora non sei giunto a credere senza nube? Ma non è colpa vostra. Ancora dopo il Sangue manca il Fuoco. E poi crederete, perché comprenderete. Addio».
   «O Signore, già la sera si appressa e il sole si curva al suo declino. Stanco sei, e assetato. Entra. Resta con noi. Ci parlerai di Dio mentre divideremo il pane e il sale».

 11Gesù entra e viene servito, con la solita ospitalità ebraica, di bevande e acque per i piedi stanchi.
   Poi si mettono a tavola e i due lo pregano di offrire per loro il cibo.
   Gesù si alza tenendo sulle palme il pane e, alzati gli occhi al cielo rosso della sera, rende grazie del cibo e si siede. Spezza il pane e ne dà ai suoi due ospiti. E nel farlo si disvela per quello che Egli è: il Risorto. Non è il fulgido Risorto apparso agli altri a Lui più cari. Ma è un Gesù pieno di maestà, dalle piaghe ben nette nelle lunghe Mani: rose rosse sull’avorio della pelle. Un Gesù ben vivo nella sua Carne ricomposta. Ma anche ben Dio nella imponenza degli sguardi e di tutto l’aspetto.
   I due lo riconoscono e cadono in ginocchio… Ma, quando osano alzare il viso, di Lui non resta che il pane spezzato. Lo prendono e lo baciano. Ognuno prende il proprio pezzo e se lo mette, come reliquia, avvolto in un lino sul petto.
   Piangono dicendo: «Egli era! E non lo conoscemmo. Eppure non sentivi tu arderti il cuore nel petto mentre ci parlava e ci accennava le Scritture?».
   «Sì. E ora mi pare di vederle di nuovo. E nella luce che dal Cielo viene. La luce di Dio. E vedo che Egli è il Salvatore».

 12«Andiamo. Io non sento più stanchezza e fame. Andiamo a dirlo a quelli di Gesù, in Gerusalemme».
   «Andiamo. Oh! se il vecchio padre mio avesse potuto godere quest’ora!».
   «Ma non lo dire! Egli più di noi ne ha goduto. Senza il velo usato per pietà della nostra debolezza carnale, egli, il giusto Clofé, ha visto col suo spirito il Figlio di Dio rientrare nel Cielo. Andiamo! Andiamo! Giungeremo a notte alta. Ma, se Egli lo vuole, ci darà maniera di passare. Se ha aperto le porte di morte, ben potrà aprire le porte delle mura! Andiamo».
   E nel tramonto tutto porpureo vanno solleciti verso Gerusalemme.

   Cap. DCXXIX. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del sacerdozio e sui sacerdoti futuri.

   9 agosto 1944.
 
   […]
 1 Gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.
   Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.
   Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.
   Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di por­­gere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

 2 Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.
   Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.
   Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.
   Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente. Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite. In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

 3 Giovanni lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.
   Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.
   Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
   Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.
   Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

 4 L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.
   Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.
   Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
   Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.
   Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vie­ni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.
   Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
   «Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
   Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
   «Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
   Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
   Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.
   «Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
   Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.
   Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

 5 Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.
   «Mangiate, amici», dice Gesù.
   Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.
   Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.
   Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul Cuore e parla tenendolo così.

 6 «Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».
   Gesù appoggia molto su queste ultime parole.
   «Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».
   Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.
   «Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore? Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

 7 Amici, pensate alla vostra dignità di sacerdoti.
   Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?
   Ecco perché Io creo i sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio Sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della Morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete. Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa accieca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.
   Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!
   Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio. Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

 8 Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa Carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.
   Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.
   Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatasi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe. Al suo centro è il granello di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite al peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.
   Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

 9 Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio o mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo — che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia — usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia. Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?
   O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempo sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

 10Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo. Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.
   Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col lo­ro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo…
   E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e a maledire.
   Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci nella notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”. Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

 11Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No. Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori. La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!

 12Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppo rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane — anime umili e laiche — Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.
   Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

 13Alziamoci, amici, e venite meco, ché Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».
   E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.
   Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».
   E la visione finisce.

   Cap. DCXXXVIII. Ultimi ammaestramenti nel Getsemani e commiato. Ascensione di Gesù al Padre.

   24 aprile 1947.
 
 1 Gesù — è appena un rosare di aurora ad oriente — passeggia con sua Madre per le balze del Getsemani. Non vi sono parole, solo sguardi d’indicibile amore. Forse le parole sono già state dette. Forse non sono mai state dette. Hanno parlato le due anime: quella del Cristo, quella della Madre del Cristo. Ora è contemplazione d’amore, reciproca contemplazione. La conosce la natura rugiadosa, la pura luce del mattino, la conoscono le gentili creature di Dio che sono le erbe, i fiori, gli uccelli, le farfalle. Gli uomini sono assenti.

 2 Io mi sento persino a disagio ad esser presente a questo addio. «Signore, io non ne sono degna!», esclamo fra le lacrime che mi cadono, mirando l’ultima ora di unione terrena fra la Madre e il Figlio e pensando che siamo giunti al termine della amorosa fatica, tanto Gesù, che Maria, che il povero, piccolo, indegno fanciullo che Gesù ha voluto testimone di tutto il tempo messianico e che ha nome Maria, ma che Gesù ama chiamare «il piccolo Giovanni», o anche la «violetta della Croce».
   Sì. Piccolo Giovanni. Piccolo, perché sono un niente. Giovanni, perché sono proprio quella a cui Dio ha fatto grandi grazie, e perché, in misura infinitesimale — ma è tutto ciò che possiedo, e dando tutto ciò che possiedo so di dare in misura perfetta che accontenta Gesù, perché è il «tutto» del mio niente — e perché, in misura infinitesimale, io, come il grande Giovanni diletto, ho dato tutto il mio amore a Gesù e a Maria, condividendo con loro lacrime e sorrisi, seguendoli angosciata di vederli afflitti e di non poterli difendere dal livore del mondo a costo della mia stessa vita, ed ora palpitante del palpito del loro cuore per ciò che finisce per sempre…
   Violetta, sì. Una violetta che ha cercato di stare nascosta fra l’erbe perché Gesù non la schivasse, Egli che amava tutte le cose create perché opera del Padre suo, ma mi premesse sotto il suo piede divino, ed io potessi morire esalando il mio tenue profumo nello sforzo di addolcirgli il contatto con la terra scabra e dura. Violetta della Croce, sì. E il suo Sangue ha empito il mio calice sino a farlo piegare al suolo…
   Oh! mio Diletto che, prima, del tuo Sangue mi hai colmata, facendomi contemplare i tuoi Piedi feriti, inchiodati al legno, «… e ai piedi della croce era una pianticina di mammole in fiore, e gocciavano le stille del Sangue divino sulla pianticina di mammole in fiore…». Ricordo lontano e così sempre vicino e presente! Preparazione a ciò che poi fui: il tuo portavoce che ora è tutto asperso del tuo Sangue, dei tuoi sudori e lacrime, del pianto di Maria tua Madre, ma che anche conosce le tue parole, i tuoi sorrisi, tutto, tutto di Te, e non più di mammole odora ma di Te solo, Amore mio unico e solo, di quel profumo divino che cullò ieri sera il mio dolore e che viene su me, dolce come un bacio, consolatore come il Cielo stesso, e mi fa dimenticare tutto per vivere di Te solo…

 3 La tua promessa è in me. So che non ti perderò. Me lo hai promesso e la tua promessa è sincera: è di Dio. Ti avrò ancora, sempre. Solo se io peccassi di superbia, menzogna, disubbidienza, ti perderei, Tu lo hai detto, ma Tu lo sai che, con la tua Grazia a sostegno della mia volontà, io non voglio peccare, e spero di non peccare perché Tu mi sosterrai. Non sono una quercia, lo so. Sono una violetta. Uno stelo fragile che può piegare per il piede di un uccellino e anche per il peso di uno scarabeo. Ma Tu sei la mia forza, o Signore. E l’amore per Te è la mia ala.
   Non ti perderò. Me lo hai promesso. Verrai tutto per me, per dare gioia alla tua morente violetta. Ma non sono egoista, Signore. Tu lo sai. Tu sai che vorrei non vederti più io, ma che ti vedessero molti altri e credessero in Te. A me già tanto hai dato, e io non ne son degna. Veramente mi hai amata come Tu solo sai amare i tuoi figli diletti.

 4 Io penso come era dolce vederti «vivere», Uomo fra gli uomini. E penso che non ti vedrò più così. Tutto è stato visto e detto. So anche che Tu non ti cancellerai dal mio pensiero nelle tue azioni di Uomo fra gli uomini, e che non avrò bisogno di libri per ricordarti quale realmente fosti: basterà che io guardi dentro di me, dove tutta la tua vita è fissata a caratteri indelebili. Ma era dolce, dolce…
   Ora Tu ascendi… La Terra ti perde. Maria della Croce ti perde, Maestro Salvatore. Resterai a lei come Dio dolcissimo, e non più Sangue ma miele celeste verserai nel calice violaceo della tua violetta… Io piango… Sono stata tua discepola insieme alle altre per le vie montane, selvose, o aride, polverose della pianura, sul lago e presso il bel fiume, della tua Patria. Ora Tu te ne vai e non vedrò più altro che nel ricordo Betlem e Nazaret sui loro colli verdi d’ulivi, e Gerico ardente di sole e frusciante di palme, e Betania amica, e Engaddi perla smarrita nei deserti, e la Samaria bella, e le pianure opime di Saron e Esdrelon, e il bizzarro altopiano d’Oltre Giordano, e l’incubo del mar Morto, e le città solari della sponda mediterranea, e Gerusalemme, la città del tuo dolore, i suoi sali e scendi, gli archivolti, le piazze, i sobborghi, i pozzi e cisterne, i colli e persino la triste valle dei lebbrosi dove tanta tua misericordia si è effusa… E la casa del Cenacolo… la fontanella che piange lì presso… il ponticello sul Cedron, il luogo del tuo sudor sanguigno… il cortile del Pretorio…
   Ah, no! quel che è tuo dolore è qui. Resterà sempre… Dovrò ricercare tutti i ricordi per trovarli, ma la tua orazione nel Getsemani, la tua flagellazione, la tua ascesa al Golgota, la tua agonia e morte, e il dolore di tua Madre, no, non avrò da cercarli: sono presenti sempre. Forse li dimenticherò in Paradiso… e mi pare impossibile poterli dimenticare persino là… Tutto ricordo di quelle atroci ore. Persino la forma della pietra sulla quale sei caduto. Persino il boccio di rosa rossa che batteva, e pareva una goccia di sangue, sul granito, contro la chiusura del tuo sepolcro…
 Amore mio divinissimo, la tua Passione vive nel mio pensiero… e me se ne frange il cuore…
 
 5 L’aurora è sorta completamente. Già il sole è alto e gli apostoli fanno sentire le loro voci. È un segnale per Gesù e Maria. Si fermano. Si guardano, l’Uno di fronte all’Altra, e poi Gesù apre le braccia e accoglie sul petto sua Madre… Oh! era ben un Uomo, un Figlio di Donna! Per crederlo basta guardare questo addio! L’amore trabocca in pioggia di baci sulla Madre amatissima. L’amore copre di baci il Figlio amatissimo. Sembra non si possano più separare. Quando pare che stiano per farlo, un altro abbraccio li unisce ancora, e fra i baci parole di reciproca benedizione… Oh! è proprio il Figlio dell’uomo che lascia Colei che lo ha generato! È proprio la Madre che congeda, per renderla al Padre, la sua Creatura, il Pegno dell’Amore alla Purissima… Dio che bacia la Madre di Dio!…
   Infine la Donna, come creatura, si inginocchia ai piedi del suo Dio, che è pur suo Figlio, e il Figlio, che è Dio, impone le mani sul capo della Madre Vergine, dell’eterna Amata, e la benedice nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e poi si china e la rialza, deponendole un ultimo bacio sulla fronte bianca come petalo di giglio sotto l’oro dei capelli così giovanili ancora…
   Vanno di nuovo verso casa, e nessuno, vedendo con quale pacatezza procedono l’Uno a fianco dell’Altra, penserebbe a quell’onda di amore che li ha soverchiati poco prima. Ma quale differenza anche, in questo addio, dalla mestizia di altri addii ormai superati e dallo strazio dell’addio della Madre al Figlio ucciso che doveva essere lasciato solo nel Sepolcro!… In questo, se pure gli occhi sono lucidi del naturale pianto di chi si sta per separare dall’Amato, le labbra sorridono nella gioia di sapere che questo Amato va nella Dimora che alla sua Gloria si conviene…

 6 «Signore! Là fuori sono, fra il monte e Betania, tutti quelli che Tu avevi detto a tua Madre di voler benedire oggi», dice Pietro.
   «Va bene. Ora andremo da loro. Ma prima venite. Voglio dividere ancora con voi il pane».
   Entrano nella stanza dove dieci giorni prima erano le donne per la cena del quattordicesimo giorno del secondo mese. Maria accompagna Gesù sino là, poi si ritira. Restano Gesù e gli undici.
   Sulla tavola vi è della carne arrostita, formaggelli e ulive piccole e nere, una piccola anfora di vino e una più grande d’acqua e dei larghi pani. Tavola semplice, non apparecchiata per una cerimonia di lusso, ma solo per necessità di cibo.
   Gesù offre e fa le parti. È al centro fra Pietro e Giacomo d’Al­feo. Li ha chiamati Lui a quei posti. Giovanni, Giuda d’Alfeo e Giacomo gli sono di fronte, e Tommaso, Filippo, Matteo a un lato, Andrea, Bartolomeo e lo Zelote sull’altro. Così tutti possono vedere il loro Gesù… Pasto breve, silenzioso. Gli apostoli, giunti all’ultimo giorno di vicinanza con Gesù, e nonostante le successive apparizioni, collettive o singole, dalla Risurrezione in poi, tutte amore, non hanno mai più perduto quel venerabondo ritegno che ha caratterizzato i loro incontri con Gesù Risorto.
   Il pasto è finito.

 7 Gesù apre le mani al di sopra della tavola, col suo atto abituale davanti ad un fatto ineluttabile, e dice:
   «Ecco. È venuta l’ora che Io debbo lasciarvi per tornare al Padre mio. Ascoltate le ultime parole del vostro Maestro.
   Non allontanatevi da Gerusalemme in questi giorni. Lazzaro, al quale ho parlato, ha provveduto una volta ancora a fare realtà i desideri del suo Maestro e cede a voi la casa dell’ultima Cena, perché abbiate una dimora nella quale raccogliere l’adunanza e raccogliervi in preghiera. State là dentro in questi giorni e pregate assiduamente per prepararvi alla venuta dello Spirito Santo, che vi completerà per la vostra missione. Ricordatevi che Io, che pure ero Dio, mi sono preparato con una severa penitenza al mio ministero di Evangelizzatore. Sempre più facile e sempre più breve sarà la vostra preparazione. Ma non esigo altro da voi. Mi basta solo che preghiate assiduamente, in unione coi settantadue e sotto la guida di mia Madre, che vi raccomando con premura di Figlio. Ella vi sarà Madre e Maestra di amore e sapienza perfetta.
   Avrei potuto mandarvi altrove per prepararvi a ricevere lo Spirito Santo, ma voglio invece che qui rimaniate, perché è Gerusalemme negatrice che deve stupire per la continuazione dei prodigi divini, dati a risposta delle sue negazioni. Dopo, lo Spirito Santo vi farà comprendere la necessità che la Chiesa sorga proprio in questa città che, giudicando umanamente, è la più indegna di averla. Ma Gerusalemme è sempre Gerusalemme, anche se il peccato la colma e se qui si è compiuto il deicidio. Nulla gioverà per essa.-È condannata. Ma, se condannata essa è, non tutti condannati sono i suoi cittadini. State qui per i pochi giusti che essa ha nel suo seno, e state qui perché questa è la città regale e la città del Tempio, e perché, come è predetto dai profeti, qui, dove è stato unto e acclamato e innalzato il Re Messia, qui deve avere inizio il suo regno sul mondo, e qui ancora, dove da Dio ha libello di ripudio la sinagoga per i suoi troppo orrendi delitti, deve sorgere il Tempio nuovo al quale accorreranno genti d’ogni nazione.
   Leggete i profeti. In essi tutto è predetto. Mia Madre prima, poscia lo Spirito Paraclito, vi faranno comprendere le parole dei profeti per questo tempo.

 8 Rimanete qui sino a quando Gerusalemme ripudierà voi come mi ha ripudiato e odierà la mia Chiesa come ha odiato Me, covando disegni per sterminarla. Allora portatela altrove, la sede di questa mia Chiesa diletta, perché essa non deve perire. Io ve lo dico: neppur l’inferno prevarrà su essa. Ma, se Dio vi assicura la sua protezione, non tentate il Cielo esigendo tutto dal Cielo. Andate in Efraim come vi andò il vostro Maestro perché non era l’ora di esser preso dai nemici. Vi dico Efraim per dirvi terra di idoli e pagani. Ma non sarà Efraim di Palestina che dovete eleggere a sede della Chiesa mia. Ricordatevi quante volte, a voi uniti o a un di voi singolarmente, ho parlato di questo, predicendovi che avreste dovuto calcare le vie della Terra per giungere al cuore di essa e là fissare la mia Chiesa. È dal cuore dell’uomo che il sangue si propaga per tutte le membra. È dal cuore del mondo che il Cristianesimo si deve propagare a tutta la Terra.
   Per ora la mia Chiesa è simile a creatura già concepita ma che ancora si forma nella matrice. Gerusalemme è la sua matrice, e nel suo interno il cuore ancor piccolo, intorno al quale si radunano le poche membra della Chiesa nascente, dà le sue piccole onde di sangue a queste membra. Ma, giunta l’ora che Dio ha segnata, la matrice matrigna espellerà la creatura formatasi nel suo seno, ed essa andrà in una terra nuova, e là crescerà divenendo grande Corpo, esteso a tutta la Terra, e i battiti del forte cuore della Chiesa si propagheranno a tutto il gran Corpo. I battiti del cuor della Chiesa, affrancatasi da ogni legame col Tempio, eterna e vittoriosa sulle rovine del Tempio perito e distrutto, vivente nel cuore del mondo, a dire ad ebrei e gentili che Dio solo trionfa e vuole ciò che vuole, e che né livore di uomini né schiere di idoli arrestano il suo volere.
   Ma questo verrà poi, e in quel tempo voi saprete cosa fare. Lo Spirito di Dio vi condurrà. Non temete. Per ora raccogliete in Gerusalemme la prima adunanza dei fedeli. Poi altre adunanze si formeranno più il numero di essi crescerà. In verità vi dico che i cittadini del mio Regno aumenteranno rapidamente come semi gettati in ottima terra. Il mio popolo si propagherà per tutta la Terra. Il Signore dice al Signore: “Siccome Tu hai fatto questo e per Me non ti sei risparmiato, Io ti benedirò e moltiplicherò la tua stirpe come le stelle del cielo e come le arene che sono sul lido del mare. La tua progenie possederà la porta dei suoi nemici e nella tua progenie saranno benedette tutte le nazioni della Terra”. Benedizione è il mio Nome, il mio Segno e la mia Legge, là dove sono conosciuti sovrani.

 9 Sta per venire lo Spirito Santo, il Santificatore, e voi ne sarete ripieni. Fate d’esser puri come tutto quello che deve avvicinare il Signore. Ero Signore Io pure come Esso. Ma avevo indossato sulla mia Divinità una veste per potere stare fra voi, e non solo per ammaestrarvi e redimervi con gli organi e il sangue di essa veste, ma anche per portare il Santo dei santi fra gli uomini, senza la sconvenienza che ogni uomo, anche impuro, potesse posare gli occhi su Colui che temono di mirare i Serafini. Ma lo Spirito Santo verrà senza velo di carne e si poserà su voi e scenderà in voi coi suoi sette doni e vi consiglierà. Ora, il consiglio di Dio è cosa così sublime che occorre prepararsi ad esso con una volontà eroica di una perfezione che vi faccia somiglianti al Padre vostro e al vostro Gesù, e al vostro Gesù nei suoi rapporti col Padre e con lo Spirito Santo. Quindi, carità perfetta e purezza perfetta, per poter comprendere l’Amore e riceverlo sul trono del cuore.

 10Perdetevi nel gorgo della contemplazione. Sforzatevi di dimenticare che siete uomini e sforzatevi a mutarvi in serafini. Lanciatevi nella fornace, nelle fiamme della contemplazione. La contemplazione di Dio è simile a scintilla che scocca dall’urto della selce contro l’acciarino e suscita fuoco e luce. È purificazione il fuoco che consuma la materia opaca e sempre impura e la trasmuta in fiamma luminosa e pura.
   Non avrete il Regno di Dio in voi se non avrete l’amore. Perché il Regno di Dio è l’amore, e appare con l’Amore, e per l’Amore si instaura nei vostri cuori in mezzo ai fulgori di una luce immensa che penetra e feconda, leva le ignoranze, dà le sapienze, divora l’uomo e crea il dio, il figlio di Dio, il mio fratello, il re del trono che Dio ha preparato per coloro che si dànno a Dio per avere Dio, Dio, Dio, Dio solo. Siate dunque puri e santi per l’orazione ardente che santifica l’uomo, perché lo immerge nel fuoco di Dio che è la carità.
   Voi dovete essere santi. Non nel senso relativo che questa parola aveva sinora, ma nel senso assoluto che Io ho dato alla stessa proponendovi la santità del Signore per esempio e limite, ossia la santità perfetta. Fra noi è chiamato santo il Tempio, santo il luogo dove è l’altare, Santo dei santi il luogo velato dove è l’arca e il propiziatorio. Ma in verità vi dico che coloro che possiedono la Grazia e vivono in santità per amor del Signore sono più santi del Santo dei santi, perché Dio non si posa soltanto su essi, come sul propiziatorio che è nel Tempio per dare i suoi ordini, ma abita in essi per dare ad essi i suoi amori.

 11Ricordate le mie parole dell’ultima Cena? Vi avevo promesso allora lo Spirito Santo. Ecco, Egli sta per venire a battezzarvi non già con l’acqua, come ha fatto con voi Giovanni preparandovi a Me, ma col fuoco per prepararvi a servire il Signore così come Egli vuole da voi. Ecco, Egli sarà qui, di qui a non molti giorni. E dopo la sua venuta le vostre capacità aumenteranno senza misura, e voi sarete capaci di comprendere le parole del vostro Re e fare le opere che Egli vi ha detto di fare per estendere il suo Regno sulla Terra».
   «Ricostruirai allora, dopo la venuta dello Spirito Santo, il Regno d’Israele?», gli chiedono interrompendolo.
   «Non ci sarà più Regno d’Israele. Ma il mio Regno. Ed esso sarà compiuto quando il Padre ha detto. Non sta a voi di sapere i tempi e i momenti che il Padre si è riservato in suo potere. Ma voi, intanto, riceverete la virtù dello Spirito Santo che verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, in Giudea, e in Samaria, e sino ai confini della Terra, fondando le adunanze là dove siano uomini riuniti nel mio Nome; battezzando le genti nel Nome Ss. del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, così come vi ho detto, perché abbiano la Grazia e vivanonel Signore; predicando il Vangelo a tutte le creature, insegnando ciò che vi ho insegnato, facendo ciò che vi ho comandato di fare. Ed Io sarò con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo.

 12E questo voglio ancora. Che a presiedere l’adunanza di Gerusalemme sia Giacomo, fratello mio. Pietro, come capo di tutta la Chiesa, dovrà sovente intraprendere viaggi apostolici, perché tutti i neofiti desidereranno conoscere il Pontefice capo supremo della Chiesa. Ma grande sarà l’ascendente che sui fedeli di questa prima Chiesa avrà il fratello mio. Gli uomini sono sempre uomini e vedono da uomini. Parrà loro che Giacomo sia una continuazione di Me, solo perché mi è fratello. In verità Io dico che più grande, e somigliante al Cristo, egli è per sapienza che per parentela. Ma così è. Gli uomini, che non mi cercavano mentre ero fra loro, ora cercheranno Me in colui che mi è parente. Tu, poi, Simon Pietro, sei destinato ad altri onori…».
   «Che non merito, Signore. Te lo dissi quando mi apparisti e ancor te lo dico alla presenza di tutti. Tu sei buono, divinamente buono, oltreché sapiente, e giustamente hai giudicato me, che ti ho rinnegato in questa città, non adatto ad esserne il capo spirituale. Tu mi vuoi risparmiare da tanti giusti scherni…».
   «Tutti fummo uguali meno due, Simone. Io pure sono fuggito. Non per questo, ma per le ragioni che ha detto, il Signore ha destinato me a questo posto; ma tu sei il mio Capo, Simone di Giona, ed io tale ti riconosco, e alla presenza del Signore e di tutti i compagni ti professo ubbidienza. Ti darò ciò che posso per aiutarti nel tuo ministero, ma, te ne prego, dammi i tuoi ordini, perché tu sei il Capo ed io il suddito. Quando il Signore mi ha ricordato un discorso lontano, io ho chinato il capo dicendo: “Sia fatto ciò che Tu vuoi”. Così lo dirò a te dal momento che, avendoci lasciati il Signore, tu ne sarai il Rappresentante in Terra. E ci ameremo aiutandoci nel ministero sacerdotale», dice Giacomo inchinandosi dal suo posto per rendere omaggio a Pietro.
   «Sì. Amatevi fra voi, aiutandovi scambievolmente, perché questo è il comandamento nuovo e il segno che voi siete veramente di Cristo.

 13Non turbatevi per nessuna ragione. Dio è con voi. Voi potete fare ciò che Io voglio da voi. Non vi imporrei delle cose che non potreste fare, perché non voglio la vostra rovina, ma anzi la vostra gloria. Ecco. Io vado a preparare il vostro posto a fianco del mio trono. State uniti a Me e al Padre nell’amore. Perdonate al mondo che vi odia. Chiamate figli e fratelli quelli che vengono a voi, o già sono con voi per amor mio.
   State nella quiete di sapermi sempre pronto ad aiutarvi a portare la vostra croce. Io sarò con voi nelle fatiche del vostro ministero e nell’ora delle persecuzioni, e non perirete, non soccomberete, anche se ciò sembrerà a quelli che vedono con gli occhi del mondo. Sarete gravati, addolorati, stanchi, torturati, ma il mio gaudio sarà in voi, perché Io vi aiuterò in ogni cosa. In verità vi dico che, quando avrete ad Amico l’Amore, capirete che ogni cosa subìta e vissuta per amor mio diviene leggera, anche se è tortura pesante del mondo. Perché a colui che riveste ogni sua azione, volontaria o impostagli, di amore, muta il giogo della vita e del mondo in giogo a lui dato da Dio, da Me. Ed Io vi ripeto che il mio carico è sempre proporzionato alle vostre forze e il mio giogo è leggero perché Io vi aiuto a portarlo.

 14Voi lo sapete che il mondo non sa amare. Ma voi d’ora in poi amate il mondo di amor soprannaturale, per insegnargli ad amare. E se vi diranno, vedendovi perseguitati: “Così vi ama Dio? Facendovi soffrire, dandovi dolore? Allora non merita conto esser di Dio”, rispondete: “Il dolore non viene da Dio. Ma Dio lo permette, e noi ne sappiamo la ragione e ci gloriamo di avere la parte che ebbe Gesù Salvatore, Figlio di Dio”. Rispondete: “Noi ci gloriamo di esser confitti alla croce e di continuare la Passione del nostro Gesù”. Rispondete con le parole della Sapienza: “La morte e il dolore sono entrati nel mondo per invidia del demonio, ma Dio non è autore della morte e del dolore e non gode del dolore dei viventi. Tutte le cose di Lui sono vita e tutte sono salutari”. Rispondete: “Al presente noi sembriamo perseguitati e vinti, ma nel giorno di Dio, cambiate le sorti, noi giusti, perseguitati sulla Terra, staremo gloriosi davanti a coloro che ci vessarono e disprezzarono”. Però anche dite loro: “Venite a noi! Venite alla Vita e alla Pace. Il nostro Signore non vuole la vostra rovina, ma la salute vostra. Per questo ha dato il suo Figlio diletto, acciò voi tutti foste salvati”.

 15E rallegratevi di partecipare ai patimenti miei per poter poi essere con Me nella gloria. “Io sarò la vostra ricompensa oltremodo grande”, promette in Abramo il Signore a tutti i suoi servi fedeli. Voi sapete come si conquista il Regno dei Cieli: con la forza, e vi si giunge attraverso a molte tribolazioni. Ma colui che persevera come Io ho perseverato sarà dove Io sono.
   Io ve l’ho detto quale è la via e la porta che conducono nel Regno dei Cieli, e Io per primo ho camminato per quella e sono tornato al Padre per quella. Se ve ne fosse un’altra ve l’avrei insegnata, perché ho pietà della vostra debolezza d’uomini. Ma non ve ne è un’altra… Indicandovela come unica via e unica porta, anche vi dico, vi ripeto quale è la medicina che dà forza per percorrerla ed entrare. È l’amore. Sempre l’amore. Tutto diviene possibile quando in noi è l’amore. E tutto l’amore vi darà l’Amore che vi ama, se voi chiederete in Nome mio tanto amore da divenire atleti nella santità.

 16Ora diamoci il bacio d’addio, o amici miei dilettissimi».
   Si alza per abbracciarli. Tutti lo imitano. Ma, mentre Gesù ha un sorriso pacifico, di una bellezza veramente divina, essi piangono, tutti turbati, e Giovanni, abbandonandosi sul petto di Gesù, scuotendosi tutto nei singhiozzi che gli rompono il petto tanto sono laceranti, chiede, per tutti, intuendo il desiderio di tutti: «Dacci almeno il tuo Pane, che ci fortifichi in quest’ora!».
   «Così sia!», gli risponde Gesù. E preso un pane lo spezza dopo averlo offerto e benedetto, ripetendo le parole rituali. E lo stesso fa col vino, ripetendo poi: «Fate questo in memoria di Me», aggiungendo: «che vi ho lasciato questo pegno del mio amore per essere ancora e sempre con voi sinché voi sarete con Me in Cielo».
   Li benedice e dice: «Ed ora andiamo».

 17Escono dalla stanza, dalla casa…
   Giona, Maria e Marco sono lì fuori, e si inginocchiano adorando Gesù.
   «La pace resti con voi. E vi compensi il Signore di quanto mi avete dato», dice Gesù benedicendoli nel passare.
   Marco si alza dicendo: «Signore, gli uliveti lungo la via di Betania sono pieni di discepoli che ti attendono».
   «Va’ a dire loro che si dirigano al campo dei Galilei».
   Marco sfreccia via con tutta la velocità delle sue giovani gambe.
   «Sono venuti tutti, allora», dicono gli apostoli fra loro.

 18Più là, seduta fra Marziam e Maria Cleofe, è la Madre del Signore. E si alza vedendolo venire, adorandolo con tutto il palpito del suo cuore di Madre e di fedele.
   «Vieni, Madre, anche tu, Maria…», invita Gesù vedendole ferme, inchiodate dalla sua maestà che sfolgora come nel mattino della Risurrezione. Ma Gesù non vuole opprimere con questa sua maestà, e domanda, affabilmente, a Maria d’Alfeo: «Sei tu sola?».
   «Le altre… le altre sono avanti… Coi pastori e… con Lazzaro e tutta la sua famiglia… Ma ci hanno lasciate qui noi, perché… Oh! Gesù! Gesù! Gesù!… Come farò a non vederti più, Gesù benedetto, Dio mio, io che ti ho amato prima ancor che fossi nato, io che ho tanto pianto per Te quando non sapevo dove eri dopo la strage… io che ho avuto il mio sole nel tuo sorriso da quando sei tornato, e tutto, tutto il mio bene?… Quanto bene! Quanto bene mi hai dato!… Ora sì che divento veramente povera, vedova, sola!… Finché c’eri Tu, c’era tutto!… Credevo di aver conosciuto tutto il dolore quella sera… Ma il dolore stesso, tutto quel dolore di quel giorno mi aveva inebetita e… sì, era meno forte di ora… E poi… c’era che risorgevi. Mi pareva di non crederlo, ma mi accorgo adesso che lo credevo, perché non sentivo questo che sento ora…», piange e ansima, tanto il pianto la soffoca.
   «Maria buona, ti affliggi proprio come un bambino che crede che la madre non lo ami e l’abbia abbandonato, perché è andata in città a comperargli doni che lo faranno felice, e che presto sarà a lui di ritorno per coprirlo di carezze e di regali. E non faccio così Io con te? Non vado per prepararti la gioia? Non vado per tornare a dirti: “Vieni, parente e discepola diletta, madre dei miei diletti discepoli”? Non ti lascio il mio amore? Te lo dono il mio amore, Maria! Tu lo sai se ti amo! Non piangere così, ma giubila, perché non mi vedrai più vilipeso e affaticato, non più inseguito e ricco solo dell’amore di pochi. E col mio amore ti lascio mia Madre. Giovanni le sarà figlio, ma tu siile buona sorella come sempre. Vedi? Ella non piange, la Madre mia. Ella sa che, se la nostalgia di Me sarà la lima che consumerà il suo cuore, l’attesa sarà sempre breve rispetto alla grande gioia di una eternità di unione, e sa anche che non sarà questa separazione nostra così assoluta da farle dire: “Non ho più Figlio”. Quello era il grido di dolore del giorno del dolore. Ora nel suo cuore canta la speranza: “Io so che mio Figlio sale al Padre, ma non mi lascerà senza i suoi spirituali amori”. Così credi tu, e tutti…

 19Ecco gli altri e le altre. Ecco i miei pastori».
   I volti di Lazzaro e delle sorelle framezzo a tutti i servi di Betania, il volto di Giovanna simile a rosa sotto un velo di pioggia, e quello di Elisa e di Niche, già segnati dall’età — e ora le rughe si approfondiscono per la pena, sempre pena per la creatura anche se l’anima giubila per il trionfo del Signore — e quello di Anastasica, e i volti liliali delle prime vergini, e l’ascetico volto di Isacco, e quello ispirato di Mattia, e il volto virile di Mannaen, e quelli austeri di Giuseppe e Nicodemo… Volti, volti, volti…
   Gesù chiama a Sé i pastori, Lazzaro, Giuseppe, Nicodemo, Mannaen, Massimino e gli altri dei settantadue discepoli. Ma tiene vicino specialmente i pastori dicendo loro:
 «Qui. Voi vicini al Signore che era venuto dal Cielo, curvi sul suo annichilimento, voi vicini al Signore che al Cielo ritorna, con gli spiriti gioenti della sua glorificazione. Avete meritato questo posto, perché avete saputo credere contro ogni circostanza in sfavore e avete saputo soffrire per la vostra fede. Io vi ringrazio del vostro amore fedele.
   Tutti vi ringrazio. Tu, Lazzaro amico. Tu Giuseppe e tu Nicodemo, pietosi al Cristo quando esserlo poteva essere grande pericolo. Tu Mannaen, che hai saputo disprezzare i sozzi favori di un immondo per camminare nella mia via. Tu, Stefano, fiorita corona di giustizia, che hai lasciato l’imperfetto per il perfetto e sarai coronato di un serto che ancor non conosci ma che
 ti annunceranno gli angeli. Tu Giovanni, per breve tempo fratello al seno purissimo e venuto alla Luce più che alla vista. Tu Nicolai, che proselite hai saputo consolarmi del dolore dei figli di questa nazione. E voi discepole buone e forti, nella vostra dolcezza, più di Giuditta.

 20E tu Marziam, mio fanciullo, e d’ora in poi prendi il nome di Marziale, a ricordo del fanciullo romano ucciso per via e deposto al cancello di Lazzaro col cartiglio di sfida: “E ora di’ al Galileo che ti resusciti, se è il Cristo e se è risorto”, ultimo degli innocenti che in Palestina persero la vita per servire Me anche incoscientemente, e primo degli innocenti di ogni nazione che, venuti al Cristo, saranno per questo odiati e spenti anzitempo, come bocci di fiori strappati allo stelo prima che s’aprano in fiore. E questo nome, o Marziale, ti indichi il tuo destino futuro: sii apostolo in barbare terre e conquistale al tuo Signore come il mio amore conquistò il fanciullo romano al Cielo.

 21Tutti, tutti benedetti da Me in questo addio, invocandovi dal Padre la ricompensa di coloro che hanno consolato il doloroso cammino del Figlio dell’uomo.
   Benedetta l’Umanità nella sua porzione eletta che è nei giudei come nei gentili, e che si è manifestata nell’amore che ebbe per Me.
   Benedetta la Terra con le sue erbe e i suoi fiori, i suoi frutti che mi hanno dato diletto e ristoro tante volte. Benedetta la Terra con le sue acque e i suoi tepori, per gli uccelli e gli animali che molte volte superarono l’uomo nel dare conforto al Figlio dell’uomo. Benedetto tu, sole, e tu mare, e voi monti, colline, pianure. Benedette voi, stelle che mi siete state compagne nella notturna preghiera e nel dolore. E tu, luna, che mi hai fatto lume all’andare nel mio pellegrinaggio di Evangelizzatore.
  Tutte, tutte benedette, voi, creature, opere del Padre mio, mie compagne in quest’ora mortale, amiche a Colui che aveva lasciato il Cielo per togliere alla tribolata Umanità i triboli della Colpa che separa da Dio.
   E benedetti anche voi, strumenti innocenti della mia tortura: spine, metalli, legno, canape ritorte, perché mi avete aiutato a compiere la Volontà del Padre mio!».
   Che voce tonante ha Gesù! Si spande nell’aria tepida e cheta come voce di un bronzo percosso, si propaga in onde sul mare di volti che lo guardano da ogni direzione.

 22Io dico che sono delle centinaia di persone quelle che circondano Gesù che ascende, coi più diletti, verso la cima del­l’Uli­veto. Ma Gesù, giunto vicino al campo dei Galilei, vuoto di tende in questo periodo fra l’una e l’altra festa, ordina ai discepoli: «Fate fermare la gente dove è, e poi seguitemi».
   Sale ancora, sino alla cima più alta del monte, quella che è già più prossima a Betania, che domina dall’alto, che non a Gerusalemme. Stretti a Lui la Madre, gli apostoli, Lazzaro, i pastori e Marziam. Più in là, a semicerchio a tenere indietro la folla dei fedeli, gli altri discepoli.

 23Gesù è in piedi su una larga pietra un poco sporgente, biancheggiante fra l’erba verde di una radura. Il sole lo investe facendo biancheggiare come neve la sua veste e rilucere come oro i suoi capelli. Gli occhi sfavillano di una luce divina.
   Apre le braccia in un gesto di abbraccio. Pare voglia stringersi al seno tutte le moltitudini   della Terra che il suo spirito vede rappresentate in quella turba.
   La sua indimenticabile, inimitabile voce dà l’ultimo comando: «Andate! Andate in mio Nome ad evangelizzare le genti sino agli estremi confini della Terra. Dio sia con voi. Il suo amore vi conforti, la sua luce vi guidi, la sua pace dimori in voi sino alla vita eterna».
   Si trasfigura in bellezza. Bello! Bello come e più che sul Tabor. Cadono tutti in ginocchio adorando. Egli, mentre già si solleva dalla pietra su cui posa, cerca ancora una volta il volto di sua Madre, e il suo sorriso raggiunge una potenza che nessuno potrà mai rendere… È il suo ultimo addio alla Madre.
   Sale, sale… Il sole, ancor più libero di baciarlo, ora che nessuna fronda anche lieve intercetta il cammino ai suoi raggi, colpisce dei suoi fulgori il Dio-Uomo che ascende col suo Corpo Ss. al Cielo, e ne svela le Piaghe gloriose che splendono come rubini vivi. Il resto è un perlaceo ridere di luce. È veramente la Luce che si manifesta per ciò che è, in quest’ultimo istante come nella notte natalizia. Sfavilla il Creato della luce del Cristo che ascende. Luce che supera quella del sole. Luce sovrumana e beatissima. Luce che scende dal Cielo incontro alla Luce che sale… E Gesù Cristo, il Verbo di Dio, dispare alla vista degli uomini in questo oceano di splendori…
   In terra due unici rumori nel silenzio profondo della folla estatica: il grido di Maria quando Egli scompare: «Gesù!», e il pianto di Isacco. Gli altri sono ammutoliti di religioso stupore, e restano là, come in attesa, finché due luci angeliche candidissime, in forma mortale, appaiono dicendo le parole riportate nel capo primo degli Atti Apostolici.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Gv 21, 1-14: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete».

Vangelo Gv 21 1-14
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla.
Quando già era l’alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri.
Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po’ del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti.


Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXXIII. Apparizione sulle rive del lago e conferimento del mandato a Pietro.

   19 aprile 1947.

 1 Una notte calma e afosa. Non tira un respiro di vento. Le stelle, larghe e palpitanti, gremiscono il cielo sereno. Il lago, calmo e immobile tanto da parere una vastissima vasca al riparo dei venti, riflette sulla sua superficie la gloria di quel cielo palpitante d’astri. Le piante lungo le rive sono un blocco senza fremiti. Così calmo il lago che il suo fiotto sulla riva si riduce ad un fruscio lievissimo. Qualche barca al largo, appena visibile come forma vagante, che talora mette una stellina a poca distanza dall’onda col suo lumino legato all’albero della vela a rischiarare l’interno del piccolo scafo.
   Non so quale punto del lago sia. Direi in quello più meridionale, là dove il lago si appresta a ritornar fiume. Alla periferia di Tarichea, direi, non perché io veda la città, che un ammasso d’alberi mi nasconde, protendendosi nel lago a fare un piccolo promontorio collinoso, ma perché così giudico dalle stelline dei lumi delle barche, che si allontanano verso nord staccandosi dalle sponde del lago. Dico periferia perché un mucchietto di casupole, che son tanto poche da non poter costituire neppure un villaggio, sono riunite lì, ai piedi del piccolo promontorio. Case povere, quasi sul lido, certo di pescatori.
   Delle barche in secco sulla piccola spiaggia; altre, già pronte a navigare, presso riva, nell’acqua, e così ferme da parer confitte al suolo, anziché galleggianti.

 2 Da una casupola Pietro sporge il capo. La luce tremolante di un fuoco acceso nella cucina fumosa illumina da tergo la figura atticciata dell’apostolo, facendola risaltare come un disegno. Guarda il cielo, guarda il lago… Viene avanti sino al limite del lido. Poi — è con una tunica corta e a piedi scalzi — entra nell’acqua sino a mezza coscia e carezza il bordo di una barca, protendendo il braccio muscoloso.
   Lo raggiungono i figli di Zebedeo.
   «Bella notte».
   «Fra poco ci sarà la luna».
   «Sera di pesca».
   «Coi remi però».
   «Non c’è vento».
   «Che si fa?».
   Parlano adagio, a frasi staccate, come uomini usi alla pesca e alle manovre delle vele e delle reti, che richiedono attenzione e perciò poche parole.
   «Sarebbe bene andare. Venderemmo parte della pesca».
   Vengono a raggiungerli sulla riva Andrea, Tommaso e Bartolomeo.
   «Che calda questa notte!», esclama Bartolomeo.
   «Farà tempesta? Vi ricordate quella notte?», chiede Tommaso.
   «Oh! no! Calmeria, nebbie forse, ma non tempesta. Io… Io vado a pescare. Chi viene con me?».
   «Veniamo tutti. Forse si starà meglio là in mezzo», dice Tom­maso che suda, e aggiunge: «Occorreva alla donna quel fuoco, ma è come fossimo stati alle terme calde…».
   «Vado a dirlo a Simone. È tutto solo là», dice Giovanni.

 3 Pietro già prepara la barca insieme ad Andrea e Giacomo.
   «Andiamo sino a casa? Una sorpresa per mia madre…», chiede Giacomo.
   «No. Non so se posso far venire Marziam. Prima di… della… Sì, insomma! Prima di andare a Gerusalemme — si era ancora ad Efraim — il Signore mi disse di voler fare la seconda Pasqua con Marziam. Ma poi non mi ha detto altro…».
   «A me pare che abbia detto di sì», dice Andrea.
   «Sì. La seconda Pasqua, sì. Ma farlo venire prima non so se vuole. Ho fatto tanti sbagli che… Oh! vieni anche tu?».
   «Sì, Simone di Giona. Mi ricorderà molte cose questa pesca…».
   «Eh! a tutti ricorderà molte cose… E cose che non torneranno più… Si andava col Maestro in questa barca, sul lago… E io le volevo bene come fosse una reggia, e mi pareva di non poter vivere senza di essa. Ma ora che Lui non c’è più, nella barca… ecco… ci sono dentro e non ne ho gioia», dice Pietro.
   «Nessuno più ha gioia delle cose passate. Non è più la stessa vita. E anche a guardare indietro… fra quelle ore passate e quelle presenti c’è in mezzo quel tempo orrendo…», sospira Bartolomeo.
   «Pronti. Venite. Tu al timone e noi ai remi. Andiamo verso la curva di Ippo. È posto buono. Su! Op! Su! Op!».
   Pietro dà la voga e la barca scivola sull’acqua cheta, Bartolomeo al timone. Tommaso e lo Zelote a far da garzoni, pronti a gettar le reti che preparano stese. Si alza la luna, ossia supera i monti di Gadara (se non erro) o Gamala, insomma quelli che sono sulla costa orientale ma verso il sud del lago, e il lago ne riceve il raggio, che fa un strada di diamanti sull’acque chete.
   «Ci accompagnerà sino al mattino».
   «Se non viene foschia».
   «I pesci lasciano il fondo attirati dalla luna».
   «Se faremo buona pesca, bene sarà. Perché non abbiamo più denaro. Compreremo pane e porteremo a quelli sul monte pesce e pane».
   Parole lente, con pause lunghe fra l’una e l’altra voce.
   «Voghi bene, Simone. Non hai perso la vogata!…», ammira lo Zelote.
   «Sì…

 4 Maledizione!».
   «Ma che hai?», chiedono gli altri.
   «Ho… Ho che il ricordo di quell’uomo mi perseguita da per tutto. Mi ricordo di quel giorno che si faceva con due barche a chi vogava meglio, e lui…».
   «Io invece pensavo che una delle prime volte che ebbi la visione del suo abisso di perfidia, fu quella volta che incontrammo, anzi, che scontrammo le barche dei romani. Ricordate?», dice lo Zelote.
   «Eh! se si ricorda! Mah!… Lui lo difendeva… e noi… fra le difese del Maestro e le doppiezze del… del nostro, non si comprese mai bene…», dice Tommaso.
   «Uhm! Io più di una volta… Ma diceva: “Non giudicare, Simone!”».
   «Il Taddeo lo ebbe sempre in sospetto».
   «Quello che io non riesco a credere è che costui non ne abbia saputo mai nulla», dice Giacomo urtando col gomito suo fratello. Ma Giovanni tace curvando il capo.
   «Ormai puoi dire…», dice Tommaso.
   «Mi sforzo di dimenticare. Così ne ho avuto ordine. Perché mi volete fare disubbidire?».
   «Hai ragione. Lasciamolo stare», difende lo Zelote.

 5 «Calate le reti. Adagio… Vogate voi. Voga lento. Curva a sinistra, Bartolmai. Accosta. Vira. Accosta. Vira. Stesa la rete? Sì? Su i remi e attendiamo», comanda Pietro.
   Come è bello il dolce lago nella pace della notte, sotto il bacio della luna! Paradisiaco tanto è puro. La luna vi si specchia in pieno dal cielo e lo fa di diamante, la sua fosforescenza trema sui colli, li disvela, fa di neve le città delle rive…
   Ogni tanto estraggono la rete. Una cascata arpeggiante di diamanti sull’argento del lago. Vuota. La immergono di nuovo. Si spostano. Non hanno fortuna…
   Le ore passano. La luna tramonta, mentre la luce dell’alba si fa strada, incerta, verd’azzurra… Una foschia di caldo fuma verso le rive, specie verso l’estremità sud del lago. Tiberiade se ne vela e se ne vela Tarichea. Nebbia bassa, poco compatta, che il primo sole scioglierà. Per evitarla preferiscono costeggiare il lato d’oriente dove essa è meno fitta, mentre a ovest, venendo dall’acquitrino che è oltre Tarichea sulla riva destra del Giordano, essa si affittisce come l’acquitrino fumasse. Vogano attenti per evitare qualche pericolo del fondale, essi pratici del lago.

 6 «Voi, della barca! Avete niente da mangiare?». Una voce maschile viene dalla riva. Una voce che li fa sussultare.
   Ma scrollano le spalle, rispondendo forte: «No»; e poi fra loro: «Ci pare sempre di sentirlo!…».
   «Gettate le reti a destra della barca e troverete».
   La destra è verso il largo. Gettano la rete, un poco perplessi. Scosse, peso che fa piegare la barca dal lato dove è la rete.
   «Ma questo è il Signore!», grida Giovanni.
   «Il Signore, dici?», chiede Pietro.
   «E ne hai dubbio? Ci è parsa la sua voce, ma questa ne è la prova. Guarda la rete! È come quella volta! È Lui, ti dico! Oh! Gesù mio! Dove sei?».
   Tutti aguzzano lo sguardo a forare i veli della nebbia, dopo aver bene assicurata la rete per trascinarla nella scia della barca, posto che volerla issare è pericolosa manovra, e remano per andare a riva. Ma Tommaso deve prendere il remo di Pietro che, infilata in fretta e furia la breve tunica sulle brachette cortissime che erano il suo unico vestimento, come è quello degli altri meno Bartolomeo, si è gettato a nuoto nel lago e fende a grandi bracciate l’acqua cheta, precedendo la barca e mettendo per primo il piede sulla spiaggetta deserta, dove su due pietre al riparo da un cespuglio spinoso luccica un fuoco di sterpi. E lì, vicino al fuoco, è Gesù, sorridente e benigno.
   «Signore! Signore!». Pietro ha il fiato grosso dall’emozione e non può dire altro. Grondante d’acqua come è, non osa toccare neppur la veste del suo Gesù, e sta prostrato sull’arena con la tunica incollata addosso, adorando.
 La barca sfrega sul greto e si ferma. Tutti sono in piedi, agitati dalla gioia…

 «Portate qua di quei pesci. Il fuoco è pronto. Venite e mangiate», ordina Gesù.
   Pietro corre alla barca e aiuta a issare la rete, e afferra nel mucchio guizzante tre grossi pesci e li sbatte sull’orlo della barca per ucciderli e li sbuzza col suo coltello. Ma gli tremano le mani, oh! non di freddo! Li sciacqua, li porta là dove è il fuoco e ve li aggiusta sopra, sorvegliandoli nella cottura. Gli altri stanno adorando il Signore, un poco lontani da Lui, timorosi come sempre di Lui che è, Risorto, così divinamente potente.
   «Ecco. Qui è il pane. Avete lavorato tutta la notte e siete stanchi. Ora vi rifocillerete. È pronto, Pietro?».
   «Sì, mio Signore», dice Pietro con una voce ancor più roca del solito, curvo sul fuoco, e si asciuga gli occhi che gocciano, come se il fumo li facesse piangere irritandoli insieme alla gola. Ma non è il fumo che dà quella voce e quelle lacrime…
   Porta il pesce che ha steso su una foglia rasposa, pare una foglia di zucca e gliel’ha portata Andrea dopo averla sciacquata nel lago.
   Gesù offre e benedice, spezza il pane e i pesci e li distribuisce facendone otto parti e gustandone Lui pure. Mangiano con la riverenza con cui compirebbero un rito. Gesù li guarda e sorride. Ma tace Egli pure sinché chiede: «Dove sono gli altri?».
   «Sul monte. Dove hai detto. E noi si è venuti per pescare, perché non si ha più denaro e non vogliamo abusare dei discepoli».
   «Fate bene. Però d’ora in avanti voi apostoli starete sul monte in orazione, edificando con l’esempio i discepoli. Mandate quelli a pescare. Voi è bene che rimaniate là in preghiera e per ascoltare quelli che hanno bisogno di consiglio o possono venire a darvi delle notizie. Teneteli uniti molto i discepoli. Presto ver­rò».
   «Lo faremo, Signore».
   «Marziam non è con te?».
   «Non me lo avevi detto di farlo venire così subito».
   «Fàllo venire. La sua ubbidienza è finita».
   «Lo farò venire, Signore».

 8 Un silenzio. Poi Gesù, che era stato un poco a capo chino, pensando, alza la testa e figge gli sguardi su Pietro. Lo guarda col suo sguardo delle ore di più forte miracolo e impero. Pietro ne ha un trasalimento quasi di paura e si getta un poco indietro… Ma Gesù, posando una mano sulla spalla di Pietro, lo trattiene fortemente e gli chiede, tenendolo così: «Simone di Giona, mi ami tu?».
   «Certo, Signore! Tu lo sai che ti amo», risponde Pietro sicuro.
   «Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
 «Sì, mio Signore. E Tu lo sai che ti amo». La voce è meno baldanzosa, è anzi un poco stupita per la ripetizione di quella domanda.
   «Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
   «Signore… Tu sai tutto… Tu sai se io ti amo…», gli trema la voce a Pietro, che è sicuro del suo amore ma che ha l’impressione non ne sia sicuro Gesù.
   «Pasci le mie pecorelle. La tua triplice professione d’amore ha cancellato la tua triplice negazione. Sei tutto puro, Simone di Giona, ed Io ti dico: assumi la veste ponteficale e porta la Santità del Signore in mezzo al mio gregge. Cingiti le vesti alla cintura e tienile cinte sinché da Pastore tu pure diverrai agnello. In verità ti dico che, quando eri più giovane, da te ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai invecchiato stenderai le mani ed un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Ora però sono Io che ti dico: “Cingiti e seguimi sulla mia stessa via”. Alzati e vieni».
   Si alza Gesù e si alza Pietro, andando verso la riva, e gli altri si danno a spegnere il fuoco soffocandolo sotto la rena.

 9 Ma Giovanni, raccolti i resti del pane, segue Gesù. Pietro sente lo scalpiccìo dei passi e volge il capo. Vede Giovanni e chiede, accennandolo a Gesù: «E di questo che avverrà?».
   «Se Io voglio che resti finché Io non ritorni, che te ne importa? Tu seguimi».
   Sono sulla riva. Pietro vorrebbe ancora parlare: l’imponenza di Gesù, le parole sentite lo trattengono. Si inginocchia, imitato dagli altri, e adora. Gesù li benedice e congeda. Essi salgono in barca e si allontanano remando. Gesù li guarda andare.

   Cap. DCXXIX. Apparizione agli apostoli con Tommaso. Discorso sulla dignità del sacerdozio e sui sacerdoti futuri.

   9 agosto 1944.
 
   […]
 1 Gli apostoli sono raccolti nel Cenacolo. Intorno alla tavola dove fu consumata la Pasqua. Però, per rispetto, il posto centrale, quello di Gesù, è stato lasciato vuoto.
   Anche gli apostoli, ora che non c’è più chi li accentra e distribuisce per volere proprio e per elezione d’amore, si sono messi diversamente. Pietro è ancora al suo posto. Ma al posto di Giovanni è ora Giuda Taddeo. Poi viene il più anziano degli apostoli, che non so ancora chi sia, poi Giacomo, fratello di Giovanni, quasi all’angolo del tavolo dalla parte destra, secondo me che guardo. Vicino a Giacomo, ma sul lato corto del tavolo, è seduto Giovanni. Dopo Pietro, invece, viene Matteo e, dopo questo, Tommaso, poi uno di cui non so il nome, poi Andrea, poi Giacomo fratello di Giuda Taddeo e un altro, che non conosco di nome, dagli altri lati. Il lato lungo di fronte a Pietro è vuoto, essendo gli apostoli più vicini sui sedili di quanto non fossero per Pasqua.
   Le finestre sono sprangate e le porte pure. Il lume, acceso con due soli becchi, sparge una luce tenue sulla sola tavola. Il resto del vasto stanzone è nella penombra.
   Giovanni, che ha alle spalle una credenza, ha l’incarico di por­­gere ai compagni ciò che desiderano del loro parco cibo, composto di pesce, che è sulla tavola, pane, miele e formaggini freschi. È nel girarsi di nuovo verso il tavolo, per dare al fratello il formaggio che egli ha richiesto, che Giovanni vede il Signore.

 2 Gesù è apparso in maniera molto curiosa. La parete dietro le spalle dei commensali, tutta di un pezzo meno che nell’angolo della porticina, si è illuminata al centro, ad un’altezza di un metro circa dal suolo, di una luce tenue e fosforica come è quella che emanano certi quadretti che sono luminosi solo nel buio della notte. La luce, alta quasi due metri, ha forma ovale, come fosse una nicchia. Nella luminosità, come avanzasse da dietro veli di nebbia luminosa, emerge sempre più netto Gesù.
   Non so se riesco a spiegarmi bene. Pare che il suo Corpo fluisca attraverso lo spessore della parete. Questa non si apre. Resta compatta, ma il Corpo passa ugualmente. La luce pare la prima emanazione del suo Corpo, l’annuncio del suo avvicinarsi. Il Corpo dapprima è a lievi linee di luce, così come io vedo in Cielo il Padre e gli angeli santi: immateriale. Poi si materializza sempre più, prendendo in tutto l’aspetto di un corpo reale. Del suo divino Corpo glorificato.
   Io ho messo molto a descrivere, ma la cosa è avvenuta in pochi secondi.
   Gesù è vestito di bianco, come quando risorse e apparve alla Madre. Bellissimo, amoroso e sorridente. Sta con le braccia lungo i lati del Corpo, un poco staccate da esso, con le Mani verso terra e dalla palma volta verso gli apostoli. Le due Piaghe delle Mani paiono due stelle di diamanti, da cui escono due raggi vivissimi. Non vedo i Piedi, coperti dalla veste, né il Costato. Ma dalla stoffa del suo abito non terreno trapela luce, là dove essa cela le divine Ferite. In principio sembra che Gesù non sia che Corpo di candore lunare, poi, quando si è concretizzato, apparendo fuori dell’alone di luce, ha i colori naturali dei suoi capelli, occhi, pelle. È Gesù, insomma, Gesù-Uomo-Dio, ma fatto più solenne ora che è risorto.

 3 Giovanni lo vede quando Egli è già così. Nessun altro si era accorto dell’apparizione. Giovanni scatta in piedi lasciando cadere sulla tavola il piatto delle formaggelle tonde e, appoggiando le mani all’orlo della tavola, si piega un poco verso questa e obliquamente, come per calamita che lo attiri verso se stessa, e getta un «Oh!» sommesso e pur intenso.
   Gli altri, che avevano alzato il capo dai loro piatti al cadere rumoroso del piatto delle formaggelle e allo scatto di Giovanni e l’avevano guardato stupiti, vedendo la sua posa estatica seguono il suo sguardo. Torcono il capo o si girano su se stessi, a seconda di come si trovano rispetto al Maestro, e vedono Gesù. Si alzano tutti in piedi, commossi e beati, e corrono a Lui, che accentuando il sorriso avanza verso loro, camminando, ora, sul suolo come tutti i mortali.
   Gesù, che prima fissava unicamente Giovanni, e credo che questi si sia voltato attratto da quello sguardo che l’accarezzava, guarda tutti e dice: «Pace a voi».
   Tutti ora gli sono intorno, chi in ginocchio ai suoi piedi, e fra questi sono Pietro e Giovanni — anzi Giovanni bacia un lembo della veste e se la posa sul viso come per esserne carezzato — chi più indietro, in piedi, ma molto curvo in atto di ossequio.
   Pietro, per fare più presto ad arrivare, ha fatto un vero salto al disopra del sedile, scavalcandolo, senza attendere che Matteo, uscendo per primo, lasciasse libero il posto. Bisogna ricordare che i sedili servivano a due persone per volta.

 4 L’unico che resta un poco lontano, impacciato, è Tommaso. Si è inginocchiato presso la tavola. Ma non osa venire avanti e pare, anzi, tenti nascondersi dietro all’angolo di essa.
   Gesù, dando le sue Mani a baciare — gli apostoli gliele cercano con bramosia santa e amorosa — gira lo sguardo sulle teste chine come cercasse l’undecimo. Ma lo ha visto dal primo momento e fa così solo per dare tempo a Tommaso di rinfrancarsi e venire.
   Vedendo che l’incredulo, vergognoso del suo non credere, non osa farlo, lo chiama: «Tommaso. Vieni qui».
   Tommaso alza il capo, confuso, quasi piangente, ma non osa venire. Abbassa di nuovo il capo.
   Gesù fa qualche passo nella sua direzione e torna a dire: «Vie­ni qui, Tommaso». La voce di Gesù è più imperiosa della prima volta.
   Tommaso si alza riluttante e confuso e va verso Gesù.
   «Ecco colui che non crede se non vede!», esclama Gesù. Ma nella sua voce è un sorriso di perdono.
   Tommaso lo sente, osa guardare Gesù e vede che sorride proprio, allora prende coraggio e va più in fretta.
   «Vieni qui, ben vicino. Guarda. Metti un dito, se non ti basta guardare, nelle ferite del tuo Maestro».
   Gesù ha porto le Mani e poi si è aperto la veste sul petto scoprendo lo squarcio del Costato. Ora la luce non emana più dalle Ferite. Non emana più da quando, uscendo dal suo alone di luce lunare, si è messo a camminare come Uomo mortale, e le Ferite appaiono nella loro cruenta realtà: due fori irregolari, di cui il sinistro va fino al pollice, che trapassano un polso e un palmo alla sua base, e un lungo taglio, che nel lato superiore è lievemente ad accento circonflesso, al Costato.
   Tommaso trema, guarda e non tocca. Muove le labbra, ma non riesce a parlare chiaramente.
   «Dammi la tua mano, Tommaso», dice Gesù con tanta dolcezza. E prende con la sua destra la mano destra dell’apostolo e ne afferra l’indice e lo conduce nello squarcio della sua Mano sinistra, ve lo ficca ben dentro, per fargli sentire che il palmo è trapassato, e poi dalla Mano lo porta al Costato. Anzi, afferra ora le quattro dita di Tommaso, alla loro base, al metacarpo, e pone queste quattro grosse dita nello squarcio del Petto, facendole entrare, non limitandosi ad appoggiarle all’orlo, e ve le tiene guardando fisso Tommaso. Uno sguardo severo e pur dolce, mentre continua: «… Metti qua il tuo dito, poni le dita e anche la mano, se vuoi, nel mio Costato, e non essere incredulo ma fedele». Questo dice mentre fa quanto ho detto prima.
   Tommaso — pare che la vicinanza del Cuore divino, che egli quasi tocca, gli abbia comunicato coraggio — riesce finalmente a parlare e a spiccicare le parole, e dice, cadendo a ginocchio con le braccia alzate e uno scoppio di pianto di pentimento: «Signore mio e Dio mio!». Non sa dire altro.
   Gesù lo perdona. Gli pone la destra sul capo e risponde: «Tommaso, Tommaso! Ora credi perché hai veduto… Ma beati coloro che crederanno in Me senza aver visto! Quale premio dovrò dare loro se devo premiare voi, la cui fede è stata soccorsa dalla forza del vedere?…».

 5 Poi Gesù pone il braccio sulla spalla di Giovanni, prendendo Pietro per mano, e si accosta al tavolo. Siede al suo posto. Ora sono seduti come la sera di Pasqua. Però Gesù vuole che Tommaso si sieda dopo Giovanni.
   «Mangiate, amici», dice Gesù.
   Ma nessuno ha più fame. La gioia li sazia. La gioia del contemplare.
   Allora Gesù prende le sparse formaggelle, le riunisce sul piatto, le taglia, le distribuisce e il primo pezzo lo dà proprio a Tommaso, posandolo su un pezzo di pane e passandolo dietro le spalle di Giovanni; mesce dalle anfore il vino nel calice e lo passa ai suoi amici: questa volta è Pietro il primo servito. Poi si fa dare dei favi di miele, li spezza e ne dà per primo un pezzo a Giovanni, con un sorriso che è più dolce del filante e biondo miele. E di questo, per rincuorarli, ne mangia Lui pure. Non gusta che il miele.
   Giovanni, con la mossa solita, appoggia il suo capo contro la spalla di Gesù, e Gesù se lo attira sul Cuore e parla tenendolo così.

 6 «Non dovete turbarvi, amici, quando Io vi appaio. Sono sempre il vostro Maestro, che ha condiviso con voi cibo e sonno e che vi ha eletti perché vi ha amati. Anche ora vi amo».
   Gesù appoggia molto su queste ultime parole.
   «Voi», prosegue, «siete stati meco nelle prove… Sarete meco anche nella gloria. Non abbassate il capo. La sera della domenica, quando venni a voi per la prima volta dopo la mia Risurrezione, Io vi ho infuso lo Spirito Santo… anche a te che non eri presente venga lo Spirito… Non sapete che l’infusione dello Spirito è come un battesimo di fuoco, poiché lo Spirito è Amore e l’amore annulla le colpe? Il vostro peccato, perciò, di diserzione mentre Io morivo vi è condonato».
   Nel dire questo, Gesù bacia sulla testa Giovanni, che non disertò, e Giovanni lacrima di gioia.
   «Vi ho dato la potestà di rimettere i peccati. Ma non si può dare ciò che non si possiede. Voi dovete dunque esser certi che questa potestà Io la posseggo perfetta e la uso per voi, che dovete esser mondi al sommo per mondare chi verrà a voi, sporco di peccato. Come potrebbe uno giudicare e mondare se fosse meritevole di condanna e fosse immondezza di suo? Come potrebbe uno giudicare un altro se fosse con i travi nel suo occhio e i pesi infernali nel suo cuore? Come potrebbe dire: “Io ti assolvo nel nome di Dio” se, per i suoi peccati, non avesse Dio con sé?

 7 Amici, pensate alla vostra dignità di sacerdoti.
   Prima Io ero fra gli uomini per giudicare e perdonare. Ora Io me ne vado al Padre. Torno al mio Regno. Non mi è levata facoltà di giudizio. Anzi essa è tutta nelle mie mani, poiché il Padre a Me l’ha deferita. Ma tremendo giudizio. Poiché avverrà quando non sarà più possibile all’uomo di farsi perdonare con anni di espiazione sulla Terra. Ogni creatura verrà a Me con il suo spirito quando lascerà per morte materiale la carne come spoglia inutile. Ed Io la giudicherò per una prima volta. Poi l’Umanità tornerà con la sua veste di carne, ripresa per comando celeste, per esser separata in due parti. Gli agnelli col Pastore, i capri selvatici col loro Torturatore. Ma quanti sarebbero gli uomini che sarebbero col loro Pastore se dopo il lavacro del Battesimo non avessero più chi perdona in Nome mio?
   Ecco perché Io creo i sacerdoti. Per salvare i salvati dal mio Sangue. Il mio Sangue salva. Ma gli uomini continuano a cadere nella morte. A ricadere nella Morte. Occorre che chi ne ha potestà li lavi continuamente in Esso, settanta e settanta volte sette, perché della Morte non siano preda. Voi e i vostri successori lo farete. Per questo vi assolvo da tutti i vostri peccati. Perché avete bisogno di vedere, e la colpa accieca perché leva allo spirito la Luce che è Dio. Perché avete bisogno di comprendere, e la colpa inebetisce perché leva allo spirito l’Intelligenza che è Dio. Perché avete ministero di purificare, e la colpa insozza perché leva allo spirito la Purezza che è Dio.
   Gran ministero il vostro di giudicare e assolvere in Nome mio!
   Quando consacrerete per voi il Pane e il Vino e ne farete il Corpo e il Sangue mio, farete una grande, soprannaturalmente grande e sublime cosa. Per compierla degnamente dovrete esser puri, poiché toccherete Colui che è il Puro e vi nutrirete della Carne di un Dio. Puri di cuore, di mente, di membra e di lingua dovrete essere, perché col cuore dovrete amare l’Eucarestia, e non dovranno esser mescolati a questo amore celeste profani amori che sarebbero sacrilegio. Puri di mente, perché dovrete credere e comprendere questo mistero d’amore, e l’impurità di pensiero uccide la Fede e l’Intelletto. Resta la scienza del mondo, ma muore in voi la Sapienza di Dio. Puri di membra dovrete essere, perché nel vostro seno scenderà il Verbo così come scese nel seno di Maria per opera dell’Amore.

 8 Avete l’esempio vivente di come deve essere un seno che accoglie il Verbo che si fa Carne. L’esempio è la Donna senza colpa d’origine e senza colpa individuale che mi ha portato.
   Osservate come è pura la vetta d’Ermon ancor fasciata nel velo della neve invernale. Dall’Oliveto essa pare un cumulo di gigli sfogliati o di spuma marina che si elevi come un’offerta contro l’altro candore delle nuvole, portate dal vento d’aprile per i campi azzurri del cielo. Osservate un giglio che apra ora la bocca della sua corolla ad un riso di profumo. Eppure, l’una e l’altra purezza sono men vive di quella del Seno che mi fu materno. Polvere portata dai venti è caduta sulle nevi del monte e sulla seta del fiore. L’occhio umano non la percepisce, tanto essa è leggera. Ma essa c’è, e corrompe il candore.
   Più ancora, guardate la perla più pura che venga strappata al mare, alla conchiglia natìa, per adornare lo scettro di un re. È perfetta nella sua iridescenza compatta che ignora il contatto profanatore di ogni carne, formatasi come si è nell’incavo madreperlaceo dell’ostrica, isolata nello zaffiro fluido delle profondità marine. Eppure è men pura del Seno che mi ebbe. Al suo centro è il granello di rena: un corpuscolo minutissimo, ma sempre terrestre. In Colei che è la Perla del Mare non esiste granello di peccato, neppur di fomite al peccato. Perla nata nell’Oceano della Trinità per portare sulla Terra la Seconda Persona, Ella è compatta intorno al suo fulcro, che non è seme di terrena concupiscenza ma scintilla dell’Amore eterno. Scintilla che, trovando in Lei rispondenza, ha generato i vortici della divina Meteora che ora a Sé chiama e attira i figli di Dio: Io, il Cristo, Stella del Mattino.
   Questa Purezza inviolata Io vi do a esempio.

 9 Ma quando poi, come vendemmiatori ad un tino, voi tuffate le mani nel mare del mio Sangue e ne attingete di che mondare le stole corrotte dei miseri che peccarono, siate, oltre che puri, perfetti per non macchiarvi di un peccato maggiore, anzi, di più peccati, spargendo e toccando con sacrilegio il Sangue di un Dio o mancando a carità e giustizia, negandolo o dandolo con un rigore che non è del Cristo — che fu buono coi malvagi per attirarli al suo Cuore e tre volte buono coi deboli per confortarli alla fiducia — usando questo rigore tre volte indegnamente, perché contro la mia Volontà, la mia Dottrina e la Giustizia. Come esser rigorosi con gli agnelli quando si è pastori idoli?
   O miei diletti, amici che Io mando per le vie del mondo per continuare l’opera che Io ho iniziata e che sarà proseguita finché il Tempo sarà, ricordate queste mie parole. Ve le dico perché le diciate a coloro che voi consacrerete al ministero nel quale Io vi ho consacrati.

 10Io vedo… Guardo nei secoli… Il tempo e le turbe infinite degli uomini che saranno mi sono tutti davanti… Vedo… stragi e guerre, paci bugiarde e orrende carneficine, odio e ladrocinio, senso e orgoglio. Ogni tanto un’oasi di verde: un periodo di ritorno alla Croce. Come obelisco che segna un’onda pura fra le aride arene del deserto, la mia Croce sarà alzata con amore, dopo che il veleno del male avrà reso malati di rabbia gli uomini, e intorno ad essa, piantate sui bordi delle acque salutari, fioriranno le palme di un periodo di pace e bene nel mondo. Gli spiriti, come cervi e gazzelle, come rondini e colombi, accorreranno a quel riposante, fresco, nutriente rifugio, per guarire dai loro dolori e sperare nuovamente. Ed esso rinserrerà i suoi rami come una cupola per proteggere da tempeste e solleoni, e terrà lontano serpenti e fiere col Segno che mette in fuga il Male. Così, finché gli uomini vorranno.
   Io vedo… Uomini e uomini… donne, vecchi, bambini, guerrieri, studiosi, dottori, contadini… Tutti vengono e passano col lo­ro peso di speranze e di dolori. E molti vedo che vacillano, perché il dolore è troppo e la speranza è scivolata dalla soma per prima, dalla soma troppo grave, e si è sbriciolata al suolo…
   E molti vedo che cadono ai bordi della via perché altri più forti li sospingono, più forti o più fortunati nel peso che è lieve. E molti vedo che, sentendosi abbandonati da chi passa, calpestati anche, che sentendosi morire, giungono ad odiare e a maledire.
   Poveri figli! Fra tutti questi, percossi dalla vita, che passano o cadono, il mio Amore ha, intenzionalmente, sparso i samaritani pietosi, i medici buoni, le luci nella notte, le voci nel silenzio, perché i deboli che cadono trovino un aiuto, rivedano la Luce, riodano la Voce che dice: “Spera. Non sei solo. Su te è Dio. Con te è Gesù”. Ho messo, intenzionalmente, queste carità operanti, perché i miei poveri figli non mi morissero nello spirito, perdendo la dimora paterna, e continuassero a credere in Me-Carità vedendo nei miei ministri il mio riflesso.

 11Ma, o dolore che mi fai sanguinare la Ferita del Cuore come quando fu aperta sul Golgota! Ma che vedono i miei Occhi divini? Non ci sono forse sacerdoti fra le turbe infinite che passano? Per questo sanguina il mio Cuore? Sono vuoti i seminari? Il mio divino invito non suona più, dunque, nei cuori? Il cuore dell’uomo non è più capace di udirlo? No. Nei secoli vi saranno seminari e in essi leviti. Da essi usciranno sacerdoti, perché nell’ora dell’adolescenza il mio invito avrà suonato con voce celeste in molti cuori ed essi l’avranno seguito. Ma altre, altre, altre voci saranno poi venute con la giovinezza e la maturità, e la mia Voce sarà rimasta soverchiata in quei cuori. La mia Voce che parla nei secoli ai suoi ministri perché essi siano sempre quello che voi ora siete: gli apostoli alla scuola di Cristo. La veste è rimasta. Ma il sacerdote è morto. In troppi, nei secoli, accadrà questo fatto. Ombre inutili e scure, non saranno una leva che alza, una corda che tira, una fonte che disseta, un grano che sfama, un cuore che è guanciale, una luce nelle tenebre, una voce che ripete ciò che il Maestro gli dice. Ma saranno, per la povera umanità, un peso di scandalo, un peso di morte, un parassita, una putrefazione… Orrore! I Giuda più grandi del futuro Io li avrò ancora e sempre nei miei sacerdoti!

 12Amici, Io sono nella gloria e pure Io piango. Ho pietà di queste turbe infinite, greggi senza pastori o con troppo rari pastori. Una pietà infinita! Ebbene, Io lo giuro per la mia Divinità, Io darò loro il pane, l’acqua, la luce, la voce che gli eletti a quest’opere non vogliono dare. Ripeterò nei secoli il miracolo dei pani e dei pesci. Con pochi, spregevoli pesciolini, e con dei tozzi scarsi di pane — anime umili e laiche — Io darò da mangiare a molti, e ne saranno saziati, e ve ne sarà per i futuri, perché “ho compassione di questo popolo” e non voglio che perisca.
   Benedetti coloro che meriteranno d’esser tali. Non benedetti perché sono tali. Ma perché l’avranno meritato col loro amore e sacrificio! E benedettissimi quei sacerdoti che sapranno rimanere apostoli: pane, acqua, luce, voce, riposo e medicina dei miei poveri figli. Di luce speciale splenderanno in Cielo. Io ve lo giuro, Io che sono la Verità.

 13Alziamoci, amici, e venite meco, ché Io vi insegni ancora a pregare. L’orazione è quella che alimenta le forze dell’apostolo, perché lo fonde con Dio».
   E qui Gesù si alza e va verso la scaletta.
   Ma, quando è alla sua base, si volge e mi guarda. Oh! Padre! Mi guarda! Pensa a me! Cerca la sua piccola «voce» e la gioia d’esser coi suoi amici non lo smemora di me! Mi guarda, al disopra delle teste dei discepoli, e mi sorride. Alza la mano benedicendomi e dice: «La pace sia con te».
   E la visione finisce.

   Cap. DCXXXII. Apparizioni a varie persone in luoghi diversi.

   16-17 aprile 1947.
 
   I. Alla madre di Annalia.
 1 Elisa, la madre di Annalia, piange sconsolatamente nella sua casa, chiusa in una stanzetta dove è un lettino senza coperture, forse quello di Annalia. Tiene il capo abbandonato sulle braccia, a loro volta abbandonate, tese sul lettuccio come per abbracciarlo tutto. Il corpo grava sui ginocchi in posa di languore. Di vigoroso non c’è che il suo pianto.
   Poca luce entra dalla finestra aperta. Il giorno da poco è risorto. Ma una luce viva si fa quando entra Gesù.
   Dico: entra, per dire che è nella stanza mentre prima non c’era. E dirò sempre così per significare il suo apparire in un luogo chiuso, senza stare a ripetermi come Egli si scopra da dietro ad una grande luminosità che ricorda quella della Trasfigurazione, da dietro un fuoco bianco — mi si permetta il paragone — che pare liquefare muri e porte per permettere a Gesù di entrare col suo vero, respirante, solido Corpo glorificato: un fuoco, una luminosità che su Lui si rinchiude e lo nasconde quando se ne va. Però, dopo, piglia l’aspetto bellissimo di Risorto, ma Uomo, proprio Uomo, di una bellezza centuplicata rispetto a quella che già aveva prima della Passione. È Lui, ma è il Lui glorioso, Re.

 2 «Perché piangi, Elisa?».
   Non so come la donna non riconosca la Voce inconfondibile. Forse il dolore l’intontisce. Risponde come se parlasse a un parente che forse l’ha raggiunta dopo la morte di Annalia.
   «Hai sentito ieri sera quegli uomini? Egli non era nulla. Potere magico, ma non divino. Ed io che mi rassegnavo alla morte di mia figlia pensandola amata da un Dio, in pace… Me lo aveva detto!…», piange ancor più forte.
   «Ma lo videro risorto in molti. Solo Dio da Se stesso può risuscitarsi».
   «L’ho detto anche io a quelli di ieri. Lo hai sentito. Ho combattuto le loro parole. Perché le loro parole erano la morte della mia speranza, della mia pace. Ma essi — hai sentito? — essi hanno detto: “Tutta commedia dei suoi seguaci per non confessarsi folli. Esso è morto e ben morto, e putrido, l’hanno trafugato e distrutto, dicendo che è risorto”. Hanno detto così… E che per questo l’Altissimo ha mandato il secondo terremoto, per fare loro sentire la sua ira per la loro sacrilega menzogna. Oh! non ho più conforto!».
   «Ma se tu vedessi il Signore risorto, coi tuoi occhi, e lo palpassi con le tue mani, crederesti?».
   «Non ne sono degna… Ma certo che crederei! Mi basterebbe vederlo. Non oserei toccare le sue Carni perché, se così fosse, sarebbero carni divine, e una donna non può avvicinarsi al San­to dei Santi».

 3 «Alza il capo, Elisa, e guarda Chi ti è davanti!».
   La donna alza la testa canuta, il viso sfigurato dal pianto, e vede… Cade ancor più ribassata sui calcagni, si sfrega gli occhi, apre la bocca su un grido che vuol salire ma che lo stupore strozza in gola.
   «Sono Io. Il Signore. Tocca la mia Mano. Baciala. Mi hai sacrificato la figlia. Lo meriti. E ritrova, su questa Mano, il bacio spirituale della tua creatura. È in Cielo. È beata. Dirai questo ai discepoli e questo giorno».
   La donna è così affascinata che non osa il gesto, ed è Gesù stesso che le preme sulle labbra la punta delle sue dita.
   «Oh! sei proprio risorto!!! Felice! Felice sono! Te benedetto che mi hai consolata!».
 Si curva per baciargli i piedi e lo fa, e resta così.La luce soprannaturale fascia nel suo splendore il Cristo, e la stanza è vuota di Lui. Ma la madre ha il cuore pieno di incrollabile certezza.
           
   II. A Maria di Simone a Keriot, con Anna madre di Joanna e il vecchio Anania.
 4 La casa di Anna, madre di Joanna. La casa di campagna dove Gesù, accompagnato dalla madre di Giuda, operò il miracolodi guarire Anna. Anche qui una stanza e una giacente sul letto. Una che è irriconoscibile, tanto è sfigurata da un’angoscia mortale. Il viso è consumato. La febbre lo divora accendendo i pomelli sporgenti, tanto le gote sono incavate. Gli occhi, in un cerchio nero, rossi di febbre e di pianto, sono socchiusi sotto le palpebre gonfie. Là dove non è rossore di febbre, è giallore intenso, verdastro, come per bile sparsa nel sangue. Le braccia scarne, le mani affilate, sono abbandonate sulle coperture che un ansito affrettato solleva.
   Presso la malata, che altra non è che la madre di Giuda, è Anna, la madre di Joanna. Essa asciuga lacrime e sudore, agita un ventaglio di palma, muta le pezze bagnate in un aceto aromatizzato sulla fronte e sulla gola della malata, le carezza le mani, le carezza i capelli disciolti, divenuti in poco tempo più bianchi che neri, sparsi sul guanciale e incollati dal sudore sulle orecchie fatte trasparenti. E piange anche Anna, dicendo parole di conforto: «Non così, Maria! Non così! Basta! Egli… egli ha peccato. Ma tu, tu lo sai come il Signore Gesù…».
   «Taci! Quel Nome… a me… detto a me… si profana… Sono la madre… del Caino… di Dio! Ah!». Il pianto quieto si muta in sfinito, lacerante singhiozzo. Si sente affogare, si abbranca al collo dell’amica, che la soccorre nel vomito bilioso che le esce dalla bocca.
   «Pace! Pace, Maria! Non così! Oh! che dirti per persuaderti che Egli, il Signore, ti ama? Te lo ripeto! Te lo giuro sulle cose a me più sante: il mio Salvatore e la mia creatura. Egli me lo ha detto quando tu me lo portasti. Egli ha avuto per te parole e previdenze di amore infinito. Tu sei innocente. Egli ti ama. Sono certa, certa sono che darebbe Se stesso un’altra volta per darti pace, povera madre martire».
 «Madre del Caino di Dio! Senti? Quel vento, là, fuori… Lo dice… Va per il mondo la voce… la voce del vento, e dice: “Maria di Simone, madre di Giuda, colui che tradì il Maestro e lo consegnò ai suoi crocifissori”. Senti? Tutto lo dice… Il rio, là fuori… Le tortore… le pecore… Tutta la Terra grida che io sono… No, non voglio guarire. Morire voglio!… Dio è giusto e non colpirà me nell’altra vita. Ma qui, no. Il mondo non perdona… non distingue… Folle divengo perché il mondo urla…: “Sei la madre di Giuda!”».
   Ricade esausta sui guanciali. Anna la ricompone ed esce per portare via i panni sporcati…
   Maria, ad occhi chiusi, esangue dopo lo sforzo fatto, geme: «La madre di Giuda! di Giuda! di Giuda!». Ansa, poi riprende: «Ma cosa è Giuda? Cosa ho partorito? Cosa è Giuda? Cosa ho…».

 5 Gesù è nella stanza, che un tremulo lume rischiara perché troppo poca ancora è la luce del giorno per illuminare la stanza vasta, nella quale il letto è nel fondo, molto lontano dall’unica finestra. Chiama dolcemente: «Maria! Maria di Simone!».
   La donna è quasi delirante e non dà peso alla voce. È assente, rapita nei gorghi del suo dolore, e ripete le idee che ossessionano il suo cervello, monotonamente, come il tic tac di un pendolo: «La madre di Giuda! Cosa ho partorito? Il mondo urla: “La madre di Giuda”…».
   Gesù ha due lacrime nell’angolo degli occhi dolcissimi. Mi stupiscono molto. Non pensavo che Gesù potesse piangere ancora dopo che è risorto…
   Si curva. Il letto è così basso, per Lui così alto! Pone la Mano sulla fronte febbrile, respingendo le pezze umide d’aceto, e dice: «Un’infelice. Questo e non altro. Se il mondo urla, Dio copre l’urlo del mondo dicendoti: “Abbi pace, perché Io ti amo”. Guardami, povera mamma! Raccogli il tuo spirito smarrito e mettilo nelle mie mani. Sono Gesù!…».
   Maria di Simone apre gli occhi come uscendo da un incubo e vede il Signore, sente la sua Mano sulla sua fronte, porta le mani tremanti al viso e geme: «Non mi maledire! Se avessi saputo cosa generavo, mi sarei strappate le viscere per impedire che egli nascesse».
   «E avresti peccato. Maria! oh! Maria! Non uscire dalla tua giustizia per la colpa di un altro. Le madri che hanno fatto il loro compito non devono tenersi responsabili del peccato dei figli. Tu lo hai fatto il tuo dovere, Maria. Dammi le tue povere mani. Sii quieta, povera mamma».
   «Sono la madre di Giuda. Immonda sono come tutto ciò che quel demonio toccò. Madre di un demonio! Non mi toccare». Si dibatte per sfuggire alle Mani divine che la vogliono tenere.
   Le due lacrime di Gesù le cadono sul volto tornato acceso di febbre. «Io ti ho purificata, Maria. Il mio pianto di pietà è su te. Su nessuno ho pianto da quando ho consumato il mio dolore. Ma su te piango con tutta la mia amorosa pietà». È riuscito a prenderle le mani e si siede, sì, proprio si siede sull’orlo del lettuccio, tenendo quelle mani tremanti fra le sue.
   La pietà amorosa dei suoi fulgidi occhi accarezza, fascia, medica l’infelice, che si calma piangendo tacitamente e mormorando: «Non m’hai rancore?».
   «Ho amore. Sono venuto per questo. Abbi pace».
   «Tu perdoni! Ma il mondo! Tua Madre! Mi odierà».
   «Ella pensa a te come a una sorella. Il mondo è crudele. È vero. Ma mia Madre è la Madre dell’Amore, ed è buona. Tu non puoi andare per il mondo, ma Ella verrà a te quando tutto sarà in pace. Il tempo pacifica…».
   «Fammi morire, se mi ami…».
   «Ancora un poco. Tuo figlio non seppe darmi nulla. Tu dammi un tempo del tuo soffrire. Sarà breve».
   «Mio figlio ti ha dato troppo… L’orrore infinito ti ha dato».
   «E tu il dolore infinito. L’orrore è passato. Non serve più. Il tuo dolore serve. Si unisce a queste mie piaghe, e le lacrime tue e il Sangue mio lavano il mondo. Tutto il dolore si unisce per lavare il mondo. Le tue lacrime sono fra il mio Sangue e il pianto di mia Madre, e intorno intorno è tutto il dolore dei santi che soffriranno per il Cristo e per gli uomini, per amor mio e degli uomini. Povera Maria!».
   La adagia dolcemente, le incrocia le mani, la guarda calmarsi…

 6 Rientra Anna e resta sbalordita sulla soglia.
   Gesù, che si è rialzato, la guarda dicendo: «Hai ubbidito al mio desiderio. Per gli ubbidienti è pace. La tua anima mi ha compreso. Vivi nella mia pace».
   Riabbassa gli occhi su Maria di Simone, che lo guarda fra un fluire di lacrime più calme, e le sorride ancora. Le dice ancora: «Poni tutte le tue speranze nel Signore. Egli ti darà tutte le sue consolazioni». La benedice e fa per andarsene.
   Maria di Simone ha un grido appassionato: «Si dice che mio figlio ti ha tradito con un bacio! È vero, Signore? Se sì, lascia che io lo lavi baciandoti le Mani. Non posso fare altro! Altro non posso fare per cancellare… per cancellare…». Il dolore la riprende più forte.
   Gesù, oh! Gesù non le dà le Mani da baciare, quelle Mani sulle quali la larga manica della veste candida ricade sino a metà del metacarpo nascondendo le ferite, ma le prende il capo fra le mani e si curva a sfiorare con le labbra divine la fronte bruciante dell’infelicissima fra tutte le donne, e le dice nel rialzarsi: «Le mie lacrime e il mio bacio! Nessuno ha avuto tanto da Me. Sta’ dunque nella pace che fra Me e te non c’è che amore». La benedice e, traversata la stanza sveltamente, esce dietro ad Anna, che non ha osato venire avanti, né parlare, ma che lacrima di emozione.

 7 Quando però sono nel corridoio che conduce alla porta di casa, Anna osa parlare, fare la domanda che le è nel cuore: «La mia Joanna?».
  «Da quindici giorni gode nel Cielo. Non l’ho detto là, perché troppo è il contrasto fra tua figlia e suo figlio».
   «È vero! Grande strazio! Io credo ne muoia».
   «No. Non subito».
   «Ora avrà più pace. Tu l’hai consolata. Tu! Tu che più di tutti…».
   «Io che più di tutti la compiango. Io sono la divina Compassione. Io sono l’Amore. Io te lo dico, donna: sol che Giuda mi avesse gettato uno sguardo di pentimento, Io gli avrei ottenuto il perdono di Dio…». Che tristezza sul volto di Gesù!
   La donna ne è colpita. Parole e silenzi combattono sulle sue labbra, ma è donna, e la curiosità la vince. Chiede: «Ma è stata una… un… Sì, voglio dire: quel disgraziato peccò all’improvviso, o…».
   «Da mesi peccava e nessuna mia parola, nessun atto mio valse a fermarlo, tanto era forte la sua volontà di peccare. Ma non dire questo a lei…».
   «Non dirò!… Signore! Che ora quando Anania, fuggito senza neppure ultimare la Pasqua da Gerusalemme, la notte stessa del Parasceve, entrò qui urlando: “Tuo figlio ha tradito il Maestro e lo ha consegnato ai suoi nemici! Con un bacio lo ha tradito. E io ho visto il Maestro percosso e sputacchiato, flagellato, coronato di spine, caricato della croce, crocifisso e morto per opera di tuo figlio. E il nome nostro è urlato con trionfo osceno dai nemici del Maestro, e sono narrate le gesta di tuo figlio che, per meno del prezzo che costa un agnello, ha venduto il Messia, e con il tradimento di un bacio lo ha indicato alle guardie!”. Maria cadde a terra, nera di colpo, e il medico dice che si è sparso il suo fiele e crepato il suo fegato, e tutto il sangue ne è corrotto. E… il mondo è cattivo. Ella ha ragione… Ho dovuto trasportarla qui, perché venivano presso la casa in Keriot a gridare: “Tuo figlio deicida e suicida! Impiccato si è! E Belzebù ha preso la sua anima e persino il corpo è venuto a prendersi Satana”. È vero questo orrendo prodigio?».
   «No, donna. Egli fu trovato morto, appeso ad un ulivo…».
   «Ah! E gridavano: “Cristo è risorto ed è Dio. Tuo figlio ha tradito Dio. Sei la madre del traditore di Dio. Sei la madre di Giuda”. Di notte, con Anania e un servo fedele, l’unico che mi è rimasto perché nessuno ha voluto stare presso di lei… l’ho portata qui. Ma quei gridi Maria li sente nel vento, nel rumore della terra, in tutto».
   «Povera madre! È orrendo, sì».
   «Ma quel demonio non ha pensato a questo, Signore?».
   «Era una delle ragioni che usavo a trattenerlo. Ma non è valso. Giuda giunse a odiare Dio non avendo mai amato di vero amore padre e madre né alcun altro suo prossimo».
   «È vero!».
   «Addio, donna. La mia benedizione ti conforti a sopportare gli scherni del mondo per la tua pietà per Maria. Bacia la mia Mano. A te la posso mostrare. A lei avrebbe fatto troppo male vedere questo». Getta indietro la manica scoprendo il polso trafitto.

   Anna ha un gemito mentre sfiora appena con le labbra la punta delle dita.
 8 Il rumore di una porta che si apre e un grido soffocato: «Il Signore!». Un uomo vecchiotto si prostra e resta così.
   «Anania, buono è il Signore. È venuto a confortare la tua parente, a confortare noi pure», dice Anna per confortare anche il vecchiotto nella sua troppo grande emozione.
   Ma l’uomo non osa far movimento. Piange dicendo: «Siamo di un sangue orrendo. Non posso guardare il Signore».
 Gesù va a lui. Lo tocca sul capo dicendo le stesse parole già dette a Maria di Simone: «I parenti che hanno fatto il loro dovere non devono tenersi responsabili del peccato del parente. Fa’ cuore, uomo! Dio è giusto. La pace a te e a questa casa. Io sono venuto e tu andrai dove ti mando. Per la Pasqua supplementare i discepoli saranno a Betania. Andrai da loro e dirai che il dodicesimo giorno dalla sua morte tu vedesti il Signore a Keriot, vivo e vero, in Carne ed Anima e Divinità. Ti crederanno perché già molto sono stato con loro. Ma li confermerà nella fede sulla mia Natura divina sapermi in ogni luogo nello stesso giorno. E prima ancora, oggi stesso, andrai a Keriot chiedendo al sinagogo di raccogliere il popolo, e dirai alla presenza di tutti che Io sono venuto qui e che si ricordino le mie parole del commiato. Certo ti diranno: “Perché non è venuto da noi?”. Risponderai così: “Il Signore mi ha detto di dirvi che, se aveste fatto ciò che Egli vi aveva detto di fare verso la madre incolpevole, Egli si sarebbe mostrato. Avete mancato all’amore, e il Signore non si è mostrato per questo”. Lo farai?».
   «È difficile questo, Signore! Difficile a farsi! Ci tengono tutti per dei lebbrosi di cuore… Non mi ascolterà il sinagogo, e non mi lascerà parlare il popolo. Forse mi percuoterà… Pure lo farò, poiché Tu lo vuoi». Il vecchiotto non alza il capo. Parla stando curvo in profonda prostrazione.
   «Guardami, Anania!».
   L’uomo alza un volto tremebondo di venerazione.
   Gesù è fulgido e bello come sul Tabor… La luce lo copre nascondendo il suo aspetto e il suo sorriso… E vuoto di Lui resta il corridoio, senza che nessuna porta si sia mossa a dargli varco.
  I due adorano, adorano ancora, fatti tutta adorazione dalla manifestazione divina.
           
   III. Ai bambini di Jutta con la mamma Sara.
 9 Il frutteto della casa di Sara. I bambini che giuocano sotto gli alberi fronzuti. Il più piccolo che si rotola sull’erba presso un filare folto di pampini, gli altri più grandi che si rincorrono con gridi di rondini in festa, giuocando a nascondersi dietro le siepi e le viti e a scoprirsi a vicenda.
   Gesù, eccolo là apparire presso il piccino al quale ha dato il nome. Oh! santa semplicità degli innocenti! Jesai non si stupisce vedendolo là, all’improvviso, ma gli tende le braccine per essere preso in braccio, e Gesù lo prende: la massima naturalezza è nell’atto di entrambi.
   Sopraggiungono correndo gli altri e — ancora una volta beata semplicità dei fanciulli! — e senza stupore si avvicinano a Lui, felici. Sembra che nulla sia mutato per loro. Forse non sanno. Ma, dopo la carezza di Gesù ad ognuno, Maria, la più grandicella e assennata, dice: «Allora non soffri più, Signore, ora che sei risorto? Ho avuto tanto dolore!…».
   «Non soffro più. Vi sono venuto a benedire prima di salire al Padre mio e vostro, nel Cielo. Ma anche di là vi benedirò sempre, se sarete sempre buoni. Direte a quelli che mi amano che ho lasciato a voi la mia benedizione, oggi. Ricordate questo giorno».

 10«Non vieni in casa? C’è la mamma. A noi non crederanno», dice ancora Maria. Ma suo fratello non chiede. Grida: «Mamma, mamma. Il Signore è qui!…», e correndo verso la casa ripete quel grido.
   Sara accorre, si affaccia… in tempo per vedere Gesù, bellissimo sul limite del frutteto, annullarsi nella luce che lo assorbe…
   «Il Signore! Ma perché non chiamarmi prima?…», dice Sara appena può dire parola. «Ma quando? da dove è venuto? Era solo? Stolti che siete!».
   «Lo abbiamo trovato qui. Un minuto prima non c’era… Dalla strada non è venuto e neppure dall’orto. E aveva in braccio Jesai… E ci ha detto di essere venuto a benedirci e a darci la benedizione per quelli che lo amano a Jutta e di ricordare questo giorno. E ora va in Cielo. Ma ci vorrà bene se saremo buoni. Come era bello! Aveva le mani ferite. Ma non gli fanno più male. Anche i piedi erano feriti. Li ho visti fra l’erba. Quel fiore lì toccava proprio la ferita di un piede. Lo colgo io…», parlano tutti insieme, accesi di emozione. Sudano persino nel­l’orgasmo di dire.
   Sara li carezza mormorando: «Dio è grande! Andiamo. Venite. Andiamo a dirlo a tutti. Parlate voi, innocenti. Voi potete parlare di Dio».
           
   IV. Al giovinetto Jaia, a Pella.
 11Il giovinetto lavora con ardore intorno a un carretto. Lo sta caricando di verdure colte in un’ortaglia vicina. L’asinello batte lo zoccolo sul suolo duro della via campestre.
   Nel volgersi per prendere un canestro di lattughe vede Gesù che gli sorride. Lascia cadere il cesto a terra e si inginocchia sfregandosi gli occhi, incredulo di ciò che vede, e mormora: «Altissimo, non trarmi in illusione! Non permettere, Signore, che io sia ingannato da Satana con falsi aspetti seduttori. Egli è ben morto, il mio Signore! E sepolto fu e or dicono che fu trafugato il cadavere. Pietà, Signore altissimo! Mostrami la verità».
   «Io sono la Verità, Jaia. Io sono la Luce del mondo. Guardami. Vedimi. Ti ho reso la vista per questo, perché tu potessi testimoniare della mia potenza e della mia Risurrezione».
   «Oh! È proprio il Signore! Tu sei! Sì! Tu sei Gesù!». Si trascina sui ginocchi per baciargli i piedi.
   «Dirai che mi hai visto e parlato e che sono ben vivo. Dirai che mi hai visto oggi. La pace a te e la mia benedizione».
   Jaia resta solo. Felice. Dimentica carretto e verdure. Inutilmente l’asino batte irrequieto la via e raglia protestando per l’at­tesa… Jaia è estatico.

 12Una donna esce dalla casa presso l’ortaglia e lo vede là, pallido di emozione con un volto assente. Grida: «Jaia! Che hai? Che ti è accaduto?». Accorre, lo scrolla. Lo riporta sulla terra…
   «Il Signore! Ho visto il Signore risorto. Gli ho baciato i piedi e visto le piaghe. Essi hanno mentito. Era proprio Dio ed è risorto. Io avevo paura che fosse un inganno. Ma è Lui! È Lui!».
   La donna trema per un brivido d’emozione e mormora: «Ne sei proprio sicuro?».
   «Tu sei buona, donna. Per amor di Lui ci hai preso per servi, me e la madre mia. Non volere non credere!…».
   «Se tu sei sicuro, credo. Ma era proprio carne? Era caldo? Respirava? Parlava? Proprio una voce aveva, o ti è parso?».
   «Sicuro sono. Era carne tiepida di vivo, era voce vera, era respiro. Bello come Dio, ma Uomo, come me e te. Andiamo, andiamo a dirlo a quelli che soffrono o dubitano».
           
   V. A Giovanni di Nobe.
 13Il vecchio è solo nella sua casa. Ma è sereno. Aggiusta una specie di sedia che si è schiodata da un lato, e sorride chissà a che sogno.
   Un bussare all’uscio. Il vecchio, senza lasciare il suo lavoro, dice: «Avanti. Che volete, voi che venite? Ancora di quelli? Sono vecchio per cambiare! Anche se tutto il mondo mi urlasse: “È morto”, io dico: “È vivo”. Anche dovessi morire per dirlo. Avanti, dunque!».
   Si rialza per andare alla porta, per vedere chi è che bussa senza entrare. Ma, quando è là presso, essa si apre e Gesù entra.
   «Oh! Oh! Oh! Il mio Signore! Vivo! Ho creduto! Ed Egli viene a premiare la mia fede! Benedetto! Io non ho dubitato.
   Nel mio dolore ho detto: “Se mi ha mandato l’agnello per il banchetto di letizia, segno è che in questo giorno risorgerà”. Allora ho capito tutto. Quando Tu sei morto e la terra si è scossa, io ho capito ciò che ancor non avevo capito. E sono sembrato folle, a Nobe, perché, tramontato il sole del dì dopo il sabato, ho preparato il banchetto andando ad invitare dei mendichi e dicendo: “È risorto l’Amico nostro!”. Già si diceva che non era vero. Si diceva che ti avevano rubato, la notte. Ma io non ho creduto, perché da quando sei morto ho capito che morivi per risorgere, e che questo era il segno di Giona».

 14Gesù lo lascia parlare sorridendo. Poi chiede: «Ed ora vuoi ancora morire, o vuoi rimanere per testimoniare la mia gloria?».
   «Ciò che Tu vuoi, Signore!».
   «No. Ciò che tu vuoi».
   Il vecchione pensa. Poi decide: «Sarebbe bello uscire dal mondo, dove Tu non sei più come prima. Ma rinuncio alla pace del Cielo per dire agli increduli: “Io l’ho veduto!”».
   Gesù gli posa la mano sul capo benedicendolo e aggiungendo: «Ma presto sarà anche la pace, e tu verrai a Me col grado di confessore del Cristo».
   E se ne va. Qui, forse per pietà del vecchio annoso, non ha dato al suo apparire e sparire forma meravigliosa, ma ha fatto in tutto come fosse il Gesù di un tempo, che entrava e usciva da una casa, umanamente.
           
   VI. A Mattia, il solitario presso Jabes Galaad.
 15Lavora il vecchio intorno alle sue verdure e monologa: «Tutte ricchezze che ho per Lui. E Lui non le gusterà mai più. Inutilmente ho lavorato. Io credo che Egli era il Figlio di Dio, che è morto ed è risorto. Ma non è più il Maestro che si asside alla mensa del povero o del ricco e spartisce con uguale amore, forse, certo anzi, con più amore il cibo col povero che col ricco. Ora è il Signore Risorto. È risorto per confermare nella fede noi suoi fedeli. E quelli dicono che non è vero. Che nessuno è mai risorto da sé. Nessuno. No. Nessun uomo. Ma Lui sì. Perché Lui è Dio».
   Batte le mani a scacciare i suoi colombi, che scendono a rapire semi nella terra di fresco vangata e seminata, e dice: «Inutile ormai che voi prolifichiate! Egli non gusterà più della vostra prole! E voi, inutili api? Per chi fate il miele? Avevo sperato almeno una volta di averlo con me, ora che sono meno misero. Tutto ha prosperato qui, dopo la sua venuta… Ah! ma con quei denari, che mai ho toccato, io voglio andare a Nazaret, da sua Madre, dirle: “Fammi tuo servo, ma lasciami qui dove sei, perché tu sei ancora Lui”…». Si asciuga una lacrima col dorso della mano…

 16«Mattia, hai un pane per un pellegrino?».
   Mattia alza il capo ma, così a ginocchi come è, non vede chi parla dietro l’alta siepe che cinge la sua piccola proprietà, sperduta in quella solitudine verde che è questo luogo d’oltre Giordano. Ma risponde: «Chiunque tu sia, vieni, in nome del Signore Gesù». E si alza in piedi per aprire la chiudenda.
   Si trova di fronte Gesù e resta con la mano sul chiavistello, senza poter fare più gesto.
   «Non mi vuoi per ospite, Mattia? Lo hai fatto una volta. Ti rammaricavi di non poterlo più fare. Sono qui e non mi apri?», sorride Gesù…
   «Oh! Signore… io… io… non sono degno che il mio Signore entri qui… Io…».
   Gesù passa la mano sopra la chiudenda e fa agire il catenaccio dicendo: «Il Signore entra dove vuole, Mattia».
   Entra, si inoltra nell’umile ortaglia, va alla casa, sulla soglia dice: «Sacrifica dunque i figli dei tuoi colombi. Leva dalla terra le tue verdure, e il miele alle tue api. Spezzeremo insieme il pane e non sarà stato inutile il tuo lavoro, vano il tuo desiderio. E caro ti sarà questo luogo, senza che tu vada là dove presto sarà silenzio e abbandono. Io sono dovunque, Mattia. Chi mi ama è con Me, sempre. I miei discepoli saranno a Gerusalemme. Là sorgerà la mia Chiesa. Fa’ di esservi per la Pasqua supplementare».
   «Perdonami, Signore. Ma non ho saputo resistere in quel luogo e sono fuggito. Ero giunto là a nona del giorno avanti Parasceve, e il giorno dopo… Oh! sono fuggito per non vederti morire. Per questo solo, Signore».
   «Lo so. E so che sei tornato, uno dei primi, per piangere sul mio sepolcro. Ma esso era già vuoto di Me. So tutto. Ecco, Io mi siedo qui e riposo. Ho sempre riposato qui… E gli angeli lo sanno».

 17L’uomo si dà da fare, ma sembra si muova in una chiesa tanto si muove con gesti riverenti. Ogni tanto si asciuga una lacrima che vuol mescolarsi al suo sorriso, mentre va e viene per prendere i colombi, ucciderli, prepararli, e attizzare la fiamma, e cogliere e sciacquare le verdure, e disporre in un piatto i fichi primaticci, e apparecchiare sulla povera tavola con le stoviglie migliori. Ma, quando tutto è pronto, come può sedere a mangiare? Vuole servire e gli pare già molto, non vuole di più.
   Ma Gesù, che ha offerto e benedetto, gli offre metà del piccione, che ha tagliato mettendo la carne su un pezzo di focaccia che ha intinto nel sugo.
   «Oh! come a un prediletto!», dice l’uomo e mangia, piangendo di gioia e di emozione, senza levare gli occhi da Gesù che mangia… che beve, che gusta le verdure, le frutta, il miele, che gli offre il suo calice dopo avere sorbito un sorso di vino. Prima aveva bevuto sempre acqua.
   Il pasto è finito.
   «Sono ben vivo. Lo vedi. E tu sei ben felice. Ricordati che dodici giorni fa Io morivo per volere degli uomini. Ma che nullo è il volere degli uomini quando ad esso non consente il volere di Dio. Anzi, il contrario volere degli uomini strumento servile diviene del Volere eterno. Addio, Mattia. Poiché ho detto che meco sarà chi mi dette da bere quando ero il Pellegrino sul quale ancora era lecito ogni dubbio, così Io ti dico: tu avrai parte nel mio Regno celeste».
   «Ma ora ti perdo, o Signore!».
   «In ogni pellegrino vedi Me; in ogni mendico, Me; in ogni infermo, Me; in ogni bisognoso di pane, acqua e vesti, Me. Io sono in ognuno che soffre, e ciò che è fatto a chi soffre, a Me è fatto».
   Apre le braccia benedicendo e scompare.
           
   VII. Ad Abramo di Engaddi, che gli muore tra le braccia.
 18La piazza di Engaddi: tempio ipòstilo di palme fruscianti. La fontana: specchio al cielo d’aprile. I colombi: murmure basso di organo.
   Il vecchio Abramo la traversa con gli arnesi del lavoro sulle spalle. Ancor più vecchio, ma sereno come chi ha trovato ristoro dopo molta tempesta. Traversa anche il resto della città, va alle vigne presso le fonti. Le belle vigne ubertose, già piene di promesse di raccolto dovizioso. Vi entra, si dà a sarchiare, a potare, a legare. Ogni tanto si rialza, si appoggia alla zappa, pensa. Si liscia la barba patriarcale, sospira, scrolla il capo in un interno discorso.
   Un uomo molto ammantellato sale la strada verso le fonti e le vigne. Dico: un uomo. Ma è Gesù, perché la veste è quella e quello è l’incesso. Ma per il vecchio è: un uomo. E l’Uomo interpella Abramo dicendo: «Posso sostare qui?».
   «Sacra è l’ospitalità. Non l’ho mai ricusata ad alcuno. Vieni. Entra. Ti sia dolce il riposo all’ombra delle mie viti. Vuoi latte? Pane? Ti darò ciò che possiedo, qui».
   «E Io che ti posso dare? Non ho nulla».
   «Colui che è il Messia mi ha dato tutto, per tutti gli uomini. E per quanto io dia, nulla do rispetto a quel che Egli mi ha dato».
   «Lo sai che lo hanno crocifisso?».
   «So che è risorto. Sei tu un crocifissore? Io non posso odiare perché Egli non vuole odio. Ma, potessi, ti odierei se tu lo fossi».
   «Non sono un suo crocifissore. Sta’ in pace. Tu dunque sai tutto di Lui».
   «Tutto. Ed Eliseo… È mio figlio, sai? Eliseo non è più tornato da Gerusalemme, dicendo: “Congedami, padre, perché io lascio ogni bene per predicare il Signore. Andrò a Cafarnao, a cercare di Giovanni, e mi unirò ai discepoli fedeli”».
   «Tuo figlio ti ha dunque lasciato? Così vecchio e solo?».
   «È il mio gaudio sognato questo che tu chiami abbandono. Non mi aveva fatto orbo di lui la lebbra? E chi me lo ha reso? Il Messia. E lo perdo forse perché egli predica il Signore? Ma no! Lo ritrovo anche nella vita eterna.

 19Ma tu parli in un modo che mi dai sospetto. Sei un emissario del Tempio? Vieni a perseguitare chi crede nel Risorto? Colpisci! Non fuggo. Non imito i tre saggi del tempo lontano. Io resto. Perché, se cado per Lui, lo raggiungo in Cielo e si compie la mia preghiera dell’anno avanti questo».
   «È vero. Tu hai detto allora: “Ho aspettato ansiosamente il Signore ed Egli a me si è rivolto”».
   «Come lo sai? Sei uno dei suoi discepoli? Eri qui con Lui quando lo pregai? Oh! se tale sei, aiutami a fargli giungere il mio grido, perché Egli lo ricordi». Si prostra credendo di parlare a un apostolo.
   «Sono Io, Abramo di Engaddi, e ti dico: “Vieni”». Gli apre le braccia, Gesù, manifestandosi, e lo invita a precipitarsi in esse, ad abbandonarsi sul suo Cuore.
   Entra in quel momento nella vigna un fanciullo, seguito da un giovinetto, chiamando: «Padre! Padre! Eccoci a darti aiuto».
   Ma il trillante grido del fanciullo è soverchiato dal grido possente del vecchio, un vero grido di liberazione: «Ecco! Io vengo!». E si getta Abramo fra le braccia di Gesù, gridando ancora: «Gesù, Messia santo! Nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».
   Morte beata! Morte che invidio! Sul Cuore di Cristo, nella pace serena della campagna fiorente nell’aprile…

 20Gesù depone con calma il vecchio sull’erba fiorita che ondeggia alla brezza, al piede di un filare, e dice ai fanciulli rimasti stupiti e spaventati, prossimi al pianto: «Non piangete. È morto nel Signore. Beati coloro che muoiono in Lui! Andate, fanciulli, ad avvisare quelli di Engaddi che il loro sinagogo ha visto il Risorto ed ha avuto da Lui esaudita la sua preghiera. Non piangete! Non piangete!». Li accarezza guidandoli all’u­sci­ta.
   Poi torna presso l’estinto e gli ravvia barba e capelli, gli abbassa le palpebre rimaste socchiuse, gli compone le membra e gli stende sopra il mantello che Abramo si era levato per lavorare.
   Resta sinché sente delle voci sulla via. Allora si raddrizza. Splendido… Quelli che accorrono lo vedono. Gridano. Aumentano la loro corsa per raggiungere Gesù. Ma Egli si invola ai loro sguardi nel fulgore di un raggio più vivo del sole.
           
   VIII. A Elia, l’esseno del Carit.
 21La solitudine aspra dell’aspra montagna dove scorre nel fondo il Carit. Elia che prega, ancor più scarno e barbuto, vestito di una ruvida veste di lana né bigia né marrone, che lo fa simile ai massi che lo circondano.
   Sente un suono come di vento o di tuono. Alza il capo. Gesù è apparso su un masso sospeso in bilico sul precipizio nel cui fondo scorre il torrente.
   «Il Maestro!». Si getta al suolo anche col volto.
   «Io, Elia. Non hai sentito il terremoto di Parasceve?».
   «L’ho sentito e sono sceso a Gerico e da Niche. Non ho trovato nessuno di quelli che ti amano. Ho chiesto di Te. Mi hanno percosso. Poi ho sentito un’altra volta tremare la terra, ma più leggermente, e sono tornato qui, in penitenza, pensando che si è aperta la diga dell’ira celeste».
   «Della Misericordia divina. Io sono morto e risorto. Guarda le mie piaghe. Raggiungi sul Tabor i servi del Signore e di’ loro che Io ti ho mandato».
   Lo benedice e scompare.
           
   IX. A Dorca e al suo bambino, nel castello di Cesarea di Filippo.
 22Il bambino di Dorca, sostenuto dalla madre, fa i primi passi sul bastione della fortezza. E Dorca, curva come è, non vede apparire il Signore. Ma quando, avendo lasciato un poco libero il fanciullino, lo vede darsi a camminare sicuro e svelto verso l’angolo del bastione, si rialza per correre acciò egli non caschi e forse perisca passando fra le merlature o passaggi fatti ad arte per le armi di offesa. E, nel farlo, vede Gesù che si raccoglie sul cuore l’infante e lo bacia.
   La donna non osa fare un gesto. Ma grida, forte. Un grido che fa alzare il capo a quelli delle corti e sporgere volti dalle finestre: «Il Signore! Il Signore! Il Messia è qui! È veramente risorto». Ma, prima che la gente possa accorrere, Gesù è già scomparso.
   «Sei pazza! Sognavi! Uno scherzo di luce ti ha fatto vedere un fantasma».
   «Oh! era ben vivo! Guardate mio figlio come guarda là e come ha nelle mani una mela bella come il suo piccolo volto. La rode coi dentini e ride. Io non ho mele…».
   «Nessuno ha mele mature di questi giorni, e fresche co­sì…», dicono rimanendo scossi.

 23«Interroghiamo Tobia», dicono alcune donne.
   «E che volete fare? Sa appena chiamare “mamma”!», deridono degli uomini.
   Ma le donne si curvano sul fanciullino e dicono: «Chi ti ha dato la mela?».
   E la bocca, che quasi non sa dire le più elementari parole, dice sicura, tutta in un ridere di dentini minuti e di gengive ancor vuote: «Gesù».
   «Oh!».
   «Eh! lo chiamate Jesai! Sa dire il suo nome».
   «Gesù tu, o Gesù il Signore? Quale Signore? Dove lo hai visto?», incalzano le donne.
   «Lì, il Signore. Gesù il Signore».
   «Dove è? Dove è andato?».
   «Là», indica il cielo pieno di sole e ride felice, e morde la sua mela.
   E mentre gli uomini se ne vanno scrollando il capo, Dorca dice alle donne: «Era bello. Pareva vestito di luce. E aveva sulle mani il segno dei chiodi, rosso come una gemma in tanto candore. Ho visto bene perché teneva il bambino così», e fa l’atto di Gesù.

 24Accorre l’intendente, si fa ripetere la storia, pensa, conclude: «Il salmo lo dice: “Sulla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai posta la lode perfetta”. E perché no la verità? Essi sono innocenti. E noi… Ricordiamo questo giorno… Ma no! Io vado nel paese dei discepoli. Vado a vedere se là è il Rabbi… Eppure… Era morto… Mah!…».
   E su questo «mah!», che finisce di concludersi internamente, l’intendente se ne va, mentre le donne, esaltate, continuano a far domande al piccino, che ride e ripete: «Gesù, là. E poi là. Gesù Signore», e indica il luogo dove era Gesù, poi il sole nel quale lo vide sparire, felice, felice.
           
   X. Alle persone raccolte nella sinagoga di Cedes.
 25La gente di Cedes è raccolta nella sinagoga e discute col vecchio Mattia, il sinagogo, sugli ultimi avvenimenti. La sinagoga è piuttosto semibuia, perché le porte sono chiuse e le tende calate sulle finestre, tende pesanti che il vento d’aprile smuove appena.
   Un lampo illumina la stanza. Sembra un lampo, ma è la luce che precede Gesù. E Gesù si manifesta allo stupore dei molti. Apre le braccia e ben visibili appaiono le ferite alle mani e ai piedi, perché si mostra sull’ultimo dei tre gradini che conducono ad una porta chiusa. Dice: «Io sono risorto. Vi ricordo la disputa fra Me e gli scribi. Alla generazione malvagia ho dato il segno che avevo promesso. Quello di Giona. A chi mi ama e mi è fedele do la mia benedizione». Nulla più. È scomparso.
   «Ma era Lui! Da dove? Eppure era vivo! Lo aveva detto! Ecco! Ora capisco. Il segno di Giona: tre giorni nelle viscere della Terra e poi la risurrezione…».
   Brusio di commenti…
           
   XI. Ad un gruppo di rabbi a Giscala.
 26Un gruppo velenoso di rabbi, che cercano di persuadere alle loro richieste alcuni uomini che titubano. Vorrebbero ottenere che questi andassero da Gamaliele, che si è chiuso nella sua casa e non vuole vedere nessuno.
   Dicono questi uomini: «Vi diciamo che non è qui. Non sappiamo dove è. È venuto. Ha consultato dei rotoli. È partito. Non ha detto una parola. Faceva paura, tanto era stravolto e invecchiato», ribattono gli altri.
   Con mal garbo i rabbi volgono le spalle a questi che parlano e se ne vanno dicendo: «Anche Gamaliele è pazzo come Simone! Non è vero che il Galileo è risorto! Non è vero. Non è vero! Non è vero che è Dio. Non è vero. Nulla è vero. Noi soli siamo nel vero». Lo stesso affanno col quale dicono che non è vero mostra la loro paura che vero sia, il bisogno di rassicurarsi.
   Hanno costeggiato il muro della casa e sono verso la tomba di Illele. Sempre latrando le loro negazioni, alzano il volto… e fuggono con un grido. Il Gesù buonissimo coi buoni è là, terribile di potenza, a braccia aperte come sulla croce… Le piaghe alle mani rosseggiano come ancora gocciassero sangue. Non dice una parola. Ma i suoi sguardi fulminano.
   I rabbi fuggono, cadono, si rialzano, si feriscono contro piante e sassi, folli, resi folli di paura. Sono simili a omicidi ricondotti alla presenza della vittima.
           
   XII. A Gioacchino e Maria, a Bozra.
 27«Maria! Maria! Gioacchino e Maria! Venite fuori».
 I due, che sono in una stanza quieta, illuminata da un lume, una intenta a cucire, l’altro a far conti, alzano il capo, si guardano… Gioacchino, sbiancando di paura, sussurra: «La voce del Rabbi! Viene dall’altra vita…». La donna si stringe spaurita all’uomo.
   Ma l’appello si ripete e i due, tenendosi stretti per farsi coraggio a vicenda, osano uscire, andare in direzione della voce.
   Nel giardino, che illumina il falcetto di una luna novella, splende, in una luce più forte di molte lune, Gesù. La luce lo circonda e lo fa Dio. Il sorriso dolcissimo e lo sguardo amorevole lo fanno Uomo: «Andate a dire a quei di Bozra che mi avete visto vivo e reale. E ditelo al Tabor, tu, Gioacchino, a quelli là convenuti». Li benedice. Scompare.
   «Ma era Lui! Non era un sogno! Io… Domani vado in Galilea. Ha detto al Tabor, vero?…».
           
   XIII. A Maria di Giacobbe, ad Efraim.
 28La donna sta intridendo della farina per fare del pane. Si volta sentendosi chiamare e vede Gesù. Volto a terra, mani a terra, muta di adorazione, un poco spaventata.
   Gesù parla: «Dirai a tutti che mi hai visto e che ti ho parlato. Il Signore non è soggetto al sepolcro. Sono risorto al terzo giorno come avevo predetto. Perseverate, voi che state nella mia via, e non vi lasciate sedurre dalle parole di quelli che mi hanno crocifisso. La mia pace a te».
           
   XIV. A Sintica, ad Antiochia.
 29Sintica sta preparando una sacca da viaggio. È sera, perché arde un lume piccolo, tremulo, dalla luce molto relativa, posato su una tavola presso la donna intenta a ripiegare delle vesti.
   La stanza si illumina vivamente e Sintica alza il capo, stupita, a vedere cosa succede, donde viene quella luce così chiara in quella stanza tutta chiusa. Ma, prima che veda, Gesù la previene: «Sono Io. Non temere. Mi sono mostrato a molti per confermarli nella fede. Anche a te mi mostro, discepola ubbidiente e fedele. Sono risorto. Vedi? Non ho più dolore. Perché piangi?».
   La donna, davanti alla bellezza del Glorificato, non trova le parole… Gesù le sorride per incoraggiarla e soggiunge: «Sono lo stesso Gesù che ti ha accolta sulla via presso Cesarea. Sapesti parlare allora che eri tanto timorosa e che ti ero lo Sconosciuto. Ed ora non sai dirmi una parola?».
   «O Signore! Io stavo partendo… Per levarmi dal cuore tanta inquietudine e dolore».
   «Perché dolore? Non ti hanno detto che ero risorto?».
   «Hanno detto e contraddetto. Ma delle loro contraddizioni non mi sono turbata. Io sapevo che Tu non potevi corromperti in un sepolcro. Ho pianto sul tuo martirio. Ho creduto, prima ancora che me la dicessero, alla tua risurrezione. E ho continuato a credere quando sono venuti altri a dire che non era vero. Ma volevo venire in Galilea. Pensavo: a Lui non posso fare più del male. Egli ora è più Dio che Uomo. Non so se so dir bene…».
   «Capisco il tuo pensiero».
   «E dicevo: lo adorerò, e vedrò Maria. Pensavo che Tu non rimarresti molto fra noi e affrettavo la partenza. Dicevo: quando sarà tornato al Padre, come diceva, sua Madre sarà un poco triste nella sua gioia. Perché è un’anima, ma è anche una madre… E io cercherò di consolarla, ora che è sola… Superba ero!».
   «No. Eri pietosa. Dirò a mia Madre il tuo pensiero. Ma non venire là. Resta dove sei e continua a lavorare per Me. Ora più di prima. I tuoi fratelli, i discepoli, hanno bisogno del lavoro di tutti per poter propagare la mia dottrina. Mi hai visto. Maria è affidata a Giovanni. Ogni tua pena cada. Potrai fortificare il tuo spirito nella certezza di avermi visto e con la potenza della mia benedizione».

 30Sintica ha una grande voglia di baciarlo. Ma non osa. Gesù le dice: «Vieni». E lei osa strascinarsi a ginocchi presso Gesù e fa l’atto di baciargli i piedi. Ma vede le due piaghe e non osa. Prende il lembo della veste e la bacia piangendo. E mormora: «Cosa ti hanno fatto!».
   Poi ha una domanda: «E Giovanni-Felice?».
   «È felice. Non ricorda più altro che l’amore e vive in esso. La pace a te, Sintica». Scompare.
   La donna resta nell’atto adorante, in ginocchio, il volto alzato, le mani un poco tese, delle lacrime sul volto, un sorriso sulla bocca…
           
   XV. Al levita Zaccaria.
 31È in una piccola stanza. Pensieroso, sta seduto, col capo reclino su una mano, Zaccaria, il levita.
   «Non essere dubbioso. Non accogliere le voci che turbano. Io sono la Verità e la Vita. Guardami. Toccami».
   Il giovane, che ha alzato il viso alle prime parole e ha visto Gesù, ed è scivolato in ginocchio, grida: «Perdonami, Signore. Io ho peccato. Ho accolto in me il dubbio sulla tua verità».
   «Più di te, colpevoli coloro che cercano di sedurre il tuo spirito. Non cedere alle loro tentazioni. Sono corpo vivo e reale. Senti il peso e il calore, la consistenza e la forza della mia Mano». Lo prende per un avambraccio e lo alza con forza dicendo: «Sorgi e cammina nelle vie del Signore. Fuori dal dubbio e dalla paura. E te beato se saprai perseverare sino alla fine». Lo benedice e scompare.
   Il giovane, dopo qualche attimo di sbalordita meraviglia, si precipita fuori dalla stanza gridando: «Madre! Padre! Ho visto il Maestro. Non è vero ciò che dicono gli altri! Non ero folle. Non vogliate persistere a credere alla menzogna, ma benedite con me l’Altissimo che ha avuto pietà del suo servo. Io parto. Vado in Galilea. Troverò qualcuno dei discepoli. Vado a dire loro che credano. Che Egli è proprio risorto».
   Non prende sacca con cibo né vesti. Si ammanta e corre via, senza dare tempo ai genitori di rinvenire dal loro stupore e potere intervenire per trattenerlo.
           
   XVI. Ad una donna della piana di Saron, che ottiene la guarigione del figlio malato.
 32Una via litoranea. Forse quella che unisce Cesarea a Joppe, o un’altra. Non so. So che vedo campagne nell’interno e mare all’esterno, azzurro vivo dopo la linea giallastra della riva. La strada è certo un’arteria romana. La sua pavimentazione lo testimonia.
   Una donna piangente va per essa nelle prime ore di un sereno mattino. L’aurora è da poco sorta. La donna deve essere stanchissima, perché ogni tanto si ferma sedendosi su una pietra miliare o sulla via. Poi si rialza e procede, come se qualcosa la spronasse ad andare, nonostante la grande stanchezza.
   Gesù, un viandante ammantellato, gli si pone al fianco. La donna non lo guarda. Procede assorbita nel suo dolore. Gesù la interroga: «Perché piangi, donna? Da dove vieni? E dove vai così tutta sola?».
   «Vengo da Gerusalemme e torno a casa mia».
   «Lontano?».
   «A mezza via tra Joppe e Cesarea».
   «A piedi?».
   «Nella valle, prima di Modin, dei ladroni mi hanno preso l’asi­no e quanto era su esso».
   «Sei stata imprudente ad andar sola. Non usa venire soli per la Pasqua».
   «Non ero venuta per la Pasqua. Ero rimasta a casa, perché ho, spero di averlo ancora, un bambino malato. Mio marito era andato con gli altri. Io l’ho lasciato andare avanti e quattro giorni dopo sono andata io. Perché ho detto: “Certo Egli è a Gerusalemme per la Pasqua. Lo cercherò”. Avevo un poco paura. Ma ho detto: “Non faccio nulla di male. Dio vede. Io credo. E so che è buono. Non mi respingerà, perché…”». Si arresta come impaurita e getta uno sguardo fugace sull’uomo che le cammina vicino, così tutto coperto che appena se ne vedono gli occhi, gli inconfondibili occhi di Gesù.

 33«Perché taci? Hai paura di Me? Credi tu che Io sia nemico di Colui che tu cercavi? Perché tu cercavi il Maestro di Nazaret, per chiedergli che venisse nella tua casa a guarire il fanciullo mentre tuo marito era assente…».
   «Vedo che sei profeta. Così è. Ma, quando sono arrivata in città, il Maestro era morto». Il pianto la soffoca…
   «È risorto. Non lo credi?».
   «Lo so. Lo credo. Ma io… Ma io… Per qualche giorno ho sperato di vederlo anche io… Si dice che si è mostrato ad alcuni. E ho tardato a partire… ogni giorno uno spasimo, perché… è tanto malato il mio bambino… Il mio cuore diviso… Andare per consolarlo nella morte… Rimanere per cercare il Maestro… Non pretendevo che venisse alla mia casa. Ma che mi promettesse guarigione».
   «E avresti creduto? Pensi che da lontano…».
   «Credo. Oh! se mi avesse detto: “Va’ in pace. Tuo figlio guarirà”, io non avrei dubitato. Ma non lo merito, perché…», piange premendosi il velo sulla bocca come per impedirle di parlare.
   «Perché tuo marito è uno degli accusatori e carnefici di Gesù Cristo. Ma Gesù Cristo è il Messia. È Dio. E Dio è giusto, donna. Non punisce un innocente per il colpevole. Non tortura una madre perché un padre è peccatore. Gesù Cristo è Misericordia viva…».
   «Oh! tu sei forse un suo apostolo? Tu forse sai dove è Egli? Tu… Forse Egli ti ha mandato a me per dirmi questo. Ha sentito, ha visto il mio dolore, la mia fede, e mi ti manda così come
 l’Altissimo mandò l’arcangelo Raffaele a Tobiolo. Dimmelo se così è, ed io, benché stanca fino alla febbre, rivolgerò indietro i miei passi per cercare il Signore».
   «Non sono un apostolo. Ma a Gerusalemme sono rimasti ancora gli apostoli per molti giorni dopo la sua Risurrezione…».
   «È vero. Potevo chiedere a loro».
   «Così. Essi continuano il Maestro».
   «Non credevo potessero fare miracoli».
   «Li hanno fatti ancora…».
   «Ma ora… Mi hanno detto che solo uno è rimasto fedele, e non credevo…».
   «Sì. Tuo marito ti ha detto così, schernendoti nel suo delirio di falso trionfatore. Ma Io ti dico che l’uomo può peccare, perché solo Dio è perfetto. E può pentirsi. E, se si pente, la sua fortezza cresce, e Dio gli aumenta le sue grazie per la sua contrizione. Non perdonò forse a Davide il Signore altissimo?».

 34«Ma chi sei? Ma chi sei, che parli così dolce e sapiente, se apostolo non sei? Un angelo, forse? L’angelo del mio bambino. Egli è forse spirato e tu sei venuto a prepararmi…».
   Gesù lascia cadere il manto, e dal capo e dal volto, e passando dall’aspetto dimesso di un comune pellegrino all’imponenza sua di Dio-Uomo, risorto da morte, dice con dolce solennità: «Sono Io. Il Messia invano crocifisso. Sono la Risurrezione e la Vita. Vai, o donna. Tuo figlio vive, perché Io ho premiato la tua fede. Tuo figlio è guarito. Perché, se il Rabbi di Nazaret ha finito la sua missione, l’Emanuele continua la sua sino alla fine dei secoli per tutti coloro che hanno fede, speranza e carità nel Dio uno e trino, di cui il Verbo incarnato è una Persona, che per divino amore ha lasciato il Cielo per venire a insegnare, a patire e morire per dare agli uomini la Vita. Va’ in pace, donna. E sii forte nella fede, perché il tempo è venuto che in una famiglia lo sposo sarà contro la sposa, il padre contro ai figli e questi a quello, per odio o per amore per Me. Ma beati quelli che persecuzione non strapperà dalla mia Via».
   La benedice e scompare.
           
   XVII. A dei pastori sul Grande Ermon.
 35Un gruppo di greggi e di pastori. Sono a sosta su delle pendici dai pascoli splendidi. E parlano degli avvenimenti di Gerusalemme. E sono afflitti, dicendo l’uno all’altro: «Non avremo più sulla Terra l’Amico dei pastori», e rievocano i molti incontri fatti or qua or là con Lui… «Incontri», dice un vecchio, «che non faremo mai più».
   Gesù appare come mettesse piede in quel luogo da dietro un bosco intricato, dove i fusti alti sono abbracciati da macchioni bassi che celano la vista del sentiero. Non lo riconoscono nel­l’uomo solitario e mormorano vedendolo così avvolto in vesti candide: «Chi è? Un esseno? Qui? Un ricco fariseo?». Sono perplessi.
   Gesù interroga: «Perché dite che non incontrerete più il Signore? Perché Colui di cui parlate è il Signore».
   «Lo sappiamo. Ma tu non sai ciò che gli hanno fatto? Ora c’è chi dice che è risorto e chi no. Ma, anche che sia risorto, come noi preferiamo credere, ora se ne sarà andato. Come può più amare e rimanere framezzo ad un popolo che lo ha crocifisso? E noi che lo amavamo, anche se non tutti lo avevamo conosciuto, siamo tristi di averlo perduto».
   «C’è un modo di averlo ancora. Egli lo insegnava».
   «Oh, sì! Facendo ciò che Egli insegnava. Allora si ha il Regno dei Cieli e si è con Lui. Ma prima si deve vivere e poi morire. Ed Egli non è più fra noi per confortarci». Scrollano il capo.
   «Figliuoli miei, coloro che vivono ciò che Egli ha insegnato, tenendo nel cuore il suo insegnamento, è come se avessero Gesù nel cuore. Perché Parola e Dottrina sono una cosa sola. Egli non era un Maestro che insegnasse cose che non fossero quale Egli era. Perciò, chi fa ciò che Egli ha detto, ha Gesù vivente in lui e non gli è diviso».
   «Dici bene. Ma siamo poveri uomini e… vogliamo vedere anche con gli occhi per sentire bene la gioia… Io non l’ho visto mai, e mio figlio neppure, e non Giacobbe, quello. E non Melchia, quello. E non Giacomo, quello. E non Saul. Vedi, solo fra noi, quanti non lo hanno visto? Sempre lo cercavamo, e quando si arrivava Egli era partito».
   «Non eravate a Gerusalemme quel giorno?».
   «Oh! c’eravamo! Ma, quando abbiamo saputo cosa volevano fargli, siamo fuggiti come pazzi sui monti, tornando in città dopo il sabato. Non siamo colpevoli del Sangue di Lui, perché non eravamo nella città. Ma facemmo male ad essere vili. Lo avremmo visto, almeno, e salutato. Certo Egli ci avrebbe benedetti per il nostro saluto… Ma proprio non abbiamo avuto coraggio di guardarlo fra i tormenti…».
   «Egli vi benedice ora. Guardate Colui del quale desiderate conoscere il Volto».
   Si manifesta, splendidamente divino sul verde del prato. Davanti al loro stupore, che li getta a terra ma che anche inchioda le loro pupille sul Volto divino, Egli dispare in un fulgore di luce.
           
   XVIII. Al bambino che era cieco nato, a Sidone.
 36Il fanciullo giuoca tutto solo sotto un folto pergolato. Si sente chiamare e si trova di fronte Gesù. Gli chiede, ben poco timoroso: «Ma Tu sei il Rabbi che mi ha dato gli occhi?», e figge i suoi limpidi occhi di fanciullo, di un azzurro uguale a quelli di Gesù, negli sfavillanti occhi divini.
   «Sono Io, fanciullo. Tu non hai paura di Me?». Lo carezza sul capo.
   «Paura no. Ma io e la mamma abbiamo molto pianto quando il padre è tornato prima del tempo e ci ha detto che era fuggito perché avevano presso il Rabbi per farlo morire. Non ha fatto la Pasqua e deve partire di nuovo per farla. Ma non sei morto, allora?».
   «Sono morto. Guarda le ferite. Morto sulla croce. Ma sono risorto. Dirai a tuo padre di trattenersi qualche tempo a Gerusalemme dopo la seconda Pasqua e di stare nei pressi dell’Uliveto, a Betfage. Là troverà chi gli dirà cosa fare».
   «Mio padre pensava di cercarti. Per i Tabernacoli non ti poté parlare. Voleva dirti che ti vuol bene per gli occhi che mi hai dato. Ma non poté farlo, né allora né ora…».
   «Lo farà con la fede in Me. Addio, fanciullo. La pace a te e alla tua famiglia».
           
   XIX. Ai contadini di Giocana.
 37I campi di Giocana sotto il bacio della luna. Silenzio assoluto. Le povere dimore dei contadini, in una afosa notte che obbliga a tenere aperta almeno una porta per non morir di caldo nelle stanze basse, dove sono accatastati troppi corpi rispetto alla capienza del luogo.
   Gesù entra in uno stanzone. Pare che sia la stessa luna che allunghi il suo raggio per fargli un tappeto regale sul suolo di terra battuta. Si curva su un dormente, che sta bocconi nel sonno pesante della fatica. Lo chiama. Passa a un altro e a un altro. Tutti chiama, quei suoi fedeli e poveri amici. Passa lieve e svelto come un angelo in volo. Entra in altri covili… Poi va ad attenderli fuori, presso un gruppo di piante.
   I contadini, mezzo assonnati, escono dalle loro stamberghe. Due, tre, uno solo, cinque insieme, alcune donne. Sono stupiti di essere stati tutti chiamati così da una voce nota, che ha detto a tutti le stesse parole: «Venite al pometo». Vanno là, finendo di infilarsi le povere vesti gli uomini, o di puntarsi le trecce le donne, e parlano piano.
   «A me è parsa la voce di Gesù di Nazaret».
   «Forse il suo spirito. Lo hanno ucciso. Avete sentito?».
   «Io non posso crederlo. Egli era Dio».
   «Eppure Gioele lo vide passare sotto la croce anche…».
   «A me hanno detto ieri, mentre aspettavo che il fattore trattasse i suoi mercati, che sono passati da Jezrael i discepoli e hanno detto che è risorto proprio».
   «Taci! Sai cosa dice il padrone. È la flagellazione per chi dice questo».
   «La morte, forse. Ma non sarebbe meglio, piuttosto di soffrire così?».
   «E ora non c’è più Lui!».
   «Sono anche più cattivi, ora che sono riusciti a ucciderlo».
   «Sono cattivi perché è risorto».
   Parlano piano, mentre vanno verso il punto che è stato detto loro.

 38«Il Signore!», grida una donna cadendo per la prima in ginocchio.
   «Il suo fantasma!», gridano altri e qualcuno ha paura.
   «Sono Io. Non temete. Non gridate. Venite avanti. Sono proprio Io. Sono venuto a raffermare la vostra fede, che so insidiata dagli altri. Vedete? Il mio Corpo fa ombra perché è vero corpo. Non sognate, no. La mia è vera voce. Sono lo stesso Gesù che spezzava con voi il pane e vi dava amore. Anche ora vi do amore. Vi manderò i miei discepoli. E sarò ancora Io, perché essi vi daranno ciò che Io vi davo e ciò che ho dato loro per poter comunicarmi a quelli che credono in Me. Sopportate la vostra croce come Io ho sopportato la mia. Siate pazienti. Perdonate. Vi diranno come sono morto. Imitatemi. La via del dolore è la via del Cielo. Seguitela con pace e avrete il Regno mio. Non c’è altra via fuor di quella della rassegnazione alla volontà di Dio, della generosità, della carità verso tutti. Ce ne fosse stata un’altra, Io ve la avrei indicata. Sono passato Io per questa, perché è la via giusta. Siate fedeli alla Legge del Sinai, che è immutabile nei suoi dieci comandi, e alla mia Dottrina. Verranno quelli che vi istruiranno perché non siate abbandonati alle mene dei malvagi. Io vi benedico. Ricordate sempre che vi ho amato e che sono venuto fra voi prima e dopo della mia glorificazione. In verità vi dico che molti avrebbero desiderio di vedermi ora, e non mi vedranno. Molti grandi. Ma mi mostro a coloro che amo e che mi amano».
   Un uomo osa dire: «Allora… il Regno dei Cieli c’è proprio? Tu eri veramente il Messia? Essi ci suggestionano…».
   «Non ascoltate le parole loro. Ricordate le mie e accogliete quelle dei miei discepoli a voi noti. Sono parole di verità. E chi le accoglie e pratica, ancorché qui sia servo o schiavo, sarà cittadino e coerede del Regno mio».
   Li benedice aprendo le braccia e scompare.

 39«Oh! io… Non temo più nulla io!».
   «E io neppure. Hai sentito? Anche per noi c’è un posto!».
   «Bisogna essere buoni!».
   «Perdonare!».
   «Pazientare!».
   «Saper resistere».
   «Cercare i discepoli».
   «Da noi, poveri servi, è venuto».
   «Lo diremo ai suoi apostoli».
   «Se lo sapesse Giocana!».
   «E Doras!».
   «Ci ucciderebbero perché non si parlasse».
   «Ma noi taceremo. Solo ai servi del Signore lo diremo».
   «Michea, tu non devi andare con quel carico a Sefori? Perché non vai a Nazaret a dire…».
   «A chi?».
   «Alla Madre. Agli apostoli. Forse saranno con Lei…».
   Si allontanano bisbigliando i loro progetti.
           
    XX. A Daniel, parente del fariseo Elchia, con il sinedrista Simone.
 40Elchia, il fariseo, sta discutendo con altri suoi pari cosa fare del sinedrista Simone che, impazzito il venerdì santo, parla e dicetroppe cose. Le proposte sono diverse. Chi dice di isolarlo in qualche luogo deserto, dove le sue grida non possono essere sentite altro che da un servo fedelissimo e del loro stesso pensiero; chi, più benigno, confida che, essendo un malore passeggero, basterebbe lasciarlo lì dove è.
   Elchia risponde: «L’ho portato qui non sapendo dove altro portarlo. Ma voi sapete che dubito forte del mio parente Daniel…».
   Altri, più malvagi ancora di Elchia, dicono: «Vuole fuggire, andare per mare. Perché non accontentarlo?».
   «Perché è incapace di atti ordinati. Solo in mare, perirebbe, e nessun di noi è capace di condurre una barca».
   «E poi! Anche fosse! Che avverrebbe nel luogo di sbarco, con quello che egli dice? Lasciate scegliere a lui la via… Alla presenza di tutti, anche del tuo parente, fa’ che egli dica la sua volontà, e come egli vuole si faccia».
   Viene approvata questa proposta, ed Elchia, chiamando un servo, ordina sia condotto Simone e chiamato Daniel.
   Vengono l’uno e l’altro e, se Daniel ha l’aspetto di uomo che si sente a disagio presso certa gente, l’altro ha proprio l’aspetto di un mentecatto.
   «Sentici, Simone. Tu dici che noi ti teniamo prigione perché vogliamo ucciderti…».
   «Dovete. Perché tale è il comando».
   «Tu deliri, Simone. Taci e ascolta. Dove ti pare che guariresti?».
   «In mare. In mare. In mezzo al mare. Dove non è nessuna voce. Dove non è nessun sepolcro. Perché i sepolcri si aprono ed escono i morti e mia madre dice…».
   «Taci! Ascolta. Noi ti amiamo. Come una carne nostra. Vuoi proprio andare là?».
   «Certo che voglio. Perché qui i sepolcri si aprono e mia madre…».
   «Andrai là. Ti condurremo al mare, ti daremo una barca e tu…».
   «Ma è un omicidio il vostro! Egli è folle! Non può andar solo!», grida l’onesto Daniel.
   «Dio non violenta la volontà dell’uomo. Potremmo noi fare ciò che non fa Dio?».
   «Ma è folle! Non ha più volontà. È più stolto di un neonato! Non potete!…».
   «Taci tu. Sei un agricoltore e non altro. Noi sappiamo… Domani partiremo per il mare. Sta’ lieto, Simone. Per il mare, capisci?».
   «Ah! non sentirò più le voci della Terra! Non più le voci…

 41Ah!», un grido lungo, uno spasimo di agitazione, un chiudersi d’occhi e d’orecchie. E un altro grido, quello di Daniel, che scappa via terrorizzato.
   «Ma che è? Che avviene? Fermate quel pazzo e quello stolto! Stiamo forse perdendo tutti il senno?», urla Elchia.
   Ma colui che Elchia chiama “lo stolto”, ossia il suo parente Daniel, dopo aver corso qualche metro, si prostra al suolo, mentre l’altro invece schiuma, là dove è, in una convulsione paurosa, e urla, urla: «Fatelo tacere! Non è morto e grida, grida, grida! Più di mia madre, più di mio padre, più che non facesse sul Golgota! Là, là, non vedete là?». Accenna a dove è Daniel, placido, sorridente, col volto levato dopo esser stato col volto al suolo.
   Elchia lo raggiunge e lo scrolla rudemente, furente, senza occuparsi di Simone che si rotola a terra e spuma e ha urli bestiali fra il cerchio esterrefatto degli altri. Elchia apostrofa Daniel: «Visionario fannullone, vuoi dirmi che fai?».
 «Lasciami. Ora ti conosco. E da te mi allontano. Ho visto, benigno a me, tremendo a voi, Colui che mi volete fare credere morto. Io me ne vado. Più che il denaro e ogni ricchezza, tutelo l’anima mia. Addio, maledetto! E, se puoi, fa’ di meritare il perdono di Dio».
   «Ma dove vai? Dove? Io non voglio!».
   «Hai diritto di tenermi prigioniero? Chi te lo ha dato? Ti abbandono ciò che ami e seguo ciò che amo. Addio», gli volge le spalle e se ne va, rapido come lo traesse una forza sovrumana, giù per la china verde di ulivi e frutteti.
   Elchia, e non lui solo, è livido. L’ira li strozza tutti. Elchia minaccia vendetta sul parente, su tutti quelli che «con le loro frenesie», dice, asseriscono che il Galileo è vivente. Vuol dire, vuol dire…
   Uno, non so chi sia, dice: «Faremo, faremo, ma non potremo chiudere tutte le bocche, e le pupille, che parlano perché vedono. Siamo vinti! Il delitto è su noi. Ora viene l’espiazione…», e si batte il petto, preso da un’angoscia che lo fa simile ad uno che salga gli scalini di un patibolo. «La vendetta di Jeové», dice ancora, ed è tutto il terrore millenario d’Israele che affiora nella sua voce.
   Intanto, ferito, spumante, pauroso, Simone strepita con gridi da dannato: «Patricida, m’ha detto! Fatelo tacere! Tacere! Patricida! La stessa parola di mia madre! I morti hanno dunque tutti le stesse parole?!…».
           
   XXI. Ad una donna galilea, che ottiene la risurrezione del marito morto.
 42La luna, quasi al suo tramonto, sta per nascondere il suo arco ancor sottile di luna novella dietro la gobba di un monte. E la sua luce è dunque molto relativa, e fra poco non sarà più sull’ampia campagna.
 Eppure un viandante è sulla via solitaria. Una vietta, un viottolo fra i campi, più che altro. Cammina tenendo sospeso per un anello un rudimentale fanaletto, di quelli che, vecchi come il mondo, io credo, generalmente usano i carrettieri per farsi luce nella notte. Questo, non essendo il vetro cosa comune — anzi credo sia sconosciuto affatto, perché non mi è mai capitato di vederne in nessuna casa né come bicchiere, né come vaso, né come riparo alle finestre — ha per riparo alla fiamma qualcosa che può esser tanto mica come pergamena. La luce ne filtra debole tanto da servire appena a rischiarare un piccolo spazio intorno al lume. Però, come la luna si nasconde del tutto, la luce del povero fanale pare crescere di vigore e mettere un ballonzolante punto chiaro sul nero della campagna.
   Il viandante cammina, cammina… Il cielo ha un principio di alba all’estremo orizzonte. Ma tanto tenue che, per ora, non illumina nulla, e il povero lumino serve ancora.
   Presso un ponticello è in attesa, o in riposo, un altro viandante, tutto avvolto nel mantello.
   Quello del fanale, diretto a quel ponte, si arresta dubitoso. È incerto se passare di là o tornare indietro, dove il greto di un torrentello ha larghe pietre che possono servire da passaggio fra la poca acqua del fondo.
   Quello seduto sulla rustica sponda, fatta di un tronco con ancor sopra la corteccia bianco-verde, alza il capo osservando quello che si è fermato. Si alza in piedi e dice: «Non temere di Me. Vieni avanti. Sono un buon compagno, non un ladrone».
   È Gesù. Lo riconosco alla voce più che all’aspetto, che è velato dal crepuscolo fondo, che il lume non serve a rompere sin là dove è Gesù. Ma la persona, ferma, dubita ancora.
   «Vieni, donna. Non temere. Andremo insieme, anzi, per qualche tratto, e sarà bene per te».
   La donna, ora so che è una donna, viene avanti, vinta dalla dolcezza della voce o da una forza arcana, e scrolla il capo avanzando e mormorando: «Non c’è più bene per me».

 43Ora procedono fianco a fianco per il viottolo largo tanto da permettere solo il passaggio di due pedoni. L’alba che avanza mostra, a un lato della via, una rigida foresta in miniatura di grani maturi in attesa della falce. Sull’altro lato i grani, già segati, sono stesi in covoni sul campo spogliato della sua gloria di messi mature.
   «Maledetti!», dice sottovoce la donna gettando uno sguardo sui covoni giacenti.
   Gesù tace.
   Il giorno avanza. La donna spegne il povero lume e, per farlo, scopre il viso devastato dal pianto. E alza il volto a guardare ad oriente, dove una riga giallo-rosa annuncia il levarsi del sole. Agita il pugno verso oriente e dice ancora: «E maledetto te!».
   «Il giorno? Dio lo ha fatto. Come ha fatto il grano. Sono benefici di Dio. Non vanno maledetti…», dice dolcemente Gesù.
   «E io li maledico. Maledico il sole e le messi. E ne ho ragione».
   «Non ti sono stati buoni per tanti anni? Non ti ha maturato, il primo, il pane quotidiano, l’uva che si muta in vino, le verdure e le frutta dell’orto, e fatti crescere i pascoli per nutrire pecore e agnelli, del cui latte e carne ti cibasti e del cui vello ti tessi le vesti? E il grano non ha dato pane a te, ai tuoi figli, al tuo padre e alla tua madre, al tuo sposo?».
   Un gran scoppio di pianto e un grido: «Non ho più sposo! Essi me lo hanno ucciso! Era andato ad opera, perché abbiamo sette figli e non ci bastava il poco che avevamo di nostro a sfamare dieci persone. E ieri, a sera, è venuto dicendo: “Sono stanco e balordo”, e si gettò sul lettuccio ardendo di febbre. Io e sua madre lo soccorremmo come si poteva, pensando di chiamare oggi il medico della città… Ma dopo il gallicinio mi è morto. Lo ha ucciso il sole. In città vado, sì. A prendere quanto occorre. Ad avvisare i fratelli penserò nel ritorno. Ho lasciato la madre a vegliare suo figlio e i miei figli… e io sono partita per quel che c’è da fare… E non devo maledire il sole ardente e i grani?».
   Così contenuta come era prima, tanto che non avrei pensato fosse una donna, e una afflitta soprattutto, ora ha rotto le dighe al suo dolore, ed esso trabocca forte. Dice tutto quello che non ha detto nella sua casa «per non destare i fanciulli dormenti nella stanza vicina», tutto quello che le pesava tanto sul cuore da darle il senso che fosse per scoppiare. Ricordi d’amore, sgomento del futuro, spasimi di vedova, passano confusi come detriti di rapina sull’onda gonfia di un fiume in piena…

 44Gesù la lascia parlare. Perché Gesù sa compatire il dolore, lo lascia sfogare, perché la creatura ne abbia sollievo e la stanchezza stessa, che succede all’irruenza del dolore, la renda capace di intendere chi la consola. Allora dice dolcemente: «A Naim e a Nazaret, e nei luoghi fra questo e quello, sono i discepoli del Rabbi di Nazaret. Va’ da loro…».
   «E che vuoi che facciano? Se Egli ci fosse ancora!… Ma essi? Non sono santi essi! Mio marito era a Gerusalemme quel giorno. E sa… Oh! no! Sapeva! Non sa più nulla! È morto!».
   «Che fece tuo marito quel giorno?».
   «Quando il clamore della via lo destò, corse sulla terrazza della casa dove era coi suoi fratelli e vide passare il Rabbi, che veniva condotto al Pretorio, e con altri galilei lo seguì finché fu morto. Lo presero, lui e gli altri, a sassate, quando li scoprirono per galilei, là sul monte, e li respinsero più in basso. Ma furono là sinché non fu tutto compiuto. Poi… se ne vennero via… E ora è morto lui. Oh! almeno sapessi se per la sua pietà al Rabbi egli è in pace!».
   Gesù non risponde a questo desiderio. Ma dice: «Avrà allora visto che dei discepoli erano sul Golgota. Forseché tutti i galilei furono come tuo marito?».
    «Oh! no. Molti, e anche di Nazaret, lo insolentirono. Si sa. Vergogna!».
    «E allora, se molti anche di Nazaret non ebbero amore per il loro Gesù, eppure Egli li ha perdonati, e molti si santificheranno in futuro, perché tu vuoi giudicare tutti ad un modo i discepoli di Cristo? Vuoi essere più severa di Dio, tu? Dio molto concede a chi perdona…».
   «Non c’è più il Rabbi buono! Non c’è più! E mio marito è morto».
   «Il Rabbi ha dato ai suoi discepoli il potere di fare ciò che Egli faceva».
   «Voglio crederlo. Ma solo Lui vinceva la morte. Solo Lui!».
   «E non si legge che Elia rendesse lo spirito al figlio della vedova di Sarepta? In verità ti dico che Elia era un grande profeta, ma che i servi del Salvatore, che è morto e risuscitato perché era il Figlio del Dio vero incarnatosi per redimere gli uomini, hanno ancora più grande potere, perché Egli sulla Croce li ha perdonati dei loro peccati per i primi, conoscendo per divina sapienza il vero dolore dei loro spiriti contriti, li ha santificati dopo la risurrezione con un nuovo perdono, ed ha loro infuso lo Spirito Santo perché potessero rappresentarmi degnamente e con la parola e con le azioni, acciò il mondo non rimanesse desolato dopo la mia dipartita da esso».

 45La donna arretra vivamente, sbalordita. Getta indietro il velo per guardare bene il suo compagno. Non lo riconosce, però. Crede di aver capito male. Non osa però più parlare…
   «Hai paura di Me? Prima mi credesti un ladrone pronto a carpirti i denari che hai in seno, utili a comperare quanto è necessario per la sepoltura. E avesti paura. Ora hai paura di sapermi Gesù? E non è Gesù Colui che dà e non prende? Colui che salva e non rovina? Torna indietro, donna. Io sono la Risurrezione e la Vita. Non sono necessari il sudario e gli aromi per colui che non è morto, che non è più morto, perché Io sono Colui che vince la morte e premia chi ha fede. Va’! Va’ alla tua casa! Tuo marito vive. Non una fede in Me resta senza premio». Fa l’atto di benedirla e andarsene.
   La donna esce dal suo impietrimento. Non chiede, non dubita… Nulla. Cade a ginocchi, adorando. E poi, finalmente, apre la bocca e, frugandosi in seno, trae una borsa, piccola, una borsa smunta di povera gente alla quale la miseria interdice solenni onoranze ai suoi morti, e dice, offrendo la borsa: «Non ho altro… Altro per dirti la riconoscenza, per onorarti, per…».
   «Non ho più bisogno di denaro, donna. Lo porterai ai miei apostoli».
   «Oh! sì. Vi andrò col marito mio… Ma cosa allora darti, mio Signore? Cosa? Tu, apparire a me… questo miracolo… e io non riconoscerti… e io così inquieta… sì, ingiusta persino con le cose…».
   «Sì. E non pensavi che esse sono perché Io sono, e che tutto buono è ciò che Dio fece. Se il sole non fosse stato, se i grani non fossero stati, non avresti avuto la grazia attuale».
   «Ma quanto dolore però!…». La donna lacrima nel ricordarlo.
   Gesù sorride e mostra le sue mani dicendo: «Questa è una parte minima del mio dolore. E l’ho consumato tutto, senza lagnarmene, per il bene vostro».
   La donna si curva al suolo per confessare: «È vero. Perdona il mio lamento».

 46Gesù dispare nella sua luce e quando ella alza il volto si vede sola. Sorge in piedi, gira lo sguardo. Nulla può costituire un ostacolo a vedere, perché ormai è luminoso il giorno e non ci sono che campi di messi intorno. La donna dice a se stessa: «Eppure non ho sognato!». Forse la tenta il demonio per farla dubitare, perché ha un attimo d’incertezza mentre soppesa la borsa fra le mani.
   Ma poi vince la fede, e volge le spalle al luogo dove era diretta, tornando sui suoi passi, rapida come se il vento la portasse senza farle fare fatica, il volto irradiato di una gioia più grande che umana tanto è pacifica. Ripete ogni tanto: «Come è buono il Signore! Egli è veramente Dio! Egli è Dio. Sia benedetto l’Altissimo e Colui che Egli ha mandato». Non sa dire altro. E questa sua litania si mesce ora ai canti degli uccelli.
   La donna è assorta in essa tanto da non sentire i saluti di alcuni mietitori, che la vedono passare e le chiedono da dove viene a quell’ora… Uno la raggiunge e le dice: «Marco sta meglio? Sei andata per il medico?».
   «Marco è morto a gallicinio ed è risorto. Perché il Messia del Signore ha fatto questo», risponde essa andando sempre sveltamente.
   «Il dolore l’ha resa folle!», mormora l’uomo e crolla il capo raggiungendo i compagni che hanno incominciato a falciare i grani.
   I campi si popolano sempre più. Ma la curiosità vince molti, che si decidono a seguire la donna che accelera sempre più il passo.

 47Va, va. Ecco una poverissima casetta, bassa, solitaria, spersa nella campagna. Vi si dirige, stringendosi le mani sul cuore.
   Vi entra. Ma, appena vi ha posto piede, una vecchia le si getta fra le braccia gridando: «Oh! figlia mia, che grazia del Signore! Fa’ cuore, figlia, perché ciò che devo dirti è così grande, così felice, che…».
   «Lo so, madre. Marco non è più morto. Dove è?».
   «Tu sai… E come?».
   «Ho incontrato il Signore. Non l’ho riconosciuto, ma Egli mi ha parlato e, quando gli è piaciuto, mi ha detto: “Tuo marito vive”. Ma qui… quando?».
   «Avevo aperto la finestra allora e guardavo il primo raggio di sole sul fico. Sì, proprio così. Il primo raggio toccò allora il fico contro la stanza.… quando ho sentito un sospiro forte, come d’un che si sveglia. Mi sono voltata spaventata e ho visto Marco sedersi e gettare indietro il lenzuolo che gli avevo gettato sul volto e guardare in alto con un viso, un viso… Poi mi ha guardato e ha detto: “Madre! Io sono guarito!”. Io… Poco mancò non morissi io, ed egli mi soccorse, e capì che era stato morto. Non ricorda nulla. Dice che si ricorda sino a quando lo mettemmo a letto e poi nulla più sino al momento che vide un angelo, una specie d’angelo che aveva il viso del Rabbi di Nazaret e che gli disse: “Sorgi!”. E sorse. Proprio all’ora che il sole sorgeva tutto».
   «All’ora che a me ha detto: “Tuo marito vive”. Oh! madre, che grazia! Come ci ha amato Dio!».

 48Quelli che sopraggiungono le trovano abbracciate, in pianto. E credono che Marco sia morto e che la moglie abbia, in uno sprazzo di lucidità, compresa la sventura. Ma Marco, che sente le voci, appare, sereno, con un bambino fra le braccia e gli altri attaccati alla tunica, e dice forte: «Eccomi. Benediciamo il Signore!».
   I sopraggiunti lo assediano di domande e, come sempre nelle cose umane, sorge la contraddizione. Chi crede ad una vera risurrezione e chi, i più, dicono che egli era solo caduto in torpore ma morto non era. Chi ammette che Cristo sia apparso a Rachele e chi dice che son tutte fole, perché «Egli è morto», dicono alcuni, e altri: «Egli è risorto, ma è tanto sdegnato, deve esserlo, che non fa più miracoli al suo popolo assassino».
   «Dite ciò che vi pare», dice l’uomo perdendo la pazienza, «e ditelo dove vi pare. Basta che non lo diciate qui dove il Signore Gesù mi ha risorto. E andatevene, o infelici! E voglia il Cielo aprirvi la cervice a credere. Ma ora andatevene e lasciateci in pace». Li spinge fuori e chiude la porta.

 49Si stringe al cuore la moglie e la madre e dice: «Nazaret non è lontana. Io vado là a proclamare il miracolo».
   «Così vuole il Signore, Marco. Porteremo questi denari ai suoi discepoli. Andiamo a benedire il Signore. Così come stiamo. Siamo poveri, ma Egli pure lo era, e i suoi apostoli non ci sprezzeranno».
   Si dà da fare ad allacciare i sandaletti ai bambini, mentre la madre getta qualche provvista in una borsa e chiude porte e impannate, e Marco va non so a che fare.
   Escono quando sono pronti e vanno svelti, i più piccoli in braccio, gli altri lieti e un poco sbalorditi intorno, verso est, verso Nazaret, si capisce. Forse questo luogo è ancora nella piana di Esdrelon, ma in un punto diverso da quello dei poderi di Giocana.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Vangelo Lc 24, 35-48: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io!

Vangelo Lc 24, 35-48
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi.

Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.

Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXVII. Apparizione agli apostoli nel Cenacolo.

   6 aprile 1945.
 
 1 Sono raccolti nel Cenacolo. La sera deve essere ben tarda, perché nessun rumore viene più dalla via né dalla casa. Penso che anche quelli che erano venuti prima si siano tutti ritirati o alle proprie case o a dormire, stanchi di tante emozioni.
   I dieci invece, dopo avere mangiato dei pesci, di cui ancora qualcuno sussiste su un vassoio posato sulla credenza, stanno parlando sotto la luce di una sola fiammella del lampadario, la più vicina alla tavola. Sono ancora seduti alla stessa. E hanno discorsi spezzati. Quasi dei monologhi, perché pare che ognuno, più che col compagno, parli con se stesso. E gli altri lo lasciano parlare, magari parlando a loro volta di tutt’altra cosa. Però questi discorsi slegati, che mi fanno l’impressione dei raggi di una ruota sfasciata, si sente che appartengono ad un solo argomento che li accentra, anche se così sparsi. E che è Gesù.

 2 «Non vorrei che Lazzaro avesse udito male, e meglio di lui avessero capito le donne…», dice Giuda d’Alfeo.
   «A che ora ha detto di averlo visto la romana?», chiede Matteo. Nessuno gli risponde.
   «Domani io vado a Cafarnao», dice Andrea.
   «Che meraviglia! Fare sì che esca proprio in quel momento la lettiga di Claudia!», dice Bartolomeo.
   «Abbiamo fatto male, Pietro, a venire via subito questa mattina… Fossimo rimasti, lo avremmo visto come la Maddalena», sospira Giovanni.
   «Io non capisco come poté essere a Emmaus e in palazzo insieme. E come qui dalla Madre, e dalla Maddalena e da Giovanna insieme…», dice a se stesso Giacomo di Zebedeo.
   «Non verrà. Non ho pianto abbastanza per meritarlo… Ha ragione. Io dico che per tre giorni mi fa aspettare per le mie tre negazioni. Ma come, come ho potuto fare quello?».
   «Come era trasfigurato Lazzaro! Vi dico: pareva lui un sole. Io penso gli sia successo come a Mosè dopo avere visto Dio. E subito — vero, voi che eravate là? — subito dopo avere offerto la sua vita!», dice lo Zelote. Nessuno lo ascolta.

 3 Giacomo d’Alfeo si volta da Giovanni e dice: «Come ha detto a quelli di Emmaus? Mi pare che ci abbia scusati, non è vero? Non ha detto che tutto è avvenuto per il nostro errore di israeliti sul modo di capire il suo Regno?».
   Giovanni non gli dà nessuna retta e, volgendosi a guardare Filippo, dice… all’aria, perché a Filippo non parla: «A me basta di saperlo risorto. E poi… E poi che il mio amore sia sempre più forte. Visto, eh! È andato, se voi guardate, in proporzione all’amore che avemmo: la Madre, Maria Maddalena, i bambini, mia madre e la tua, e poi Lazzaro e Marta… Quando a Marta? Io dico quando ella intonò il salmo davidico: “Il Signore è mio pastore, non mi mancherà nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli, mi ha condotto ad acque ristoratrici. Ha richiamato a Sé l’anima mia…”. Ricordi come ci fece sussultare con quell’inaspettato canto? E quelle parole si riconnettono a quanto ha detto: “Ha richiamato a Sé l’anima mia”. Infatti Marta sembra avere ritrovato la sua via… Prima era smarrita, lei, la forte! Forse nel richiamo le ha detto il luogo dove la vuole.-È certo anzi, perché, se le ha dato appuntamento, deve sapere dove lei sarà. Che avrà voluto dire dicendo: “sponsali compiuti?”».
   Filippo, che lo ha guardato un momento e poi lo ha lasciato monologare, geme: «Io non saprò che dirgli se viene… Io sono fuggito… e sento che fuggirò. Prima per paura degli uomini. Ora per paura di Lui».
   «Dicono tutti: “è bellissimo”. Può mai essere più bello di quanto già era?», si chiede Bartolomeo.
   «Io gli dirò: “Mi hai perdonato senza parola quando ero pubblicano. Perdonami anche ora col tuo silenzio, perché non merita la mia viltà la tua parola”», dice Matteo.
   «Longino dice che ha pensato: “Devo chiedergli di guarire o di credere?”. Ma ha detto il suo cuore: “Di credere”, e allora la Voce ha detto: “Vieni a Me”, ed egli ha sentito la volontà di credere e la guarigione insieme. Me lo ha proprio detto così», afferma Giuda d’Alfeo.
   «Io sono sempre fisso al pensiero di Lazzaro, premiato subito per la sua offerta… L’ho detto io pure: “La mia vita per la tua gloria”. Ma non è venuto», sospira lo Zelote.

 4 «Che dici, Simone? Tu che sei colto, dimmi: che gli devo dire per fargli capire che lo amo e chiedo perdono? E tu, Giovanni? Tu hai parlato molto con la Madre. Aiutami. Non è pietà lasciare solo il povero Pietro!».
   Giovanni si muove a compassione dell’avvilito compagno e dice: «Ma… ma io gli direi semplicemente: “Ti amo”. Nel­l’amore è compreso anche il desiderio del perdono e il pentimento. Però… non so. Simone, che dici tu?».
   E lo Zelote: «Io direi quello che era il grido dei miracoli: “Gesù, pietà di me!”. Direi: “Gesù”. E basta. Perché è ben più del Figlio di Davide!».
   «È ben quello che penso e che mi fa tremare. Oh! io nasconderò il capo… Anche stamane avevo paura di vederlo e…».
   «… e poi sei entrato per primo. Ma non temere così. Sembra che tu non lo conosca», lo rincuora Giovanni.

 5 La stanza si illumina vivamente come per un lampo abbagliante. Gli apostoli si celano il viso temendo sia un fulmine. Ma non odono rumore e alzano il capo.
   Gesù è in mezzo alla stanza, presso la tavola. Apre le braccia dicendo: «La pace sia con voi».
   Nessuno risponde. Chi più pallido, chi più rosso, lo fissano tutti con paura e soggezione. Affascinati e nello stesso tempo vogliosi quasi di fuggire.
   Gesù fa un passo avanti, aumentando il suo sorriso. «Ma non temete così! Sono Io. Perché così turbati? Non mi desideravate? Non vi avevo fatto dire che sarei venuto? Non ve lo avevo detto fin dalla sera pasquale?».
   Nessuno osa aprire bocca. Pietro piange già e Giovanni già sorride, mentre i due cugini, con gli occhi lustri e un movimento di parola senza suono sulle labbra, sembrano due statue raffiguranti il desiderio.
   «Perché nei cuori avete pensieri così in contrasto fra il dubbio e la fede, l’amore e il timore? Perché ancora volete essere car­ne e non spirito, e con questo solo vedere, comprendere, giudicare, operare? Sotto la vampa del dolore non si è tutto arso il vecchio io, e non è sorto il nuovo io di una vita nuova?

 Sono Gesù. Il vostro Gesù, risorto come aveva detto. Guardate. Tu che le hai viste le ferite e voi che ignorate la mia tortura. Perché quanto sapete è ben diverso dalla conoscenza esatta che ne ha Giovanni. Vieni, tu per il primo. Sei già tutto mondo. Tanto mondo che mi puoi toccare senza tema. L’amore, l’ubbidienza, la fedeltà già ti avevano fatto mondo. Il mio Sangue, di cui fosti tutto rorido quando mi deponesti dal patibolo, ti ha finito di purificare. Guarda. Sono vere mani e vere ferite. Osserva i miei piedi. Vedi come il segno è quello del chiodo? Sì. Sono proprio Io e non un fantasma. Toccatemi. Gli spettri non hanno corpo. Io ho vera carne sopra un vero scheletro».
   Posa la Mano sul capo di Giovanni che ha osato andargli vicino: «Senti? È calda e pesante». Gli alita in volto: «E questo è respiro».
   «Oh! mio Signore!», Giovanni mormora piano, così…
   «Sì. Il vostro Signore. Giovanni, non piangere di timore e di desiderio. Vieni a Me. Sono sempre quello che ti amo. Sediamo, come sempre, alla tavola. Avete nulla più da mangiare? Datemelo, dunque».
   Andrea e Matteo, con mosse da sonnambuli, prendono dalle credenze il pane e i pesci e un vassoio con un favo appena sbocconcellato in un angolo.
   Gesù offre il cibo e mangia, e dà ad ognuno un poco di quanto mangia. E li guarda. Tanto buono. Ma tanto maestoso che essi ne sono paralizzati.

 7 Osa parlare per primo Giacomo, fratello di Giovanni: «Perché ci guardi così?».
   «Perché voglio conoscervi».
   «Non ci conosci ancora?».
   «Come voi non conoscete Me. Se mi conosceste, sapreste Chi sono e come vi amo, e trovereste le parole per dirmi il vostro tormento. Voi tacete. Come di fronte ad un estraneo potente di cui temete. Poco fa parlavate… Sono quasi quattro giorni che parlate con voi stessi dicendo: “Gli dirò questo…”, dicendo allo Spirito mio: “Torna, Signore, che io ti possa dire questo”. Ora sono venuto e voi tacete? Tanto mutato sono che più non vi paio Io? O tanto mutati siete da non amarmi più?».
   Giovanni, seduto presso al suo Gesù, ha l’atto abituale di posargli la testa sul petto mentre mormora: «Io ti amo, mio Dio», ma si irrigidisce vietandosi questo abbandono per rispetto allo sfolgorante Figlio di Dio. Perché Gesù pare emanare una luce pur essendo di una carne pari alla nostra.
 Ma Gesù se lo attira sul Cuore, e allora Giovanni apre la diga al suo pianto beato. Ed è il segnale a tutti di farlo.

 8 Pietro, due posti dopo Giovanni, scivola fra la tavola e il sedile e piange gridando: «Perdono, perdono! Levami da questo inferno in cui sono da tante ore. Dimmi che hai visto il mio errore per quello che fu. Non dello spirito. Ma della carne che mi ha soverchiato il cuore. Dimmelo che hai visto il mio pentimento… Esso durerà fino alla morte. Ma Tu… ma Tu dimmi che come Gesù non ti devo temere… e io, e io… io cercherò di fare così bene da farmi perdonare anche da Dio… e morire… avendo solo un gran purgatorio da fare».
   «Vieni qui, Simone di Giona».
   «Ho paura».
   «Vieni qui. Non essere oltre vile».
   «Non lo merito di venirti accosto».
   «Vieni qui. Che ti ha detto la Madre? “Se non lo guardi su questo sudario non avrai cuore di guardarlo mai più”. O uomo stolto! Quel Volto non ti ha detto col suo sguardo doloroso che ti capivo e che ti perdonavo? Eppure l’ho dato quel lino per con­for­to, per guida, per assoluzione, per benedizione… Ma che vi ha fatto Satana per accecarvi tanto? Ora Io ti dico: se non mi guardi ora che sulla mia gloria ho ancora steso un velo per adeguarmi alla vostra debolezza, non potrai mai più venire senza paura al tuo Signore. E che ti avverrà allora? Per presunzione peccasti. Vuoi ora tornare a peccare per ostinazione? Vieni, ti dico».
   Pietro si trascina sui ginocchi, fra il tavolo e i sedili, con le mani sul volto piangente. Lo ferma Gesù, quando è ai suoi piedi, mettendogli la Mano sul capo. Pietro, con un pianto anche più forte, prende quella Mano e la bacia fra un vero singhiozzare senza freno. Non sa che dire: «Perdono! Perdono!».
   Gesù si libera dalla sua stretta e, facendo leva della sua mano sotto il mento dell’apostolo, lo obbliga ad alzare il capo e lo fissa negli occhi arrossati, bruciati, straziati dal pentimento, coi suoi fulgidi Occhi sereni. Pare gli voglia trivellare l’anima. Poi dice: «Andiamo. Levami l’obbrobrio di Giuda. Baciami dove egli baciò. Lava col tuo bacio il segno del tradimento».
   Pietro alza il capo, mentre Gesù si china ancora di più, e sfiora la guancia… poi china il capo sulle ginocchia di Gesù e sta così… come un vecchio bambino che ha fatto del male ma che è perdonato.

 9 Gli altri, ora che vedono la bontà del loro Gesù, ritrovano un po’ di ardire e si accostano come possono.
   Vengono prima i cugini… Vorrebbero dire tanto e non riescono a dire nulla. Gesù li carezza e rincuora col suo sorriso.
   Viene Matteo con Andrea. Matteo dicendo: «Come a Cafarnao…», e Andrea: «Io, io… ti amo io».
   Viene Bartolomeo gemendo: «Non sapiente fui. Ma stolto. Questo è sapiente», e accenna allo Zelote, al quale Gesù sorride già.
   Giacomo di Zebedeo viene e sussurra a Giovanni: «Diglielo tu…»; e Gesù si volge e dice: «Da quattro sere lo hai detto e da tanto Io ti ho compatito».
   Filippo, per ultimo, viene tutto curvo. Ma Gesù lo forza ad alzare il capo e gli dice: «Per predicare il Cristo occorre maggior coraggio».

 10Ora sono tutti intorno a Gesù. Si rinfrancano piano piano. Ritrovano quanto hanno perduto o temuto di avere per sempre perduto. Riaffiora la confidenza, la tranquillità e, per quanto Gesù sia tanto maestoso da tenere in un rispetto nuovo i suoi apostoli, essi trovano finalmente il coraggio di parlare.
   È il cugino Giacomo che sospira: «Perché ci hai fatto questo, Signore? Tu lo sapevi che noi non siamo nulla e che ogni cosa da Dio viene. Perché non ci hai dato la forza di essere al tuo fianco?».
   Gesù lo guarda e sorride.
   «Ora tutto è avvenuto. E nulla più Tu devi patire. Ma non mi chiedere più questa ubbidienza. Sono invecchiato ad ogni ora di un lustro, e le tue sofferenze, che l’amore e Satana ugualmente aumentavano nella mia immaginazione di cinque volte quel che già non fossero, hanno proprio consumato ogni mia forza. Non me ne è rimasta altro che per continuare ad ubbidire, tenendo, come un che affoga con le mani spezzate, la mia forza con la volontà come fossero i denti afferranti una tavola, per non perire… Oh! non chiedere più questo al tuo lebbroso!».
   Gesù guarda Simone Zelote e sorride.
   «Signore, Tu lo sai quello che voleva il mio cuore. Ma poi non ho più avuto cuore… come me lo avessero strappato i manigoldi che ti hanno preso… e mi è rimasto un buco da cui fuggiva ogni mio pensiero antecedente. Perché hai permesso questo, Signore?», chiede Andrea.
   «Io… tu dici il cuore? Io dico che fui uno senza più ragione. Come chi prende un colpo di clava sulla nuca. Quando, a notte fatta, io mi trovai a Gerico… oh! Dio! Dio!… Ma può un uomo perire così? Io credo che così è la possessione. Ora la capisco cosa è questa cosa tremenda!…». Filippo sbarra ancora gli occhi al ricordo del suo soffrire.
   «Ha ragione Filippo. Io guardavo indietro. Vecchio sono e non povero di sapienza. E più nulla sapevo di quanto avevo saputo fino a quell’ora.

11Guardavo Lazzaro, così straziato ma così sicuro, e mi dicevo: “Ma come può essere che egli sappia ancora trovare una ragione ed io nulla più?”», dice Bartolomeo.
   «Io pure guardavo Lazzaro. E poiché io so appena ciò che Tu ci hai spiegato, non pensavo al sapere. Ma dicevo: “Almeno nel cuore fossi uguale!”; invece io non avevo che dolore, dolore, dolore. Lazzaro aveva dolore e pace… Perché a lui tanta pace?».
   Gesù guarda a turno prima Filippo, poi Bartolomeo, poi Gia­como di Zebedeo. Sorride e tace.
   Giuda dice: «Io speravo giungere a vedere ciò che certo Lazzaro vedeva. Per questo gli stavo sempre presso… Il suo viso!… Uno specchio. Un poco prima del terremoto del Venerdì egli era come uno che muore stritolato. E poi divenne di colpo maestoso nel suo dolore. Vi ricordate quando disse: “Il dovere compiuto dà pace”? Noi tutti credemmo fosse solo un rimprovero per noi o un’approvazione per se stesso. Ora penso che lo dicesse per Te. Era un faro nelle nostre tenebre, Lazzaro. Quanto gli hai dato, Signore!».
   Gesù sorride e tace.
   «Sì. La vita. E forse con quella gli hai dato un’anima diversa. Perché, infine, che è lui di diverso da noi? Eppure non è più un uomo. È già qualcosa di più dell’uomo e, per quello che era in passato, avrebbe dovuto essere ancora meno di noi perfetto di spirito. Ma lui si è fatto, e noi… Signore, il mio amore è stato vuoto come certe spighe. Solo pula ho dato», dice Andrea.
   E Matteo: «Io nulla posso chiedere. Perché già tanto ho avuto con la mia conversione. Ma sì! Avrei voluto avere ciò che ebbe Lazzaro. Un’anima data da Te. Perché penso anche io come Andrea…».
    «Anche Maddalena e Marta furono dei fari. Sarà la razza. Voi non le avete viste. Una era pietà e silenzio. L’altra! Oh! se siamo stati tutti un fascio intorno alla Benedetta, è perché Maria di Magdala ci ha stretti con le fiamme del suo coraggioso amore. Sì. Ho detto: la razza. Ma devo dire: l’amore. Ci hanno superati nell’amore. Per questo sono stati quelli che furono», dice Giovanni.
   Gesù sorride e tace sempre.
   «Ne hanno avuto gran premio però…».
   «A loro apparisti».
   «A tutti e tre».
   «A Maria subito dopo tua Madre…».
   È chiaro negli apostoli un rimpianto per queste apparizioni di privilegio.
   «Maria ti sa risorto già da tante ore. E noi solo ora ti possiamo vedere…».
   «Non più dubbi in loro. In noi, invece, ecco… solo ora sentiamo che nulla è finito. Perché a loro, Signore, se ancora ci ami e non ci ripudi?», chiede Giuda d’Alfeo.
   «Sì. Perché alle donne, e specie a Maria? L’hai anche toccata sulla fronte, e lei dice che le pare di portare un serto eterno. E a noi, i tuoi apostoli, nulla…».

 12Gesù non sorride più. Il suo Volto non è turbato, ma cessa il suo sorriso. Guarda serio Pietro che ha parlato per ultimo, riprendendo ardire man mano che la paura gli passa, e dice:
   «Avevo dodici apostoli. E li amavo con tutto il mio Cuore. Io li avevo scelti e come una madre ne avevo curato la crescita nella mia Vita. Non avevo segreti per loro. Tutto dicevo, tutto spiegavo, tutto perdonavo. E le umanità, e le sventatezze, e le caparbietà… tutto. E avevo dei discepoli. Dei ricchi e dei poveri discepoli. Avevo donne dal fosco passato o dalla debole costituzione. Ma i prediletti erano gli apostoli.
   È venuta la mia ora. Uno mi ha tradito e consegnato ai carnefici. Tre hanno dormito mentre Io sudavo sangue. Tutti, meno due, sono fuggiti per viltà. Uno mi ha rinnegato avendo paura, nonostante avesse l’esempio dell’altro, giovane e fedele. E, quasi non bastasse, fra i dodici ho avuto un suicida disperato e uno che ha dubitato tanto del mio perdono da non credere che a fatica, e per materna parola, alla Misericordia di Dio. Di modo che, se avessi guardato alla mia schiera, se l’avessi guardata con occhio umano, avrei dovuto dire: “Meno Giovanni, fedele per amore, e Simone, fedele all’ubbidienza, Io non ho più apostoli”. Questo avrei dovuto dire mentre soffrivo nel recinto del Tempio, nel Pretorio, per le vie e sulla Croce.

 13Avevo delle donne… E una, la più colpevole in passato, è stata, come Giovanni ha detto, la fiamma che ha saldato le spezzate fibre dei cuori. Quella donna è Maria di Magdala. Tu mi hai rinnegato e sei fuggito. Ella ha sfidato la morte per starmi vicino. Insultata, ha scoperto il suo volto, pronta a ricevere sputi e ceffoni, pensando di assomigliare così di più al suo Re crocifisso. Schernita nel fondo dei cuori per la sua tenace fede nella mia Risurrezione, ha saputo continuare a credere. Straziata, ha agito. Desolata, stamane, ha detto: “Di tutto mi spoglio, ma datemi il mio Maestro”. Puoi osare ancora la domanda: “Perché a lei?”.
   Avevo dei discepoli poveri: dei pastori. Poco li ho avvicinati, eppure come seppero confessarmi con la loro fedeltà!
   Avevo delle discepole timide, come tutte le donne ebree. Eppure hanno saputo lasciare la casa e venire fra la marea di un popolo che mi bestemmiava, per darmi quel soccorso che i miei apostoli mi avevano negato.
   Avevo delle pagane che ammiravano il “filosofo”. Per loro ero tale. Ma seppero scendere ad usi ebrei, le potenti romane, per dirmi, nell’ora dell’abbandono di un mondo d’ingrati: “Noi ti siamo amiche”.

 14Avevo il volto coperto di sputi e sangue. Lacrime e sudore gocciavano sulle ferite. Lordure e polvere me lo incrostavano. Di chi la mano che mi deterse? La tua? o la tua? o la tua? Nessuna delle vostre mani. Costui era presso alla Madre. Costui riuniva le pecore sperse. Voi. E se sperse erano le mie pecore, come potevano darmi soccorso? Tu nascondevi il tuo volto per paura del disprezzo del mondo, mentre il tuo Maestro veniva coperto del disprezzo di tutto il mondo, Lui che era innocente.
   Avevo sete. Sì. Sappi anche questo. Morivo di sete. Non avevo più che febbre e dolore. Il sangue era già corso nel Getsemani, tratto dal dolore di essere tradito, abbandonato, rinnegato, percosso, sommerso dalle colpe infinite e dal rigore di Dio. Ed era corso nel Pretorio… Chi mi volle dare una stilla per le fauci arse? Una mano d’Israele? No. La pietà di un pagano. La stessa mano che, per decreto eterno, mi aprì il petto per mostrare che il Cuore aveva già una ferita mortale, ed era quella che il non amore, la viltà, il tradimento, vi avevano fatta. Un pagano. Vi ricordo: “Ebbi sete e mi desti da bere”. Non uno che mi desse un conforto in tutto Israele. O per impossibilità di farlo, come la Madre e le donne fedeli, o per mala volontà di farlo. E un pagano trovò per lo Sconosciuto la pietà che il mio popolo mi aveva negato. Troverà in Cielo il sorso a Me dato.
   In verità vi dico che, se Io ho rifiutato ogni conforto, perché quando si è Vittima non bisogna temperare la sorte, non ho voluto respingere il pagano, nella cui offerta ho sentito il miele di tutto l’amore che dai Gentili mi verrà dato a compenso del­l’amarezza che mi dette Israele. Non mi ha levato la sete. Ma lo sconforto, sì. Per questo ho preso quel sorso ignorato. Per attirare a Me colui che già verso il Bene piegava. Sia benedetto dal Padre per la sua pietà!

 15Non parlate più? Perché non chiedete ancora il perché ho così agito? Non osate di chiederlo? Io ve lo dirò. Tutto vi dirò dei perché di quest’ora.
   Chi siete voi? I miei continuatori. Sì. Lo siete nonostante il vostro smarrimento. Che dovete fare? Convertire il mondo a Cristo. Convertire! È la cosa più delicata e difficile, amici miei. Gli sdegni, i ribrezzi, gli orgogli, gli zeli esagerati sono tutti deleteri alla riuscita. Ma, poiché nulla e nessuno vi avrebbe persuaso alla bontà, alla condiscendenza, alla carità per quelli che sono nelle tenebre, è stato necessario — comprendete? — necessario è stato che voi aveste, una buona volta, frantumato il vostro orgoglio di ebrei, di maschi, di apostoli, per dare luogo solo alla vera sapienza del ministero vostro. Alla mitezza, pazienza, pietà, amore senza borie e ribrezzi.
   Voi vedete che tutti vi hanno superato nel credere e nell’agire, fra quelli che voi guardavate con sprezzo o con compatimento orgoglioso.Tutti. E la peccatrice di un giorno. E Lazzaro, intinto di cultura profana, il primo che in mio Nome ha perdonato e guidato. E le donne pagane. E la debole moglie di Cusa. Debole? Invero ella tutti vi supera! Prima martire della mia fede. E i soldati di Roma. E i pastori. E l’erodiano Mannaen. E persino Gamaliele, il rabbino. Non sussultare, Giovanni. Credi tu che il mio Spirito fosse nelle tenebre? Tutti. E questo perché domani, ricordando il vostro errore, non chiudiate il cuore a chi viene alla Croce.
   Ve lo dico. E già so che, nonostante lo dica, non lo farete che quando la Forza del Signore vi piegherà come fuscelli al mio Volere, che è quello di avere dei cristiani di tutta la Terra. Ho vinto la Morte. Ma è meno dura del vecchio ebraismo. Ma vi piegherò.

 16Tu, Pietro, in luogo di stare piangente e avvilito, tu che devi essere la Pietra della mia Chiesa, scolpisciti queste amare verità nel cuore. La mirra è usata per preservare dalla corruzione. Intriditi di mirra, dunque. E quando vorrai chiudere il cuore e la Chiesa ad uno d’altra fede, ricorda che non Israele, non Israele, non Israele, ma Roma mi difese e volle avere pietà. Ricordati che non tu, ma una peccatrice seppe stare ai piedi della Croce e meritò di vedermi per prima. E per non essere degno di biasimo sii imitatore del tuo Dio. Apri il cuore e la Chiesa dicendo: “Io, il povero Pietro, non posso sprezzare, perché se sprezzerò sarò sprezzato da Dio ed il mio errore tornerà vivo agli occhi suoi”. Guai se non ti avessi spezzato così! Non un pastore ma un lupo saresti divenuto».

 17Gesù si alza. Maestosissimo.
   «Figli miei. Ancora vi parlerò nel tempo che fra voi resterò. Ma per intanto vi assolvo e perdono. Dopo la prova che, se fu avvilente e crudele, è stata anche salutare e necessaria, venga in voi la pace del perdono. E, con essa in cuore, tornate i miei amici fedeli e forti. Il Padre mi ha mandato nel mondo. Io mando voi nel mondo a continuare la mia evangelizzazione. Miserie di ogni sorta verranno a voi chiedendo sollievo. Siate buoni pensando alla miseria vostra quando rimaneste senza il vostro Gesù. Siate illuminati. Nelle tenebre non è lecito vedere. Siate mondi per dare mondezza. Siate amore per amare. Poi verrà Colui che è Luce, Purificazione e Amore. Ma intanto, per prepararvi a questo ministero, Io vi comunico lo Spirito Santo. A chi rimetterete i peccati saranno rimessi. A chi li riterrete saranno ritenuti. L’esperienza vostra vi faccia giusti per giudicare. Lo Spirito Santo vi faccia santi per santificare. Il sincero volere di superare il vostro mancamento vi faccia eroici per la vita che vi aspetta. Quanto ancora è da dire ve lo dirò quando l’assente sarà venuto. Pregate per lui. Rimanete con la mia pace e senza orgasmo di dubbio sul mio amore».
   E Gesù scompare così come era entrato, lasciando fra Giovanni e Pietro un posto vuoto. Scompare in un bagliore che fa chiudere gli occhi tanto è forte. E, quando gli occhi abbacinati si riaprono, trovano solo che la pace di Gesù è rimasta, fiamma che brucia e che medica e che consuma le amarezze del passato in un unico desiderio: di servire.

   Cap. DCXXVI. Venuta dei pagani e accenni ad altre apparizioni.

   5 aprile 1945.
 
 1 La casa del Cenacolo è piena di gente. Il vestibolo, il cortile, le stanze, meno il Cenacolo e la stanza dove è Maria Vergine, presentano l’aspetto festoso ed eccitato di un luogo dove molti si ritrovino, dopo del tempo, per una festa. Vi sono gli apostoli, meno Tommaso. Vi sono i pastori. Vi sono le donne fedeli e insieme a Giovanna vi sono Niche, Elisa, Sira, Marcella, Anna. Parlano tutti, a voce bassa, ma con una eccitazione palese e festosa. Tutta la casa è ben serrata, come per paura, ma la paura del di fuori non lede la gioia dell’interno.
   Marta va e viene insieme a Marcella e Susanna, preparando per la cena dei «servi del Signore», come lei chiama gli apostoli. Le altre e gli altri si interrogano, si confidano le loro impressioni, gioie, paure… come tanti bambini in attesa di qualcosa che li elettrizza e che li spaura anche un poco.
   Gli apostoli vorrebbero apparire i più sicuri. Ma sono i primi a turbarsi se un rumore sembra un busso al portone o se simula una finestra che si spalanca. Anche l’accorrere di Susanna con due lampade a più fiamme, in soccorso di Marta che cerca delle biancherie, fa fare un balzo indietro a Matteo che grida: «Il Signore!». Cosa che fa cadere in ginocchio Pietro che, è palese, si sente più agitato degli altri.

 2 Un battere risoluto al portone fa troncare tutte le parole e rimanere sospesi. Io credo che i cuori battono tutti a gran corsa.
   Guardano dallo spiraglio e aprono con un «Oh!» di stupore, vedendo il gruppo inaspettato delle dame romane scortate da Longino e un altro che è, come Longino, vestito di scuro. Anche le dame sono tutte avvolte in mantelli scuri, che le coprono anche sul capo. E si sono levati tutti i gioielli per dare meno nel­l’occhio.
   «Possiamo entrare un momento per dire la nostra gioia alla Madre del Salvatore?», dice la più ossequiata di tutte, Plautina.
   «Venite pure. Là è».
   Entrano in gruppo insieme a Giovanna e Maria di Magdala, che ho l’impressione le conosca molto bene.
   Longino con l’altro romano restano isolati, perché sono guardati un poco di storto, in un angolo del vestibolo.
   Le donne salutano con il loro: «Ave, Domina!», e poi si inginocchiano dicendo: «Se prima ammiravamo la Sapienza, ora vogliamo essere figlie del Cristo. E a te lo diciamo. Tu sola puoi vincere la diffidenza ebraica verso di noi. A te verremo per essere istruite finché essi (e accennano agli apostoli fermi in gruppo sull’uscio) ci permetteranno di dirci di Gesù». È Plautina che ha parlato per tutte.
   Maria sorride beata e dice: «Chiedo al Signore di mondarmi le labbra come al Profeta per potere degnamente parlare del mio Signore. Siate benedette, primizie di Roma!».

 3 «Anche Longino vorrebbe… e l’astato, che si è sentito un fuoco nel cuore quando… quando si aprì terra e cielo al grido di Dio. Ma se noi poco sappiamo, essi nulla sanno. Se non che, che Egli era il Santo di Dio e che più non vogliono essere dell’Errore».
    «Dirai loro di venire agli apostoli».
   «Là sono. Ma gli apostoli di essi diffidano».
 Maria si alza e va verso i soldati. Gli apostoli la guardano andare, cercando di intuire il suo pensiero.
   «Dio vi conduca alla sua Luce, figli! Venite! Per conoscere i servi del Signore. Questo è Giovanni. E lo conoscete. E questo è Simon Pietro, l’eletto a capo dei fratelli dal Figlio mio e mio Signore. Questo è Giacomo e questo Giuda, cugini del Signore. Questo Simone, e questo Andrea fratello di Pietro. E questo Giacomo, fratello di Giovanni. E costoro Filippo, Bartolomeo e Matteo. Manca Tommaso, ancora lontano. Ma come fosse presente lo nomino. Questi gli eletti a speciale missione. Ma questi, che umili stanno nell’ombra, sono i primi nell’eroismo dell’amore. Da più di sei lustri predicano il Cristo. Né persecuzioni su loro né condanna sull’Innocente hanno leso la loro fede. Pescatori e pastori, e voi patrizi. Ma nel nome di Gesù non ci sono più distinzioni. L’amore nel Cristo tutti uguaglia e affratella. E il mio amore vi chiama figli, anche voi di altra nazione. Anzi io dico che vi ritrovo dopo avervi smarriti, perché, nel momento del dolore, presso il Morente eravate. E non dimentico la tua pietà, Longino. Non le tue parole, soldato. Parevo uccisa. Ma tutto vedevo.

 4 Io non ho come darvi ricompensa.
   E, veramente, per cose sante non c’è moneta. Ma solo amore e preghiera. E questa vi darò, pregando il nostro Signore Gesù di darvi Lui compenso».
   «Lo avemmo, Domina. Per questo tutti insieme abbiamo osato venire. Ci riunì un comune impulso. Già la fede ha gettato il suo laccio da cuore a cuore», dice Longino.
   Tutti si accostano incuriositi. E c’è chi, vincendo il ritegno e forse il ribrezzo del contatto pagano, dice: «Che aveste?».
   «Io una voce, la sua. E diceva: “Vieni a Me”», dice Longino.
   «Ed io udii: “Se santo mi credi, credi in Me”», dice l’altro soldato.
   «E noi», dice Plautina, «mentre stamattina stavamo parlando di Lui, vedemmo una luce, una luce! Si formò in volto. Oh! di’ tu il suo splendore. Era il suo. E ci sorrise così dolcemente che non avemmo più che una volontà, venire a dirvi: “Non ci respingete”».
 Vi è del brusio e dei commenti. Tutti parlano, ripetendo come lo videro.

 5 I dieci apostoli tacciono mortificati. Per rifarsi e non apparire come gli unici rimasti senza il suo saluto, chiedono alle donne ebree se furono senza dono pasquale.
   Elisa dice: «Mi ha levato la spada del dolore del mio figlio morto».
   E Anna: «Ho sentito la sua promessa sulla eterna salute dei miei».
   E Sira: «Io una carezza».
   E Marcella: «Io un lampo e la sua Voce che diceva: “Persevera”».
   «E tu, Niche?», interrogano perché questa tace.
   «Lei ha già avuto», rispondono altri.
   «No. Ho visto il suo Volto, e mi ha detto: “Perché sul cuore ti si imprima questo”. Come era bello!».
   Marta va e viene, tacita e svelta, e tace.
   «E tu, sorella? Nulla a te? Tu taci e sorridi. Troppo dolcemente sorridi per non avere la tua gioia», dice la Maddalena.
   «È vero. Tieni le palpebre calate e muta è la tua lingua, ma è come cantassi una canzone d’amore, tanto il tuo occhio scintilla oltre il velo delle ciglia».
   «Oh! parla dunque! Madre, ti ha detto?».
   La Madre sorride e tace.
   Marta, che è intenta a disporre le stoviglie sulla tavola, vuole tenere calato il velo sul suo felice segreto. Ma la sorella non le dà tregua. Allora Marta, beata, dice arrossendo: «Mi ha dato appuntamento per l’ora della morte e degli sponsali compiuti…», e il viso le si accende in un rossore più vivo e in un riso di anima.

Ave Maria, Madre Immacolata di Gesù e nostra, io mi affido a Te!

Vangelo Lc 24, 13-35: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!».

Vangelo Lc 24, 13-35
Dal Vangelo secondo Luca

Ed ecco, in quello stesso giorno, [il primo della settimana], due [dei discepoli] erano in cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto.
Mentre conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo. Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?». Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto». Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXV. Apparizione ai discepoli di Emmaus.

   5 aprile 1945.
 
 1 Per una strada montuosa due uomini, di media età, vanno lesti volgendo le spalle a Gerusalemme, le cui alture scompaiono sempre più dietro le altre che si susseguono con ondulazioni di cime e di valli continue.
   Parlano fra di loro. E il più anziano dice all’altro, che avrà un trentacinque anni al massimo: «Credi che è stato meglio fare così. Io ho famiglia e tu ce l’hai. Il Tempio non scherza. Vuole proprio farla finita. Avrà ragione? Avrà torto? Non lo so. So che in esso è chiaro il pensiero di finirla per sempre con tutto questo».
   «Con questo delitto, Simone. Dàgli il nome giusto. Perché almeno delitto lo è».
   «Secondo. In noi l’amore fa lievito contro il Sinedrio. Ma forse… chissà!».
   «Niente. L’amore illumina. Non porta all’errore».
   «Anche il Sinedrio, anche i sacerdoti e i capi amano. Loro amano Jeovè, Colui che tutto Israele ha amato da quando il patto fu stretto fra Dio e i Patriarchi. Allora pure ad essi l’amo­re è luce e non porta errore!».
   «Non è amore per il Signore il loro. Sì. Israele da secoli è in quella Fede. Ma dimmi. Puoi dire che è ancora una fede quella che ci dànno i capi del Tempio, i farisei, gli scribi, i sacerdoti? Tu lo vedi. Con l’oro sacro al Signore — già si sapeva, o almeno si sospettava che ciò avvenisse — con l’oro sacro al Signore essi hanno pagato il Traditore e ora pagano le guardie. Il primo perché tradisse il Cristo, le seconde perché mentano. Oh! Io non so come la Potenza eterna si sia limitata a scardinare le muraglie e a lacerare il Velo! Ti dico che io avrei voluto che sotto le macerie seppellisse i nuovi filistei. Tutti!».
   «Clofa! Tu saresti tutto vendetta».
   «Vendetta sarei. Perché, ammettiamo che Egli fosse solo un profeta, è egli lecito uccidere un innocente? Perché innocente era! Lo hai mai visto fare uno dei delitti di cui fu accusato per ucciderlo?».
   «No. Nessuno.

 2 Però un errore lo ha fatto».
   «Quale, Simone?».
   «Quello di non sprigionare potenza dall’alto della sua Croce. Per confermare la nostra fede e per punire gli increduli sacrileghi. Egli doveva raccogliere la sfida e scendere di Croce».
   «Ha fatto di più. È risorto».
   «Sarà poi vero? Risorto come? Con lo Spirito solo o con lo Spirito e la Carne?».
   «Ma lo spirito è eterno! Non ha bisogno di risorgere!», esclama Cleofa.
   «Lo so anche io. Volevo dire: se è risorto con la sua unica natura di Dio, superiore ad ogni insidia dell’uomo. Perché ora il suo spirito fu insidiato col terrore dall’uomo. Hai sentito, eh? Marco ha detto che nel Getsemani, dove Egli andava a pregare contro un masso, è tutto sangue. E Giovanni, che ha parlato con Marco, gli ha detto: “Non far calpestare quel luogo, perché è sangue sudato dall’Uomo Dio”. Se ha sudato sangue prima della tortura, deve ben avere avuto terrore di essa!».
   «Nostro povero Maestro!…».
   Tacciono afflitti.

 3 Li raggiunge Gesù e chiede: «Di chi parlavate? Sentivo nel silenzio le vostre parole a intervalli. Chi fu ucciso?».
   È un Gesù velato sotto una apparenza modesta di povero viandante frettoloso. I due non lo ravvisano.
   «Sei d’altri luoghi, uomo? Non sostasti in Gerusalemme? La tua veste polverosa ed i sandali così ridotti ci paiono di instancabile pellegrino».
   «Lo sono. Vengo da molto lontano…».
   «Stanco sarai, allora. E vai lontano?».
   «Molto, ancora più di quanto Io ne venga».
   «Hai commerci da fare? Mercati?».
   «Ho da acquistare un numero sterminato di greggi per il più grande Signore. Tutto il mondo devo girare per scegliere pecore e agnelli, e scendere anche fra greggi selvatiche che pure, quando saranno rese domestiche, saranno migliori di quelle che selvatiche ora non sono».
   «Difficile lavoro. E hai proseguito senza sostare in Gerusalemme?».
   «Perché lo chiedete?».
   «Perché tu solo sembri ignorare quanto in essa è accaduto in questi giorni».
   «Che vi è accaduto?».
   «Tu vieni da lontano e perciò forse non sai. Ma la tua parlata è pure galilea. Perciò, anche se servo di un re straniero o figlio di galilei espatriati, saprai, se sei circonciso, che da tre anni nella patria nostra era sorto un grande profeta di nome Gesù di Nazaret, potente in opere e in parole davanti a Dio e agli uomini, che andava predicando per tutto il Paese. E si diceva il Messia. Le sue parole e le sue opere erano realmente da Figlio di Dio, come Egli si diceva. Ma solo da Figlio di Dio. Tutto Cielo… Ora tu sai perché…

 4 Ma sei circonciso?».
   «Primogenito sono e sacro al Signore».
   «Allora sai la nostra Religione?».
   «Non ne ignoro una sillaba. Conosco i precetti e gli usi. L’halascia, il midrascia e l’aggada mi sono note come gli elementi dell’aria, dell’acqua, del fuoco e della luce, che sono i primi a cui tende l’intelligenza, l’istinto, il bisogno dell’uomo che da poco è nato da seno».
   «Orbene, allora tu sai che Israele ebbe promesso il Messia, ma come re potente che avrebbe riunito Israele. Questo invece così non era…».
   «Come, dunque?».
   «Egli non mirava a terreno potere. Ma di un regno eterno e spirituale si diceva re. Egli non ha riunito, ma anzi ha scisso Israele, perché ora esso è diviso fra coloro che in Lui credono e coloro che malfattore lo dicono. In verità, di re non aveva stoffa, perché voleva solo mitezza e perdono. E come soggiogare e vincere con queste armi?…».
   «E allora?».
   «E allora i capi dei Sacerdoti e gli Anziani d’Israele lo presero e lo hanno giudicato reo di morte… accusandolo, per verità, di colpe non vere. Sua colpa era essere troppo buono e troppo severo…».
   «Come poteva, se era l’uno, essere l’altro?».
   «Poteva, perché era troppo severo nel dire le verità ai Capi d’Israele e troppo buono nel non fare su essi miracolo di morte, fulminando i suoi ingiusti nemici».
   «Severo come il Battista era?».
   «Ecco… non saprei. Duramente rimproverava, specie negli ultimi tempi, scribi e farisei, e minacciava quelli del Tempio come segnati dall’ira di Dio. Ma poi, se uno era peccatore e si pentiva, ed Egli vedeva nel suo cuore vero pentimento, perché il Nazareno leggeva nei cuori meglio che uno scriba nel testo, allora era più dolce di una madre».
   «E Roma ha permesso fosse ucciso un innocente?».
   «Lo ha condannato Pilato… Ma non voleva e lo diceva “Giusto”. Ma di accusarlo a Cesare lo minacciarono ed ebbe paura.

 5 Insomma fu condannato alla croce e vi morì. E questo, insieme al timore dei sinedristi, ci ha molto avviliti. Perché io sono Clofé figlio di Clofé e questo è Simone, ambedue di Emmaus, e parenti, perché io sono lo sposo della sua prima figlia, e discepoli del Profeta eravamo».
   «E ora più non lo siete?».
   «Noi speravamo che sarebbe Lui che libererebbe Israele e anche che, con un prodigio, confermasse le sue parole. Invece!…».
   «Che parole aveva dette?».
   «Te lo abbiamo detto: “Io sono venuto al Regno di Davide. Io sono il Re pacifico” e così via. E diceva: “Venite al Regno”, ma poi non ci ha dato il regno. E diceva: “Il terzo giorno risorgerò”. Ora è il terzo giorno che è morto. Anzi è già compiuto, perché l’ora di nona è già trascorsa, e Lui non è risorto. Delle donne e delle guardie dicono che sì, è risorto. Ma noi non lo abbiamo visto. Dicono le guardie, ora, che così hanno detto per giustificare il furto del cadavere fatto dai discepoli del Nazareno. Ma i discepoli!… Noi lo abbiamo tutti lasciato per paura mentre era vivo… e non certo lo abbiamo rapito ora che è morto. E le donne… chi ci crede ad esse? Noi ragionavamo di questo. E volevamo sapere se Egli si è inteso di risorgere solo con lo Spirito tornato divino, o se anche con la Carne. Le donne dicono che gli angeli — perché dicono di avere visto anche gli angeli dopo il terremoto, e può essere, perché già il venerdì sono apparsi i giusti fuori dai sepolcri — dicono che gli angeli hanno detto che Egli è come uno che non è mai morto. E tale infatti alle donne parve di vederlo. Ma però due di noi, due capi, sono andati al Sepolcro. E, se lo hanno visto vuoto, come le donne hanno detto, non hanno visto Lui, né lì, né altrove. Ed è una grande desolazione, perché non sappiamo più che pensare!».

 6 «Oh! come siete stolti e duri nel comprendere! e come lenti nel credere alle parole dei profeti! E non era ciò stato detto? L’errore di Israele è questo: dell’avere male interpretato la regalità del Cristo. Per questo Egli non fu creduto. Per questo Egli fu temuto. Per questo ora voi dubitate. In alto, in basso, nel Tempio e nei villaggi, ovunque si pensava ad un re secondo l’umana natura. La ricostruzione del regno d’Israele non era limitata, nel pensiero di Dio, nel tempo, nello spazio e nel mezzo, come fu in voi.
   Non nel tempo: ogni regalità, anche la più potente, non è eterna. Ricordate i potenti Faraoni che oppressero gli ebrei ai tempi di Mosè. Quante dinastie non sono finite, e di esse restano mummie senz’anima in fondo ad ipogei secreti! E resta un ricordo, se pur resta quello, del loro potere di un’ora, e anche meno, se misuriamo i loro secoli sul Tempo eterno. Questo Regno è eterno.
   Nello spazio. Era detto: regno di Israele. Perché da Israele è venuto il ceppo della razza umana; perché in Israele è, dirò così, il seme di Dio, e perciò, dicendo Israele, volevasi dire: il regno dei creati da Dio. Ma la regalità del Re Messia non è limitata al piccolo spazio della Palestina, ma si estende da settentrione a meridione, da oriente a occidente, dovunque è un essere che nella carne abbia uno spirito, ossia dovunque è un uomo. Come avrebbe potuto uno solo accentrare in sé tutti i popoli fra loro nemici e farne un unico regno senza spargere a fiumi il sangue e tenere tutti soggetti con crudeli oppressioni d’armati? E come allora avrebbe potuto essere il re pacifico di cui parlano i profeti?
   Nel mezzo: il mezzo umano, ho detto, è l’oppressione. Il mezzo sovrumano è l’amore. Il primo è sempre limitato, perché i popoli ben si rivoltano all’oppressore. Il secondo è illimitato, perché l’amore è amato o, se amato non è, è deriso. Ma, essendo cosa spirituale, non può mai essere direttamente aggredito. E Dio, l’Infinito, vuole mezzi che come Lui siano. Vuole ciò che finito non è perché eterno è: lo spirito; ciò che è dello spirito; ciò che porta allo Spirito. Questo è stato l’errore: di avere concepito nella mente un’idea messianica sbagliata nei mezzi e nella forma.
   Quale è la regalità più alta? Quella di Dio. Non è vero? Or dunque, questo Ammirabile, questo Emmanuele, questo Santo, questo Germe sublime, questo Forte, questo Padre del secolo futuro, questo Principe della pace, questo Dio come Colui dal quale Egli viene, perché tale è detto e tale è il Messia, non avrà una regalità simile a quella di Colui che lo ha generato? Sì, che l’avrà. Una regalità tutta spirituale ed eterna, pura da rapine e sangue, ignara di tradimenti e soprusi. La sua Regalità! Quella che la Bontà eterna concede anche ai poveri uomini, per dare onore e gioia al suo Verbo.

 7 Ma non è detto da Davide che questo Re potente ha avuto messa sotto i suoi piedi ogni cosa a fargli da sgabello? Non è detta da Isaia tutta la sua Passione e da Davide numerate, potrebbesi dire, anche le torture? E non è detto che Egli è il Salvatore e Redentore, che col suo olocausto salverà l’uomo peccatore?
   E non è precisato, e Giona ne è segno, che per tre giorni sarebbe ingoiato dal ventre insaziabile della Terra e poi ne sarebbe espulso come il profeta dalla balena? E non è stato detto da Lui: “Il Tempio mio, ossia il mio Corpo, il terzo dì dopo essere stato distrutto, sarà da Me (ossia da Dio) ricostruito”? E che pensavate? Che per magia Egli rialzasse le mura del Tempio? No. Non le mura. Ma Se stesso. E solo Dio poteva far sorgere Se stesso. Egli ha rialzato il Tempio vero: il suo Corpo di Agnello. Immolato, così come ne ebbe l’ordine e la profezia Mosè, per preparare il “passaggio” da morte a Vita, da schiavitù a libertà, degli uomini figli di Dio e schiavi di Satana.
   “Come è risorto?”, vi chiedete. Io rispondo: È risorto con la sua vera Carne e col suo divino Spirito che l’abita, come in ogni carne mortale è l’anima abitante regina nel cuore. Così è risorto dopo avere tutto patito per tutto espiare, e riparare all’Offesa primigenia e alle infinite che ogni giorno dall’Umanità vengono compite. È risorto come era detto sotto il velo delle profezie. Venuto al suo tempo, vi ricordo Daniele, al suo tempo fu immolato. E, udite e ricordate, al tempo predetto dopo la sua morte la città deicida sarà distrutta. 

 8 Io ve ne consiglio: leggete con l’anima, non con la mente superba, i profeti, dal principio del Libro alle parole del Verbo immolato; ricordate il Precursore che lo indicava Agnello; risovvenitevi quale era il destino del simbolico agnello mosaico. Per quel sangue furono salvati i primogeniti d’Israele. Per questo Sangue saranno salvati i primogeniti di Dio, ossia quelli che con la buona volontà si saranno fatti sacri al Signore. Ricordate e comprendete il messianico salmo di Davide e il messianico profeta Isaia. Ricordate Daniele, riportatevi alla memoria, ma alzando questa dal fango all’azzurro celeste, ogni parola sulla regalità del Santo di Dio, e comprenderete che altro segno più giusto non vi poteva essere dato più forte di questa vittoria sulla Morte, di questa Risurrezione da Se stesso compiuta.
   Ricordatevi che disforme alla sua misericordia e alla sua missione sarebbe stato il punire dall’alto della Croce coloro che su essa lo avevano messo. Ancora Egli era il Salvatore, anche se era il Crocifisso schernito e inchiodato ad un patibolo! Crocifisse le membra, ma libero lo spirito e il volere. E con questi volle ancora attendere, per dare tempo ai peccatori di credere e di invocare, non con urlo blasfemo, ma con gemito di contrizione, il suo Sangue su loro.

 9 Ora è risorto. Tutto ha compiuto. Glorioso era avanti la sua incarnazione. Tre volte glorioso lo è ora che, dopo essersi annichilito per tanti anni in una carne, ha immolato Se stesso, portando l’Ubbidienza alla perfezione del saper morire sulla croce per compiere la Volontà di Dio. Gloriosissimo, in un con la Carne glorificata, adesso che Egli ascende al Cielo ed entra nella Gloria eterna, iniziando il Regno che Israele non ha compreso.
 Ad esso Regno Egli, più che mai pressantemente, con l’amore e l’autorità di cui è pieno, chiama le tribù del mondo. Tutti, come videro e previdero i giusti di Israele ed i profeti, tutti i popoli verranno al Salvatore. E non vi saranno più Giudei o Romani, Sciti o Africani, Iberi o Celti, Egizi o Frigi. L’oltre Eufrate si unirà alle sorgenti del Fiume perenne. Gli iperborei a fianco dei numidi verranno al suo Regno, e cadranno razze e idiomi. Costumi e colori di pelle e capelli non avranno più luogo. Ma sarà uno sterminato popolo fulgido e candido, un unico linguaggio, un solo amore. Sarà il Regno di Dio. Il Regno dei Cieli. Monarca eterno: l’Immolato Risorto. Sudditi eterni: i credenti nella sua Fede. Vogliate credere per essere di esso.

 10Ecco Emmaus, amici. Io vado oltre. Non è concessa sosta al Viandante che tanta strada ha da fare».
   «Signore, tu sei istruito più di un rabbi. Se Egli non fosse morto, diremmo che Egli ci ha parlato. Ancora vorremmo udire da te altre e più estese verità. Perché ora, noi pecore senza pastore, turbate dalla bufera dell’odio d’Israele, più non sappiamo comprendere le parole del Libro. Vuoi che veniamo con te? Vedi, ci istruiresti ancora, compiendo l’opera del Maestro che ci fu tolto».
   «L’avete avuto per tanto e non vi poté fare completi? Non è questa una sinagoga?».
   «Sì. Io sono Cleofa, figlio di Cleofa il sinagogo, morto nella sua gioia di avere conosciuto il Messia».
   «E ancora non sei giunto a credere senza nube? Ma non è colpa vostra. Ancora dopo il Sangue manca il Fuoco. E poi crederete, perché comprenderete. Addio».
   «O Signore, già la sera si appressa e il sole si curva al suo declino. Stanco sei, e assetato. Entra. Resta con noi. Ci parlerai di Dio mentre divideremo il pane e il sale».

 11Gesù entra e viene servito, con la solita ospitalità ebraica, di bevande e acque per i piedi stanchi.
   Poi si mettono a tavola e i due lo pregano di offrire per loro il cibo.
   Gesù si alza tenendo sulle palme il pane e, alzati gli occhi al cielo rosso della sera, rende grazie del cibo e si siede. Spezza il pane e ne dà ai suoi due ospiti. E nel farlo si disvela per quello che Egli è: il Risorto. Non è il fulgido Risorto apparso agli altri a Lui più cari. Ma è un Gesù pieno di maestà, dalle piaghe ben nette nelle lunghe Mani: rose rosse sull’avorio della pelle. Un Gesù ben vivo nella sua Carne ricomposta. Ma anche ben Dio nella imponenza degli sguardi e di tutto l’aspetto.
   I due lo riconoscono e cadono in ginocchio… Ma, quando osano alzare il viso, di Lui non resta che il pane spezzato. Lo prendono e lo baciano. Ognuno prende il proprio pezzo e se lo mette, come reliquia, avvolto in un lino sul petto.
   Piangono dicendo: «Egli era! E non lo conoscemmo. Eppure non sentivi tu arderti il cuore nel petto mentre ci parlava e ci accennava le Scritture?».
   «Sì. E ora mi pare di vederle di nuovo. E nella luce che dal Cielo viene. La luce di Dio. E vedo che Egli è il Salvatore».

 12«Andiamo. Io non sento più stanchezza e fame. Andiamo a dirlo a quelli di Gesù, in Gerusalemme».
   «Andiamo. Oh! se il vecchio padre mio avesse potuto godere quest’ora!».
   «Ma non lo dire! Egli più di noi ne ha goduto. Senza il velo usato per pietà della nostra debolezza carnale, egli, il giusto Clofé, ha visto col suo spirito il Figlio di Dio rientrare nel Cielo. Andiamo! Andiamo! Giungeremo a notte alta. Ma, se Egli lo vuole, ci darà maniera di passare. Se ha aperto le porte di morte, ben potrà aprire le porte delle mura! Andiamo».
   E nel tramonto tutto porpureo vanno solleciti verso Gerusalemme.

   Cap. DCXXII. Apparizione a Giovanna di Cusa.

   4 aprile 1945.
 
 1 In una ricca stanza, dove a mala pena filtra la luce esterna, piange Giovanna tutta abbandonata su un sedile presso il basso letto coperto di splendide coperture. Piange con un braccio appoggiato alla sponda e la fronte sul braccio, tutta scossa dai singhiozzi che le devono rompere il petto. Quando, nell’affanno del piangere, solleva per un momento il viso, cercando aria, si vede una larga macchia d’umido sulla coperta preziosa, ed il suo viso è letteralmente inondato di lacrime. Poi torna a curvarlo sul braccio e torna a vedersi di lei solo il collo sottile e bianchissimo, la massa dei bruni capelli, le spalle e il sommo del tronco molto snelli. Il resto si perde nella penombra che annulla il corpo, fasciato nell’abito viola scuro.
   Senza spostare tenda o socchiudere porta, entra Gesù, e senza rumore le va vicino. Le sfiora i capelli con la Mano e chiede in un sussurro: «Perché piangi, Giovanna?».
   E Giovanna, che deve credere che sia il suo angelo che l’interroga, e che non vede nulla perché non alza il capo dalla sponda del letto, con un pianto più desolato dice il suo tormento: «Perché non ho più neppure il Sepolcro del Signore per andare a versare il mio pianto e non essere sola…».
   «Ma è risorto. Non ne sei felice?».
   «Oh! sì! Ma tutte lo hanno visto, meno io e Marta. E Marta certo lo vedrà a Betania… perché là è casa amica. La mia… la mia non è più casa amica… Tutto ho perduto con la sua Passione… E il mio Maestro e l’amore dello sposo… e la sua anima… perché non crede… non crede… e mi deride… e mi impone di non venerare neppure la memoria del mio Salvatore… per non rovinare lui… Per lui è più importante l’interesse umano… Io… io… io non so se continuare ad amarlo o ad averne ribrezzo. Non so se ubbidirlo come moglie o disubbidirlo, come l’anima vorrebbe, per il più grande sponsale dello spirito col Cristo a cui resto fedele… Io… io vorrei sapere… E chi mi dà consiglio se Lui non è più raggiungibile dalla povera Giovanna? Oh!… per il mio Signore la Passione è finita!… Ma per me è cominciata il Venerdì, e dura… Oh! che tanto debole sono e non ho forza di portare questa croce!…».
   «Ma se Egli ti aiutasse, la vorresti portare per Lui?».
   «Oh! sì! Purché Egli mi aiuti… Egli sa cosa è portare da solo la croce… Oh! pietà della mia sventura!…».
   «Sì. Io lo so cosa è portare da solo la croce. Per questo sono venuto e ti sono al fianco.

 2 Giovanna, comprendi Chi è che ti parla? La tua casa non è più amica del Cristo? Perché? Se egli, lo sposo terreno, è come astro coperto da una nube di miasmi umani, tu sei sempre Giovanna di Gesù. Non ti ha lasciata il Maestro. Gesù non lascia mai le anime a Lui sposate. È sempre il Maestro, l’Amico, lo Sposo, anche ora che è il Risorto. Alza il capo, Giovanna. Guardami. In quest’ora di ammaestramento segreto, e più dolce che se ti fossi apparso come alle altre, Io ti dico quale deve essere la tua condotta futura. Quella che dovrà essere di tante tue sorelle. Ama con pazienza e sommissione il turbato sposo. Aumenta la tua dolcezza più egli fermenta in sé amarezza di umane paure. Aumenta la tua luminosità spirituale più egli genera da sé ombre di terreni interessi. Sii fedele per due. E sii forte nel tuo sponsale dello spirito. Quante, in futuro, dovranno scegliere fra il volere di Dio e quello del consorte! Ma saranno grandi quando, sopra l’amore e la maternità, seguiranno Iddio. La tua passione incomincia. Sì. Ma tu vedi che ogni passione termina in una risurrezione…».
   Giovanna è andata piano piano alzando il capo. I suoi singhiozzi si sono diradati. Ora guarda e vede, e scivola in ginocchio, adorando e mormorando: «Il Signore!».
   «Sì. Il Signore. Tu vedi che, come con te, con nessuna Io sono stato. Ma Io vedo le necessità particolari e graduo il soccorso da dare alle anime che da Me aspettano aiuto. Sali il tuo calvario di sposa coll’aiuto della mia carezza e di quella del tuo innocente. È entrato con Me in Cielo e mi ha dato la sua carezza per te. Io ti benedico, Giovanna. Abbi fede. Io ti ho salvata. Tu salverai se avrai fede».

 3 Giovanna ora sorride e osa chiedere: «Dai bambini non vai?».
   «Li ho baciati all’aurora mentre ancora dormivano nel loro lettino, e mi hanno creduto un angelo del Signore. Gli innocenti li posso baciare quando voglio. Ma non li ho destati per non turbarli troppo. La loro anima conserva il ricordo del mio bacio… e lo trasmetterà, a suo tempo, alla mente. Nulla si perde di quanto è mio. Tu sii sempre una madre per essi. E sempre sii figlia di mia Madre. Non ti staccare mai totalmente da Lei. Ella ti perpetuerà, con soavità materna, ciò che fu la nostra amicizia. E portale i bambini. Ella ha bisogno di bambini per sentirsi meno sola della sua Creatura…».
   «Cusa non vorrà…».
   «Cusa ti lascerà fare».
   «Mi ripudierà, Signore?», è un grido di nuovo strazio.
   «È un astro offuscato. Riportalo alla luce col tuo eroismo di sposa e di cristiana. Addio. Fuorché alla Madre mia, non dire ad altri questa mia venuta. Anche le rivelazioni vanno dette a chi e quando è giusto farlo».
   Gesù le sorride sfolgorando, e nel fulgore scompare.
   Giovanna si alza, trasognata, combattuta fra la gioia e la pena, fra il timore di aver sognato e la certezza di avere visto.
   Ma quanto sente in sé la rassicura.

 4 Va dai piccoli, che giuocano quieti sulla terrazza superiore, e li bacia.
 «Non piangi più, mamma?», chiede timidamente Maria, non più la povera bambina miserella, ma una gracile e gentile fanciullina dalla veste ben curata ed i capellucci ravviati; e Mattia, bruno e snello con la sua esuberanza di maschietto, dice: «Dimmi chi ti fa piangere ed io lo punirò».
   Giovanna li raccoglie in un solo abbraccio sul cuore e dice, parlando sulla testolina castana di Maria, sui capelli bruni di Mattia: «Non piango più. Gesù è risorto e ci benedice».
   «Oh! allora non sanguina più? Non ha più male?», chiede Maria.
   «Stolta! Di’ piuttosto: non è più morto! Ora è felice, allora!… Perché essere morti deve essere brutto…», dice Mattia.
   «Allora non c’è più da piangere, mamma?», torna a chiedere Maria.
   «No. Voi innocenti, no. Cogli angeli giubilate».
   «Gli angeli!… Questa notte, non so che vigilia fosse, ho sentito una carezza e mi sono svegliata dicendo: “Mamma!”, ma non chiamavo te. Chiamavo la mamma morta, perché quella carezza era più leggera e più dolce delle tue, e ho aperto un momento gli occhi. Ma ho visto solo una grande luce e ho detto: “Il mio angelo mi ha baciata per consolarmi del gran dolore che ho per la morte del Signore”», dice Maria.
   «Anche io. Ma io avevo sonno molto e ho detto: “Sei tu?”. Pensavo al mio Custode e volevo dirgli: “Va’ a baciare Gesù e Giovanna, perché non abbiano più paura”, ma non ci sono riuscito. Ho ripreso a dormire e a sognare, e mi pareva di essere in Cielo con te e Maria. Poi è venuto quel terremoto e mi sono svegliato spaventato. Ma Ester mi ha detto: “Non avere paura. È già passato”, e io ho dormito ancora».
   Giovanna li bacia di nuovo e poi li lascia ai loro giuochi sereni

 5 e va alla casa del Cenacolo.
   Chiede di Maria. Entra da Lei. Chiude l’uscio e dice la sua grande parola: «Io l’ho veduto. A te lo dico. Io sono confortata e felice. Amami, perché Egli lo ha detto che ti devo stare unita».
   La Madre risponde: «Te l’ho già detto, che ti amo, nella giornata del sabato. Ieri. Poiché è ieri… E pare tanto lontana, quella giornata di pianto e tenebre, da questa di luce e sorriso!».
   «Sì… Tu hai già detto, ora ricordo, ciò che Egli ora mi ha ripetuto. Tu hai detto: “Noi donne dovremo fare perché noi siamo rimaste e gli uomini sono fuggiti… È sempre la donna la generatrice…”. Oh! Madre, aiutami a generare Cusa! Egli è fuggito dalla Fede!…». Giovanna piange di nuovo.
   Maria la prende fra le braccia: «Più forte della fede è l’amore. È la più attiva virtù. Con essa creerai l’anima novella di Cusa. Non temere. Ma io ti aiuterò».

   Cap. DCXXIII. Apparizione a Giuseppe d’Arimatea, a Nicodemo e a Mannaen.

   4 aprile 1945.
 
 1 Mannaen, insieme ai pastori, va svelto per le pendici che da Betania conducono a Gerusalemme. Una bella strada va diretta in direzione dell’Uliveto. E verso essa piega Mannaen dopo avere lasciato i pastori, che alla spicciolata vogliono entrare in città per andare al Cenacolo.
   Poco prima, lo rilevo dai loro discorsi, devono avere incontrato Giovanni, che veniva verso Betania per portare la notizia della Risurrezione e l’ordine di essere tutti in Galilea fra qualche giorno. Si lasciano appunto perché i pastori vogliono ripetere personalmente a Pietro ciò che già hanno detto a Giovanni, ossia che il Signore, apparendo a Lazzaro, ha detto di riunirsi nel Cenacolo.
   Mannaen sale per una strada secondaria verso una casa in mezzo ad un uliveto. Una bella casa, che ha intorno una fascia di cedri del Libano, dominanti con le loro moli imponenti i numerosi ulivi del monte. Entra sicuro e al servo accorso dice: «Dove è il tuo padrone?».
   «Di là con Giuseppe. È venuto da un poco».
   «Digli che ci sono».
   Il servo va e torna con Nicodemo e Giuseppe.
   Le voci dei tre si mescolano in uno stesso grido: «È risor­to!». Si guardano, stupiti di saperlo tutti.

 2 Poi Nicodemo prende l’amico e lo trascina in una stanza interna. Giuseppe li segue.
   «Hai osato tornare?».
   «Sì. Egli lo ha detto: “Al Cenacolo”. Io lo voglio ben vedere, ora, glorioso, per levarmi il dolore del ricordo di Lui legato e coperto di sozzure come un malvivente colpito dallo sdegno del mondo».
   «Oh! noi pure vorremmo vederlo… E per levarci l’orrore del ricordo di Lui suppliziato, delle sue ferite senza numero… Ma Egli si è mostrato solo alle donne», mormora Giuseppe.
   «È giusto. Esse sono state fedeli a Lui sempre in questi anni. Noi avevamo paura. La Madre lo ha detto: “Un ben povero amore il vostro, se ha atteso questa ora per mostrarsi!”», obbietta Nicodemo.
   «Ma per sfidare Israele, a Lui più contrario che mai, avremmo ben bisogno di vederlo!…

 3 Se tu sapessi! Le guardie hanno parlato… Ora i Capi del Sinedrio e i farisei, non ancora convertiti da tanta ira del Cielo, vanno cercando chi può sapere della sua Risurrezione per imprigionarlo. Io ho mandato il piccolo Marziale — un fanciullo sfugge più e meglio — ad avvisare quelli della casa di stare all’erta. Dal Tesoro del Tempio hanno tratto denaro sacro per pagare le guardie, acciò dicano che i discepoli lo hanno rapito e che quanto hanno detto prima, della Risurrezione, non era che bugia per paura della punizione. La città bolle come un paiolo. E c’è chi, dei discepoli, già la lascia per paura… Voglio dire i discepoli che non erano a Betania…».
   «Sì, avremmo bisogno della sua benedizione per avere coraggio».
   «A Lazzaro è apparso… Era quasi l’ora di terza. Lazzaro ci apparve trasfigurato».
   «Oh! Lazzaro lo merita! Noi…», dice Giuseppe.
   «Sì. Noi siamo ancora incrostati di dubbio e di pensiero umano come da una lebbra mal guarita… E non c’è che Lui che può dire: “Io voglio che voi ne siate mondati”. Non parlerà dunque più, ora che è risorto, a noi che siamo i meno perfetti?», chiede Nicodemo.
   «E non farà più miracoli, per castigo del mondo, ora che è il Risorto da morte e dalle miserie della carne?», domanda di nuovo Giuseppe.
   Ma il loro chiedere non può avere che una risposta. La sua. E la sua non viene. I tre restano accasciati.

 4 Poi Mannaen dice: «Ebbene. Io vado al Cenacolo. Se mi uccideranno, Egli assolverà l’anima mia e lo vedrò in Cielo. Se no lo vedrò qui, in Terra. Mannaen è tanto inutile cosa nelle sue schiere che, se cade, lascerà lo stesso vuoto che lascia un fiore colto in un prato gremito di corolle: non si vedrà neppure…», e si alza per andare.
   Ma, mentre si volge verso la porta, questa si illumina del divino Risorto, che a palme aperte, in atto di abbraccio, lo ferma dicendo: «Pace a te! A voi pace! Ma rimanete dove siete tu e Nicodemo. Giuseppe può ancora andare, se crede. Ma qui mi avete, e dico la richiesta parola: “Io voglio che siate mondati da quanto di impuro resta nel vostro credere”. Domani scenderete in città. Andrete dai fratelli. Questa sera ho da parlare ai soli apostoli. Addio. E Dio sia sempre con voi. Mannaen, grazie. Tu hai creduto più di questi. Grazie, dunque, anche al tuo spirito. A voi grazie della vostra pietà. Fate che si muti in più alta cosa con una vita di intrepida fede».
   Gesù scompare dietro una incandescenza abbagliante.
   I tre sono beati e smarriti.
   «Ma era Lui?», chiede Giuseppe.
   «E non hai sentito la sua voce?», risponde Nicodemo.
   «La voce… può averla anche uno spirito… Tu, Mannaem, che gli eri tanto vicino, che ti parve?».
   «Un vero corpo. Bellissimo Respirava. Ne sentivo l’alito. E mandava calore. E poi… le Piaghe le ho viste. Parevano aperte allora. Non davano sangue, ma era carne viva. Oh! non dubitate più! Che Egli non vi castighi. Abbiamo visto il Signore. Voglio dire: Gesù tornato glorioso come sua Natura lo vuole! E… ci ama ancora… In verità, se ora Erode mi offrisse il regno, gli direi: “Mi è polvere e sterco il tuo trono e corona. Ciò che io possiedo nulla lo supera. Ho la conoscenza beata del Volto di Dio”».

   Cap. DCXXIV. Apparizione ai pastori.

   4 aprile 1945.
    
 1 Anche essi vanno lesti sotto gli ulivi, e sono talmente sicuri della sua Risurrezione che parlano con la letizia di bambini felici. Vanno direttamente verso la città.
   «Diremo a Pietro di guardarlo bene e di dirci come è bello il suo Volto», dice Elia.
   «Oh! io, per quanto possa essere bello, non potrò mai dimenticare come era torturato», mormora Isacco.
   «Ma lo hai presente quando è stato alzato con la Croce?», chiede Levi. «E voi altri?».
   «Perfettamente, io. Allora la luce era ancora buona. Dopo, coi miei vecchi occhi, non ho visto che ben poco», dice Daniele.
   «Io invece l’ho visto finché non parve morto. Ma avrei voluto essere cieco per non vedere», dice Giuseppe.
   «Oh! bene. Ora è risorto. Questo deve farci felici», lo consola Giovanni.
   «E il pensiero che noi non lo abbiamo lasciato altro che per una carità», aggiunge Gionata.
   «Ma il cuore è rimasto lassù. Sempre», mormora Mattia.
   «Sempre. Sì. Tu che lo hai visto sul Sudario, di’: come è? somigliante?», chiede Beniamino.
   «Come parlasse», risponde Isacco.
   «Lo vedremo quel velo?», chiedono in molti.
   «Oh! la Madre lo mostra a tutti. Lo vedrete certo. Ma è triste vista. Meglio sarebbe vedere…

 2 Oh! Signore!».
   «Servi fedeli. Eccomi. Andate. Vi attendo a giorni in Galilea. Ancora voglio dirvi che vi amo. Giona è beato, cogli altri, in Cielo».
   «Signore! Oh! Signore».
   «La pace a voi di buona volontà».
   Il Risorto si fonde nel raggio del vivo sole del mezzogiorno. Quando essi alzano il capo, Egli non c’è più. Ma c’è la grande gioia di averlo visto come è ora. Glorioso.
   Si alzano in piedi, trasfigurati di gioia. Nella loro umiltà non sanno capacitarsi di avere meritato di vederlo e dicono: «A noi! A noi! Come è buono il nostro Signore! Dalla nascita al suo trionfo, sempre umile e buono con i suoi poveri servi!».
   «E come era bello!».
   «Oh! bello così non fu mai! Che maestà!».
   «Sembra più alto ancora e più maturo d’anni».
   «È proprio il Re!».
   «Oh! lo dicevano il Re pacifico! Ma è anche il Re tremendo per coloro che devono avere timore del suo giudizio!».
   «Hai visto che raggi si sprigionavano dal suo Volto?».
   «E che balenii nei suoi sguardi!».
   «Io non osavo fissarlo. E fissarlo avrei pur voluto, perché penso che forse non mi sarà più concesso di vederlo così altro che in Cielo. E voglio conoscerlo per non averne tremore allora».

 3 «Oh! non dobbiamo temere se rimaniamo quali siamo: suoi servi fedeli. Hai udito: “Ancora voglio dirvi che vi amo. Pace a voi di buona volontà”. Oh! non una parola di troppo. Ma in questo poco c’è tutto il consenso sul nostro aver fatto fino ad ora e tutta la più alta promessa per la vita futura. Oh! intoniamo il canto della gioia. Della nostra gioia:
   
   “Gloria a Dio nei Cieli altissimi e pace in Terra agli uomini di buona volontà.
   Veramente il Signore è risorto, come aveva detto per bocca dei profeti e con la sua parola senza difetto.
   Ha perduto col Sangue tutto quanto il bacio di un uomo aveva in Lui deposto di corrotto;
   e, mondato come è l’altare, il suo Corpo ha assunto l’inesprimibile bellezza di Dio.
   Prima di salire ai Cieli si è mostrato ai suoi servi. Alleluia.
   Andiamo cantando, alleluia!, l’eterna giovinezza di Dio!
   Andiamo annunciando alle genti che Egli è risorto, alleluia!
   Il Giusto, il Santo è risorto, alleluia, alleluia!
   Dal Sepolcro è uscito immortale. E l’uomo giusto con Lui è risorto.
   Nel peccato come in grotta serrato era il cuore dell’uomo.
   Egli è morto per dire: ‘Sorgete!’. E i dispersi sono sorti, alleluia!
   Aperte le porte dei Cieli agli eletti ha detto: ‘Venite’.
   Ci conceda per il santo suo Sangue di salire noi pure. Alleluia!”».
   
   Mattia, l’anziano ex-discepolo di Giovanni Battista, va in testa cantando, come un tempo forse aveva cantato Davide davanti al suo popolo per le strade di Giudea. Gli altri lo seguono, facendo coro ad ogni “alleluia” con giubilo santo.

 4 Gionata, che fa parte del gruppo, dice, mentre già Gerusalemme è ai loro piedi dal piccolo colle che essi scendono a passo veloce: «Per la sua nascita ho perso la patria e la casa, e per la sua morte ho perso la nuova casa dove da trent’anni operai da onesto. Ma, anche mi fosse stata levata la vita per Lui, sarei morto in letizia, perché per Lui l’avrei persa. Non ho rancore per colui che è con me ingiusto. Il mio Signore mi ha insegnato col suo morire la perfetta mansuetudine. E non ho pensiero del domani. La mia dimora non è qui. Ma nel Cielo. Vivrò nella povertà a Lui tanto cara e lo servirò fino all’ora del suo chiamarmi… e… sì… gli offrirò anche la rinuncia… alla mia padrona… Questa è la spina più dura… Ma, ora che ho visto il dolore del Cristo e la sua gloria, non devo pesare il mio dolore, ma solo sperare la celeste gloria. Andiamo a dire agli apostoli che Gionata è il servo dei servi del Cristo».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!