Sant’ Abramo Patriarca prega per noi – 9 ottobre

Abramo fu il padre dei viventi. Noè, il padre degli scampati. Abramo, il padre dei credenti, pecrhé ebbe fede, credette nelle promesse del Signore e rispose sempre di sì, facendo la volontà di Dio senza incertezze e senza riluttanza.

Viveva in una grande e ricca città della Caldea, dove i palazzi si coronavano di giardini e dove i templi toccavano il cielo coi loro fastigi, non ad adorare però il vero Dio, ma, idolatricamente; il sole e la luna.

Una notte, mentre dormiva sul suo comodo letto, nel suo splen-dido palazzo, Dio lo chiamò a voce, cioè lo « vocò ». « Abramo, esci dalla tua terra, abbandona la tua patria, la tua città, la tua casa. Rinunzia alla tua vita. Io ti farò capo di un popolo grande e il tuo nome sarà benedetto da tutte le nazioni ».

Abramo seguì la vocazione. Rispose: « Eccomi ». Lasciò la sua ricca casa, la sua bella città, la sua comoda vita, per obbedire al Signore. Divenne pastore; visse sotto la tenda, nella nuova terra, assegnatagli da Dio e che si chiamava Canaan. Nella nuova vita di nomade, cioè di pastore sotto la guida paterna di Dio, l’aveva seguito la moglie Sara, fedele ed intrepida, saggia cd austera, ma sterile, e quindi ombrata dall’alta malinconia di non essere madre.

Da 40 anni Abramo si era fatto pastore e già toccava i cento anni. Sara ne aveva 80. Il fiore della speranza era ormai caduto nell’anima dei due vecchi coniugi. Ma una notte Abramo si sentì chiamare fuori della tenda. Era una serena notte stellata. Il Signore gli disse: « Abramo, guarda il cielo. La tua discendenza sarà più numerosa e più fulgida di tutte le stelle che vedi nel cielo ».

E Abramo attese, fidente. Un giorno d’estate si presentarono alla sua tenda tre giovani biancovestiti. Abramo li accolse benignamente e disse a Sara di preparare tre pani di fior di farina e di cuocere il vitello più tenero. E mentre mangiavano, i giovani chiesero di Sara. « E qui sotto la tenda », rispose Abramo. « L’anno venturo — dissero gli ospiti — essa ti darà un figlio ». Sara, sotto la tenda, ascoltava i discorsi. E a queste parole rise. L’anno dopo ebbe un figlio, chiamato Isacco, che voleva dire « riso ».

E venne dopo alcuni anni il giorno della prova. Isacco era cresciuto florido e ridente. Ma una notte, Abramo udì ancora la voce del Signore, che gli ordinava la cosa più atroce che si potesse immaginare. « Prendi il tuo Isacco e vai sul monte che ti indicherò. Ucciderai il figlio in sacrificio ».

Anche questa volta Abramo obbedì. Prese il bambino, il coltello del sacrificio, la legna per il fuoco. Giunto sul monte drizzò l’altare, vi pose sopra il proprio figlio, il « riso » suo e della sua Sara, pronto al sacrificio che gli strappava l’anima. Ma quando aveva già alzato il coltello, la voce di Dio lo chiamò ancora: « Abramo, Abramo ». « Eccomi, Signore! ». « Sciogli il fanciullo e sacrifica il capro che ti è accanto. Ora ho conosciuto davvero che temi il tuo Dio e che gli sei fedele fino al sommo sacrificio ».

Allora, sul viso rugoso di Abramo si sciolse il pianto della consolazione. Rideva e piangeva, mentre nell’aria risuonavano le parole della benedizione di Dio: « Io ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del cielo, come la rena che è sul lido del mare. E nel tuo nome saranno benedette tutte le nazioni della terra ».

Adamo era stato il padre di tutti gli uomini, di coloro che vivono e muoiono, che si salvano e ché si perdono. Ma Abramo è il padre di tutti coloro che si salvano, il padre degli eletti, il padre di coloro che ascoltando e seguendo la vocazione divina, credono in Dio e nelle sue promesse.

E Sara, sua moglie, è chiamata da Isaia la madre del popolo eletto, mentre San Paolo la indica come il simbolo della libertà cristiana, in contrapposizione ad Agar, la schiava che aveva dato ad Abramo un figlio, prima di Isacco, e che è il simbolo della schiavitù.

Quello della schiava Agar e di suo figlio Ismaele è uno degli episodi più penosi della Bibbia, ma va interpretato nel senso allegorico, cioè nel senso che Ismaele rappresenta il figlio della schiava e Isacco invece è il figlio della donna libera, dalla quale discende il popolo eletto, libero e pronto perché guidato soltanto da Dio, che è sempre padre amoroso e mai odioso tiranno.

MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di sant’Abramo, patriarca e padre di tutti i credenti, che, chiamato da Dio, uscì dalla sua terra, Ur dei Caldei, e si mise in cammino per la terra promessa da Dio a lui e alla sua discendenza. Manifestò, poi, tutta la sua fede in Dio, quando, sperando contro ogni speranza, non si rifiutò di offrire in sacrificio il suo figlio unigenito Isacco, che il Signore aveva donato a lui già vecchio e da una moglie sterile.

Nome: Sant’ Abramo
Titolo: Patriarca d’Israele
Nascita: Ur dei Caldei
Morte: Canaan
Ricorrenza: 9 ottobre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

«Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Vangelo Lc 17, 11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Impegno del giorno: chiedere a Dio il dono della gratitudine.

San Dionigi prega per noi – 9 ottobre

S. Dionisio, vescovo di Parigi, fu uno di quegli uomini apostolici, i quali colla loro predicazione portarono il lume della fede nelle Gallie. Predicò da principio il Vangelo in più luoghi e città di quel regno. Prese in sua compagnia e per suoi coadiutori nel ministero della parola un santo prete per nome Rustico e S. Eleuterio diacono. Con essi si avanzò sino alla città di Parigi, ‘e quivi fissò la sua dimora. Molto ebbe ad affaticarsi il santo Vescovo per la coltura di quella vigna affatto incolta, e feconda soltanto di triboli e di spine. Confortato però ed assistito dalla divina grazia, cominciò ad annunziare a quei miseri idolatri le verità di nostra santa Religione, ed essendosi degnato il Signore di confermare la predicazione del suo servo col dono de’ miracoli, molti ne ridusse alla cognizione e al culto del vero Dio, onde, cresciuto il numero de’ fedeli, edificò una chiesa nella quale si radunavano a lodare Iddio, e a celebrare i divini misteri. Gravemente da ciò irritati gl’idolatri, fecero arrestare Dionigi con i due suoi discepoli, ed avendoli dapprima sottoposti a vari tormenti, in ultimo posero termine al loro glorioso combattimento col farli decapitare.

Si narra che Dionigi avrebbe portato la propria testa, dopo la decapitazione avvenuta nell’Île de la Cité, da Montmartre (che vuol dire appunto “Monte del martirio”) a Saint Denis, per una via che fu poi detta Rue des Martyrs, consegnandola infine ad una nobile romana, Catulla, la cui famiglia era proprietaria di quel territorio.

PRATICA. Non potrete far cosa più grata a san Dionigi ed a’ suoi compagni Martiri, per ottenere la loro protezione in questo mese, che ad esempio di essi attendendo alla conversione di quelle anime, le quali hanno soltanto una fede morta.

PREGHIERA. Oh, quanto l’uomo amasti, o Gesù mio! Fa che lo stesso amor abbia ancor io.

MARTIROLOGIO ROMANO. Santi Dionigi, vescovo, e compagni, martiri: si tramanda che san Dionigi sia giunto in Francia inviato dal Romano Pontefice e, divenuto primo vescovo di Parigi, morì martire nelle vicinanze di questa città insieme al sacerdote Rustico e al diacono Eleuterio.

Nome: San Dionigi e compagni
Titolo: Vescovo e martiri
Ricorrenza: 9 ottobre
Tipologia: Commemorazione
Patroni di: Borgo Velino, Longhena, Saint-Denis

Vangelo Lc 11, 27-28: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Vangelo Novus Ordo Lc 11, 27-28
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre Gesù parlava, una donna dalla folla alzò la voce e gli disse: «Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».
Ma egli disse: «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Beato il grembo che ti ha portato e il seno che ti ha allattato!».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXXVIII. Discorso ai cittadini di Gerasa e lode di una donna alla Madre di Gesù.

   27 settembre 1945 

 1 Credeva di essere sconosciuto! Quando la mattina di poi pone piede fuori dal fabbricato di uso di Alessandro, trova già delle persone ad attenderlo. Gesù è con i soli apostoli. Donne e discepoli sono rimasti in casa, in riposo. La gente lo saluta e circonda dicendogli che lo conosce per quanto disse di Lui uno guarito dai demoni, che ora è assente perché andato avanti con due discepoli passati di lì qualche giorno prima.
  Gesù ascolta benignamente tutti questi discorsi e intanto cammina per la città, che mostra spesso delle zone dove infuria un vero fragore di cantieri. Muratori, sterratori, scalpellini, fabbri, falegnami lavorano a costruire, a spianare o a colmare dislivelli, a sbozzare pietre per le muraglie, a lavorare il ferro per questo o quell’uso, a segare, piallare, ridurre a pali dei tronchi robusti. Gesù passa e guarda, valica un ponte gettato su un torrentello chiacchierino che passa proprio al centro del paese; e le case si sono allineate al di qua e al di là di esso con pretese di formare un lungo-fiume. Sale poi verso la parte alta della città, che è un poco in dislivello nel suo piano, di modo che il lato sud-ovest è più alto del lato nord-est, ma ambedue sono più alti del centro cittadino tagliato in due dal piccolo corso d’acqua.
  La vista è bella dal punto dove si è fermato Gesù. Tutta la città, abbastanza vasta, si mostra a chi guarda, e dietro ad essa, dai lati d’oriente, meridione e occidente, vi è un ferro di cavallo di lievi colline tutte verdi, mentre a nord l’occhio spazia su una pianura aperta e vasta che all’orizzonte mostra un rilievo, tenue tanto da non poter essere chiamato neppur colle, tutto biondo di sole mattutino, che fa preziosi i pampini giallastri delle viti che coprono questa onda di terreno, quasi volesse mitigare la malinconia delle morenti foglie con il fasto di una pennellata d’oro.

 2 Gesù osserva e la gente di Gerasa lo sta a guardare. Gesù li conquista col dire:
 «Questa città è molto bella. Fatela bella anche di giustizia e santità. I colli, il ruscello, la verde pianura ve li ha dati Dio. Roma vi aiuta ora a darvi case e belle costruzioni. Ma sta in voi soli dare alla città vostra il nome di città santa e giusta.
  La città è quale la fanno i cittadini. Perché la città è una parte della società chiusa fra cerchia di mura, ma chi fa la città sono i cittadini. La città in se stessa non pecca. Non può peccare il ruscello, il ponte, le case, le torri. Sono materia, non anima. Ma peccare possono coloro che sono chiusi nelle mura cittadine, nelle case, nelle botteghe, e passano sul ponte, e si bagnano nel rio. Si dice di una città faziosa e crudele: “È una città pessima”. Ma è mal detto. Non è la città, sono i cittadini pessimi. Questi singoli che diventano, unendosi, una cosa multipla, eppure anche una cosa sola, detta “la città”. Ora ascoltate. Se in una città diecimila abitanti sono buoni e solo mille non lo sono, potrebbe dirsi che quella città è malvagia? Non lo si potrebbe dire. Ugualmente: se in una città di diecimila abitanti ci sono molti partiti e ognuno tende a beneficare il suo, può dirsi più che quella città è unita? Non lo si può dire. E pensate voi che quella città sarà prospera? Non lo sarà.
  Voi di Gerasa ora siete tutti uniti nell’intento di fare della vostra città una grande cosa. E ci riuscirete perché tutti volete la stessa cosa e gareggiate l’uno con l’altro a raggiungere questo scopo. Ma se domani fra voi sorgessero partiti diversi e uno dicesse: “No, meglio è estendersi a occidente”, e un altro partito: “Niente affatto. Andremo a settentrione dove è la pianura”, e un terzo: “Né qua né là. Stretti tutti nel centro, presso il fiume vogliamo stare”, che accadrebbe? Accadrebbe che i lavori iniziati si fermerebbero, chi presta i capitali li ritirerebbe, chi ha intenzione di stabilirsi qui se ne andrebbe in altra città dai cittadini più concordi, e il già fatto cadrebbe a rovina perché esposto alle intemperie senza essere ultimato per le diatribe dei cittadini. È o non è così? Voi dite che così è, e dite bene. Dunque occorre concordia fra i cittadini per fare il bene della città e, di conseguenza, dei cittadini, perché nella società il bene della stessa è benessere di chi la compone.

 3 Ma non vi è solo la società quale voi la pensate, la società dei cittadini, o dei connazionali, o la piccola e cara società della famiglia. Vi è una società più vasta, infinita: quella degli spiriti.
  Noi tutti che viviamo abbiamo un’anima. Quest’anima non muore col corpo, ma sopravvive ad esso in eterno. Idea del Creatore Iddio, che ha dato all’uomo l’anima, era che tutte le anime degli uomini si riunissero in un unico luogo, il Cielo, costituendo il Regno dei Cieli, il cui monarca è Dio e i cui sudditi beati sarebbero stati gli uomini dopo una vita santa e una placida dormizione. Satana venne a dividere e a scompigliare, a distruggere e addolorare Dio e spiriti. E mise il peccato nei cuori, e con esso portò la morte al corpo al termine dell’esistenza, sperando di dare morte anche agli spiriti. La morte di essi è la dannazione, la quale è esistere ancora, sì, ma di una esistenza priva di ciò che è vita vera e giubilo eterno, ossia della visione beatifica di Dio e del suo eterno possesso nelle luci eterne. E l’Umanità si divise nei suoi voleri come una città divisa da contrari partiti. E così facendo andò in rovina.
  Io l’ho detto[96] altrove a chi mi accusava di cacciare i demoni con l’aiuto di Belzebù: “Ogni regno diviso in se stesso andrà in rovina”. Infatti, se Satana cacciasse se stesso, esso e il suo regno tenebroso rovinerebbe.
  Io, per l’amore che Dio ha per l’Umanità da Lui creata, sono venuto a ricordare che un Regno solo è santo: quello dei Cieli. E venuto sono a predicarlo perché i migliori accorrano ad esso.
  Oh! Io vorrei che tutti, anche i peggiori, venissero, convertendosi, liberandosi dal demonio che palesemente, nelle possessioni corporali oltre che spirituali, o segretamente, in quelle tutte spirituali, li tiene schiavi. Per questo Io vado guarendo i malati, cacciando i demoni dai corpi posseduti, convertendo i peccatori, perdonando in nome del Signore, istruendo al Regno, compiendo miracoli per farvi persuasi del mio potere e che Dio è con Me. Perché non si può fare miracolo se non si ha amico Iddio. Perciò, se Io caccio i demoni col dito di Dio e guarisco i malati, mondo i lebbrosi, converto i peccatori, annuncio e istruisco al Regno e chiamo ad esso in nome di Dio, e la condiscendenza di Dio è con Me, chiara e indiscutibile, e solo i nemici sleali possono dire il contrario, segno è che il Regno di Dio è giunto fra voi e va costituito perché questa è l’ora della sua fondazione.

 4 Come si fonda il Regno di Dio nel mondo e nei cuori? Col ritorno alla Legge mosaica o con la conoscenza esatta di essa se la si ignora, e, soprattutto, con l’applicazione totale della Legge in se stessi, in ogni evento e momento della vita. Quale è questa Legge? Una cosa talmente severa da essere impraticabile? No. Essa è una serie di dieci precetti santi e facili, quali anche l’uomo moralmente buono, veramente buono, sente doversi dare, anche se è uno sepolto sotto l’intricato tetto vegetale delle foreste più impenetrabili dell’Africa misteriosa. Essa dice:
  “Io sono il Signore Iddio tuo, né vi è altro Dio all’infuori di Me.
  Non nominare il Nome di Dio inutilmente.
  Rispetta il sabato secondo il comando di Dio e il bisogno della creatura.
  Onora il padre e la madre se vuoi vivere lungamente e aver del bene in terra e in Cielo.
  Non ammazzare. Non rubare.
  Non commettere adulterio.
  Non dire false testimonianze contro il prossimo. Non desiderare la moglie altrui.
  Non invidiare la roba altrui”.
  Quale è quell’uomo, che sia di animo buono anche se è un selvaggio, che girando lo sguardo su quanto lo circonda non giunge a dirsi: “Tutto questo da se stesso non si è potuto formare. Perciò vi è Uno, più potente della natura e dello stesso uomo, che ha fatto questo”? E adora questo Potente, di cui sa o non sa il Nome Ss., ma che sente esistere? E ne ha tale riverenza che a pronunciare il nome che gli ha dato, o che gli fu insegnato a dire per nominarlo, trema di riverenza e sente di pregare sol col nominarlo con riverenza? Ché infatti è preghiera dire il Nome di Dio nell’intento di adorarlo o di farlo conoscere alla gente che lo ignora.
  Così pure, solo per prudenza morale ogni uomo sente di dover concedere riposo alle sue membra, perché resistano fino a che dura vita. Con più ragione questo riposo animale, l’uomo che non ignora il Dio d’Israele, il Creatore e Signore dell’universo, sente che lo deve consacrare al Signore, per non essere simile al giumento che stanco si riposa sulla lettiera frangendo biade fra i denti robusti.
  Anche il sangue grida amore per quelli da cui è venuto, e lo vediamo anche in quel puledro d’asina che corre ora ragliando incontro alla madre che torna dai mercati. Giocava nel branco, l’ha vista, si ricorda d’esser stato allattato da essa e leccato con amore, difeso, scaldato dalla madre, e vedete? Con le froge tenere le strofina il collo e sgroppona di gioia, sfregando la giovane groppa contro il fianco che lo ha portato. Amare i genitori è dovere e diletto. Né vi è animale che non ami colei che lo ha generato. E che? L’uomo sarà più infimo del verme che vive nel fango della zolla?
  L’uomo moralmente buono non uccide. La violenza gli fa ribrezzo. Sente che non è lecito levare la vita a nessuno, che solo Dio che l’ha data ha il diritto di levarla. E rifugge dall’omicidio.
  Ugualmente, il moralmente sano non si prevale delle cose altrui. Preferisce il pane mangiato con serena coscienza presso la fonte argentina, al succolento arrosto frutto di un furto. Preferisce dormire sul suolo col capo su una pietra e le stelle amiche sul capo, pioventi pace e conforti alla coscienza onesta, al sonno turbato su un letto carpito con furto.
  E, se è moralmente sano, non è avido di più donne che sue non siano, non entra, insozzatore e vile, nel talamo altrui. Ma nella donna dell’amico vede una sorella e non ha per lei sguardi e appetiti che per sorella non si hanno.
  L’uomo di animo retto, anche se naturalmente retto, senza altra conoscenza del Bene che quella che gli viene dalla sua coscienza buona, non si permette mai di testimoniare ciò che non è vero, parendogli ciò uguale ad omicidio e furto, e così è. Ma ha labbra oneste come ha onesto il cuore, e con essi ha onesti sguardi per cui non appetisce alle mogli altrui. Neppure appetisce, perché sente che l’appetire è il primo stimolo al peccare. E non invidia. Perché è buono. Il buono non invidia mai. Sta sereno nella sua sorte.

 5 Vi pare, questa legge, così esigente da essere impraticabile? Non fatevi torto! Io sono certo che voi non ve lo farete. E, se non lo farete, fonderete il Regno di Dio in voi e nella vostra città. E vi ritroverete, un giorno, felici con coloro che amaste e che come voi conquistarono il Regno eterno nei gaudi senza fine del Cielo.
  Ma nel nostro stesso intimo sono le passioni come tanti cittadini chiusi fra la cerchia delle mura cittadine. Occorre che tutte le passioni dell’uomo vogliano la stessa cosa, ossia la santità. Altrimenti, inutilmente una parte tenderà al Cielo, se poi un’altra lascia incustodite le porte e vi lascia penetrare il seduttore, o neutralizza con dispute e pigrizie le azioni di una parte degli spirituali cittadini, facendo perire la città intima e abbandonandola al regno delle ortiche, dei tossici, delle gramigne, dei serpenti, scorpioni, i e sciacalli, e gufi, ossia delle male passioni e degli angeli di Satana. Occorre vegliare senza mai smettere, come scolte messe alle mura, per impedire che il Maligno entri là dove noi vogliamo costruire il Regno di Dio.
  In verità vi dico che, finché il forte guarda in armi l’atrio della sua casa, è sicuro di tutto quanto è in essa. Ma, se viene uno più forte di lui, o se egli lascia incustodita la porta, allora il più forte lo vince, lo disarma, ed egli, privo delle armi in cui confidava, si avvilisce e si arrende, e il forte lo fa prigioniero prendendosi le spoglie del vinto. Ma se l’uomo vive in Dio, mediante la fedeltà alla Legge e la giustizia santamente praticata, Dio è con lui, Io sono con lui, e nulla di male può accadergli. L’unione con Dio è l’arma che nessun forte può vincere. L’unione con Me è sicurezza di vittoria e di bottino di virtù eterne, per cui eternamente sarà dato posto nel Regno di Dio. Ma chi da Me si stacca o di Me si fa nemico respinge per conseguenza le armi e la sicurezza della mia parola. Chi respinge il Verbo respinge Dio. Chi respinge Dio chiama Satana. Chi chiama Satana distrugge quanto aveva per conquistare il Regno.
  Perciò, chi non è con Me è contro di Me. E chi non coltiva ciò che Io ho seminato raccoglie ciò che semina il Nemico. Chi meco non raccoglie disperde, e povero e nudo verrà al Giudice supremo, che lo manderà dal padrone al quale si è venduto preferendo Belzebù al Cristo.
  Cittadini di Gerasa, edificate in voi e nella vostra città il Regno di Dio».

 6 Una trillante voce di donna si solleva limpida come un canto di allodola sul brusio della folla ammirata, cantando la novella beatitudine, ossia la gloria di Maria: «Beato il seno che ti ha portato e le mammelle che hai succhiato».
  Gesù si volge verso la donna che esalta la Madre per ammirazione del Figlio. Sorride, perché dolce gli è la lode data alla Genitrice. Ma poi dice: «Più beati quelli che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica. Fa’ tu questo, o donna».
  E poi benedice e si avvia verso la campagna, seguito dagli apostoli che gli chiedono: «Perché hai detto questo?».
  «Perché in verità vi dico che in Cielo non si misura con le misure della Terra. E mia Madre stessa sarà beata non tanto per la sua immacolata anima, quanto per avere ascoltato la parola di Dio ed averla messa in pratica con l’ubbidienza. Il “sia fatta l’anima di Maria senza colpa” è prodigio del Creatore. A Lui dunque ne va data lode. Ma il “sia fatto di me secondo la tua parola” è prodigio di mia Madre. Per questo, dunque, grande è il suo merito. Tanto grande che solo per quella sua capacità di ascoltare Dio, parlante per bocca di Gabriele, e per la sua volontà di mettere in pratica la parola di Dio, senza stare a soppesare le difficoltà e i dolori immediati e futuri che da essa adesione sarebbero venuti, è venuto il Salvatore nel mondo. Voi dunque vedete che Ella è la mia beata Madre non solo perché mi ha generato e allattato, ma perché ha ascoltato la 288.7 parola di Dio e l’ha messa in pratica con l’ubbidienza. 7Ma ora torniamo a casa. Mia Madre sapeva che Io stavo fuori per poco tempo e potrebbe temere vedendomi ritardare. Siamo in paese semipagano. Ma in verità è più buono di altri. Pure andiamo. E giriamo dietro le mura per sfuggire alla folla che mi tratterrebbe ancora. Giù lesti, dietro questi boschetti folti…».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!