Vangelo Lc 13, 1-9:«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Vangelo Novus Ordo Lc 13, 1-9
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo ».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXXI. Al Tempio nella festa dei Tabernacoli. Le condizioni per seguire Gesù. La parabola dei talenti e la parabola del buon samaritano.

   20 settembre 1945

 1 Gesù è diretto al Tempio. Lo precedono a gruppi i discepoli, lo seguono in gruppo le discepole, ossia la Madre, Maria Cleofe, Maria Salome, Susanna, Giovanna di Cusa, Elisa di Betsur, Annalia di Gerusalemme, Marta e Marcella. Non c’è la Maddalena. Intorno a Gesù, i dodici apostoli e Marziam.
  Gerusalemme è nella pompa dei suoi tempi di solennità.
  Gente in ogni via e di ogni terra. Canti, discorsi, mormorio di preghiere, imprecazioni di asinai, qualche pianto di bambino. E su tutto un cielo nitido che si mostra fra casa e casa, e un sole che scende allegro a ravvivare i colori delle vesti, ad accendere i morenti colori delle pergole e degli alberi che si intravvedono qua e là oltre i muri dei chiusi giardini o delle terrazze.
  Talora Gesù incrocia persone di conoscenza, e il saluto è più o meno deferente a seconda degli umori dell’incrociante. Così è profondo ma sussiegato quello di Gamaliele, il quale guarda fisso Stefano, che gli sorride dal gruppo dei discepoli e che Gamaliele, dopo essersi inchinato a Gesù, chiama in disparte e gli dice poche parole, dopo di che Stefano torna nel gruppo. Venerante è il saluto del vecchio sinagogo Cleofa di Emmaus, diretto insieme ai suoi concittadinial Tempio. Aspro come una maledizione è quello di risposta dei farisei di Cafarnao.

 2 Un gettarsi a terra baciando i piedi di Gesù nella polvere della via è quello dei contadini di Giocana, capitanati dall’intendente. La folla si ferma ad osservare stupita questo gruppo di uomini che ad un quadrivio si precipita con un grido ai piedi di un giovane uomo, che non è un fariseo né uno scriba famoso, che non è un satrapo né un potente cortigiano, e qualcuno domanda chi è, e un bisbiglio corre: «È il Rabbi di Nazaret, quello che si dice sia il Messia».
  Proseliti e gentili si affollano allora curiosi, stringendo il gruppo contro al muro, facendo ingombro nella minuscola piazzetta, finché un gruppo di asinai li disperde vociando imprecazioni all’ostacolo. Ma la folla subito si riunisce di nuovo, separando le donne dagli uomini, esigente, brutale nella sua manifestazione che è anche di fede. Tutti vogliono toccare le vesti di Gesù, dirgli una parola, interrogarlo. Ed è sforzo inutile, perché la loro stessa fretta, la loro ansia, la loro irrequietezza per farsi avanti, respingendosi a vicenda, fa sì che nessuno ci riesce, e anche le domande e le risposte si confondono in un unico rumore incomprensibile.
  L’unico che si astrae dalla scena è il nonno di Marziam, il quale ha risposto con un grido al grido del nipotino e, subito dopo aver venerato il Maestro, si è stretto al cuore il nipote e stando così, ancora rilassato sui calcagni, i ginocchi a terra, se lo è seduto nel grembo e se lo ammira e carezza con lacrime e baci, beati, e lo interroga e ascolta. Il vecchio è già in Paradiso tanto è beato.
  Accorrono le milizie romane credendo che vi sia qualche rissa e si fanno largo. Ma quando vedono Gesù hanno un sorriso e si ritirano tranquille, limitando a consigliare i presenti a lasciare libero l’importante quadrivio. E Gesù subito ubbidisce, approfittando dello spazio fatto dai romani che lo precedono di qualche passo come per fargli strada, in realtà per tornare al loro posto di picchetto perché la guardia romana è molto rinforzata, come se Pilato sapesse esservi malcontento nella folla e temesse sommosse in questi giorni in cui Gerusalemme è colma di ebrei di ogni parte. Ed è bello vederlo andare preceduto dal drappello romano, come un re al quale si fa largo mentre va ai suoi possessi.
  Ha detto, nel muoversi, al bambino e al vecchio: «State insieme e seguitemi»; e all’intendente: «Ti prego lasciarmi i tuoi uomini. Mi saranno ospiti fino a sera».
  L’intendente risponde ossequioso: «Tutto ciò che Tu vuoi sia fatto», e se ne va da solo dopo un profondo saluto.

 3 È ormai prossimo il Tempio — e il formicolio della folla, proprio come di formiche presso la buca del formicaio, è ancor più forte — quando un contadino di Giocana grida: «Ecco il padrone!», e cade a ginocchi per salutare, imitato da altri.
  Gesù resta in piedi in mezzo ad un gruppo di prostrati, perché i contadini si erano stretti a Lui, e gira lo sguardo verso il luogo indicato, incontrando lo sguardo di un impaludato fariseo, che non mi è nuovo, ma che non so dove l’ho visto.
  Il fariseo Giocana è con altri della sua casta: un mucchio di stoffe preziose, di frange, di fibbie, di cinture, di filatterie, tutte più ampie delle comuni. Giocana guarda attento Gesù, uno sguardo di pura curiosità, ma però non irriverente. Anzi ha un saluto impettito, appena un inchino del capo. Ma è sempre un saluto, al quale Gesù risponde deferente. Anche due o tre altri farisei salutano, mentre altri guardano sprezzanti o fingono di guardare altrove, e uno solo lancia un’offesa di certo, perché vedo che chi circonda Gesù sussulta e lo stesso Giocana si volta tutto d’un pezzo a fulminare con lo sguardo l’offensore, che è un uomo più giovane di lui, dai tratti marcati e duri.
  Quando sono sorpassati e i contadini osano parlare, uno di essi dice: «È Doras, Maestro, quello che ti ha maledetto».
  «Lascialo fare. Ho voi che mi benedite», dice calmo Gesù.
  Appoggiato ad un archivolto, insieme ad altri, è Mannaen, e come vede Gesù alza le braccia con una esclamazione di gioia:
  «Giornata gioconda è questa poiché io ti trovo!», e viene verso Gesù, seguito da chi è con lui. Lo venera sotto l’ombroso archivolto che fa rimbombare le voci come sotto una cupola.
  Proprio mentre lo venera, passano rasente al gruppo apostolico i cugini Simone e Giuseppe con altri nazareni… e non salutano… Gesù li guarda accorato ma non dice nulla.
  Giuda e Giacomo si parlano fra loro concitati, e Giuda avvampa di sdegno e poi parte di corsa, inutilmente trattenuto dal fratello. Ma Gesù lo richiama con un talmente imperioso:
  «Giuda, vieni qui!», che l’inquieto figlio d’Alfeo torna indietro… «Lasciali fare. Sono semi che ancora non hanno sentito la primavera. Lasciali nel buio della zolla restia. Io penetrerò lo stesso anche se la zolla divenisse un diaspro chiuso intorno al seme. A suo tempo Io lo farò».
  Ma più forte della risposta di Giuda d’Alfeo risuona il pianto di Maria d’Alfeo, desolata. Un pianto lungo di persona avvilita… Ma Gesù non si volge a consolarla, benché sia ben netto quel lamento sotto l’archivolto pieno d’echi.
  Continua a parlare con Mannaen che gli dice: «Questi che con me sono, sono discepoli di Giovanni. Vogliono come me essere tuoi».
  «La pace sia ai buoni discepoli. Là avanti sono Mattia, Giovanni e Simeone, con Me per sempre. Accolgo voi come accolsi loro, perché caro mi è tutto ciò che a Me viene dal santo Precursore».

 4 È raggiunta la cinta del Tempio.
  Gesù dà gli ordini all’Iscariota e a Simone Zelote per gli acquisti di rito e le offerte di rito. Poi chiama il sacerdote Giovanni e dice: «Tu che sei di questo luogo provvederai ad invitare qualche levita che sai degno di conoscere la Verità. Perché veramente quest’anno Io posso celebrare una festa di letizia. Mai più sarà così dolce il giorno…».
  «Perché, Signore?», chiede lo scriba Giovanni.
  «Perché ho voi intorno, tutti, o con la presenza visibile o col loro spirito».
  «Ma sempre vi saremo! E con noi molti altri», assicura veementemente l’apostolo Giovanni. E tutti fanno coro.
  Gesù sorride e tace mentre il sacerdote Giovanni, insieme a Stefano, va avanti, nel Tempio, ad eseguire l’ordine. Gesù gli grida dietro: «Raggiungeteci al portico dei Pagani».
  Entrano e quasi subito incontrano Nicodemo, che fa un profondo saluto ma non si avvicina a Gesù. Però ha con Gesù un sorriso di intesa pieno di pace.
  Mentre le donne si fermano dove possono, Gesù con gli uomini va alla preghiera, nel luogo degli ebrei, e poi torna indietro, compito ogni rito, per riunirsi a chi lo attende nel portico dei Pagani.
  I porticati, vastissimi e altissimi, sono pieni di popolo che ascolta le lezioni dei rabbi. Gesù si dirige al punto dove vede fermi i due apostoli e i due discepoli mandati avanti. Subito si fa cerchio intorno a Lui, e agli apostoli e discepoli si uniscono anche altre numerose persone che erano sparse nell’affollato cortile marmoreo. La curiosità è tale che anche alcuni allievi di rabbi, non so se spontaneamente o se perché mandati dai maestri, si accostano al cerchio stretto intorno a Gesù.

 5 Gesù chiede a bruciapelo: «Perché intorno a Me vi pigiate?
  Ditelo. Avete rabbi noti e sapienti, benvisti da tutti. Io sono l’Ignoto e il Malvisto. Perché allora venite a Me?».
  «Perché ti amiamo», dicono alcuni, ed altri: «Perché hai parole diverse dagli altri», ed altri ancora: «Per vedere i tuoi miracoli», e: «Perché di Te abbiamo sentito parlare», e: «Perché Tu solo hai parole di vita eterna e opere corrispondenti alle parole», e infine: «Perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli».
  Gesù guarda la gente man mano che parla, quasi volesse trafiggerla con lo sguardo per leggerne le più occulte sensazioni; e qualcuno, non resistendo a quello sguardo, si allontana o, quanto meno, si nasconde dietro a una colonna o a gente più alta di lui.
  Gesù riprende:
  «Ma sapete voi cosa vuol dire e vuole essere venire dietro a Me? Io rispondo a queste sole parole, perché non merita risposta la curiosità e perché chi ha fame delle mie parole è, di con seguenza, di Me amante e desideroso di unirsi a Me. Perciò, fra chi ha parlato, vi sono due gruppi: i curiosi che trascuro, i volonterosi che ammaestro senza inganno sulla severità di questa vocazione.

 6 Venire a Me come discepolo vuol dire rinuncia di tutti gli amori a un solo amore: il mio. Amore egoista verso se stessi, amore colpevole verso le ricchezze o il senso o la potenza, amore onesto verso la sposa, santo verso la madre, il padre, amore amabile dei e ai figli e fratelli, tutto deve cedere al mio amore se si vuole essere miei. In verità vi dico che più liberi di uccelli spazianti nei cieli devono essere i miei discepoli, più liberi dei venti che scorrono i firmamenti senza che nessuno li trattenga, nessuno e nessuna cosa. Liberi, senza catene pesanti, senza lacci d’amore materiale, senza neppure le ragnatele sottili delle più lievi barriere. Lo spirito è come una delicata farfalla serrata dentro al bozzolo pesante della carne, e può appesantirne il volo, o arrestarlo del tutto, anche l’iridescente e impalpabile tela di un ragno: il ragno della sensibilità, della ingenerosità nel sacrificio. Io voglio tutto, senza riserve. Lo spirito abbisogna di questa libertà di dare, di questa generosità di dare, per poter esser certo di non essere impigliato nella ragnatela delle affezioni, consuetudini, riflessioni, paure, tese come tanti fili da quel ragno mostruoso che è Satana, rapinatore di anime.
  Se uno vuol venire a Me e non odia santamente suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e le sue sorelle, e persino la sua vita, non può esser mio discepolo. Ho detto “odia santamente”. Voi in cuor vostro dite: “L’odio, Egli lo insegna, non è mai santo. Perciò Egli si contraddice”. No. Non mi contraddico. Io dico di odiare la pesantezza dell’amore, la passionalità carnale dell’amore al padre e madre, e sposa e figli, e fratelli e sorelle, e alla stessa vita, ma anzi ordino di amare, con la libertà leggera che è propria degli spiriti, i parenti e la vita. Amateli in Dio e per Dio, non posponendo mai Dio a loro, occupandovi e preoccupandovi di portarli dove il discepolo è giunto, ossia a Dio Verità. Così amerete santamente i parenti e Dio, conciliando i due amori e facendo dei legami di sangue non peso ma ala, non colpa ma giustizia.
  Anche la vostra vita dovete esser pronti a odiare per seguire Me. Odia la sua vita colui che, senza paura di perderla o di renderla umanamente triste, la fa servire a Me. Ma non è che una apparenza di odio. Un sentimento erroneamente detto “odio” dal pensiero dell’uomo che non sa elevarsi, dell’uomo tutto terrestre, di poco superiore al bruto. In realtà questo apparente odio, che è il negare le soddisfazioni sensuali alla esistenza per dare una sempre più vasta vita allo spirito, è amore. Amore è, e del più alto che esista, del più benedetto. Questo negarsi le basse soddisfazioni, questo interdirsi la sensualità degli affetti, questo procurarsi rimproveri e commenti ingiusti, questo rischiare punizioni, ripudi, maledizioni e forse anche persecuzioni, è una sequela di pene. Ma occorre abbracciarle e imporsele come una croce, un patibolo sul quale si espia ogni passata colpa per andare giustificati a Dio, e dal quale si ottiene ogni grazia, vera, potente, santa grazia di Dio per coloro che noi amiamo. Chi non porta la sua croce e non viene dietro a Me, chi non sa fare questo, non può essere mio discepolo.

 7 Pensateci dunque molto, molto, voi che dite: “Siamo venuti perché vogliamo unirci ai tuoi discepoli”. Non è vergogna ma sapienza pesarsi, giudicarsi e confessare, a se stessi e agli altri: “Io non ho stoffa di discepolo”. E che? I pagani hanno a base di un loro insegnamento la necessità di “conoscere se stessi”; e voi israeliti, per conquistare il Cielo, non lo sapreste fare? Perché, ricordatevelo sempre, beati quelli che verranno a Me. Ma piuttosto che venire per poi tradire Me e Colui che mi ha mandato, meglio è non venire affatto e rimanere i figli della Legge come fin qui foste. Guai a coloro che, avendo detto: “Vengo”, portano poi danno al Cristo essendo i traditori dell’idea cristiana, gli scandalizzatori dei piccoli, dei buoni! Guai a loro! Eppure vi saranno, e sempre vi saranno!
  Imitate perciò colui che vuole edificare una torre. Prima calcola attentamente la spesa necessaria e fa i conti del suo denaro per vedere se ha di che portarla a termine, perché, terminate le fondamenta, non debba sospendere i lavori non avendo più denaro. In questo caso perderebbe anche quanto aveva prima, rimanendo senza torre e senza talenti, e in cambio si attirerebbe le beffe del popolo che direbbe: “Costui ha cominciato a fabbricare senza poter finire. Ora può empirsi lo stomaco delle rovine della sua incompiuta fabbrica”.
  Imitate ancora i re della Terra, facendo servire i poveri av venimenti del mondo a insegnamento soprannaturale. Costoro, quando vogliono muovere guerra ad un altro re, esaminano con calma e attenzione ogni cosa, il pro e il contro, meditano se l’utile della conquista valga il sacrificio delle vite dei sudditi, studiano se è possibile conquistare quel luogo, se le loro milizie, inferiori della metà a quelle del rivale, anche se più combattive, possono vincere; e giustamente pensando che è improbabile che diecimila vincano ventimila, prima che avvenga lo scontro mandano incontro al rivale una ambasceria con ricchi doni e, ammansendo il rivale, già insospettito dalle mosse militari dell’altro, lo disarmano con prove di amicizia, ne annullano i sospetti e fanno con esso trattato di pace, in verità sempre più vantaggioso, tanto umanamente che spiritualmente, di una guerra.
  Così dovete fare voi prima di iniziare la nuova vita e di schierarvi contro il mondo. Perché questo è essere miei discepoli: andare contro la turbinosa e violenta corrente del mondo, della carne, di Satana. E, se non sentite in voi il coraggio di rinunciare a tutto per amor mio, non venite a Me perché non potete essere miei discepoli».

8 «Va bene. Ciò che Tu dici è vero», ammette uno scriba che si è mescolato al gruppo. «Ma se ci spogliamo di tutto, con che ti serviamo poi? La Legge ha dei comandi che sono come monete che Dio dà all’uomo perché usandole si compri la vita eterna. Tu dici: “Rinunciate a tutto” e accenni il padre, la madre, le ricchezze, gli onori. Dio ha pur dato queste cose e ci ha detto, per bocca di Mosè, di usarle con santità per apparire giusti agli occhi di Dio. Se Tu ci levi tutto, che ci dài?».
 «Il vero amore, l’ho detto, o rabbi. Vi do la mia dottrina che non leva un iota alla antica Legge, ma anzi la perfeziona».
  «Allora tutti siamo discepoli uguali, perché tutti abbiamo le stesse cose».
  «Tutti le abbiamo secondo la Legge mosaica. Non tutti secondo la Legge perfezionata da Me secondo l’Amore. Ma non tutti raggiungono, nella stessa, la stessa somma di meriti. Anche fra i miei stessi discepoli non tutti giungeranno ad avere somma di meriti in uguale misura, e alcuno fra essi non solo non avrà somma ma perderà anche l’unica sua moneta: la sua anima».
  «Come? A chi più è dato più resterà. I tuoi discepoli, meglio i tuoi apostoli, ti seguono nella tua missione e sono al corrente dei tuoi modi, hanno avuto moltissimo; molto hanno avuto i discepoli effettivi, meno i discepoli solo di nome, nulla quelli che, come me, non ti ascoltano che per accidente. È ovvio che moltissimo avranno in Cielo gli apostoli, molto i discepoli effettivi, meno i discepoli di nome, nulla quelli che sono come me».
  «Umanamente è ovvio, e male anche umanamente. Perché non tutti sono capaci di far fruttare i beni avuti. Odi questa parabola e perdona se troppo a lungo qui insegno. Ma Io sono la rondine di passaggio, e non sosto che per poco nella Casa del Padre, essendo venuto per tutto il mondo e non volendo, questo piccolo mondo che è il Tempio di Gerusalemme, permettermi di raccogliere il volo e rimanere là dove la gloria del Signore mi chiama».
  «Perché dici così?».
  «Perché è verità».
  Lo scriba si guarda intorno e poi china la testa. Che sia verità lo vede scritto su troppi volti di sinedristi, rabbi e farisei che sono andati sempre più ingrossando l’assembramento che è intorno a Gesù. Volti verdi di bile o porpurei d’ira, sguardi che equivalgono a parole di maledizione e a sputi di veleno, rancore che lievita da ogni parte, desiderio di malmenare il Cristo, che resta desiderio solo per paura dei molti che circondano il Maestro con devozione e che sono pronti a tutto per difenderlo, paura forse anche di punizioni da parte di Roma che ha benignità verso il mite Maestro galileo.

 9 Gesù riprende calmo a esporre con la parabola il suo pensiero:
  «Un uomo, essendo in procinto di fare un lungo viaggio e una lunga assenza, chiamò tutti i suoi servi e consegnò a loro tutti i suoi beni. A chi diede cinque talenti d’argento, a chi due d’argento, a chi uno solo d’oro. A ciascuno a seconda del suo grado e della sua abilità. E poi partì.
  Ora, il servo che aveva avuto cinque talenti d’argento andò a negoziare con accortezza i suoi talenti, e dopo qualche tempo essi gliene procurarono altri cinque. Quello che aveva avuto due talenti d’argento fece lo stesso e raddoppiò la somma avuta. Ma quello al quale il padrone aveva più dato — un talento d’oro schietto — preso dalla paura di non saper fare, dei ladri, di mille cose chimeriche, e soprattutto dall’infingardia, fece una grande buca in terra e vi nascose il denaro del suo padrone.
  Passarono molti e molti mesi e tornò il padrone. Chiamò subito i suoi servi perché rendessero il denaro avuto in deposito.
  Venne quello che aveva avuto cinque talenti d’argento e disse: “Ecco, mio signore. Tu me ne desti cinque. Io, parendomi male di non fare fruttare quanto mi avevi dato, mi sono industriato e ti ho guadagnato altri cinque talenti. Di più non ho potuto…”. “Bene, molto bene, servo buono e fedele. Sei stato fedele nel poco, volonteroso e onesto. Ti darò autorità su molto. Entra nella gioia del tuo signore”.
  Poi venne l’altro dei due talenti e disse: “Mi sono permesso di usare i tuoi beni per tuo utile. Ecco qui i conti che ti mostrano come ho usato il tuo denaro. Vedi? Erano due talenti d’argento. Ora sono quattro. Sei contento, mio signore?”. E il padrone dette al servo buono la stessa risposta data al primo servo.
  Venne per ultimo quello che, godendo della massima fiducia del padrone, aveva avuto dallo stesso il talento d’oro. Lo svolse dalla sua custodia e disse: “Tu mi hai affidato il maggior valore, perché mi sai prudente e fedele, così come io so che tu sei intransigente ed esigente e che non tolleri perdite nel tuo denaro, ma se disgrazia ti incoglie ti rifai su chi ti è prossimo, perché in verità mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso, non condonando uno spicciolo al tuo banchiere o al tuo fattore, per nessuna ragione. Tanto deve essere il denaro quanto tu dici. Ora io, temendo di sminuire questo tesoro, l’ho preso e l’ho nascosto. Non mi sono fidato di nessuno, neppure di me stesso. Ora l’ho dissotterrato e te lo rendo. Eccoti il tuo talento”.
 “O servo iniquo ed infingardo! In verità tu non mi hai amato, poiché non mi hai conosciuto e non hai amato il mio benessere perché l’hai lasciato inerte. Hai tradito la stima che avevo posta in te, e da te stesso ti smentisci, ti accusi e condanni. Tu sapevi che io mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso. E perché allora non hai fatto che io potessi mietere e raccogliere? Così rispondi alla mia fiducia? Così mi conosci? Perché non hai portato il denaro ai banchieri, che lo avrei al ritorno ritirato con gli interessi? A questo con particolare cura ti avevo istruito, e tu, stolto infingardo, non ne hai fatto conto.
  Ti sia dunque levato il talento e ogni altro bene e sia dato a quello che ha i dieci talenti”.
  “Ma colui ne ha già dieci, mentre questo ne resta privo…”, gli obbiettarono.
  “Bene sta. A chi ha e, su quanto ha, lavora, sarà dato più ancora e fino alla sovrabbondanza. Ma a chi non ha, perché non volle avere, sarà tolto anche quello che gli fu dato. Riguardo al servo disutile, che ha tradito la fiducia mia e lasciato inerti i doni datigli, gettatelo fuori dalla mia proprietà e vada piangendo e rodendosi in cuor suo”.
  Questa è la parabola. Come tu vedi, o rabbi, a chi più aveva meno restò, perché non seppe meritare di conservare il dono di Dio. E non è detto che uno di quelli che tu chiami discepoli solo di nome, aventi ben poco da negoziare perciò, e anche fra chi, ascoltandomi solo per accidente, come tu dici, e avendo per unica moneta l’anima, non giungano ad avere il talento d’oro, e i frutti dello stesso anche, che verrà levato ad uno dei più beneficati. Infinite sono le sorprese del Signore, perché infinite sono le reazioni dell’uomo. Vedrete gentili giungere alla Vita eterna e samaritani possedere il Cielo, e vedrete israeliti puri e seguaci miei perdere il Cielo e l’eterna Vita».

10 Gesù tace e, come volesse troncare ogni discussione, si volge verso la cinta del Tempio.
  Ma un dottore della Legge, che si era seduto in serio ascolto sotto il porticato, si alza e gli si para davanti chiedendogli:
  «Maestro, che debbo fare per ottenere la Vita eterna? Hai risposto ad altri, rispondi a me pure».
  «Perché mi vuoi tentare? Perché vuoi mentire? Speri che Io dica cosa disforme alla Legge perché aggiungo concetti più luminosi e perfetti ad essa? Cosa c’è scritto nella Legge? Rispondi! Quale è il comandamento principale di essa?».
  «”Amerai il Signore Iddio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze, con tutta la tua intelligenza. Amerai il tuo prossimo come te stesso”».
  «Ecco. Bene hai risposto. Fa’ questo e avrai la Vita eterna».
  «E chi è il mio prossimo? Il mondo è pieno di gente buona e malvagia, nota e ignota, amica e nemica di Israele. Quale è il mio prossimo?».
  «Un uomo, scendendo da Gerusalemme a Gerico per le gole delle montagne, incappò nei ladroni, i quali, dopo averlo ferito crudelmente, lo spogliarono di ogni suo avere e fin delle vesti, lasciandolo più morto che vivo sul bordo della strada.
  Per la stessa via passò un sacerdote che aveva cessato il suo turno al Tempio. Oh! era ancor profumato degli incensi del Santo! E avrebbe dovuto avere l’anima profumata di bontà soprannaturale e di amore, essendo stato nella Casa di Dio, quasi a contatto coll’Altissimo. Il sacerdote aveva fretta di tornare alla sua casa. Guardò dunque il ferito ma non si arrestò. Passò oltre sollecito, lasciando il disgraziato sulla proda.
  Passò un levita. Contaminarsi lui che deve servire nel Tempio? Ohibò! Raccolse la veste perché non si sporcasse di sangue, gettò uno sguardo sfuggente su colui che gemeva nel suo sangue e affrettò il passo verso Gerusalemme, verso il Tempio.
  Terzo, venendo dalla Samaria, diretto al guado, venne un samaritano. Vide il sangue, si fermò, scoperse il ferito nel crespuscolo che si infittiva, scese dal giumento, si accostò al ferito, lo ristorò con un sorso di vino gagliardo, strappò il suo mantello per farne fasce e, lavate e unte le ferite prima con aceto e poi con olio, gliele fasciò con amore, e caricato il ferito sul suo giumento guidò con accortezza la bestia, sorreggendo nel contempo il ferito, confortandolo con buone parole, non preoccupandosi della fatica né sdegnandosi per essere questo ferito di nazionalità giudea. Giunto in città, lo condusse all’albergo, lo vegliò per tutta la notte e all’alba, vedendolo migliorato, lo affidò all’oste, pagandolo in anticipo con dei denari e dicendo: “Abbine cura come fossi io stesso. Al mio ritorno, quanto avrai speso in più io te lo renderò e con buona misura, se bene avrai fatto”. E se ne andò.
  Dottore della Legge, rispondimi. Quale di questi tre fu “prossimo” per colui che incappò nei ladroni? Forse il sacerdote? Forse il levita? O non piuttosto il samaritano che non si chiese chi era il ferito, perché era ferito, se faceva male a soccorrerlo perdendo tempo, denaro e risicando di essere accusato d’essere il feritore?».
  Il dottore della Legge risponde: «Fu “prossimo” costui, perché ebbe misericordia».
  «Fa’ tu pure il simigliante e amerai il prossimo e Dio nel prossimo, meritando vita eterna».

11 Nessuno osa più parlare e Gesù ne approfitta per raggiungere le donne, che erano in attesa presso la cinta, e con esse andare di nuovo in città. Ora ai discepoli si è aggiunta una coppia di sacerdoti, o meglio, un sacerdote e un levita, giovanissimo quest’ultimo, patriarcale l’altro.
  Ma Gesù ora parla con la Madre avendo in mezzo, fra Sé e Lei, Marziam. E le chiede: «Mi hai udito, Madre?».
  «Sì, Figlio mio, e alla tristezza di Maria Cleofe si è aggiunta la mia. Ella ha pianto poco prima di entrare nel Tempio…».
  «Lo so, Madre. E ne so il motivo. Ma non deve piangere. Solo pregare».
  «Oh! prega tanto! In queste sere, sotto la sua capanna, fra i figli dormenti, ella pregava e piangeva. Io la sentivo piangere attraverso la parete sottile delle frasche vicine. Vedere a pochi passi Giuseppe e Simone, vicini ma divisi così!… E non è la sola a piangere. Con me ha pianto Giovanna che ti pare tanto serena…».
  «Perché, Madre?».
  «Perché Cusa… Ha una condotta… inesplicabile. Un poco la seconda in tutto. Un poco la respinge in tutto. Se sono soli, dove nessuno li vede, è il marito esemplare di sempre. Ma se con lui sono altre persone, della Corte, è naturale, ecco allora che egli diviene autoritario e sprezzante per la mite sua sposa.
  Ella non capisce perché…».
  «Io te lo dico. Cusa è servo di Erode. Comprendimi, Madre.
  “Servo”. Io non lo dico a Giovanna per non darle dolore. Ma così è. Quando non teme biasimo e derisione sovrana, è il buon Cusa. Quando li può temere, non è più tale».
  «È perché Erode è molto irritato per Mannaen e…».
  «È perché Erode è folle del rimorso tardivo di aver ceduto ad Erodiade. Ma Giovanna ha già tanto bene nella vita. Deve, sotto il diadema, portare il suo cilizio».
  «Anche Annalia piange…».
  «Perché?».
  «Perché lo sposo devia contro di Te».
  «Non pianga. Diglielo. Ciò è una risoluzione. Una bontà di Dio. Il suo sacrificio porterà di nuovo Samuele al Bene. Per ora questo la lascerà libera da pressioni per il matrimonio. Le ho promesso di prenderla con Me. Mi precederà nella morte…».
  «Figlio!…». Maria stringe la mano di Gesù, col viso che si fa esangue.
  «Mamma cara! È per gli uomini. Lo sai. È per amore degli uomini. Beviamo il nostro calice con buona volontà. Non è vero?».
  Maria inghiotte le lacrime e risponde: «Sì». Un “sì” straziato e straziante tanto.

12 Marziam alza il visetto e dice a Gesù: «Perché dici queste brutte cose che fanno dolore alla Mamma? Io non ti lascerò morire. Come ho difeso gli agnelli, così difenderò Te».
  Gesù lo carezza e, per sollevare il morale dei due afflitti, chiede al bambino: «Che faranno, ora, le tue pecorelle? Non le rimpiangi?».
  «Oh! sono con Te! Però ci penso sempre e mi chiedo: “Porfirea le avrà portate al pascolo? e avrà fatto attenzione che Spuma non vada nel lago?”. È tanto vivace Spuma, sai? Sua madre lo chiama, lo chiama… Macché! Fa ciò che vuole. E Neve, così ghiotta che mangia fino a star male? Sai, Maestro? Io capisco cosa è esser sacerdote in tuo Nome. Meglio degli altri lo capisco. Loro (e accenna con la mano gli apostoli che vengono dietro) dicono tanti paroloni, fanno tanti progetti… per dopo. Io dico: “Farò il pastore. Come per le pecorine, per gli uomini. E sarà sufficiente”. La Mamma mia e tua mi ha detto ieri un così bel punto dei profeti… e mi ha detto: “Proprio così è il nostro Gesù”. E io nel cuore ho detto: “E io pure sarò proprio così”. Poi ho detto alla Mamma nostra: “Per ora sono agnello, poi sarò pastore. Invece ora Gesù è Pastore e poi è anche Agnello. Ma tu sei sempre l’Agnella, solo l’Agnella nostra, bianca, bella, cara, dalle parole più dolci del latte. È per questo che Gesù è tanto Agnello: perché è nato da te, Agnellina del Signore”».
  Gesù si china e lo bacia, con slancio. Poi chiede: «Tu dunque vuoi proprio essere sacerdote?».
  «Certo, mio Signore! Per questo cerco di farmi buono e di sapere tanto. Vado sempre da Giovanni di Endor. Mi tratta sempre da uomo e con tanta bontà. Voglio essere pastore delle pecore sviate e non sviate, e medico-pastore delle ferite e fratturate, come dice[90] il Profeta. Oh! che bello!», e il bambino fa un salto, battendo le mani.
  «Cosa ha questo capinero da esser tanto felice?», chiede Pietro venendo avanti.
  «Vede la sua via. Nettamente. Sino alla fine. Ed Io consacro questa sua visione col mio “sì”».

13 Si fermano davanti ad un’alta casa che, se non erro, è verso il sobborgo di Ofel, ma in luogo più signorile.
  «Qui ci fermiamo?».
  «Questa è la casa che Lazzaro mi ha offerta per il banchetto di letizia. Qui già vi è Maria».
  «Perché non è venuta con noi? Per paura degli scherni?».
  «Oh! no! Io solo gliel’ho ordinato».
  «Perché, Signore?».
  «Perché il Tempio è più suscettibile di una sposa gravida.
  Finché posso, e non per viltà, non voglio urtarlo».
  «Non ti servirà a niente, Maestro. Io, se fossi Tu, non solo lo urterei. Ma lo butterei giù dal Moria con tutti quelli che ci sono dentro».
  «Sei un peccatore, Simone. Occorre pregare per i propri simili, non ucciderli».
  «Io sono peccatore. Ma Tu no… e… dovresti farlo».
  «Ci sarà chi lo fa. E dopo che la misura del peccato sarà raggiunta».
  «Quale misura?».
  «Una misura tale che empierà tutto il Tempio, traboccando per Gerusalemme. Non puoi capire… Oh! Marta! Apri dunque al Pellegrino la tua casa!».
  Marta si fa riconoscere e aprire. Entrano tutti in un lungo atrio che finisce in un cortile selciato, avente quattro alberi ai quattro angoli. Una vasta sala si apre sopra al terreno, e dalle finestre aperte si vede tutta la città nei suoi sali-scendi. Arguisco perciò che la casa sia sulle pendici meridionali, o sudorientali, della città. La sala è apparecchiata per molti, molti ospiti. Tavole e tavole sono messe le une parallele alle altre. Un centinaio di persone può comodamente prendervi ristoro.
  Accorre Maria Maddalena, che era altrove, intenta alle dispense, e si prostra davanti a Gesù. E viene Lazzaro con un sorriso beato sul volto malaticcio. Entrano man mano gli ospiti, un poco impacciati taluni, più sicuri gli altri. Ma la genti lezza delle donne li fa tutti presto a loro agio.

14 Il sacerdote Giovanni conduce a Gesù i due presi nel Tempio. «Maestro, il mio buon amico Gionata e il mio giovane amico Zaccaria. Sono veri israeliti senza malizia e senz’astio».
  «La pace a voi. Sono lieto di avervi. Il rito deve essere osservato anche in queste dolci consuetudini. È bello che la Fede antica dia la mano di amica alla nuova Fede venuta dal suo stesso ceppo. Sedete al mio fianco mentre viene l’ora del pasto».
  Parla il patriarcale Gionata, mentre il giovane levita guarda qua e là curioso, stupito, e forse anche intimidito. Penso che si voglia dare un contegno spigliato, ma in realtà sia come un pesce fuor d’acqua. Per fortuna Stefano viene in suo soccorso e gli porta, uno dopo l’altro, gli apostoli e i discepoli principali.
  Il vecchio sacerdote, lisciandosi la barba di neve, dice:
  «Quando Giovanni venne a me, proprio a me, suo maestro, a mostrarmi la sua guarigione, io ebbi voglia di conoscerti. Ma, Maestro, io quasi più non esco dal mio recinto. Vecchio sono… Speravo vederti però prima di morire. E Jeové mi ha esaudito. Lode sia a Lui! Oggi ti ho sentito al Tempio. Tu superi Hillele, il vecchio, il saggio. Io non voglio, anzi io non posso dubitare che Tu sia ciò che il mio cuore attende. Ma sai cosa è avere bevuto per quasi ottanta anni la fede d’Israele quale è divenuta in secoli di… lavorazione umana? Si è fatta sangue nostro. E io sono così vecchio! Sentire Te è come sentire l’acqua che esce da una fresca sorgente. Oh! sì! Un’acqua vergine! Ma io… ma io sono saturo dell’acqua stanca che viene da tanto lontano… che si è appesantita di tante cose. Come farò per levarmi questa saturazione e gustare di Te?».
  «Credermi e amarmi. Non necessita altro per il giusto Gionata».
  «Ma presto io morirò! Farò in tempo a credere tutto quello che dici? Non riuscirò più neppure a seguire tutte le tue parole, o a conoscerle dalla bocca altrui. E allora?».
  «Le imparerai in Cielo. Non muore alla Sapienza che il dannato. Mentre chi muore in grazia di Dio attinge la Vita e vive nella Sapienza. Cosa credi tu che Io sia?».
  «Non puoi essere che l’Atteso che ha precorso il figlio del mio amico Zaccaria. Lo hai conosciuto?».
  «Mi era parente».
  «Oh! Allora Tu sei parente del Battista?».
  «Sì, sacerdote».
  «Egli è morto… e non posso dire: “Infelice!”. Perché è morto fedele alla giustizia, dopo aver compiuto la sua missione, e perché… Oh! tempi atroci che viviamo! Non è meglio tornare ad Abramo?».
  «Sì. Ma più atroci verranno, sacerdote».
  «Tu dici? Roma, eh?».
  «Non Roma sola. Israele colpevole ne sarà la causa prima».
  «È vero. Dio ci colpisce. Lo meritiamo. Ma però anche Roma… 

15 Hai sentito parlare dei galilei uccisi da Pilato mentre consumavano un sacrificio? Il loro sangue si fuse con quello della vittima. Fin presso l’altare! Fin presso l’altare!».
  «Ho sentito».
  Tutti i galilei tumultuano per questo sopruso. Gridano: «È vero che egli era un falso Messia. Ma perché uccidere i suoi seguaci dopo aver già percosso lui? E perché in quell’ora? Erano più peccatori forse?».
  Gesù impone pace e poi dice: «Vi chiedete se erano più peccatori quelli di tanti altri galilei e se è per questo che furono uccisi? No, che non lo erano. In verità vi dico che essi hanno pagato e che molti altri pagheranno se non vi convertite al Signore. Se non farete tutti penitenza, perirete tutti in ugual misura, in Galilea e altrove. Dio è sdegnato del suo popolo. Io ve lo dico. Non bisogna credere che i colpiti siano sempre i peggiori. Ognuno esamini se stesso, sé giudichi e non altro. Anche quei diciotto su cui cadde la torre di Siloe e li uccise non erano i più colpevoli in Gerusalemme. Io ve lo dico. Fate, fate penitenza se non volete essere stritolati come essi, e anche nello spirito. 

16 Vieni, sacerdote d’Israele. La mensa è pronta. Tocca a te, perché il sacerdote è sempre colui che va onorato per l’Idea che rappresenta e richiama, tocca a te, patriarca fra noi, tutti più giovani, offrire e benedire».
  «No, Maestro! No! Non posso davanti a Te! Tu sei il Figlio di Dio!».
  «Offri pure l’incenso davanti all’altare! E non credi forse che là è Dio?».
  «Sì che lo credo! Con tutte le mie forze!».
  «E allora? Se non tremi di offrire davanti alla Gloria Ss. dell’Altissimo, perché vuoi tremare davanti alla Misericordia che si è vestita di carne per portare anche a te la benedizione di Dio prima che venga a te la notte? Oh! che non sapete voi di Israele che, proprio perché l’uomo possa avvicinare Dio e non morirne, ho messo sulla mia Divinità insostenibile il velo della carne. Vieni e credi e sii felice. In te Io venero tutti i sacerdoti santi, da Aronne all’ultimo che sarà sacerdote d’Israele con giustizia, a te forse, perché in verità la santità sacerdotale langue fra noi come pianta senza soccorso».

   Cap. CCCXXXVIII. Giuda Iscariota perde il potere del miracolo. La parabola del coltivatore.

   22 Novembre 1945

 1 La strada che conduce a Sefet lascia la pianura di Corozim per assalire un gruppo montagnoso abbastanza rilevante e molto folto di piante. Un corso d’acqua scende da questi monti, certo diretto al lago di Tiberiade.
   I pellegrini attendono a questo ponte che li raggiungano gli altri mandati al lago Merom. Non attendono molto, infatti. Puntuali all’appuntamento, essi vengono avanti lesti e si riuniscono con gioia al Maestro e ai compagni, riferendo sul come si svolse il loro viaggio, benedetto da alcuni miracoli fatti a turno da «tutti gli apostoli», dicono. Ma Giuda di Keriot corregge: «Meno che da me, che non sono riuscito a nulla». E la sua mortificazione, nel confessarlo, è penosa.
   «Ti abbiamo detto che era perché avevamo di fronte un grande peccatore» gli risponde Giacomo di Zebedeo. E spiega: «Sai, Maestro? Era Giacobbe, molto ammalato. E ti invoca per questo, perché ha paura della morte e del giudizio di Dio. Ma è più avaro che mai, ora che prevede un vero disastro nei suoi raccolti, completamente rovinati dal gelo. Ha perduto tutto il grano da seme e non può seminarne altro, perché è malato e la serva, sfiancata di fatiche e di fame – perché lui economizza anche la farina da pane, preso come è dalla paura di essere un giorno senza mangiare – non ce la fa ad arare il campo. Noi – abbiamo forse peccato, perché abbiamo lavorato tutto il venerdì e oltre il tramonto, fino all’ultima luce e persino con delle fiaccole e dei falò accesi per vedere – noi abbiamo arato una grande estensione di terreno. Filippo, Giovanni e Andrea sanno fare e io anche. Abbiamo sgobbato… Simone, Matteo e Bartolomeo ci venivano dietro ripulendo le zolle dal grano nato e morto, e Giuda è andato in tuo nome a chiedere un poco di seme a Giuda ed Anna, promettendo la nostra visita di oggi. Lo ha avuto, ed eletto. Allora abbiamo detto: “Domani semineremo”. Per questo abbiamo tardato un poco. Perché abbiamo cominciato all’inizio del tramonto. L’Eterno ci perdoni per il motivo per cui peccammo. Giuda, intanto, rimaneva presso il letto di Giacobbe per convertirlo. Lui sa parlare meglio di noi. Almeno così hanno voluto dire di loro anche Bartolomeo e lo Zelote. Ma Giacobbe era sordo ad ogni argomento. Voleva la guarigione perché la malattia gli costa, e insolentiva la serva come una poltrona. Per calmarlo, visto che diceva: “Mi convertirò se guarisco”, Giuda gli impose le mani. Ma Giacobbe restò malato come prima. Giuda, sconfortato, ce lo disse. Provammo noi prima di coricarci. Ma non ebbimo miracolo. Ora Giuda sostiene che è perché lui è in tua disgrazia, avendoti dispiaciuto, ed è avvilito. Ma noi diciamo che è perché avevamo di fronte un peccatore ostinato, il quale pretende di ottenere tutto ciò che vuole, mettendo termini e dando ordini anche a Dio. Chi ha ragione?».
   «Voi sette. Avete detto il vero.

 2 E Giuda ed Anna? I loro campi?».
   «Rovinati alquanto. Ma loro hanno mezzi, e tutto è già riparato. Ma sono buoni, quelli! Tieni. Ti mandano quest’offerta e questi cibi. Sperano vederti qualche volta. Quello che rattrista è lo stato d’animo di Giacobbe. Io avrei voluto guarirgli l’anima più che il corpo…» dice Andrea.
   «E negli altri luoghi?».
   «Oh! Sulla via di Deberet, presso il paese, abbiamo – è stato Matteo – guarito uno con le febbri, che tornava da un medico che lo aveva dato per spacciato. Sostammo da lui e la febbre non è tornata dal tramonto all’aurora, ed egli asseriva di sentirsi bene e forte. Poi a Tiberiade fu Andrea che guarì un barcaiolo che si era spezzata una spalla cadendo sul ponte. Gli impose le mani e la spalla guarì. Figurati l’uomo! Ci volle portare senza spesa a Magdala e a Cafarnao, poi a Betsaida, e là è rimasto, perché vi sono i discepoli di Timoneo di Aera, Filippo d’Arbela, Ermasteo e Marco di Giosia, uno dei liberati dal demonio presso Gamala. Vuole essere discepolo anche Giuseppe il barcaiolo… I bambini, da Giovanna, stanno bene. Non sembrano più quelli. Erano nel giardino e giocavano con Giovanna e Cusa…».
   «Li ho visti. Ci sono passato Io pure. Continuate».
   «A Magdala è stato Bartolomeo che ha convertito un cuore vizioso e guarito un corpo vizioso. Come ha parlato bene! Ha mostrato che il disordine dello spirito genera disordine nel corpo, e ogni concessione alla disonestà degenera in perdita della tranquillità, della salute e infine dell’anima. Quando lo ha visto pentito e persuaso, gli ha imposto le mai e l’uomo è guarito. Volevano trattenerci a Magdala. Ma noi abbiamo ubbidito proseguendo, dopo la notte, per Cafarnao. Lì vi erano cinque che chiedevano grazia da Te. E stavano per tornare via sconfortati. Li guarimmo. Non abbiamo visto nessuno perché ci rimbarcammo subito per Betsaida, per evitare domande da Eli, Uria e compagni.

 3 Ma racconta tu, Andrea, a tuo fratello…» termina Giacomo di Zebedeo che ha sempre parlato.
   «Oh! Maestro! Oh! Simone! Ma se vedeste Marziam! Non si riconosce più!…».
   «Oh! sorte! Non sarà già divenuto una femmina?» esclama e interroga Pietro.
   «No, anzi. Un bel giovinetto, alto ed esile per la grande crescita… Una cosa meravigliosa! Stentammo a conoscerlo. È alto come tua moglie e come me…».
   «Oh! bene! Né io, né te, né Porfirea siamo palme! Tutt’al più potremo essere paragonati a piante di pruno…» dice Pietro, che però gongola sentendo che il suo figlio d’adozione si è sviluppato.
   «Sì, fratello. Ma solo alle Encenie egli era ancora uno stento fanciullino che a malapena ci raggiungeva le spalle. Ora è proprio un giovane uomo, nella statura, nella voce e nella gravità. Ha fatto come quelle piante che stagnano per anni e poi all’improvviso hanno un rigoglio stupefacente. Tua moglie ha avuto un gran da fare ad allungare vesti e a farne di nuove. E le fa con grandi orli e grandi balze alla vita, perché giustamente prevede che Marziam crescerà ancora. E più cresce in sapienza. Maestro, l’umiltà saggia di Natanaele non ti aveva detto che per quasi due mesi Bartolomeo fu maestro al più piccolo e più eroico dei discepoli, che si alza avanti giorno per pasturare le pecore, spezzare le legna, attingere l’acqua, accendere il fuoco, spazzare, fare gli acquisti per amore della mamma putativa, e poi nel pomeriggio, fino a notte tarda, studia e scrive come un piccolo dottore. Pensa! Ha riunito tutti i fanciulli di Betsaida e al sabato tiene loro piccole lezioni evangeliche. Così i piccoli, che per non avere turbamento alle funzioni vengono esclusi dalla sinagoga, hanno la loro giornata di preghiera come i grandi. E mi dicono le madri che è bello sentirlo parlare, e che i fanciulli lo amano e ubbidiscono con rispetto divenendo più buoni. Che discepolo si farà!».
   «Ma guarda! guarda! Io… sono commosso… Il mio Marziam! Ma già anche a Nazaret, eh!, che eroismo per… quella bambina. Rachele, vero?». Pietro si è fermato in tempo, divenendo di porpora per la paura di aver detto troppo.
   Per fortuna Gesù lo soccorre e Giuda è cogitabondo e distratto. O finge d’esserlo. Gesù dice: «Già, Rachele. Ricordi bene. È guarita. E i campi daranno molto grano. Vi passammo Io e Giacomo. Tanto può il sacrificio di un fanciullo giusto».
   «A Betsaida fu Giacomo che fece miracolo su un povero storpio, e Matteo, sulla via, verso la casa di Giacobbe, guarì un fanciullo. Ma proprio oggi, sulla piazza di quel villaggio presso il ponte, Filippo e Giovanni hanno guarito, il primo un malato d’occhi, e il secondo un fanciullo indemoniato».

 4 «Avete fatto tutti bene. Molto bene. Ora andremo fino a quel paese sulle pendici e ci fermeremo in qualche casa a dormire».
   «E Tu, Maestro mio, che hai fatto? Come sta Maria? E l’altra Maria?» chiede Giovanni.
   «Stanno bene e vi salutano tutti. Stanno preparando vesti e quanto occorre per il pellegrinaggio di primavera. E non vedono l’ora di farlo per stare con noi».
   «Anche Susanna e Giovanna e nostra madre hanno la stessa ansia» dice sempre Giovanni.
   Bartolomeo dice: «Anche mia moglie con le figlie vuole venire quest’anno, dopo tanti anni, a Gerusalemme. Dice che mai più sarà bello come quest’anno… Non so perché lo dica. Ma ella sostiene che se lo sente in cuore».
   «Certo allora verrà anche la mia. Non me l’ha detto… Ma ciò che fa Anna fa sempre anche Maria» dice Filippo.
   «E le sorelle di Lazzaro? Voi che le avete viste…» chiede Simone Zelote.
   «Ubbidiscono con sofferenza all’ordine del Maestro e alla necessità… Lazzaro è molto sofferente, vero Giuda? Quasi sempre è coricato. Ma con molta ansia attendono il Maestro» dice Tommaso.
   «Presto sarà Pasqua ed andremo da Lazzaro».
   «Ma Tu che hai fatto a Nazaret e Corozim?».
   «A Nazaret ho salutato i parenti e gli amici e i parenti dei due discepoli. A Corozim ho parlato nella sinagoga e ho guarito una donna. Abbiamo sostato dalla vedova alla quale è morta la madre. Un dolore e un sollievo insieme, per le poche risorse e per quanto tempo sottraeva l’assistenza dell’inferma al lavoro della vedova, che si è messa a filare per conto di altri. Ma non è più disperata. Ha il necessario assicurato ed è paga di ciò. Giuseppe va ogni mattina presso un falegname del Pozzo di Giacobbe per apprendere il mestiere».

 5 «Sono più buoni quelli di Corozim?» chiede Matteo.
   «No, Matteo. Sono sempre più cattivi» confessa schiettamente Gesù.    «E ci hanno maltrattati. I più potenti, è naturale. Non è il popolo semplice».
   «È un gran postaccio. Non ci andare più» dice Filippo.
   «Ne avrebbe dolore il discepolo Elia, e la vedova e la donna guarita oggi e gli altri buoni».
   «Sì. Ma sono tanto pochi che… io non mi occuperei più del luogo. Tu lo hai detto: “È inlavorabile”» dice Tommaso.
   «Altra cosa è la resina e altra i cuori. Qualcosa resterà, come seme sprofondato sotto zolle e zolle molto compatte. Ci terrà molto a spuntare. Ma finalmente spunterà. Così di Corozim. Un giorno nascerà ciò che Io ho seminato. Non bisogna stancarsi alle prime sconfitte.

 6 Sentite questa parabola. Potrebbe essere intitolata: “La parabola del buon coltivatore”.
   Un ricco aveva una grande e bella vigna, nella quale erano anche piante di fichi di diverse qualità. Alla vigna attendeva un suo servo, esperto vignaiolo e potatore di piante da frutto, che faceva il suo dovere con amore al padrone e alle piante. Tutti gli anni il ricco, nella stagione migliore, andava a più riprese alla sua vigna per vedere maturare le uve e i fichi e gustarne, cogliendoli con le sue mani dalle piante. Un giorno, dunque, si diresse a un fico che era di qualità buonissima, l’unica pianta di quella qualità che fosse nella vigna. Ma anche quel giorno, come nei due anni precedenti, lo trovò tutto fogliame e niente frutta. Chiamò il vignaiolo e disse: “Sono tre anni che vengo a cercare frutta su questo fico e non trovo che foglie. Si capisce che la pianta ha finito di fruttificare. Tagliala, dunque. È inutile che sia qui ad occupare posto e ad occupare il tuo tempo, per poi non concludere niente. Segala, bruciala, ripulisci il terreno dalle sue radici e nel posto suo mettici una pianticina novella. Fra qualche anno darà frutto essa”. Il vignaiolo, che era paziente e amoroso, rispose: “Tu hai ragione. Ma lasciami fare ancora per un anno. Io non segherò la pianta. Ma, anzi, con ancora maggior cura le zapperò intorno il suolo, la concimerò e la poterò. Chissà che non fruttifichi ancora. Se dopo quest’ultima prova non farà frutto, ubbidirò al tuo desiderio e la taglierò”.
   Corozim è il fico che non dà frutti. Io sono il buon Coltivatore. E il ricco impaziente siete voi. Lasciate fare al buon Coltivatore».

 7 «Va bene. Ma la tua parabola non conclude. Il fico, l’anno di poi, fece frutto?» chiede lo Zelote.
   «Non fece frutto e fu reciso. Ma il coltivatore fu giustificato del recidere una pianta ancora giovine e fiorente, perché aveva fatto tutto il suo dovere. Io pure voglio essere giustifico per causa di coloro sui quali dovrò mettere la scure e reciderli dalla mia vigna, dove sono piante sterili o velenose, nidi di serpi, succhiatori di succhi, parassiti o tossici che guastano e nuocciono i compagni discepoli, o anche che penetrano strisciando con le loro radici malevole per proliferare, non chiamati, nella mia vigna, ribelli ad ogni innesto, entrati solo per spiare, denigrare e sterilire il mio campo. Questi li reciderò quando tutto sarà tentato per convertirli. E per intanto, prima della scure, alzo la cesoia e il coltello del potatore e sfrondo ed innesto… Oh! sarà un lavoro duro. Per Me che lo faccio, per coloro che lo subiranno. Ma va fatto. Perché si possa dire in Cielo: “Egli ha tutto compiuto, ma essi sono divenuti sempre più sterili e malvagi più Egli li ha potati, innestati, scalzati, concimati, con sudore e lacrime, con fatiche e sangue”…

 8 Eccoci al paese. Andate avanti tutti e chiedete alloggio. Tu, Giuda di Keriot, resta con Me».
   Restano soli e, nelle penombre della sera, procedono vicini nel massimo silenzio.
   Infine Gesù dice, come parlando a Se stesso: «Eppure, anche se si è caduti in disgrazia di Dio per avere contravvenuto alla sua Legge, sempre si può tornare ad essere ciò che eravamo, rinunciando al peccato…».
Giuda non risponde niente.
   Gesù riprende: «E se si è capito che non si può più avere il potere da Dio, perché Dio non è là dove è Satana, con facilità si può rimediare, preferendo ciò che Dio concede a ciò che vuole la superbia nostra».
   Giuda tace.
   Gesù – e sono già alla prima casa del paese – sempre come parlando a Se stesso, dice: «E pensare che Io ho sofferto aspra penitenza perché egli si ravveda e torni al Padre suo…».
   Giuda ha un sussulto, alza il capo, lo guarda… ma non dice nulla.
   Anche Gesù lo guarda… e poi chiede: «Giuda, a chi parlo?».
   «A me, Maestro. È per Te che io non ho più potere. Perché Tu me lo hai levato per aumentarlo a Giovanni, a Simone, a Giacomo, a tutti, fuorché a me. Non mi ami, ecco! E finirò per non amarti e per maledire l’ora in cui ti ho amato, rovinandomi agli occhi del mondo per un re imbelle che si lascia soverchiare anche dalla plebe. Non questo speravo da Te!».
   «Neppure Io da te. Ma non ti ho mai ingannato, Io. E non ti ho mai costretto. Perché dunque rimani al mio fianco?».
   «Perché ti amo. Non posso separarmi più da Te. Mi attiri e mi fai ribrezzo. Ti desidero come l’aria per il respiro e… mi fai paura. Ah! Sono maledetto! Sono dannato! Perché non mi cacci il demonio, Tu che puoi?». Il viso di Giuda è livido e stravolto, pazzo, pieno di paura e di odio… Ricorda già, sebbene pallidamente, la maschera satanica del Giuda del Venerdì Santo.
   E Gesù ricorda nel volto il Nazareno flagellato che, seduto nel cortile del Pretorio sul mastello capovolto, guarda i suoi schernitori con tutta la sua pietà amorosa. Dice, e sembra che un singhiozzo sia già nella sua voce: «Perché non c’è pentimento in te, ma solo ira contro Dio, quasi Egli fosse il colpevole del tuo peccato».
   Giuda dice fra i denti una brutta imprecazione…

 9 «Maestro, abbiamo trovato. Cinque in un luogo, tre nell’altro, due in un altro, e uno e uno in altri due. Non fu possibile fare meglio» dicono i discepoli.
   «Va bene. Io vado con Giuda di Keriot» dice Gesù.
   «No. Preferisco essere solo. Sono inquieto. Non ti lascerei riposare…».
   «Come vuoi tu… Allora andrò con Bartolomeo. Voi farete ciò che vorrete. Intanto andiamo dove è più posto, per poter cenare insieme».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 12, 54-59:«E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? ».

Vangelo Lc 12, 54-59
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù diceva alle folle:
«Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto?
Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXVII. A Magdala, nei giardini di Maria. L’amore e la correzione tra fratelli.

   16 settembre 1945

 […]
 1 Gesù non è più dove era nell’ultima visione. Ma è in un vasto giardino che si prolunga fino al lago, oltre il quale, anzi in mezzo al quale, vi è la casa, preceduta e costeggiata da questo giardino che sul dietro, però, si prolunga almeno tre volte tanto quanto è lo spazio ai lati e sul davanti della casa. Vi sono fiori, ma più che altro alberi e boschetti e recessi verdi, quali chiusi intorno a vasche di marmo prezioso, quali come chioschi intorno a tavole e sedili di pietra. E dovevano esserci statue qua e là, sia lungo i sentieri come al centro delle vasche. Ma ora restano solo i piedestalli delle statue a mettere un ricordo di esse presso i lauri e i bossi od a specchiarsi nelle vasche colme di limpida acqua.
  La presenza di Gesù coi suoi e quella di gente di Magdala, fra i quali è il piccolo Beniamino che ha osato dire[83] all’Iscariota che egli era cattivo, mi fa pensare che siano i giardini della casa della Maddalena… riveduti e corretti, per il loro nuovo ufficio, con levare dagli stessi quelle cose che potevano disgustare e scandalizzare, e ricordare il passato.
  Il lago è tutto un crespo grigio azzurro, riflettendo il cielo su cui scorazzano nubi cariche delle prime piogge dell’autunno. Eppure è bello anche così, in questa luce ferma e pacata di un giorno che non è sereno e che ancora non è del tutto piovoso. Le sue rive non hanno più molti fiori, ma in compenso sono dipinte da quel sommo pittore che è l’autunno, e mostrano pennellate d’ocra o di porpora ed estenuato pallore di foglie morenti per gli alberi e i vigneti, che trascolorano prima di cedere alla terra le loro vesti vive. Vi è tutto un punto, nel giardino di una villa che è sul lago come questa, che rosseggia, quasi traboccasse nelle acque del sangue, per una siepe di rami flessibili che l’autunno ha fatta di un rame acceso da un fuoco, mentre i salici sparsi sulla riva, poco lontano, tremano nelle loro foglie glaucoargentee, sottili, ancor più pallide del solito prima di morire.

 2 Gesù non guarda ciò che io guardo. Guarda dei poveri malati ai quali impartisce guarigione. Guarda dei vecchi mendichi ai quali dà denaro. Guarda dei bambini che le madri gli offrono perché li benedica. E guarda pietosamente un gruppo di sorelle che gli raccontano della condotta dell’unico fratello, causa della morte per crepacuore della madre e della loro rovina, e lo pregano, queste povere donne, di consigliarle e di pregare per loro.
  «In verità che pregherò. Pregherò che Dio vi dia pace e che vostro fratello si converta e si sovvenga di voi, rendendovi ciò che è giusto e soprattutto tornando ad amarvi. Perché, se questo farà, tutto il resto farà. Ma voi lo amate, oppure è rancore in voi? Lo perdonate di cuore, oppure nel vostro pianto è sdegno? Perché anche egli è infelice. Più di voi. E, nonostante le sue ricchezze, è più povero di voi e bisogna averne pietà. Non possiede più l’amore ed è senza l’amore di Dio. Vedete quanto è infelice? Voi, vostra madre per prima, con la morte finirete in giubilo la vita triste che egli vi ha fatto fare. Ma lui no. Anzi, dal falso godere di ora passerebbe ad un tormento eterno e atroce. Venite presso a Me. Parlerò a tutti parlando a voi».
  E Gesù si avvia al centro di un prato sparso di cespugli di fiori, al centro del quale un tempo doveva esservi una statua.
  Ora resta il basamento, circondato da una bassa siepe di mirto e di rosette minute.

 3 Gesù si addossa a quella siepe e fa l’atto di parlare. Tutti tacciono e si affollano intorno a Lui.
  «La pace sia a voi. Udite.
  È detto[84]: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Ma nel prossimo chi c’è? Tutto il genere umano, preso in generale. Poi, più in ristretto, tutti i connazionali; poi, ancora più in ristretto, tutti i concittadini; poi, sempre più stringendosi, tutti i parenti; infine, ultimo cerchio di questa corona d’amore stretta come petali di una rosa intorno al cuore del fiore, l’amore ai fratelli di sangue: il primo dei prossimi. Il centro del cuore del fiore d’amore è Dio, l’amore per Lui è il primo da aversi. Intorno al suo centro ecco l’amore ai genitori, secondo ad aversi perché realmente il padre e la madre sono i piccoli “Dio” della Terra, creandoci e cooperando con Dio per crearci, oltreché curandoci con amore instancabile. Intorno a questo ovario, che fiammeggia di pistilli e esala i profumi degli amori più eletti, ecco che si stringono i giri dei diversi amori. Il primo è quello ai fratelli nati dallo stesso seno e dallo stesso sangue dal quale noi nascemmo.
  Ma come va amato il fratello? Solamente perché la sua carne e il suo sangue sono uguali alla nostra? Ciò sanno fare anche gli uccellini raccolti in un nido. Essi, infatti, non hanno che questo di comune: di essere nati da un’unica covata e di avere in comune sulla lingua il sapore della saliva materna e paterna. Noi uomini siamo da più di uccelli. Abbiamo più di una carne e un sangue. Abbiamo il Padre, oltre un padre e una madre. Abbiamo l’anima e abbiamo Dio, Padre di tutti. E allora ecco che bisogna saper amare il fratello, come fratello per il padre e la madre che ci hanno generato, e come fratello per Dio che è Padre universale.
  Amarlo perciò spiritualmente oltre che carnalmente. Amarlo non solo per la carne e il sangue, ma per lo spirito che abbiamo in comune. Amare, come va dovuto, più lo spirito della carne del fratello nostro. Perché lo spirito è più della carne. Perché il Padre Dio è più del padre uomo. Perché il valore dello spirito è più del valore della carne. Perché nostro fratello sarebbe molto più infelice se perdesse il Padre Dio che perdendo il padre uomo. L’orfanezza del padre uomo è straziante, ma non è che una mezza orfanezza. Lede solo ciò che è terreno, il nostro bisogno di aiuto e carezze. Ma lo spirito, se sa credere, non è leso dalla morte del padre. Anzi, per seguirlo là dove il giusto si trova, lo spirito del figlio sale come attratto da forza d’amore. E in verità vi dico che ciò è amore, amore di Dio e del padre, asceso col suo spirito a luogo sapiente. Sale a questi luoghi dove più vicino è Dio e agisce con maggior dirittura, perché non manca del vero aiuto, che sono le preghiere del padre che ora sa amare compiutamente, e del freno che è dato dalla certezza che il padre ora vede meglio che in vita le opere del figlio e dal desiderio di potersi riunire a lui mediante una vita santa.
  Per questo bisogna preoccuparsi più dello spirito che del corpo del proprio fratello. Sarebbe un ben povero amore quello che si rivolgesse solo a ciò che perisce, trascurando quello che non perisce e che, trascurato che sia, può perdere la gioia eterna. Troppi sono coloro che si affaticano di inutili cose, si affannano per ciò che ha un merito relativo, perdendo di vista ciò che è veramente necessario. Le buone sorelle, i buoni fratelli non devono solo preoccuparsi di tenere ordinate le vesti, pronti i cibi, oppure aiutare col lavoro i loro fratelli. Ma devono curvarsi sui loro spiriti e sentirne le voci, percepirne i difetti, e con amorosa pazienza affaticarsi a dar loro uno spirito sano e santo se in quelle voci e in quei difetti vedono un pericolo per il loro vivere eterno. E devono, se egli verso di loro ha peccato, darsi da fare per perdonare e per farlo perdonare da Dio mediante il suo ritorno all’amore, senza il quale Dio non perdona.

 4 È detto nel Levitico: “Non odiare tuo fratello nel tuo cuore, ma riprendilo pubblicamente, per non caricarti di peccati per causa di lui”. Ma dal non odiare all’amare è ancora un abisso. Può parervi che l’antipatia, il distacco e l’indifferenza non siano peccato, perché odio non sono. No. Io vengo a dare luci nuove all’amore, e necessariamente all’odio, perché ciò che fa lucido in ogni particolare il primo sa fare lucido in ogni particolare il secondo. La stessa elevazione ad alte sfere del primo porta di conseguenza un maggior distacco dal secondo, perché, più il primo si alza, pare che il secondo sprofondi in un basso sempre più basso.
  La mia dottrina è perfezione. È finezza di sentimento e di giudizio. È verità senza metafore e perifrasi. Ed Io vi dico che antipatia, distacco e indifferenza sono già odio. Semplicemente perché non sono amore. Il contrario dell’amore è l’odio. Potete dare altro nome all’antipatia? All’allontanarsi da un essere? All’indifferenza? Chi ama ha simpatia verso l’amato. Dunque, se lo ha antipatico, non lo ama più. Chi ama, anche se la vita lo allontana materialmente dall’amato, continua ad essergli vicino con lo spirito. Perciò, se uno da un altro si distacca con lo spirito, non lo ama più. Chi ama non ha mai indifferenza per l’amato ma, anzi, tutto di lui lo interessa. Perciò, se uno ha indifferenza per uno, è segno che non l’ama più. Voi vedete dunque che queste tre cose sono ramificazioni di un’unica pianta: quella dell’odio.

 5 Or che avviene non appena uno che amiamo ci offende? Nel novanta per cento, se non viene odio, viene antipatia, distacco o indifferenza. No. Così non fate. Non gelatevi il cuore con queste tre forme dell’odio. Amate. Ma voi vi chiedete: “Come possiamo?”. Vi rispondo: “Come può Dio, che ama anche chi l’offende. Un amore doloroso, ma sempre buono”. Voi dite: “E come facciamo?”. Io do la nuova legge sui rapporti col fratello colpevole e dico: “Se tuo fratello ti offende, non avvilirlo pubblicamente col riprenderlo pubblicamente, ma spingi il tuo amore a coprire la colpa del fratello agli occhi del mondo”. Perché ne avrai gran merito agli occhi di Dio, precludendo per amore ogni soddisfazione al tuo orgoglio.
  Oh! come piace all’uomo far sapere che fu offeso e che ne ebbe dolore! Va come un mendico folle, non a chiedere obolo d’oro dal re, ma va da altri stolti e pezzenti come lui a chiedere manciate di cenere e letame e sorsi di tossico bruciante. Il mondo questo dà all’offeso che va rammaricandosi e mendicando conforti. Dio, il Re, dà oro puro a chi, offeso, ma senza rancore, va a piangere solo ai suoi piedi il suo dolore e a chiedere a Lui, all’Amore e Sapienza, conforto d’amore e insegnamento per la contingenza penosa. Perciò, se volete conforto, andate da Dio e agite con amore.
  Io vi dico, correggendo la legge antica: “Se tuo fratello ha peccato contro di te, va’, correggilo fra te e lui solo. Se ti ascolta, hai guadagnato di nuovo tuo fratello. E insieme hai guadagnato tante benedizioni da Dio. E se tuo fratello non ti ascolta, ma ti respinge cocciuto nella colpa, tu, acciò non si dica che sei consenziente ad essa o indifferente al bene dello spirito fraterno, prendi con te due o tre testimoni seri, buoni, fidati, e con essi torna dal fratello e benignamente ripeti alla loro presenza le tue osservazioni, affinché i testimoni possano di loro bocca dire che tu hai fatto tutto quanto potevi per correggere con santità tuo fratello. Perché questo è il dovere di un buon fratello, dato che il peccato verso di te, fatto da lui, è lesione alla sua anima, e della sua anima tu ti devi preoccupare. Se anche questo non serve, fallo sapere alla sinagoga, acciò essa lo richiami all’ordine in nome di Dio. Se non si corregge neppure con questo, e respinge la sinagoga o il Tempio come ha respinto te, tienlo in conto di pubblicano e di gentile”.

 6 Questo fate coi fratelli di sangue e con quelli di amore. Perché anche col prossimo vostro più lontano dovete agire con santità, senza avidità, senza inesorabilità, senza odio. E quando sono cause per cui è necessario andare dai giudici e tu ci vai col tuo avversario, Io ti dico, o uomo che sovente ti trovi in mali maggiori per tua colpa, di fare di tutto, mentre sei per la strada, per riconciliarti con lui, sia che tu abbia torto come che tu abbia ragione. Perché giustizia umana è sempre imperfetta, e generalmente l’astuto la vince sulla giustizia e potrebbe il colpevole passare per innocente e tu, innocente, passare per colpevole. E allora ti avverrebbe non solo di non avere riconosciuto il tuo diritto, ma di perdere anche la causa, e da innocente passare al ruolo di colpevole di diffamazione, e perciò il giudice ti passerebbe all’esecutore di giustizia, il quale non ti lascerebbe andare sino a che tu abbia pagato l’ultimo spicciolo.
  Sii conciliante. Il tuo orgoglio ne soffre? Molto bene. La tua borsa si smunge? Meglio ancora. Basta che cresca la tua santità. Non abbiate nostalgia per l’oro. Non siate avidi di lode. Fate che sia Dio colui che vi loda. Fate di farvi una gran borsa in Cielo. E pregate per coloro che vi offendono. Perché si ravvedano. Se ciò avviene, essi stessi vi renderanno onori e beni. Se non lo fanno, ci penserà Iddio.
  Andate, ora, ché è l’ora del pasto. Restino solo i mendichi a sedersi alla mensa apostolica. La pace sia con voi». 

   Cap. CCCXLII. A Cédès. Il segno chiesto dai farisei e la profezia di Abacuc.

   26 Novembre 1945

 1 La città di Cedes è su di un ponticello, un poco isolato da una lunga catena che da nord a sud è al suo oriente, mentre ad occidente una catena collinosa, quasi parallela, procede ugualmente da nord a sud. Due linee parallele che però restringono formando quasi un abbozzo di X. Al punto più stretto, e più appoggiato alla catena orientale che a quella occidentale, è il monte che ha sulle sue pendici Cedes, che si estende dalla cima alle coste piuttosto pianeggianti e che domina la vallata fresca e verde, molto stretta all’est, più ampia ad ovest.
   È una bella città cintata e con belle case e una imponente sinagoga, come imponente è la fontana dalle molte bocche che lasciano cadere acqua fresca ed abbondante in un sotosto bacino, dal quale partono rivi destinati ad alimentare altre fonti, forse, o giardini. Non so.

   Gesù vi penetra in un giorno di mercato. La sua mano non è più fasciata, ma ha ancora una crosta bruna e un ampio lividore sul dorso. Anche Giacomo di Alfeo ha una crosticina rosso bruna alla tempia e un ampio livido tutt’intorno. Andrea e Giacomo di Zebedeo, meno colpiti, non mostrano più segni della passata avventura e camminano spediti guardandosi intorno, e specie ai lati e alle spalle, perché si sono scaglionati vicino, davanti e dietro Gesù. Ho l’impressione che si siano fermati nel luogo descritto ieri o nelle sue vicinanze per due o tre giorni, forse per riposare oppure per distanziare i rabbi, nella tema che si fossero diretti nelle città principali per la speranza di coglierli in fallo e nuocere loro ancora. Almeno così fanno pensare i loro discorsi.
   «Ma questa è città di rifugio! », dice Andrea.
   «Proprio loro a rispettare il rifugio e la santità di un luogo! Come sei ingenuo fratello! », gli risponde Pietro.
   Gesù è tra i due Giuda. Davanti a Lui sono Giacomo e Giovanni all’avanguardia,  e poi l’altro Giacomo con Filippo e Matteo. Dietro di Lui Pietro, Andrea e Tommaso. Ultimi Simone Zelote e Bartolomeo.

 2 Tutto va bene fino all’entrata in una bella piazza, quella della vasca e della sinagoga, sulla quale sono fitte le persone che trattano di affari. Il mercato invece è più in basso e a sud ovest della città, là dove sfocia la via maestra che viene da sud e l’altra, quella fatta da Gesù, che viene da ovest, le quali strade, confluendo ad angolo retto, si fondono nell’unica che penetra sotto la porta fino a mutarsi in una vasta piazza bislunga ove sono asini e stuoie, venditori, compratori e il solito baccano…
   Ma giunti invece a questa piazza più bella – il cuore della città, credo, non tanto perché sia equidistante dal perimetro delle mura, quanto perché la vita spirituale e commerciale di Cedes pulsa qui, e pare lo dica anche la sua posizione sopraelevata dal più del paese, dominatrice, atta ad essere difesa come una cittadella – cominciano i guai. Come tanti ringhiosi cani in attesa di dare addosso a un inerme cucciolo, o meglio come tanti segugi alla posta della selvaggina di cui hanno sentito l’odore nel vento, un gruppo numeroso di farisei e sadducei, con mescolato, a drogarlo un pizzico dei rabbini visti a Giocala, fra i quali quello detto Uziel, è addossato al portale ampio e bello di sculture e fregi della ricca sinagoga. E subito si accennano l’un l’altro Gesù e gli apostoli.
   «Ohimè, Signore! Sono anche qui!», dice sgomento Giovanni volgendosi indietro a parlare con Gesù.
   «Non temere. Và avanti sicuro. Però quelli che non si sentono di affrontare quei disgraziati si ritirino andando all’albergo. Voglio assolutamente parlare qui, antica città levitica e di rifugio».
   Protestano tutti: « Maestro, e puoi pensare che ti lasci solo?! Ci uccidano tutti, se vogliono. Ma noi condivideremo la tua sorte».

 3 Gesù passa davanti al gruppo nemico e va a collocarsi contro il muro di un giardino dal quale piovono i petali candidi di un pero in fiore. Il muro scuro e la nuvola candida sono contorno e corona al Cristo, che ha davanti i suoi dodici.
   Gesù inizia a parlare, e la sua bella voce intonata, che dice: «O voi qui raccolti, venite ad ascoltare la Buona Novella, perché più utile dei commerci e delle monete è la conquista del Regno dei Cieli», empie la piazza e fa volgere chi è in essa.
   «Oh! ma quello è il Rabbi Galileo!», dice uno.
   «Venite andiamo ad ascoltarlo. Forse farà miracolo».
   E un altro: «Io a Betginna ne ho visto fare uno da Lui. E come parla bene! Non come quegli sparvieri rapaci e quelle serpi astute».
   Gesù è presto circondato di folla. E prosegue a parlare a questa folla attenta.
   «Dal cuore di questa città levitica Io non voglio ricordare la legge. So che è presente a i vostri cuori come in poche città di Israele, e lo dimostra anche l’ordine che ho osservato in essa, l’onestà di cui mi hanno dato prova i mercanti dai quali ho acquistato il cibo per Me e il mio piccolo gregge, e questa sinagoga, ornata come si conviene al luogo dove si onora Iddio. Ma in voi è un luogo dove pure si onora Iddio, un luogo in cui sono le aspirazioni più sante e dove risuonano le parole più dolcemente speranzose della nostra fede e le preghiere più ardenti perché la speranza si muti in realtà. L’anima. Ecco il luogo santo e singolo, dove si parla di Dio e con Dio in attesa che la Promessa si compia.
   Ma la Promessa è compiuta. Israele ha il suo Messia, il quale vi porta la parola e la certezza che il tempo della Grazia è venuto, che la Redenzione è vicina, che il Salvatore è fra voi, che il Regno senza sconfitte ha inizio.

 4 Quante volte voi avete udito leggere Abacuc! E i più meditativi fra di voi avranno mormorato: “Io pure posso dire: ‘Fino a quando, o Signore, io dovrò gridare senza avere da Te ascolto?’”. Secoli sono che Israele geme così. Ma ora il Salvatore è venuto, la grande rapina, il perpetuo affanno, il disordine e l’ingiustizia causati da satana stanno per cadere, perché il Mandato da Dio sta per reintegrare l’uomo nella sua dignità di Dio e di coerede del Regno di Dio. Guardiamo la profezia di Abacuc con occhi novelli, e sentiremo che essa testimonia di Me e parla già il linguaggio della Buona Novella che Io porto ai figli di Israele.
   Ma qui sono Io che devo gemere: “E’ fatto il giudizio, ma l’opposizione trionfa”. E lo gemo con tanto dolore. Non tanto per Me che sono al disopra del giudizio umano, quanto per coloro che per essere oppositori si condannano, e per quelli che da questi oppositori sono traviati. Vi fa stupore quanto Io dico? Fra voi sono mercanti di altri luoghi d’Israele. Essi vi possono dire che Io non mento. Non mento conducendo vita contraria a ciò che insegno, non facendo ciò che si spera dal Salvatore, e non mento dicendo che l’opposizione umana si erige contro al giudizio di Dio che mi ha mandato e contro il giudizio delle turbe umili e sincere che mi hanno sentito e giudicato per quello che Io sono».
   Alcuni fra la folla mormorano: «E’ vero! E’ vero! Noi del popolo lo vogliamo e lo sentiamo santo. Ma essi (e indicano i farisei e compagni) lo osteggiano».
   Gesù continua: « Per fare questa opposizione è lacerata la Legge, e sempre più lo sarà, fino ad essere abolita pur di commettere la suprema ingiustizia, che però non durerà a lungo. E beati quelli che nella breve e paurosa sosta, in cui sembrerà che l’opposizione abbia trionfato su Me, sapranno continuare a credere nel Gesù di Nazaret, nel figlio di Dio, nel figlio dell’uomo, predetto dai Profeti. Io potrei compiere il giudizio di Dio fino in fondo, salvando tutti i figli d’Israele. Ma non lo potrò, perché l’empio trionferà contro se stesso, contro il suo se stesso migliore, e come conculca i miei diritti e conculca i miei credenti, così conculcherà i diritti del suo spirito, che ha bisogno di Me per essere salvato e che viene donato a satana pur di negarlo a Me ».

 5 I farisei rumoreggiano. Ma un imponente vegliardo si è da qualche momento avvicinato al luogo dove è Gesù, ed ora, in una pausa del discorso, dice: «Te ne prego. Entra nella sinagoga e ammaestra da quel luogo. Nessuno più di Te ne ha il diritto. Sono Mattia, il sinagogo. Vieni e la parola di Dio sia nella mia casa come è sulla tua bocca».
   «Grazie, giusto di Israele. La pace sia sempre con te». E Gesù, attraverso alla folla che si divide come un’onda per lasciarlo passare, e poi si richiude in scia e lo segue, riattraversa la piazza ed entra nella sinagoga, passando di nuovo davanti ai ringhiosi farisei. I quali, però, entrano essi pure nella sinagoga, cercando di farsi largo con prepotenza. Ma la gente li guarda male dicendo: «Di dove venite? Andate nelle vostre sinagoghe ad attendere il rabbi. Qui è casa nostra e ci stiamo noi». E rabbini, sadducei e farisei devono sopportare e stare umilmente presso l’uscio per non essere scacciati dagli abitanti di Cedes. 
   Gesù è al suo posto, presso il sinagogo e gli altri della sinagoga, non so se figli o coadiutori. Riprende a parlare: «Abacuc dice – e come vi invita con amore ad osservare! – “Gettate gli occhi sopra le nazioni e osservate, restate meravigliati, stupefatti, perché ai vostri giorni è avvenuta una cosa che nessuno crederà quando gli sarà raccontata”. Anche ora abbiamo nemici materiali sopra Israele. Ma lasciate cadere il piccolo particolare della profezia e guardiamo solo il grande vaticinio tutto spirituale di essa. Perché le profezie, anche se sembra che abbiano un riferimento materiale, sono sempre di contenuto spirituale. La cosa dunque che è avvenuta – ed è tale che nessuno potrà accettarla se non convinto dell’infinita bontà del vero Iddio – è che Egli abbia mandato il suo verbo per salvare e redimere il mondo. Dio che si separa da Dio per salvare la creatura colpevole. Eppure Io sono mandato a ciò. E nessuna delle forze del mondo potrà trattenere il mio émpito di trionfatore su re e tiranni, su peccati, su stoltezze. Io vincerò perché Io sono il Trionfatore».

 6 Una risata di scherno e un urlo parte dal fondo della sinagoga.
   La gente protesta; il sinagoga, che sta persino ad occhi chiusi, tanto è concentrato ad ascoltare Gesù, si alza in piedi e impone silenzio, minacciando l’espulsione dei disturbatori.
   «Lasciali fare. Anzi, invitali a esporre le loro contraddittorie», dice Gesù ad alta voce.
   «Oh! bene! Questo è bene! Lasciaci venire vicino a Te. Ti vogliamo interrogare», urlano ironici i contraddittori.
   «Venite. Lasciateli passare, o voi di Cedes».
E la folla, con sguardi ostili e boccacce – né manca qualche epiteto – li lascia venire avanti.
   «Che volete sapere?», chiede severo Gesù.
   «Tu dunque dici che sei il Messia? Ne sei proprio certo?».
   Gesù, con le braccia incrociate sul petto, guarda chi ha parlato con un tale impero che a costui cade di colpo l’ironia e si azzittisce.
Ma un altro riprende la parola e dice: «Non puoi pretendere che ti si creda sulla parola tua. Chiunque può mentire anche in buona fede. Ma per credere ci vogliono prove. Dàcci dunque delle prove che Tu sei ciò che dici di essere».
   «Israele è pieno delle mie prove», dice reciso Gesù.
   «Oh! quelle!… Piccole cose che qualunque santo può fare. Sono state già fatte e saranno fatte ancora dai giusti di Israele», dice un fariseo.
   Un altro aggiunge: «Né è detto che Tu le faccia per santità e per aiuto di Dio! Si dice, e in verità è molto credibile, che Tu sia aiutato da satana. Vogliamo altre prove. Superiori. Quali satana non le può dare».
   «Ma sì! Una morte vinta…», dice un altro.
   «L’avete avuta».
   «Erano parvenze di morte. Mostraci uno disfatto che si rianimi e si ricomponga, ad esempio. Per avere sicurezza che Dio è con Te. Dio, l’unico che possa ridare alito al fango che già torna polvere».
   «Non fu mai chiesto questo ai Profeti per credere in essi».
   Un sadduceo grida: «Tu sei più di un Profeta. Tu, almeno Tu lo dici, sei il figlio di Dio!… Ah! Ah! Perché allora non agisci da Dio? Su, dunque! Dacci un segno! Un segno!».
   «Ma sì! Un segno dal cielo che ti indichi Figlio di Dio, e allora noi ti adoreremo», urla un fariseo.
   «Certo! Dici bene Simone! Non vogliamo ricadere nel peccato di Aronne. Non adoriamo l’idolo, il vitello d’oro. Ma potremmo adorare l’Agnello di Dio! Non sei Tu? Purchè il cielo ci indichi che lo sei», dice quello che ha nome Uziel e che era a Giocala, e ride sarcastico.
   Prende a vociare un altro: «Lascia parlare me che sono Sadoc, lo scriba d’oro. Odimi, o Cristo. Tu sei stato preceduto da troppi che Cristi non erano. Basta di frodi. Un segno che tu sei tale. E Dio, se è con Te, non te lo può negare. E noi crederemo in Te e ti aiuteremo. Altrimenti, sai ciò che ti aspetta, secondo il comandamento di Dio».
   Gesù alza la destra ferita e la mostra bene al suo interlocutore.
   «Vedi questo segno? Tu lo hai fatto. Hai messo l’indice ad un altro segno. E quando vedrai che esso sarà inciso sulla carne dell’Agnello, tu giubilerai. Guardalo! Lo vedi? Lo vedrai anche in cielo, quando apparirai a rendere conto del tuo modo di vivere. Perché Io ti giudicherò e sarò col mio Corpo glorificato lassù, con i segni del mio ministero e del vostro, del mio amore e del vostro odio. E lo vedrai tu pure, Uziel, e tu, Simone, e lo vedrà Caifa e Anna, e molti altri, all’ultimo giorno, giorno d’ira, giorno tremendo, e per questo preferirete esser nel profondo, perché il mio segno sulla mano ferita vi dardeggerà più dei fuochi d’inferno».
   «Oh! queste sono parole ebestemmie! Tu in Cielo col corpo?! Bestemmiatore! Tu giudice in luogo di Dio?! Anatema su Te! Tu insultatore del Pontefice! Meriteresti di essere lapidato», urlano in coro farisei, sadducei e dottori.

 7 Il sinagogo si alza di nuovo, patriarcale, splendido nella sua canizie come Mosè, e grida: «Cedes è città di rifugio e città levitica. Rispettate…».
   «Vecchie storie! Non contano più».
   «Oh! lingue blasfeme! Voi siete peccatori non Lui, ed io lo difendo. Egli non dice nulla di male. Egli spiega i profeti e ci porta la Promessa Buona e voi lo interrompete, voi lo tentate, voi lo offendete. Non lo permetto. Egli è sotto la protezione del vecchio Mattia, della stirpe di Levi per padre e di Aronne per madre. Uscite e lasciate che ammaestri la mia vecchiezza e la virilità dei figli miei». E tiene la mano rugosa di vecchio sull’avambraccio di Gesù, come a difesa.
   «Ci dia un segno vero. E noi ce ne andremo convinti», urlano i nemici.
   «Non ti inquietare, Mattia. Parlo Io», dice Gesù calmando il sinagogo. E rivolto ai farisei, sadducei e dottori, dice: «Quando viene la sera voi scrutate il cielo e se esso rosseggia al tramonto voi, per vecchio detto, sentenziate: “Domani il tempo sarà bello perché il tramonto rosseggia il cielo”. Ugualmente all’alba, quando nell’aria pesante per nebbie e vapori il sole non si annuncia d’oro, ma pare che spanda sangue sul firmamento, voi dite: “Non passerà il giorno che sarà tempesta”. Voi dunque sapete leggere il futuro del giorno dai segni instabili del cielo e da quelli ancora più volubili dei venti. E non arrivate a distinguere i segni dei tempi? Ciò non onora la vostra mente e la vostra scienza, e disonora completamente il vostro spirito e la vostra presunta sapienza. Voi siete di una generazione malvagia e adultera, nata in Israele dal connubio di chi ha fornicato col male. Voi ne siete gli eredi e aumentate la vostra malvagità e il vostro adulterio ripetendo il peccato dei padri di questo errore. Ebbene, sappilo Mattia, seppiatelo voi di Cedes e chiunque è presente come fedele e come nemico. Questa è la profezia che Io dico, di mio, al posto di quella che volevo spiegare di Abacuc: a questa generazione malvagia e adultera che chiede un segno, non le sarà dato che quello di Giona…. Andiamo. La pace sia con i buoni di volontà». E da una porta laterale, che si apre su una strada silenziosa fra orti e case, si allontana insieme agli apostoli.

 8 Ma quelli di Cedes non si danno per vinti. Alcuni lo seguono e, vistolo entrare in un piccolo albergo nei sobborghi orientali del paese, ne portano notizia al sinagogo e ai concittadini. E Gesù sta ancora mangiando quando il cortile assolato dell’albergo diviene stipato di gente, e il vecchio sinagogo con altri anziani di Cedes si fa sull’uscio della stanza dove è Gesù e si inchina implorando: «Maestro, in noi è rimasto il desiderio della tua parola. Tanto bella era, spiegata da Te, la profezia di Abacuc! Perché c’è chi ti odia, dovranno rimanere senza conoscerti coloro che ti amano e credono nella Tua verità?».
   «No, padre. Non sarebbe giustizia punire i buoni per causa dei malvagi. Udite allora…», (e Gesù lascia di mangiare per farsi sulla porta e parlare a chi si affolla nel quieto cortile).
   «Nelle parole del vostro sinagogo è un eco di quelle di Abacuc. Egli, per se e per voi tutti, confessa e professa che Io sono la Verità. Abacuc confessa e professa: “Dal principio Tu sei, e sei con noi e non morremo”. E così sarà. Non perirà chi crede in Me. Mi dipinge il Profeta come Colui che Dio ha stabilito per giudicare, come Colui che Dio ha reso forte per castigare, come Colui i cui occhi sono troppo puri per vedere il male e che avrà l’insopportabilità della iniquità. Ma se è vero che il peccato mi fa ripugnanza, pure vedete che Io apro le braccia, perché sono il Salvatore, a coloro che sono pentiti del loro peccare. Per questo volgo lo sguardo anche sopra il colpevole e invito colui che è empio a pentirsi…

 9 O voi di Cedes, città levitica, città santificata dal bando della carità per chi è colpevole di un delitto – e ogni uomo ha delitti verso Dio, verso la sua anima, verso il suo prossimo – venite allora a Me, Rifugio dei Peccatori. Qui, nel mio amore, neppure l’anatema di Dio potrebbe colpirvi, perchè il mio sguardo supplice per voi muta l’anatema di Dio in benedizione di perdono. Udite, udite! Scrivete nei vostri cuori questa promessa come Abacuc scrisse la sua profezia certa sul rotolo. Là è detto: “Se tarda, aspettatelo, perché chi deve venire verrà senza tardare”. Ecco: Colui che doveva venire è venuto. Io sono.
   “Chi è incredulo non ha in se un’anima giusta”, dice il Profeta, e nella sua parola è la condanna di quelli che mi hanno tentato e insultato. Non Io li condanno. Ma il Profeta che mi ha antevisto e che in Me ha creduto. Egli, come dipinge Me, il Trionfatore, così dipinge l’uomo superbo, dicendo che è senza onore avendo aperto la sua anima alla cupidigia e all’insaziabilità come è cupido e insaziabile l’inferno. E minaccia: “Guai a colui che accumula roba non sua e si mette addosso denso fango”. Le male azioni contro il Figlio dell’uomo sono questo fango, e volere spogliare Lui della sua santità, acciò non offuschi la propria, è cupidigia. “Guai”, dice il Profeta, “a chi raduna nella sua casa i frutti della sua perversa avarizia per mettere in alto il suo nido, credendo di salvarsi dagli artigli del male”.
   Ciò è disonorarsi e uccidere la propria anima. “Guai a colui che edifica una città sul sangue e allestisce castelli sull’ingiustizia”. In verità troppo Israele cementa le sue cupide fortezze sulle lacrime e sul sangue, e aspetta l’ultimo per fare il più duro impasto. Ma che può una fortezza contro gli strali di Dio? Che, un pugno di uomini contro la giustizia di tutto il mondo che griderà di orrore per il delitto senza pari? Oh! come ben dice Abacuc! “A che giova la statua?”. E statua idolatria è ormai la mendace santità di Israele. Solo il Signore è nel suo Tempio santo, e solo a Lui si inchinerà la Terra e tremerà di adorazione e di spavento, mentre il segno promesso verrà dato una e una volta, e il Tempio vero nel quel Dio riposa salirà glorioso a dire nei Cieli: “ E’ compiuto!”, così come lo avrà singhiozzato alla Terra per mondarla col suo annuncio. 
   “Fiat!” disse l’Altissimo. E il mondo fu. “Fiat” dirà il Redentore, e il mondo sarà redento. Io darò al mondo di che essere redento. E redenti saranno quelli che avranno volontà di esserlo.

10 Ora sorgete. Diciamo la preghiera del Profeta, ma come è giusto dirla in questo tempo di grazia: “Ho sentito, o Signore, il tuo annuncio e ne ho giubilato”. Non è più tempo di spavento, o credenti nel Messia.
   “Signore, la tua opera è nel mezzo degli anni, falla vivere nonostante le insidie dei nemici. Nel mezzo degli anni la farai manifesta”. Sì. Quando l’età sarà perfetta, l’opera verrà compiuta.
   “E nello sdegno splenderà la misericordia”, perché sdegno sarà solo per coloro che avranno gettato reti e lacci e lanciato frecce all’Agnello Salvatore.
   “Iddio verrà dalla Luce al mondo”. Io sono la Luce venuta a portarvi Dio. Il mio splendore inonderà la Terra sgorgando a fiumi “là dove le corna pontute” avranno squarciato le carni della vittima, ultima vittoria “della Morte e di satana, che fuggiranno vinti davanti al Vivente e al Santo”.
   Gloria al Signore! Gloria a Colui che ha fatto! Gloria al Datore del sole e degli astri! All’Artefice dei monti. Al Creatore dei mari. Gloria, infinita gloria al Buono che lolle il Cristo a salvezza del suo popolo, a redenzione dell’uomo. Unitevi, cantate con Me, perché la misericordia è venuta al mondo ed è prossimo il tempo della Pace. Colui che vi tende le mani vi esorta a credere e a vivere nel Signore, perché il tempo è vicino in cui Israele sarà giudicato con verità.
   La pace sia a voi qui presenti, alle vostre famiglie, alle vostre case».
   Gesù traccia un ampio gesto di benedizione e fa per ritirarsi. 
Ma il sinagogo prega: «Resta ancora».
   «Non posso, padre».
   «Almeno mandaci i tuoi discepoli».
   «Li avrete senza fallo. Addio. Và in pace».

11 Restano soli…
   «Ma io vorrei sapere chi ce li ha mandati fra i piedi. Sembrano negromanti…», dice Pietro.
   L’Iscariota si fa avanti, pallido. Si inginocchia ai piedi di Gesù.
   «Maestro, io sono il colpevole. Ho parlato in quel paese… con uno di loro del quale ero ospite…».
   «Come? Altro che penitenza! Tu sei…».
   «Silenzio, Simone di Giona! Tuo fratello sinceramente si accusa. Onoralo per questa sua umiliazione. Non ti crucciare, Giuda. Io ti perdono. Tu lo sai che Io perdono. Sii più prudente un’altra volta… Ed ora andiamo. Cammineremo finchè la luna dura. Dobbiamo passare il fiume avanti l’alba. Andiamo. Qui dietro ha inizio il bosco. Perderanno le tracce di noi sia i buoni che i malvagi. Domani saremo sulla via di Paneade». 

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 12, 49-53: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! ».

Vangelo Novus Ordo Lc 12, 49-53
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finché non sia compiuto!
Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione. D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre; si divideranno padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Pensate che io sia venuto a portare pace sulla terra? No, io vi dico, ma divisione ».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXV. Istruzioni ai dodici apostoli che iniziano il loro ministero.

   28 agosto 1945

 1 Gesù con gli apostoli — e ci sono tutti, segno che Giuda Iscariota, compita la sua opera, ha raggiunto i compagni — sono seduti a tavola nella casa di Cafarnao. È sera. La luce del giorno morente entra dalla porta e dalle finestre spalancate, e queste lasciano vedere il mutarsi della porpora del tramonto in un rosso paonazzo irreale, il quale agli orli si sfrangia in accartocciamenti di un color viola ardesia che finisce in grigio. Mi fa pensare ad un foglio di carta gettato sul fuoco, che si accende come il carbone sul quale è stato gettato, ma agli orli, dopo la vampa, si accartoccia e si spegne in un color piombo bluastro che finisce in un grigio perlaceo quasi bianco.
  «Caldo», sentenzia Pietro accennando il nuvolone che copre l’occidente di quei colori. «Caldo. Non acqua. Quella è nebbia, non nuvola. Io questa notte dormo nella barca per avere più fresco».
  «No. Questa notte andiamo fra gli uliveti. Ho bisogno di parlarvi. Ormai Giuda è tornato. È tempo di parlare. Conosco un posto ventilato. Vi staremo bene. Alzatevi e andiamo».
  «È lontano?», chiedono prendendo i mantelli.
  «No. Molto vicino. A un trar di frombola dall’ultima casa.
  Potete lasciare i mantelli. Però prendete esca e acciarino per vederci nel rientrare».
  Escono dalla stanza alta e scendono la scaletta dopo avere salutato il padrone e la moglie che frescheggiano sul terrazzo.
  Gesù volta risolutamente le spalle al lago e, traversato il paese, fa un duecento o trecento metri fra gli ulivi di una prima collinetta che è alle spalle del paese. Si ferma su un ciglio che, per la sua posizione sporgente e libera da ostacoli, gode di tutta l’aria possibile a godersi in quella notte d’afa.

 2 «Sediamo e prestatemi attenzione. È venuta l’ora della vostra evangelizzazione. Sono a metà circa della mia vita pubblica per preparare i cuori al mio Regno. Ora è tempo che anche i miei apostoli prendano parte alla preparazione di questo Regno. I re fanno così quando hanno deciso la conquista di un regno. Prima indagano e avvicinano persone per sentire le reazioni e lavorarle all’idea che perseguono. Poi estendono l’opera preparatoria con messi fidati, mandati nel paese da conquistare. E sempre più ne mandano finché tutto il paese è noto nelle sue particolarità geografiche e morali. Poi, fatto questo, il re porta a compimento l’opera proclamandosi re di quel luogo e incoronandosi tale. E sangue scorre per fare questo. Perché le vittorie costano sempre del sangue…».
  «Noi siamo pronti a combattere per Te e a versare il nostro sangue», promettono unanimemente gli apostoli.
  «Io non verserò altro sangue che quello del Santo e dei santi».
  «Vuoi iniziare dal Tempio la conquista, irrompendo nell’ora dei sacrifici?…».
  «Non divaghiamo, amici. Il futuro lo saprete a suo tempo. Ma non fremete d’orrore. Vi assicuro che non sconvolgerò le cerimonie con la violenza di una irruzione. Eppure saranno sconvolte e vi sarà una sera in cui il terrore impedirà la preghiera rituale. Il terrore dei peccatori. Ma Io, quella sera, sarò in pace. In pace con lo spirito mio e col mio corpo. Una pace totale, beata…».
  Gesù guarda uno per uno i suoi dodici, ed è come guardasse la stessa pagina per dodici volte e vi leggesse per dodici volte la parola che vi è scritta: incomprensione. Sorride e prosegue.

 3 «Dunque ho deciso di mandarvi per penetrare più avanti e più ampiamente di quanto possa fare Io da solo. Però fra il mio modo di evangelizzare e il vostro vi saranno differenze prudenziali che Io metto per non portarvi a difficoltà troppo forti, in pericoli troppo seri per la vostra anima e anche per il vostro corpo, e per non nuocere all’opera mia.
  Voi non siete ancora formati al punto di poter avvicinare chicchessia senza averne danno o senza fargli danno, e tanto meno siete eroici al punto di sfidare il mondo per l’Idea andando incontro alle vendette del mondo. Perciò, andando a predicarmi non andate fra i gentili e non entrate nelle città dei samaritani, ma andate dalle pecorelle sperdute della casa d’Israele. Vi è tanto da fare anche fra queste, perché in verità vi dico che le turbe, che vi paiono tante intorno a Me, sono la centesima parte di quelle che in Israele ancora attendono il Messia e non lo conoscono né sanno che è vivente. Portate a queste la fede e la conoscenza di Me.
  Nel vostro cammino predicate dicendo: “Il Regno dei Cieli è vicino”. Sia questo l’annuncio base. Su questo appoggiate tutta la vostra predicazione. Tanto avete sentito parlare del Regno da Me! Non avete che a ripetere ciò che Io vi ho detto. Ma l’uomo, per essere attirato e convinto sulle verità spirituali, ha bisogno di dolcezze materiali, come fosse un eterno bambino che non studia una lezione e non impara un mestiere se non è allettato da un dolce della mamma o un premio del maestro di scuola o del maestro del mestiere. Io, perché voi abbiate il mezzo per essere creduti e cercati, vi concedo il dono del miracolo…».
  Gli apostoli scattano in piedi, meno Giacomo d’Alfeo e Giovanni, urlando, protestando, esaltandosi, ognuno a seconda del temperamento. Veramente, che si pavoneggi nell’idea del miracolo da fare non c’è che l’Iscariota che, con quel po’ po’ di conto che ha sull’anima di una accusa falsa e interessata, esclama:
  «Era ora che noi pure si facesse questo per avere un minimo di autorità sulle turbe!».
  Gesù lo guarda ma non dice nulla. Pietro e lo Zelote, che stanno dicendo: «No, Signore! Noi non siamo degni di tanto! Ciò spetta ai santi», dànno sulla voce a Giuda, dicendo lo Zelote: «Come ti permetti di fare rimprovero al Maestro, uomo stolto e orgoglioso?», e Pietro: «Il minimo? E che vuoi fare più del miracolo? Diventare Dio tu pure? Hai lo stesso prurito di Lucifero?».
  «Silenzio!», intima Gesù.
  E prosegue: «Vi è una cosa che è ancor più del miracolo e che convince ugualmente le folle e con maggiore profondità e durata: una vita santa. Ma da questa voi siete ancora lontani, e tu, Giuda, più lontano degli altri. Ma lasciatemi parlare perché è una lunga istruzione.

 4 Andate perciò guarendo gli infermi, mondando i lebbrosi, risuscitando i morti del corpo o dello spirito, perché corpo e spirito possono essere ugualmente infermi, lebbrosi, morti. E voi anche sapete come si fa ad operare miracolo: con una vita di penitenza, una preghiera fervente, un sincero desiderio di far brillare la potenza di Dio, un’umiltà profonda, una viva carità, una accesa fede, una speranza che non si turba per difficoltà di sorta. In verità vi dico che tutto è possibile a chi ha in sé questi elementi. Anche i demoni fuggiranno di fronte al Nome del Signore detto da voi, avendo in voi quanto ho detto. Questo potere vi viene dato da Me e dal Padre nostro. Non si compera con nessuna moneta. Solo il nostro volere lo concede e solo la vita giusta lo mantiene. Ma, come vi è dato gratis, così gratuitamente datelo agli altri, ai bisognosi di esso. Guai a voi se avvilirete il dono di Dio facendolo servire per impinguare la vostra borsa. Non è vostra potenza, è potenza di Dio. Usatela, ma non ve ne appropriate dicendo: “È mia”. Come vi viene data, così vi può essere tolta.
  Simone di Giona poco fa ha detto a Giuda di Simone: “Hai tu lo stesso prurito di Lucifero?”. Ha detto una giusta defini zione. Dire: “Io faccio ciò che fa Dio perché io sono come Dio” è imitare Lucifero. E il suo castigo è noto. Come noto è ciò che avvenne ai due che nel paradiso terrestre mangiarono il frutto proibito, per istigazione dell’Invidioso, che voleva mettere altri infelici nel suo Inferno, oltre ai ribelli angelici che già vi erano, ma anche per prurito loro proprio di superbia perfetta.
  Unico frutto che vi è lecito prendere da ciò che fate sono le anime che col miracolo conquisterete al Signore e che al Signore vanno date. Ecco le vostre monete. Non altre. Nell’altra vita ne godrete il tesoro.

 5 Andate senza ricchezze. Non portate con voi né oro, né argento, né monete nelle vostre cinture, non sacca da viaggio con due o più vesti e doppi calzari, né bastone da pellegrino, né armi da uomo. Perché le vostre visite apostoliche per ora saranno corte, ed ogni vigilia del sabato ci ritroveremo e potrete deporre le vesti sudate senza avere bisogno di portarvi dietro il ricambio. Non occorre il bastone perché qui dolce è il cammino, e ciò che serve su colli e pianure è ben diverso da ciò che serve nei deserti e sui monti alti. Non occorrono armi. Queste sono buone per l’uomo che non conosce la santa povertà e ignora il divino perdono. Ma voi non avete tesori da tutelare e difendere dai ladroni. Unico da temere, unico ladrone per voi, è Satana. Ed esso si vince con la costanza e la preghiera, non con spade e pugnali.
  A chi vi offende perdonate. Se vi spogliassero del mantello, date anche la veste. Rimaneste anche nudi affatto per mitezza e distacco dalle ricchezze, non scandalizzerete gli angeli del Signore e neppure l’infinita Castità di Dio, perché la vostra carità vestirebbe di oro il vostro corpo nudo, e la mitezza vi farebbe ornata cintura, e il perdono verso il ladrone vi darebbe manto e corona regale. Sareste perciò vestiti meglio di un re. E non di stoffe corruttibili, ma di materie incorruttibili.
  Non abbiate preoccupazioni per il vostro nutrimento. Avrete sempre quanto è appropriato alla vostra condizione e al vostro ministero, perché l’operaio è degno del nutrimento che gli viene porto. Sempre. E se gli uomini non provvedessero, Dio provvederebbe al suo operaio. Già vi ho mostrato che per vivere e per predicare non è necessario avere i ventri colmi del cibo ingurgitato. Ciò serve agli animali immondi, la cui missione è quella di ingrassare, per essere uccisi per ingrassare gli uomini. Ma voi non dovete che impinguare lo spirito vostro e altrui di cibi sapienziali. E la Sapienza si illumina ad una mente che la crapula non rende ottusa e ad un cuore che si nutre di cose soprannaturali. Voi non siete mai stati tanto eloquenti come dopo il ritiro sul monte[61]. E allora mangiaste solo quanto era necessario per non morire. Eppure al termine del ritiro eravate forti e ilari come non mai. Non è forse vero?

 6 In qualunque città o luogo entrerete, informatevi che vi sia chi meriti di accogliervi. Non perché siete Simone, o Giuda, o Bartolomeo, o Giacomo, o Giovanni, e così via. Ma perché siete i messi del Signore. Foste anche stati dei rifiuti, degli assassini, dei ladri, dei pubblicani, pentiti ora e al mio servizio, meritate rispetto perché miei messi. Dico più ancora. Dico: guai a voi se avete l’apparenza di miei messi e nell’interno siete abbietti e insatanassati. Guai a voi! L’inferno è ancor poco per quello che meritate per il vostro inganno. Ma anche foste contemporaneamente messi di Dio in palese, e rifiuti, pubblicani, ladri, assassini in occulto, o anche un sospetto fosse nei cuori verso di voi, una quasi certezza, vi va dato ancora onore e rispetto perché siete miei messi. L’occhio dell’uomo deve sorpassare il mezzo e vedere il messo e il fine, vedere Dio e la sua opera al di là del mezzo troppo spesso manchevole. Solo in casi di colpa grave, ledente la fede dei cuori, Io per ora, poi chi mi succederà, provvederanno a recidere il membro guasto. Perché non è lecito che per un sacerdote demonio si perdano anime di fedeli. Non sarà mai lecito, per nascondere le piaghe nate nel corpo apostolico, permettere sopravvivenza in esso di corpi incancreniti che col loro aspetto ripugnante allontanano e col loro fetore demoniaco avvelenano.
 Voi dunque vi informerete quale è la famiglia di vita più retta, là dove le donne sanno stare ritirate e i costumi sono castigati. E là entrerete e dimorerete finché non partiate dal luogo. Non imitate i fuchi che, dopo aver succhiato un fiore, passano ad altro più nutriente. Voi, sia che siate capitati fra persone di buon letto e ricca mensa, o sia che siate capitati in umile famiglia ricca solo di virtù, rimanete dove siete. Non cercate mai il “meglio” per il corpo che perisce. Ma, anzi, date ad esso sempre il peggio, riserbando tutti i diritti allo spirito. E, ve lo dico perché è bene lo facciate, date, sol che lo possiate fare, la preferenza ai poveri per la vostra sosta. Per non umiliarli, per ricordo di Me che sono e resto povero e di esser povero me ne vanto, e anche perché i poveri sono sovente migliori dei ricchi. Troverete sempre poveri giusti, mentre raro sarà trovare un ricco senza ingiustizia. Non avete perciò la scusa di dire: “Non ho trovato bontà altro che nei ricchi” per giustificare la vostra smania di benessere.
  Nell’atto di entrare nella casa salutate col mio saluto, che è il più dolce che vi sia. Dite: “La pace sia con voi. La pace sia in questa casa”, oppure “la pace venga in questa casa”. Infatti voi, messi di Gesù e della Buona Novella, portate con voi la pace, e la vostra venuta in un luogo è far venire la pace in esso. Se la casa ne è degna, la pace verrà e permarrà in essa; se non ne è degna, la pace tornerà a voi. Però badate di essere voi pacifici onde avere Dio come vostro Padre. Un padre aiuta sempre. E voi, aiutati da Dio, farete tutto, e tutto bene.
  Può darsi anche, anzi certo avverrà, che vi sarà città o casa che non vi ricevono e non vogliono ascoltare le vostre parole cacciandovi o deridendovi, o anche inseguendovi a colpi di pietra come profeti noiosi. E qui avrete più che mai bisogno di esser pacifici, umili, miti per abito di vita. Perché altrimenti l’ira prenderà il sopravvento e voi peccherete scandalizzando e aumentando l’incredulità dei convertendi. Mentre, se riceverete l’offesa di esser cacciati, derisi, inseguiti, con pace, voi convertirete con la predica più bella: quella silenziosa della virtù vera. Ritroverete un giorno i nemici di oggi sul vostro cammino e vi diranno: “Vi abbiamo cercato perché il vostro modo di agire ci ha fatti persuasi della Verità che annunciate. Vogliate perdonarci e accoglierci per discepoli. Perché noi non vi conoscevamo, ma ora vi conosciamo per santi. Perciò, se santi siete, dovete essere i messi di un santo, e noi crediamo ora in Lui”. Ma, nell’uscire dalla città o casa dove non siete stati accolti, scuotete da voi anche la polvere dei vostri calzari, acciò la superbia e la durezza di quel luogo non si apprenda neppure alle vostre suole. In verità vi dico: nel giorno del Giudizio, Sodoma e Gomorra saranno trattate meno duramente di quella città.

 7 Ecco: Io vi mando come pecore fra i lupi. Siate dunque prudenti come le serpi e semplici come le colombe.  Perché voi sapete come il mondo, che in verità è più di lupi che di pecore, usa anche con Me che sono il Cristo. Io posso difendermi col mio potere e lo farò finché non è l’ora del trionfo temporaneo del mondo. Ma voi non avete questo potere e vi necessita maggior prudenza e semplicità. Maggiore accortezza, perciò, per evitare per ora carceri e flagellazioni.
  In verità voi, per ora, nonostante le vostre proteste di volere dare il sangue per Me, non sopportate neppure uno sguardo ironico o iracondo. Poi verrà un tempo in cui sarete forti come eroi contro tutte le persecuzioni, forti più di eroi, di un eroismo inconcepibile secondo il mondo, inspiegabile, e verrà detto “follia”. No, che follia non sarà! Sarà l’immedesimazione per forza di amore dell’uomo con l’Uomo Dio, e voi saprete fare ciò che Io avrò già fatto. Per capire questo eroismo occorrerà vederlo, studiarlo e giudicarlo da piani ultraterreni. Perché è cosa soprannaturale che esula da tutte le restrizioni della natura umana. I re, i re dello spirito saranno i miei eroi, in eterno re ed eroi…
  In quel tempo vi arresteranno mettendovi le mani addosso, trascinandovi davanti ai tribunali, davanti ai presidi e ai re, onde vi giudichino e vi condannino per il grande peccato, agli occhi del mondo, di essere i servi di Dio, i ministri e tutori del Bene, i maestri delle virtù. E per essere questo sarete flagellati e in mille guise puniti, fino ad essere uccisi. E voi renderete testimonianza di Me ai re, ai presidi, alle nazioni, confessando col sangue che voi amate Cristo, il Figlio vero di Dio vero.
  Quando sarete nelle loro mani, non vi mettete in pena su ciò che avete a rispondere e di quanto avrete a dire. Nessuna pena abbiate allora che non sia quella dell’afflizione verso i giudici e gli accusatori che Satana travia al punto da renderli ciechi alla Verità. Le parole da dire vi saranno date in quel momento. Il Padre vostro ve le metterà sulle labbra, perché allora non sarete voi che parlerete per convertire alla Fede e professare la Verità, ma sarà lo Spirito del Padre vostro quello che parlerà in voi.

 8 Allora il fratello darà la morte al fratello, il padre al figlio, e i figli insorgeranno contro i genitori e li faranno morire. No, non tramortite e non vi scandalizzate! Rispondete a Me. Per voi è più grande delitto uccidere un padre, un fratello, un figlio, o Dio stesso?».
  «Dio non si può uccidere», dice secco Giuda Iscariota.
  «È vero. È Spirito imprendibile», conferma Bartolomeo. E gli altri, pur tacendo, sono dello stesso parere.
  «Io sono Dio, e Carne sono», dice calmo Gesù.
  «Nessuno pensa ad ucciderti», ribatte l’Iscariota.
  «Vi prego, rispondete alla mia domanda».
  «Ma è più grave uccidere Dio! Si intende!».
  «Ebbene, Dio sarà ucciso dall’uomo, nella Carne dell’Uomo Dio e nell’anima degli uccisori dell’Uomo Dio. Dunque, come si giungerà a questo delitto senza orrore in chi lo compie, parimenti si giungerà al delitto dei padri, dei fratelli, dei figli, contro i figli, i fratelli, i padri.

 9 Sarete odiati da tutti a causa del mio Nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvo. E quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’altra. Non per viltà, ma per dare tempo alla neonata Chiesa di Cristo di giungere ad età non più di lattante debole e inetto, ma ad una età maggiore in cui sarà capace di affrontare la vita e la morte senza temere Morte. Quelli che lo Spirito consiglierà a fuggire, fuggano. Come Io sono fuggito quando ero pargolo. In verità, nella vita della mia Chiesa si ripeteranno tutte le vicende della mia vita d’uomo. Tutte. Dal mistero del suo formarsi all’umiltà dei primi tempi, ai turbamenti e insidie date dai feroci, alla necessità di fuggire per continuare a esistere, dalla povertà e dal lavoro indefesso fino a molte altre cose che Io vivo attualmente, che patirò in seguito, prima di giungere al trionfo eterno. Quelli invece che lo Spirito consiglia di rimanere, restino. Perché, anche se cadranno uccisi, essi vivranno e saranno utili alla Chiesa. Perché è sempre bene ciò che lo Spirito di Dio consiglia.

10 In verità vi dico che non finirete, voi e chi vi succederà, di percorrere le vie e le città di Israele prima che venga il Figlio dell’uomo. Perché Israele, per un suo tremendo peccato, sarà disperso come pula investita da un turbine e sparso per tutta la terra, e secoli e millenni, uno dopo un altro uno, e oltre, si succederanno prima che sia di nuovo raccolto sull’aia di Areuna Gebuseo[62]. Tutte le volte che lo tenterà, prima dell’ora segnata, sarà nuovamente preso dal turbine e disperso, perché Israele dovrà piangere il suo peccato per tanti secoli quante sono le stille che pioveranno dalle vene dell’Agnello di Dio immolato per i peccati del mondo. E la Chiesa mia dovrà pure, essa che sarà stata colpita da Israele in Me e nei miei apostoli e discepoli, aprire braccia di madre e cercare di raccogliere Israele sotto il suo manto come una chioccia fa coi pulcini sviati. Quando Israele sarà tutto sotto il manto della Chiesa di Cristo, allora Io verrò.

11 Ma queste saranno le cose future. Parliamo delle immediate.
  Ricordatevi che il discepolo non è da più del Maestro, né il servo da più del Padrone. Perciò basti al discepolo di essere come il Maestro, ed è già immeritato onore; e al servo di essere come il Padrone, ed è già soprannaturale bontà concedervi che ciò sia. Se hanno chiamato Belzebù il padrone di casa, come chiameranno i suoi servi? E potranno i servi ribellarsi se il Padrone non si ribella, non odia e maledice, ma calmo nella sua giustizia continua la sua opera, trasferendo il giudizio ad altro momento, quando, dopo avere tutto tentato per persuadere, avrà visto in essi l’ostinazione nel Male? No. Non potranno i servi fare ciò che non fa il Padrone, ma bensì imitarlo, pensando che essi sono anche peccatori mentre Egli era senza peccato. Non temete dunque quelli che vi chiameranno: “demoni”. La verità, verrà un giorno che sarà nota e si vedrà allora chi era il “demonio”. Se voi o loro.
  Non c’è niente di nascosto che non si abbia a rivelare, e niente di segreto che non si abbia a sapere. Quello che ora Io vi dico nelle tenebre e in segreto, perché il mondo non è degno di sapere tutte le parole del Verbo — non è ancora degno di questo, né è ora di dirlo anche agli indegni — voi, quando sarà l’ora che tutto deve esser noto, ditelo nella luce, dall’alto dei tetti gridate ciò che ora Io vi sussurro più all’anima che all’orecchio. Perché allora il mondo sarà stato battezzato dal Sangue, e Satana avrà contro uno stendardo per cui il mondo potrà, volendo, comprendere i segreti di Dio, mentre Satana non potrà nuocere altro che su chi desidera il morso di Satana e lo preferisce al mio bacio. Ma otto parti su dieci del mondo non vorranno comprendere. Solo le minoranze saranno volonterose di sapere tutto per seguire tutto che è mia Dottrina. Non importa. Siccome non si può separare queste due parti sante dalla massa ingiusta, predicate anche dai tetti la mia Dottrina, predicatela dall’alto dei monti, sui mari senza confine, nelle viscere della Terra. Se anche gli uomini non l’ascolteranno, raccoglieranno le divine parole gli uccelli ed i venti, i pesci e le onde, e ne serberanno l’eco le viscere del suolo per dirlo alle interne sorgenti, ai minerali, ai metalli, e ne gioiranno tutti, perché essi pure sono creati da Dio per essere di sgabello ai miei piedi e di gioia al mio cuore.
  Non temete coloro che uccidono il corpo ma non possono uccidere l’anima, ma temete solo quello che può mandare a perdizione la vostra anima e ricongiungere nell’ultimo Giudizio questa al risorto corpo, per gettarli nei fuochi d’Inferno. Non temete. Non si vendono forse due passeri per un soldo? Eppure, se il Padre non lo permette, non uno di essi cadrà nonostante tutte le insidie dell’uomo. Non temete dunque. Voi siete noti al Padre. Noti gli sono nel loro numero anche i capelli che avete sul capo. Voi siete dappiù di molti passeri! Ed Io vi dico che chi mi riconoscerà davanti agli uomini, anche Io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei Cieli. Ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anche Io lo rinnegherò davanti al Padre mio. Riconoscere qui è per seguire e praticare; rinnegare è per abbandonare la mia via per viltà, per concupiscenza triplice, o per calcolo meschino, per affetto umano verso uno dei vostri, contrari a Me. Perché ci sarà questo.

12 Non pensate che Io sia venuto a mettere concordia sulla Terra e per la Terra. La mia pace è più alta delle calcolate paci per il barcamenare di ogni giorno. Non sono venuto a mettere la pace, ma la spada. La spada tagliente per recidere le liane che trattengono nel fango e aprire le vie ai voli nel soprannaturale. Perciò Io sono venuto a dividere il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. Perché Io sono Colui che regna e ha ogni diritto sui suoi sudditi. Perché nessuno è più grande di Me nei diritti sugli affetti. Perché in Me si accentrano tutti gli amori sublimandosi, ed Io sono Padre, Madre, Sposo, Fratello, Amico, e vi amo come tale, e come tale vado amato. E quando dico: “Voglio”, nessun legame può resistere e la creatura è mia. Io col Padre l’ho creata, Io da Me stesso la salvo, Io ho il diritto di averla.
  In verità i nemici dell’uomo sono gli uomini oltre che i demoni; e i nemici dell’uomo nuovo, del cristiano, saranno quelli di casa, coi loro lamenti, minacce o suppliche. Chi però d’ora in poi amerà il padre e la madre più di Me non è degno di Me; chi ama il figlio o la figlia più di Me non è degno di Me. Chi non prende la sua croce quotidiana, complessa, fatta di rassegnazioni, di rinunce, di ubbidienze, di eroismi, di dolori, di malattie, di lutti, di tutto quello che manifesta la volontà di Dio o una prova dell’uomo, e con essa non mi segue, non è degno di Me. Chi tiene conto della sua vita terrena più di quella spirituale perderà la Vita vera. Chi avrà perduto la sua vita terrena per amore mio la ritroverà eterna e beata.

13 Chi riceve voi riceve Me. Chi riceve Me riceve Colui che mi ha mandato. Chi riceve un profeta come profeta riceverà premio proporzionato alla carità data al profeta, chi un giusto come giusto riceverà un premio proporzionato al giusto. E ciò perché chi riconosce nel profeta il profeta è segno che è profeta lui pure, ossia molto santo perché tenuto fra le braccia dallo Spirito di Dio, e chi avrà riconosciuto un giusto come giusto dimostra di essere lui stesso giusto, perché le anime simili si riconoscono. Ad ognuno dunque sarà dato secondo giustizia.
  Ma a chi avrà dato anche un solo calice d’acqua pura ad uno dei miei servi, fosse anche il più piccolo — e sono servi di Gesù tutti quelli che lo predicano con una vita santa, e possono esserlo i re come i mendicanti, i sapienti come coloro che non sanno nulla, i vecchi come i pargoli, perché in tutte le età e le classi si può essere miei discepoli — chi avrà dato ad un mio discepolo anche un calice d’acqua in mio nome e perché mio discepolo, in verità vi dico che non perderà la sua ricompensa.

14 Ho detto. Ora preghiamo e poi andiamo a casa. All’alba partirete e così: Simone di Giona con Giovanni, Simone Zelote con Giuda Iscariota, Andrea con Matteo, Giacomo d’Alfeo con Tommaso, Filippo con Giacomo di Zebedeo, Giuda mio fratello con Bartolomeo. Questa settimana così. Poi darò il nuovo ordine. Preghiamo».
  E pregano ad alta voce…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!


Vangelo Lc 12, 39-48:« Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».

Vangelo Novus Ordo Lc 12, 39-48
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio dell’uomo».
Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?».
Il Signore rispose: «Chi è dunque l’amministratore fidato e prudente, che il padrone metterà a capo della sua servitù per dare la razione di cibo a tempo debito? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà ad agire così. Davvero io vi dico che lo metterà a capo di tutti i suoi averi.
Ma se quel servo dicesse in cuor suo: “Il mio padrone tarda a venire”, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, il padrone di quel servo arriverà un giorno in cui non se l’aspetta e a un’ora che non sa, lo punirà severamente e gli infliggerà la sorte che meritano gli infedeli.
Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche.
A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   CCLXXVI. L’uomo avido e la parabola del ricco stolto. Le inquietudini e la vigilanza nei servi di Dio.

   10 settembre 1945

 1 Gesù è su uno dei colli della riva occidentale del lago.
  Ai suoi occhi si mostrano le città e i paesi sparsi sulle rive di questa e quella sponda, ma proprio sotto del colle sono Magdala e Tiberiade: la prima con il suo rione di lusso tutto sparso di giardini, separato nettamente dalle povere case dei pescatori, contadini e popolo minuto, da un torrentello ora asciutto del tutto; l’altra splendida in ogni sua parte, città che ignora ciò che è miseria e decadenza, e ride, bella e nuova, sotto al sole, di fronte al lago. Fra l’una e l’altra città, le ortaglie, poche ma ben tenute, della breve pianura, e poi l’ascendere degli ulivi alla conquista dei colli. Dietro le spalle di Gesù, da questa cima, si vede la sella del monte delle Beatitudini, ai cui piedi è la via maestra che dal Mediterraneo va a Tiberiade.
  Forse per questa vicinanza di una via maestra frequentatissima, Gesù ha scelto questa località alla quale le persone possono accedere da molte città del lago o della Galilea interna e da dove, a sera, è facile tornare alle case o trovare ospitalità in molti paesi. Il calore è anche temperato per l’altezza e per gli alberi di alto fusto che sulla vetta hanno preso il posto degli ulivi. Vi è infatti molta gente oltre gli apostoli e i discepoli. Gente che ha bisogno di Gesù per la salute o per dei consigli, gente venuta per curiosità, gente portata lì da amici o per spirito di imitazione. Molta insomma. La stagione, non più canicolare ma tendente alle languide grazie dell’autunno, invita più che mai a pellegrinare in cerca del Maestro.

 2 Gesù ha già guarito i malati e parlato alla gente, e certo sul tema delle ricchezze ingiuste e del distacco da esse, necessario a tutti per guadagnarsi il Cielo ma indispensabile ad aversi in chi vuole essere discepolo suo. E ora sta rispondendo alle domande di questo o quello dei discepoli ricchi, che sono un poco turbati per questa cosa.
  Lo scriba Giovanni dice: «Devo allora distruggere ciò che ho, spogliando i miei del loro?».
 «No. Dio ti ha dato dei beni. Fàlli servire alla Giustizia e servitene con giustizia. Ossia, con essi soccorri la tua famiglia, è dovere; tratta umanamente i servi, è carità; benefica i poveri, sovvieni ai bisogni dei discepoli poveri. Ecco che le tue ricchezze non ti saranno inciampo, ma aiuto».
  E poi, parlando a tutti, dice: «In verità vi dico che lo stesso pericolo di perdere il Cielo per amore alle ricchezze può averlo anche il discepolo più povero se, divenuto mio sacerdote, mancherà a giustizia col patteggiare col ricco. Colui che è ricco o maligno molte volte tenterà sedurvi con donativi per avervi consenzienti al suo modo di vivere e al suo peccato. E vi saranno quelli fra i miei ministri che cederanno alla tentazione dei donativi. Non deve essere. Il Battista vi insegni. Veramente in lui, pur senza essere giudice e magistrato, era la perfezione del giudice e del magistrato quale la indica[81] il Deuteronomio: “Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché essi acciecano gli occhi dei savi e alterano le parole dei giusti”. Troppe volte l’uomo si lascia levare il filo dalla spada della giustizia dall’oro che un peccatore vi passa sopra. No, non deve essere. Sappiate esser poveri, sappiate saper morire, ma non patteggiate mai con la colpa. Neppure con la scusa di usare quell’oro a pro’ dei poveri. È oro maledetto e non darebbe loro del bene. È oro di un compromesso infame. Voi siete costituiti discepoli per essere maestri, medici e redentori. Che sareste se diveniste consenzienti al male per interesse? Maestri di mala scienza, medici che uccidono il malato, non redentori ma cooperatori della rovina dei cuori».

 3 Uno della folla si fa avanti e dice: «Io non sono discepolo.
 Ma ti ammiro. Rispondi dunque a questa mia domanda: è lecito ad uno trattenere il denaro di un altro?».
  «No, uomo. Ciò è furto, come lo è quello di levare la borsa ad un passante».
  «Anche se è denaro della famiglia?».
  «Anche. Non è giusto che uno si appropri del denaro di tutti gli altri».
  «Allora, Maestro, vieni ad Abelmain sulla via di Damasco e ordina a mio fratello di spartire meco la eredità del padre morto senza avere lasciato scritto parola. Egli tutta se l’è presa. E nota che gemelli siamo, nati da primo ed unico parto. Io ho dunque gli stessi diritti che lui».
  Gesù lo guarda e dice: «È una penosa situazione, e tuo fratello certo non agisce bene. Ma tutto quello che Io posso fare è pregare per te e più per lui, che si converta, e venire al tuo paese ad evangelizzare, toccandogli il cuore così. Non mi pesa il cammino se posso mettere pace fra voi».
  L’uomo, inviperito, scatta: «E che vuoi che me ne faccia delle tue parole? Ci vuol ben altro che parole in questo caso!».
  «Ma non mi hai detto di ordinare a tuo fratello di…».
  «Ordinare non è evangelizzare. Ordinare è sempre unito a minaccia. Minaccialo di percuoterlo nella persona se non mi dà il mio. Tu lo puoi fare. Come dai salute, puoi dare malattia».
  «Uomo, Io sono venuto a convertire, non a percuotere. Ma se tu avrai fede nelle mie parole troverai pace».
  «Quali parole?».
  «Ti ho detto che pregherò per te e per tuo fratello, acciò tu sia consolato ed egli si converta».
  «Storie! Storie! Io non ho la dabbenaggine di crederle. Vieni e ordina».

 4 Gesù, che era mite e paziente, si fa imponente e severo. Si 276.4 raddrizza — prima stava un po’ curvo sull’ometto corpulento e acceso d’ira — e dice: «Uomo, e chi mi ha costituito giudice e arbitro fra di voi? Nessuno. Ma, per levare una scissura fra due fratelli, accettavo a venire per esercitare la mia missione di pacificatore e di redentore e, se tu avessi creduto nelle mie parole, tornando ad Abelmain avresti trovato già convertito il fratello. Tu non sai credere. E non avrai il miracolo. Tu, se per primo avessi potuto afferrare il tesoro, te lo saresti tenuto privandone il fratello, perché, in verità, come siete nati gemelli, così avete gemelle le passioni, e tu come tuo fratello avete solo un amore: l’oro; una fede: l’oro. Sta’ dunque con la tua fede.
 Addio».
  L’uomo se ne va maledicendolo fra lo scandalo di tutti, che lo vorrebbero punire.
  Ma Gesù si oppone. Dice: «Lasciatelo andare. Perché volete sporcarvi le mani percuotendo un bruto? Io perdono perché è un posseduto dal demone dell’oro che lo travia. Fatelo voi pure. Piuttosto preghiamo per questo infelice che torni uomo dall’anima bella di libertà».
  «È vero. Anche nel volto è divenuto orrendo nella sua cupidigia. Hai visto?», si chiedono l’un coll’altro discepoli e astanti che erano vicini all’avaro.
  «È vero! È vero! Non pareva più quello di prima».
  «Sì. Quando poi ha respinto il Maestro, per poco lo percuoteva mentre lo malediceva, è divenuto un demone nel volto».
  «Un demone tentatore. Tentava il Maestro alla cattiveria…».

 5 «Udite», dice Gesù. «Veramente le alterazioni dell’animo si riflettono sul volto. È come se il demonio affiorasse alla superficie di quel suo possesso. Pochi sono quelli che, essendo demoni, o con atti o con aspetto non tradiscano ciò che sono. E questi pochi sono i perfetti nel male e i perfettamente posseduti. Il volto del giusto invece è sempre bello, anche se materialmente deforme, per una bellezza soprannaturale che si effonde dall’interno all’esterno. E, non per modo di dire, ma per verità di fatti, noi osserviamo nel puro dai vizi una freschezza anche di carni. L’anima è in noi e ci abbraccia tutti. E i fetori di un’anima corrotta corrompono anche le carni. Mentre i profumi di un’anima pura preservano. L’anima corrotta spinge la carne a peccati osceni, e questi invecchiano e deformano. L’anima pura spinge la carne a vita pura. E ciò conserva freschezza e comunica maestà.
  Fate che in voi permanga giovinezza pura di spirito, o risorga se già perduta, e badate di guardarvi da ogni cupidigia, sia del senso che del potere. La vita dell’uomo non dipende dall’abbondanza dei beni che possiede. Né questa, né tanto meno l’altra: quella eterna. Ma dalla sua maniera di vivere. E, con la vita, la felicità di questa Terra e del Cielo. Perché il vizioso non è mai felice, realmente felice. Mentre il virtuoso è sempre felice di una letizia celeste anche se povero e solo. Neppure la morte lo impressiona. Perché non ha colpe e rimorsi a fargli temere l’incontro con Dio, e non ha rimpianti per ciò che lascia sulla Terra. Egli sa che in Cielo è il suo tesoro e, come uno che vada a prendere l’eredità che gli spetta, e eredità santa, va lieto, sollecito, incontro alla morte che gli apre le porte del Regno dove è il suo tesoro.
  Fatevi subito il vostro tesoro. Iniziatelo dalla giovinezza, voi che giovani siete; indefessamente lavorate, voi anziani che, per l’età, avete più prossima la morte. Ma, posto che morte è scadenza ignota, e sovente cade il fanciullo prima del vegliardo, non rimandate il lavoro di farvi un tesoro di virtù e di buone opere per l’altra vita, onde non vi raggiunga la morte senza che voi abbiate messo un tesoro di meriti in Cielo. Molti sono quelli che dicono: “Oh! sono giovane e forte! Per ora godo sulla Terra, poi mi convertirò”. Grande errore!

 6 Udite questa parabola. Ad un uomo ricco aveva fruttato molto bene la campagna. Proprio un raccolto da miracolo. Egli contempla felice tutta questa dovizia che si accumula sui suoi campi e le sue aie e che non trova posto nei granai, tanto che è ospitata sotto tettoie provvisorie e persino nelle stanze della casa, e dice: “Ho lavorato come uno schiavo, ma la terra non mi ha deluso. Ho lavorato per dieci raccolti e ora voglio riposare per altrettanto. Come farò a mettere a posto tutti questi raccolti? Venderne non voglio, perché mi costringerei a lavorare per avere il prossimo anno nuovo raccolto. Farò così: demolirò i miei granai e ne farò di più vasti, che c’entrino tutti i raccolti e i miei beni. E poi dirò all’anima mia: ‘Oh, anima mia! Tu hai ora da parte dei beni per molti anni. Riposati dunque, mangia e bevi e godi’”. Costui, come molti, confondeva il corpo con l’anima e mescolava il sacro al profano, perché realmente nelle gozzoviglie e nell’ozio l’anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di avere fatto tutto.
  Ma non sapete che, posta la mano all’aratro, occorre perseverare uno e dieci e cent’anni, quanto la vita dura, perché fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perché chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Ché, se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. È un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte, e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo.
  Dio disse allo stolto: “Uomo stolto, che confondi il corpo e i beni della Terra con ciò che è spirito, e di una grazia di Dio te ne fai un male, sappi che questa notte stessa ti sarà chiesta l’anima e levata, e il corpo giacerà senza vita. Quanto hai preparato, di chi sarà? Lo porterai teco? No. Te ne verrai nudo di raccolti terreni e di opere spirituali al mio cospetto e povero sarai nell’altra vita. Meglio ti era dei tuoi raccolti farne opere di misericordia al prossimo e a te. Perché, essendo misericordioso agli altri, alla tua anima eri misericorde. E, invece di nutrire pensieri d’ozio, coltivare attività da cui trarre onesto utile al tuo corpo e grandi meriti alla tua anima finché Io ti avessi chiamato”. E l’uomo nella notte morì e fu severamente giudicato. In verità vi dico che così capita a chi tesoreggia per sé e non arricchisce agli occhi di Dio.
  Ora andate e fate tesoro della dottrina che vi viene data. La pace sia con voi».
  E Gesù benedice e si ritira in un folto di bosco con gli apostoli e i discepoli per prendere cibo e ristoro. 

 7 Ma, mentre mangiano, Egli ancora parla continuando la lezione di prima, ripetendo un tema già detto[82] agli apostoli più volte e che credo sarà sempre insufficientemente detto, perché l’uomo è troppo preso dalle paure stolte.
  «Credete», dice, «che solo di questo arricchimento di virtù occorre preoccuparsi. E badate: non sia mai la vostra una preoccupazione affannosa, inquieta. Il bene è nemico delle inquietudini, delle paure, delle frette, che troppo risentono ancora di avarizia, di gelosia, di diffidenza umana. Il vostro lavoro sia costante, fiducioso, pacifico. Senza brusche partenze e bruschi arresti. Così fanno gli onagri selvaggi. Ma nessuno li usa, a meno che sia un matto, per fare del sicuro cammino. Pacifici nelle vittorie, pacifici nelle sconfitte. Anche il pianto per un errore fatto, che vi addolora perché con esso errore avete spiaciuto a Dio, deve essere pacifico, confortato dall’umiltà e dalla fiducia. L’accasciamento, il rancore verso se stesso, è sempre sintomo di superbia e così anche di sfiducia. Se uno è umile sa di essere un povero uomo soggetto alle miserie della carne che talora trionfa. Se uno è umile ha fiducia non tanto in sé quanto in Dio, e sta calmo anche nelle disfatte dicendo: “Perdonami, Padre. Io so che Tu sai la mia debolezza che mi prevale talora. Io credo che Tu mi compatisci. Io ho ferma fiducia che Tu mi aiuterai in avvenire ancor più di prima, nonostante io ti soddisfi così poco”. E non siate né apatici né avari dei beni di Dio. Di quanto avete di sapienza e virtù, date. Siate operosi nello spirito come gli uomini lo sono per le cose della carne.

 8 E, riguardo alla carne, non imitate quelli del mondo, che sempre tremano per il loro domani, per la paura che manchi loro il superfluo, che la malattia venga, che venga la morte, che i nemici possano nuocere e così via. Dio sa di che abbisognate. Non temete perciò per il vostro domani. Siate liberi dalle paure più pesanti delle catene dei galeotti. Non vi prendete pena della vostra vita, né per il mangiare, né per il bere, né per il vestire. La vita dello spirito è da più di quella del corpo, e il corpo è da più del vestito, perché col corpo, non col vestito, voi vivete, e con la mortificazione del corpo aiutate lo spirito a conseguire la vita eterna. Dio sa fino a quando lasciarvi l’anima nel corpo, e fino a quell’ora vi darà ciò che è necessario. Lo dà ai corvi, animali impuri che si pascono di cadaveri e che hanno la loro ragione di esistere appunto in questa loro funzione di eliminatori di putrefazioni. E non lo darà a voi? Essi non hanno dispense e granai, eppure Dio li nutre lo stesso. Voi siete uomini e non corvi. Presentemente, poi, siete il fior degli uomini, perché siete i discepoli del Maestro, gli evangelizzatori del mondo, i servi di Dio. E potete pensare che Iddio, che ha cura dei gigli delle convalli e li fa crescere e li veste di veste che più bella non l’ebbe Salomone, senza che loro compiano altro lavoro che profumare, adorando, possa trascurare voi anche nella veste? Voi sì che da soli non potete aggiungere un dente alle bocche sdentate, né allungare di un pollice la gamba rattratta, né dare acutezza alla pupilla annebbiata. E, se non potete fare queste cose, potete pensare di poter respingere da voi miseria e malattia e far spuntare cibo dalla polvere? Non potete. Ma non siate gente di poca fede. Avrete sempre di che vi è necessario. Non vi appenate come le genti del mondo, che si arrabattano per provvedersi di che godere. Voi avete il Padre vostro che sa di che abbisognate. Voi dovete solo cercare — e sia la prima delle vostre cure — il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in più.

 9 Non temete, voi del mio piccolo gregge. Al Padre mio è piaciuto chiamarvi al Regno perché voi abbiate questo Regno. Potete perciò aspirare ad esso ed aiutare il Padre con la vostra buona volontà e santa operosità. Vendete i vostri beni, fatene elemosina se siete soli. Date ai vostri il viatico del vostro abbandono della casa per seguire Me, perché è giusto non levare il pane ai figli e alle spose. E, se non potete perciò sacrificare le ricchezze di denaro, sacrificate le ricchezze di affetto. Anche queste sono monete che Dio valuta per quello che sono: oro più puro d’ogni altro, perle più preziose di quelle rapite ai mari, e rubini più rari di quelli delle viscere del suolo. Perché rinunciare alla famiglia per Me è carità perfetta più di oro senza atomo impuro, è perla fatta di pianto, e rubino fatto di sangue che geme dalla ferita del cuore, lacerato dal distacco da padre e madre, sposa e figli. Ma queste borse non si logorano, questo tesoro non viene mai meno. I ladri non penetrano in Cielo. Il tarlo non corrode ciò che là è depositato. E abbiate il Cielo nel cuore e il cuore in Cielo presso il vostro tesoro. Perché il cuore, nel buono o nel malvagio, è là dove è ciò che vi sembra vostro caro tesoro. Perciò, come il cuore è là dove è il tesoro (in Cielo), così il tesoro è là dove è il cuore (ossia in voi), anzi il tesoro è nel cuore e col tesoro dei santi è nel cuore il Cielo dei santi.

10 Siate sempre pronti come chi è in procinto di viaggio o in attesa del padrone. Voi siete servi del Padrone-Iddio. Ad ogni ora vi può chiamare dove Egli è, o venire dove voi siete. Siate perciò sempre pronti ad andare, o a fargli onore stando a fianchi cinti da cintura di viaggio e di lavoro, e con le lampade accese nelle mani. Uscendo da una festa di nozze con uno che vi abbia preceduto nei Cieli e nella consacrazione a Dio sulla Terra, Dio può sovvenirsi di voi che attendete e può dire: “Andiamo da Stefano o da Giovanni, oppure da Giacomo e da Pietro”. E Dio è ratto nel venire o nel dire : “Vieni”. Perciò siate pronti ad aprirgli la porta quando Egli giungerà, o a partire se Egli vi chiama.
  Beati quei servi che il Padrone, arrivando, troverà vigilanti. In verità, per ricompensarvi della attesa fedele, Egli si cingerà la veste e, fattili sedere a tavola, si metterà a servirli. Può venire alla prima vigilia, come alla seconda e alla terza. Voi non lo sapete. Siate perciò sempre vigilanti. E beati voi se lo sarete e così vi troverà il Padrone! Non vi lusingate col dire: “C’è tempo! Questa notte Egli non viene”. Ve ne accadrebbe male. Voi non sapete. Se uno sapesse quando il ladro viene, non lascerebbe incustodita la casa perché il malandrino possa sforzarne la porta e i forzieri. Anche voi state preparati, perché, quando meno ve lo penserete, verrà il Figlio dell’uomo dicendo: “È l’ora”».

11 Pietro, che si è persino dimenticato di finire il suo cibo per ascoltare il Signore, vedendo che Gesù tace, chiede: «Questo che dici è per noi o per tutti?».
  «È per voi e per tutti. Ma più è per voi, perché voi siete come intendenti preposti dal Padrone a capo dei servi e avete doppio dovere di stare pronti, e per voi come intendenti, e per voi come semplici fedeli. Che deve essere l’intendente preposto dal padrone a capo dei suoi famigli per dare a ciascuno, a suo tempo, la giusta porzione? Deve essere accorto e fedele. Per compiere il suo proprio dovere, per far compiere ai sotosti il loro proprio dovere. Altrimenti ne soffrirebbero gli interessi del padrone, che paga perché l’intendente faccia in sua vece e ne tuteli gli interessi in sua assenza.
  Beato quel servo che il padrone, tornando alla sua casa, trova ad operare con fedeltà, solerzia e giustizia. In verità vi dico che lo farà intendente anche di altre proprietà, di tutte le sue proprietà, riposando e giubilando in cuor suo per la sicurezza che quel servo gli dà. Ma se quel servo dice: “Oh! bene! Il padrone è molto lontano e mi ha scritto che tarderà a tornare. Perciò io posso fare ciò che mi pare e poi, quando penserò prossimo il ritorno, provvederò”. E comincerà a mangiare e a bere fino ad essere ubbriaco e a dare ordini da ebbro e, poiché i servi buoni, a lui sotosti, si rifiutano di eseguirli per non danneggiare il padrone, si dà a battere servi e serve fino a farli cadere in malattia e languore. E crede di essere felice, e dice: “Finalmente gusto ciò che è esser padrone e temuto da tutti”.
  Ma che gli avverrà? Gli avverrà che il padrone giungerà quando meno egli se lo aspetta, magari sorprendendolo nell’atto di intascare denaro o di corrompere qualche servo fra i più deboli. Allora, Io ve lo dico, il padrone lo caccerà dal posto di intendente, e persino dalle file dei suoi servi, perché non è lecito tenere gli infedeli e traditori in mezzo agli onesti.
  E tanto più sarà punito quanto più il padrone prima lo aveva amato e istruito. Perché chi più conosce la volontà e il pensiero del padrone più è tenuto a compierlo con esattezza. Se non fa così come il padrone ha detto, ampiamente, come a nessun altro, avrà molte percosse, mentre chi, come servo minore, ben poco sa e sbaglia credendo di far bene, avrà castigo minore. A chi molto fu dato molto sarà chiesto, e dovrà rendere molto chi molto ebbe in custodia, perché sarà chiesto conto ai miei intendenti anche dell’anima del pargolo di un’ora.

12 La mia elezione non è fresco riposo in un boschetto fiorito. Io sono venuto a portare fuoco sulla Terra; e che posso desiderare se non che si accenda? Perciò mi affatico e voglio vi affatichiate fino alla morte e finché la Terra sia tutta un rogo di fuo co celeste. Io devo essere battezzato con un battesimo. E come sarò angustiato finché non sarà compiuto! Non vi chiedete perché? Perché per esso potrò di voi fare dei portatori del Fuoco, degli agitatori che si muoveranno in tutti e contro tutti gli strati sociali, per farne un’unica cosa: il gregge di Cristo.
  Credete voi che Io sia venuto a metter pace sulla Terra? E secondo il modo di vedere della Terra? No. Ma anzi discordia e separazione. Perché d’ora innanzi, e fintanto che tutta la Terra non sarà un unico gregge, di cinque che sono in una casa due saranno contro tre, e sarà il padre contro il figlio, e questo contro il padre, e la madre contro le figlie, e queste contro quella, e le suocere e nuore avranno un motivo di più per non intendersi, perché un linguaggio nuovo sarà su certe labbra e accadrà come una Babele, perché un sommovimento profondo scuoterà il regno degli affetti umani e soprumani. Ma poi verrà l’ora in cui tutto si unificherà in una lingua nuova, parlata da tutti i salvati dal Nazareno, e si depureranno le acque dei sentimenti, andando sul fondo le scorie e brillando alla superficie le limpide onde dei laghi celesti.
  In verità che non è riposo il servirmi, secondo quanto dà, l’uomo, di significato a questa parola. Occorre eroismo e instancabilità. Ma Io ve lo dico: alla fine sarà Gesù, sempre e ancora Gesù, che si cingerà la veste per servirvi, e poi si siederà con voi ad un banchetto eterno e sarà dimenticata fatica e dolore.

13 Ora, posto che nessuno più ci ha cercato, andiamo al lago.
  Riposeremo in Magdala. Nei giardini di Maria di Lazzaro c’è posto per tutti, ed ella ha messo la sua casa a disposizione del Pellegrino e dei suoi amici. Non occorre che vi dica che Maria di Magdala è morta col suo peccato ed è rinata dal suo pentimento Maria di Lazzaro, discepola di Gesù di Nazaret. Voi lo sapete già, perché la notizia è corsa come fremito di vento in una foresta. Ma Io vi dico ciò che non sapete: che tutti i beni personali di Maria di Lazzaro sono per i servi di Dio e per i poveri di Cristo. Andiamo…».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 12, 35-38:«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese».

Vangelo Lc 12, 35-38
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando arriva e bussa, gli aprano subito.
Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.
E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell’alba, li troverà così, beati loro!».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCVI. Con due parabole sul regno dei Cieli termina la sosta a Betania.

  1 luglio 1945.

 1 Alla presenza dei contadini di Giocana, di Isacco e molti discepoli, delle donne fra cui è Maria Ss. e Marta, e molti di Betania, Gesù parla. Tutti gli apostoli sono presenti. Il bambino, seduto di fronte a Gesù, non perde una parola. Il discorso deve essere iniziato da poco perché ancora viene della gente…
   Dice Gesù:
   «…è per questo timore, che sento così vivo in molti, che voglio oggi proporvi una dolce parabola. Dolce per gli uomini di buona volontà, amara per gli altri. Ma costoro hanno il modo di abolire questo amaro. Divengano loro pure di buona volontà, e il rimprovero, suscitato dalla parabola nella coscienza, cesserà di essere.

 2 Il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti tra Dio e le anime. Il momento dell’entrata in esso, il giorno degli sponsali.
   Or dunque udite. Da noi è costume che le vergini facciano scorta allo sposo che giunge, per condurlo fra lumi e canti alla casa nuziale insieme alla sua dolce sposa. Quando il corteo lascia la casa della sposa, che velata e commossa si dirige al suo posto di regina, in una casa non sua ma che, dal momento in cui ella diviene una carne con lo sposo, sua diventa, il corteo delle vergini, amiche per lo più della sposa, corre incontro a questi due felici per circondarli di un anello di luci.
   Ora avvenne che in un paese si fece uno sponsale. Mentre gli sposi coi parenti e amici tripudiavano nella casa della sposa, dieci vergini andarono al loro posto, nel vestibolo della casa dello sposo, pronte ad uscire a lui incontro quando un lontano suono di cembali e di canti avesse ad avvertire che gli sposi avevano lasciato la casa della sposa per venire a quella dello sposo. Ma il convito nella casa degli sponsali si prolungava, e scese così la notte.
   Le vergini, voi lo sapete, tengono sempre le lampade accese per non perdere tempo al momento buono. Ora fra queste dieci vergini dalle lampade accese e ben lucenti, ve ne erano cinque savie e cinque stolte. Le savie, piene di prudenza, si erano provviste di piccoli vasi pieni d’olio, per potere alimentare le lampade se la durata dell’attesa fosse stata più lunga del prevedibile, mentre le stolte si erano limitate ad empire per bene le lampadette.
   Un’ora passò dopo l’altra. Gai discorsi, racconti, facezie rallegrarono l’attesa. Ma poi non seppero più che dire, né che fare. E, annoiate o anche semplicemente stanche, le dieci fanciulle si sedettero più comodamente, con le loro lampade accese e ben vicine, e piano piano si addormentarono.

 3 Venne la mezzanotte e si udì un grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro!”. Le dieci fanciulle sorsero al comando, presero i veli e le ghirlande e si acconciarono, e corsero alla mensola dove erano le lampade. Cinque di esse languivano ormai… Il lucignolo, non più nutrito dall’olio, tutto consumato, fumigava con sprazzi sempre più deboli, pronto a spegnersi al minimo soffio d’aria; mentre le altre cinque lampade, alimentate prima del sonno dalle prudenti, avevano fiamme ancor vive che si fecero ancora più vive per il nuovo olio aggiunto al vasello del lume.
   “Oh! “pregarono le stolte” dateci un poco del vostro olio, perché altrimenti le lampade si spegneranno al solo muoverle. Le vostre sono già belle!…”. Ma le prudenti risposero: “Fuori è il vento della notte e cade la guazza a grosse gocce. Mai non basta l’olio per fare una robusta fiamma che possa resistere ai venti e all’umidore. Se ve ne diamo, accadrà che a noi pure vacillerà la luce. E ben triste sarebbe il corteo delle vergini senza il palpitare delle fiammelle! Andate, correte dal venditore più vicino, pregate, bussate, fatelo alzare perché vi dia olio”. E quelle, affannate, sgualcendo i veli, macchiandosi le vesti, perdendo le ghirlande nell’urtarsi e nel correre, seguirono il consiglio delle compagne.
   Ma, mentre andavano a comprare l’olio, ecco spuntare dal fondo della via lo sposo con la sposa. Le cinque vergini, munite di lampade accese, gli corsero incontro, e in mezzo a loro gli sposi entrarono in casa per la fine della cerimonia, quando le vergini avrebbero scortato per ultimo la sposa fino alla camera nuziale. L’uscio venne chiuso dopo l’entrata degli sposi, e chi fuori era fuori rimase. E così fu per le cinque stolte che, giunte infine con l’olio, trovarono la porta serrata e inutilmente vi picchiarono contro, ferendosi le mani e gemendo: “Signore, signore, aprici! Siamo del corteo delle nozze. Siamo le vergini propiziatorie, scelte per portare onore e fortuna al tuo talamo”.
   Ma lo sposo, dall’alto della casa, lasciando per un momento gli invitati più intimi da cui si accomiatava mentre la sposa entrava nella stanza nuziale, disse: “In verità vi dico che non vi conosco. Non so chi siate. I vostri visi non erano festanti intorno alla mia amata. Usurpatrici siete. Siate perciò lasciate fuori dalla casa delle nozze”. E le cinque stolte, piangendo, se ne andarono per le strade buie, con l’ormai inutile lume, con le vesti sgualcite, i veli strappati, le ghirlande disfatte o perdute…

 4 Ed ora sentite il sermone chiuso nella parabola.
   Vi ho detto al principio che il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti fra Dio e le anime. Alle nozze celesti sono chiamati tutti i fedeli, perché Dio ama tutti i suoi figli. Chi prima, chi poi, si trova al momento degli sponsali, e l’esservi arrivati è gran sorte. Ma ora udite ancora. Voi sapete come le fanciulle reputino onore e fortuna esser chiamate ad ancelle intorno alla sposa. Applichiamo al nostro caso i personaggi e capirete meglio.
   Lo sposo è Dio. La sposa, l’anima di un giusto che, superato il periodo del fidanzamento nella casa del Padre, ossia nella tutela e ubbidienza della e alla dottrina di Dio, vivendo secondo giustizia, viene portata nella casa dello Sposo per le nozze. Le ancelle-vergini sono le anime dei fedeli che, per l’esempio lasciato dalla sposa – essere stata scelta dallo Sposo per le sue virtù è segno che costei era un esempio vivo di santità – cercano di giungere allo stesso onore, santificandosi.

 5 Sono in veste bianca, netta e fresca, in bianchi veli, coronate di fiori. Hanno lampade accese in mano. Le lampade sono ben pulite, dal lucignolo nutrito di olio del più puro perché non sia maleodorante.
   In veste bianca. La giustizia fermamente praticata dà candida veste e presto verrà il giorno che candidissima sarà, senza neppur più il lontano ricordo di macchia, di un candore supernaturale, di un candore angelico.
   In veste netta. Occorre con l’umiltà tenere sempre netta la veste. Tanto facile è offuscare la purezza del cuore. E chi non è mondo di cuore non può vedere Dio. L’umiltà è come acqua che lava. L’umile si accorge subito, perché ha occhio non offuscato da fumi di orgoglio, di essersi offuscata la veste e corre dal suo Signore e dice: “Ho levato la nettezza a questo mio cuore. Io piango per mondarmi, ai tuoi piedi piango. E tu, mio Sole, imbianca dei tuoi benigni perdoni, dei tuoi paterni amori, la veste mia!
   In veste fresca. Oh! la freschezza del cuore! I bambini l’hanno per dono di Dio. I giusti l’hanno per dono di Dio e volontà propria. I santi l’hanno per dono di Dio e per volontà portata all’eroismo. Ma i peccatori, dall’anima lacerata, bruciata, avvelenata, insozzata, non potranno allora mai più avere una veste fresca? Oh! si che la possono avere. Cominciano ad averla dal momento che si guardano con ribrezzo, l’aumentano quando decidono di cambiare vita, la perfezionano quando con la penitenza si lavano, si disintossicano, si medicano, si ricompongono la loro povera anima; e con l’aiuto di Dio, che non nega soccorso a chi gli chiede santo aiuto, e con la volontà propria, portata al supereroismo – perché in loro non necessita di tutelare ciò che hanno, ma di ricostruire ciò che loro hanno abbattuto, perciò doppia e tripla e settupla fatica – e infine con una penitenza instancabile, implacabile verso l’io che fu peccatore, riportano la loro anima ad una nuova freschezza d’infanzia, fatta preziosa dall’esperienza che li fa maestri di altri che sono come erano loro un tempo, ossia peccatori.
   In bianchi veli. L’umiltà! Io ho detto: “Quando pregate o fate penitenza, fate che il mondo non se ne avveda”. Nei libri sapienziali è detto: “Non è bene svelare il segreto del Re”. L’umiltà è il velo candido messo a difesa sul bene che si fa e sul bene che Dio ci concede. Non gloria per l’amore di privilegio che Dio concede, non stolta gloria umana. Il dono verrebbe subito ritolto. Ma interno canto del cuore al suo Dio: “L’anima mia ti magnifica, o Signore… perché Tu hai rivolto il tuo sguardo alla bassezza della tua serva”».
   Gesù ha una breve sosta e getta uno sguardo verso sua Madre, che avvampa sotto il suo velo e si china tutta, come per ravviare i capelli del bambino che è seduto ai suoi piedi, ma in realtà per celare il suo commosso ricordo…
   «Coronata di fiori. L’anima deve intessersi la sua quotidiana ghirlanda di atti virtuosi, perché al cospetto dell’Altissimo non devono stare cose vizze, né si deve stare in aspetto sciatto. Quotidiana, ho detto. Perché l’anima non sa quando Dio-Sposo può apparire per dire: “Vieni”. Perciò non stancarsi mai di rinnovare la corona. Non abbiate paura. I fiori avvizziscono. Ma i fiori delle corone virtuose non avvizziscono. L’angelo di Dio, che ogni uomo ha al suo fianco, le raccoglie queste ghirlande quotidiane e le porta in Cielo. E là faranno da trono al novello beato quando entrerà come sposa nella casa nuziale.

 6 Hanno le lampade accese. E’ per onorare lo Sposo e per guidarsi nella via. Come è fulgida la fede, e che dolce amica ella è! Fa una fiamma raggiante come una stella, una fiamma che ride perché è sicura nella sua certezza, una fiamma che rende luminoso anche lo strumento che la regge. Anche la carne dell’uomo nutrito di fede pare, fin da questa terra, farsi più luminosa e spirituale, immune da precoce appassimento. Perché chi crede si regge sulle parole e sui comandi di Dio per giungere a possedere Dio, suo fine, e perciò fugge ogni corruzione, non ha turbamenti, paure, rimorsi, non è obbligato ad uno sforzo per ricordarsi le sue menzogne o per nascondere le sue male azioni, e si conserva bello e giovane della bella incorruzione del santo. Una carne e un sangue, una mente e un cuore puliti da ogni lussuria per contenere l’olio della fede, per dare luce senza fumo. Una costante volontà per nutrire sempre questa luce.
   La vita di ogni giorno, con le sue delusioni, constatazioni, contatti, tentazioni, attriti, tende a sminuire la fede. No! Non deve avvenire. Andate giornalmente alle fonti dell’olio soave, dell’olio sapienziale, dell’olio di Dio. Lampada poco nutrita può essere spenta dal minimo vento, può essere spenta dalla pesante guazza della notte. La notte… L’ora delle tenebre, del peccato, della tentazione viene per tutti. E la notte per l’anima. Ma se questa ha se stessa colma di fede, non può la fiamma essere spenta dal vento del mondo, dal caligo delle sensualità.
   Infine vigilanza, vigilanza, vigilanza. Chi imprudente si fida dicendo: “Oh! Dio verrà in tempo, mentre ho ancora luce in me”, chi si induce a dormire in luogo di vegliare, e dormire sprovvisto di quanto necessita per sorgere sollecito alla prima chiamata, chi si riduce all’ultimo momento per procurarsi l’olio della fede o il lucignolo robusto della buona volontà, incorre nel pericolo di rimanere fuori quando giunge lo Sposo. Vegliate dunque con prudenza, con costanza, con purezza, con fiducia per essere sempre pronti alla chiamata di Dio, perché in realtà non sapete quando Esso verrà.

 7 Miei cari discepoli, Io non voglio indurvi a tremare di Dio, ma anzi ad avere fede nella sua bontà. Sia voi che restate, come voi che andate, pensate che, se farete ciò che fecero le vergini savie, sarete chiamati non solo a fare corteggio allo Sposo, ma, come per la fanciulla Ester, divenuta regina al posto di Vasti, sarete scelti ed eletti a spose, avendo lo Sposo “trovato in voi ogni grazia e favore sopra ogni altro”. Io vi benedico, voi che andate. Portate in voi e ai compagni questa mia parola. La pace del Signore sia sempre con voi».
   Gesù si avvicina ai contadini per salutarli ancora, ma Giovanni di Endor gli sùssurra: «Maestro, ormai c’è Giuda…».
   «Non importa. Accompagnali al carro e fa’ ciò che ti ho detto di fare».
   L’assemblea si scioglie lentamente. Molti parlano a Lazzaro… E questo si volge a Gesù che, lasciati i contadini, viene in quel senso e dice: «Maestro, prima che Tu ci lasci, parlaci ancora… Questo vogliono i cuori di Betania».
   «La sera scende. Ma è placida e serena. Se volete riunirvi sui fieni falciati, Io vi parlerò prima di lasciare questo paese amico. Oppure domani, all’aurora. Perché è giunta l’ora del commiato».
   «Più tardi! Questa sera!» urlano tutti.
   «Come voi volete. Andate ora. Alla metà della prima vigilia vi parlerò»…

 8 …e instancabile infatti – mentre il sole scompare anche col ricordo del suo rosso, in un primo stridere di grilli, incerto, solitario – Gesù si avvia in mezzo ad un prato falciato da poco e su cui l’erbe morenti fanno un tappeto di acuta e morbida fragranza. Lo seguono gli apostoli, le Marie, Marta e Lazzaro con quelli della sua casa, Isacco coi discepoli, e direi tutta Betania. Fra i servi è il vecchione con la donna, i due che sul monte delle Beatitudini hanno trovato un conforto anche per i loro giorni.
   Gesù si ferma a benedire il patriarca, che gli bacia piangendo la mano e che accarezza il bambino, che cammina a fianco di Gesù, dicendogli: «Te beato che lo puoi sempre seguire! Sii buono, sta’ attento, figlio. La tua è una gran ventura! Una gran ventura! Sul tuo capo è sospesa una corona… Oh! te beato!».

 9 Quando tutti sono a posto Gesù inizia a parlare.
   «Partiti i poveri amici che avevano bisogno di essere molto confortati nella speranza, nella certezza, anzi, che basta poco sapere per essere ammessi nel Regno, che basta un minimo di verità su cui la buona volontà lavora, parlo ora a voi, molto meno infelici perché in condizioni materiali molto migliori e con maggiori aiuti dal Verbo. Il mio amore va a loro solo col pensiero. Qui, a voi, il mio amore viene anche con la parola. Perciò voi andate trattati, in terra come in Cielo, con maggiore fortezza, perché a chi più è stato dato più sarà chiesto. Essi, i poveri amici che stanno tornando alla loro galera, non possono che avere un minimo di bene, ed hanno, in compenso, un massimo di dolore. Perciò a loro solo le promesse della benignità, perché ogni altra cosa sarebbe superflua. In verità vi dico che la loro vita è penitenza e santità, e non deve essere imposto loro altro. E in verità anche vi dico che, pari a vergini savie, essi non lasceranno spegnere la loro lampada fino all’ora della chiamata. Lasciarla spegnere? No. E tutto il loro bene questa luce. Non possono lasciarla spegnere.

 10 In verità vi dico che, come Io sono nel Padre, così i poveri sono in Dio. E per questo che Io, Verbo del Padre, ho voluto nascere povero, e povero rimanere. Perché fra i poveri mi sento più prossimo al Padre, che ama i minimi ed è amato da essi con tutta la loro forza. I ricchi hanno tante cose. I poveri hanno solo Dio. I ricchi hanno amici. I poveri sono soli. I ricchi hanno molte consolazioni. I poveri non hanno consolazioni. I ricchi hanno distrazioni. I poveri hanno solo il lavoro. I ricchi hanno tutto reso facile per il denaro. I poveri hanno anche la croce di dover temere malattie e carestie perché sarebbe la fame e la morte per loro. Ma hanno Dio, i poveri. Il loro Amico. Il loro Consolatore. Colui che li distrae dal loro penoso presente con speranze celesti. Colui a cui si può dire – e loro lo sanno dire, lo dicono perché appunto sono poveri, umili, soli -: “Padre, sovvienici della tua misericordia.
   Quanto Io dico in questa terra di Lazzaro, amico mio e amico di Dio sebbene tanto ricco, può parere strano. Ma Lazzaro è l’eccezione fra i ricchi. Lazzaro è giunto a quella virtù difficilissima a trovarsi sulla terra, e ancor più difficile a mettersi in pratica per insegnamento altrui: la virtù della libertà dalle ricchezze. Lazzaro è giusto. Non si offende. Non si può offendere, perché sa che egli è il ricco-povero e perciò non lo tocca il mio celato rimprovero. Lazzaro è giusto. E riconosce che nel mondo dei grandi è così come Io dico. Perciò Io parlo e dico: in verità, in verità vi dico che è molto più facile che sia in Dio un povero che un ricco; e nel Cielo del Padre mio e vostro, molti seggi saranno occupati da coloro che sulla terra furono spregiati perché minimi come polvere che si calpesta.
   I poveri serbano in cuore le perle delle parole di Dio. Sono il loro unico tesoro. Chi ha una sola ricchezza veglia su essa. Chi ne ha molte è annoiato e distratto, ed è superbo, ed è sensuale. Per tutto questo non ammira con occhi umili e innamorati il tesoro che Dio ha dato, e lo confonde con altri tesori, solo in apparenza preziosi, tesori che sono le ricchezze della terra, e pensa: “Degnazione mia se accolgo le parole di uno, pari a me nella carne!”, e ottunde la sua capacità di gustare ciò che è soprannaturale con i sapori forti della sensualità. Sapori forti!… Si, molto speziati per confondere il loro lezzo e il loro sapore di putredine…

 11 Ma udite. E capirete meglio come le sollecitudini, le ricchezze e le crapule impediscono l’entrata nel Regno dei Cieli.
   Una volta un re fece le nozze di suo figlio. Potete immaginare che festa fosse nella reggia. Era il suo unico figlio e, giunto all’età perfetta, si sposava con la sua diletta. Il padre e re volle che tutto fosse gioia intorno alla gioia del suo diletto, finalmente sposo con la beneamata. Fra le molte feste nuziali fece anche un grande pranzo. E lo preparò per tempo, vegliando su ogni particolare dello stesso, perché riuscisse splendido e degno delle nozze del figlio del re.
   Mandò per tempo i suoi servi a dire agli amici e agli alleati, e anche ai più grandi nel suo regno, che le nozze erano stabilite per quella data sera e che loro erano invitati, e che venissero per fare degna cornice al figlio del re. Ma amici, alleati e grandi del regno non accettarono l’invito.
   Allora il re, dubitando che i primi servi non avessero parlato a dovere, ne mandò altri ancora, perché insistessero dicendo: “Ma venite! Ve ne preghiamo. Ormai tutto è pronto. La sala è apparecchiata, i vini preziosi sono stati portati da ogni dove, e già nelle cucine sono ammucchiati i buoi e gli animali ingrassati per essere cotti, e le schiave intridono le farine a far dolciumi, ed altre pestano le mandorle nei mortai per fare leccornie finissime a cui mescolano aromi fra i più rari. Le danzatrici e i suonatori più bravi sono stati scritturati per la festa. Venite dunque acciò non sia inutile tanto apparato”.
   Ma amici, alleati e grandi del regno o rifiutarono, o dissero: “Abbiamo altro da fare”, o finsero di accettare l’invito, ma poi andarono ai loro affari, chi al campo, chi ai negozi, chi ad altre cose ancor meno nobili. E infine ci fu chi, seccato da tanta insistenza, prese il servo del re e l’uccise per farlo tacere, posto che insisteva: “Non negare al re questa cosa perché te ne potrebbe venire male.
   I servi tornarono al re e riferirono ogni cosa, e il re avvampò di sdegno mandando le sue milizie a punire gli uccisori dei suoi servi e a castigare quelli che avevano sprezzato il suo invito, riservandosi di beneficare quelli che avevano promesso di venire. Ma la sera della festa, all’ora fissata, non venne nessuno.

 12 Il re, sdegnato, chiamò i servi e disse: “Non sia mai che mio figlio resti senza chi lo festeggi in questa sua sera nuziale. Il banchetto è pronto, ma gli invitati non ne sono degni. Eppure il banchetto nuziale del figlio mio deve avere luogo. Andate dunque sulle piazze e sulle strade, mettetevi ai crocicchi, fermate chi passa, adunate chi sosta, e portateli qui. Che la sala sia piena di gente festante.
   I servi andarono. Usciti per le vie, sparsisi sulle piazze, messisi ai crocicchi, radunarono quanti trovarono, buoni o cattivi, ricchi o poveri, e li portarono nella dimora regale, dando loro i mezzi per apparire degni di entrare nella sala del banchetto di nozze. Poi li condussero in quella, ed essa fu piena, come il re voleva, di popolo festante.
   Ma, entrato il re nella sala per vedere se potevano aver inizio le feste, vide uno che, nonostante gli aiuti dati dai servi, non era in veste di nozze. Gli chiese: “Come mai sei entrato qui senza la veste di nozze?”. E colui non seppe che rispondere, perché infatti non aveva scusanti. Allora il re chiamò i servi e disse loro: “Prendete costui, legatelo nelle mani e nei piedi e gettatelo fuori della mia dimora, nel buio e nel fango gelido. Ivi starà nel pianto e con stridor di denti come ha meritato per la sua ingratitudine e per l’offesa che mi ha fatta, e più che a me al figlio mio, entrando con veste povera e non monda nella sala del banchetto, dove non deve entrare che ciò che è degno di essa e del figlio mio”.

 13 Come voi vedete, le sollecitudini del mondo, le avarizie, le sensualità, le crudeltà attirano l’ira del re, fanno si che mai più questi figli delle sollecitudini entrino nella casa del Re. E vedete anche come anche fra i chiamati, per benignità verso suo figlio, vi sono i puniti.
   Quanti al giorno d’oggi, in questa terra alla quale Dio ha mandato il suo Verbo!
   Gli alleati, gli amici, i grandi del suo popolo, Dio veramente li ha invitati attraverso i suoi servi, e più li farà invitare, con invito pressante, man mano che l’ora delle mie nozze si farà vicina. Ma non accetteranno l’invito perché sono falsi alleati, falsi amici, e non sono grandi che di nome perché la bassezza è in loro».
   Gesù va elevando sempre più la voce, e i suoi occhi, alla luce di fuoco che è stato acceso fra Lui e gli ascoltatori per illuminare la sera, nella quale manca ancora la luna che è nella fase decrescente e si alza più tardi, gettano sprazzi di luce come fossero due gemme.
   «Si, la bassezza è in loro. Per tutto questo essi non comprendono che è dovere e onore per loro aderire all’invito del Re. Superbia, durezza, libidine fanno baluardo nel loro cuore.
   E – sciagurati che sono! – e hanno odio a Me, a Me, per cui non vogliono venire alle mìe nozze. Non vogliono venire. Preferiscono alle nozze i connubi con la politica sozza, con il più sozzo denaro, con il sozzissimo senso. Preferiscono il calcolo astuto, la congiura, la subdola congiura, il tranello, il delitto.
   Io tutto questo lo condanno in nome di Dio. Si odia perciò la voce che parla e le feste a cui invita. In questo popolo vanno cercati coloro che uccidono i servi di Dio: i profeti che sono i servi fino ad oggi, i miei discepoli che sono i servi da ora in poi. In questo popolo vanno scelti i turlupinatori di Dio che dicono: “Sì, veniamo”, mentre dentro di sé pensano: “Neanche per idea!”. Tutto questo è in Israele.
   E il Re del Cielo, perché il Figlio abbia un degno apparato di nozze, manderà a raccogliere sui crocicchi coloro che sono non amici, non grandi, non alleati, ma sono semplicemente popolo che passa. Già – e per mia mano, per la mia mano di Figlio e di servo di Dio – la raccolta si è iniziata. Quali che siano, verranno… E sono già venuti. Ed Io li aiuto a farsi mondi e belli per la festa di nozze.
   Ma ci sarà, oh! per sua sventura ci sarà chi anche della magnificenza di Dio, che gli dà profumi e vesti regali per farlo apparire quale non è – un ricco e degno – vi sarà chi di tutta questa bontà se ne farà un approfitto indegno per sedurre, per guadagnare… Individuo di bieco animo, abbracciato dal polipo ripugnante di tutti i vizi… e sottrarrà profumi e vesti per trarne guadagno illecito, usandoli non per le nozze del Figlio, ma per le sue nozze con Satana.
   Ebbene, questo avverrà. Perché molti sono i chiamati, ma pochi coloro che, per saper perseverare nella chiamata, giungono ad essere eletti. Ma anche avverrà che a queste iene, che preferiscono le putrefazioni al nutrimento vivo, sarà inflitto il castigo di essere gettati fuori della sala del Banchetto, nelle tenebre e nel fango di uno stagno eterno in cui stride Satana il suo orrido riso per ogni trionfo su un’anima, e dove suona eterno il pianto disperato dei mentecatti che seguirono il Delitto invece di seguire la Bontà che li aveva chiamati.

 14 Alzatevi e andiamo al riposo. Io vi benedico, o cittadini di Betania, tutti. Io vi benedico e vi do la mia pace. E benedico te in particolare, Lazzaro, amico mio, e te, Marta. Benedico i miei discepoli antichi e nuovi che mando per il mondo a chiamare, a chiamare alle nozze del Re. Inginocchiatevi ché Io vi benedica tutti. Pietro, di’ l’orazione che vi ho insegnata, e dilla stando qui al mio fianco, in piedi, perché così va detta da chi a ciò è destinato da Dio».
   L’assemblea si inginocchia tutta sul fieno, rimanendo in piedi solo Gesù nel suo abito di lino, alto e bellissimo, e Pietro nella sua veste marrone scuro, acceso di emozione, quasi tremante, che prega, con la sua voce non bella ma virile, andando adagio, per paura di sbagliare: «Padre nostro…».
   Si sente qualche singhiozzo… di uomo, di donna…
   Marjziam, inginocchiato proprio davanti a Maria che gli tiene le manine congiunte, guarda con un sorriso d’angelo Gesù e dice piano: «Guarda, Madre, come è bello! E come è bello anche il padre mio! Sembra d’essere in Cielo… Ci sarà la mia mamma, qui, a vedere?».
   E Maria, in un sussurro che finisce in un bacio, risponde: «Sì, caro. Ella è qui. E impara la preghiera».
   «E io? L’imparerò?».
   «Ella la sussurrerà all’anima tua mentre tu dormi, ed io te la ripeterò di giorno».
   Il bambino piega indietro la testolina bruna, sul petto di Maria, e sta così mentre Gesù benedice con la sempre solenne benedizione mosaica.
   Poi tutti si alzano, andando ognuno alle proprie case; solo Lazzaro segue ancora Gesù, entrando con Lui nella casa di Simone per stare ancora con Lui. Entrano anche tutti gli altri. L’Iscariota si mette in un angolo semibuio, mortificato. Non osa stringersi a Gesù come fanno gli altri…

 15 Lazzaro si felicita con Gesù. Dice: «Oh! mi duole di vederti partire. Ma sono più contento che se ti avessi visto andare via ieri l’altro!».
   «Perché, Lazzaro?».
   «Perché mi parevi tanto triste e stanco… Non parlavi, poco sorridevi… Ieri e oggi sei tornato il mio santo e dolce Maestro, e ciò mi dà tanta gioia…».
   «Lo ero anche se tacevo…».
   «Lo eri. Ma Tu sei serenità e parola. Noi vogliamo questo da Te. Beviamo a queste fonti la nostra forza. Ed ora queste fonti parevano disseccate. Era penosa la nostra sete… Tu vedi che anche i gentili se ne sono stupiti, e sono venuti a cercarle…».
   L’Iscariota, a cui si era accostato Giovanni di Zebedeo, osa parlare: «Già, avevano domandato anche a me… Perché io stavo molto presso l’Antonia, sperando di vederti».
   «Sapevi dove ero» risponde Gesù brevemente.
   «Lo sapevo. Ma speravo che non avresti deluso chi ti attendeva. Anche i romani furono delusi. Non so perché hai agito così…»
   «E sei tu che me lo chiedi? Non sei al corrente degli umori del Sinedrio, dei farisei, degli altri ancora, per Me?».
   «Che? Avresti avuto paura?».
   «No. Nausea.

 16 Lo scorso anno, quando ero solo – uno solo contro tutto un mondo che neppur sapeva se ero profeta – ho mostrato di non avere paura. E tu sei un acquisto di quella mia audacia. Ho fatto sentire la mia voce contro tutto un mondo di urlatori; ho fatto sentire la voce di Dio ad un popolo che se l’era dimenticata; ho purificato la Casa di Dio dalle sozzure materiali che erano in essa, non sperando di ripulirla delle ben più gravi sozzure morali che in essa hanno nido, perché non ignoro il futuro degli uomini, ma per fare il mio dovere, per lo zelo della Casa del Signore eterno tramutata in una piazza vociante di barattieri, usurai e di ladri, e per scuotere dal torpore quelli che secoli di trascuratezza sacerdotale avevano fatto cadere in letargo spirituale. E’ stato lo squillo di raccolta al mio popolo per portarlo a Dio… Quest’anno sono tornato… E ho visto che il Tempio è sempre lo stesso… Che è peggio ancora. Non più spelonca di ladri, ma posto di congiura, e poi diverrà sede del Delitto, e poi lupanare, e poi, finalmente, sarà distrutto da una forza più potente di quella di Sansone, schiacciando una casta indegna di chiamarsi santa. Inutile parlare in quel luogo, nel quale, te lo ricordo, mi fu proibito di parlare. Popolo fedifrago! Popolo avvelenato nei suoi capi, che osa interdire che la Parola di Dio parli nella sua Casa! Mi fu proibito. Ho taciuto per amore dei minimi. Non è ancora l’ora di uccidermi. Troppi hanno bisogno di Me, e i miei apostoli non sono ancora forti per ricevere sulle loro braccia la mia prole: il Mondo. Non piangere, Madre; perdona, tu buona, al bisogno di tuo Figlio di dire, a chi vuole o può illudersi, la verità che Io so… Taccio… Ma guai a coloro per i quali Dio tace!… Madre, Marjziam, non piangete!… Ve ne prego. Nessuno pianga».
   Ma in realtà piangono tutti più o meno dolorosamente.
   Giuda, pallido come un morto nella sua veste gialla e rossa a righe, osa ancora parlare, con una voce piagnucolosa e ridicola: «Credi, Maestro, che io sono stupito e addolorato… Non so che vuoi dire… Io non so nulla… É vero che io non ho visto nessuno del Tempio. Ho rotto i contatti con tutti… Ma se Tu lo dici sarà vero… ».
   «Giuda!… Anche Sadoc non hai visto?».
   Giuda china il capo borbottando: «E’ un amico… Come tale l’ho visto. Non come uno del Tempio… ».

 17 Gesù non gli risponde. Si volge a Isacco e a Giovanni di Endor, a cui fa ancora raccomandazioni inerenti al loro lavoro. Intanto le donne confortano Maria che piange e il bambino che piange nel vedere piangere Maria. Anche Lazzaro e gli apostoli sono rattristati.
   Ma Gesù viene a loro. Ha ripreso il suo dolce sorriso e, mentre abbraccia la Madre e carezza il bambino, dice: «Ed ora vi saluto, voi che restate. Perché domani all’alba noi partiremo. Addio, Lazzaro. Addio, Massimino. Giuseppe, Io ti ringrazio per ogni cortesia fatta a mia Madre e alle discepole nella attesa mia. Grazie di tutto. Tu, Lazzaro, benedici ancora Marta in mio nome. Presto ritornerò. Vieni, Madre, al riposo. Anche tu, Maria e Salome, se proprio volete venire voi pure».
   «Certo che veniamo! » dicono le due Marie.
   «Allora a letto. La pace a tutti. Dio sia con voi». Fa un gesto di benedizione ed esce tenendo per mano il bambino e abbracciata la Madre…
   La sosta a Betania è finita.

   Cap. CCLXXVI. L’uomo avido e la parabola del ricco stolto. Le inquietudini e la vigilanza nei servi di Dio.

   10 settembre 1945

 1 Gesù è su uno dei colli della riva occidentale del lago.
  Ai suoi occhi si mostrano le città e i paesi sparsi sulle rive di questa e quella sponda, ma proprio sotto del colle sono Magdala e Tiberiade: la prima con il suo rione di lusso tutto sparso di giardini, separato nettamente dalle povere case dei pescatori, contadini e popolo minuto, da un torrentello ora asciutto del tutto; l’altra splendida in ogni sua parte, città che ignora ciò che è miseria e decadenza, e ride, bella e nuova, sotto al sole, di fronte al lago. Fra l’una e l’altra città, le ortaglie, poche ma ben tenute, della breve pianura, e poi l’ascendere degli ulivi alla conquista dei colli. Dietro le spalle di Gesù, da questa cima, si vede la sella del monte delle Beatitudini, ai cui piedi è la via maestra che dal Mediterraneo va a Tiberiade.
  Forse per questa vicinanza di una via maestra frequentatissima, Gesù ha scelto questa località alla quale le persone possono accedere da molte città del lago o della Galilea interna e da dove, a sera, è facile tornare alle case o trovare ospitalità in molti paesi. Il calore è anche temperato per l’altezza e per gli alberi di alto fusto che sulla vetta hanno preso il posto degli ulivi. Vi è infatti molta gente oltre gli apostoli e i discepoli. Gente che ha bisogno di Gesù per la salute o per dei consigli, gente venuta per curiosità, gente portata lì da amici o per spirito di imitazione. Molta insomma. La stagione, non più canicolare ma tendente alle languide grazie dell’autunno, invita più che mai a pellegrinare in cerca del Maestro.

 2 Gesù ha già guarito i malati e parlato alla gente, e certo sul tema delle ricchezze ingiuste e del distacco da esse, necessario a tutti per guadagnarsi il Cielo ma indispensabile ad aversi in chi vuole essere discepolo suo. E ora sta rispondendo alle domande di questo o quello dei discepoli ricchi, che sono un poco turbati per questa cosa.
  Lo scriba Giovanni dice: «Devo allora distruggere ciò che ho, spogliando i miei del loro?».
 «No. Dio ti ha dato dei beni. Fàlli servire alla Giustizia e servitene con giustizia. Ossia, con essi soccorri la tua famiglia, è dovere; tratta umanamente i servi, è carità; benefica i poveri, sovvieni ai bisogni dei discepoli poveri. Ecco che le tue ricchezze non ti saranno inciampo, ma aiuto».
  E poi, parlando a tutti, dice: «In verità vi dico che lo stesso pericolo di perdere il Cielo per amore alle ricchezze può averlo anche il discepolo più povero se, divenuto mio sacerdote, mancherà a giustizia col patteggiare col ricco. Colui che è ricco o maligno molte volte tenterà sedurvi con donativi per avervi consenzienti al suo modo di vivere e al suo peccato. E vi saranno quelli fra i miei ministri che cederanno alla tentazione dei donativi. Non deve essere. Il Battista vi insegni. Veramente in lui, pur senza essere giudice e magistrato, era la perfezione del giudice e del magistrato quale la indica[81] il Deuteronomio: “Tu non avrai riguardi personali, non accetterai donativi, perché essi acciecano gli occhi dei savi e alterano le parole dei giusti”. Troppe volte l’uomo si lascia levare il filo dalla spada della giustizia dall’oro che un peccatore vi passa sopra. No, non deve essere. Sappiate esser poveri, sappiate saper morire, ma non patteggiate mai con la colpa. Neppure con la scusa di usare quell’oro a pro’ dei poveri. È oro maledetto e non darebbe loro del bene. È oro di un compromesso infame. Voi siete costituiti discepoli per essere maestri, medici e redentori. Che sareste se diveniste consenzienti al male per interesse? Maestri di mala scienza, medici che uccidono il malato, non redentori ma cooperatori della rovina dei cuori».

 3 Uno della folla si fa avanti e dice: «Io non sono discepolo.
 Ma ti ammiro. Rispondi dunque a questa mia domanda: è lecito ad uno trattenere il denaro di un altro?».
  «No, uomo. Ciò è furto, come lo è quello di levare la borsa ad un passante».
  «Anche se è denaro della famiglia?».
  «Anche. Non è giusto che uno si appropri del denaro di tutti gli altri».
  «Allora, Maestro, vieni ad Abelmain sulla via di Damasco e ordina a mio fratello di spartire meco la eredità del padre morto senza avere lasciato scritto parola. Egli tutta se l’è presa. E nota che gemelli siamo, nati da primo ed unico parto. Io ho dunque gli stessi diritti che lui».
  Gesù lo guarda e dice: «È una penosa situazione, e tuo fratello certo non agisce bene. Ma tutto quello che Io posso fare è pregare per te e più per lui, che si converta, e venire al tuo paese ad evangelizzare, toccandogli il cuore così. Non mi pesa il cammino se posso mettere pace fra voi».
  L’uomo, inviperito, scatta: «E che vuoi che me ne faccia delle tue parole? Ci vuol ben altro che parole in questo caso!».
  «Ma non mi hai detto di ordinare a tuo fratello di…».
  «Ordinare non è evangelizzare. Ordinare è sempre unito a minaccia. Minaccialo di percuoterlo nella persona se non mi dà il mio. Tu lo puoi fare. Come dai salute, puoi dare malattia».
  «Uomo, Io sono venuto a convertire, non a percuotere. Ma se tu avrai fede nelle mie parole troverai pace».
  «Quali parole?».
  «Ti ho detto che pregherò per te e per tuo fratello, acciò tu sia consolato ed egli si converta».
  «Storie! Storie! Io non ho la dabbenaggine di crederle. Vieni e ordina».

 4 Gesù, che era mite e paziente, si fa imponente e severo. Si 276.4 raddrizza — prima stava un po’ curvo sull’ometto corpulento e acceso d’ira — e dice: «Uomo, e chi mi ha costituito giudice e arbitro fra di voi? Nessuno. Ma, per levare una scissura fra due fratelli, accettavo a venire per esercitare la mia missione di pacificatore e di redentore e, se tu avessi creduto nelle mie parole, tornando ad Abelmain avresti trovato già convertito il fratello. Tu non sai credere. E non avrai il miracolo. Tu, se per primo avessi potuto afferrare il tesoro, te lo saresti tenuto privandone il fratello, perché, in verità, come siete nati gemelli, così avete gemelle le passioni, e tu come tuo fratello avete solo un amore: l’oro; una fede: l’oro. Sta’ dunque con la tua fede.
 Addio».
  L’uomo se ne va maledicendolo fra lo scandalo di tutti, che lo vorrebbero punire.
  Ma Gesù si oppone. Dice: «Lasciatelo andare. Perché volete sporcarvi le mani percuotendo un bruto? Io perdono perché è un posseduto dal demone dell’oro che lo travia. Fatelo voi pure. Piuttosto preghiamo per questo infelice che torni uomo dall’anima bella di libertà».
  «È vero. Anche nel volto è divenuto orrendo nella sua cupidigia. Hai visto?», si chiedono l’un coll’altro discepoli e astanti che erano vicini all’avaro.
  «È vero! È vero! Non pareva più quello di prima».
  «Sì. Quando poi ha respinto il Maestro, per poco lo percuoteva mentre lo malediceva, è divenuto un demone nel volto».
  «Un demone tentatore. Tentava il Maestro alla cattiveria…».

 5 «Udite», dice Gesù. «Veramente le alterazioni dell’animo si riflettono sul volto. È come se il demonio affiorasse alla superficie di quel suo possesso. Pochi sono quelli che, essendo demoni, o con atti o con aspetto non tradiscano ciò che sono. E questi pochi sono i perfetti nel male e i perfettamente posseduti. Il volto del giusto invece è sempre bello, anche se materialmente deforme, per una bellezza soprannaturale che si effonde dall’interno all’esterno. E, non per modo di dire, ma per verità di fatti, noi osserviamo nel puro dai vizi una freschezza anche di carni. L’anima è in noi e ci abbraccia tutti. E i fetori di un’anima corrotta corrompono anche le carni. Mentre i profumi di un’anima pura preservano. L’anima corrotta spinge la carne a peccati osceni, e questi invecchiano e deformano. L’anima pura spinge la carne a vita pura. E ciò conserva freschezza e comunica maestà.
  Fate che in voi permanga giovinezza pura di spirito, o risorga se già perduta, e badate di guardarvi da ogni cupidigia, sia del senso che del potere. La vita dell’uomo non dipende dall’abbondanza dei beni che possiede. Né questa, né tanto meno l’altra: quella eterna. Ma dalla sua maniera di vivere. E, con la vita, la felicità di questa Terra e del Cielo. Perché il vizioso non è mai felice, realmente felice. Mentre il virtuoso è sempre felice di una letizia celeste anche se povero e solo. Neppure la morte lo impressiona. Perché non ha colpe e rimorsi a fargli temere l’incontro con Dio, e non ha rimpianti per ciò che lascia sulla Terra. Egli sa che in Cielo è il suo tesoro e, come uno che vada a prendere l’eredità che gli spetta, e eredità santa, va lieto, sollecito, incontro alla morte che gli apre le porte del Regno dove è il suo tesoro.
  Fatevi subito il vostro tesoro. Iniziatelo dalla giovinezza, voi che giovani siete; indefessamente lavorate, voi anziani che, per l’età, avete più prossima la morte. Ma, posto che morte è scadenza ignota, e sovente cade il fanciullo prima del vegliardo, non rimandate il lavoro di farvi un tesoro di virtù e di buone opere per l’altra vita, onde non vi raggiunga la morte senza che voi abbiate messo un tesoro di meriti in Cielo. Molti sono quelli che dicono: “Oh! sono giovane e forte! Per ora godo sulla Terra, poi mi convertirò”. Grande errore!

 6 Udite questa parabola. Ad un uomo ricco aveva fruttato molto bene la campagna. Proprio un raccolto da miracolo. Egli contempla felice tutta questa dovizia che si accumula sui suoi campi e le sue aie e che non trova posto nei granai, tanto che è ospitata sotto tettoie provvisorie e persino nelle stanze della casa, e dice: “Ho lavorato come uno schiavo, ma la terra non mi ha deluso. Ho lavorato per dieci raccolti e ora voglio riposare per altrettanto. Come farò a mettere a posto tutti questi raccolti? Venderne non voglio, perché mi costringerei a lavorare per avere il prossimo anno nuovo raccolto. Farò così: demolirò i miei granai e ne farò di più vasti, che c’entrino tutti i raccolti e i miei beni. E poi dirò all’anima mia: ‘Oh, anima mia! Tu hai ora da parte dei beni per molti anni. Riposati dunque, mangia e bevi e godi’”. Costui, come molti, confondeva il corpo con l’anima e mescolava il sacro al profano, perché realmente nelle gozzoviglie e nell’ozio l’anima non gode ma languisce, e anche costui, come molti, dopo il primo buon raccolto nei campi del bene, si fermava, parendogli di avere fatto tutto.
  Ma non sapete che, posta la mano all’aratro, occorre perseverare uno e dieci e cent’anni, quanto la vita dura, perché fermarsi è delitto verso se stessi ai quali si nega una gloria maggiore, è regredire perché chi si ferma generalmente non solo non progredisce più, ma si volge indietro? Il tesoro del Cielo deve aumentare anno per anno per essere buono. Ché, se la Misericordia sarà benigna anche con chi ebbe pochi anni per formarlo, non sarà complice dei pigri che avendo lunga vita fanno poco. È un tesoro in continuo aumento. Se no non è più tesoro fruttifero, ma inerte, e ciò va a detrimento della pronta pace del Cielo.
  Dio disse allo stolto: “Uomo stolto, che confondi il corpo e i beni della Terra con ciò che è spirito, e di una grazia di Dio te ne fai un male, sappi che questa notte stessa ti sarà chiesta l’anima e levata, e il corpo giacerà senza vita. Quanto hai preparato, di chi sarà? Lo porterai teco? No. Te ne verrai nudo di raccolti terreni e di opere spirituali al mio cospetto e povero sarai nell’altra vita. Meglio ti era dei tuoi raccolti farne opere di misericordia al prossimo e a te. Perché, essendo misericordioso agli altri, alla tua anima eri misericorde. E, invece di nutrire pensieri d’ozio, coltivare attività da cui trarre onesto utile al tuo corpo e grandi meriti alla tua anima finché Io ti avessi chiamato”. E l’uomo nella notte morì e fu severamente giudicato. In verità vi dico che così capita a chi tesoreggia per sé e non arricchisce agli occhi di Dio.
  Ora andate e fate tesoro della dottrina che vi viene data. La pace sia con voi».
  E Gesù benedice e si ritira in un folto di bosco con gli apostoli e i discepoli per prendere cibo e ristoro. 

 7 Ma, mentre mangiano, Egli ancora parla continuando la lezione di prima, ripetendo un tema già dettoagli apostoli più volte e che credo sarà sempre insufficientemente detto, perché l’uomo è troppo preso dalle paure stolte.
  «Credete», dice, «che solo di questo arricchimento di virtù occorre preoccuparsi. E badate: non sia mai la vostra una preoccupazione affannosa, inquieta. Il bene è nemico delle inquietudini, delle paure, delle frette, che troppo risentono ancora di avarizia, di gelosia, di diffidenza umana. Il vostro lavoro sia costante, fiducioso, pacifico. Senza brusche partenze e bruschi arresti. Così fanno gli onagri selvaggi. Ma nessuno li usa, a meno che sia un matto, per fare del sicuro cammino. Pacifici nelle vittorie, pacifici nelle sconfitte. Anche il pianto per un errore fatto, che vi addolora perché con esso errore avete spiaciuto a Dio, deve essere pacifico, confortato dall’umiltà e dalla fiducia. L’accasciamento, il rancore verso se stesso, è sempre sintomo di superbia e così anche di sfiducia. Se uno è umile sa di essere un povero uomo soggetto alle miserie della carne che talora trionfa. Se uno è umile ha fiducia non tanto in sé quanto in Dio, e sta calmo anche nelle disfatte dicendo: “Perdonami, Padre. Io so che Tu sai la mia debolezza che mi prevale talora. Io credo che Tu mi compatisci. Io ho ferma fiducia che Tu mi aiuterai in avvenire ancor più di prima, nonostante io ti soddisfi così poco”. E non siate né apatici né avari dei beni di Dio. Di quanto avete di sapienza e virtù, date. Siate operosi nello spirito come gli uomini lo sono per le cose della carne. 

 8 E, riguardo alla carne, non imitate quelli del mondo, che sempre tremano per il loro domani, per la paura che manchi loro il superfluo, che la malattia venga, che venga la morte, che i nemici possano nuocere e così via. Dio sa di che abbisognate. Non temete perciò per il vostro domani. Siate liberi dalle paure più pesanti delle catene dei galeotti. Non vi prendete pena della vostra vita, né per il mangiare, né per il bere, né per il vestire. La vita dello spirito è da più di quella del corpo, e il corpo è da più del vestito, perché col corpo, non col vestito, voi vivete, e con la mortificazione del corpo aiutate lo spirito a conseguire la vita eterna. Dio sa fino a quando lasciarvi l’anima nel corpo, e fino a quell’ora vi darà ciò che è necessario. Lo dà ai corvi, animali impuri che si pascono di cadaveri e che hanno la loro ragione di esistere appunto in questa loro funzione di eliminatori di putrefazioni. E non lo darà a voi? Essi non hanno dispense e granai, eppure Dio li nutre lo stesso. Voi siete uomini e non corvi. Presentemente, poi, siete il fior degli uomini, perché siete i discepoli del Maestro, gli evangelizzatori del mondo, i servi di Dio. E potete pensare che Iddio, che ha cura dei gigli delle convalli e li fa crescere e li veste di veste che più bella non l’ebbe Salomone, senza che loro compiano altro lavoro che profumare, adorando, possa trascurare voi anche nella veste? Voi sì che da soli non potete aggiungere un dente alle bocche sdentate, né allungare di un pollice la gamba rattratta, né dare acutezza alla pupilla annebbiata. E, se non potete fare queste cose, potete pensare di poter respingere da voi miseria e malattia e far spuntare cibo dalla polvere? Non potete. Ma non siate gente di poca fede. Avrete sempre di che vi è necessario. Non vi appenate come le genti del mondo, che si arrabattano per provvedersi di che godere. Voi avete il Padre vostro che sa di che abbisognate. Voi dovete solo cercare — e sia la prima delle vostre cure — il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sarà dato in più.

 9 Non temete, voi del mio piccolo gregge. Al Padre mio è piaciuto chiamarvi al Regno perché voi abbiate questo Regno. Potete perciò aspirare ad esso ed aiutare il Padre con la vostra buona volontà e santa operosità. Vendete i vostri beni, fatene elemosina se siete soli. Date ai vostri il viatico del vostro abbandono della casa per seguire Me, perché è giusto non levare il pane ai figli e alle spose. E, se non potete perciò sacrificare le ricchezze di denaro, sacrificate le ricchezze di affetto. Anche queste sono monete che Dio valuta per quello che sono: oro più puro d’ogni altro, perle più preziose di quelle rapite ai mari, e rubini più rari di quelli delle viscere del suolo. Perché rinunciare alla famiglia per Me è carità perfetta più di oro senza atomo impuro, è perla fatta di pianto, e rubino fatto di sangue che geme dalla ferita del cuore, lacerato dal distacco da padre e madre, sposa e figli. Ma queste borse non si logorano, questo tesoro non viene mai meno. I ladri non penetrano in Cielo. Il tarlo non corrode ciò che là è depositato. E abbiate il Cielo nel cuore e il cuore in Cielo presso il vostro tesoro. Perché il cuore, nel buono o nel malvagio, è là dove è ciò che vi sembra vostro caro tesoro. Perciò, come il cuore è là dove è il tesoro (in Cielo), così il tesoro è là dove è il cuore (ossia in voi), anzi il tesoro è nel cuore e col tesoro dei santi è nel cuore il Cielo dei santi.

10 Siate sempre pronti come chi è in procinto di viaggio o in attesa del padrone. Voi siete servi del Padrone-Iddio. Ad ogni ora vi può chiamare dove Egli è, o venire dove voi siete. Siate perciò sempre pronti ad andare, o a fargli onore stando a fianchi cinti da cintura di viaggio e di lavoro, e con le lampade accese nelle mani. Uscendo da una festa di nozze con uno che vi abbia preceduto nei Cieli e nella consacrazione a Dio sulla Terra, Dio può sovvenirsi di voi che attendete e può dire: “Andiamo da Stefano o da Giovanni, oppure da Giacomo e da Pietro”. E Dio è ratto nel venire o nel dire : “Vieni”. Perciò siate pronti ad aprirgli la porta quando Egli giungerà, o a partire se Egli vi chiama.
  Beati quei servi che il Padrone, arrivando, troverà vigilanti. In verità, per ricompensarvi della attesa fedele, Egli si cingerà la veste e, fattili sedere a tavola, si metterà a servirli. Può venire alla prima vigilia, come alla seconda e alla terza. Voi non lo sapete. Siate perciò sempre vigilanti. E beati voi se lo sarete e così vi troverà il Padrone! Non vi lusingate col dire: “C’è tempo! Questa notte Egli non viene”. Ve ne accadrebbe male. Voi non sapete. Se uno sapesse quando il ladro viene, non lascerebbe incustodita la casa perché il malandrino possa sforzarne la porta e i forzieri. Anche voi state preparati, perché, quando meno ve lo penserete, verrà il Figlio dell’uomo dicendo: “È l’ora”». 

11 Pietro, che si è persino dimenticato di finire il suo cibo per ascoltare il Signore, vedendo che Gesù tace, chiede: «Questo che dici è per noi o per tutti?».
  «È per voi e per tutti. Ma più è per voi, perché voi siete come intendenti preposti dal Padrone a capo dei servi e avete doppio dovere di stare pronti, e per voi come intendenti, e per voi come semplici fedeli. Che deve essere l’intendente preposto dal padrone a capo dei suoi famigli per dare a ciascuno, a suo tempo, la giusta porzione? Deve essere accorto e fedele. Per compiere il suo proprio dovere, per far compiere ai sotosti il loro proprio dovere. Altrimenti ne soffrirebbero gli interessi del padrone, che paga perché l’intendente faccia in sua vece e ne tuteli gli interessi in sua assenza.
  Beato quel servo che il padrone, tornando alla sua casa, trova ad operare con fedeltà, solerzia e giustizia. In verità vi dico che lo farà intendente anche di altre proprietà, di tutte le sue proprietà, riposando e giubilando in cuor suo per la sicurezza che quel servo gli dà. Ma se quel servo dice: “Oh! bene! Il padrone è molto lontano e mi ha scritto che tarderà a tornare. Perciò io posso fare ciò che mi pare e poi, quando penserò prossimo il ritorno, provvederò”. E comincerà a mangiare e a bere fino ad essere ubbriaco e a dare ordini da ebbro e, poiché i servi buoni, a lui sotosti, si rifiutano di eseguirli per non danneggiare il padrone, si dà a battere servi e serve fino a farli cadere in malattia e languore. E crede di essere felice, e dice: “Finalmente gusto ciò che è esser padrone e temuto da tutti”.
  Ma che gli avverrà? Gli avverrà che il padrone giungerà quando meno egli se lo aspetta, magari sorprendendolo nell’atto di intascare denaro o di corrompere qualche servo fra i più deboli. Allora, Io ve lo dico, il padrone lo caccerà dal posto di intendente, e persino dalle file dei suoi servi, perché non è lecito tenere gli infedeli e traditori in mezzo agli onesti.
  E tanto più sarà punito quanto più il padrone prima lo aveva amato e istruito. Perché chi più conosce la volontà e il pensiero del padrone più è tenuto a compierlo con esattezza. Se non fa così come il padrone ha detto, ampiamente, come a nessun altro, avrà molte percosse, mentre chi, come servo minore, ben poco sa e sbaglia credendo di far bene, avrà castigo minore. A chi molto fu dato molto sarà chiesto, e dovrà rendere molto chi molto ebbe in custodia, perché sarà chiesto conto ai miei intendenti anche dell’anima del pargolo di un’ora.

12 La mia elezione non è fresco riposo in un boschetto fiorito. Io sono venuto a portare fuoco sulla Terra; e che posso desiderare se non che si accenda? Perciò mi affatico e voglio vi affatichiate fino alla morte e finché la Terra sia tutta un rogo di fuo co celeste. Io devo essere battezzato con un battesimo. E come sarò angustiato finché non sarà compiuto! Non vi chiedete perché? Perché per esso potrò di voi fare dei portatori del Fuoco, degli agitatori che si muoveranno in tutti e contro tutti gli strati sociali, per farne un’unica cosa: il gregge di Cristo.
  Credete voi che Io sia venuto a metter pace sulla Terra? E secondo il modo di vedere della Terra? No. Ma anzi discordia e separazione. Perché d’ora innanzi, e fintanto che tutta la Terra non sarà un unico gregge, di cinque che sono in una casa due saranno contro tre, e sarà il padre contro il figlio, e questo contro il padre, e la madre contro le figlie, e queste contro quella, e le suocere e nuore avranno un motivo di più per non intendersi, perché un linguaggio nuovo sarà su certe labbra e accadrà come una Babele, perché un sommovimento profondo scuoterà il regno degli affetti umani e soprumani. Ma poi verrà l’ora in cui tutto si unificherà in una lingua nuova, parlata da tutti i salvati dal Nazareno, e si depureranno le acque dei sentimenti, andando sul fondo le scorie e brillando alla superficie le limpide onde dei laghi celesti.
  In verità che non è riposo il servirmi, secondo quanto dà, l’uomo, di significato a questa parola. Occorre eroismo e instancabilità. Ma Io ve lo dico: alla fine sarà Gesù, sempre e ancora Gesù, che si cingerà la veste per servirvi, e poi si siederà con voi ad un banchetto eterno e sarà dimenticata fatica e dolore.

13 Ora, posto che nessuno più ci ha cercato, andiamo al lago.
  Riposeremo in Magdala. Nei giardini di Maria di Lazzaro c’è posto per tutti, ed ella ha messo la sua casa a disposizione del Pellegrino e dei suoi amici. Non occorre che vi dica che Maria di Magdala è morta col suo peccato ed è rinata dal suo pentimento Maria di Lazzaro, discepola di Gesù di Nazaret. Voi lo sapete già, perché la notizia è corsa come fremito di vento in una foresta. Ma Io vi dico ciò che non sapete: che tutti i beni personali di Maria di Lazzaro sono per i servi di Dio e per i poveri di Cristo. Andiamo…».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 10, 1-9 :«Sta per venire a voi il Regno di Dio».

Vangelo Lc 10, 1-9
In quel tempo: Il Signore scelse anche altri settantadue discepoli e li mandò a due a due innanzi a sé in, ogni città e luogo dove egli era per andare. E diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe che mandi operai per la sua mietitura. Andate! Ecco, io vi mando come agnelli in mezzo a lupi. Non portate né borsa, né sacca, né sandali; e per la strada non salutate nessuno. In qualunque casa entrerete, dite prima di tutto: “Pace a questa casa”. E se ci sarà un figlio di pace riposerà su di lui la pace vostra, altrimenti ritornerà a voi. E nella stessa casa restate, mangiando e bevendo di quel che vi dànno; perché l’operaio è degno della sua mercede. Non girate di casa in casa. E in qualunque città entrerete, se vi accolgono, mangiate di quel che vi sarà messo davanti e guarite gli infermi che ci sono, e dite loro: “Sta per venire a voi il Regno di Dio”».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«La messe è molta, ma gli operai sono pochi ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Vetus  e novus Ordo coincidenti 

   Cap. CCLXXVIII. Il perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue discepoli.

   17 settembre 1945

 1 Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
  «Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
  «Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
  «Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
  «Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
  «Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
  «Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
  «Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
  «Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

 2 «Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
  «Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
  Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
  «Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

 3 «E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
  «Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
  E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

 4 «Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
 Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
  Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
  Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
  Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita[85].
  La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

 5 Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
 Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
 Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.

 6 La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
  Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
  Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
  Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
  Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
  Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Mc 10, 35-45: “chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti”

Vangelo Novus Ordo Mc 10, 35-45
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedèo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».
Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato».
Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. DLXXVII. Terzo annuncio della Passione. Maria d’Alfeo rievoca la figura di Giuseppe. L’insensata richiesta dei figli di Zebedeo.

8 marzo 1947

 1 L’alba appena schiarisce il cielo e rende ancora difficile il cammino quando Gesù lascia Doco ancora dormente. Lo scalpiccio dei passi non è certo udito da alcuno, perché è cauto e perché la gente dorme ancora nelle case chiuse. Nessuno parla sinché sono fuori della città, nella campagna che si ridesta lentamente nella parca luce tutta fresca dopo il lavacro delle rugiade. 
   Allora l’Iscariota dice: «Strada inutile, riposo negato. Era meglio non venire sin qui». 
   «Non ci hanno trattato male quei pochi che abbiamo trovato! Hanno perso la notte per ascoltarci e per andare a prendere i malati delle campagne. È stato proprio bene, anzi, di essere venuti. Perché coloro che, per malattia o altra causa, non potevano sperare di vedere il Signore a Gerusalemme, lo hanno visto qui e sono stati consolati con la salute o con altre grazie. Gli altri, si sa, sono andati già alla città… È uso di noi tutti andarvi, sol che si possa, qualche giorno prima della festa», dice Giacomo di Alfeo dolcemente, perché egli è sempre mite, tutto all’opposto di Giuda di Keriot, che anche nelle ore buone è sempre violento e imperioso. 
   «Appunto perché si va anche noi a Gerusalemme, era inutile venire qui. Ci avrebbero sentiti e visti là…». 
   «Ma non le donne e i malati», ribatte interrompendolo Bartolomeo, in aiuto di Giacomo d’Alfeo. 
   Giuda finge di non sentire e dice, come continuando il discorso: «Almeno credo che noi si vada a Gerusalemme, benché ora non ne sono più sicuro dopo il discorso fatto a quel pastore…». 
   «E dove vuoi che si vada se non là?», chiede Pietro. 
   «Mah! Non so. È tutto così irreale ciò che facciamo da qualche mese, tutto così contrario al prevedibile, al buon senso, alla giustizia anche, che…». 
   «Ohè! Ma io ti ho visto bere del latte a Doco, eppure tu parli da ebbro! Dove le vedi le cose contrarie alla giustizia?», chiede Giacomo di Zebedeo con occhi che promettono poco bene. E rincara: «Basta di rimproveri al Giusto! Hai capito che basta? Non hai il diritto, tu, di rimproverarlo. Nessuno ha questo diritto, perché Egli è perfetto, e noi… Nessuno di noi lo è, e tu meno di tutti». 
   «Ma sì! Se sei malato curati, ma non affliggerci con le tue querele. Se sei lunatico, là è il Maestro. Fatti guarire e smettila!», dice Tommaso che perde la pazienza. 

 2 Infatti Gesù è dietro, insieme a Giuda d’Alfeo e Giovanni, e aiutano le donne che, meno use al camminare in penombra, fanno fatica a procedere per il sentiero non buono e anche più oscuro dei campi, perché tagliato in un folto uliveto. E Gesù parla fitto con le donne, estraniandosi da ciò che succede più avanti e che pure è sentito da chi è con Lui, perché, se le parole giungono male, il tono di esse denota che non sono parole piane, ma che già hanno sapore di disputa. 
   I due apostoli, il Taddeo e Giovanni, si guardano… ma non parlano. Guardano Gesù e Maria. Ma Maria è tanto velata dal suo manto che quasi non se ne vede il volto, e Gesù sembra non aver sentito. Però, finito il suo discorso – parlavano di Beniamino e del suo futuro, e parlano della vedova Sara di Afec, che si è stabilita a Cafarnao ed è madre amorosa non soltanto dell’infante di Giscala ma anche dei piccoli figli della donna di Cafarnao che, passata a seconde nozze, non amava più i figli del primo letto e che è morta poi «così male che veramente si è vista la mano di Dio nella sua morte», dice Salome – Gesù va avanti insieme con Giuda Taddeo e si unisce agli apostoli dicendo nell’andarsene: «Resta pure, Giovanni, se vuoi farlo. Io vado a rispondere all’inquieto e a metter pace». 
   Ma Giovanni, fatti ancor pochi passi con le donne, visto che ormai il sentiero si fa più aperto e luminoso, raggiunge di corsa Gesù proprio mentre dice: «Rassicurati, dunque, Giuda. Nulla faremo, come nulla abbiamo mai fatto, di irreale. Anche ora non facciamo cosa contro il prevedibile. Questo è il tempo in cui è prevedibile che ogni vero israelita, non impedito da malattie o cause gravissime, salga al Tempio. E noi al Tempio saliamo». 
   «Non tutti però. Marziam ho sentito che non ci sarà. È forse malato? Per qual motivo non viene? Ti pare di poterlo sostituire col samaritano?». Il tono di Giuda è insopportabile… 
   Pietro mormora: «O prudenza, incatena la lingua a me che sono uomo!», e stringe fortemente le labbra per non dire di più. I suoi occhi, un poco bovini, hanno uno sguardo che commuove, tanto sono visibili in essi lo sforzo che fa l’uomo per frenare il suo sdegno e l’afflizione di sentire Giuda parlare a quel modo. 

 3 La presenza di Gesù tiene ferma ogni lingua. È solo Lui che parla, dicendo con una calma veramente divina: 
   «Venite avanti un poco. Che le donne non sentano. Ho da dirvi una cosa da qualche giorno. Ve l’ho promessa nelle campagne di Tersa. Ma volevo ci foste tutti a sentirla. Tutti voi. Non le donne. Lasciamole nella loro umile pace… In quello che vi dirò sarà anche la ragione per la quale Marziam non sarà con noi, e non tua madre, Giuda di Keriot, e non le tue figlie, Filippo, e non le discepole di Betlemme di Galilea con la fanciulla. Vi sono cose che non tutti possono sopportare. Io, Maestro, so cosa è bene per i miei discepoli e quanto essi possono o non possono sopportare. Neppur voi siete forti per sopportare la prova. E grazia sarebbe per voi esserne esclusi.    Ma voi dovrete continuarmi e dovete sapere quanto siete deboli per essere in seguito misericordiosi con i deboli.    Perciò voi non potete essere esclusi da questa tremenda prova, che vi darà la misura di ciò che siete, di ciò che siete restati dopo tre anni che siete con Me e di ciò che siete  divenuti  dopo tre anni che siete con Me. Siete dodici. Siete venuti a Me quasi contemporaneamente. Non sono i pochi giorni che vanno dal mio incontro con Giacomo, Giovanni e Andrea, al giorno nel quale anche tu sei stato accolto fra noi, Giuda di Keriot, né a quello che tu, Giacomo fratello mio, e tu, Matteo, siete venuti con Me, quelli che possano giustificare tanta differenza di formazione fra voi. Eravate tutti, anche tu, dotto Bartolmai, anche voi, fratelli miei, molto informi, assolutamente informi rispetto a quanto è formazione nella mia dottrina. Anzi, la vostra formazione, migliore a quella di altri fra voi nella dottrina del vecchio Israele, vi era di ostacolo al formarvi in Me. Eppure, nessuno di voi ha percorso tanta strada quale sarebbe stata sufficiente a portarvi tutti ad un unico punto. Uno lo ha raggiunto, altri vi sono vicini, altri più lontani, altri molto indietro, altri… sì, devo dire anche questo, in luogo di venire avanti sono arretrati. Non vi guardate! Non cercate fra voi chi è il primo e chi è l’ultimo. Colui che, forse, si crede il primo ed è creduto primo, ha ancora da saggiare se stesso. Colui che si crede ultimo sta per risplendere nella sua formazione come una stella del cielo. Perciò, una volta di più, vi dico: non giudicate. I fatti giudicheranno con la loro evidenza. Per ora non potete capire. Ma presto, molto presto ricorderete queste mie parole e le capirete». 
   «Quando? Ci hai promesso di dirci, di spiegarci anche perché la purificazione pasquale sarà diversa quest’anno, e non ce lo dici mai», si lamenta Andrea. 
   «È di questo che vi ho voluto parlare. Perché tanto quelle parole che questa sono un’unica cosa, avendo radice in un’unica cosa. 

 4 Noi, ecco, stiamo ascendendo a Gerusalemme per la Pasqua. E là si compiranno tutte le cose dette dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo. . In verità, così come videro i profeti, come già è detto nell’ordine dato agli ebrei di Egitto, come fu ordinato a Mosè nel deserto, l’Agnello di Dio sta per essere immolato e il suo Sangue sta per bagnare gli stipiti dei cuori, e l’angelo di Dio passerà senza percuotere coloro che avranno su di loro, e con amore, il Sangue dell’Agnello immolato, che sta per essere innalzato come il serpente di prezioso metallo sulla barra trasversa, ad essere segno ai feriti dal serpente infernale, per essere salute a coloro che lo guarderanno con amore. Il Figlio dell’uomo, il vostro Maestro Gesù, sta per essere dato nelle mani dei principi dei sacerdoti, degli scribi e degli anziani, che lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai gentili perché venga schernito. E sarà schiaffeggiato, percosso, sputacchiato, trascinato per le vie come un cencio immondo, e  poi  i  gentili,  dopo averlo flagellato e coronato di spine, lo condanneranno alla morte di croce propria dei malfattori, volendo il popolo ebreo, radunato in Gerusalemme, la sua morte al posto di quella di un ladrone, ed Egli sarà così ucciso. Ma, così come è detto nei segni delle profezie, dopo tre giorni risorgerà. Questa la prova che vi attende.    Quella che mostrerà la vostra formazione. In verità vi dico, a voi tutti che vi credete tanto perfetti da sprezzare quelli che non sono d’Israele, e anche da sprezzare molti dello stesso popolo nostro, in verità vi dico che voi, mia parte eletta del gregge, preso il Pastore, sarete percossi da paura e vi sbanderete fuggendo, quasi che i lupi, che mi azzanneranno da ogni parte, fossero contro di voi rivolti. Ma, ve lo dico: non temete. Non vi sarà torto un capello. Basterò Io a saziare i lupi feroci…». 

 5 Gli apostoli, man mano che Gesù parla, sembrano creature sotto un grandinare di pietre. Si curvano persino, sempre più mano a mano che Gesù parla. E quando Egli termina: «E quanto vi dico è ormai imminente. Non è come le altre volte, che del tempo era davanti all’ora. Adesso l’ora è venuta. Io vado per essere dato ai miei nemici e immolato per la salute di tutti. E questo bocciolo di fiore non avrà ancora perduto i suoi petali, dopo esser fiorito, che Io sarò già morto», chi si ripara il volto con le mani e chi geme come se venisse ferito. L’Iscariota è livido, letteralmente livido… 
   Il primo a riprendersi è Tommaso, che proclama: «Questo non ti accadrà, perché noi ti difenderemo o moriremo insieme a Te, e così dimostreremo che ti avevamo raggiunto nella tua perfezione e che eravamo perfetti nell’amore di Te». 
   Gesù lo guarda senza parlare. 
   Bartolomeo, dopo un lungo silenzio meditabondo, dice: «Hai detto che sarai dato… Ma chi, chi può darti in mano ai tuoi nemici? Ciò non è detto nelle profezie. No. Non è detto. Sarebbe troppo orribile se un tuo amico, un tuo discepolo, un tuo seguace, anche l’ultimo di tutti, ti desse a quelli che ti odiano. No! Chi ti ha udito con amore, anche una volta sola, non può commettere questo delitto. Sono uomini, non belve, non satana… No, mio Signore.    E neppure quelli che ti odiano potranno… Hanno paura del popolo, e il popolo sarà tutto intorno a Te!». 
   Gesù guarda anche Natanaele e non parla. 
   Pietro e lo Zelote parlano fitto fitto fra loro. Giacomo di Zebedeo malmena, a parole, il fratello perché lo vede calmo, e Giovanni risponde: «È perche da tre mesi io so questo», e due lacrime gli scendono sul volto. I figli di Alfeo parlano con Matteo, che scrolla il capo sconfortato.
   Andrea si volge all’Iscariota: «Tu che hai tanti amici nel Tempio…». 
   «Giovanni conosce lo stesso Anna», ribatte Giuda e termina: «Ma che ci vuoi fare? Che vuoi che possa parola d’uomo se così è segnato?». 
   «Tu credi proprio?», domandano insieme Tommaso e Andrea. 
   «No. Io non credo niente. Sono allarmi inutili. Dice bene Bartolomeo. Tutto il popolo sarà intorno a Gesù. Già lo si vede da questi che si incontrano. E sarà un trionfo. Vedrete che sarà così», dice Giuda di Keriot. 
   «Ma allora perché Egli…», dice Andrea accennando a Gesù che si è fermato per attendere le donne. 
   «Perché lo dice? Perché è impressionato… e perché ci vuole provare. Ma non accadrà nulla. Del resto io andrò…». 
   «Oh! sì. Va’ a sentire!», supplica Andrea. 

 6 Tacciono perché Gesù li segue di nuovo, stando fra la Madre e Maria d’Alfeo. 
   Maria ha un pallido sorriso perché la cognata le mostra dei semi, presi non so dove, e le dice che vuol seminarli a Nazaret dopo la Pasqua, proprio presso la grotticella a Maria tanto cara: «Quando eri bambina io ti ricordo sempre con questi fiori nelle manine. Li chiamavi i fiori della tua venuta. Infatti, quando nascesti, il tuo orto ne era pieno, e quella sera, quando tutta Nazaret corse a vedere la figlia di Gioacchino, i ciuffi di queste stelline erano tutti un diamante per l’acqua che era scesa dal cielo e per l’ultimo raggio di sole che da ponente li colpiva, e posto che ti chiamavi “Stella”, tutti dicevano, guardando quelle tante piccole stelle brillanti: “I fiori si sono ornati a far festa al fior di Gioacchino e le stelle hanno lasciato il cielo per venir dalla Stella”, e sorridevano tutti, felici del presagio e della gioia di padre.

 7 E Giuseppe, il fratello del mio sposo, disse: “Stelle e stille. È veramente Maria!”. Chi glielo avrebbe detto allora che la sua stella avresti dovuto divenire? Quando tornò da Gerusalemme eletto a tuo sposo! Tutta Nazaret gli voleva far festa, perché era grande il suo onore venuto dal Cielo e venuto dagli sponsali con te, figlia di Gioacchino e Anna, e tutti lo volevano a festino. Ma egli con il suo dolce ma fermo volere respinse ogni festa, stupendo tutti, perché quale è quell’uomo, destinato a onorevoli nozze e con tal decreto dell’Altissimo, che non festeggi la sua felicità d’anima e di carne e sangue? Ma egli diceva: “A grande elezione grande preparazione”. E con continenza anche di parole e di cibo, ché ogni altra continenza era sempre stata in lui, passò quel tempo lavorando e pregando, perché credo che ogni colpo di martello, ogni segno di scalpello divenisse orazione, se orare si può col lavoro. Il suo viso era come estatico. Io andavo a riordinare la casa, imbiancare lenzuoli e ogni altro lasciati da tua madre e divenuti gialli nel tempo, e lo guardavo mentre lavorava nell’orto e nella casa a rifarli belli come mai fossero rimasti in abbandono, e gli parlavo anche… ma era come assorto. Sorrideva. Ma non a me o ad altri, ad un suo pensiero che non era, no,  il  pensiero  di  ogni  uomo prossimo a nozze. Quello è sorriso di letizia maliziosa e carnale… Lui… pareva sorridesse agli invisibili angeli di Dio, e con essi parlasse e si consigliasse… Oh! che io ne sono certa che essi lo istruissero sul come trattare te! Perché dopo, altro stupore di tutta Nazaret, e quasi sdegno del mio Alfeo, procrastinò le nozze a quanto più poté, e non si capì mai come d’improvviso si decidesse prima del tempo fissato. E anche quando ti si seppe madre, come stupì Nazaret della sua gioia assorta!… Ma anche il mio Giacomo è un poco così. E sempre più lo diventa. Ora che lo osservo bene – non so perché, ma da quando venimmo ad Efraim mi pare tutto nuovo – lo vedo così… proprio come Giuseppe. Guardalo anche ora, Maria, or che si volge di nuovo a guardarci. Non ha l’aspetto assorto, tanto abituale in Giuseppe, tuo sposo? Sorride di quel sorriso che non so dire se mesto o lontano. Guarda e ha lo sguardo lungo, oltre noi, che aveva Giuseppe tante volte. Ti ricordi come lo stuzzicava Alfeo? Diceva: “Fratello, vedi ancor le piramidi?”. Ed egli scoteva il capo senza parlare, paziente e segreto sui suoi pensieri. Poco ciarliero sempre. Ma da quando tornasti da Ebron! Neppur più veniva solo alla fontana, come prima faceva e come tutti fanno. O con te o al suo lavoro. E men che il sabato alla sinagoga o quando si recava per affari altrove, nessuno può dire di aver visto Giuseppe a zonzo in quei mesi. Poi partiste… Che affanno non saper più nulla di voi dopo la strage! Alfeo si spinse sino a Betlemme… “Partiti”, dissero. Ma come credere se vi odiavano a morte nella città dove ancora rosseggiava il sangue innocente e fumavano le rovine e vi si faceva accusa che per voi quel sangue era scorso?    Andò a Ebron e poi al Tempio, perché Zaccaria aveva il suo turno. Elisabetta non gli dette che lacrime, Zaccaria parole di conforto. L’una e l’altro, in affanno per Giovanni, temendo nuove ferocie, l’avevano nascosto e trepidavano per lui. Di voi nulla sapevano, e Zaccaria disse ad Alfeo: “Se sono morti, il loro sangue è su me, perché io li persuasi a rimanere a Betlemme”. 

 8 La mia Maria! Il mio Gesù visto così bello alla Pasqua che seguì la sua nascita! E non saperne nulla. Per tanto! Ma perché mai una notizia?». 
   «Perché bene era tacere. Là dove eravamo, molte erano le Marie e i Giuseppe, e bene era passar per una coppia qualunque di sposi», risponde quieta Maria e sospira: «Ed erano, nella loro tristezza, giorni ancor felici. Il male era così lontano ancora! Se tanto mancava alle nostre persone umane, lo spirito si saziava della gioia di averti, Figlio mio!». 
   «Anche ora ce l’hai, Maria, il Figlio tuo. Manca Giuseppe, è vero! Ma Gesù è qui e col suo completo amore di adulto», osserva Maria d’Alfeo. 
   Maria alza il capo a guardare il suo Gesù. E lo strazio è nel suo sguardo anche se la bocca sorride lievemente. Ma non aggiunge parola. 

 9 Gli apostoli si sono fermati ad attenderli e si riuniscono tutti, anche Giacomo e Giovanni che erano indietro a tutti con la madre loro. E mentre riposano dal cammino fatto e alcuni mangiano un poco di pane, la madre di Giacomo e Giovanni si avvicina a Gesù e si prostra davanti a Lui che non si è neppur seduto, frettoloso di riprendere il cammino. 
   Gesù la interroga, perché è palese in lei il desiderio di chiedere qualcosa: «Che vuoi, donna? Parla». 
   «Concedimi una grazia, prima che Tu te ne vada così come dici». 
   «E quale?». 
   «Quella di ordinare che questi miei due figlioli, che per Te tutto hanno lasciato, seggano uno alla tua destra e
l’altro alla tua sinistra quando Tu sarai seduto, nella tua gloria, nel tuo Regno». 
Gesù guarda la donna e poi guarda i due apostoli e dice: «Voi avete suggerito questo pensiero a vostra madre, interpretando molto male le mie promesse di ieri.  Il centuplo per ciò che avete lasciato non lo avrete in un regno della Terra. Anche voi dunque divenite avidi e stolti? Ma non voi. È già il crepuscolo mefitico delle tenebre che avanza e l’aria inquinata di Gerusalemme che si avvicina e vi corrompe e accieca… Io vi dico che voi non sapete ciò che chiedete! Potete voi forse bere il calice che berrò Io?». 
   «Noi lo possiamo, Signore». 
   «Come potete dirlo se ancor non avete compreso di quale amaritudine sarà il mio calice? Non sarà solamente l’amarezza che vi descrissi ieri, la mia di Uomo di tutti i dolori. Vi saranno torture che, anche se Io ve le descrivessi, voi non sareste in condizioni di capire… Eppure, sì, poiché – per quanto ancor come due bambini che non conoscono il valore di ciò che chiedono – poiché voi siete due spiriti giusti e amanti di Me, voi certo berrete al mio calice. Però sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a Me di concedervelo. Essa è cosa concessa a quelli ai quali è stato preparato dal Padre mio». 

10 Gli altri apostoli, mentre ancora Gesù parla, sono acerbi nel criticare la richiesta dei figli di Zebedeo e della loro madre. 
   Pietro dice a Giovanni: «Tu poi! Non ti riconosco più per quel che eri!». 
   E l’Iscariota, con il suo sorriso da demonio: «Veramente i primi sono gli ultimi! Tempo di sorprese e di cognizioni…», e ride verde. 
   «Abbiamo forse seguito per gli onori il Maestro nostro?», rimprovera Filippo. 
   Tommaso, invece che ai due, si volge a Salome dicendo: «Perché far mortificare i tuoi figli? Se non loro, tu dovevi riflettere e impedire questo». 
   «È vero. Nostra madre non lo avrebbe fatto», dice il Taddeo. 
   Bartolomeo non parla, ma il suo volto è tutto una disapprovazione. 
   Simone Zelote dice, a calmare lo sdegno: «Tutti possiamo errare…».    
   Matteo, Andrea e Giacomo di Alfeo non parlano, anzi visibilmente soffrono dell’incidente che incrina la bella perfezione di Giovanni. 
   Gesù fa un gesto per imporre silenzio e dice: «E che? Da un errore ne verranno molti? Voi, che rimproverate indignati, non vi accorgete di peccare voi pure? Lasciate stare questi vostri fratelli. Il mio rimprovero è sufficiente.    Il loro avvilimento è palese, il loro pentimento umile e sincero. Dovete amarvi fra voi, sorreggervi a vicenda.    Perché, in verità, nessuno di voi è perfetto ancora. Voi non dovete imitare il mondo e gli uomini di esso. Nel mondo, voi lo sapete, i principi delle nazioni le signoreggiano e i loro grandi esercitano su di esse il potere in nome dei principi. Ma tra voi così non deve essere. Non deve essere in voi smania di signoreggiare sugli uomini, né sui compagni. Anzi, chi tra voi vorrà diventare maggiore si faccia vostro ministro e chi vuol essere primo si faccia servo di tutti. Così come ha fatto il Maestro vostro. Son forse venuto per opprimere e signoreggiare? Per essere servito?    No, in verità, no. Io sono venuto per servire. E così, come il Figlio dell’uomo non è venuto ad essere servito, ma per servire e per dare la vita sua in redenzione di molti, così voi dovrete saper fare, se vorrete essere come Io sono e dove Io sono. Ora andate. E siate in pace fra voi come Io lo sono con voi». 

11 Mi dice Gesù: 
   «Segna molto il punto: «“…voi certo berrete al* mio calice”. Nelle traduzioni si legge: “il mio calice”. Ho detto “al mio”, non “il mio”. Nessun uomo avrebbe potuto bere il mio calice. Io solo, Redentore, l’ho dovuto bere tutto il mio calice. Ai miei discepoli, ai miei imitatori e amanti, certo è concesso bere a quel calice dove Io bevvi, per quella stilla, quel sorso, o quei sorsi, che la predilezione di Dio concede loro di bere. Ma mai nessuno lo berrà tutto il calice come Io lo bevvi. Dunque è giusto dire “al mio calice” e non “il mio calice”».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 12, 8-12: “Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio”.

Vangelo Novus Ordo Lc 12, 8-12
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Io vi dico: chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell’uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio; ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini, sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
Chiunque parlerà contro il Figlio dell’uomo, gli sarà perdonato; ma a chi bestemmierà lo Spirito Santo, non sarà perdonato.
Quando vi porteranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi di come o di che cosa discolparvi, o di che cosa dire, perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXLVI. Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.

   30 Novembre 1945

 1 Gesù deve aver lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo giorno intorno a Gesù, che si dirige verso il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupore a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luoghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i Rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio.
   Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non dà ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuemente rosei, o rosa deciso, o rosa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando presso le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case.
   «I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore», osserva Simone Zelote.
   «Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albero in fiore e non ci metti invece le prime rose?”; e Lei rispondeva: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi venne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi Giuda?», chiede Giacomo d’Alfeo al fratello.
   «Si. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attendevo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…»

 2 «Oh! andiamoci presto a vederla, Signore! Che veda anche io tutto questo!», supplica Tommaso.
   «Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo», risponde Gesù.
   «Mi accontenti proprio, Signore?».
   «Si, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito».  
   «Si. E noi andiamo a dire alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”». 
   «E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!», dice Pietro.
   «Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso».
   «Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?», dice Tommaso.
   «Io credo che siamo tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea della sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come quando si guarda un fiore… Maria, la bellezza della Terra e, credo, la bellezza del Cielo…», dice Matteo.
   «È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…», dice Filippo.
   «La si ama perché è “Maria”. Ecco!», sentenzia Pietro.

 3 Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene. Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il figlio di Dio e il Figlio dell’Uomo”. Ma ora anche vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Figlio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli».
   «Quando?», chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli.
   «Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette», risponde Gesù evasivamente.
   Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle rive del ruscello, e Giovanni dice: «E’ un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis.
   «Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore», lo consola Giacomo suo fratello.
   Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare allegramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apostoli.

 4 Il pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i discepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre.
   «Si. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un Profeta. Eppure la madre è ricordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissime, lo sarebbe Maria per aver dato al mondo Gesù il Salvatore. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacrificio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà concesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli».
   «Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?», chiede l’Iscariota.
   «Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra».
   «Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, perché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai dolore a tua Madre».
   «No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente o che vivrà, costa lacrime a Maria».
   «Ma perché?», chiede stupito Giacomo di Zebedeo.
   «Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo».
   «Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sadducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità. Ma non più di così», asserisce sicuro Bartolomeo.    
   «Giovanni Battista fu anche ucciso… e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti di Dio».
   «Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si alzerà su di Te», dice Giuda Taddeo.
   «Lo credi fratello? Sei in errore», gli risponde Gesù.
   «No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permetterà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi.
   Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse.

 5 Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui – una corona di visi addolorati ma più ancora increduli – e mormorii vanno per il gruppo:
   «Certo… se così fosse… il Taddeo avrebbe ragione».
   «Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo».
   «Cristo può essere perseguitato ma non avvilito».
   «L’unzione di Dio è su di Lui».
   «Chi ti potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?».
   «Noi non lo permetteremo».
   L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. Suo fratello lo investe: «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si scosta alquanto, piangendo. 
   «E’ uno stolto!», sentenzia suo fratello.
   «Forse meno di quanto lo credi», gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resuscita. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto».
   «Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!», ribatte il Taddeo e molti gli dànno ragione.
   «Si, ma allora non sarebbe un segno dato a questa generazione che è molto più vecchia di Lui», osserva Simone Zelote.
   «Già. Ma non è detto che parli di Se stesso», ribatte il Taddeo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto.
   «Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risuscitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può essere nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale», dice Isacco con sicura testimonianza.
   Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guardandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passioni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Completa sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei sommi sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre persone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzogna e dall’Odio».

 6 Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera.
   Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, prende Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concetto. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospettarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici. Ma mai avvilirti a renderti uguale a un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amorevolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza.
   Gesù che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pietro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruccio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva a tutti: «Và lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Và! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è apparire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo».
   Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange… E non è il pianto gioioso di pochi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama.
   E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano consolato da Isacco e dallo Zelote.

 7 Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avanti. Raggiunge Gesù . chiama piano, con apparente tremore: « Maestro! Maestro!…».
   Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?».
   «Maestro, mio fratello è afflitto… piange…».
   «Se lo è meritato».
   «E’ vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo… Non può sempre parlare bene».
   «Infatti oggi ha parlato molto male», risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino.
   Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece errare…».
   «L’amore deve essere la luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tenebre e se ne è fasciato lo spirito».
   «E’ vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si voglia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo. L’interno di mio fratello è buono».
   «Si levi allora le fasce che vi ha messo».
   «Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?».
   «Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare…».
   «Oh! Signore! È vero, si. Ma non ti ricordi di Maria di Lazzaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato… ed essi non ti avevano dato ancora che l’intenzione di redimersi… Signore!… Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae… Non mi scolteresti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?».
   Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosa-mente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Và a chiamarmi tuo fratello», dice «e portamelo qui».
   «Oh! grazie, mio Signore! Vado…», e corre via, lesto come una rondine.

 8 «Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vieni, che te lo vuole dire».
   «No, no. Io mi vergogno… Da troppo poco tempo mi ha rimproverato… Deve volermi per rimproverarmi ancora…».
   «Come lo conosci male! Su vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni».
   «Ma che gli dirò mai?», dice Pietro avviandosi un poco recalcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?», continua a chiedere.
   «Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà», lo rincuora il fratello.
   Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guardano i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene.
   Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla  al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma… Pietro alza il viso… Gesù abbassa il viso… Si guardano… Due lacrimosi rotolano giù per le guance arrossate di  Pietro…
   «Qui, grande bambino riflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto», dice Gesù e alza la mano, sulla quale è ancora ben visibile il segno della sassata di Giocala, e asciuga con le sue dita quelle lacrime.
   «Oh! Signore! Mi hai perdonato?», chiede Pietro tremebondo, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto.
   «Non ti ho mai colpito di condanna…».
   «Ma prima…».
   «Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il primo in tutto, Simon Pietro».
   «Allora… allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi ancora? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ultimo, ma essere con Te, al tuo servizio… e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!».
   Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco. 
   Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci… felice. E mormora: «Quanto ho sofferto!… Grazie, Gesù».
   «Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo.

 9 Attendiamo gli altri. Dove sono?».
   Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortificato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli.
   Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro dice: 
   «Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona. 
   Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi do la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, , ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la do con la mia Morte. E ricordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve essere pronto a morire per dare agli altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso.
   Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della Terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali. Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguitemi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mutazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla Terra la perderà, mentre colui che perderà la vita sulla Terra per causa mia e per amore al mio Vangelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde la sua anima?

10 E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mezzo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho parlato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rinnegando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi (il Regno di Dio ebbe inizio il Venerdì Santo, per i meriti del Cristo, e si affermò poi con la Chiesa costituita. Ma non tutti videro questo affermarsi sempre più), col suo Re incoronato e unto».
   Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo…

   Cap. CDXXI. L’indemoniato guarito, i farisei e la bestemmia contro lo Spirito Santo.

   22 aprile 1946.
 
 1 ­Passata la Settimana Santa e conseguente penitenza del non vedere, ritorna stamane la vista spirituale del Vangelo. E ogni mio affanno si oblìa in questa gioia, che si annuncia sempre con un’indescrivibile sensazione di giubilo sovrumano…
   …Ed ecco che vedo Gesù, ancora camminante lungo i boschetti che costeggiano il fiume, fermarsi ordinando una sosta in queste ore troppo calde per permettere il cammino. Perché, se è vero che l’intrico folto dei rami fa riparo al sole, esso produce però anche come una cappa di ostacolo allo scorrere delle brezze appena sensibili, e perciò l’aria, là sotto, è calda, ferma, pesante, di un umidore che trasuda dal suolo prossimo al fiume, un umidore che non è ristoro, ma tormento appiccicoso che si mescola e aumenta al già tormentoso sudore che scorre sui corpi.
   «Sostiamo fino a sera. Poi scenderemo al greto biancheggiante, visibile anche al lume delle stelle, e proseguiremo nella notte. Ora prendiamo cibo e riposo».
   «Ah! prima del cibo prenderò ristoro nelle acque. Saranno tiepide anche esse come un decotto per la tosse, ma serviranno a levarmi il sudore. Chi viene con me?», chiede Pietro.
   Tutti vanno con lui. Tutti, anche Gesù che è come tutti sudato e colla veste pesante di polvere e sudore. Si prendono ognuno una veste pulita dalla sacca e scendono al fiume. Sull’erba, a segnale della loro sosta, non restano che le tredici sacche e le fiaschette dell’acqua, vegliate dagli alberi annosi e da innumerevoli uccelli, che guardano curiosi coi loro occhietti di giaietto le tredici gonfie sacche multicolori sparse sull’erba. Le voci dei bagnanti si allontanano e si confondono nel fruscio del fiume. Solo ogni tanto qualche risata squillante dei più giovani risuona come una nota alta sugli accordi bassi e monotoni del fiume.

 2 Ma il silenzio è presto rotto da uno scalpiccio di passi. Delle teste si affacciano da un intrico, sbirciano, dicono con espressione contenta: «Sono qui. Si sono fermati. Andiamo a dirlo agli altri», e scompaiono allontanandosi dietro i cespugli…
   …Intanto, rinfrescati, con i capelli ancora umidi per quanto rudimentalmente asciugati, scalzi e coi sandali lavati e gocciolanti tenuti per i cingolini, con le vesti fresche indosso e le altre deposte forse sui canneti dopo una sciacquata nelle acque azzurre del Giordano, tornano gli apostoli col Maestro. Palesemente ristorati da quel lungo bagno.
   Ignorando di essere stati scoperti, si siedono, dopo che Gesù ha offerto e distribuito il cibo. E dopo il cibo, assonnati, si sdraierebbero e dormirebbero. Ma ecco venire un uomo, e dopo il primo il secondo, e il terzo…
   «Che volete?», interroga Giacomo di Zebedeo che li vede venire e arrestarsi presso un macchione, incerti se farsi avanti o meno. Gli altri, Gesù compreso, si voltano a vedere con chi parla Giacomo.
   «Ah! sono quelli del paese… Ci hanno seguiti!», dice senza entusiasmo Tommaso che si apprestava a dormire un poco.
   Intanto gli interrogati rispondono, un poco intimoriti vedendo la palese ripugnanza degli apostoli a riceverli: «Volevamo parlare al Maestro… Dire che… Vero, Samuele?…», e si arrestano, non osando dire di più.
   Ma Gesù, benigno, li incoraggia: «Dite, dite. Avete altri malati?…», e intanto si alza dirigendosi verso di loro.
   «Maestro, sei stanco anche più di noi. Riposati un poco e loro aspettino…», dicono in più d’un apostolo.
   «Qui vi sono creature che mi desiderano. Perciò essi pure non hanno riposo di pace nel cuore. E la stanchezza del cuore è da più di quella delle membra. Lasciate che Io li ascolti».
   «E va bene! Addio riposo nostro!…», borbottano gli apostoli, abbrutiti dalla stanchezza e dal caldo al punto di rimproverare in presenza di estranei il loro Maestro, tanto che dicono: «E quando, senza prudenza, ci avrai fatti tutti malati, troppo tardi capirai che ti eravamo necessari».
   Gesù li guarda… con pietà. Non c’è altro nei suoi dolci occhi stanchi… Ma risponde: «No, amici. Io non pretendo che voi mi imitiate. Guardate, voi rimanete qui, in riposo. Io mi dilungo con questi, li ascolto e poi vengo a mettermi a riposo fra voi».
   Così dolce la risposta, che ottiene più di un rimprovero. Il buon cuore, l’affetto dei dodici si risveglia e prende il sopravvento: «Non già, Signore! Resta dove sei e parla ad essi. Noi andremo a voltare le nostre vesti per farle asciugare dall’altro lato. Così vinceremo il sonno, e poi verremo e riposeremo insieme». E i più assonnati vanno verso il fiume… Restano Matteo, Giovanni e Bartolomeo.

 3 Ma intanto i tre cittadini sono divenuti più di dieci e sempre crescono…
   «Dunque? Venite avanti e parlate senza timore».
   «Maestro, partito Te, si sono fatti ancor più violenti i farisei… Hanno assalito l’uomo da Te liberato e… se non diverrà pazzo sarà un nuovo miracolo… perché… gli hanno detto che… che Tu lo hai levato da un demonio che non impediva che la ragione, ma che gli hai dato un demone più forte, forte tanto che ha vinto il primo, forte più del primo, perché questo danna e possiede il suo spirito, e perciò mentre della prima possessione non avrebbe avuto a portare le conseguenze nell’altra vita, perché le sue azioni non erano… come hanno detto, Abramo?…».
   «Hanno detto… oh! un nome strano… Insomma di quelle azioni Dio non gli avrebbe chiesto conto, perché fatte senza libertà di mente, mentre ora egli, adorando per imposizione del demonio che ha in cuore, messo da Te — oh! ci perdona se te lo diciamo! — da Te, principe dei demoni, adorando Te con mente non più folle, è sacrilego e maledetto, e dannato sarà. Onde il povero infelice rimpiange lo stato di prima e… quasi impreca a Te… Più folle di prima perciò… e la madre si dispera per il figlio che dispera di salvarsi… e ogni gioia in strazio si è mutata. Noi, a dar pace, ti abbiamo cercato, e l’angelo certo qui ci ha guidati… Signore, noi crediamo che Tu sei il Messia. E crediamo che il Messia ha in Sé lo Spirito di Dio. Perciò è Verità e Sapienza. E ti chiediamo di darci pace e spiegazione…».
   «Voi siete nella giustizia e nella carità. Siate benedetti. Ma dove è l’infelice?».
   «Ci segue con la madre, piangendo la sua disperazione. Vedi? Tutto il paese, meno essi, i crudeli farisei, viene a questa volta, incurante delle minacce loro. Perché ci hanno minacciato punizioni per il nostro credere in Te. Ma Dio ci proteggerà».
   «Dio vi proteggerà. Conducetemi al graziato».
   «No. Te lo condurremo. Attendi», e in molti se ne vanno verso il nucleo più numeroso, che viene avanti gestendo mentre due pianti acuti dominano il brusio della folla. Gli altri, i rimasti, sono tanti già e, quando a questi si riuniscono gli altri con al centro l’indemoniato guarito e la madre sua, è veramente una grande folla quella che si pigia fra gli alberi intorno a Gesù, salendo anche sugli alberi per trovare posto per sentire e vedere.

 4 Gesù va incontro al suo miracolato che, come lo vede, strappandosi i capelli e inginocchiandosi dice: «Rendimi il primo demonio! Per pietà di me, della mia anima! Che ti ho fatto perché Tu mi nuocessi tanto?».
   E sua madre, pure in ginocchio: «Egli delira di paura, Signore! Non accogliere le sue bestemmiatrici parole, ma liberalo dalla paura che quei crudeli gli hanno infusa, onde non perda la vita dell’anima. Tu l’hai liberato una volta!… Oh! per pietà di una madre, liberalo ancora!».
   «Sì, donna. Non temere! Figlio di Dio, ascolta!». E Gesù appoggia le sue mani sul capo spettinato del delirante di paura soprannaturale. «Ascolta. E giudica. Da te giudica, perché ora il tuo giudizio è libero e puoi giudicare con giustizia. Vi è un modo sicuro per comprendere se un prodigio viene da Dio o da un demonio. Ed è ciò che l’anima prova. Se il fatto straordinario viene da Dio, pace si infonde nell’anima, pace e gaudio maestoso. Se da un demonio, viene, con esso prodigio, turbamento e dolore. E anche dalle parole di Dio pace e gaudio vengono, mentre da quelle di un demonio, sia demonio spirito o demonio uomo, viene turbamento e dolore. E anche dalla vicinanza di Dio viene pace e gaudio, mentre dalla vicinanza di spiriti o uomini malvagi viene turbamento e dolore. Ora rifletti, figlio di Dio. Quando, cedendo al demone della lussuria, tu cominciasti ad accogliere in te il tuo oppressore, godevi gaudio e pace?».
   L’uomo riflette e arrossendo risponde: «No, Signore».
   «E quando il perpetuo Avversario ti prese del tutto, avesti pace e gaudio?».
   «No, Signore. Mai. Finché ho compreso, finché fui con un lembo di mente libera, ebbi turbamento e dolore dalla prepotenza dell’Avversario. Poi… non so… Non avevo più l’intelletto capace di capire ciò che soffrivo… Ero più di una bestia… Ma anche in quello stato in cui parevo meno intelligente di un animale… oh! quanto ancora potevo soffrire! Non so dire di che… L’inferno è tremendo! È un tutto orrendo… e non si può dire ciò che è…».
   L’uomo trema davanti al rudimentale ricordo delle sue sofferenze di posseduto. Trema, sbianca, suda… La madre lo abbraccia baciandolo sulla guancia per sviarlo da quell’incubo… La gente sussurra commentando.
   «E quando ti risvegliasti con la mano nella mia mano? Che provasti?».
   «Oh! uno stupore così dolce… e poi una gioia, una pace più grande ancora… Pareva che io uscissi da una carcere oscura dove erano state catene serpenti senza numero, e aria fetori di putrida fogna, ed entrassi in un giardino in fiore, pieno di sole, di canti… Ho conosciuto il Paradiso… ma anche questo non si può descrivere…». L’uomo sorride come rapito nel ricordo della sua breve e recente ora di gaudio. Poi sospira e termina: «Ma è presto finito…».
   «Ne sei sicuro? Dimmi, ora che sei a Me vicino e lontano sei da quelli che ti hanno turbato, che provi?».
   «La pace ancora. Qui con Te io non posso credere di esser dannato e le loro parole mi sembrano bestemmia… Ma io le ho credute… Non ho dunque peccato verso di Te?».
   «Non tu hai peccato. Ma essi. Sorgi, figlio di Dio, e credi alla pace che è in te. Pace viene da Dio. Tu sei con Dio. Non peccare e non temere», e leva le mani dal capo dell’uomo facendolo alzare.

 5 ­«Veramente così è, Signore?», chiedono molti.
   «Veramente così è. Il dubbio suscitato dalle parole pensatamente dannose fu l’ultima vendetta di Satana uscito da costui, vinto, desideroso di riprendere la preda perduta».
 Con molto buon senso un popolano dice: «Ma allora… i farisei… hanno servito Satana!», e molti applaudono alla giusta osservazione.
   «Non giudicate. C’è chi giudica».
   «Ma almeno noi siamo schietti nel giudicare… e Dio vede che giudichiamo su colpe palesi. Essi si fingono ciò che non sono. Agiscono con menzogna e con mire non buone. Eppure trionfano più di noi che siamo onesti e sinceri. Sono il nostro terrore. Estendono la loro potenza persino sulla libertà di fede. Si deve credere e praticare come a loro piace. E ci minacciano perché ti amiamo. Tentano ridurre i tuoi miracoli a stregonerie, a mettere paura di Te. Cospirano, opprimono, nuoccio­no…».

 6 La folla parla tumultuosamente. Gesù fa un gesto imponendo silenzio e dice:
   «Non accogliete nel cuore ciò che è loro. Non le loro insinuazioni e non i loro sistemi. E neppure l’idea: “essi sono cattivi eppure trionfano”. Non ricordate le parole della Sapienza: “Breve è il trionfo dello scellerato”, e l’altra dei Proverbi: “Non seguire, o figlio, gli esempi dei peccatori e non ascoltare le parole degli empi, perché essi rimarranno impigliati nelle catene delle colpe loro e ingannati dalla loro grande stoltezza”? Non mettete in voi ciò che è di coloro che voi stessi, benché imperfetti, giudicate ingiusti. Mettereste in voi lo stesso lievito che corrompe loro. Il lievito dei farisei è l’ipocrisia. Essa non sia mai in voi, né rispetto alle forme del culto verso Dio, né rispetto al modo di usare coi fratelli. Guardatevi dal lievito dei farisei. Pensate che non c’è nulla d’occulto che non possa essere scoperto, nulla di nascosto che non finisca ad esser noto.
   Voi vedete. Essi mi avevano lasciato partire e poi avevano seminato zizzania dove il Signore aveva gettato seme eletto. Credevano di aver fatto sottilmente e vittoriosamente. E sarebbe bastato che voi non mi aveste trovato, che Io avessi passato il fiume non lasciando traccia di Me sull’acqua che si ricompone dopo che la prua l’ha aperta, perché il loro mal fare, sotto aspetto di ben fare, trionfasse. Ma presto è stato scoperto il giuoco e la loro mala opera è annullata. E così di tutte le azioni dell’uomo. Uno almeno, Dio, le conosce e provvede. Quanto viene detto all’oscuro finisce ad esser svelato dalla Luce, e quello che viene tramato in segreto in una camera può esser disvelato come fosse stato preparato su una piazza. Perché ogni uomo può avere il suo delatore. E perché ogni uomo è visto da Dio, il quale può intervenire a smascherare i colpevoli.

 7 ­Perciò occorre agire sempre con onestà per vivere con pace. E chi così vive non abbia paura. Non paura in questa vita, non paura per l’altra vita. No, amici miei, Io ve lo dico: chi agisce da giusto non abbia paura. Non paura di coloro che uccidono, sì, di coloro che possono uccidere il corpo, ma che dopo di ciò non possono fare altro. Io vi dico di che avete a temere. Temete di quelli che, dopo avervi fatto morire, vi possono mandare all’inferno, ossia dei vizi, dei cattivi compagni, dei falsi maestri, di tutti coloro che vi insinuano il peccato o il dubbio nel cuore, di quelli che tentano di corrompere l’anima più del corpo e portarvi al distacco da Dio e a pensieri di disperazione nella divina Misericordia. Di questo avete a temere, Io ve lo ripeto. Perché allora sarete morti in eterno. Ma per il resto, per la vostra esistenza, non temete. Il Padre vostro non perde d’occhio neppure uno di questi minimi uccelli che nidificano fra le fronde degli alberi. Non uno di essi cade nella rete senza che il suo Creatore lo sappia. Eppure è ben piccolo il loro valore materiale: cinque passeri per due assi. E nullo è il loro valore spirituale. Ciononostante, Dio se ne cura. Come dunque non avrà cura di voi? Della vostra vita? Del vostro bene? Anche i capelli del capo vostro sono noti al Padre, né alcuna ingiuria che viene fatta ai suoi figli gli passa inosservata, perché voi siete i suoi figli, ossia molto più dei passeri che nidificano sui tetti e fra il fogliame.

 8 E figli rimanete finché da voi non rinunciate ad esserlo, di vostra libera volontà. E si rinuncia a questa figliolanza quando si rinnega Iddio e il Verbo che Dio ha mandato fra gli uomini per portare gli uomini a Dio. Allora, quando uno non mi vuole riconoscere davanti agli uomini, perché teme da questo riconoscimento del danno, allora anche Dio non lo riconoscerà per suo figlio, e il Figlio di Dio e dell’uomo non lo riconoscerà davanti agli angeli del Cielo, e chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini sarà rinnegato per figlio davanti agli angeli di Dio. E chi avrà parlato male e contro il Figlio dell’uomo sarà ancora perdonato, perché Io perorerò il suo perdono presso il Padre, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato. Questo perché? Perché non tutti possono conoscere l’estensione dell’Amore, la sua perfetta infinità, e vedere Dio in una carne simile ad ogni carne d’uomo. I gentili, i pagani non possono credere questo per fede, perché la loro religione non è amore. Anche fra noi il rispetto pauroso che ha Israele per Jeové può impedire che si creda che Dio si sia fatto uomo e il più umile degli uomini. Una colpa il non credermi. Ma quando si appoggia su un eccessivo timore di Dio è ancora perdonata. Ma perdonato non può essere chi non si arrende alla verità che traluce dai miei atti e nega allo Spirito d’Amore di aver potuto mantenere la parola data di mandare il Salvatore al tempo stabilito, il Salvatore preceduto e accompagnato dai segni predetti.

 9 ­Essi, coloro che mi perseguitano, conoscono i profeti. Le profezie sono piene di Me. Essi conoscono le profezie e conoscono ciò che Io faccio. La verità è palese. Ma essi la negano per volontà di negarla. Sistematicamente negano che Io sia non solo il Figlio dell’uomo, ma il Figlio di Dio predetto dai profeti, il Nato da una Vergine non per voler dell’uomo ma dell’Amore eterno, dell’eterno Spirito che mi ha annunciato perché gli uomini mi potessero riconoscere. Essi, per poter dire che il buio dell’attesa del Cristo dura, si ostinano a tener chiusi gli occhi per non vedere la Luce che è nel mondo, e perciò rinnegano lo Spirito Santo, la sua Verità, la sua Luce. E per costoro sarà giudizio più severo che per coloro che non sanno. E dirmi “satana” non sarà loro perdonato, perché lo Spirito per Me fa opere divine e non sataniche. E portare altri a disperazione quando l’Amore li ha portati alla pace non sarà perdonato. Perché queste sono tutte offese allo Spirito Santo. A questo Spirito Paraclito che è Amore e dona amore e chiede amore, e che attende il mio olocausto d’amore per effondersi in amore sapiente, illuminante nei cuori dei miei fedeli. E quando ciò sarà avvenuto e ancora vi perseguiteranno accusandovi davanti ai magistrati e ai principi nelle sinagoghe e nei tribunali, non vi preoccupate pensando a come vi scagionerete. Lo stesso Spirito vi dirà ciò che avete a rispondere per servire la Verità e conquistarvi la Vita, così come il Verbo vi sta dando quanto occorre per poter entrare nel Regno della Vita eterna.

 10­Andate in pace. Nella mia pace. In quella pace che è Dio e che Dio emana per saturarne i suoi figli. Andate e non temete. Io non sono venuto per ingannarvi ma per istruirvi, non a perdervi ma a redimervi. Beati quelli che sapranno credere alle mie parole. E tu, uomo, due volte salvato, sii forte e ricorda la pace mia per dire ai tentatori: “Non tentate di sedurmi. La mia fede è che Egli è il Cristo”. Va’, o donna. Va’ con lui e state in pace. Addio. Tornate alle case e lasciate il Figlio dell’uomo all’umile riposo sull’erba prima di riprendere il perseguitato suo cammino alla ricerca di altri da salvare, fino alla fine. La mia pace stia con voi».
   Li benedice e torna là dove hanno mangiato. E gli apostoli con Lui. E, sfollata la gente, si stendono col capo sulle sacche e presto il sonno li prende, nel calore afoso del pomeriggio e nel silenzio pesante di queste ore torride.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, 
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 12, 1-7 : “Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Vetus Ordo 

    Cap. CCVI. Con due parabole sul regno dei Cieli termina la sosta a Betania.

   1 luglio 1945.

   206.1 Alla presenza dei contadini di Giocana, di Isacco e molti discepoli, delle donne fra cui è Maria Ss. e Marta, e molti di Betania, Gesù parla. Tutti gli apostoli sono presenti. Il bambino, seduto di fronte a Gesù, non perde una parola. Il discorso deve essere iniziato da poco perché ancora viene della gente… Dice Gesù:
   «…è per questo timore, che sento così vivo in molti, che voglio oggi proporvi una dolce parabola. Dolce per gli uomini di buona volontà, amara per gli altri. Ma costoro hanno il modo di abolire questo amaro. Divengano loro pure di buona volontà, e il rimprovero, suscitato dalla parabola nella coscienza, cesserà di essere.

   206.2 Il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti tra Dio e le anime. Il momento dell’entrata in esso, il giorno degli spon sali.
   Or dunque udite. Da noi è costume che le vergini facciano scorta allo sposo che giunge, per condurlo fra lumi e canti alla casa nuziale insieme alla sua dolce sposa. Quando il corteo lascia la casa della sposa, che velata e commossa si dirige al suo posto di regina, in una casa non sua ma che, dal momento in cui ella diviene una carne con lo sposo, sua diventa, il corteo delle vergini, amiche per lo più della sposa, corre incontro a questi due felici per circondarli di un anello di luci.
   Ora avvenne che in un paese si fece uno sponsale. Mentre gli sposi coi parenti e amici tripudiavano nella casa della sposa, dieci vergini andarono al loro posto, nel vestibolo della casa dello sposo, pronte ad uscire a lui incontro quando un lontano suono di cembali e di canti avesse ad avvertire che gli sposi avevano lasciato la casa della sposa per venire a quella dello sposo. Ma il convito nella casa degli sponsali si prolungava, e scese così la notte.
   Le vergini, voi lo sapete, tengono sempre le lampade accese per non perdere tempo al momento buono. Ora fra queste dieci vergini, dalle lampade accese e ben lucenti, ve ne erano cinque savie e cinque stolte. Le savie, piene di prudenza, si erano provviste di piccoli vasi pieni d’olio, per potere alimentare le lampade se la durata dell’attesa fosse stata più lunga del prevedibile, mentre le stolte si erano limitate ad empire per bene le lampadette.
   Un’ora passò dopo l’altra. Gai discorsi, racconti, facezie rallegrarono l’attesa. Ma poi non seppero più che dire, né che fare. E, annoiate o anche semplicemente stanche, le dieci fanciulle si sedettero più comodamente, con le loro lampade accese e ben vicine, e piano piano si addormentarono.

   206.3 Venne la mezzanotte e si udì un grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro!”. Le dieci fanciulle sorsero al comando, presero i veli e le ghirlande e si acconciarono, e corsero alla mensola dove erano le lampade. Cinque di esse languivano ormai… Il lucignolo, non più nutrito dall’olio, tutto consumato, fumigava con sprazzi sempre più deboli, pronto a spegnersi al minimo soffio d’aria; mentre le altre cinque lampade, alimentate prima del sonno dalle prudenti, avevano fiamme ancor vive che si fecero ancora più vive per il nuovo olio aggiunto al vasello del lume.
   “Oh!”, pregarono le stolte, “dateci un poco del vostro olio, perché altrimenti le lampade si spegneranno al solo muoverle. Le vostre sono già belle!…”. Ma le prudenti risposero: “Fuori è il vento della notte e cade la guazza a grosse gocce. Mai non basta l’olio per fare una robusta fiamma che possa resistere ai venti e all’umidore. Se ve ne diamo, accadrà che a noi pure vacillerà la luce. E ben triste sarebbe il corteo delle vergini senza il palpitare delle fiammelle! Andate, correte dal venditore più vicino, pregate, bussate, fatelo alzare perché vi dia olio”. E quelle, affannate, sgualcendo i veli, macchiandosi le vesti, perdendo le ghirlande nell’urtarsi e nel correre, seguirono il consiglio delle compagne.
   Ma, mentre andavano a comprare l’olio, ecco spuntare dal fondo della via lo sposo con la sposa. Le cinque vergini, munite di lampade accese, gli corsero incontro, e in mezzo a loro gli sposi entrarono in casa per la fine della cerimonia, quando le vergini avrebbero scortato per ultimo la sposa fino alla camera nuziale. L’uscio venne chiuso dopo l’entrata degli sposi, e chi fuori era fuori rimase. E così fu per le cinque stolte che, giunte infine con l’olio, trovarono la porta serrata e inutilmente vi picchiarono contro, ferendosi le mani e gemendo: “Signore, signore, aprici! Siamo del corteo delle nozze. Siamo le vergini propiziatorie, scelte per portare onore e fortuna al tuo talamo”.
   Ma lo sposo, dall’alto della casa, lasciando per un momento gli invitati più intimi da cui si accomiatava mentre la sposa entrava nella stanza nuziale, disse: “In verità vi dico che non vi conosco. Non so chi siate. I vostri visi non erano festanti intorno alla mia amata. Usurpatrici siete. Siate perciò lasciate fuori dalla casa delle nozze”. E le cinque stolte, piangendo, se ne andarono per le strade buie, con l’ormai inutile lume, con le vesti sgualcite, i veli strappati, le ghirlande disfatte o perdute…

   206.4 Ed ora sentite il sermone chiuso nella parabola.
   Vi ho detto al principio che il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti fra Dio e le anime. Alle nozze celesti sono chiamati tutti i fedeli, perché Dio ama tutti i suoi figli. Chi prima, chi poi, si trova al momento degli sponsali, e l’esservi arrivati è gran sorte. Ma ora udite ancora. Voi sapete come le fanciulle reputino onore e fortuna esser chiamate ad ancelle intorno alla sposa. Applichiamo al nostro caso i personaggi e capirete meglio.
   Lo sposo è Dio. La sposa, l’anima di un giusto che, superato il periodo del fidanzamento nella casa del Padre, ossia nella tutela e ubbidienza della e alla dottrina di Dio, vivendo secondo giustizia, viene portata nella casa dello Sposo per le nozze. Le ancelle-vergini sono le anime dei fedeli che, per l’esempio lasciato dalla sposa – essere stata scelta dallo Sposo per le sue virtù è segno che costei era un esempio vivo di santità – cercano di giungere allo stesso onore, santificandosi.

   206.5 Sono in veste bianca, netta e fresca, in bianchi veli, coronate di fiori. Hanno lampade accese in mano. Le lampade sono ben pulite, dal lucignolo nutrito di olio del più puro perché non sia maleodorante.
   In veste bianca. La giustizia fermamente praticata dà candida veste e presto verrà il giorno che candidissima sarà, senza neppur più il lontano ricordo di macchia, di un candore supernaturale, di un candore angelico.
   In veste netta. Occorre con l’umiltà tenere sempre netta la veste. Tanto facile è offuscare la purezza del cuore. E chi non è mondo di cuore non può vedere Dio. L’umiltà è come acqua che lava. L’umile si accorge subito, perché ha occhio non offuscato da fumi di orgoglio, di essersi offuscata la veste e corre dal suo Signore e dice: “Ho levato la nettezza a questo mio cuore. Io piango per mondarmi, ai tuoi piedi piango. E tu, mio Sole, imbianca dei tuoi benigni perdoni, dei tuoi paterni amori, la veste mia!”.
   In veste fresca. Oh! la freschezza del cuore! I bambini l’hanno per dono di Dio. I giusti l’hanno per dono di Dio e volontà propria. I santi l’hanno per dono di Dio e per volontà portata all’eroismo. Ma i peccatori, dall’anima lacerata, bruciata, avvelenata, insozzata, non potranno allora mai più avere una veste fresca? Oh! sì che la possono avere. Cominciano ad averla dal momento che si guardano con ribrezzo, l’aumentano quando decidono di cambiare vita, la perfezionano quando con la penitenza si lavano, si disintossicano, si medicano, si ricompongono la loro povera anima; e con l’aiuto di Dio, che non nega soccorso a chi gli chiede santo aiuto, e con la volontà propria, portata al supereroismo – perché in loro non necessita di tutelare ciò che hanno, ma di ricostruire ciò che loro hanno abbattuto, perciò doppia e tripla e settupla fatica – e infine con una penitenza instancabile, implacabile verso l’ioche fu peccatore, riportano la loro anima ad una nuova freschezza d’infanzia, fatta preziosa dall’esperienza che li fa maestri di altri che sono[82] come erano loro un tempo, ossia peccatori. In bianchi veli. L’umiltà! Io ho detto: “Quando pregate o fate penitenza, fate che il mondo non se ne avveda”. Nei libri sapienziali è detto: “Non è bene svelare il segreto del Re”. L’umiltà è il velo candido messo a difesa sul bene che si fa e sul bene che Dio ci concede. Non gloria per l’amore di privilegio che Dio concede, non stolta gloria umana. Il dono verrebbe subito ritolto. Ma interno canto del cuore al suo Dio: “L’anima mia ti magnifica, o Signore… perché Tu hai rivolto il tuo sguardo alla bassezza della tua serva”».
   Gesù ha una breve sosta e getta uno sguardo verso sua Madre, che avvampa sotto il suo velo e si china tutta, come per ravviare i capelli del bambino che è seduto ai suoi piedi, ma in realtà per celare il suo commosso ricordo… «Coronata di fiori. L’anima deve intessersi la sua quotidiana ghirlanda di atti virtuosi, perché al cospetto dell’Altissimo non devono stare cose vizze, né si deve stare in aspetto sciatto. Quotidiana, ho detto. Perché l’anima non sa quando Dio-Sposo può apparire per dire: “Vieni”. Perciò non stancarsi mai di rinnovare la corona. Non abbiate paura. I fiori avvizziscono. Ma i fiori delle corone virtuose non avvizziscono. L’angelo di Dio, che ogni uomo ha al suo fianco, le raccoglie queste ghirlande quotidiane e le porta in Cielo. E là faranno da trono al novello beato quando entrerà come sposa nella casa nuziale.

   206.6 Hanno le lampade accese. E per onorare lo Sposo e per guidarsi nella via. Come è fulgida la fede, e che dolce amica ella è! Fa una fiamma raggiante come una stella, una fiamma che ride perché è sicura nella sua certezza, una fiamma che rende luminoso anche lo strumento che la regge. Anche la carne dell’uomo nutrito di fede pare, fin da questa Terra, farsi più luminosa e spirituale, immune da precoce appassimento. Perché chi crede si regge sulle parole e sui comandi di Dio per giungere a possedere Dio, suo fine, e perciò fugge ogni corruzione, non ha turbamenti, paure, rimorsi, non è obbligato ad uno sforzo per ricordarsi le sue menzogne o per nascondere le sue male azioni, e si conserva bello e giovane della bella incorruzione del santo. Una carne e un sangue, una mente e un cuore puliti da ogni lussuria per contenere l’olio della fede, per dare luce senza fumo. Una costante volontà per nutrire sempre questa luce.
   La vita di ogni giorno, con le sue delusioni, constatazioni, contatti, tentazioni, attriti, tende a sminuire la fede. No! Non deve avvenire. Andate giornalmente alle fonti dell’olio soave, dell’olio sapienziale, dell’olio di Dio. Lampada poco nutrita può essere spenta dal minimo vento, può essere spenta dalla pesante guazza della notte. La notte… L’ora delle tenebre, del peccato, della tentazione viene per tutti. È la notte per l’anima. Ma se questa ha se stessa colma di fede, non può la fiamma essere spenta dal vento del mondo, dal caligo delle sensualità.
   Infine vigilanza, vigilanza, vigilanza. Chi imprudente si fida dicendo: “Oh! Dio verrà in tempo, mentre ho ancora luce in me”, chi si induce a dormire in luogo di vegliare, e dormire sprovvisto di quanto necessita per sorgere sollecito alla prima chiamata, chi si riduce all’ultimo momento per procurarsi l’olio della fede o il lucignolo robusto della buona volontà, incorre nel pericolo di rimanere fuori quando giunge lo Sposo. Vegliate dunque con prudenza, con costanza, con purezza, con fiducia per essere sempre pronti alla chiamata di Dio, perché in realtà non sapete quando Esso verrà.

   206.7 Miei cari discepoli, Io non voglio indurvi a tremare di Dio, ma anzi ad avere fede nella sua bontà. Sia voi che restate, come voi che andate, pensate che, se farete ciò che fecero le vergini savie, sarete chiamati non solo a fare corteggio allo Sposo, ma, come per la fanciulla Ester, divenuta regina[83] al posto di Vasti, sarete scelti ed eletti a spose, avendo lo Sposo “trovato in voi ogni grazia e favore sopra ogni altro”. Io vi benedico, voi che andate. Portate in voi e ai compagni questa mia parola. La pace del Signore sia sempre con voi».
   Gesù si avvicina ai contadini per salutarli ancora, ma Giovanni di Endor gli sussurra: «Maestro, ormai c’è Giuda…».
   «Non importa. Accompagnali al carro e fa’ ciò che ti ho detto di fare».
   L’assemblea si scioglie lentamente. Molti parlano a Lazzaro… E questo si volge a Gesù che, lasciati i contadini, viene in quel senso e dice: «Maestro, prima che Tu ci lasci, parlaci ancora… Questo vogliono i cuori di Betania».
   «La sera scende. Ma è placida e serena. Se volete riunirvi sui fieni falciati, Io vi parlerò prima di lasciare questo paese amico. Oppure domani, all’aurora. Perché è giunta l’ora del commiato».
   «Più tardi! Questa sera!», urlano tutti.
   «Come voi volete. Andate ora. Alla metà della prima vigilia vi parlerò»…

   206.8 …e instancabile infatti – mentre il sole scompare anche col ricordo del suo rosso, in un primo stridere di grilli, incerto, solitario – Gesù si avvia in mezzo ad un prato falciato da poco e su cui l’erbe morenti fanno un tappeto di acuta e morbida fragranza. Lo seguono gli apostoli, le Marie, Marta e Lazzaro con quelli della sua casa, Isacco coi discepoli, e direi tutta Betania. Fra i servi è il vecchione con la donna, i due che sul monte delle Beatitudini hanno trovato un conforto anche per i loro giorni.
   Gesù si ferma a benedire il patriarca, che gli bacia piangendo la mano e che accarezza il bambino, che cammina a fianco di Gesù, dicendogli: «Te beato che lo puoi sempre seguire! Sii buono, sta’ attento, figlio. La tua è una gran ventura! Una gran ventura! Sul tuo capo è sospesa una corona… Oh! te beato!».

   206.9 Quando tutti sono a posto Gesù inizia a parlare.
   «Partiti i poveri amici che avevano bisogno di essere molto confortati nella speranza, nella certezza, anzi, che basta poco sapere per essere ammessi nel Regno, che basta un minimo di verità su cui la buona volontà lavora, parlo ora a voi, molto meno infelici perché in condizioni materiali molto migliori e con maggiori aiuti dal Verbo. Il mio amore va a loro solo col pensiero. Qui, a voi, il mio amore viene anche con la parola. Perciò voi andate trattati, in Terra come in Cielo, con maggiore fortezza, perché a chi più è stato dato più sarà chiesto. Essi, i poveri amici che stanno tornando alla loro galera, non possono che avere un minimo di bene, ed hanno, in compenso, un massimo di dolore. Perciò a loro solo le promesse della benignità, perché ogni altra cosa sarebbe superflua. In verità vi dico che la loro vita è penitenza e santità, e non deve essere imposto loro altro. E in verità anche vi dico che, pari a vergini savie, essi non lasceranno spegnere la loro lampada fino all’ora della chiamata. Lasciarla spegnere? No. È tutto il loro bene questa luce. Non possono lasciarla spegnere.

   206.10 In verità vi dico che, come Io sono nel Padre, così i poveri sono in Dio. È per questo che Io, Verbo del Padre, ho voluto nascere povero, e povero rimanere. Perché fra i poveri mi sento più prossimo al Padre, che ama i minimi ed è amato da essi con tutta la loro forza. I ricchi hanno tante cose. I poveri hanno solo Dio. I ricchi hanno amici. I poveri sono soli. I ricchi hanno molte consolazioni. I poveri non hanno consolazioni. I ricchi hanno distrazioni. I poveri hanno solo il lavoro. I ricchi hanno tutto reso facile per il denaro. I poveri hanno anche la croce di dover temere malattie e carestie perché sarebbe la fame e la morte per loro. Ma hanno Dio, i poveri. Il loro Amico. Il loro Consolatore. Colui che li distrae dal loro penoso presente con speranze celesti. Colui a cui si può dire – e loro lo sanno dire, lo dicono perché appunto sono poveri, umili, soli –: “Padre, sovvienici della tua misericordia”.
   Quanto Io dico in questa terra di Lazzaro, amico mio e amico di Dio sebbene tanto ricco, può parere strano. Ma Lazzaro è l’eccezione fra i ricchi. Lazzaro è giunto a quella virtù difficilissima a trovarsi sulla Terra, e ancor più difficile a mettersi in pratica per insegnamento altrui: la virtù della libertà dalle ricchezze. Lazzaro è giusto. Non si offende. Non si può offendere, perché sa che egli è il ricco-povero e perciò non lo tocca il mio celato rimprovero. Lazzaro è giusto. E riconosce che nel mondo dei grandi è così come Io dico. Perciò Io parlo e dico: in verità, in verità vi dico che è molto più facile che sia in Dio un povero che un ricco; e nel Cielo del Padre mio e vostro, molti seggi saranno occupati da coloro che sulla Terra furono spregiati perché minimi come polvere che si calpesta.
   I poveri serbano in cuore le perle delle parole di Dio. Sono il loro unico tesoro. Chi ha una sola ricchezza veglia su essa. Chi ne ha molte è annoiato e distratto, ed è superbo, ed è sensuale. Per tutto questo non ammira con occhi umili e innamorati il tesoro che Dio ha dato, e lo confonde con altri tesori, solo in apparenza preziosi, tesori che sono le ricchezze della Terra, e pensa: “Degnazione mia se accolgo le parole di uno, pari a me nella carne!”, e ottunde la sua capacità di gustare ciò che è soprannaturale con i sapori forti della sensualità. Sapori forti!… Sì, molto speziati per confondere il loro lezzo e il loro sapore di putredine…

   206.11 Ma udite. E capirete meglio come le sollecitudini, le ricchezze e le crapule impediscono l’entrata nel Regno dei Cieli.
   Una volta un re fece le nozze di suo figlio. Potete immaginare che festa fosse nella reggia. Era il suo unico figlio e, giunto all’età perfetta, si sposava con la sua diletta. Il padre e re volle che tutto fosse gioia intorno alla gioia del suo diletto, finalmente sposo con la beneamata. Fra le molte feste nuziali fece anche un grande pranzo. E lo preparò per tempo, vegliando su ogni particolare dello stesso, perché riuscisse splendido e degno delle nozze del figlio del re.
   Mandò per tempo i suoi servi a dire agli amici e agli alleati, e anche ai più grandi nel suo regno, che le nozze erano stabilite per quella data sera e che loro erano invitati, e che venissero per fare degna cornice al figlio del re. Ma amici, alleati e grandi del regno non accettarono l’invito.
   Allora il re, dubitando che i primi servi non avessero parlato a dovere, ne mandò altri ancora, perché insistessero dicendo: “Ma venite! Ve ne preghiamo. Ormai tutto è pronto. La sala è apparecchiata, i vini preziosi sono stati portati da ogni dove, e già nelle cucine sono ammucchiati i buoi e gli animali ingrassati per essere cotti, e le schiave intridono le farine a far dolciumi, ed altre pestano le mandorle nei mortai per fare leccornie finissime a cui mescolano aromi fra i più rari. Le danzatrici e i suonatori più bravi sono stati scritturati per la festa. Venite dunque acciò non sia inutile tanto apparato”.
   Ma amici, alleati e grandi del regno o rifiutarono, o dissero:
   “Abbiamo altro da fare”, o finsero di accettare l’invito, ma poi andarono ai loro affari, chi al campo, chi ai negozi, chi ad altre cose ancor meno nobili. E infine ci fu chi, seccato da tanta insistenza, prese il servo del re e l’uccise per farlo tacere, posto che insisteva: “Non negare al re questa cosa perché te ne potrebbe venire male”.
   I servi tornarono al re e riferirono ogni cosa, e il re avvampò di sdegno mandando le sue milizie a punire gli uccisori dei suoi servi e a castigare quelli che avevano sprezzato il suo invito, riservandosi di beneficare quelli che avevano promesso di venire. Ma la sera della festa, all’ora fissata, non venne nessuno.

   206.12 Il re, sdegnato, chiamò i servi e disse: “Non sia mai che mio figlio resti senza chi lo festeggi in questa sua sera nuziale. Il banchetto è pronto, ma gli invitati non ne sono degni. Eppure il banchetto nuziale del figlio mio deve avere luogo. Andate dunque sulle piazze e sulle strade, mettetevi ai crocicchi, fermate chi passa, adunate chi sosta e portateli qui. Che la sala sia piena di gente festante”.
   I servi andarono. Usciti per le vie, sparsisi sulle piazze, messisi ai crocicchi, radunarono quanti trovarono, buoni o cattivi, ricchi o poveri, e li portarono nella dimora regale, dando loro i mezzi per apparire degni di entrare nella sala del banchetto di nozze. Poi li condussero in quella, ed essa fu piena, come il re voleva, di popolo festante.
   Ma, entrato il re nella sala per vedere se potevano aver inizio le feste, vide uno che, nonostante gli aiuti dati dai servi, non era in veste di nozze. Gli chiese: “Come mai sei entrato qui senza la veste di nozze?”. E colui non seppe che rispondere, perché infatti non aveva scusanti. Allora il re chiamò i servi e disse loro: “Prendete costui, legatelo nelle mani e nei piedi e gettatelo fuori della mia dimora, nel buio e nel fango gelido. Ivi starà nel pianto e con stridor di denti come ha meritato per la sua ingratitudine e per l’offesa che mi ha fatta, e più che a me al figlio mio, entrando con veste povera e non monda nella sala del banchetto, dove non deve entrare che ciò che è degno di essa e del figlio mio”.

   206.13 Come voi vedete, le sollecitudini del mondo, le avarizie, le sensualità, le crudeltà attirano l’ira del re, fanno sì che mai più questi figli delle sollecitudini entrino nella casa del Re. E vedete anche come anche fra i chiamati, per benignità verso suo figlio, vi sono i puniti.
   Quanti al giorno d’oggi, in questa terra alla quale Dio ha mandato il suo Verbo! Gli alleati, gli amici, i grandi del suo popolo, Dio veramente li ha invitati attraverso i suoi servi, e più li farà invitare, con invito pressante, man mano che l’ora delle mie nozze si farà vicina. Ma non accetteranno l’invito perché sono falsi alleati, falsi amici, e non sono grandi che di nome perché la bassezza è in loro».
   Gesù va elevando sempre più la voce, e i suoi occhi, alla luce di fuoco che è stato acceso fra Lui e gli ascoltatori per illuminare la sera, nella quale manca ancora la luna che è nella fase decrescente e si alza più tardi, gettano sprazzi di luce come fossero due gemme.
   «Sì, la bassezza è in loro. Per tutto questo essi non comprendono che è dovere e onore per loro aderire all’invito del Re. Superbia, durezza, libidine fanno baluardo nel loro cuore. E – sciagurati che sono! – e hanno odio a Me, a Me, per cui non vogliono venire alle mie nozze. Non vogliono venire. Preferiscono alle nozze i connubi con la politica sozza, con il più sozzo denaro, con il sozzissimo senso. Preferiscono il calcolo astuto, la congiura, la subdola congiura, il tranello, il delitto.
   Io tutto questo lo condanno in nome di Dio. Si odia perciò la voce che parla e le feste a cui invita. In questo popolo vanno cercati coloro che uccidono i servi di Dio: i profeti che sono i servi fino ad oggi, i miei discepoli che sono i servi da ora in poi. In questo popolo vanno scelti i turlupinatori di Dio che dicono: “Sì, veniamo”, mentre dentro di sé pensano: “Neanche per idea!”. Tutto questo è in Israele.
   E il Re del Cielo, perché il Figlio abbia un degno apparato di nozze, manderà a raccogliere sui crocicchi coloro che sono non amici, non grandi, non alleati, ma sono semplicemente popolo che passa. Già – e per mia mano, per la mia mano di Figlio e di servo di Dio – la raccolta si è iniziata. Quali che siano, verranno… E sono già venuti. Ed Io li aiuto a farsi mondi e belli per la festa di nozze.
   Ma ci sarà, oh! per sua sventura ci sarà chi anche della magnificenza di Dio, che gli dà profumi e vesti regali per farlo apparire quale non è – un ricco e degno – vi sarà chi di tutta questa bontà se ne farà un approfitto indegno per sedurre, per guadagnare… Individuo di bieco animo, abbracciato dal polipo ripugnante di tutti i vizi… e sottrarrà profumi e vesti per trarne guadagno illecito, usandoli non per le nozze del Figlio, ma per le sue nozze con Satana.
   Ebbene, questo avverrà. Perché molti sono i chiamati, ma pochi coloro che, per saper perseverare nella chiamata, giungono ad essere eletti. Ma anche avverrà che a queste iene, che preferiscono le putrefazioni al nutrimento vivo, sarà inflitto il castigo di essere gettati fuori della sala del Banchetto, nelle tenebre e nel fango di uno stagno eterno in cui stride Satana il suo orrido riso per ogni trionfo su un’anima, e dove suona eterno il pianto disperato dei mentecatti che seguirono il Delitto invece di seguire la Bontà che li aveva chiamati.

   206.14 Alzatevi e andiamo al riposo. Io vi benedico, o cittadini di Betania, tutti. Io vi benedico e vi do la mia pace. E benedico te in particolare, Lazzaro, amico mio, e te, Marta. Benedico i miei discepoli antichi e nuovi che mando per il mondo a chiamare, a chiamare alle nozze del Re. Inginocchiatevi ché Io vi benedica tutti. Pietro, di’ l’orazione che vi ho insegnata, e dilla stando qui al mio fianco, in piedi, perché così va detta da chi a ciò è destinato da Dio».
   L’assemblea si inginocchia tutta sul fieno, rimanendo in piedi solo Gesù nel suo abito di lino, alto e bellissimo, e Pietro nella sua veste marrone scuro, acceso di emozione, quasi tremante, che prega, con la sua voce non bella ma virile, andando adagio, per paura di sbagliare: «Padre nostro…».
   Si sente qualche singhiozzo… di uomo, di donna… Marjziam, inginocchiato proprio davanti a Maria che gli tiene le manine congiunte, guarda con un sorriso d’angelo Gesù e dice piano: «Guarda, Madre, come è bello! E come è bello anche il padre mio! Sembra d’essere in Cielo… Ci sarà la mia mamma, qui, a vedere?».
   E Maria, in un sussurro che finisce in un bacio, risponde:
   «Sì, caro. Ella è qui. E impara la preghiera».
   «E io? L’imparerò?».
   «Ella la sussurrerà all’anima tua mentre tu dormi, ed io te la ripeterò di giorno».
   Il bambino piega indietro la testolina bruna, sul petto di Maria, e sta così mentre Gesù benedice con la sempre solenne benedizione mosaica.
   Poi tutti si alzano, andando ognuno alle proprie case; solo Lazzaro segue ancora Gesù, entrando con Lui nella casa di Simone per stare ancora con Lui. Entrano anche tutti gli altri. L’Iscariota si mette in un angolo semibuio, mortificato. Non osa stringersi a Gesù come fanno gli altri…

   206.15 Lazzaro si felicita con Gesù. Dice: «Oh! mi duole di vederti partire. Ma sono più contento che se ti avessi visto andare via ieri l’altro!».
   «Perché, Lazzaro?».
   «Perché mi parevi tanto triste e stanco… Non parlavi, poco sorridevi… Ieri e oggi sei tornato il mio santo e dolce Maestro, e ciò mi dà tanta gioia…».
   «Lo ero anche se tacevo…».
   «Lo eri. Ma Tu sei serenità e parola. Noi vogliamo questo da Te. Beviamo a queste fonti la nostra forza. Ed ora queste fonti parevano disseccate. Era penosa la nostra sete… Tu vedi che anche i gentili se ne sono stupiti, e sono venuti a cercarle…».
   L’Iscariota, a cui si era accostato Giovanni di Zebedeo, osa parlare: «Già, avevano domandato anche a me… Perché io stavo molto presso l’Antonia, sperando di vederti».
   «Sapevi dove ero», risponde Gesù brevemente.
   «Lo sapevo. Ma speravo che non avresti deluso chi ti attendeva. Anche i romani furono delusi. Non so perché hai agito così…».
   «E sei tu che me lo chiedi? Non sei al corrente degli umori del Sinedrio, dei farisei, degli altri ancora, per Me?».
   «Che? Avresti avuto paura?».
   «No. Nausea.

   206.16 Lo scorso anno, quando ero solo – uno solo contro tutto un mondo che neppur sapeva se ero profeta – ho mostrato di non avere paura. E tu sei un acquisto di quella mia audacia. Ho fatto sentire la mia voce contro tutto un mondo di urlatori; ho fatto sentire la voce di Dio ad un popolo che se l’era dimenticata; ho purificato la Casa di Dio dalle sozzure materiali che erano in essa, non sperando di ripulirla delle ben più gravi sozzure morali che in essa hanno nido, perché non ignoro il futuro degli uomini, ma per fare il mio dovere, per lo zelo della Casa del Signore eterno tramutata in una piazza vociante di barattieri, usurai e di ladri, e per scuotere dal torpore quelli che secoli di trascuratezza sacerdotale avevano fatto cadere in letargo spirituale. È stato lo squillo di raccolta al mio popolo per portarlo a Dio… Quest’anno sono tornato… E ho visto che il Tempio è sempre lo stesso… Che è peggio ancora. Non più spelonca di ladri, ma posto di congiura, e poi diverrà sede del Delitto, e poi lupanare, e poi, finalmente, sarà distrutto da una forza più potente di quella di Sansone, schiacciando una casta indegna di chiamarsi santa. Inutile parlare in quel luogo, nel quale, te lo ricordo, mi fu proibito di parlare. Popolo fedifrago! Popolo avvelenato nei suoi capi, che osa interdire che la Parola di Dio parli nella sua Casa! Mi fu proibito. Ho taciuto per amore dei minimi. Non è ancora l’ora di uccidermi. Troppi hanno bisogno di Me, e i miei apostoli non sono ancora forti per ricevere sulle loro braccia la mia prole: il Mondo. Non piangere, Madre; perdona, tu buona, al bisogno di tuo Figlio di dire, a chi vuole o può illudersi, la verità che Io so… Taccio… Ma guai a coloro per i quali Dio tace!… Madre, Marjziam, non piangete!… Ve ne prego. Nessuno pianga».
   Ma in realtà piangono tutti più o meno dolorosamente.
   Giuda, pallido come un morto nella sua veste gialla e rossa a righe, osa ancora parlare, con una voce piagnucolosa e ridicola: «Credi, Maestro, che io sono stupito e addolorato… Non so che vuoi dire… Io non so nulla… È vero che io non ho visto nessuno del Tempio. Ho rotto i contatti con tutti… Ma se Tu lo dici sarà vero…».
   «Giuda!… Anche Sadoc non hai visto?».
   Giuda china il capo borbottando: «È un amico… Come tale l’ho visto. Non come uno del Tempio…».

   206.17 Gesù non gli risponde. Si volge a Isacco e a Giovanni di Endor, a cui fa ancora raccomandazioni inerenti al loro lavoro. Intanto le donne confortano Maria che piange e il bambino che piange nel vedere piangere Maria. Anche Lazzaro e gli apostoli sono rattristati.
   Ma Gesù viene a loro. Ha ripreso il suo dolce sorriso e, mentre abbraccia la Madre e carezza il bambino, dice: «Ed ora vi saluto, voi che restate. Perché domani all’alba noi partiremo.
   Addio, Lazzaro. Addio, Massimino. Giuseppe, Io ti ringrazio per ogni cortesia fatta a mia Madre e alle discepole nella attesa mia. Grazie di tutto. Tu, Lazzaro, benedici ancora Marta in mio nome. Presto ritornerò. Vieni, Madre, al riposo. Anche tu, Maria e Salome, se proprio volete venire voi pure».
   «Certo che veniamo!», dicono le due Marie.
   «Allora a letto. La pace a tutti. Dio sia con voi». Fa un gesto di benedizione ed esce tenendo per mano il bambino e abbracciata la Madre… La sosta a Betania è finita.

[82] che sono è un’aggiunta nostra;ho detto, in 172.5/8;è detto, in Tobia 12, 7.
[83] divenuta regina, come si narra in: Ester 2, 1-18. Al personaggio di Ester si accenna anche in 136.2 e 414.1. 

Liturgia Novus Ordo: Ef 1, 11-14; Sal 32; Lc 12, 1-7. 

Vangelo Lc 12, 1-7
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, si erano radunate migliaia di persone, al punto che si calpestavano a vicenda, e Gesù cominciò a dire anzitutto ai suoi discepoli:
«Guardatevi bene dal lievito dei farisei, che è l’ipocrisia. Non c’è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. Quindi ciò che avrete detto nelle tenebre sarà udito in piena luce, e ciò che avrete detto all’orecchio nelle stanze più interne sarà annunciato dalle terrazze.
Dico a voi, amici miei: non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo e dopo questo non possono fare più nulla. Vi mostrerò invece di chi dovete aver paura: temete colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geènna. Sì, ve lo dico, temete costui.
Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate paura: valete più di molti passeri!».

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CDXXI. L’indemoniato guarito, i farisei e la bestemmia contro lo Spirito Santo.

   22 aprile 1946.
 
 1 ­Passata la Settimana Santa e conseguente penitenza del non vedere, ritorna stamane la vista spirituale del Vangelo. E ogni mio affanno si oblìa in questa gioia, che si annuncia sempre con un’indescrivibile sensazione di giubilo sovrumano…
   …Ed ecco che vedo Gesù, ancora camminante lungo i boschetti che costeggiano il fiume, fermarsi ordinando una sosta in queste ore troppo calde per permettere il cammino. Perché, se è vero che l’intrico folto dei rami fa riparo al sole, esso produce però anche come una cappa di ostacolo allo scorrere delle brezze appena sensibili, e perciò l’aria, là sotto, è calda, ferma, pesante, di un umidore che trasuda dal suolo prossimo al fiume, un umidore che non è ristoro, ma tormento appiccicoso che si mescola e aumenta al già tormentoso sudore che scorre sui corpi.
   «Sostiamo fino a sera. Poi scenderemo al greto biancheggiante, visibile anche al lume delle stelle, e proseguiremo nella notte. Ora prendiamo cibo e riposo».
   «Ah! prima del cibo prenderò ristoro nelle acque. Saranno tiepide anche esse come un decotto per la tosse, ma serviranno a levarmi il sudore. Chi viene con me?», chiede Pietro.
   Tutti vanno con lui. Tutti, anche Gesù che è come tutti sudato e colla veste pesante di polvere e sudore. Si prendono ognuno una veste pulita dalla sacca e scendono al fiume. Sull’erba, a segnale della loro sosta, non restano che le tredici sacche e le fiaschette dell’acqua, vegliate dagli alberi annosi e da innumerevoli uccelli, che guardano curiosi coi loro occhietti di giaietto le tredici gonfie sacche multicolori sparse sull’erba. Le voci dei bagnanti si allontanano e si confondono nel fruscio del fiume. Solo ogni tanto qualche risata squillante dei più giovani risuona come una nota alta sugli accordi bassi e monotoni del fiume.

 2 Ma il silenzio è presto rotto da uno scalpiccio di passi. Delle teste si affacciano da un intrico, sbirciano, dicono con espressione contenta: «Sono qui. Si sono fermati. Andiamo a dirlo agli altri», e scompaiono allontanandosi dietro i cespugli…
   …Intanto, rinfrescati, con i capelli ancora umidi per quanto rudimentalmente asciugati, scalzi e coi sandali lavati e gocciolanti tenuti per i cingolini, con le vesti fresche indosso e le altre deposte forse sui canneti dopo una sciacquata nelle acque azzurre del Giordano, tornano gli apostoli col Maestro. Palesemente ristorati da quel lungo bagno.
   Ignorando di essere stati scoperti, si siedono, dopo che Gesù ha offerto e distribuito il cibo. E dopo il cibo, assonnati, si sdraierebbero e dormirebbero. Ma ecco venire un uomo, e dopo il primo il secondo, e il terzo…
   «Che volete?», interroga Giacomo di Zebedeo che li vede venire e arrestarsi presso un macchione, incerti se farsi avanti o meno. Gli altri, Gesù compreso, si voltano a vedere con chi parla Giacomo.
   «Ah! sono quelli del paese… Ci hanno seguiti!», dice senza entusiasmo Tommaso che si apprestava a dormire un poco.
   Intanto gli interrogati rispondono, un poco intimoriti vedendo la palese ripugnanza degli apostoli a riceverli: «Volevamo parlare al Maestro… Dire che… Vero, Samuele?…», e si arrestano, non osando dire di più.
   Ma Gesù, benigno, li incoraggia: «Dite, dite. Avete altri malati?…», e intanto si alza dirigendosi verso di loro.
   «Maestro, sei stanco anche più di noi. Riposati un poco e loro aspettino…», dicono in più d’un apostolo.
   «Qui vi sono creature che mi desiderano. Perciò essi pure non hanno riposo di pace nel cuore. E la stanchezza del cuore è da più di quella delle membra. Lasciate che Io li ascolti».
   «E va bene! Addio riposo nostro!…», borbottano gli apostoli, abbrutiti dalla stanchezza e dal caldo al punto di rimproverare in presenza di estranei il loro Maestro, tanto che dicono: «E quando, senza prudenza, ci avrai fatti tutti malati, troppo tardi capirai che ti eravamo necessari».
   Gesù li guarda… con pietà. Non c’è altro nei suoi dolci occhi stanchi… Ma risponde: «No, amici. Io non pretendo che voi mi imitiate. Guardate, voi rimanete qui, in riposo. Io mi dilungo con questi, li ascolto e poi vengo a mettermi a riposo fra voi».
   Così dolce la risposta, che ottiene più di un rimprovero. Il buon cuore, l’affetto dei dodici si risveglia e prende il sopravvento: «Non già, Signore! Resta dove sei e parla ad essi. Noi andremo a voltare le nostre vesti per farle asciugare dall’altro lato. Così vinceremo il sonno, e poi verremo e riposeremo insieme». E i più assonnati vanno verso il fiume… Restano Matteo, Giovanni e Bartolomeo.

 3 Ma intanto i tre cittadini sono divenuti più di dieci e sempre crescono…
   «Dunque? Venite avanti e parlate senza timore».
   «Maestro, partito Te, si sono fatti ancor più violenti i farisei… Hanno assalito l’uomo da Te liberato e… se non diverrà pazzo sarà un nuovo miracolo… perché… gli hanno detto che… che Tu lo hai levato da un demonio che non impediva che la ragione, ma che gli hai dato un demone più forte, forte tanto che ha vinto il primo, forte più del primo, perché questo danna e possiede il suo spirito, e perciò mentre della prima possessione non avrebbe avuto a portare le conseguenze nell’altra vita, perché le sue azioni non erano… come hanno detto, Abramo?…».
   «Hanno detto… oh! un nome strano… Insomma di quelle azioni Dio non gli avrebbe chiesto conto, perché fatte senza libertà di mente, mentre ora egli, adorando per imposizione del demonio che ha in cuore, messo da Te — oh! ci perdona se te lo diciamo! — da Te, principe dei demoni, adorando Te con mente non più folle, è sacrilego e maledetto, e dannato sarà. Onde il povero infelice rimpiange lo stato di prima e… quasi impreca a Te… Più folle di prima perciò… e la madre si dispera per il figlio che dispera di salvarsi… e ogni gioia in strazio si è mutata. Noi, a dar pace, ti abbiamo cercato, e l’angelo certo qui ci ha guidati… Signore, noi crediamo che Tu sei il Messia. E crediamo che il Messia ha in Sé lo Spirito di Dio. Perciò è Verità e Sapienza. E ti chiediamo di darci pace e spiegazione…».
   «Voi siete nella giustizia e nella carità. Siate benedetti. Ma dove è l’infelice?».
   «Ci segue con la madre, piangendo la sua disperazione. Vedi? Tutto il paese, meno essi, i crudeli farisei, viene a questa volta, incurante delle minacce loro. Perché ci hanno minacciato punizioni per il nostro credere in Te. Ma Dio ci proteggerà».
   «Dio vi proteggerà. Conducetemi al graziato».
   «No. Te lo condurremo. Attendi», e in molti se ne vanno verso il nucleo più numeroso, che viene avanti gestendo mentre due pianti acuti dominano il brusio della folla. Gli altri, i rimasti, sono tanti già e, quando a questi si riuniscono gli altri con al centro l’indemoniato guarito e la madre sua, è veramente una grande folla quella che si pigia fra gli alberi intorno a Gesù, salendo anche sugli alberi per trovare posto per sentire e vedere.

 4 Gesù va incontro al suo miracolato che, come lo vede, strappandosi i capelli e inginocchiandosi dice: «Rendimi il primo demonio! Per pietà di me, della mia anima! Che ti ho fatto perché Tu mi nuocessi tanto?».
   E sua madre, pure in ginocchio: «Egli delira di paura, Signore! Non accogliere le sue bestemmiatrici parole, ma liberalo dalla paura che quei crudeli gli hanno infusa, onde non perda la vita dell’anima. Tu l’hai liberato una volta!… Oh! per pietà di una madre, liberalo ancora!».
   «Sì, donna. Non temere! Figlio di Dio, ascolta!». E Gesù appoggia le sue mani sul capo spettinato del delirante di paura soprannaturale. «Ascolta. E giudica. Da te giudica, perché ora il tuo giudizio è libero e puoi giudicare con giustizia. Vi è un modo sicuro per comprendere se un prodigio viene da Dio o da un demonio. Ed è ciò che l’anima prova. Se il fatto straordinario viene da Dio, pace si infonde nell’anima, pace e gaudio maestoso. Se da un demonio, viene, con esso prodigio, turbamento e dolore. E anche dalle parole di Dio pace e gaudio vengono, mentre da quelle di un demonio, sia demonio spirito o demonio uomo, viene turbamento e dolore. E anche dalla vicinanza di Dio viene pace e gaudio, mentre dalla vicinanza di spiriti o uomini malvagi viene turbamento e dolore. Ora rifletti, figlio di Dio. Quando, cedendo al demone della lussuria, tu cominciasti ad accogliere in te il tuo oppressore, godevi gaudio e pace?».
   L’uomo riflette e arrossendo risponde: «No, Signore».
   «E quando il perpetuo Avversario ti prese del tutto, avesti pace e gaudio?».
   «No, Signore. Mai. Finché ho compreso, finché fui con un lembo di mente libera, ebbi turbamento e dolore dalla prepotenza dell’Avversario. Poi… non so… Non avevo più l’intelletto capace di capire ciò che soffrivo… Ero più di una bestia… Ma anche in quello stato in cui parevo meno intelligente di un animale… oh! quanto ancora potevo soffrire! Non so dire di che… L’inferno è tremendo! È un tutto orrendo… e non si può dire ciò che è…».
   L’uomo trema davanti al rudimentale ricordo delle sue sofferenze di posseduto. Trema, sbianca, suda… La madre lo abbraccia baciandolo sulla guancia per sviarlo da quell’incubo… La gente sussurra commentando.
   «E quando ti risvegliasti con la mano nella mia mano? Che provasti?».
   «Oh! uno stupore così dolce… e poi una gioia, una pace più grande ancora… Pareva che io uscissi da una carcere oscura dove erano state catene serpenti senza numero, e aria fetori di putrida fogna, ed entrassi in un giardino in fiore, pieno di sole, di canti… Ho conosciuto il Paradiso… ma anche questo non si può descrivere…». L’uomo sorride come rapito nel ricordo della sua breve e recente ora di gaudio. Poi sospira e termina: «Ma è presto finito…».
   «Ne sei sicuro? Dimmi, ora che sei a Me vicino e lontano sei da quelli che ti hanno turbato, che provi?».
   «La pace ancora. Qui con Te io non posso credere di esser dannato e le loro parole mi sembrano bestemmia… Ma io le ho credute… Non ho dunque peccato verso di Te?».
   «Non tu hai peccato. Ma essi. Sorgi, figlio di Dio, e credi alla pace che è in te. Pace viene da Dio. Tu sei con Dio. Non peccare e non temere», e leva le mani dal capo dell’uomo facendolo alzare.

 5 ­«Veramente così è, Signore?», chiedono molti.
   «Veramente così è. Il dubbio suscitato dalle parole pensatamente dannose fu l’ultima vendetta di Satana uscito da costui, vinto, desideroso di riprendere la preda perduta».
 Con molto buon senso un popolano dice: «Ma allora… i farisei… hanno servito Satana!», e molti applaudono alla giusta osservazione.
   «Non giudicate. C’è chi giudica».
   «Ma almeno noi siamo schietti nel giudicare… e Dio vede che giudichiamo su colpe palesi. Essi si fingono ciò che non sono. Agiscono con menzogna e con mire non buone. Eppure trionfano più di noi che siamo onesti e sinceri. Sono il nostro terrore. Estendono la loro potenza persino sulla libertà di fede. Si deve credere e praticare come a loro piace. E ci minacciano perché ti amiamo. Tentano ridurre i tuoi miracoli a stregonerie, a mettere paura di Te. Cospirano, opprimono, nuoccio­no…».

 6 La folla parla tumultuosamente. Gesù fa un gesto imponendo silenzio e dice:
   «Non accogliete nel cuore ciò che è loro. Non le loro insinuazioni e non i loro sistemi. E neppure l’idea: “essi sono cattivi eppure trionfano”. Non ricordate le parole della Sapienza: “Breve è il trionfo dello scellerato”, e l’altra dei Proverbi: “Non seguire, o figlio, gli esempi dei peccatori e non ascoltare le parole degli empi, perché essi rimarranno impigliati nelle catene delle colpe loro e ingannati dalla loro grande stoltezza”? Non mettete in voi ciò che è di coloro che voi stessi, benché imperfetti, giudicate ingiusti. Mettereste in voi lo stesso lievito che corrompe loro. Il lievito dei farisei è l’ipocrisia. Essa non sia mai in voi, né rispetto alle forme del culto verso Dio, né rispetto al modo di usare coi fratelli. Guardatevi dal lievito dei farisei. Pensate che non c’è nulla d’occulto che non possa essere scoperto, nulla di nascosto che non finisca ad esser noto.
   Voi vedete. Essi mi avevano lasciato partire e poi avevano seminato zizzania dove il Signore aveva gettato seme eletto. Credevano di aver fatto sottilmente e vittoriosamente. E sarebbe bastato che voi non mi aveste trovato, che Io avessi passato il fiume non lasciando traccia di Me sull’acqua che si ricompone dopo che la prua l’ha aperta, perché il loro mal fare, sotto aspetto di ben fare, trionfasse. Ma presto è stato scoperto il giuoco e la loro mala opera è annullata. E così di tutte le azioni dell’uomo. Uno almeno, Dio, le conosce e provvede. Quanto viene detto all’oscuro finisce ad esser svelato dalla Luce, e quello che viene tramato in segreto in una camera può esser disvelato come fosse stato preparato su una piazza. Perché ogni uomo può avere il suo delatore. E perché ogni uomo è visto da Dio, il quale può intervenire a smascherare i colpevoli.

 7 ­Perciò occorre agire sempre con onestà per vivere con pace. E chi così vive non abbia paura. Non paura in questa vita, non paura per l’altra vita. No, amici miei, Io ve lo dico: chi agisce da giusto non abbia paura. Non paura di coloro che uccidono, sì, di coloro che possono uccidere il corpo, ma che dopo di ciò non possono fare altro. Io vi dico di che avete a temere. Temete di quelli che, dopo avervi fatto morire, vi possono mandare all’inferno, ossia dei vizi, dei cattivi compagni, dei falsi maestri, di tutti coloro che vi insinuano il peccato o il dubbio nel cuore, di quelli che tentano di corrompere l’anima più del corpo e portarvi al distacco da Dio e a pensieri di disperazione nella divina Misericordia. Di questo avete a temere, Io ve lo ripeto. Perché allora sarete morti in eterno. Ma per il resto, per la vostra esistenza, non temete. Il Padre vostro non perde d’occhio neppure uno di questi minimi uccelli che nidificano fra le fronde degli alberi. Non uno di essi cade nella rete senza che il suo Creatore lo sappia. Eppure è ben piccolo il loro valore materiale: cinque passeri per due assi. E nullo è il loro valore spirituale. Ciononostante, Dio se ne cura. Come dunque non avrà cura di voi? Della vostra vita? Del vostro bene? Anche i capelli del capo vostro sono noti al Padre, né alcuna ingiuria che viene fatta ai suoi figli gli passa inosservata, perché voi siete i suoi figli, ossia molto più dei passeri che nidificano sui tetti e fra il fogliame.

 8 E figli rimanete finché da voi non rinunciate ad esserlo, di vostra libera volontà. E si rinuncia a questa figliolanza quando si rinnega Iddio e il Verbo che Dio ha mandato fra gli uomini per portare gli uomini a Dio. Allora, quando uno non mi vuole riconoscere davanti agli uomini, perché teme da questo riconoscimento del danno, allora anche Dio non lo riconoscerà per suo figlio, e il Figlio di Dio e dell’uomo non lo riconoscerà davanti agli angeli del Cielo, e chi mi avrà rinnegato davanti agli uomini sarà rinnegato per figlio davanti agli angeli di Dio. E chi avrà parlato male e contro il Figlio dell’uomo sarà ancora perdonato, perché Io perorerò il suo perdono presso il Padre, ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato. Questo perché? Perché non tutti possono conoscere l’estensione dell’Amore, la sua perfetta infinità, e vedere Dio in una carne simile ad ogni carne d’uomo. I gentili, i pagani non possono credere questo per fede, perché la loro religione non è amore. Anche fra noi il rispetto pauroso che ha Israele per Jeové può impedire che si creda che Dio si sia fatto uomo e il più umile degli uomini. Una colpa il non credermi. Ma quando si appoggia su un eccessivo timore di Dio è ancora perdonata. Ma perdonato non può essere chi non si arrende alla verità che traluce dai miei atti e nega allo Spirito d’Amore di aver potuto mantenere la parola data di mandare il Salvatore al tempo stabilito, il Salvatore preceduto e accompagnato dai segni predetti.

 9 ­Essi, coloro che mi perseguitano, conoscono i profeti. Le profezie sono piene di Me. Essi conoscono le profezie e conoscono ciò che Io faccio. La verità è palese. Ma essi la negano per volontà di negarla. Sistematicamente negano che Io sia non solo il Figlio dell’uomo, ma il Figlio di Dio predetto dai profeti, il Nato da una Vergine non per voler dell’uomo ma dell’Amore eterno, dell’eterno Spirito che mi ha annunciato perché gli uomini mi potessero riconoscere. Essi, per poter dire che il buio dell’attesa del Cristo dura, si ostinano a tener chiusi gli occhi per non vedere la Luce che è nel mondo, e perciò rinnegano lo Spirito Santo, la sua Verità, la sua Luce. E per costoro sarà giudizio più severo che per coloro che non sanno. E dirmi “satana” non sarà loro perdonato, perché lo Spirito per Me fa opere divine e non sataniche. E portare altri a disperazione quando l’Amore li ha portati alla pace non sarà perdonato. Perché queste sono tutte offese allo Spirito Santo. A questo Spirito Paraclito che è Amore e dona amore e chiede amore, e che attende il mio olocausto d’amore per effondersi in amore sapiente, illuminante nei cuori dei miei fedeli. E quando ciò sarà avvenuto e ancora vi perseguiteranno accusandovi davanti ai magistrati e ai principi nelle sinagoghe e nei tribunali, non vi preoccupate pensando a come vi scagionerete. Lo stesso Spirito vi dirà ciò che avete a rispondere per servire la Verità e conquistarvi la Vita, così come il Verbo vi sta dando quanto occorre per poter entrare nel Regno della Vita eterna.

 10­Andate in pace. Nella mia pace. In quella pace che è Dio e che Dio emana per saturarne i suoi figli. Andate e non temete. Io non sono venuto per ingannarvi ma per istruirvi, non a perdervi ma a redimervi. Beati quelli che sapranno credere alle mie parole. E tu, uomo, due volte salvato, sii forte e ricorda la pace mia per dire ai tentatori: “Non tentate di sedurmi. La mia fede è che Egli è il Cristo”. Va’, o donna. Va’ con lui e state in pace. Addio. Tornate alle case e lasciate il Figlio dell’uomo all’umile riposo sull’erba prima di riprendere il perseguitato suo cammino alla ricerca di altri da salvare, fino alla fine. La mia pace stia con voi».
   Li benedice e torna là dove hanno mangiato. E gli apostoli con Lui. E, sfollata la gente, si stendono col capo sulle sacche e presto il sonno li prende, nel calore afoso del pomeriggio e nel silenzio pesante di queste ore torride.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, 
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 11, 47-54: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi».

Vangelo Novus Ordo Lc 11, 47-54
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. Così voi testimoniate e approvate le opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite.
Per questo la sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno”, perché a questa generazione sia chiesto conto del sangue di tutti i profeti, versato fin dall’inizio del mondo: dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccarìa, che fu ucciso tra l’altare e il santuario. Sì, io vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.
Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza; voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare voi l’avete impedito».
Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo in modo ostile e a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Guai a voi, dottori della Legge, che avete portato via la chiave della conoscenza ».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CDXIV. Invettiva contro farisei e dottori al convito in casa del sinedrista Elchia.­

   10 aprile 1946.
 
 1 Gesù entra nella casa del suo ospite, poco lontana dal Tempio ma spinta verso il rione che è ai piedi di Tofet. Una casa dignitosa, un poco arcigna, di stretto osservante, anzi di esagerato osservante. Credo che anche i chiodi siano messi in numero e in posizione quale qualcuno dei seicentotredici precetti lo indica per buono. Non c’è un disegno nelle stoffe, non un fregio alle pareti, non un ninnolo… nulla di quei minimi che anche nelle case di Giuseppe e Nicodemo e degli stessi farisei di Cafarnao sono presenti per abbellire la casa. Questa è… trasudante da ogni parte lo spirito del proprio padrone. Gelida, tanto è spoglia di ciò che è ornamento. Dura nei mobili scuri e pesanti squadrati come tanti sarcofaghi. Respingente. Una casa che non accoglie ma che si serra nemica a chi vi penetra.
   Ed Elchia lo fa notare vantandosene. «Lo vedi, o Maestro, come io sono osservante? Tutto lo dice. Guarda: tende senza disegno, mobili senza ornati, niente vasi a scoltura o lampadari che imitano fiori. C’è tutto. Ma tutto regolato sul precetto: “Non ti farai nessuna scultura, né rappresentazione di quello che è lassù nel cielo, o quaggiù in terra, o nelle acque sotto la terra”. Così nella casa come nelle vesti mie e dei miei famigliari. Io, ad esempio, non approvo in questo tuo discepolo (l’Iscariota) quei lavori sulla veste e sul manto. Tu mi dirai: “Li portano in molti”. Dirai: “Non è che una greca”. Va bene. Ma con quegli angoli, con quelle curve, troppo ricorda i segni dell’Egit­to. Orrore! Cifre demoniche! Segni di negromanzia! Sigle di Belzebul! Non ti fai onore, o Giuda di Simone, a portarli, né Tu, Maestro, a concederglielo».
   Giuda risponde con una risatina sarcastica. Gesù risponde umilmente: «Più che i segni delle vesti Io sorveglio che non siano segni d’orrore sui cuori. Ma pregherò, anzi da ora lo prego il mio discepolo, di portare vesti meno ornate, onde non scandalizzare nessuno».
   Giuda ha un movimento buono: «Veramente il mio Maestro mi ha più volte detto che avrebbe preferito più semplicità nelle mie vesti. Ma io… ho fatto ciò che volevo perché mi piace essere vestito così».
   «Male, molto male. Che un galileo insegni a un giudeo è molto male; a te, poi, che eri del Tempio… oh!». Elchia mostra tutto il suo scandalo e i suoi amici lo secondano.
   Giuda è già stanco d’esser buono. E rimbecca: «Oh! allora ci sarebbero tante pompe da levare anche a voi del Sinedrio! Se vi doveste levare tutti i disegni messi a coprire le facce delle vostre anime, apparireste ben brutti».
   «Come parli?».
   «Come uno che vi conosce».
   «Maestro! Ma lo senti?».
   «Sento e dico che occorre umiltà da una parte e dall’altra, e in ambe verità. E reciproco compatimento. Solo Dio è perfetto».
   «Ben detto, o Rabbi!», dice uno degli amici… Sparuta, solitaria voce nel gruppo farisaico e dottorale.
   «Mal detto, invece», ribatte Elchia. «Il Deuteronomio è chiaro nelle sue maledizioni. Dice: “Maledetto l’uomo che fa immagine scolpita o di getto, cosa abbominevole, opera di mano d’artefici, e…”».
   «Ma queste sono vesti, non sono scolture», risponde Giuda.
   «Silenzio tu. Parla il tuo Maestro. Elchia, sii giusto e distingui. Maledetto chi fa idoli. Ma non chi fa disegni copiando il bello che il Creatore ha messo nel creato. Cogliamo pure i fiori per ornare…».
   «Io non ne colgo né voglio vederne ornate le stanze. Guai alle mie donne se fanno questo peccato anche nelle loro. Solo Dio va ammirato».
   «Giusto pensiero. Solo Dio. Ma si può ammirare Dio anche in un fiore, riconoscendo che Lui è l’Artefice del fiore».
   «No, no! Paganesimo! Paganesimo!».
   «Giuditta si ornò, e si ornò Ester per scopo santo…».
   «Femmine! E la femmina è sempre essere spregevole. 

 2 ­Ma te ne prego, Maestro, di entrare nella sala del convito mentre io mi ritiro un momento dovendo parlare coi miei amici».
   Gesù acconsente senza discussione.
   «Maestro… Respiro male!…», esclama Pietro.
   «Perché? Ti senti male?», chiedono alcuni.
   «No. Ma a disagio… come uno caduto in un trabocchetto».
   «Non ti agitare. E siate tutti molto prudenti», consiglia Gesù.
   Restano in gruppo e in piedi, finché rientrano i farisei seguiti dai servi.
   «Alle tavole senza indugio. Abbiamo adunanza e non possiamo attardarci», ordina Elchia. E distribuisce i posti, mentre già i servi scalcano le vivande.
   Gesù è a lato di Elchia, e al suo fianco è Pietro. Elchia offre i cibi, e il pasto ha inizio in un silenzio agghiacciante… Ma poi hanno principio le prime parole. Naturalmente rivolte a Gesù, perché gli altri dodici sono lasciati in trascuranza come non ci fossero.

 3 ­Il primo ad interrogare è un dottore della Legge. «Maestro, dunque Tu sei sicuro di essere ciò che dici?».
   «Non Io lo dico di mia bocca. I profeti lo hanno detto prima che Io fossi fra voi».
   «I profeti!… Tu che neghi che noi si sia santi, puoi anche accogliere per buono il mio detto se dico che i profeti nostri possono essere degli esaltati».
   «I profeti sono santi».
   «E noi no, non è vero? Ma guarda che Sofonia unisce i profeti ai sacerdoti nella condanna contro Gerusalemme: “I suoi profeti sono degli esaltati, uomini senza fede, e i suoi sacerdoti profanano le cose sante e violano la Legge”. Tu questo ce lo rimproveri di continuo. Ma, se accetti il profeta nella seconda parte del suo detto, lo devi accettare anche nella prima e riconoscere che non c’è base di appoggio sulle parole che vengono dagli esaltati».
   «Rabbi d’Israele, rispondi a Me. Quando poche righe di poi Sofonia dice: “Canta e rallegrati, o figlia di Sion… il Signore ha ritirato il decreto contro te… il Re d’Israele è in mezzo a te”, il tuo cuore le accetta queste parole?».
   «È la mia gloria ripetermele sognando quel giorno».
   «Ma sono parole di un profeta, di un esaltato, perciò…».
   Il dottore della Legge resta per un momento interdetto.
   Lo soccorre un amico. «Nessuno può mettere in dubbio che Israele regnerà. Non uno, ma tutti i profeti e i pre-profeti, ossia i patriarchi, hanno detto questa promessa di Dio».
   «E non uno dei pre-profeti e profeti ha mancato di indicarmi per quello che sono».
   «Oh! bene! Ma noi non abbiamo le prove! Puoi essere Tu pure un esaltato. Che prove ci dai che sei Tu il Messia, il Figlio di Dio? Dammi un termine perché io possa giudicare».
   «Non ti dico la mia morte descritta da David e da Isaia. Ma ti dico la mia risurrezione».
   «Tu? Tu? Risorgere Tu? E chi ti farà risorgere?».
   «Non certo voi. Non il Pontefice, non il monarca, non le caste, non il popolo. Da Me stesso risorgerò».
   «Non bestemmiare, o Galileo, e non mentire!».
   «Non faccio che rendere onore a Dio e dire verità. E con Sofonia ti dico: “Aspettami alla mia risurrezione”. Fino ad allora potrai avere dubbi, potrete averli tutti, e potrete lavorare a istillarli al popolo. Ma più non potrete quando l’eterno Vivente da Se stesso, dopo aver redento, risusciterà per non più morire, Giudice intangibile, Re perfetto che col suo scettro e la sua giustizia governerà e giudicherà fino alla fine dei secoli e continuerà a regnare nei Cieli in eterno».

 4 «Ma non sai che parli a dottori e sinedristi?», dice Elchia.
   «E che perciò? Voi mi interrogate. Io rispondo. Voi mostrate desiderio di sapere. Io vi illustro la verità. Non vorrai farmi venire alla mente, tu che per un disegno su una veste hai ricordato la maledizione del Deuteronomio, l’altra maledizione dello stesso: “Maledetto chi colpisce di nascosto il suo prossi­mo”».
   «Io non ti colpisco. Ti do cibo».
   «No. Ma le insidiose domande sono colpi dati alle spalle. Attento, Elchia. Perché le maledizioni di Dio si seguono, e quella che ho citata è seguita dall’altra: “Maledetto chi accetta doni per condannare a morte un innocente”».
   «In questo caso i doni li accetti Tu, mio ospite».
 ­  «Io non condanno neppure i colpevoli se sono pentiti».
   «Non sei giusto, allora».
   «No, giusto è. Perché Egli calcola che il pentimento merita perdono, e perciò non condanna», dice quello che ha già approvato Gesù nell’atrio della casa.
   «Taci là, Daniel! Vuoi saperne più di noi? O sei sedotto da uno sul quale molto è ancora a decidere e che nulla fa per aiutarci a decidere in suo favore?», dice un dottore.
   «So che voi siete i sapienti ed io un semplice giudeo, che neppure so perché mi vogliate spesso fra voi…».
   «Ma perché sei parente! È facile a capirsi! Ed io voglio santi e sapienti coloro che entrano nella mia parentela! Io non posso permettere ignoranze nella Scrittura, nella Legge, negli Halasciot, Midrasciot e nell’Haggada. E non le sopporto. Tutto va conosciuto. Tutto osservato…».
   «E grato ti sono di tanta cura. Ma io, semplice coltivatore di terre, divenuto indegnamente tuo parente, non mi sono preoccupato che di conoscere la Scrittura e i Profeti per avere conforto nella mia vita. E, con la semplicità di un indotto, ti confesso che riconosco nel Rabbi il Messia preceduto dal suo Precursore che ce lo ha indicato… E Giovanni, non lo puoi negare, era invaso dallo Spirito di Dio».
   Un silenzio. Negare che il Battista era infallibile non vogliono. Dirlo infallibile neppure.
   E allora un altro dice: «Via… Diciamo che il Precursore è precursore di quell’angelo che Dio manda a preparare la via al Cristo. E… ammettiamo che nel Galileo vi è sufficiente santità per giudicarlo tale angelo. Dopo di Lui verrà il tempo del Messia. Non vi pare conciliante a tutti questo mio pensiero? Lo accetti, Elchia? E voi, amici miei? E Tu, Nazareno?».
   «No». «No». «No». I tre “no” sono sicuri.
   «Come? Perché non approvate?».
   Elchia tace. Tacciono i suoi amici. Solo Gesù, sincero, risponde: «Perché non posso approvare un errore. Io sono da più di un angelo. L’angelo fu il Battista, Precursore del Cristo, e il Cristo Io sono».

 5 Un silenzio glaciale, lungo. Elchia, il gomito appoggiato al lettuccio, la guancia appoggiata alla mano, pensa, duro, chiuso come tutta la sua casa.
   Gesù si volge e lo guarda, e poi dice: «Elchia, Elchia, non confondere la Legge e i Profeti con le piccinerie!».
   «Vedo che hai letto il mio pensiero. Ma non puoi negare che Tu hai peccato trasgredendo al precetto».
   «Come tu, e con astuzia, perciò con più colpa, hai trasgredito al dovere dell’ospite, con volontà di farlo lo hai fatto, e mi hai distratto e poi qui mandato mentre tu cogli amici ti purificavi, e al tuo ritorno ci hai pregato di esser solleciti ché avevi adunanza, e tutto per potermi dire: “Hai peccato”».
   «Potevi ricordarmi il mio dovere di darti di che purificarti».
   «Tante cose potrei ricordarti, ma non servirebbe altro che a farti più intransigente e nemico».
   «No. Dille, dille. Ti vogliamo ascoltare e…».
   «E accusare presso i Principi dei Sacerdoti. Per questo ti ho ricordato l’ultima e la penultima maledizione. Lo so. Vi conosco. Sono qui, inerme, fra voi. Sono qui, isolato dal popolo che mi ama e davanti al quale non osate aggredirmi. Ma non ho paura. Ma non vengo a compromessi né faccio viltà. E vi dico il vostro peccato, di tutta la casta vostra e vostro, o farisei, falsi puri della Legge, o dottori, falsi sapienti, che confondete e mescolate di proposito il vero e il falso buono, che agli altri e dagli altri esigete la perfezione anche nelle cose esteriori e da voi nulla esigete. Voi mi rimproverate, uniti al vostro e mio ospite, di non essermi lavato avanti il desinare. Lo sapete che vengo dal Tempio, al quale non si accede altro che dopo essersi purificati dalle immondezze della polvere e della via. Volete allora confessare che il Sacro Luogo è contaminazione?».
   «Noi ci siamo purificati avanti le mense».
   «E a noi è stato imposto: “Andate là, attendete”. E dopo: “Alle tavole senza indugio”. Fra le tue pareti monde di disegni uno dunque ve ne era: quello di trarmi in inganno. Quale mano l’ha scritto sulle pareti il motivo per potermi accusare? Il tuo spirito o un’altra potenza che te lo regola e che ascolti? 

 6 Or­bene, udite tutti».
   Gesù si alza in piedi e, stando con le mani appoggiate all’orlo della tavola, comincia la sua invettiva:
   «Voialtri farisei lavate l’esterno del calice e del piatto, e le mani vi lavate e i piedi vi lavate, quasi che piatto e calice, mani e piedi avessero ad entrare nel vostro spirito che amate proclamare puro e perfetto. Ma non voi, sibbene Dio questo lo deve proclamare. Ebbene sappiate ciò che Dio pensa del vostro spirito. Egli pensa che è pieno di menzogna, sozzura e rapina, pieno di nequizia è, e nulla può dall’esterno corrompere ciò che già è corruzione».
   Stacca la destra dalla tavola e involontariamente comincia a gestire con essa mentre continua:
   «Ma chi ha fatto il vostro spirito, come ha fatto il vostro corpo, non può esigere, almeno con uguale misura, il rispetto all’interno che avete per l’esterno? O stolti che mutate i due valori e ne invertite la potenza, ma non vorrà l’Altissimo un’ancor maggior cura per lo spirito, fatto a sua somiglianza e che per la corruzione perde la Vita eterna, che non per la mano o il piede la cui sporcizia può esser detersa con facilità e che, se anche rimanessero sporchi, non influirebbero sulla nettezza interiore? E può Dio preoccuparsi della nettezza di un calice o di un vassoio quando questi non sono che cose senz’anima e che non possono influire sulla vostra anima?
  Leggo il tuo pensiero, Simone Boetos. No. Non regge. Non è per pensiero di salute, per tutela della carne, della vita, che voi avete queste cure, che praticate queste purificazioni. Il peccato carnale, anzi i peccati carnali della gola, delle intemperanze, delle lussurie, sono certo più dannosi alla carne di un poco di polvere sulle mani o sul piatto. Eppure voi li praticate senza preoccuparvi di tutelare la vostra esistenza e l’incolumità dei vostri familiari. E peccato fate di più nature, perché, oltre che la contaminazione dello spirito e del corpo vostro, lo sperpero di sostanze, il mancato rispetto ai familiari, fate offesa al Signore per la profanazione del vostro corpo, tempio dello spirito vostro, in cui dovrebbe essere il trono per lo Spirito Santo; e offesa per il giudizio che fate, che da voi vi dovete tutelare dai morbi venienti da un po’ di polvere, quasi che Dio non potesse intervenire a proteggervi dai morbi fisici se a Lui ricorreste con spirito puro.

 7 ­Ma Colui che ha creato l’interno non ha forse creato anche l’esterno e viceversa? E non è l’interno il più nobile e il più marcato dalla divina somiglianza? Fate allora opere che siano degne di Dio e non grettezze che non si alzano dalla polvere per la quale e della quale sono fatte, della povera polvere che è l’uomo preso come creatura animale, fango composto in forma e che polvere torna, polvere che il vento dei secoli disperde. Fate opere che restino, che siano opere regali e sante, opere che si incoronano della divina benedizione. Fate carità e fate elemosina, siate onesti, siate puri nelle opere e nelle intenzioni e, senza ricorrere all’acqua delle abluzioni, tutto sarà puro in voi.
   Ma che vi credete? Di essere a posto perché pagate le decime sugli aromi? No. Guai a voi, o farisei che pagate le decime della menta e della ruta, della senape e del comino, del finocchio e d’ogni altro erbaggio, e poi trascurate la giustizia e l’amor di Dio. Pagare le decime è dovere e va fatto. Ma ci sono più alti doveri e anche quelli vanno fatti. Guai a chi osserva le cose esteriori e trascura le altre interiori basate sull’amore a Dio e al prossimo. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e nelle adunanze e amate essere riveriti sulle piazze, e non pensate a fare opere che vi diano un posto in Cielo e vi meritino la riverenza degli angeli. Voi siete simili a sepolcri nascosti che passano inosservati a chi li sfiora e non ne ha ribrezzo, ma ribrezzo ne avrebbe se potesse vedere cosa è chiuso in essi. Dio però vede anche le più riposte cose e non si inganna nel giudicarvi».

 Lo interrompe, alzandosi esso pure in piedi, in contraddittorio, un dottore della Legge. «Maestro, così parlando Tu offendi noi pure; e non ti conviene, perché noi ti dobbiamo giu­di­care».
   «No. Non voi. Voi non potete giudicarmi. Voi siete i giudicati, non i giudici, e chi vi giudica è Dio. Voi potete parlare, emettere suoni con le vostre labbra. Ma anche la voce più potente non giunge ai Cieli né scorre tutta la Terra. Dopo poco spazio è silenzio… E dopo poco tempo è oblìo. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanze. Secoli e secoli sono passati da quando Dio ha giudicato Lucifero e ha giudicato Adamo. Ma la voce di quel giudizio non si spegne. Ma le conseguenze di quel giudizio sono. E se ora Io sono venuto per riportare la Grazia agli uomini, mediante il Sacrificio perfetto, il giudizio sull’atto di Adamo resta quello che è, e chiamato sarà “colpa d’origine” sempre. Saranno redenti gli uomini, lavati da una purificazione superiore ad ogni altra. Ma nasceranno con quel marchio perché Dio ha giudicato che quel marchio debba essere su ogni nato da donna, meno per Colui che, non per opera d’uomo, ma per Spirito Santo fu fatto, e per la Preservata e il Presantificato, vergini in eterno. La Prima per poter essere la Vergine Deipara, il secondo per poter precorrere l’Innocente nascendo già mondo per una prefruizione dei meriti infiniti del Salvatore Redentore.

 9 ­Ed Io vi dico che Dio vi giudica. E vi giudica dicendo: “Guai a voi, dottori della Legge, perché caricate la gente di pesi insopportabili, rendendo un castigo il paterno decalogo dell’Altissimo al suo popolo”. Egli con amore e per amore lo aveva dato, onde l’uomo fosse sorretto da una giusta guida, l’uomo, l’eterno e imprudente e ignorante bambino. E voi, alle amorose dande con cui Dio aveva abbracciato le sue creature perché potessero procedere per la sua via e giungergli sul cuore, avete sostituito montagne di pietre aguzze, pesanti, tormentose, un labirinto di prescrizioni, un incubo di scrupoli, per cui l’uomo si accascia, si smarrisce, si ferma, teme Dio come un nemico. Voi ostacolate l’andare a Dio dei cuori. Voi separate il Padre dai figli. Voi negate, con le vostre imposizioni, questa dolce, benedetta, vera Paternità. Ma voi, però, quei pesi che agli altri date, non li toccate neppure con un dito. Vi credete giustificati solo per averli dati. Ma, o stolti, non sapete che sarete giudicati per quel che avete giudicato esser necessario a salvarsi? Non sapete che Dio vi dirà: “Voi dicevate sacra, giusta la vostra parola. Orbene, Io pure la giudico tale. E poiché l’avete imposta a tutti e sul come fu accolta e praticata avete giudicato i fratelli, ecco Io vi giudico con la vostra parola. E poiché non avete fatto ciò che avete detto di fare, siate condannati”?
   Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti che i vostri padri uccisero. E che? Credete con ciò di diminuire la grandezza della colpa dei padri vostri? Di annullarla agli occhi dei posteri? No anzi. Voi testimoniate di queste opere dei padri vostri. Non solo. Ma le approvate, pronti ad imitarli, elevando poi un sepolcro al profeta perseguitato per dirvi: “Noi lo abbiamo onorato”. Ipocriti! È per questo che la Sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro dei profeti e degli apostoli. Ed essi ne uccideranno alcuni ed altri li perseguiteranno, onde si possa chiedere a questa generazione il sangue di tutti i profeti che è stato sparso dalla creazione del mondo in poi, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il santuario”. Sì, in verità, in verità vi dico che di tutto questo sangue di santi ne sarà chiesto conto a questa generazione che non sa distinguere Dio là dove è, e perseguita il giusto e l’accora perché il giusto è il confronto vivente con la sua ingiustizia.

 10­Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpata la chiave della scienza e ne avete chiuso il tempio per non entrarvi ed essere da essa giudicati, e non avete permesso che altri vi entrassero. Perché sapete che, se il popolo fosse ammaestrato dalla vera Scienza, ossia dalla Sapienza santa, potrebbe giudicarvi. Onde lo preferite ignorante perché non vi giudichi. E mi odiate perché Io sono Parola di Sapienza e vorreste chiudermi anzitempo in una carcere, in un sepolcro perché Io non parlassi più.
   Ma Io parlerò finché al Padre mio piacerà che Io parli. E dopo parleranno le mie opere più ancora delle mie parole. E parleranno i miei meriti più ancora delle opere, e il mondo sarà istruito e saprà, e vi giudicherà. Il primo giudizio su voi. E poi verrà il secondo, il singolo giudizio ad ogni singola vostra morte. E infine l’ultimo: quello universale. E ricorderete questo giorno e questi giorni e voi, voi soli conoscerete il Dio terribile che vi siete sforzati di agitare come una visione d’incubo davanti agli spiriti dei semplici, mentre voi, nell’interno del vostro sepolcro, vi siete irrisi di Lui, e dal primo e principale comandamento, quello dell’amore, all’ultimo dato sul Sinai, non ne avete avuto rispetto e avete disubbidito.
   Inutilmente, o Elchia, non hai figurazioni nella tua casa. Inutilmente, o voi tutti, non avete oggetti scolpiti nelle vostre case. Nell’interno del cuore avete l’idolo, più idoli. Quello di credervi dèi, quelli delle concupiscenze vostre.

 11­Venite, voi. Andiamo».
   E, facendosi precedere dai dodici, esce per ultimo.
   Un silenzio…
   Poi i rimasti fanno un clamore dicendo tutti insieme: «Bisogna perseguitarlo, coglierlo in fallo, trovare oggetti di accusa! Ucciderlo bisogna!».
   Altro silenzio.
   E poi, mentre due se ne vanno, disgustati dell’odio e dei propositi farisaici, e sono il parente di Elchia e l’altro che per due volte ha difeso il Maestro, i rimasti si chiedono: «E come?».
   Altro silenzio.
   Poi, con una risata chioccia, Elchia dice: «Occorre lavorare Giuda di Simone…».
   «Già! Buona idea! Ma tu l’hai offeso!…».
   «Ci penso io», dice quello che Gesù ha chiamato Simone Boetos. «Io e Eleazaro di Anna… Lo circuiremo…».
   «Un poco di promesse…».
   «Un poco di paura…».
   «Molto denaro…».
   «No. Molto no… Promesse, promesse di molto denaro…».
   «E poi?».
   «Cosa, e poi?».
   «Eh! Poi. A cose fatte. Che gli daremo?».
   «Ma nulla! La morte. Così… non parlerà più», dice lentamente e crudelmente Elchia.
   «Uh! la morte…».
   «Ne hai orrore? Ma va’ via! Se uccidiamo il Nazareno che… è un giusto… potremo uccidere anche l’Iscariota che è un peccatore…».
   Vi sono incertezze…
   Ma Elchia, alzandosi, dice: «Sentiremo anche Anna… E vedrete che… dirà buona l’idea. E ci verrete anche voi… Oh! se ci verrete…».
   Escono tutti dietro al loro ospite, che se ne va dicendo: «Ci verrete… Ci verrete!».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!