Sant’Isidoro di Siviglia prega per noi – 4 aprile

S. Isidoro venne sempre riguardato come il più illustre dottore della chiesa di Spagna. Iddio lo fece nascere, dice S. Braulione, per arrestare il torrente di barbarie e di ferocia che portavano ovunque le armi dei Goti.

Nacque a Cartagena, da illustre famiglia, imparentata con la casa regnante. Se i suoi genitori erano ragguardevoli per nobiltà, maggiormente lo erano per le loro virtù. Ebbero da Dio quattro figli, e tutti quattro sono santi : S. Leandro, vescovo di Siviglia, S. Fuigenzio, vescovo di Cartagine, S. Isidoro, successore di S. Leandro nella sede episcopale di Siviglia, e S. Fiorentina.

Isidoro venne educato nella pietà e negli studi dai suoi fratelli Leandro e Fulgenzio. Imparò la lingua greca, ebraica e latina e si specializzò nel diritto. Giova netto ancora, combattè con molto coraggio e pubblicamente l’eresia ariana. Morto S. Leandro, che se lo era associato nel lavoro per la conversione dei Visigoti, benchè riluttante, fu eletto a succedergli sulla cattedra episcopale di Siviglia.

Si adoperò con tutte le forze per ristabilire la disciplina nella Chiesa di Spagna e fu l’anima dei concilii che si tennero in quel tempo, ad alcuni dei quali presiedette egli stesso. Scrisse anche molto : le opere che ci rimangono sono piene di pietà e di sapienza celeste. Ricordiamo i Commentarii sui libri storici del Vecchio Testamento; i venti libri delle origini e delle etimologie.

In mezzo a tante fatiche del ministero, non trascurò mai le pratiche di pietà e l’esercizio della vita interiore; con la preghiera, la meditazione e la penitenza avvalorava tutte le azioni della giornata.

Le infermità e la vecchiaia non diminuirono lo zelo e il fervore di S. Isidoro. Al termine dei suoi giorni si fece condurre in chiesa, e là, coperto di cenere e cilici, dopo fervorosa preghiera, ricevette il santo viatico; quindi, avendo esortato il popolo accorso, se ne volò al cielo il 4 aprile del 639 dopo 36 anni di episcopato.

Il Breviario rende di lui questa testimonianza: « Nessuna lingua potrà ridire quanto egli nell’episcopato fu costante, umile, paziente, misericordioso, sollecito nell’instaurare i costumi cristiani e la disciplina ecclesiastica, indefesso nel sostenerla con la parola e con gli scritti, ragguardevole infine per ogni ornamento di virtù ». Ardente promotore delle istituzioni monastiche nella Spagna. costruì monasteri ed edificò collegi dove educò moltissimi discepoli fra i quali S. Ildefonso e S. Braulione.

L’ottavo concilio di Toledo, convocato 14 anni dopo la morte del Santo, lo chiama « il dottore eccellente, la gloria della Chiesa Cattolica, il più saggio uomo che fosse comparso per illuminare gli ultimi secoli; il suo nome non si può nominare senza grande rispetto ».

PRATICA. Impariamo da questo Santo l’amore alla parola di Dio.

PREGHIERA. Dio, che al popolo tuo desti per ministro di eterna salvezza il beato Isidoro, deh! fa’ che come l’abbiamo avuto dottore sulla terra, così meritiamo di averlo intercessore in cielo.

Nome: Sant’ Isidoro di Siviglia
Titolo: Vescovo e dottore della Chiesa
Nascita: 560, Cartagena, Spagna
Morte: 4 aprile 636, Siviglia, Spagna
Ricorrenza: 4 aprile
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Schiavon
Protettore: programmatori, degli studenti

San Riccardo di Chichester prega per noi – 3 aprile

La storia

Riccardo fu educato da Roberto Grossatesta e Edmondo ad Oxford. Successivamente si trasferì a Parigi e poi a Bologna, dove studiò diritto.

Nel 1235 ritornò ad Oxford e divenne rettore dell’università. Nominato cancelliere da Edmondo di Abingdon, arcivescovo di Centerbury, partecipò agli sforzi di questo per riformare il clero e difendere la chiesa dalle ingerenze del potere reale.

Nel 1240, alla morte di Edmondo, decise di farsi prete, dopo aver studiato per due anni teologia presso i domenicani di Orleans. Ritornò in Inghilterra nel 1242 e divenne curato di una parrocchia del Kent. In seguito ritornò ad essere cancelliere dell’arcivescovo di Centerbury.

Nel 1244 fu eletto vescovo di Chichester, ma il re Enrico III, che appoggiava un candidato più docile, gli proibì di occupare la cattedra episcopale. Il papa Innocenzo IV lo consacrò vescovo a Lione nel 1245.

Di ritorno in Inghilterra riuscì ad ottenere la sua diocesi, ma dovette vivere in povertà in un presbiterio di campagna, dal momento che il re gli aveva confiscato tutte le rendite, che gli furono però restituite nel 1247.

Nel 1253 predicò con grande successo la crociata. Fu canonizzato nel 1262 da Urbano V. I suoi resti vennero traslati nel 1276 nella cattedrale di Chichester, alla presenza del re Edoardo I. Il culto sopravvisse sino alla riforma.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Cichester in Inghilterra, san Riccardo, vescovo, che, esiliato dal re Enrico III e restituito poi alla sua sede, si dimostrò prodigo nel donare ai poveri.

SCHEDA
Nome: San Riccardo di Chichester
Titolo: Vescovo
Nascita: 1197, Wych,Worcestershire
Morte: 3 aprile 1253, Dover
Ricorrenza: 3 aprile
Tipologia: Commemorazione

San Francesco da Paola prega per noi – 2 aprile

Nome: San Francesco da Paola
Titolo: Eremita e fondatore
Nascita: 1416, Paola, Cosenza
Morte: 2 aprile 1507, Tours, Francia
Ricorrenza: 2 aprile
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Calabria, Sicilia, Napoli, Marsala, Monopoli, Milazzo, Castrovillari, Castellaneta, Paola, Cazzago San Martino e altri comuni.
Protettore: dalle apidemie, dagli incendi, naviganti, pescatori, dalla sterilità
Sito ufficiale: www.sanfrancescodapaola.com

S. Francesco, detto da Paola dalla sua città natale, nacque nel 1416.

I suoi genitori lo ebbero dal Signore per intercessione di S. Francesco d’Assisi. Ammaestrato fin dai più teneri anni alla pietà, indirizzava tutti i suoi sforzi all’acquisto della virtù, dimodocchè apparve destinato a grande santità.

A 13 anni apprese dai Francescani i primi rudimenti della scienza, e incominciò a praticar quella vita austera, che continuò poi per tutta la vita. A soli quindici anni, col consenso dei genitori, si ritirò in solitudine non molto lontano dalla patria. Ma disturbato dalle frequenti visite che gli facevano molte pie persone ammirate del suo modo straordinario di vivere, si appartò maggiormente, spingendosi verso il mare e quivi si scavò una grotta. Il suo letto era la nuda tèrra, il suo cibo le erbe che crescevano d’intorno, e l’abito un sacco grossolano, che nascondeva un ruvido cilicio.

Non aveva ancora vent’anni quando gli si aggiunsero altre persone desiderose di vivere sotto la sua direzione. Allora il Santo uscì dalla solitudine, edificò nei dintorni di Paola una chiesa con un monastero ponendo le fondamenta del suo ordine, che per umiltà volle chiamare dei « Minimi ».

Il Signore, che prova col fuoco delle afflizioni quelli che lo amano, permise che venisse perseguitato da Ferdinando principe di Taranto, che poi tocco dalla grazia di Dio lo lasciò in pace. L’eminente santità di Francesco appariva ancora più agli occhi del popolo pel dono profetico. I prodigi poi che Iddio moltiplicava a mezzo del suo fedele servo eccitavano l’universale ammirazione, tanto che Papa Paolo II mandò un suo legato a verificare se era vero quello che si raccontava di lui.

Il re di Francia Luigi XI, essendo ammalato, volle presso di sè S. Francesco, che per ordine del Sommo Pontefice (a cui Luigi XI era ricorso per averlo), tosto si mise in viaggio. Ovunque passava, era accolto festosamente. La Provenza rovinata dalla peste provò i benefici effetti della presenza del servo di Dio.

Arrivato presso il re, lo indusse a rassegnarsi al volere di Dio e lo dispose a ben morire.

Molto fu amato da Luigi XI, che favorì grandemente la diffusione dei Minimi in Francia.

Francesco visse ancora parecchi anni: quando fu avvertito esser prossimo il giorno della sua morte, si dispose al grande passo con tre mesi di ritiro in cella. Si ammalò la domenica delle Palme del 1507; il giovedì santo ricevette, in chiesa. il Santo Viatico e il giorno seguente, dopo aver date le ultime raccomandazioni ai suoi discepoli, si addormentò nel Signore: era il 2 aprile 1507 e contava 91 anni. Dice il Breviario romano che il suo corpo. rimasto per 11 giorni insepolto, emanava un profumo celeste.

Attraversamento dello Stretto di Messina sul suo mantello

Il “miracolo” più famoso è quello noto come l’attraversamento dello Stretto di Messina sul suo mantello steso, dopo che il barcaiolo Pietro Coloso si era rifiutato di traghettare gratuitamente lui ed alcuni seguaci, che ha contribuito a determinarne la “nomina” a patrono della gente di mare d’Italia.

PRATICA. Domandiamo a Dio l’umiltà e lo spirito di mortificazione.

PREGHIERA. Dio, amante degli umili, che subiimasa il beato confessore Francesco alla gloria dei tuoi Santi, deh! fa’ che conseguiamo felicemente, per i meriti e l’intercessione di lui, il premio promesso agli umili.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Tours, in Frància, san Francésco di Paola Confessore, Fondatore dell’Ordine dei Minimi; illustre per virtù e per miracoli, dal Papa Leóne decimo fu iscritto nel numero dei Santi.

San Beniamino prega per noi – 31 marzo

Nome: San Beniamino
Titolo: Diacono e martire
Nascita: IV secolo, Persia
Morte: 420, Persia
Ricorrenza: 31 marzo
Tipologia: Commemorazione

Santa Balbina. un’altra delle delicate fanciulle nella storia della santità femminile, festeggiata oggi, abbiamo accennato ieri, parlando di suo padre Quirino, il Tribuno giustiziato sotto Adriano Imperatore, per aver mancato alla sua consegna di soldato e per aver preferito la conversione cristiana.

Con il padre, fu decapitata anche la fanciulla, trepida fidanzata di Gesù, e sul suo corpo sorse poi, nel quinto secolo, la chiesetta a lei dedicata e che ancora si può vedere, a Roma, vicino ai grandi ruderi delle Terme di Caracalla, presso ai pini della Passeggiata Archeologica.

Oggi è anche la sua festa, ma noi parleremo di un altro Santo del giorno: San Beniamino, unico di questo nome, vissuto in Persia verso il 400. Anche il Re persiano Isdeberge, adoratore del fuoco e del sole, perseguitava i Cristiani, e il diacono Beniamino fu da lui tenuto in carcere per due anni. Doveva essere un personaggio importante, anzi addirittura popolare, perché l’ambasciatore dell’Imperatore romano TPodosio, che negoziava un trattato di pace con il Re persiano, pose tra te condizioni anche quella di liberare l’illustre prigioniero.

Il Re Isdeberge, a sua volta, fece una controproposta: avrebbe liberato il diacono Beniamino se questi si fosse impegnato a cessare del tutto la sua opera di apostolato tra i persiani; e in questo senso parlò al prigioniero.

Vale la pena di riportare la risposta dell’intrepido cristiano, come ci è pervenuta dai Martirologi: « Non posso chiudere agli uomini le fonti della Grazia del mio Dio, — disse Beniamino. — Finché sarà in mio potere, illuminerò coloro che sono ciechi, mostrando loro la luce della verità. Non farlo, sarebbe incorrere nei castighi riserbati a coloro che nascondono i talenti del loro padrone ».

Si riferiva alla parabola evangelica del padrone che dà ai suoi servi i talenti d’oro, e al suo ritorno punisce quei servi che, oziosi e timorosi, li hanno nascosti, per paura di perderli, invece di metterli a frutto e di commerciarli fra gli uomini.

E in queste parole precise e decise, egli tracciava la linea di condotta di ogni cristiano, che non è solo depositario e custode dell’oro della verità, ma deve metterlo a frutto, donarlo al prossimo, insegnando e illuminando.

Fu liberato, malgrado queste sue ferme parole, per la pressione dell’ambasciatore romano; ma il fervente apostolo non perse tempo nei timori, e, come aveva dichiarato, riprese subito a istruire e a battezzare gli adoratori del fuoco.

Il Re persiano, libero dalla parola data, poté così di nuovo catturarlo, e gl’impose di rinnegare la fede, sacrificando al simulacro del sole.

I Romani, come si sa, giustiziavano i condannati, secondo l’uso militare, decapitandoli con la spada. Era, per quei tempi, una forma di esecuzione abbastanza civile, e non priva di guerresca nobiltà. I persiani, invece, come molti altri popoli orientali, escogitavano di volta in volta atroci supplizi con i quali finivano i loro prigionieri.

E di raffinata atrocità fu anche il supplizio riserbato a San Beniamino, che ebbe il corpo trapassato da spilloni. Il Santo lo accettò e lo preferì coraggiosamente ai castighi riserbati a coloro che nascondono i talenti della verità.

MARTIROLOGIO ROMANO. In località Argol in Persia, san Beniamino, diacono, che non desistette dal predicare la parola di Dio e, sotto il regno di Vararane V, subì il martirio con delle canne acuminate conficcate nelle unghie.

Beato Amedeo di Savoia prega per noi – 30 marzo

Nome: Beato Amedeo IX di Savoia
Titolo: Duca, Terziario francescano
Nascita: 1 febbraio 1435, Thonon
Morte: 30 marzo 1472, Vercelli
Ricorrenza: 30 marzo
Tipologia: Commemorazione

Amedeo nacque a Thonon nel 1435, figlio del duca Ludovico I di Savoia e di Anna di Lusignano, e nipote dell’antipapa Felice V. Già da bambino fu promesso a Iolanda, figlia di Carlo VII di Francia. Crebbe diventando un bel ragazzo, purtroppo soggetto a crisi epilettiche, che egli accettò come una correzione all’inevitabile adulazione da parte dei cortigiani di suo padre e come un’opportunità per essere a più stretto contatto con Dio. La Messa quotidiana e la preghiera erano la sua fonte di forza.

Amedeo si sposò nel 1452, e la coppia si ritirò nella relativamente quieta provincia di Brescia, territorio che gli era stato assegnato oltre al governatorato del Piemonte. Questa scelta tuttavia contrariò talmente il fratello Filippo nei suoi confronti che quasi si preparò ad attaccare Amedeo, se loro padre non lo avesse arrestato.

Alla morte del genitore Amedeo fece subito rilasciare il fratello e gli organizzò un matrimonio con Margherita, figlia di Carlo, duca di Borgogna, lasciandogli anche i territori bresciani e conquistandosi così il suo affetto.

Amedeo venne provocato anche dalla famiglia degli Sforza di Milano. Quando il duca Francesco Sforza morì, il figlio Giangaleazzo, che si trovava in Francia, tentò di passare in incognito per la Savoia per tornare in Italia e fu arrestato.

Nonostante Amedeo lo avesse fatto subito rilasciare, fornendogli anche una scorta, Giangaleazzo non si mostrò riconoscente e addirittura arrivò a rompere con insolenza l’alleanza che suo padre aveva stilata con Amedeo. Era chiaro che Giangaleazzo desiderava solo arrivare alle armi, ma Amedeo trovò un’altra soluzione: gli diede in sposa la sorella Bona. Egli intervenne senza esitazioni quando si trattò di difendere il cristianesimo dalla minaccia turca, raccogliendo un esercito per la difesa del Peloponneso. Fu uno dei primi a rispondere all’invito di Pio II perché si tenesse un’assemblea di principi per affrontare il problema e per raccogliere uomini, armi e denaro.

La sua prima preoccupazione, tuttavia, era per i poveri: quando un ambasciatore si vantò delle mute di cani e delle razze differenti che il suo padrone aveva, il duca lo condusse su una terrazza fuori dal palazzo, dove ai tavoli predisposti venivano sfamati i poveri della città: «Queste sono le mie mute e i miei cani da caccia. È con l’aiuto di questa povera gente che inseguo la virtù e vado a caccia del regno dei cieli».

L’ambasciatore gli chiese quanti di loro pensava fossero impostori, approfittatori e ipocriti, e Amedeo rispose: «Non li giudico troppo severamente per non essere giudicato severamente da Dio». Nonostante la grande generosità, non ebbe mai problemi economici e grazie a un’attenta amministrazione riuscì anche a saldare i debiti contratti dai suoi predecessori.

La sua vita era estremamente austera: lontano dal concedersi qualsiasi privilegio nonostante la sua salute delicata, fece credere piuttosto di dovere digiunare per questo motivo. Con l’aumentare della sua debolezza, passò l’amministrazione del ducato alla moglie Iolanda (1469), ma i suoi sudditi si ribellarono ed egli stesso venne imprigionato fino a che il cognato, Luigi XI di Francia, non ottenne il suo rilascio. Quando si rese conto di essere prossimo alla morte affidò i figli alla moglie e pronunciò le ultime raccomandazioni alla presenza loro e dei suoi ministri: «Siate retti. Amate i poveri e Dio vi garantirà la pace».

Morì il 30 marzo 1472 e fu beatificato nel 1677.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Vercelli, beato Amedeo IX, duca di Savoia, che, durante il proprio governo, favorì in ogni modo la pace e sostenne incessantemente con i mezzi materiali e con l’impegno personale le cause dei poveri, delle vedove e degli orfani.

Santo Stefano Harding prega per noi – 28 marzo

Nome: Santo Stefano Harding
Titolo: Abate
Nascita: 1050, Sherborne, Regno Unito
Morte: 28 marzo 1134, Saint-Nicolas-lès-Cîteaux, FranciaR
icorrenza: 28 marzo
Tipologia: Commemorazione

Nacque nel 1059, da una nobile famiglia sassone dal nome Harding, a Merriot, nei dintorni di Sherborne, nell’Inghilterra Meridionale. Viaggiò molto e fin dalla più tenera età, fu attratto dalla vita monastica, prese i voti nell’abbazia benedettina di Sherborn.

Dopo l’invasione normanna lasciò la vita monastica trasferendosi in Scozia divenendo uno studioso itinerante. Si trasferì infine nell’abbazia di Molesme in Borgogna, sotto l’abate San Roberto di Molesme .

Stephen Harding fu una delle figure più significative dei primi decenni della storia cistercense viaggò in Francia a Parigi per completare gli studi, e a Roma in un pellegrinaggio penitenziale accompagnato da un giovane chierico, prima di rientrare nella vita monastica a Molesme, per poi partire con i fondatori del Nuovo Monastero di Citeaux. Dal 1108 al 1133, periodo della prima espansione cistercense, prestò servizio come abate e, secondo alcuni, il genio formativo dietro l’Ordine cistercense.

Di ritorno da Roma, verso l’Inghilterra, si fermarono nell’abbazia di Molesme in Borgogna, dove fecero la conoscenza dell’abate benedettino Roberto di Molesme che tentava di riformare lo spirito cluniacense, considerato ormai poco vicino all’ispirazione dello spirito monastico benedettino.

Egli aveva fondato in un clima di particolare austerità proprio a Molesme nel 1075 il monastero: fu questa una caratteristica che attirò l’interesse del giovane Stefano, che decise di fermarsi.

Con il tempo la prosperità economica e le numerose filiazioni dell’abbazia di Molesme allontanarono l’abate Roberto, e altri monaci tra cui Stefano, inducendoli a lasciare Molesme per fondare un nuovo monastero, più vicino ai principi che si erano persi.

Nel 1098, una volta ottenuta l’approvazione dell’arcivescovo di Lione Ugo, Roberto, Alberico e Stefano Harding fondarono un nuovo monastero a Citeaux. Era stato fatto loro dono di un terreno ad opera del visconte Rinaldo di Beaume, si pensa fosse un parente dello stesso Roberto, e aiuti materiali anche da parte del duca di Borgogna, Eudes.

A seguito della partenza del famoso abate Roberto dal monastero di Molesme ci fù in tutta la regione molto scalpore e disonore all’abbazia. Per questo motivo i monaci di Molesme si rivolsero direttamente al papa Urbano II chiedendogli che ordinasse a Roberto di tornare a Molesme come abate.

Nel 1099 Roberto, lasciò Citeaux per tornare definitivamente a Molesme. Gli successe come abate a Citeaux Alberico, che guidò la congrega fino alla sua morte, avvenuta nel 1109. Alla sua morte fu eletto abate Stefano Harding. Fu proprio quest’ultimo che portò una fase di cambiamento al nuovo monastero attraverso la famosa Charta Caritatis, quello che rappresenta uno degli statuti dell’ordine cistercense.

La Cartha Caritatis stabiliva i rapporti tra i diversi monasteri: case-madri e le rispettive filiazioni; tutti gli abati dovevano riunirsi una volta l’anno a Citeaux. 

Stefano segui la riforma dei libri liturgici, con la revisione del Graduario, dell’Antifonario e degli Inni. Fu lui che impose la tunica bianca ai nuovi monaci: il segno tangibile della particolare devozione alla Madonna e forse, in antitesi al colore scuro dei benedettini cluniacensi.

Con lui continuò il clima di austerità che era stata una delle caratteristiche originarie data da Roberto di Molesme. Mantenne l’obbligo per i monaci di sostentarsi anche con il loro lavoro manuale e gli edifici del monastero e la chiesa dovevano conservare e testimoniare questo spirito di austerità.

Durante la sua guida, dal 1109 al 1133, ebbe luogo l’ingresso a Citeaux di Bernardo che oltre a portare con sé molti parenti ed amici, diede luogo alla fondazione di un nuovo monastero a Clairvaux

L’opera di San Bernardo diede un impulso decisivo e grandioso al nuovo ordine cistercense, facendolo divenire in breve il più grande ordine monastico del tempo.

Nel 1115 Stefano inviò gli statuti e gli usi del nuovo ordine ad un gruppo di monache che erano a Jully-les-Nonnains, presso Digione, dando inizio al ramo femminile dell’ordine cistercense.

S occupò di stilare la prima storia dell’ordine nello scritto dal titolo Exordium Cisterciensis Coenobii.

Ebbe importante impegni nel rimediare ai contrasti che si verificarono tra le diverse filiazioni. Esausto e infermo si dimise dalla carica di abate nel 1133.

Morì il 28 marzo 1134 a Citeaux, dove fu sepolto nella chiesa abbaziale, accanto al suo predecessore Alberico. Le due tombe furono poi spostate quando si costruì una nuova chiesa.

Alla sua morte l’ordine contava settanta monasteri diffusi in tutta Europa.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Cîteaux in Borgogna, nell’odierna Francia, santo Stefano Harding, abate: giunto da Molesme insieme ad altri monaci, resse questo celebre cenobio, istituendovi i fratelli laici e accogliendo in esso il famoso Bernardo con trenta suoi compagni; fondò dodici monasteri, che vincolò tra loro con la Carta della Carità, affinché non esistesse tra i monaci discordia alcuna e tutti vivessero sotto il medesimo dettame della carità, sotto la stessa regola e secondo consuetudini simili.

San Ruperto prega per noi – 27 marzo

Nome: San Ruperto
Titolo: Vescovo
Nascita: VII secolo, Salisburgo
Morte: 27 marzo 718, Salisburgo
Ricorrenza: 27 marzo
Tipologia: Commemorazione

Ruperto nacque in una nobile famiglia di origini irlandesi imparentata con i Merovingi, alla fine del VII secolo. Dopo aver ricevuto un’educazione monastica, operò per l’evangelizzazione della Baviera ancora idolatra. Fu primo vescovo itinerante, di Salisburgo, di cui oltretutto promosse lo sviluppo delle saline. Fu vescovo di Worms e poi di Ratisbona. Svolse il suo apostolato nel monastero da lui fondato, attorno al quale nacque poi e si sviluppò la città di Salisburgo. Morì il 27 marzo dell’anno 718. Le sue reliquie sono oggi venerate nella cattedrale di Salisburgo.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Salisburgo in Baviera, nell’odierna Austria, san Ruperto, vescovo, che, abitando dapprima a Worms, su richiesta del duca Teodone giunse in Baviera e costruì a Salisburgo una chiesa e un monastero, che governò come vescovo e abate, divulgando da lì la fede cristiana.

Sant’Emanuele prega per noi – 26 marzo

Nome: Sant’ Emanuele
Titolo: Martire
Nascita: III Secolo, Anatolia
Morte: III Secolo, Anatolia
Ricorrenza: 26 marzo
Tipologia: Commemorazione

La fama e anche la bellezza del nome di Emanuele non è legata ad un Santo, ma allo stesso Salvatore. Leggiamo infatti il Vangelo di Matteo, che dice, parlando della nascita del Bambino di Betlemme: « Tutto ciò avvenne affinché s’adempisse quanto aveva detto il Signore a mezzo del Profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio, che sarà detto Emanuele ».

Il Profeta, a cui si richiama San Matteo, è il Profeta Isaia, il quale con queste parole luminose annunzia la venuta dei tempi nuovi e di colui che saprà « rigettare il male e scegliere il bene».

Ma che cosa vuol dire Emanuele? Lo ha chiarito lo stesso San Matteo: vuol dire « Dio è con noi ». E perciò l’attributo tipico, completo e consolante del Messia, cioè del vero inviato da Dio per la salvezza del suo popolo.

Veramente, in ebraico tale termine suona Immanuel. I Settanta, nella loro versione della Bibbia, l’hanno trasformato in parola greca, modificandone leggermente il suono, traducendo cioè Emmanuel. E come Emanuele è diventato per i cristiani nome proprio, come altri attributi di Gesù. «Emmanuele » è infatti il titolo glorioso di Gesù soprattutto nella sua Resurrezione, nell’avvenimento che suggella e prova come « Dio sia con lui », e anche « con noi », con il popolo cioè dei redenti da quella Redenzione e dei credenti in quella Resurrezione.

Perciò, più o meno consapevolmente, i genitori che impongono ad un figlio il nome di Emanuele, o ad una figlia quello di Emanuela, più che richiamarsi alla devozione di un Santo particolare, onorano Gesù con uno dei suoi più belli attributi, come accade anche per i nomi di Salvatore e di Crocifisso.

Nonostante ciò, esiste anche un Sant’Emanuele, che la Chiesa festeggia oggi insieme con Sabino, Quadrato e Teodosio, in un gruppo di quaranta Martiri d’epoca incerta. La loro storia è presto detta. Pare che fossero originari dell’Oriente, e in tempi di persecuzione, il primo di essi, Quadrato, che era Vescovo, venne allontanato dalla sua diocesi e diffidato di proseguire la sua opera. Egli seguitò però a predicare, a battezzare, ad assistere i fedeli, fino a che non venne catturato e condannato a morte.

Dietro il suo esempio, altri 39 cristiani, uomini e donne, giovani e vecchi, ricchi e poveri, si presentarono al governatore della provincia dichiarando la loro fede. Furono tormentati nella speranza di vederli apostatare, e poiché nessuno cedette, tutti furono messi a morte.

Anche negli antichi menologi greci, Emanuele viene talvolta chiamato Manuele o Manuel, diminutivo che è restato molto diffuso, specialmente in Spagna: tanto da apparire, ormai, come un nome tipicamente spagnolo.

MARTIROLOGIO ROMANO. In Anatolia, nell’odierna Turchia, santi Emanuele, Sabino, Codrato e Teodosio, martiri.

Santa Margherita Clitherow – 25 Marzo

Nome: Santa Margherita Clitherow

Titolo: Martire in Inghilterra

Nascita: 1553 circa, York, Inghilterra

Morte: 25 marzo 1586, Tyburn, York

Ricorrenza: 25 marzo

Tipologia: Commemorazione

Margherita nacque verso il 1553, una dei quattro figli di Giovanna e Tommaso Middleton, cittadini protestanti di York. Tommaso, un candelaio, era benestante e ricoprì cariche amministrative, compresa quella di sceriffo dal 1564 al 1565, poco prima della sua morte. Margherita venne probabilmente educata in casa, dal mo-mento che il monastero di S. Clemente, l’unico che avrebbe potu-to fornire un’educazione alle giovani di York e dei dintorni, era stato soppresso nel 1536, e fu istruita principalmente nelle faccen-de domestiche. Avrebbe dimostrato solo in seguito di possedere un’intelligenza pronta e vivace. 

Nel 1567, poco dopo la morte di Tommaso, la vedova sposò Enri-co May, un uomo di poca importanza che non viene descritto dal biografo di Margherita. Sarebbe diventato sindaco di York e avrebbe avuto parte nella storia del martirio. Margherita, che ave-va quattordici anni quando egli entrò in famiglia e pare aver nutri-to per lui un affetto sincero, quattro anni dopo si sposò. Suo marito, Giovanni Clitherow, era cittadino benestante e proba-bilmente molto più vecchio, un allevatore di bestiame e un macel-laio con un negozio ben avviato c un buon giro d’affari a Sham-bles, il quartiere dei macellai, che ha conservato il suo carattere medievale fino a oggi. Come per il padre di Margherita, la sua ric-chezza lo aveva portato a occupare posti importanti nella città, ri-servati allora ai protestanti. Durante gli anni precedenti il matri-monio venne eletto responsabile dei ponti e nel 1572 ciambellano. Qualsiasi fossero le sue opinioni private, la sua posizione religiosa era chiara: si era conformato alle pretese dello stato e beneficiava di questa conformità. Suo fratello Guglielmo, che era cattolico, venne ordinato nel 1582 e divenne certosino. Sposando una prote-stante, Giovanni intendeva sottolineare la sua posizione. Tuttavia, anche se era un opportunista, non era un intollerante e in seguito avrebbe chiuso un occhio sull’appartenenza cattolica della moglie, pagando le multe per le sue assenze ai servizi religiosi protestanti senza battere ciglio e rimanendo gentile e comprensivo durante la loro vita matrimoniale. 

Erano sposati da circa tre anni quando Margherita si convertì al cattolicesimo. Probabilmente il cognato, Guglielmo, esercitò una certa influenza (Margherita avrebbe in seguito chiamato uno dei suoi figli Guglielmo in suo onore) ma il suo biografo, Giovanni Mush, dice semplicemente che «non trovando alcuna sostanza, verità o conforto cristiano nei ministri del nuovo culto e nemmeno nella loro dottrina, e udendo anche molti preti e laici soffrire per la caduta dell’antica confessione cattolica», fu portata ad abbrac-ciare la vecchia fede. 

All’epoca la testimonianza più decisa della fede cattolica era venu-ta da Tommaso Percy, conte di Northumbria, che nel 1569 guidò le sommosse nel nord e venne giustiziato nel 1572. Questo marti-rio ebbe più effetto su di lei di quanto possano rivelare le poche parole di Giovanni Mush: Margherita iniziò a desiderare il marti-rio e volle visitare Knavesmire, la prigione della città corrispon-dente al Tyburn di York, dove erano stati rinchiusi cinque “preti del seminario”, che vennero giustiziati nel 1582-1583, tra cui an-che il suo confessore, Guglielmo Hart; ella si fermò là a pregare tutta la notte, fino a quando i suoi compagni glielo permisero. Il suo direttore spirituale osservò: «Con lei bisognava usare il freno più che lo sprone». 

Per Margherita partecipare alla Messa era una delle gioie maggio-ri. Fece di casa sua un centro per la celebrazione della Messa e ne organizzò un altro in una locanda vicina: quando era troppo peri-coloso celebrare la Messa in casa, si andava nella locanda, benché non fosse possibile andarvi tutti i giorni. Sapeva che stava corren-do dei grossi rischi: «Non ho paura di servire il Signore e di fare il bene. Questo è un periodo di prova e di guerra per la Chiesa di Dio e perciò non posso compiere il mio dovere senza andare in-contro a dei pericoli, ma con la grazia del Signore non ne rimarrò schiacciata. Finché i sacerdoti si attentano ad avventurarsi fino a casa mia, non li rifiuterò mai». 

Richiese i servizi di un giovane uomo che era stato imprigionato nel castello di York per educare i suoi figli nella fede. Probabil-mente ella lo aveva conosciuto là, perché era solita fare visita ai prigionieri e aiutarli per quanto le era possibile, spiritualmente e materialmente. Ella stessa conosceva i pericoli della prigione per-ché vi era stata rinchiusa per tre volte, una volta per diciotto mesi, per non aver partecipato ai servizi protestanti. Il suo biografo elenca le conseguenze del suo rifiuto: «Fu perseguitata, e imparò la pazienza; la chiusero in una prigione, ed ella imparò a dimenti-care e a disprezzare il mondo; la separarono da casa sua, dal mari-to e dai figli, ed ella si avvicinò sempre di più a Dio; cercarono di spaventarla, ed ella aumentò la sua forza e la sua costanza, tanto che la sua gioia più grande divenne essere perseguitata da loro». Per Margherita la prigione era un’occasione per avvicinarsi a Dio con la preghiera c la penitenza ed era anche un’opportunità per leggere. Imparò il piccolo ufficio di Maria in latino a memoria e lesse i Vangeli, l’Imitazione di Cristo e gli Esercizi di Perrin. Non solo i cattolici ma molti altri erano attratti da lei per la sua simpatia e l’aspetto piacevole, l’allegria e bontà. I suoi servitori, con i quali sapeva anche essere severa, non l’avrebbero cambiata mai, mentre i suoi amici non cattolici la difendevano dai pericoli. Suo marito, più di tutti, ne riconosceva la rettitudine, la purezza e l’attaccamento a lui e ai figli. Poteva accusarla solo dí due cose: di-giunava troppo e non andava alla chiesa protestante con lui. Mar-gherita, da parte sua, poteva solo rimpiangere di non essere riusci-ta a condurre alla fede il marito. Essa non lo tradì mai e lo amò sempre colma di gratitudine per la libertà che le concedeva. Scherzosamente, ma forse con un fondo di verità, diceva riferen-dosi a lui: «Ha troppo, e non può sollevare la testa verso Dio per il peso dei suoi beni». 

Non è chiaro quale fu il ruolo di Giovanni Clitherow, se ne ebbe uno, nella partenza del figlio Guglielmo per il continente per completare la sua educazione. Margherita potrebbe aver mandato il ragazzo senza il consenso del padre, pensando che escludendolo dalla decisione egli non avrebbe potuto essere ritenuto responsa-bile e incorrere nelle punizioni previste dalla legge. Solo lei sareb-be incorsa in esse, e infatti fu questa la causa del suo arresto. All’inizio fu condannata agli arresti domiciliari. Quando il concilio del Nord eresse un tribunale a York, Giovanni Clitherow fu chiamato a presentarsi il 10 marzo 1586: era un tranello per allontanarlo da casa e poterla perquisire. In casa vi era un prete, che venne nascosto nella casa accanto di cui la sua stanza faceva parte, e non fu trovato nulla, fino a che gli ufficiali raggiunsero l’aula di lezione. In quel momento si stava svolgendo una lezione e il professore venne scambiato per un prete. Riuscì a convincerli che non era vero, ma il sospetto rimase. Uno dei bambini, mezzo fiammingo e mezzo inglese di undici anni che stava con la famiglia, fu considerato il più impressionabile, fu preso da parte e fatto spogliare sotto minaccia di frustate. Il bambino, terrorizzato, rivelò quello che gli ufficiali volevano sapere: si dicevano Messe nella casa e poteva mostrare loro l’ingresso per la stanza del prete. Il prete non fu trovato, ma furono trovati il messale, gli abiti e i vasi sacri. Il bambino indicò anche quelli che partecipavano alla Messa. 

Margherita fu arrestata e portata prima davanti al concilio e poi nella prigione del castello; Giovanni Clitherow rimase in prigione per un po’ di tempo, ma non vi era l’intenzione di processarlo; la figlia Anna fu posta sotto la tutela della corte. Rassicurata riguardo alla sua famiglia, il forte spirito di Margherita prese il sopravvento e, a parte alcune ore di angoscia, non si fece mai prendere dall’abbattimento. Fu messa in cella con la sua amica Anna Tesh, identificata dal bambino come una di quelle che partecipavano alle Messe, e le due scherzavano e ridevano insieme così tanto che Margherita disse: «Siamo così felici insieme che temo, se non saremo separate, di perdere i meriti della nostra detenzione!». 

Margherita comparve, tranquilla e sorridente, davanti a due giudici, Mr Clinche e Mr Rhodes, il 14 marzo, non più accusata di aver mandato il figlio a studiare all’estero, ma con l’accusa ben più grave di aver ospitato e mantenuto dei preti e di aver partecipato alle loro Messe. Non si dichiarò colpevole e disse semplicemente: «Non ho nessuna colpa da confessare». Seguirono lunghe dispute perché i giudici volevano istituire un processo, mentre ella lo rifiutava. A lungo la rassicurarono che sarebbe stata trattata con indulgenza, poiché la testimonianza di un bambino di undici anni non era sufficiente per incriminarla, ma ella non si faceva illusioni. Il concilio aveva già deciso la sua morte e l’avrebbe messa in atto con qualsiasi mezzo in suo possesso; ciò che Margherita voleva assolutamente evitare era un processo nel quale i suoi figli e i suoi servitori fossero costretti a testimoniare a suo favore o contro. Nel primo caso li avrebbero costretti a giurare il falso, nel secondo avrebbero dovuto convivere con il pensiero che essi avevano contribuito alla sua morte. 

Pochi avevano compreso i suoi motivi, ed essa stessa li spiegò chiaramente solo dopo che fu pronunciato il verdetto: «Se mi fossi rimessa al volere dello stato (cioè di una giuria), dovevano essere portate delle prove contro di me, che nessun altro poteva fornire se non i miei figli e i miei servitori. E sarebbe stato penoso per me più della morte se avessi visto uno di loro accusarmi. 

Secondariamente, sapevo bene che la corte avrebbe dovuto condannarmi per fare piacere al concilio, che voleva il mio sangue: il loro coinvolgimento non era quindi necessario per la mia morte». 

Il primo giorno d’assise fu impiegato per interrogare la prigioniera fino allo sfinimento, e così il secondo. Margherita continuava a dire: «Non sarò giudicata se non da Dio e dalle vostre coscienze». Clinche non aveva intenzione di emettere un verdetto negativo nei suoi confronti e anche il ministro puritano, che aveva invano tentato di discutere con lei la sera prima, pronunciò un’ammonizione pubblica contro l’ingiustizia di condannare qualcuno dietro l’accusa di un bambino. Tuttavia Rhodes aveva recuperato elementi sufficienti e desiderava ormai condannare quella «donna antipatica e caparbia». Egli non tenne in nessun conto l’opinione del suo collega e la terribile sentenza, che la legge inglese dal 1275 sanciva per chiunque non fosse in grado di rispondere a un’accusa, fu pronunciata: Margherita fu condannata a morire sotto la pressa. Accettò il verdetto serenamente. Ancora una volta le fu chiesto di riflettere, ma essa rispose: «Dio sia ringraziato, tutto ciò che egli mi manda io lo accolgo. Non sono degna di una così bella morte». Giovanni pianse all’udire la condanna. La sua ricchezza gli parve ben poca cosa: «Che prendano tutto quello che possiedo, ma che la salvino, perché è la migliore moglie di tutta l’Inghilterra e la migliore cattolica». Gli fu intimato di lasciare York, mentre essa venne rinchiusa in una prigione privata nell’Ousebridge. 

Diverse persone le fecero visita tentando di scuotere la sua tenacia, tra cui anche il suo patrigno, Enrico May, che all’epoca era sindaco di York e secondo alcuni complice nell’arresto della sua figliastra. Vedendo che non riusciva a dissuaderla, chiese di potersi occupare della nipote, Anna, ma essa non acconsentì. Non le permisero di vedere i suoi figli, e solo una volta poté incontrare il marito, alla presenza del carceriere. Poiché sapeva che i condannati a morte venivano spogliati, si cucì un paio di mutande di lino nella speranza di poterle tenere.

Le comunicarono la data dell’esecuzione due giorni prima e per la prima volta fu sopraffatta dall’angoscia, che scomparve non appena si mise a pregare per avere forza. Trascorse la sua ultima notte in preghiera e il mattino del 25 marzo, Venerdì Santo, alle otto, lo sceriffo andò a prenderla per condurla al patibolo distante poche miglia dalla prigione. Si era già radunata una grande folla, che rimase stupita dalla sua espressione raggiante. Mentre camminava distribuì elemosine, con disappunto dello sceriffo. «Andiamo, signora Clitherow», le diceva. «Buon sceriffo» rispondeva allegramente «lasciatemi donare le mie povere cose prima di morire, perché la mia ora è vicina.» 

Arrivati al patibolo, Margherita si inginocchiò a pregare e quando i ministri e gli ufficiali le proposero di pregare con loro ella rifiutò. 

Quando le ordinarono di pregare per la regina, essa compose una litania personale: dopo aver pregato per il papa, i cardinali, il clero, i principi cristiani, alla fine ricordò anche la sovrana. Lo sceriffo le intimò: «Devi ricordare e confessare che muori per tradimento», ma essa gridò forte: «No, no, sceriffo, io muoio per amore di Gesù, il mío Signore!». 

Fu spogliata da alcune donne, che le fecero indossare il capo di biancheria che aveva preparato. Le fu messa una pietra affilata dietro la schiena e le furono tirate le braccia così che il suo corpo formò una croce. Una porta molto pesante fu quindi collocata su di lei, con carichi di settecento o ottocento chili. 

Come sentì la pressione sopra di lei, Margherita gridò forte: «Gesù, Gesù, abbi pietà di me!». La sua agonia sembra sia durata quindici minuti, ma il corpo venne lasciato sotto la pressa per diverse ore e fu seppellito segretamente dalle autorità. Sei settimane più tardi alcuni cattolici trovarono la tomba e riesumarono il corpo, che fu trovato incorrotto e che fu seppellito in un altro luogo di cui oggi si è persa traccia. Una delle sue mani è conservata in un convento di York. 

Margherita aveva mandato il suo cappello al marito «in segno del suo amore per lui, pari a quello per il suo capo» e le calze e le scarpe alla figlia Anna per indicarle che doveva seguire la sua stessa strada, e così fu. Dopo la morte della madre, fu detto ad Anna che essa avrebbe potuto salvarla se avesse acconsentito a partecipare a una celebrazione protestante. Essa vi andò, ma rifiutò di farlo ancora quando apprese l’inganno. Trascorse quattro anni in prigione e alla fine entrò nelle suore a Lovanio. Due dei figli maschi di Margherita divennero invece sacerdoti. 

Margherita Clitherow fu canonizzata nel 1970 ed è una dei Quaranta Martiri d’Inghilterra e Galles ricordati il 25 ottobre. 

MARTIROLOGIO ROMANO. A York in Inghilterra, santa Margherita Clitherow, martire, che, con il consenso del coniuge, aderì alla fede cattolica, nella quale educò anche i figli e si adoperò per nascondere in casa i sacerdoti ricercati; per questo motivo fu più volte arrestata durante il regno di Elisabetta I e, rifiutandosi di trattare la sua causa davanti al tribunale per non gravare l’animo dei consiglieri del giudice con il fardello di una condanna a morte, fu schiacciata a morte per Cristo sotto un enorme peso.

Santa Caterina di Svezia – 24 Marzo

Nome: Santa Caterina di Svezia
Titolo: Religiosa
Nascita: XIV Secolo, Svezia
Morte: 24 marzo 1381, Vadstena, Svezia
Ricorrenza: 24 marzo
Tipologia: Commemorazione
Protettrice: dall’ aborto, dall’ aborto spontaneo

Nacque sul principio del secolo XIV dalla celebre S. Brigida e dal principe Ulfone di Noricia. Già i loro avi si erano distinti per virtù e in modo particolare per devozione alla passione del Salvatore. Caterina fu il fiore più bello e fragrante che Dio concesse ai due santi coniugi. Bambina fu affidata all’educandato delle religiose del monastero di Rosberg. Il Signore la voleva tutta per sè, e a questo scopo permise che il demonio alcune volte la molestasse e la facesse soffrire. La Santa sempre più andò staccando il cuore dai passatempi e divertimenti della età, andò sempre più confermandosi nella volontà di darsi tutta a Dio nello stato verginale. Però per ubbidire al padre sacrificò il suo alto ideale, per passare a nozze col ricco e nobile cavaliere Edgardo. Seppe tuttavia parlare così eloquentemente dei pregi della verginità, che lo sposo consentì di vivere con lei in perpetua continenza, emettendo entrambi il voto di castità: voto che sempre osservarono. Ebbe a soffrire innumerevoli beffe, rimbrotti e contraddizioni, perfino da parte di un fratello; ma essa altro non amava nè cercava che di piacere a Dio. 

Mortole il padre, raggiunse la madre a Roma, seguendola nei suoi pellegrinaggi e nell’arduo apostolato fra i miseri e gli infermi. In questo frattempo Dio chiamò al premio il pio suo sposo Edgardo. 

Essendo ancora giovane ed avvenente, e rifiutando seconde nozze, innumerevoli furono le insidie e le lusinghe tentate da uomini brutali per recidere il giglio immacolato della sua verginità. Sempre trionfò con l’aiuto di Dio, cui di continuo era unita colla preghiera, aiuto manifestatosi alle volte anche miracolosamente. Passava quattro ore al giorno in preghiera intensa e in contemplazione. Ereditò le virtù e lo spirito di carità e di apostolato di sua madre, colla quale rimase per 25 anni: ne accolse l’ultimo respiro e ne portò le sante reliquie in Svezia. Tornata in patria, si ritirò in un monastero, ove fu superiora. Più tardi si recò nuovamente a Roma, per la canonizzazione della madre. Vi rimase cinque anni, spendendo il tempo che le rimaneva dalle occupazioni più importanti al servizio degli infermi e derelitti. Il Signore volle per suo mezzo compiere innumerevoli miracoli. Tornò infine in patria, nel suo monastero, ove morì il 24 marzo 1381. 

PRATICA. Impariamo da questa Santa la custodia degli occhi. 

PREGHIERA. O Dio, che nella beata Caterina ci desti sì mirabile esempio di purezza illibata, concedici, te ne preghiamo, per sua intercessione, che noi, puri di mente e di cuore, consacriamo tutte le nostre forze al tuo santo servizio.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Vadstena in Svezia, santa Caterina, vergine: figlia di santa Brigida, data alle nozze contro il suo volere, conservò, di comune accordo con il marito, la sua verginità e, dopo la morte di lui, condusse una vita pia; pellegrina a Roma e in Terra Santa, trasferì le reliquie della madre in Svezia e le ripose nel monastero di Vadstena, dove ella stessa vestì l’abito monacale.