Vangelo Gv 20, 11-18: «va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXIX. Le pie donne al Sepolcro.

   2 aprile 1945.

 1 Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare.
   «Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna.
   «Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome.
   «Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna.
   «Chi?», domanda la Maddalena.
   «I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì… entrano pochi ed escono meno ancora… Daremo sospetti…».
   «E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi».
   «Però… Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?…».
   «Allungheremo la strada».
   «Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua…».
   «Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa.
   «Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona…», pregano tutte.
   «E va bene.

2 Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei…».
   «Oh! sì. Anche per le guardie messe là… Lei è nota e temuta…».
   «Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo».
   «Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo-— io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete) — ci lasceranno fare tutto».
   «Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione».
   «Allora andate, che io vado».
   «Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella.
   «No. Tu va’ con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno.
   Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Né nessuno la ferma…

 3 Le altre la guardano andare, poi volgono le spalle alla biforcazione di vie dove erano e ne prendono un’altra, stretta e oscura, che poi si apre, in prossimità del Sisto, in una più vasta e aperta in cui sono belle case. Si dividono ancora, Salome e Susanna procedendo per la via, mentre Marta e Maria d’Alfeo bussano al portone ferrato e si mostrano al finestrino (spioncino) che il portinaio socchiude.
   Entrano e vanno da Giovanna che, già alzata e tutta vestita di un viola scurissimo che la fa ancora più pallida, manipola anche essa degli oli insieme alla nutrice e ad una servente.
   «Siete venute? Dio ve ne compensi. Ma, non foste venute, sarei andata da me… Per trovare conforto… Perché molte cose sono rimaste turbate dopo quel tremendo giorno. E per non sentirmi sola devo andare contro quella pietra e bussare e dire: “Maestro, sono la povera Giovanna… Non mi lasciare sola anche Tu…”».
   Giovanna piange piano ma con molta desolazione, mentre Ester, la nutrice, fa dei grandi segni indecifrabili dietro le spalle della padrona, intanto che le mette il mantello.
   «Io vado, Ester».
   «Dio ti conforti!».
 Escono dal palazzo per raggiungere le compagne. È in questo momento che avviene il breve e forte terremoto, che getta di nuovo nel panico i gerosolimitani, ancora terrorizzati dagli avvenimenti del Venerdì. Le tre donne tornano sui loro passi, precipitosamente, e nell’ampio vestibolo, fra le serve e i servi urlanti e invocanti il Signore, stanno paurose di nuove scosse…

 4… La Maddalena, invece, è proprio al limitare del viottolo che porta all’orto dell’Arimatea quando la coglie il boato potente, e pure armonico, di questo segno celeste, mentre, nella luce appena rosata dell’aurora che si avanza nel cielo, dove ancora a occidente resiste una tenace stella, e che fa bionda l’aria fino allora verdolina, si accende una grande luce, che scende come fosse un globo incandescente, splendidissimo, tagliando a zig-zag l’aria quieta.
   Maria di Magdala ne è quasi sfiorata e rovesciata al suolo. Si curva un momento mormorando: «Mio Signore!», e poi si raddrizza come uno stelo dopo il passar del vento e, ancora più ratta, corre verso l’ortaglia.
   Vi entra veloce, andando, come un uccello inseguito e cercante il nido, verso il sepolcro di roccia. Ma, per quanto vada veloce, non può essere là quando la celeste meteora fa da leva e da fiamma sul sigillo di calcina messo a rinforzo del pesante pietrone, né quando con fragore finale la porta di pietra cade, dando uno scuotio che si unisce a quello del terremoto che, se è breve, è di una violenza tale che atterra le guardie come morte.
   Maria, sopraggiungendo, vede questi inutili carcerieri del Trionfatore gettati al suolo come un fascio di spighe falciate. Maria Maddalena non riconnette il terremoto con la Risurrezione. Ma, vedendo quello spettacolo, crede che sia il castigo di Dio sui profanatori del Sepolcro di Gesù, e cade a ginocchio dicendo: «Ahimé! Lo hanno rapito!». È veramente desolata e piange come una bambina che sia venuta sicura di trovare il padre cercato e trovi invece vuota la dimora.

 5 Poi si alza e corre via per andare da Pietro e Giovanni. E, dato che più non pensa che ad avvisare i due, non ricorda di andare incontro alle compagne, di arrestarsi sulla via, ma veloce come una gazzella ripassa per la strada già fatta, supera la porta Giudiziaria e vola per le strade che sono un poco più animate, si abbatte contro il portone della casa ospitale e lo batte e lo scuote furiosamente.
   Le apre la padrona. «Dove sono Giovanni e Pietro?», chiede affannosa Maria Maddalena.
   «Là», e la donna indica il Cenacolo.
   Maria di Magdala entra e, appena è dentro, davanti ai due stupiti dice, e nella voce tenuta bassa per pietà della Madre è più affanno che se avesse urlato, dice: «Hanno portato via il Signore dal Sepolcro! Chissà dove lo hanno messo!», e per la prima volta traballa e vacilla e, per non cadere, si afferra dove può.
   «Ma come? Che dici?», chiedono i due.
   E lei, con affanno: «Sono andata avanti… per comperare le guardie… perché ci lasciassero fare. Loro sono là come morte… Il Sepolcro è aperto, la pietra per terra… Chi? Chi sarà stato? Oh! venite! Corriamo…».
   Pietro e Giovanni si avviano subito. Maria li segue per qualche passo. Poi torna indietro. Afferra la padrona di casa, la scrolla, violenta nel suo previdente amore, e le fischia in volto: «Guardati bene da far passare nessuno da Lei (e accenna la porta della stanza di Maria). Ricòrdati che io sono la tua padrona. Ubbidisci e taci». E poi la lascia esterrefatta e raggiunge gli apostoli, che a gran passi vanno verso il Sepolcro…

 6… Susanna e Salome, intanto, lasciate le compagne e raggiunte le mura, vengono colte dal terremoto. Impaurite, si rifugiano sotto una pianta e stanno là, combattute fra la smania di andare verso il Sepolcro e quella di scappare presso Giovanna. Ma l’amore vince la paura e vanno verso il Sepolcro.
   Entrano ancora sbigottite nell’ortaglia e vedono le guardie tramortite… vedono una grande luce uscire dal Sepolcro aperto. Si aumenta il loro sbigottimento e finisce di farsi completo quando, tenendosi per mano per farsi coraggio a vicenda, si affacciano sulla soglia e, nel buio della grotta sepolcrale, vedono una creatura luminosa e bellissima, dolcemente sorridente, salutarle dal posto dove sta: appoggiata a destra della pietra dell’unzione, che si annulla col suo grigio dietro a tanto incandescente splendore. Cadono a ginocchi, sbalordite di stupore.
   Ma l’angelo dolcemente parla loro: «Non abbiate timore di me. Sono l’angelo del divino Dolore. Sono venuto per bearmi della fine di esso. Più non è il dolore del Cristo, il suo avvilimento nella morte. Gesù di Nazaret, il Crocifisso che voi cercate, è risorto. Non è più qui! Vuoto è il posto dove era deposto. Giubilate con me. Andate. Dite a Pietro e ai discepoli che Egli è risorto e vi precede in Galilea. Là lo vedrete ancora per poco, secondo che ha detto».
   Le donne cadono col volto a terra e quando lo alzano fuggono come fossero inseguite da un castigo. Sono terrorizzate e mormorano: «Ora morremo! Abbiamo visto l’angelo del Signore!».
   Si calmano un poco in aperta campagna e si consigliano. Che fare? Se dicono ciò che hanno visto, non saranno credute. Se dicono anche di venire di là, possono essere accusate dai giudei di aver ucciso le guardie. No. Non possono dire nulla, né agli amici, né ai nemici…
   Pavide, ammutolite, tornano da altra via verso casa. Entrano e si rifugiano nel Cenacolo. Neppure chiedono di vedere Maria… E là pensano che quanto hanno visto non sia che un inganno del Demonio. Umili come sono, giudicano che «non può essere che a loro sia stato concesso di vedere il messo di Dio. È Satana che le ha volute impaurire per allontanarle di là».
 Piangono e pregano come due bambine impaurite da un incubo…

 7… Il terzo gruppo, quello di Giovanna, Maria d’Alfeo e Marta, visto che nulla succede di nuovo, si decide ad andare là dove certo le compagne attendono. Escono nelle strade, dove ormai vi è gente impaurita, che commenta il nuovo terremoto e lo ricollega ai fatti del Venerdì e vede anche quello che non c’è.
   «Meglio se sono tutti spauriti! Forse lo saranno anche le guardie e non faranno eccezioni», dice Maria d’Alfeo. E vanno svelte verso le mura.

 8 Ma, mentre loro vanno là, all’ortaglia sono già giunti Pietro e Giovanni, seguiti dalla Maddalena. E Giovanni, più svelto, giunge per primo al Sepolcro. Le guardie non ci sono più. E più non c’è l’angelo.
   Giovanni si inginocchia, timoroso e dolente, sulla soglia spalancata, e per venerare e per cogliere qualche indizio dalle cose che vede. Ma non vede che ammucchiati per terra i pannilini messi sopra la sindone. «Non c’è proprio, Simone! Maria ha visto bene. Vieni, entra, guarda».
   Pietro, col fiato grosso per il gran correre fatto, entra nel Sepolcro. Aveva detto per via: «Io non oserò accostarmi a quel posto». Ma ora non pensa altro che a scoprire dove può essere il Maestro. E lo chiama anche, come Egli potesse essere nascosto in qualche angolo buio.
   L’oscurità, in questa ora mattutina, è ancora forte nel pro­fondo del Sepolcro, a cui dà luce solo la piccola apertura della porta su cui ora fanno ombra Giovanni e la Maddalena… E Pietro stenta a vedere, e deve aiutarsi con le mani a vedere… Tocca, e trema, il tavolo dell’unzione e lo sente vuoto…
   «Non c’è, Giovanni! Non c’è!… Oh! vieni anche tu! Io ho tanto pianto che non ci vedo quasi in questa poca luce».
   Giovanni si alza in piedi ed entra. E, mentre lo fa, Pietro scopre il sudario posto in un angolo, ben piegato e con dentro la sindone arrotolata con cura.
   «Lo hanno proprio rapito. Le guardie erano non per noi, ma per fare questo… E noi l’abbiamo lasciato fare. Coll’andarcene lo abbiamo permesso!…».
   «Oh! dove lo avranno messo?».
   «Pietro! Pietro! Ora… è proprio finita!».
   I due discepoli escono annientati.
   «Andiamo, donna. Tu lo dirai alla Madre…».
   «Io non vengo via. Sto qui… Qualcuno verrà… Oh! io non vengo… Qui c’è ancora qualcosa di Lui. Aveva ragione la Madre… Respirare l’aria dove Egli fu è l’unico sollievo che ci resta».
   «L’unico sollievo… Ora lo vedi tu pure che era fola sperare…», dice Pietro.
 Maria neppure risponde. Si accascia al suolo, proprio presso la porta, e piange, mentre gli altri vanno via lentamente.

 9 Poi alza il capo e guarda dentro, e fra le lacrime vede due angeli seduti a capo e a piedi della pietra dell’unzione. È tanto intontita la povera Maria, nella sua più fiera battaglia fra la speranza che muore e la fede che non vuole morire, che li guarda inebetita, senza neppure stupirsene. Non ha più altro che lacrime la forte che a tutto ha resistito da eroina.
   «Perché piangi, donna?», chiede uno dei due luminosi fanciulli, perché di adolescenti bellissimi hanno l’aspetto.
   «Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove me lo hanno messo».
   Maria non ha paura a parlare con loro, non chiede: «Chi siete?». Nulla. Nulla più le fa stupore. Tutto quanto può stupire una creatura ella lo ha già subito. Ora non è che una cosa spezzata che piange senza vigore e ritegno.
   Il giovinetto angelico guarda il compagno e sorride. E l’altro pure. E in un balenare di letizia angelica ambedue guardano fuori, verso l’ortaglia tutta in fiore per i milioni di corolle che si sono aperte al primo sole sui meli fitti del pometo.

 10Maria si volta per vedere chi guardano. E vede un Uomo, bellissimo, che non so come non possa riconoscere subito. Un Uomo che la guarda con pietà e le chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». È vero che è un Gesù offuscato dalla sua pietà verso la creatura, che le troppe emozioni hanno sfinita e che potrebbe morire per improvvisa gioia, ma proprio mi chiedo come possa non riconoscerlo.
   E Maria fra i singhiozzi: «Mi hanno preso il Signore Gesù! Ero venuta per imbalsamarlo in attesa che sorgesse… Ho tenuto raccolto tutto il mio coraggio e la mia speranza e la mia fede intorno al mio amore… e ora non lo trovo più… Anzi ho messo il mio amore intorno alla fede, alla speranza e al coraggio, per difendere questi dagli uomini… Ma è tutto inutile! Gli uomini hanno rubato il mio Amore e con esso tutto mi hanno levato… O mio signore, se sei tu che lo hai portato via, dimmi dove lo hai messo. Ed io lo prenderò… Non lo dirò a nessuno… Sarà un segreto fra me e te. Guarda: sono la figlia di Teofilo, la sorella di Lazzaro, ma ti sto in ginocchio davanti a supplicarti, come una schiava. Vuoi che ti compri il suo Corpo? Lo farò. Quanto vuoi? Sono ricca. Posso darti tant’oro e gemme per quanto esso pesa. Ma rendimelo. Non ti denuncerò. Vuoi percuotermi? Fallo. A sangue, se vuoi. Se hai un odio per Lui, fallo scontare a me. Ma rendimelo. Oh! non mi fare povera di questa miseria, o mio signore! Pietà di una povera donna!… Per me non vuoi? Per sua Madre, allora. Dimmi! Dimmi dove è il mio Signore Gesù. Sono forte. Lo prenderò fra le braccia e lo porterò come un bambino in salvo. Signore… signore… tu lo vedi… da tre giorni siamo percossi dall’ira di Dio per quello che fu fatto al Figlio di Dio… Non aggiungere Profanazione a Delitto…».
   «Maria!». Gesù sfavilla nel chiamarla. Si svela nel suo fulgore trionfante.
 «Rabboni!». Il grido di Maria è veramente “il grande grido” che chiude il ciclo della morte. Col primo le tenebre dell’odio fasciarono la Vittima di bende funebri, col secondo le luci del­l’amore aumentarono il suo splendore. E Maria si alza nel grido che empie l’ortaglia, corre ai piedi di Gesù, li vorrebbe baciare.
   Gesù la scosta toccandola appena col sommo delle dita presso la fronte: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e di’ loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro». E Gesù scompare, assorbito da una luce insostenibile.

 11Maria bacia il suolo dove Egli era e corre verso casa. Entra come un razzo, perché il portone è socchiuso per dare passaggio al padrone che esce per andare alla fonte; apre la porta della stanza di Maria e le si abbandona sul cuore gridando: «È risorto! È risorto!», e piange beata.
   E mentre accorrono Pietro e Giovanni, e dal Cenacolo avanzano le spaurite Salome e Susanna e ascoltano il suo racconto, ecco entrare anche, dalla via, Maria d’Alfeo con Marta e Giovanna, che a fiato mozzo dicono di «essere anche loro state là e di avere visto due angeli che si dicevano il Custode dell’Uomo Dio e l’angelo del suo Dolore, e che hanno dato loro l’ordine di dire ai discepoli che Egli era risorto». E poiché Pietro scrolla il capo, insistono dicendo: «Sì. Hanno detto: “Perché cercate il Vivente fra i morti? Egli non è qui. È risorto, come disse quando ancora era in Galilea. Non ricordate? Disse: ‘Il Figlio del­l’uo­mo deve essere dato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso. Ma il terzo giorno risusciterà'”».
   Pietro scrolla il capo dicendo: «Troppe cose in questi giorni! Ne siete rimaste turbate».
   La Maddalena alza il capo dal petto di Maria e dice: «L’ho visto! Gli ho parlato. Mi ha detto che sale al Padre e poi viene. Come era bello!», e piange come non ha mai pianto, ora che non ha più da torturare se stessa per fare forza contro il dubbio sorgente da ogni lato.
   Ma Pietro, e anche Giovanni, restano molto dubbiosi. Si guardano, ma il loro occhio dice: «Immaginazione di donne!».
   Anche Susanna e Salome osano allora parlare. Ma la stessa inevitabile diversità nei particolari delle guardie che prima ci sono come morte e poi non ci sono, degli angeli che ora sono uno e ora due e che agli apostoli non si sono mostrati, delle due versioni sul venire qui di Gesù o sul precedere i suoi in Galilea, fa sì che il dubbio e, anzi, la persuasione degli apostoli cresca sempre più.

 12Maria, la Madre beata, tace sorreggendo la Maddalena… Non comprendo il mistero di questo silenzio materno.
   Maria d’Alfeo dice a Salome: «Torniamo là noi due. Vediamo se siamo tutte ebbre…». E corrono fuori.
   Le altre restano, pacatamente derise dai due apostoli, presso Maria che tace, assorta in un pensiero che tutti interpretano a modo loro, e nessuno comprende che è estasi.
   Tornano le due attempate donne: «È vero! È vero! Noi lo abbiamo visto. Ci ha detto, presso l’orto di Barnaba: “La pace a voi. Non temete. Andate a dire ai miei fratelli che sono risorto e che vadano fra qualche giorno in Galilea. Là staremo ancora insieme”. Così ha detto. Maria ha ragione. Bisogna dirlo a quelli di Betania, a Giuseppe, a Nicodemo, ai discepoli più fidi, ai pastori, andare, fare, fare… Oh! è risorto!…», piangono tutte beate.
   «Folli siete, donne. Il dolore vi ha turbate. La luce vi è parsa angelo. Il vento voce. Il sole il Cristo. Io non vi critico. Vi capisco, ma non posso che credere che a ciò che io ho visto: il Sepolcro aperto e vuoto, e le guardie fuggite col Cadavere involato».
   «Ma se lo dicono le guardie stesse che è risorto! Se la città è in subbuglio e i principi dei Sacerdoti sono folli d’ira, perché le guardie hanno parlato fuggendo esterrefatte! Ora vogliono che dicano diverso e le pagano perciò. Ma già si sa. E se i giudei non credono alla Risurrezione, non vogliono credere, molti altri credono…».
   «Uhm! Le donne!…». Pietro alza le spalle e fa per andarsene.

 13Allora la Madre, che ha sempre sul cuore la Maddalena che piange come un salice sotto un’acquata per la sua troppo grande gioia e che la bacia sui capelli biondi, alza il viso trasfigurato e dice una breve frase: «È realmente risorto. Io l’ho avuto fra le braccia e ne ho baciato le Piaghe». E poi si curva sui capelli dell’appassionata e dice: «Sì, la gioia è ancora più forte del dolore. Ma non è che una briciola di rena di quello che sarà il tuo oceano di gioia eterna. Te beata che sopra la ragione hai fatto parlare lo spirito».
   Pietro non osa più negare… e con uno di quei trapassi del Pietro antico, che ora ritorna ad affiorare, dice, e urla, come se dagli altri e non da lui dipendesse il ritardo: «Ma allora, se è così, bisogna farlo sapere agli altri. A quelli dispersi per le campagne… cercare… fare… Su, muovetevi. Se dovesse proprio venire… che ci trovi almeno», e non si accorge che ancora confessa di non credere ciecamente alla sua Risurrezione.

   Cap. DCXX. Considerazioni sulla Risurrezione.

   [21 febbraio 1944]
 
 1 Dice Gesù:
   «Le preghiere ardenti di Maria hanno anticipato di qualche tempo la mia Risurrezione.
   Io avevo detto: “Il Figlio dell’uomo sta per essere ucciso, ma il terzo giorno risorgerà”. Ero morto alle tre del pomeriggio di venerdì. Sia che calcoliate i giorni come nome, sia li calcoliate come ore, non era l’alba domenicale quella che doveva vedermi sorgere. Come ore, erano unicamente trentotto ore invece di settantadue quelle che il mio Corpo era rimasto senza vita. Come giorni, doveva almeno giungere la sera di questo terzo giorno per dire che ero stato tre giorni nella tomba.
   Ma Maria ha anticipato il miracolo. Come quando col suo orare ha schiuso i Cieli con anticipo di qualche anno sull’epoca prefissa, per dare al mondo la sua Salvezza, così ora Ella ottiene l’anticipo di qualche ora per dar conforto al suo cuore morente.

 Ed Io, alla prima alba del terzo giorno, sono sceso come sole che scende e del mio fulgore ho sciolto i sigilli umani così inutili davanti alla potenza di un Dio, della mia forza ho fatto leva per ribaltare l’inutilmente vegliata pietra, del mio apparire ho fatto folgore che ha atterrato le tre volte inutili guardie messe a custodia di una Morte che era Vita, che nessuna forza umana poteva impedire d’esser tale.
   Ben più potente della vostra corrente elettrica, il mio Spirito è entrato come spada di Fuoco divino a riscaldare le fredde spoglie del mio Cadavere, e al nuovo Adamo lo Spirito di Dio ha alitato la vita, dicendo a Se stesso: “Vivi. Lo voglio”.
   Io che avevo risuscitato i morti quando non ero che il Figlio dell’uomo, la Vittima designata a portare le colpe del mondo, non dovevo potere risuscitare Me stesso ora che ero il Figlio di Dio, il Primo e l’Ultimo, il Vivente eterno, Colui che ha nelle sue mani le chiavi della Vita e della Morte? Ed il mio Cadavere ha sentito la Vita tornare in Lui.
   Guarda: come uomo che si sveglia dopo il sonno dato da una enorme fatica, Io ho un profondo respiro. Né ancora apro gli occhi. Il sangue torna a circolare nelle vene poco rapido ancora, riporta il pensiero alla mente. Ma vengo da tanto lontano! Guarda: come uomo ferito che una potenza miracolosa risana, il sangue torna nelle vene vuote, empie il Cuore, scalda le membra, le ferite si rimarginano, spariscono lividi e piaghe, la forza torna. Ma ero tanto ferito! Ecco, la Forza opera. Io sono guarito. Io sono svegliato. Io sono ritornato alla Vita. Fui morto. Ora vivo! Ora sorgo!
 Scuoto i lini di morte, getto l’involucro degli unguenti. Non ho bisogno di essi per apparire Bellezza eterna, eterna Integrità. Io mi rivesto di veste che non è di questa Terra, ma tessuta da Colui che mi è Padre e che tesse la seta dei gigli verginali. Sono vestito di splendore. Mi orno delle mie Piaghe che non gemono più sangue ma sprigionano luce. Quella luce che sarà la gioia di mia Madre e dei beati e il terrore, la vista insostenibile dei maledetti e dei demoni sulla Terra e nell’ultimo giorno.

 3 L’angelo della mia vita d’uomo e l’angelo del mio dolore sono prostrati davanti a Me e adorano la mia Gloria. Ci sono tutti e due i miei angeli. L’uno per bearsi della vista del suo Custodito, che ora non ha più bisogno d’angelica difesa. L’altro, che ha visto le mie lacrime, per vedere il mio sorriso; che ha visto la mia battaglia, per vedere la mia vittoria; che ha visto il mio dolore, per vedere la mia gioia.

 4 Ed esco nell’ortaglia piena di bocci di fiori e di rugiada. E i meli aprono le corolle per fare arco fiorito sul mio capo di Re, e le erbe fanno tappeto di gemme e di corolle al mio piede che torna a calpestare la Terra redenta dopo esser stato innalzato su es­sa per redimerla. E mi saluta il primo sole, e il vento dolce d’a­prile, e la lieve nuvola che passa, rosea come guancia di bambino, e gli uccelli fra le fronde. Sono il loro Dio. Mi adorano.
   Passo fra le guardie tramortite, simbolo delle anime in colpa mortale che non sentono il passaggio di Dio.
   È Pasqua, Maria! Questo è bene il “Passaggio dell’Angelo di Dio”! Il suo Passaggio da morte a vita. Il suo Passaggio per dare Vita ai credenti nel suo Nome. È Pasqua! È la Pace che passa nel mondo. La Pace non più velata dalla condizione di uomo. Ma libera, completa nella sua tornata efficienza di Dio.

 5 E vado dalla Madre. È ben giusto che ci vada. Lo è stato per i miei angeli. Ben di più lo è per quella che, oltre che mia custode e conforto, mi è stata datrice di vita. Prima ancora di tornare al Padre nella mia veste d’Uomo glorificata, vado dalla Madre. Vado nel fulgore della mia veste paradisiaca e delle mie Gemme vive. Ella mi può toccare, Ella le può baciare, perché Ella è la Pura, la Bella, l’Amata, la Benedetta, la Santa di Dio.
   Il nuovo Adamo va all’Eva nuova. Il male è entrato nel mondo per la donna, e dalla Donna fu vinto. Il Frutto della Donna ha disintossicato gli uomini dalla bava di Lucifero. Ora, se essi vogliono, possono esser salvi. Ha salvato la donna rimasta così fragile dopo la ferita mortale.
 6 E dopo che alla Pura, alla quale per diritto di santità e di maternità è giusto vada il Figlio-Dio, mi presento alla donna redenta, alla capostipite, alla rappresentante di tutte le creature femminee che sono venuto a liberare dal morso della lussuria. Perché dica ad esse che si accostino a Me per guarire, che abbiano fede in Me, che credano nella mia Misericordia che comprende e perdona, che per vincere Satana, che fruga loro le carni, guardino la mia Carne ornata dalle cinque ferite.
   Non mi faccio toccare da lei. Ella non è la Pura che può toccare, senza contaminarlo, il Figlio che torna al Padre. Molto ha ancora da purificare con la penitenza. Ma il suo amore merita questo premio. Ella ha saputo risorgere per sua volontà dal sepolcro del suo vizio, strozzare Satana che la teneva, sfidare il mondo per amore del suo Salvatore, ha saputo spogliarsi di tutto che non fosse amore, ha saputo non essere più che amore che si consuma per il suo Dio. E Dio la chiama: “Maria”. Odila rispondere: “Rabboni!”. Vi è il suo cuore in quel grido.
   A lei, che l’ha meritato, do l’incarico di esser messaggera della Risurrezione. E ancora una volta sarà un poco schernita come avesse vaneggiato. Ma non le importa nulla, a Maria di Magdala, a Maria di Gesù, del giudizio degli uomini. Mi ha visto risorto, e ciò le dà una gioia che attutisce ogni altro sentimento.
   Vedi come amo anche chi fu colpevole, ma volle uscire dalla colpa? Neppure a Giovanni Io mi mostro per primo. Ma alla Maddalena. Giovanni aveva già avuto il grado di figlio da Me. Lo poteva avere perché era puro e poteva essere figlio non solo spirituale, ma anche dante e ricevente, alla e dalla Pura di Dio, quei bisogni e quelle cure che sono connesse alla carne.
 Maddalena, la risorta alla Grazia, ha la prima visione della Grazia Risorta.

7 Quando mi amate sino a vincere tutto per Me, Io vi prendo il capo ed il cuore malato fra le mie mani trafitte e vi alito in volto il mio Potere. E vi salvo, vi salvo, figli che amo. Voi tornate belli, sani, liberi, felici. Voi tornate i figli cari del Signore. Faccio di voi i portatori della mia Bontà fra i poveri uomini, coloro che testimoniate della mia Bontà ad essi per farli persuasi di essa e di Me.
   Abbiate, abbiate, abbiate fede in Me. Abbiate amore. Non temete. Vi faccia sicuri del Cuore del vostro Dio tutto quanto ho patito per salvarvi.

 8 E tu, piccolo Giovanni, sorridi dopo aver pianto. Il tuo Gesù non soffre più. Non ci sono più né sangue né ferite. Ma luce, luce, luce e gioia e gloria. La mia luce e la mia gioia siano in te sinché verrà l’ora del Cielo».

   Cap. DCXXI. Apparizione a Lazzaro.

   3 aprile 1945.
 
 1 Il sole di un sereno mattino d’aprile empie di brillii i boschetti di rose e gelsomini del giardino di Lazzaro. E le siepi di bosso e d’alloro, il ciuffo di un’alta palma che ondeggia lieve al limite di un viale, il foltissimo lauro presso la peschiera, sembrano lavati da una mano misteriosa, tanto la copiosa rugiada notturna ne ha deterse e irrorate le foglie, che ora paiono coperte di uno smalto nuovo tanto sono lucide e nette.
   Ma la casa tace come fosse piena di morti. Le finestre sono aperte, ma non una voce, non un rumore viene dalle stanze, in penombra perché tutte le tende sono calate.
   Nell’interno, oltre il vestibolo nel quale si aprono molte porte tutte aperte — ed è strano vedere senza nessun apparato le sale solitamente usate per i conviti più o meno numerosi — vi è un ampio cortile lastricato e circondato da un portico sparso di sedili. Su questi, e persino seduti sul suolo, su stuoie, o anche sul marmo stesso, sono numerosi discepoli. E fra essi vedo gli apostoli Matteo, Andrea, Bartolomeo, i fratelli Giacomo e Giuda d’Alfeo, Giacomo di Zebedeo e i discepoli pastori con Mannaen, oltre ad altri che non conosco. Non vedo lo Zelote, non Lazzaro, non Massimino.
   Infine questo entra con dei servi e distribuisce a tutti del pane con cibi diversi, ossia ulive o formaggio, o miele, e anche latte fresco per chi lo vuole. Ma non c’è voglia di mangiare, per quanto Massimino esorti tutti a farlo. L’accasciamento è pro­fondo. I visi si sono in pochi giorni infossati, fatti terrei sotto il rossore del pianto. Specie gli apostoli e quelli fuggiti fin dalle prime ore mostrano un aspetto avvilito, mentre i pastori con Mannaen sono meno accasciati, anzi, meno vergognosi, e Massimino è solo virilmente addolorato.

 2 Entra quasi di corsa lo Zelote e chiede: «È qui Lazzaro?».
   «No, è nella sua stanza. Che vuoi?».
   «Sul limite del sentiero, presso la fontana del Sole, è Filippo. Viene dalla piana di Gerico. È sfinito. E non vuole venire avanti, perché… come tutti, si sente peccatore. Ma Lazzaro lo persuaderà».
   Si alza Bartolomeo e dice: «Vengo anche io…».
   Vanno da Lazzaro che, chiamato, esce con un volto straziato dalla stanza semibuia, dove certo ha pianto e pregato.
   Escono tutti e traversano prima il giardino, poi il paese nella parte che si dirige già verso le pendici del monte Uliveto, e poi raggiungono il limite di questo paese dalla parte dove esso termina col terminare del pianoro su cui è costruito, per proseguire unicamente colla via montana che scende e sale a scalinate naturali per le montagne, che degradano verso la pianura a est e salgono verso la città di Gerusalemme a ovest.
 Qui è una fontana dal largo bacino, dove certo armenti e uomini si dissetano. Il luogo è in quest’ora solitario e fresco, perché molta ombra di alberi folti è intorno alla cisterna piena di un’acqua pura, che sempre si rinnova scendendo da qualche sorgiva montana e trabocca tenendo umido il suolo.

 3 Filippo è seduto sull’orlo più alto della fonte, a capo basso, spettinato, polveroso, con i sandali rotti che pendono dal piede scorticato.
 Lazzaro lo chiama, con pietà: «Filippo, vieni a me! Amiamoci per amor suo. Stiamo uniti nel suo Nome. È amarlo ancora fare questo!».
   «Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito… e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!… Io… io non mi posso perdonare di essere fuggito…».
   «Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi… di noi apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo.
   «E te lo puoi perdonare?».
   «No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell’abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo.
   «E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote.
   «Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un’altra volta», dice sicuro Lazzaro.
   «Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo.
   «Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito…».
   «No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all’ubbidienza», prorompe Bartolomeo.
   «Sì. All’ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza al­l’amore per ubbidienza all’Amato!

 4 Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure».
   «Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni…».
   «Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo.
   «Sì. Ma io ho un cuore che non si perdona».
   «Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: “Essi non si perdoneranno. Di’ loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è Satana che li travia”. Vieni».
   Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni dànno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale.

 Lazzaro lo nota e parla:
   «Una nuova pecora del gregge di Cristo, intimorita dalla venuta dei lupi e fuggita dopo la cattura del Pastore, è stata raccolta dall’amico di Lui. A questa dispersa, che ha conosciuto l’amarezza dell’essere sola, senza neppure il conforto di piangere lo stesso errore fra i fratelli, io ripeto il suo testamento di amore.
   Egli, lo giuro alla presenza dei cori celesti, mi ha detto, con tante altre cose che la vostra umana debolezza presente non può sopportare perché, veramente, sono di una desolazione che mi lacerano da dieci giorni il cuore — e se non sapessi che la mia vita serve al mio Signore, benché così povera e manchevole come è, mi abbandonerei alla ferita di questo dolore di amico e di discepolo che tutto ha perduto, Lui perdendo — mi ha detto: “I miasmi di Gerusalemme corrotta renderanno folli anche i miei discepoli. Essi fuggiranno e verranno da te”. Infatti, vedete che tutti siete venuti. Tutti, potrei dire. Perché, meno Simon Pietro e l’Iscariota, tutti siete venuti verso la mia casa e il mio cuore di amico. Ha detto: “Tu le radunerai. Le rincuorerai le mie pecore disperse. Dirai loro che Io le perdono. Ti affido il mio perdono per loro. Non si daranno pace di essere fuggiti. Di’ loro di non cadere nel più grande peccato del disperare del mio perdono”.
   Così ha detto. E io, perdono per Lui vi ho dato. E ne ho avuto rossore di darvi in suo Nome questa cosa così santa, così sua, che è il Perdono, ossia l’Amore perfetto, perché perfettamente ama chi al colpevole perdona. Questo ministero ha confortato la mia aspra ubbidienza… Perché là avrei voluto essere, come Maria e Marta, le mie dolci sorelle. E se Lui fu crocifisso sul Golgota dagli uomini, io qui, ve lo giuro, sono crocifisso dall’ubbidienza, ed è ben straziante martirio. Ma se serve a dargli conforto allo Spirito, se ciò serve a salvargli i suoi discepoli sino al momento in cui Egli li radunerà per perfezionarli nella fede, ecco, io immolo una volta ancora il mio desiderio di andare almeno a venerarne la salma prima che il terzo giorno muoia.

 6 Lo so che dubitate. Non dovete. Io non so le sue parole del banchetto pasquale altro che per quello che voi mi avete detto. Ma più le penso, più alzo uno per uno questi diamanti delle sue verità, e più sento che essi hanno un sicuro riferimento al domani immediato. Egli non può avere detto: “Vado al Padre e poi tornerò” se non avesse veramente a tornare. Non può avere detto: “Quando mi rivedrete sarete pieni di gaudio” se fosse scomparso per sempre. Egli lo ha sempre detto: “Io risusciterò”. Voi mi avete detto che disse: “Sui semi gettati in voi sta per cadere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il Paraclito che li farà divenire alberi potenti”. Non disse così? Oh! non fate che ciò avvenga solo per l’ultimo dei suoi discepoli, per il povero Lazzaro che non fu con Lui che raramente! Quando Egli tornerà, fate che trovi germogliati i suoi semi sotto la rugiada del suo Sangue.
   In me è tutta una accensione di luce, è tutto un erompere di forze dall’ora tremenda in cui Egli salì sulla Croce. Tutto si illumina, tutto nasce e mette stelo. Non c’è parola che mi resti nel suo povero significato umano. Ma tutto ciò che da Lui o di Lui udii, ecco che ora prende vita, e realmente la mia landa brulla si muta in fertile aiuola dove ogni fiore ha il suo Nome e dove ogni succo trae vita dal suo Cuore benedetto.
   Io credo, Cristo! Ma perché questi credano in Te, in ogni tua promessa, nel tuo perdono, in tutto quanto è Te, ecco, ti offro la mia vita. Consumala, ma fa’ che la tua Dottrina non muoia! Frantuma il povero Lazzaro. Ma riunisci le membra disperse del nucleo apostolico. Tutto ciò che Tu vuoi, ma in cambio sia viva ed eterna la tua Parola, e ad essa ora e sempre vengano coloro che solo per Te possono avere la vita eterna».

 7 Lazzaro è realmente ispirato. L’amore lo trasporta ben in alto. Ed è tanto forte il suo trasporto che solleva anche i compagni. Chi lo chiama a destra e chi a sinistra, quasi fosse un confessore, un medico, un padre. Il cortile della ricca casa di Lazzaro, non so perché, mi fa pensare alle dimore dei patrizi cristiani in tempi di persecuzione e di eroica fede…
   È curvo su Giuda d’Alfeo, che non riesce a trovare una ragione per calmare il suo affanno di avere lasciato il Maestro e cugino, quandoqualcosa lo fa rialzare di scatto. Si volge intorno e poi dice netto: «Vengo, Signore». La sua parola di pronta adesione di sempre. Ed esce, correndo come dietro a qualcuno che lo chiami e preceda.
   Tutti si guardano stupiti. Si interrogano.
   «Che ha visto?».
   «Ma non c’è nulla!».
   «Hai udito una voce tu?».
   «Io no».
   «E io neppure».
   «E allora? Lazzaro è forse malato di nuovo?».
   «Forse… Ha sofferto più di noi, e ha tanto dato di forza a noi, vili! Forse ora lo ha preso il delirio».
   «Infatti è molto sciupato nel volto».
   «E il suo occhio nel parlare ardeva».
   «Sarà Gesù che lo ha chiamato al Cielo».
   «Infatti Lazzaro gli ha offerto la vita poco fa… Come un fiore lo ha subito colto… Oh! noi miseri! E che faremo ora?».
   I commenti sono disparati e dolorosi.

 8 Lazzaro traversa il vestibolo, esce nel giardino, sempre correndo, sorridendo, mormorando, e c’è la sua anima nella sua voce: «Vengo, Signore». Giunge ad un folto di bossi che fanno un recesso verde, noi diremmo un chiosco verde, e cade a ginocchi, col volto al suolo gridando: «Oh! mio Signore!».
   Perché Gesù, nella sua bellezza di Risorto, è sul limitare di questo verde recesso e gli sorride… e gli dice: «Tutto è compiuto, Lazzaro. Sono venuto a dirti grazie, amico fedele. Sono venuto a dirti di dire ai fratelli di venire subito alla casa della Cena. Tu — un altro sacrificio, amico, per amor mio — tu resta, per ora, qui… So che ne soffri. Ma so che sei generoso. Maria, tua sorella, è già consolata, perché l’ho vista e mi ha visto».
   «Non soffri più, Signore. E questo mi ripaga di ogni sacrificio. Ho… sofferto a saperti nel dolore… e a non esserci…».
   «Oh! c’eri! Il tuo spirito era ai piedi della mia croce ed era nel buio del mio sepolcro. Tu mi hai evocato più presto, come tutti quelli che mi hanno totalmente amato, dal profondo dove ero. Ora Io ti ho detto: “Vieni, Lazzaro”. Come nel giorno della tua risurrezione. Ma tu da molte ore mi dicevi: “Vieni”. Sono venuto. E ti ho chiamato. Per trarti, a mia volta, dal profondo del tuo dolore. Va’. Pace e benedizione a te, Lazzaro! Cresci nel­l’amore di Me. Tornerò ancora».

 9 Lazzaro è sempre rimasto in ginocchio senza osare un gesto. La maestà del Signore, per quanto temperata d’amore, è tale che paralizza il solito modo di fare di Lazzaro.
   Ma Gesù, prima di scomparire in un gorgo di luce che lo assorbe, fa un passo e sfiora con la sua Mano la fronte fedele.
   È allora che Lazzaro si desta dal suo stupore beato e si alza e, correndo precipitosamente dai compagni, con una luminosità di gioia negli occhi e una luminosità sulla fronte sfiorata dal Cristo, grida: «È risorto, fratelli! Mi ha chiamato. Sono andato. L’ho visto. Mi ha parlato. Mi ha detto di dirvi di andare subito alla casa della Cena. Andate! Andate! Io resto perché Egli lo vuole. Ma il mio giubilo è completo…». E Lazzaro piange nella sua gioia, mentre spinge gli apostoli ad andare per primi dove Egli comanda. «Andate! Andate! Vi vuole! Vi ama! Non temete di Lui… Oh! è più che mai il Signore, la Bontà, l’Amore!».
   Anche i discepoli si alzano… Betania si svuota. Resta Lazzaro col suo grande cuore consolato…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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