Vangelo Gv 20, 11-18: «va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».

Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!». Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”».
Maria di Màgdala andò ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXIX. Le pie donne al Sepolcro.

   2 aprile 1945.

 1 Le donne, intanto, uscite dalla casa camminano rasente al muro, ombre nell’ombra. Per qualche tempo tacciono, tutte imbacuccate e paurose di tanto silenzio e solitudine. Poi, rassicurandosi alla vista della calma assoluta che è in città, si riuniscono in gruppo e osano parlare.
   «Saranno già aperte le porte?», chiede Susanna.
   «Certo. Guarda là il primo ortolano che entra con le verdure. Va al mercato», risponde Salome.
   «Ci diranno nulla?», chiede ancora Susanna.
   «Chi?», domanda la Maddalena.
   «I soldati, alla porta Giudiziaria. Di lì… entrano pochi ed escono meno ancora… Daremo sospetti…».
   «E con ciò? Ci guarderanno. Vedranno cinque donne che vanno verso la campagna. Potremmo essere anche persone che, fatta la Pasqua, andiamo ai nostri paesi».
   «Però… Per non dare nell’occhio a qualche malintenzionato, perché non usciamo da un’altra porta e poi giriamo rasente alle mura?…».
   «Allungheremo la strada».
   «Ma saremo più sicure. Prendiamo la porta dell’Acqua…».
   «Oh! Salome! Se fossi in te, sceglierei la porta Orientale! Più lungo il giro dovresti fare! Occorre fare presto e tornare presto». È la Maddalena questa così recisa.
   «Allora un’altra, ma non quella Giudiziaria. Sii buona…», pregano tutte.
   «E va bene.

2 Allora, posto che volete così, passiamo da Giovanna. Si è raccomandata di farglielo sapere. Se fossimo andate dirette, si poteva fare senza. Ma poiché volete fare un giro più lungo, passiamo da lei…».
   «Oh! sì. Anche per le guardie messe là… Lei è nota e temuta…».
   «Io direi di passare anche da Giuseppe d’Arimatea. È il padrone del luogo».
   «Ma sì! Facciamo un corteo, adesso, per non dare nell’occhio! Oh! che pavida sorella che ho! Piuttosto, sai Marta? Facciamo così. Io vado avanti e guardo. Voi venite dietro con Giovanna. Mi metterò in mezzo alla via, se c’è del pericolo, e mi vedrete. E torneremo indietro. Ma vi assicuro che le guardie, davanti a questo-— io ci ho pensato (e mostra una borsa piena di monete) — ci lasceranno fare tutto».
   «Lo diremo anche a Giovanna. Hai ragione».
   «Allora andate, che io vado».
   «Vai sola, Maria? Io vengo con te», dice Marta timorosa per la sorella.
   «No. Tu va’ con Maria d’Alfeo da Giovanna. Salome e Susanna ti aspetteranno presso la porta, dalla parte di fuori delle mura. E poi verrete per la via maestra tutte insieme. Addio». E Maria Maddalena tronca altri possibili commenti andandosene veloce con la sua borsa di balsami e le sue monete in seno.
   Vola, tanto va lesta nella strada che si fa più lieta nel primo rosare dell’aurora. Passa la porta Giudiziaria per fare più presto. Né nessuno la ferma…

 3 Le altre la guardano andare, poi volgono le spalle alla biforcazione di vie dove erano e ne prendono un’altra, stretta e oscura, che poi si apre, in prossimità del Sisto, in una più vasta e aperta in cui sono belle case. Si dividono ancora, Salome e Susanna procedendo per la via, mentre Marta e Maria d’Alfeo bussano al portone ferrato e si mostrano al finestrino (spioncino) che il portinaio socchiude.
   Entrano e vanno da Giovanna che, già alzata e tutta vestita di un viola scurissimo che la fa ancora più pallida, manipola anche essa degli oli insieme alla nutrice e ad una servente.
   «Siete venute? Dio ve ne compensi. Ma, non foste venute, sarei andata da me… Per trovare conforto… Perché molte cose sono rimaste turbate dopo quel tremendo giorno. E per non sentirmi sola devo andare contro quella pietra e bussare e dire: “Maestro, sono la povera Giovanna… Non mi lasciare sola anche Tu…”».
   Giovanna piange piano ma con molta desolazione, mentre Ester, la nutrice, fa dei grandi segni indecifrabili dietro le spalle della padrona, intanto che le mette il mantello.
   «Io vado, Ester».
   «Dio ti conforti!».
 Escono dal palazzo per raggiungere le compagne. È in questo momento che avviene il breve e forte terremoto, che getta di nuovo nel panico i gerosolimitani, ancora terrorizzati dagli avvenimenti del Venerdì. Le tre donne tornano sui loro passi, precipitosamente, e nell’ampio vestibolo, fra le serve e i servi urlanti e invocanti il Signore, stanno paurose di nuove scosse…

 4… La Maddalena, invece, è proprio al limitare del viottolo che porta all’orto dell’Arimatea quando la coglie il boato potente, e pure armonico, di questo segno celeste, mentre, nella luce appena rosata dell’aurora che si avanza nel cielo, dove ancora a occidente resiste una tenace stella, e che fa bionda l’aria fino allora verdolina, si accende una grande luce, che scende come fosse un globo incandescente, splendidissimo, tagliando a zig-zag l’aria quieta.
   Maria di Magdala ne è quasi sfiorata e rovesciata al suolo. Si curva un momento mormorando: «Mio Signore!», e poi si raddrizza come uno stelo dopo il passar del vento e, ancora più ratta, corre verso l’ortaglia.
   Vi entra veloce, andando, come un uccello inseguito e cercante il nido, verso il sepolcro di roccia. Ma, per quanto vada veloce, non può essere là quando la celeste meteora fa da leva e da fiamma sul sigillo di calcina messo a rinforzo del pesante pietrone, né quando con fragore finale la porta di pietra cade, dando uno scuotio che si unisce a quello del terremoto che, se è breve, è di una violenza tale che atterra le guardie come morte.
   Maria, sopraggiungendo, vede questi inutili carcerieri del Trionfatore gettati al suolo come un fascio di spighe falciate. Maria Maddalena non riconnette il terremoto con la Risurrezione. Ma, vedendo quello spettacolo, crede che sia il castigo di Dio sui profanatori del Sepolcro di Gesù, e cade a ginocchio dicendo: «Ahimé! Lo hanno rapito!». È veramente desolata e piange come una bambina che sia venuta sicura di trovare il padre cercato e trovi invece vuota la dimora.

 5 Poi si alza e corre via per andare da Pietro e Giovanni. E, dato che più non pensa che ad avvisare i due, non ricorda di andare incontro alle compagne, di arrestarsi sulla via, ma veloce come una gazzella ripassa per la strada già fatta, supera la porta Giudiziaria e vola per le strade che sono un poco più animate, si abbatte contro il portone della casa ospitale e lo batte e lo scuote furiosamente.
   Le apre la padrona. «Dove sono Giovanni e Pietro?», chiede affannosa Maria Maddalena.
   «Là», e la donna indica il Cenacolo.
   Maria di Magdala entra e, appena è dentro, davanti ai due stupiti dice, e nella voce tenuta bassa per pietà della Madre è più affanno che se avesse urlato, dice: «Hanno portato via il Signore dal Sepolcro! Chissà dove lo hanno messo!», e per la prima volta traballa e vacilla e, per non cadere, si afferra dove può.
   «Ma come? Che dici?», chiedono i due.
   E lei, con affanno: «Sono andata avanti… per comperare le guardie… perché ci lasciassero fare. Loro sono là come morte… Il Sepolcro è aperto, la pietra per terra… Chi? Chi sarà stato? Oh! venite! Corriamo…».
   Pietro e Giovanni si avviano subito. Maria li segue per qualche passo. Poi torna indietro. Afferra la padrona di casa, la scrolla, violenta nel suo previdente amore, e le fischia in volto: «Guardati bene da far passare nessuno da Lei (e accenna la porta della stanza di Maria). Ricòrdati che io sono la tua padrona. Ubbidisci e taci». E poi la lascia esterrefatta e raggiunge gli apostoli, che a gran passi vanno verso il Sepolcro…

 6… Susanna e Salome, intanto, lasciate le compagne e raggiunte le mura, vengono colte dal terremoto. Impaurite, si rifugiano sotto una pianta e stanno là, combattute fra la smania di andare verso il Sepolcro e quella di scappare presso Giovanna. Ma l’amore vince la paura e vanno verso il Sepolcro.
   Entrano ancora sbigottite nell’ortaglia e vedono le guardie tramortite… vedono una grande luce uscire dal Sepolcro aperto. Si aumenta il loro sbigottimento e finisce di farsi completo quando, tenendosi per mano per farsi coraggio a vicenda, si affacciano sulla soglia e, nel buio della grotta sepolcrale, vedono una creatura luminosa e bellissima, dolcemente sorridente, salutarle dal posto dove sta: appoggiata a destra della pietra dell’unzione, che si annulla col suo grigio dietro a tanto incandescente splendore. Cadono a ginocchi, sbalordite di stupore.
   Ma l’angelo dolcemente parla loro: «Non abbiate timore di me. Sono l’angelo del divino Dolore. Sono venuto per bearmi della fine di esso. Più non è il dolore del Cristo, il suo avvilimento nella morte. Gesù di Nazaret, il Crocifisso che voi cercate, è risorto. Non è più qui! Vuoto è il posto dove era deposto. Giubilate con me. Andate. Dite a Pietro e ai discepoli che Egli è risorto e vi precede in Galilea. Là lo vedrete ancora per poco, secondo che ha detto».
   Le donne cadono col volto a terra e quando lo alzano fuggono come fossero inseguite da un castigo. Sono terrorizzate e mormorano: «Ora morremo! Abbiamo visto l’angelo del Signore!».
   Si calmano un poco in aperta campagna e si consigliano. Che fare? Se dicono ciò che hanno visto, non saranno credute. Se dicono anche di venire di là, possono essere accusate dai giudei di aver ucciso le guardie. No. Non possono dire nulla, né agli amici, né ai nemici…
   Pavide, ammutolite, tornano da altra via verso casa. Entrano e si rifugiano nel Cenacolo. Neppure chiedono di vedere Maria… E là pensano che quanto hanno visto non sia che un inganno del Demonio. Umili come sono, giudicano che «non può essere che a loro sia stato concesso di vedere il messo di Dio. È Satana che le ha volute impaurire per allontanarle di là».
 Piangono e pregano come due bambine impaurite da un incubo…

 7… Il terzo gruppo, quello di Giovanna, Maria d’Alfeo e Marta, visto che nulla succede di nuovo, si decide ad andare là dove certo le compagne attendono. Escono nelle strade, dove ormai vi è gente impaurita, che commenta il nuovo terremoto e lo ricollega ai fatti del Venerdì e vede anche quello che non c’è.
   «Meglio se sono tutti spauriti! Forse lo saranno anche le guardie e non faranno eccezioni», dice Maria d’Alfeo. E vanno svelte verso le mura.

 8 Ma, mentre loro vanno là, all’ortaglia sono già giunti Pietro e Giovanni, seguiti dalla Maddalena. E Giovanni, più svelto, giunge per primo al Sepolcro. Le guardie non ci sono più. E più non c’è l’angelo.
   Giovanni si inginocchia, timoroso e dolente, sulla soglia spalancata, e per venerare e per cogliere qualche indizio dalle cose che vede. Ma non vede che ammucchiati per terra i pannilini messi sopra la sindone. «Non c’è proprio, Simone! Maria ha visto bene. Vieni, entra, guarda».
   Pietro, col fiato grosso per il gran correre fatto, entra nel Sepolcro. Aveva detto per via: «Io non oserò accostarmi a quel posto». Ma ora non pensa altro che a scoprire dove può essere il Maestro. E lo chiama anche, come Egli potesse essere nascosto in qualche angolo buio.
   L’oscurità, in questa ora mattutina, è ancora forte nel pro­fondo del Sepolcro, a cui dà luce solo la piccola apertura della porta su cui ora fanno ombra Giovanni e la Maddalena… E Pietro stenta a vedere, e deve aiutarsi con le mani a vedere… Tocca, e trema, il tavolo dell’unzione e lo sente vuoto…
   «Non c’è, Giovanni! Non c’è!… Oh! vieni anche tu! Io ho tanto pianto che non ci vedo quasi in questa poca luce».
   Giovanni si alza in piedi ed entra. E, mentre lo fa, Pietro scopre il sudario posto in un angolo, ben piegato e con dentro la sindone arrotolata con cura.
   «Lo hanno proprio rapito. Le guardie erano non per noi, ma per fare questo… E noi l’abbiamo lasciato fare. Coll’andarcene lo abbiamo permesso!…».
   «Oh! dove lo avranno messo?».
   «Pietro! Pietro! Ora… è proprio finita!».
   I due discepoli escono annientati.
   «Andiamo, donna. Tu lo dirai alla Madre…».
   «Io non vengo via. Sto qui… Qualcuno verrà… Oh! io non vengo… Qui c’è ancora qualcosa di Lui. Aveva ragione la Madre… Respirare l’aria dove Egli fu è l’unico sollievo che ci resta».
   «L’unico sollievo… Ora lo vedi tu pure che era fola sperare…», dice Pietro.
 Maria neppure risponde. Si accascia al suolo, proprio presso la porta, e piange, mentre gli altri vanno via lentamente.

 9 Poi alza il capo e guarda dentro, e fra le lacrime vede due angeli seduti a capo e a piedi della pietra dell’unzione. È tanto intontita la povera Maria, nella sua più fiera battaglia fra la speranza che muore e la fede che non vuole morire, che li guarda inebetita, senza neppure stupirsene. Non ha più altro che lacrime la forte che a tutto ha resistito da eroina.
   «Perché piangi, donna?», chiede uno dei due luminosi fanciulli, perché di adolescenti bellissimi hanno l’aspetto.
   «Perché hanno portato via il mio Signore e non so dove me lo hanno messo».
   Maria non ha paura a parlare con loro, non chiede: «Chi siete?». Nulla. Nulla più le fa stupore. Tutto quanto può stupire una creatura ella lo ha già subito. Ora non è che una cosa spezzata che piange senza vigore e ritegno.
   Il giovinetto angelico guarda il compagno e sorride. E l’altro pure. E in un balenare di letizia angelica ambedue guardano fuori, verso l’ortaglia tutta in fiore per i milioni di corolle che si sono aperte al primo sole sui meli fitti del pometo.

 10Maria si volta per vedere chi guardano. E vede un Uomo, bellissimo, che non so come non possa riconoscere subito. Un Uomo che la guarda con pietà e le chiede: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». È vero che è un Gesù offuscato dalla sua pietà verso la creatura, che le troppe emozioni hanno sfinita e che potrebbe morire per improvvisa gioia, ma proprio mi chiedo come possa non riconoscerlo.
   E Maria fra i singhiozzi: «Mi hanno preso il Signore Gesù! Ero venuta per imbalsamarlo in attesa che sorgesse… Ho tenuto raccolto tutto il mio coraggio e la mia speranza e la mia fede intorno al mio amore… e ora non lo trovo più… Anzi ho messo il mio amore intorno alla fede, alla speranza e al coraggio, per difendere questi dagli uomini… Ma è tutto inutile! Gli uomini hanno rubato il mio Amore e con esso tutto mi hanno levato… O mio signore, se sei tu che lo hai portato via, dimmi dove lo hai messo. Ed io lo prenderò… Non lo dirò a nessuno… Sarà un segreto fra me e te. Guarda: sono la figlia di Teofilo, la sorella di Lazzaro, ma ti sto in ginocchio davanti a supplicarti, come una schiava. Vuoi che ti compri il suo Corpo? Lo farò. Quanto vuoi? Sono ricca. Posso darti tant’oro e gemme per quanto esso pesa. Ma rendimelo. Non ti denuncerò. Vuoi percuotermi? Fallo. A sangue, se vuoi. Se hai un odio per Lui, fallo scontare a me. Ma rendimelo. Oh! non mi fare povera di questa miseria, o mio signore! Pietà di una povera donna!… Per me non vuoi? Per sua Madre, allora. Dimmi! Dimmi dove è il mio Signore Gesù. Sono forte. Lo prenderò fra le braccia e lo porterò come un bambino in salvo. Signore… signore… tu lo vedi… da tre giorni siamo percossi dall’ira di Dio per quello che fu fatto al Figlio di Dio… Non aggiungere Profanazione a Delitto…».
   «Maria!». Gesù sfavilla nel chiamarla. Si svela nel suo fulgore trionfante.
 «Rabboni!». Il grido di Maria è veramente “il grande grido” che chiude il ciclo della morte. Col primo le tenebre dell’odio fasciarono la Vittima di bende funebri, col secondo le luci del­l’amore aumentarono il suo splendore. E Maria si alza nel grido che empie l’ortaglia, corre ai piedi di Gesù, li vorrebbe baciare.
   Gesù la scosta toccandola appena col sommo delle dita presso la fronte: «Non mi toccare! Non sono ancora salito al Padre mio con questa veste. Va’ dai miei fratelli e amici, e di’ loro che Io salgo al Padre mio e vostro, al Dio mio e vostro. E poi verrò da loro». E Gesù scompare, assorbito da una luce insostenibile.

 11Maria bacia il suolo dove Egli era e corre verso casa. Entra come un razzo, perché il portone è socchiuso per dare passaggio al padrone che esce per andare alla fonte; apre la porta della stanza di Maria e le si abbandona sul cuore gridando: «È risorto! È risorto!», e piange beata.
   E mentre accorrono Pietro e Giovanni, e dal Cenacolo avanzano le spaurite Salome e Susanna e ascoltano il suo racconto, ecco entrare anche, dalla via, Maria d’Alfeo con Marta e Giovanna, che a fiato mozzo dicono di «essere anche loro state là e di avere visto due angeli che si dicevano il Custode dell’Uomo Dio e l’angelo del suo Dolore, e che hanno dato loro l’ordine di dire ai discepoli che Egli era risorto». E poiché Pietro scrolla il capo, insistono dicendo: «Sì. Hanno detto: “Perché cercate il Vivente fra i morti? Egli non è qui. È risorto, come disse quando ancora era in Galilea. Non ricordate? Disse: ‘Il Figlio del­l’uo­mo deve essere dato nelle mani dei peccatori ed essere crocifisso. Ma il terzo giorno risusciterà'”».
   Pietro scrolla il capo dicendo: «Troppe cose in questi giorni! Ne siete rimaste turbate».
   La Maddalena alza il capo dal petto di Maria e dice: «L’ho visto! Gli ho parlato. Mi ha detto che sale al Padre e poi viene. Come era bello!», e piange come non ha mai pianto, ora che non ha più da torturare se stessa per fare forza contro il dubbio sorgente da ogni lato.
   Ma Pietro, e anche Giovanni, restano molto dubbiosi. Si guardano, ma il loro occhio dice: «Immaginazione di donne!».
   Anche Susanna e Salome osano allora parlare. Ma la stessa inevitabile diversità nei particolari delle guardie che prima ci sono come morte e poi non ci sono, degli angeli che ora sono uno e ora due e che agli apostoli non si sono mostrati, delle due versioni sul venire qui di Gesù o sul precedere i suoi in Galilea, fa sì che il dubbio e, anzi, la persuasione degli apostoli cresca sempre più.

 12Maria, la Madre beata, tace sorreggendo la Maddalena… Non comprendo il mistero di questo silenzio materno.
   Maria d’Alfeo dice a Salome: «Torniamo là noi due. Vediamo se siamo tutte ebbre…». E corrono fuori.
   Le altre restano, pacatamente derise dai due apostoli, presso Maria che tace, assorta in un pensiero che tutti interpretano a modo loro, e nessuno comprende che è estasi.
   Tornano le due attempate donne: «È vero! È vero! Noi lo abbiamo visto. Ci ha detto, presso l’orto di Barnaba: “La pace a voi. Non temete. Andate a dire ai miei fratelli che sono risorto e che vadano fra qualche giorno in Galilea. Là staremo ancora insieme”. Così ha detto. Maria ha ragione. Bisogna dirlo a quelli di Betania, a Giuseppe, a Nicodemo, ai discepoli più fidi, ai pastori, andare, fare, fare… Oh! è risorto!…», piangono tutte beate.
   «Folli siete, donne. Il dolore vi ha turbate. La luce vi è parsa angelo. Il vento voce. Il sole il Cristo. Io non vi critico. Vi capisco, ma non posso che credere che a ciò che io ho visto: il Sepolcro aperto e vuoto, e le guardie fuggite col Cadavere involato».
   «Ma se lo dicono le guardie stesse che è risorto! Se la città è in subbuglio e i principi dei Sacerdoti sono folli d’ira, perché le guardie hanno parlato fuggendo esterrefatte! Ora vogliono che dicano diverso e le pagano perciò. Ma già si sa. E se i giudei non credono alla Risurrezione, non vogliono credere, molti altri credono…».
   «Uhm! Le donne!…». Pietro alza le spalle e fa per andarsene.

 13Allora la Madre, che ha sempre sul cuore la Maddalena che piange come un salice sotto un’acquata per la sua troppo grande gioia e che la bacia sui capelli biondi, alza il viso trasfigurato e dice una breve frase: «È realmente risorto. Io l’ho avuto fra le braccia e ne ho baciato le Piaghe». E poi si curva sui capelli dell’appassionata e dice: «Sì, la gioia è ancora più forte del dolore. Ma non è che una briciola di rena di quello che sarà il tuo oceano di gioia eterna. Te beata che sopra la ragione hai fatto parlare lo spirito».
   Pietro non osa più negare… e con uno di quei trapassi del Pietro antico, che ora ritorna ad affiorare, dice, e urla, come se dagli altri e non da lui dipendesse il ritardo: «Ma allora, se è così, bisogna farlo sapere agli altri. A quelli dispersi per le campagne… cercare… fare… Su, muovetevi. Se dovesse proprio venire… che ci trovi almeno», e non si accorge che ancora confessa di non credere ciecamente alla sua Risurrezione.

   Cap. DCXX. Considerazioni sulla Risurrezione.

   [21 febbraio 1944]
 
 1 Dice Gesù:
   «Le preghiere ardenti di Maria hanno anticipato di qualche tempo la mia Risurrezione.
   Io avevo detto: “Il Figlio dell’uomo sta per essere ucciso, ma il terzo giorno risorgerà”. Ero morto alle tre del pomeriggio di venerdì. Sia che calcoliate i giorni come nome, sia li calcoliate come ore, non era l’alba domenicale quella che doveva vedermi sorgere. Come ore, erano unicamente trentotto ore invece di settantadue quelle che il mio Corpo era rimasto senza vita. Come giorni, doveva almeno giungere la sera di questo terzo giorno per dire che ero stato tre giorni nella tomba.
   Ma Maria ha anticipato il miracolo. Come quando col suo orare ha schiuso i Cieli con anticipo di qualche anno sull’epoca prefissa, per dare al mondo la sua Salvezza, così ora Ella ottiene l’anticipo di qualche ora per dar conforto al suo cuore morente.

 Ed Io, alla prima alba del terzo giorno, sono sceso come sole che scende e del mio fulgore ho sciolto i sigilli umani così inutili davanti alla potenza di un Dio, della mia forza ho fatto leva per ribaltare l’inutilmente vegliata pietra, del mio apparire ho fatto folgore che ha atterrato le tre volte inutili guardie messe a custodia di una Morte che era Vita, che nessuna forza umana poteva impedire d’esser tale.
   Ben più potente della vostra corrente elettrica, il mio Spirito è entrato come spada di Fuoco divino a riscaldare le fredde spoglie del mio Cadavere, e al nuovo Adamo lo Spirito di Dio ha alitato la vita, dicendo a Se stesso: “Vivi. Lo voglio”.
   Io che avevo risuscitato i morti quando non ero che il Figlio dell’uomo, la Vittima designata a portare le colpe del mondo, non dovevo potere risuscitare Me stesso ora che ero il Figlio di Dio, il Primo e l’Ultimo, il Vivente eterno, Colui che ha nelle sue mani le chiavi della Vita e della Morte? Ed il mio Cadavere ha sentito la Vita tornare in Lui.
   Guarda: come uomo che si sveglia dopo il sonno dato da una enorme fatica, Io ho un profondo respiro. Né ancora apro gli occhi. Il sangue torna a circolare nelle vene poco rapido ancora, riporta il pensiero alla mente. Ma vengo da tanto lontano! Guarda: come uomo ferito che una potenza miracolosa risana, il sangue torna nelle vene vuote, empie il Cuore, scalda le membra, le ferite si rimarginano, spariscono lividi e piaghe, la forza torna. Ma ero tanto ferito! Ecco, la Forza opera. Io sono guarito. Io sono svegliato. Io sono ritornato alla Vita. Fui morto. Ora vivo! Ora sorgo!
 Scuoto i lini di morte, getto l’involucro degli unguenti. Non ho bisogno di essi per apparire Bellezza eterna, eterna Integrità. Io mi rivesto di veste che non è di questa Terra, ma tessuta da Colui che mi è Padre e che tesse la seta dei gigli verginali. Sono vestito di splendore. Mi orno delle mie Piaghe che non gemono più sangue ma sprigionano luce. Quella luce che sarà la gioia di mia Madre e dei beati e il terrore, la vista insostenibile dei maledetti e dei demoni sulla Terra e nell’ultimo giorno.

 3 L’angelo della mia vita d’uomo e l’angelo del mio dolore sono prostrati davanti a Me e adorano la mia Gloria. Ci sono tutti e due i miei angeli. L’uno per bearsi della vista del suo Custodito, che ora non ha più bisogno d’angelica difesa. L’altro, che ha visto le mie lacrime, per vedere il mio sorriso; che ha visto la mia battaglia, per vedere la mia vittoria; che ha visto il mio dolore, per vedere la mia gioia.

 4 Ed esco nell’ortaglia piena di bocci di fiori e di rugiada. E i meli aprono le corolle per fare arco fiorito sul mio capo di Re, e le erbe fanno tappeto di gemme e di corolle al mio piede che torna a calpestare la Terra redenta dopo esser stato innalzato su es­sa per redimerla. E mi saluta il primo sole, e il vento dolce d’a­prile, e la lieve nuvola che passa, rosea come guancia di bambino, e gli uccelli fra le fronde. Sono il loro Dio. Mi adorano.
   Passo fra le guardie tramortite, simbolo delle anime in colpa mortale che non sentono il passaggio di Dio.
   È Pasqua, Maria! Questo è bene il “Passaggio dell’Angelo di Dio”! Il suo Passaggio da morte a vita. Il suo Passaggio per dare Vita ai credenti nel suo Nome. È Pasqua! È la Pace che passa nel mondo. La Pace non più velata dalla condizione di uomo. Ma libera, completa nella sua tornata efficienza di Dio.

 5 E vado dalla Madre. È ben giusto che ci vada. Lo è stato per i miei angeli. Ben di più lo è per quella che, oltre che mia custode e conforto, mi è stata datrice di vita. Prima ancora di tornare al Padre nella mia veste d’Uomo glorificata, vado dalla Madre. Vado nel fulgore della mia veste paradisiaca e delle mie Gemme vive. Ella mi può toccare, Ella le può baciare, perché Ella è la Pura, la Bella, l’Amata, la Benedetta, la Santa di Dio.
   Il nuovo Adamo va all’Eva nuova. Il male è entrato nel mondo per la donna, e dalla Donna fu vinto. Il Frutto della Donna ha disintossicato gli uomini dalla bava di Lucifero. Ora, se essi vogliono, possono esser salvi. Ha salvato la donna rimasta così fragile dopo la ferita mortale.
 6 E dopo che alla Pura, alla quale per diritto di santità e di maternità è giusto vada il Figlio-Dio, mi presento alla donna redenta, alla capostipite, alla rappresentante di tutte le creature femminee che sono venuto a liberare dal morso della lussuria. Perché dica ad esse che si accostino a Me per guarire, che abbiano fede in Me, che credano nella mia Misericordia che comprende e perdona, che per vincere Satana, che fruga loro le carni, guardino la mia Carne ornata dalle cinque ferite.
   Non mi faccio toccare da lei. Ella non è la Pura che può toccare, senza contaminarlo, il Figlio che torna al Padre. Molto ha ancora da purificare con la penitenza. Ma il suo amore merita questo premio. Ella ha saputo risorgere per sua volontà dal sepolcro del suo vizio, strozzare Satana che la teneva, sfidare il mondo per amore del suo Salvatore, ha saputo spogliarsi di tutto che non fosse amore, ha saputo non essere più che amore che si consuma per il suo Dio. E Dio la chiama: “Maria”. Odila rispondere: “Rabboni!”. Vi è il suo cuore in quel grido.
   A lei, che l’ha meritato, do l’incarico di esser messaggera della Risurrezione. E ancora una volta sarà un poco schernita come avesse vaneggiato. Ma non le importa nulla, a Maria di Magdala, a Maria di Gesù, del giudizio degli uomini. Mi ha visto risorto, e ciò le dà una gioia che attutisce ogni altro sentimento.
   Vedi come amo anche chi fu colpevole, ma volle uscire dalla colpa? Neppure a Giovanni Io mi mostro per primo. Ma alla Maddalena. Giovanni aveva già avuto il grado di figlio da Me. Lo poteva avere perché era puro e poteva essere figlio non solo spirituale, ma anche dante e ricevente, alla e dalla Pura di Dio, quei bisogni e quelle cure che sono connesse alla carne.
 Maddalena, la risorta alla Grazia, ha la prima visione della Grazia Risorta.

7 Quando mi amate sino a vincere tutto per Me, Io vi prendo il capo ed il cuore malato fra le mie mani trafitte e vi alito in volto il mio Potere. E vi salvo, vi salvo, figli che amo. Voi tornate belli, sani, liberi, felici. Voi tornate i figli cari del Signore. Faccio di voi i portatori della mia Bontà fra i poveri uomini, coloro che testimoniate della mia Bontà ad essi per farli persuasi di essa e di Me.
   Abbiate, abbiate, abbiate fede in Me. Abbiate amore. Non temete. Vi faccia sicuri del Cuore del vostro Dio tutto quanto ho patito per salvarvi.

 8 E tu, piccolo Giovanni, sorridi dopo aver pianto. Il tuo Gesù non soffre più. Non ci sono più né sangue né ferite. Ma luce, luce, luce e gioia e gloria. La mia luce e la mia gioia siano in te sinché verrà l’ora del Cielo».

   Cap. DCXXI. Apparizione a Lazzaro.

   3 aprile 1945.
 
 1 Il sole di un sereno mattino d’aprile empie di brillii i boschetti di rose e gelsomini del giardino di Lazzaro. E le siepi di bosso e d’alloro, il ciuffo di un’alta palma che ondeggia lieve al limite di un viale, il foltissimo lauro presso la peschiera, sembrano lavati da una mano misteriosa, tanto la copiosa rugiada notturna ne ha deterse e irrorate le foglie, che ora paiono coperte di uno smalto nuovo tanto sono lucide e nette.
   Ma la casa tace come fosse piena di morti. Le finestre sono aperte, ma non una voce, non un rumore viene dalle stanze, in penombra perché tutte le tende sono calate.
   Nell’interno, oltre il vestibolo nel quale si aprono molte porte tutte aperte — ed è strano vedere senza nessun apparato le sale solitamente usate per i conviti più o meno numerosi — vi è un ampio cortile lastricato e circondato da un portico sparso di sedili. Su questi, e persino seduti sul suolo, su stuoie, o anche sul marmo stesso, sono numerosi discepoli. E fra essi vedo gli apostoli Matteo, Andrea, Bartolomeo, i fratelli Giacomo e Giuda d’Alfeo, Giacomo di Zebedeo e i discepoli pastori con Mannaen, oltre ad altri che non conosco. Non vedo lo Zelote, non Lazzaro, non Massimino.
   Infine questo entra con dei servi e distribuisce a tutti del pane con cibi diversi, ossia ulive o formaggio, o miele, e anche latte fresco per chi lo vuole. Ma non c’è voglia di mangiare, per quanto Massimino esorti tutti a farlo. L’accasciamento è pro­fondo. I visi si sono in pochi giorni infossati, fatti terrei sotto il rossore del pianto. Specie gli apostoli e quelli fuggiti fin dalle prime ore mostrano un aspetto avvilito, mentre i pastori con Mannaen sono meno accasciati, anzi, meno vergognosi, e Massimino è solo virilmente addolorato.

 2 Entra quasi di corsa lo Zelote e chiede: «È qui Lazzaro?».
   «No, è nella sua stanza. Che vuoi?».
   «Sul limite del sentiero, presso la fontana del Sole, è Filippo. Viene dalla piana di Gerico. È sfinito. E non vuole venire avanti, perché… come tutti, si sente peccatore. Ma Lazzaro lo persuaderà».
   Si alza Bartolomeo e dice: «Vengo anche io…».
   Vanno da Lazzaro che, chiamato, esce con un volto straziato dalla stanza semibuia, dove certo ha pianto e pregato.
   Escono tutti e traversano prima il giardino, poi il paese nella parte che si dirige già verso le pendici del monte Uliveto, e poi raggiungono il limite di questo paese dalla parte dove esso termina col terminare del pianoro su cui è costruito, per proseguire unicamente colla via montana che scende e sale a scalinate naturali per le montagne, che degradano verso la pianura a est e salgono verso la città di Gerusalemme a ovest.
 Qui è una fontana dal largo bacino, dove certo armenti e uomini si dissetano. Il luogo è in quest’ora solitario e fresco, perché molta ombra di alberi folti è intorno alla cisterna piena di un’acqua pura, che sempre si rinnova scendendo da qualche sorgiva montana e trabocca tenendo umido il suolo.

 3 Filippo è seduto sull’orlo più alto della fonte, a capo basso, spettinato, polveroso, con i sandali rotti che pendono dal piede scorticato.
 Lazzaro lo chiama, con pietà: «Filippo, vieni a me! Amiamoci per amor suo. Stiamo uniti nel suo Nome. È amarlo ancora fare questo!».
   «Oh! Lazzaro! Lazzaro! Io sono fuggito… e ieri, oltre Gerico, ho saputo che è morto!… Io… io non mi posso perdonare di essere fuggito…».
   «Tutti siamo fuggiti. Meno Giovanni che è rimasto a Lui fedele e Simone che ci ha radunati per ordine suo dopo che da vili fuggimmo. E poi… di noi apostoli, nessuno fu fedele», dice Bartolomeo.
   «E te lo puoi perdonare?».
   «No. Ma penso riparare come posso col non cadere nell’abbattimento sterile. Dobbiamo unirci fra noi. Unirci a Giovanni. Sapere le sue ultime ore. Giovanni lo ha sempre seguito», risponde a Filippo il compagno Bartolomeo.
   «E non fare morire la sua Dottrina. Bisogna predicarla al mondo. Tenere viva quella almeno, posto che, troppo pesanti e tardi, non sapemmo provvedere in tempo a salvarlo dai suoi nemici», dice lo Zelote.
   «Non potevate salvarlo. Nulla lo poteva salvare. Egli me lo ha detto. Lo ridico un’altra volta», dice sicuro Lazzaro.
   «Tu lo sapevi, Lazzaro?», chiede Filippo.
   «Lo sapevo. La mia tortura è stata di sapere, dalla sera del sabato, la sua sorte da Lui, e nei particolari, nel sapere come noi avremmo agito…».
   «No. Tu no. Tu hai solo ubbidito e sofferto. Noi abbiamo agito da vili. Tu e Simone siete i sacrificati all’ubbidienza», prorompe Bartolomeo.
   «Sì. All’ubbidienza. Oh! come è pesante fare resistenza al­l’amore per ubbidienza all’Amato!

 4 Vieni, Filippo. Nella mia casa sono quasi tutti i discepoli. Vieni tu pure».
   «Mi vergogno di apparire al mondo, ai compagni…».
   «Tutti uguali siamo!», geme Bartolomeo.
   «Sì. Ma io ho un cuore che non si perdona».
   «Ciò è orgoglio, Filippo. Vieni. Egli mi ha detto la sera del sabato: “Essi non si perdoneranno. Di’ loro che Io li perdono, perché so che non sono loro che agiscono liberamente. Ma è Satana che li travia”. Vieni».
   Filippo piange più forte, ma cede. E, curvo come fosse divenuto vecchio in pochi giorni, va a fianco di Lazzaro fino al cortile dove tutti lo attendono. E lo sguardo che egli dà ai compagni, e quello che i compagni dànno a lui, è la confessione più chiara del loro accasciamento totale.

 Lazzaro lo nota e parla:
   «Una nuova pecora del gregge di Cristo, intimorita dalla venuta dei lupi e fuggita dopo la cattura del Pastore, è stata raccolta dall’amico di Lui. A questa dispersa, che ha conosciuto l’amarezza dell’essere sola, senza neppure il conforto di piangere lo stesso errore fra i fratelli, io ripeto il suo testamento di amore.
   Egli, lo giuro alla presenza dei cori celesti, mi ha detto, con tante altre cose che la vostra umana debolezza presente non può sopportare perché, veramente, sono di una desolazione che mi lacerano da dieci giorni il cuore — e se non sapessi che la mia vita serve al mio Signore, benché così povera e manchevole come è, mi abbandonerei alla ferita di questo dolore di amico e di discepolo che tutto ha perduto, Lui perdendo — mi ha detto: “I miasmi di Gerusalemme corrotta renderanno folli anche i miei discepoli. Essi fuggiranno e verranno da te”. Infatti, vedete che tutti siete venuti. Tutti, potrei dire. Perché, meno Simon Pietro e l’Iscariota, tutti siete venuti verso la mia casa e il mio cuore di amico. Ha detto: “Tu le radunerai. Le rincuorerai le mie pecore disperse. Dirai loro che Io le perdono. Ti affido il mio perdono per loro. Non si daranno pace di essere fuggiti. Di’ loro di non cadere nel più grande peccato del disperare del mio perdono”.
   Così ha detto. E io, perdono per Lui vi ho dato. E ne ho avuto rossore di darvi in suo Nome questa cosa così santa, così sua, che è il Perdono, ossia l’Amore perfetto, perché perfettamente ama chi al colpevole perdona. Questo ministero ha confortato la mia aspra ubbidienza… Perché là avrei voluto essere, come Maria e Marta, le mie dolci sorelle. E se Lui fu crocifisso sul Golgota dagli uomini, io qui, ve lo giuro, sono crocifisso dall’ubbidienza, ed è ben straziante martirio. Ma se serve a dargli conforto allo Spirito, se ciò serve a salvargli i suoi discepoli sino al momento in cui Egli li radunerà per perfezionarli nella fede, ecco, io immolo una volta ancora il mio desiderio di andare almeno a venerarne la salma prima che il terzo giorno muoia.

 6 Lo so che dubitate. Non dovete. Io non so le sue parole del banchetto pasquale altro che per quello che voi mi avete detto. Ma più le penso, più alzo uno per uno questi diamanti delle sue verità, e più sento che essi hanno un sicuro riferimento al domani immediato. Egli non può avere detto: “Vado al Padre e poi tornerò” se non avesse veramente a tornare. Non può avere detto: “Quando mi rivedrete sarete pieni di gaudio” se fosse scomparso per sempre. Egli lo ha sempre detto: “Io risusciterò”. Voi mi avete detto che disse: “Sui semi gettati in voi sta per cadere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il Paraclito che li farà divenire alberi potenti”. Non disse così? Oh! non fate che ciò avvenga solo per l’ultimo dei suoi discepoli, per il povero Lazzaro che non fu con Lui che raramente! Quando Egli tornerà, fate che trovi germogliati i suoi semi sotto la rugiada del suo Sangue.
   In me è tutta una accensione di luce, è tutto un erompere di forze dall’ora tremenda in cui Egli salì sulla Croce. Tutto si illumina, tutto nasce e mette stelo. Non c’è parola che mi resti nel suo povero significato umano. Ma tutto ciò che da Lui o di Lui udii, ecco che ora prende vita, e realmente la mia landa brulla si muta in fertile aiuola dove ogni fiore ha il suo Nome e dove ogni succo trae vita dal suo Cuore benedetto.
   Io credo, Cristo! Ma perché questi credano in Te, in ogni tua promessa, nel tuo perdono, in tutto quanto è Te, ecco, ti offro la mia vita. Consumala, ma fa’ che la tua Dottrina non muoia! Frantuma il povero Lazzaro. Ma riunisci le membra disperse del nucleo apostolico. Tutto ciò che Tu vuoi, ma in cambio sia viva ed eterna la tua Parola, e ad essa ora e sempre vengano coloro che solo per Te possono avere la vita eterna».

 7 Lazzaro è realmente ispirato. L’amore lo trasporta ben in alto. Ed è tanto forte il suo trasporto che solleva anche i compagni. Chi lo chiama a destra e chi a sinistra, quasi fosse un confessore, un medico, un padre. Il cortile della ricca casa di Lazzaro, non so perché, mi fa pensare alle dimore dei patrizi cristiani in tempi di persecuzione e di eroica fede…
   È curvo su Giuda d’Alfeo, che non riesce a trovare una ragione per calmare il suo affanno di avere lasciato il Maestro e cugino, quandoqualcosa lo fa rialzare di scatto. Si volge intorno e poi dice netto: «Vengo, Signore». La sua parola di pronta adesione di sempre. Ed esce, correndo come dietro a qualcuno che lo chiami e preceda.
   Tutti si guardano stupiti. Si interrogano.
   «Che ha visto?».
   «Ma non c’è nulla!».
   «Hai udito una voce tu?».
   «Io no».
   «E io neppure».
   «E allora? Lazzaro è forse malato di nuovo?».
   «Forse… Ha sofferto più di noi, e ha tanto dato di forza a noi, vili! Forse ora lo ha preso il delirio».
   «Infatti è molto sciupato nel volto».
   «E il suo occhio nel parlare ardeva».
   «Sarà Gesù che lo ha chiamato al Cielo».
   «Infatti Lazzaro gli ha offerto la vita poco fa… Come un fiore lo ha subito colto… Oh! noi miseri! E che faremo ora?».
   I commenti sono disparati e dolorosi.

 8 Lazzaro traversa il vestibolo, esce nel giardino, sempre correndo, sorridendo, mormorando, e c’è la sua anima nella sua voce: «Vengo, Signore». Giunge ad un folto di bossi che fanno un recesso verde, noi diremmo un chiosco verde, e cade a ginocchi, col volto al suolo gridando: «Oh! mio Signore!».
   Perché Gesù, nella sua bellezza di Risorto, è sul limitare di questo verde recesso e gli sorride… e gli dice: «Tutto è compiuto, Lazzaro. Sono venuto a dirti grazie, amico fedele. Sono venuto a dirti di dire ai fratelli di venire subito alla casa della Cena. Tu — un altro sacrificio, amico, per amor mio — tu resta, per ora, qui… So che ne soffri. Ma so che sei generoso. Maria, tua sorella, è già consolata, perché l’ho vista e mi ha visto».
   «Non soffri più, Signore. E questo mi ripaga di ogni sacrificio. Ho… sofferto a saperti nel dolore… e a non esserci…».
   «Oh! c’eri! Il tuo spirito era ai piedi della mia croce ed era nel buio del mio sepolcro. Tu mi hai evocato più presto, come tutti quelli che mi hanno totalmente amato, dal profondo dove ero. Ora Io ti ho detto: “Vieni, Lazzaro”. Come nel giorno della tua risurrezione. Ma tu da molte ore mi dicevi: “Vieni”. Sono venuto. E ti ho chiamato. Per trarti, a mia volta, dal profondo del tuo dolore. Va’. Pace e benedizione a te, Lazzaro! Cresci nel­l’amore di Me. Tornerò ancora».

 9 Lazzaro è sempre rimasto in ginocchio senza osare un gesto. La maestà del Signore, per quanto temperata d’amore, è tale che paralizza il solito modo di fare di Lazzaro.
   Ma Gesù, prima di scomparire in un gorgo di luce che lo assorbe, fa un passo e sfiora con la sua Mano la fronte fedele.
   È allora che Lazzaro si desta dal suo stupore beato e si alza e, correndo precipitosamente dai compagni, con una luminosità di gioia negli occhi e una luminosità sulla fronte sfiorata dal Cristo, grida: «È risorto, fratelli! Mi ha chiamato. Sono andato. L’ho visto. Mi ha parlato. Mi ha detto di dirvi di andare subito alla casa della Cena. Andate! Andate! Io resto perché Egli lo vuole. Ma il mio giubilo è completo…». E Lazzaro piange nella sua gioia, mentre spinge gli apostoli ad andare per primi dove Egli comanda. «Andate! Andate! Vi vuole! Vi ama! Non temete di Lui… Oh! è più che mai il Signore, la Bontà, l’Amore!».
   Anche i discepoli si alzano… Betania si svuota. Resta Lazzaro col suo grande cuore consolato…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

Risorgiamo sull’esempio di Maria di Magdala

Articolo ispirato dagli scritti di Maria Valtorta.

Maria di Magdala colpisce per la sua enorme forza di volontà, lei, che era vissuta nella lussuria per anni, dopo aver incontrato Gesù di Nazareth, sferza i suoi vizi a colpi di amore nei confronti del suo nuovo amato, Gesù. Maria di Magdala era morta, chiusa nel sepolcro del suo vizio, ma nell’incontro con Gesù avviene la sua risurrezione.

Maria risorge perché ha voluto accogliere nel suo cuore Gesù. Se vogliamo vincere i vizi, occorre fare come Maria, avvicinarci a Gesù, ascoltare le Sue Parole di Vita, dargli importanza ogni giorno, prestando attenzione a non offenderLo. Regaliamo gioie a Colui che ci ha donato la vita, facciamolo accettando la Sua Divina Volontà per noi. Niente avviene per caso. Maria di Magdala è risorta alla Grazia ed è lei ad avere la prima visione della Grazia risorta. Risorgiamo dai nostri peccati sull’esempio di Maria.

Andiamo da Gesù – Educhiamo i bambini

Cari bambini, oggi è la Festa della Santa Pasqua! Festeggiamo la Risurrezione di Gesù, cioè la sua rinascita dopo la morte. Ma come sappiamo che Gesù dopo la morte è risorto? Ora ve lo racconto. Di buon mattino, verso l’alba, una donna di nome Maria di Magdala si recò al sepolcro, dove era stato messo il corpo di Gesù.

Lei andò lì senza paura, piena piena di Fede, credendo di trovare Gesù. Purtroppo il sepolcro era vuoto. Così chiamò altre persone, tra cui alcuni discepoli. Quando arrivarono alla tomba non vedendo il corpo di Gesù, ritornarono a casa, quando lei restò lì da sola improvvisamente arrivò una luce che illuminò il sepolcro. Chi era questa luce, dolci bambini? Ma certo… Era Gesù! Tutti noi, cari pargoletti, dovremmo comportarci come questa donna. Lei infatti è andata a cercare Gesù con tanta Fiducia. Bambini cosa significa secondo voi andare da Gesù? Vuol dire avvicinarsi a Lui, volergli bene, credergli, senza alcuna paura. Gesù è apparso alla Donna e ai discepoli come Luce , e quindi Lui come la Luce vuole illuminare la nostra Vita con il Suo Amore, che ci ha dimostrato morendo sulla Croce. Gesù è il Senso della Nostra Vita!

Vangelo Gv 12, 1-11: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».

Dal Vangelo secondo Giovanni

Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Làzzaro, che egli aveva risuscitato dai morti. E qui fecero per lui una cena: Marta serviva e Làzzaro era uno dei commensali.
Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell’aroma di quel profumo.
Allora Giuda Iscariòta, uno dei suoi discepoli, che stava per tradirlo, disse: «Perché non si è venduto questo profumo per trecento denari e non si sono dati ai poveri?». Disse questo non perché gli importasse dei poveri, ma perché era un ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.
Gesù allora disse: «Lasciala fare, perché ella lo conservi per il giorno della mia sepoltura. I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me».
Intanto una grande folla di Giudei venne a sapere che egli si trovava là e accorse, non solo per Gesù, ma anche per vedere Làzzaro che egli aveva risuscitato dai morti. I capi dei sacerdoti allora decisero di uccidere anche Làzzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DLXXXI. A Betania nella casa di Lazzaro.

   18 marzo 1947.

 1 Devono avere sostato a metà della via fra Gerico e Betania perché, quando arrivano alle prime case di Betania, l’ultima rugiada evapora sulle foglie e gli steli dei prati, e il sole sale ancora la volta del cielo. 
   Gli agricoltori della zona gettano i loro arnesi e accorrono intorno a Gesù, che passa benedicendo uomini e piante, come gli agricoltori chiedono con insistenza. E delle donne e dei fanciulli accorrono con le prime mandorle, ancor avvolte nella lieve felpa verde-argento del mallo, e con gli ultimi fiori delle piante da frutto più tardive al fiorire. Osservo però che qui, nella zona di Gerusalemme, forse per l’altitudine, forse per i venti che vengono dalle cime più alte della Giudea, o non so per quale altra ragione, forse anche per diversità di piante, molti sono gli alberi da frutto che ancor fioriscono in gradazioni bianco rosate, sospese come nuvole leggere sul verde dei prati. Palpitano sotto agli alti tronchi le foglie tenere delle viti, come grandi farfalle di un prezioso smeraldo, tenute legate da un filo ai ruvidi tralci. 

 2 Mentre Gesù sosta alla fonte, che è dove la campagna si tramuta già in cittadina, e riceve là gli omaggi di quasi tutta Betania, accorrono Lazzaro con le sorelle e si prostrano davanti al loro Signore. Benché sia poco più di due giorni che Maria ha lasciato il suo Maestro, sembra siano secoli che non lo vede, tanto non si stanca di baciargli i piedi polverosi nei sandali. 
   «Vieni, Signor mio. La casa ti attende per aver gioia dalla tua presenza», dice Lazzaro mettendosi a lato di Gesù mentre procedono lentamente, per quanto lo consentono la gente che si affolla intorno ed i bambini che si attaccano alle vesti di Gesù e gli camminano davanti, rivolti verso di Lui a capo alzato, di modo che incespicano e fanno incespicare, tanto che Gesù per il primo, e poi Lazzaro e gli apostoli, prendono in braccio i più piccini per poter andare più svelti. 
   Al luogo dove una stradella conduce alla casa di Simone Zelote, sono Maria con la cognata, Salome e Susanna. Gesù si ferma per salutare la Madre e poi prosegue sino al grande cancello spalancato, dove sono Massimino, Sara, Marcella e, dietro loro, tutti i numerosi servi della casa, cominciando da quelli di casa per finire ai servi contadini. Tutti in ordine, tutti lieti, irrequieti nella loro gioia, che prorompe in un osanna e in un agitare di copricapi e veli e in un gettar di fiori e fronde di mirto e d’alloro e di rose e gelsomini, che splendono al sole con le loro pompose corolle o si spargono come candide stelle sul bruno del terreno. Un odor di fiori sfogliati e di foglie aromatiche calpestate si alza dal suolo che il sole scalda. Gesù passa su quel tappeto di fragranze. 
   Maria di Magdala, che lo segue guardando il suolo, si china, passo per passo, e sembra una spigolatrice che segua colui che lega i covoni, a raccogliere fronde e corolle e anche petali sfogliati, che sono stati premuti dal piede di Gesù. 
Massimino, per poter chiudere il cancello e dare pace agli ospiti, ordina che siano dati ai bambini dei dolci già preparati. Pratico modo di distrarre i fanciulli dal Signore e di poterli mandare via senza suscitare dei cori di pianti. E i servi eseguiscono portando fuori, nella via, cesti colmi di piccole focacce, sulle quali riposa una mandorla bianco-bruna. 

 3 E mentre i piccoli si affollano là, altri servi respingono gli adulti, fra i quali è ancora Zaccheo e i quattro dell’episodio di Gerico, ossia Gioele, Giuda, Eliel e Elcana, con altri che non so chi siano, perché, anche a protezione della polvere, che un vento piuttosto vibrato solleva dalla via, e del sole già forte, stanno tutti velati. 
   Ma Gesù, già molto avanti, si volge e dice: «Attendete! Devo dire qualcosa a qualcuno». E si dirige ai fratelli di Giovanna e li prende in disparte dicendo: «Vi prego di andare da Giovanna e di dirle che venga a Me con quante donne sono con lei e con Annalia, la discepola di Ofel. Venga. Domani. Perché al tramonto di domani inizia il sabato ed Io voglio farlo con gli amici di Betania. In pace». 
   «Lo diremo, Signore. E Giovanna verrà». 
   Gesù li congeda e passa a Gioele: «Dirai a Giuseppe e Nicodemo che sono venuto e che il dì dopo il sabato entrerò in città». 
   «Oh! Bada, Signore!», dice con affanno lo scriba che è buono. 
   «Va’. E sii forte. Non deve tremare uno che segue la giustizia e crede nella mia verità. Ma gioire deve, perché è venuto il compimento della Promessa antica». 
   «Ah! io fuggirò da Gerusalemme, Signore. Io sono un uomo di debole costituzione, lo vedi, e lo sai, e di questo sono schernito. Non potrei veder dei… delle…». 
   «Il tuo angelo ti guiderà. Va’ in pace». 
   «Ti… Ti vedrò ancora, Signore?». 
   «Certo che mi vedrai ancora. Ma, sinché non mi rivedrai, pensa che il tuo amore mi ha dato tanta gioia nelle ore del dolore». 
   Gioele gli prende la mano, che Gesù gli aveva posato sulla spalla, e se la preme sulle labbra; attraverso il velo sottile del copricapo baci e lacrime scendono sulla mano di Gesù. 
Poi si allontana, e Gesù va da Zaccheo: «Dove sono i tuoi?». 
   «Sono rimasti alla fonte, Signore. Io ho detto a loro di rimanere là». 
   «Raggiungili e vai con essi a Betfage, dove sono i miei discepoli più antichi e fedeli. Di’ a Isacco, loro capo, che si spargano per la città ad avvisare tutti i gruppi dei discepoli che la mattina dopo il sabato, verso l’ora di terza, Io, passando da Betfage, entrerò in Gerusalemme salendo solennemente al Tempio. Dirai a Isacco che è avviso per i soli discepoli. Egli comprenderà ciò che voglio dire». 
   «Lo comprendo io pure, Maestro. Tu vuoi sorprendere i giudei perché non possano fare ostacolo alla tua entrata». 
   «Così. Eseguisci. Ricorda che è incarico di fiducia quello che ti do. Mi servo di te e non di Lazzaro». 
   «E questo mi dice come la tua bontà per me è senza misura. Io ti ringrazio, Signore». Bacia la mano al Maestro e se ne va. 

 4 Gesù fa per ritornare presso i suoi ospiti. Ma dal cancello dove gli ultimi stanno uscendo, sospinti fuori dai servi, un giovane si stacca e corre a gettarsi ai piedi di Gesù gridando: «Una benedizione, Maestro! Mi riconosci?», dice alzando il volto libero da ogni velo. 
   «Sì. Sei Giuseppe detto Barnaba, il discepolo di Gamaliele che mi venne incontro presso Giocala». 
   «E che ti vengo dietro da molti giorni. Ero a Silo, venendo da Giscala, dove ero andato col rabbi in questi tempi che Tu eri assente e dove ero rimasto studiando i rotoli sino alla luna di nisam. Ero a Silo quando Tu parlasti e ti sono venuto dietro a Lebona e a Sichem, e ti ho atteso a Gerico perché avevo saputo che Tu…». Si arresta all’improvviso, come accorgendosi di dire ciò che doveva tacere. 
   Gesù ha un sorriso mite e dice: «La verità sgorga impetuosa dalle labbra veritiere e molte volte supera le dighe che la prudenza mette davanti alle bocche. Ma Io finirò il tuo pensiero… “perche avevi saputo da Giuda di Keriot, rimasto a Sichem, che Io andavo a Gerico per riunirmi ai discepoli e dar loro i miei ordini”. E tu sei andato là ad attendermi senza preoccuparti di essere visto, di perdere tempo e di mancare al fianco del tuo maestro Gamaliele». 
   «Egli non mi rimprovererà quando saprà che ho tardato per seguirti. Gli porterò in dono le tue parole…». 
   «Oh! Rabbi Gamaliele non ha bisogno di parole. È il rabbi sapiente di Israele!». 
   «Sì. Nessun altro rabbi può insegnargli nulla di ciò che è antico, nulla, perché tutto egli sa dell’antico. Ma Tu sì. Perché Tu hai parole nuove, piene della fresca vita di ciò che è nuovo. È come una linfa di primavera la tua parola. È rabbi Gamaliele che dice questo, aggiungendo che le sapienze ormai coperte dalla polvere dei secoli, e perciò disseccate e opache, tornano vive e luminose quando la tua parola le spiega. Oh! io gli porterò le tue parole!». 
   «E il mio saluto. Digli che apra il suo cuore, il suo intelletto, la sua vista, il suo udito; e la sua più che due volte decenne domanda avrà risposta. Va’. Dio sia con te». 
   Il giovane si curva di nuovo a baciare i piedi al Maestro e se ne va. 

 5 I servi possono chiudere definitivamente il cancello, e Gesù può riunirsi ai suoi amici. 
   «Mi sono permesso di invitare qui, per domani, le discepole», dice Gesù mettendosi al fianco di Lazzaro sulle cui spalle posa il braccio. 
   «Hai fatto bene, Signore. La mia casa è la tua, lo sai. Tua Madre ha preferito abitare nella casa di Simone. Ed io ho rispettato il suo desiderio. Ma spero che Tu starai sotto il mio tetto». 
   «Sì. Per quanto… è tuo tetto anche l’altra casa. Una delle prime tue generosità per Me e per i miei amici. Quante me ne hai usate, amico mio!». 
   «E spero potertene ancora usare per molto tempo. Per quanto questa parola sia errata, Maestro sapiente. Io non uso generosità a Te. Io le ricevo da Te. Sono io il debitore. E se davanti ai tesori che Tu mi hai dato io depongo un picciolo per Te, che è mai il mio misero dono rispetto ai tuoi tesori? “Date e vi sarà dato”, Tu hai detto. “Misura scossa e premuta vi sarà versata in seno, e voi avrete il centuplo di quanto avete dato”, Tu dici. Io ho avuto il centuplo del centuplo sin da quando ancor nulla ti avevo dato. Oh! ricordo il nostro primo incontro! Tu, Signore e Dio che sono indegni di accostare i serafini, sei venuto a me, solo e afflitto… chiuso qui, nelle mie tristezze, all’uomo che era Lazzaro, sfuggito da tutti, se eccettuo Giuseppe e Nicodemo e il mio fedele amico Simone, che dalla sua tomba di vivo non cessava di amarmi… Non hai voluto che io avessi turbata la gioia di vederti dagli spruzzi corrosivi dello sprezzo del mondo… Il nostro primo incontro! Potrei dirti tutte le tue parole di allora… Che ti avevo dato, allora, se mai ti avevo visto, per avere da Te, subito, il cento di cento?». 
   «Le tue orazioni all’Altissimo nostro Padre. Nostro, Lazzaro. Mio. Tuo. Mio come Verbo e come Uomo. Tuo come uomo. Quando tu pregavi con tanta fede, non mi davi già tutto te stesso? Tu dunque vedi che Io ti ho dato il centuplo, come è giusto, di ciò che tu mi davi». 
   «La tua bontà è infinita, Maestro e Signore. Tu dài premio in anticipo, e con divina generosità, a coloro che il tuo pensiero conosce per tuoi servi prima ancora che essi sappiano di esser tali». 
   «I miei amici, non servi. Perché in verità coloro che fanno la volontà del Padre mio e seguono la Verità che Egli ha mandato sono miei amici, non già miei servi. Più ancora, sono fratelli miei, essendo che Io faccio per primo la volontà del Padre. Chi dunque fa ciò che Io faccio è mio amico, perché solo l’amico fa spontaneamente ciò che fa il suo amico». 
   «Così sia sempre fra Te e me, Signore.

 6 Quando vai in città?». 
   «La mattina dopo il sabato». 
   «Io pure verrò». 
   «No. Tu non verrai con Me. Ti dirò. Ho altre cose da chiederti…». 
   «Ai tuoi ordini, Maestro. Anche io ho da parlarti…». 
   «Parleremo». 
   «Preferisci che il sabato lo si faccia fra noi, o posso invitare i comuni amici?». 
   «Ti pregherei di no. Ho vivo desiderio di passare queste ore nell’amicizia prudente e pacifica di voi soli. Senza costrizioni di pensiero o di forme. Nella dolce libertà di chi è fra amici tanto cari da sentirsi fra essi come fosse nella sua casa». 
   «Come vuoi, Signore. Anzi… Io desideravo questo. Ma mi pareva egoismo verso i miei amici. Tutti inferiori in amicizia a Te, Amico solo, ma sempre cari. Ma se così Tu vuoi… Forse sei stanco, Signore. O pensieroso…». Lazzaro interroga più con lo sguardo che con le parole il suo Amico e Maestro, che non gli risponde altro che con la luce dei suoi occhi un poco mesti, un poco assorti, e col parco sorriso della bocca.
   Sono rimasti soli presso la vasca che canta col suo zampillo… Gli altri, tutti, sono entrati in casa e si sentono voci e rumor di stoviglie… 
   Maria di Magdala due o tre volte sporge la sua testa bionda fuor dalla porta velata da una tenda pesante, che ondeggia lievemente al vento che cresce mentre il cielo si copre di nubi scapigliate, sempre più cupe. 

 7 Lazzaro alza il capo a scrutare il cielo. «Forse avremo temporale», dice. E aggiunge: «Servirà ad aprire le gemme ribelli che stentano molto quest’anno… Forse sono stati i rigori tardivi che hanno ritardato i germogli. Anche i miei mandorli hanno sofferto, e molto frutto si è perso. Mi diceva Giuseppe che un suo orto fuor della Giudiziaria sembra affatto sterile quest’anno. Gli alberi vi trattengono le gemme, come per un sortilegio gettato su esse. Tanto che è incerto se lasciarle o venderle come legna. Nulla. Non un fiore. Come erano a tebet, così ora. Capolini di gemme duri, serrati, che non gonfiano mai. Vero è che il vento di settentrione picchia forte in quel luogo, e molto se ne ebbe nell’inverno. Anche il mio orto oltre il Cedron fu danneggiato nei suoi frutti. Ma è così strano il fenomeno dell’orto di Giuseppe che molti vanno a vedere quel luogo che non vuole ridestarsi a primavera». 
   Gesù sorride… «Sorridi? Perché?». 
   «Per la puerilità di quegli eterni bambini che sono gli uomini. Tutto ciò che ha apparenza di strano li affascina… Ma il frutteto fiorirà. Al giusto tempo». 
   «È già passato il giusto tempo, Signore. Quando mai a luna di nisam più e più alberi, raccolti in un luogo, non mostrano di aver fiorito? Quando deve attendere a farlo quel luogo perché sia giusto il momento?». 
   «Quando sarà da dare gloria a Dio col loro fiorire». 
   «Ah! ho capito! Tu andrai là, a benedire quel luogo, per amor di Giuseppe, ed esso fiorirà dando nuova gloria a Dio e al suo Messia con un nuovo miracolo! È così! Tu vai là. Se vedo Giuseppe glielo posso dire?». 
   «Se credi doverlo dire… Sì. Io andrò là…». 
   «In che giorno, Signore? Vorrei esserci io pure». 
   «Anche tu sei un eterno bambino?». Gesù sorride più vivamente, crollando il capo con bonomia davanti alla curiosità dell’amico che esclama: «Oh! sono lieto di averti rallegrato, Signore. Rivedo il tuo viso luminoso di un sorriso che da tempo non vedevo più! Allora… vengo?». 
   «No, Lazzaro. Per Parasceve tu mi sarai necessario qui». 
   «Oh! ma per Parasceve solo della Pasqua ci si occupa! Tu… Maestro, perché vuoi far cosa che ti sarà rimproverata? Va’ in altro giorno là dentro…». 
   «Sarò costretto ad andare proprio in Parasceve là dentro. Ma non sarò solo Io a fare cose che non sono preparazione alla Pasqua antica. Anche i più rigorosi d’Israele, un Elchia, un Doras, Simone, Sadoc, Ismaele e perfino Caifa ed Anna faranno cose del tutto nuove…». 
   «Impazza dunque Israele?!». 
   «Lo hai detto». 
   «Ma Tu… Oh! ecco che piove. Entriamo in casa, Maestro… Io… sono pensieroso… Non mi spiegherai…». 
   «Sì. Prima di lasciarti ti dirò…

 8 Ecco tua sorella che teme l’acqua per noi e accorre con un panno pesante… Oh! Marta! Sempre previdente e attiva tu. Ma non è molta la pioggia». 
   «La mia sorella cara! Anzi, le mie sorelle. Ora sono tutte e due come due tenere fanciulle ignare di ogni malizia, Maria come questa. E quando venne Maria da Gerico, ieri l’altro, proprio una fanciulla pareva, con le trecce giù per la persona, avendo venduto le sue forcine per i sandali di un fanciullo ed essendo insufficienti le sottili forcine di ferro a sorreggere la sua capigliatura. Rise, dicendomi nello scendere dal carro: “Fratello mio, ho conosciuto cosa è dover vendere per comperare e come sono difficili al povero anche le cose più semplici, come tenere a posto i capelli con forcine di venti a una didramma. Me lo ricorderò per essere ancor più misericordiosa ai miseri in avvenire”. Come l’hai cambiata, Signore!». 
   Quella di cui stanno parlando, mentre mettono piede nella casa, è già lì pronta con anfore e catini per servire il suo Signore. Non cede a nessuno l’onore di servirlo, e non è paga sinché non ha dato tutti i ristori alle membra e alle viscere del suo Maestro, e lo vede andare con sandali freschi verso la stanza che gli è destinata e dove lo attende sua Madre con una fresca veste di lino, ancor fragrante di sole… 

   Cap. DXCII. Lunedì santo. Conforto alla madre di Annalia e incontro con il milite Vitale. Il fico sterile e la parabola dei vignaioli perfidi. Le domande sull’autorità di Gesù e sul battesimo di Giovanni.

   31 marzo 1947.

 1 Gesù esce presto dalla tenda di un galileo, là sul pianoro dell’Uliveto, dove molti galilei si radunano in occasione delle solennità. Il campo dorme tutto, sotto il chiarore di una luna che tramonta lentamente fasciando di candore argenteo tende, alberi e pendici, e la città dormente là in basso…
   Gesù passa sicuro e senza rumore fra tenda e tenda e, uscito dal campo, scende velocemente per ripidi sentieri verso il Getsemani, lo traversa, ne esce, supera il ponticello sul Cedron, nastro d’argento arpeggiante alla luna, giunge alla porta sorvegliata dai legionari. Forse una misura precauzionale del Proconsole è questa scolta notturna alle porte chiuse. I militi, quattro, parlano seduti su delle grosse pietre, messe a far da sedili contro il muro potente, e si scaldano ad un fuocherello di sterpi che getta una luce rossastra sulle loriche lucenti e sugli elmi severi, da sotto i quali emergono i visi così diversi, nella loro fisionomia italica, da quelli degli ebrei.
   «Chi va là!», dice il primo, che vede apparire l’alta figura di Gesù da dietro l’angolo di una casupola vicina alla porta, e imbraccia l’asta, terminante in lancia puntuta, che teneva appoggiata al muro lì presso, mettendosi in posizione regolamentare, imitato dagli altri. E senza dar tempo a Gesù di rispondere, dice: «Non si entra. Non sai che la seconda vigilia è già al termine?».
   «Sono Gesù di Nazaret. Ho la Madre in città. Vado a Lei».
   «Oh! l’uomo che ha risuscitato il morto di Betania! Per Giove! Lo vedrò finalmente!». E gli va vicino guardandolo curioso, girandogli intorno come per sincerarsi che non è qualcosa di irreale, di strano, ma proprio un uomo come tutti. E lo dice: «Oh! Numi! È bello come Apollo, ma fatto in tutto come noi! E non ha né bastone, né berretta, né alcun segno del suo potere! ». È perplesso.
   Gesù lo guarda pazientemente, sorridendogli con dolcezza.
   Gli altri, che sono meno curiosi – forse hanno visto già Gesù altre volte – dicono: «Sarebbe stata buona cosa che fosse stato qui a metà della prima vigilia, quando fu portata al sepolcro la bella fanciulla morta al mattino. Avremmo visto risorgere. ..».
   Gesù dolcemente ripete: «Posso andar da mia Madre?».
   I quattro militi si riscuotono. Il più anziano parla: «Veramente l’ordine sarebbe di non lasciar passare. Ma Tu passeresti ugualmente. Colui che forza le porte dell’Ade può ben forzare le porte di una città chiusa. Né Tu sei uomo da suscitare sommosse. Cade dunque il divieto per Te. Fa’ di non essere scorto dalle ronde interne. Apri, Marco Grato. E Tu passa senza rumore. Siamo soldati e dobbiamo ubbidire…».
   «Non temere. La vostra bontà non vi si muterà in castigo».
   Un legionario apre cautamente lo sportello aperto nel portone colossale e dice: «Passa presto. Fra poco scade la vigilia e noi siamo cambiati dai sopravvenienti».
   «La pace a voi».
   «Siamo uomini di guerra…».
   «Anche nella guerra la pace che Io do permane, perché è pace dell’anima».
   E Gesù si ingolfa nel buio dell’arco aperto nello spessore delle mura. Passa silenzioso davanti al corpo di guardia che dall’uscio aperto lascia uscire la luce tremolante di un lume ad olio, una comune lucerna, sospeso ad un gancio del basso soffitto, che permette di vedere dei corpi di militi dormenti su stuoie gettate al suolo, tutti avvolti nei loro mantelli, le armi al fianco.

 2 Gesù è in città ormai… e lo perdo di vista, mentre osservo rientrare due dei soldati di prima, che osservano se Egli si è allontanato, prima di entrare a svegliare i dormenti per avere il cambio.
   «Non lo si vede già più… Che avrà voluto dire con quelle parole? Avrei voluto saperlo», dice il più giovane.
   «Dovevi chiederglielo. Non ci disprezza. L’unico ebreo che non ci disprezzi e che non ci strozzi in alcun modo», gli risponde l’altro, già nel pieno della virilità.
   «Non ho osato. Io, contadino beneventano, parlare a uno che dicono dio?».
   «Un dio su un asino? Ah! Ah! Fosse ebbro come Bacco, potrebbe. Ma ebbro non è. Credo non beva neppure il mulsium. Non vedi come è pallido e magro?».
   «Eppure gli ebrei…».
   «Loro sì che bevono, benché mostrino di non farlo! Ed ebbri dei forti vini di queste terre e della loro sicera, hanno visto il dio in un uomo. Credi a me. Gli dèi sono fole. L’Olimpo è vuoto e la Terra ne è priva».
   «Se ti sentissero!…».
   «Sei ancora tanto fanciullo da non esser candidato e non sapere che lo stesso Cesare non crede agli dèi, né vi credono i pontefici, gli àuguri, gli arùspici, gli arvali, le vestali né alcuno?».
   «E allora perché…».
   «Perché i riti? Perché piacciono al popolo e sono utili ai sacerdoti e servono a Cesare per farsi ubbidire come fosse un dio terreno tenuto per mano dagli dèi olimpici. Ma i primi a non credere sono quelli che noi veneriamo come ministri degli dèi. Io sono pirroniano. Ho girato l’Orbe. Ho fatto molte esperienze. I miei capelli biancheggiano alle tempie e si è maturato il mio pensiero. Ho per codice personale tre sentenze. Amare Roma, unica dèa e unica certezza, sino al sacrificio della vita. Nulla credere, poiché tutto è illusione di ciò che ci circonda, eccettuata la Patria sacra e immortale. Anche di noi stessi dobbiamo dubitare, perché incerto è anche se noi viviamo. Il senso e la ragione non bastano a dare certezza di giungere a conoscere il Vero, e il vivere e il morire hanno lo stesso valore, perché non sappiamo cosa è vivere e non sappiamo cosa è morire», dice affettando uno scetticismo filosofico di creatura superiore…
   L’altro lo guarda incerto. Poi dice: «Io invece credo. E mi piacerebbe sapere… Sapere da quell’uomo che è passato poco fa. Egli certo sa il Vero. Una cosa strana esce da Lui. È come una luce che entra dentro!».
   «Esculapio ti salvi! Tu sei malato! Da poco sei salito alla città dalla valle, e le febbri sorgono facilmente in chi compie questo viaggio né ancor è acclimatato a questa regione. Tu deliri. Vieni. Non c’è che vin caldo ed
aromi per fare uscire in sudore il veleno della febbre giordanica…», e lo spinge verso il corpo di guardia.
   Ma l’altro si libera dicendo: «Non sono malato. Non voglio vin caldo drogato. Voglio vegliare là, fuori le mura (accenna il lato interno del bastione) e attendere l’uomo che si è detto Gesù».
   «Se l’attendere non ti rincresce… Io vado a svegliare questi per il cambio. Addio…».
   Ed entra rumorosamente nel corpo di guardia, svegliando i compagni e gridando: «Già è scoccata l’ora. Su, fannulloni svogliati! Stanco sono!…». Sbadiglia rumorosamente e impreca perché hanno lasciato spegnere il fuoco e hanno bevuto tutto il vin caldo, «così necessario ad asciugare la guazza palestinese…».
   L’altro, il giovane legionario, addossato alla muraglia che la luna sfiora da ponente, attende che Gesù torni sui suoi passi. Le stelle vegliano la sua speranza…

 3 Gesù intanto è arrivato alla casa di Lazzaro, sul colle di Sion, e bussa.
   Levi gli apre. «Tu, Maestro?! Le padrone dormono. Perché non hai mandato un servo, se ti occorreva qualche cosa?».
   «Non lo avrebbero lasciato passare».
   «Ah! è vero! Ma Tu come sei passato?».
   «Sono Gesù di Nazaret. E i legionari mi hanno lasciato passare. Ma non va detto, Levi».
   «Non lo dirò… Meglio loro di molti di noi!».
   «Conducimi dove dorme mia Madre e non destare nessun altro della casa».
   «Come vuoi, Signore. L’ordine di Lazzaro a tutti i suoi ministri di casa è di ubbidirti in tutto senza discussione e indugio. Era da poco l’aurora quando lo portò un servo, molti servi, a tutte le case. Ubbidire e tacere. Lo faremo. Ci hai reso il padrone…».
   L’uomo trotterella avanti per i corridoi, vasti come gallerie, dello splendido palazzo di Lazzaro sul colle di Sion, e il lume che porta fra le mani illumina fantasticamente le suppellettili e le tappezzerie che ornano questi larghi corridoi. L’uomo si ferma davanti ad una porta chiusa: «Lì è tua Madre».
   «Va’ pure».
   «E il lume? Non lo vuoi? Io posso tornare al buio. Sono pratico della casa. Ci sono nato».
   «Lascialo. E non levare la chiave dalla porta. Esco subito».
   «Sai dove trovarmi. Chiuderò per precauzione. Ma sarò pronto ad aprirti la porta al tuo venire».

 4 Gesù resta solo. Bussa leggermente, un tocco così leggero che soltanto uno che è ben sveglio lo può sentire.
   Un rumore dentro la stanza, come di un sedile che si sposta, e un leggero fruscio di passi, e una voce sommessa: «Chi bussa?».
   «Io, Mamma. Aprimi».
   La porta si apre subito. Il lume di luna è il solo lume che illumini la stanza quieta e distende il suo raggio sul letto intatto. Un sedile è presso la finestra spalancata sul mistero della notte.
   «Non dormivi ancora? È tardi!».
   «Pregavo… Vieni, Figlio mio. Siedi qui dove io ero», e indica il sedile presso la finestra.
   «Non posso fermarmi. Ti sono venuto a prendere per andare da Elisa in Ofel. Annalia è morta. Non lo sapevate ancora?». 
   «No. Nessuno… Quando, Gesù?».
   «Dopo il mio passaggio».
   «Dopo il tuo passaggio! (È detto con riferimento a: Esodo 12, 12-13). Fosti dunque per lei l’Angelo liberatore?! Le era così prigione questa Terra! Lei felice! Vorrei essere io al posto suo! Morì… naturalmente? Voglio dire: non per sventura?».
   «Morì di gioia d’amore. Lo seppi che ero già sulla salita del Tempio. Vieni con Me, Mamma. Noi non temiamo di profanarci per consolare una madre che ebbe fra le braccia la figlia morta di soprannaturale gioia… La nostra prima vergine! Quella che venne a Nazaret, a te, per trovare Me e chiedermi questa gioia…  Giorni lontani e sereni».
   «Ieri l’altro cantava come una capinera innamorata e mi baciava dicendo: “Io sono felice!”, ed era avida di sentire tutto di Te. Come Dio ti formò. Come mi elesse. E i miei primi palpiti di vergine consacrata… Ora comprendo… 

 5 Sono pronta, Figlio».
   Maria si è, nel parlare, riappuntate le trecce, che aveva giù per le spalle e che la facevano parere così fanciulla, e si è messo il velo e il manto.
   Escono facendo il meno rumore che possono.
   Levi è già presso il portone. Spiega: «Ho preferito… Per mia moglie… Le donne sono curiose. Mi avrebbe fatto cento domande. Così non sa…». Apre, fa per chiudere.
   Gesù dice: «Entro questa stessa vigilia ricondurrò mia Madre».
   «Veglierò qui presso. Non temere».
   «La pace a te».
   Vanno per le strade silenziose, vuote, nelle quali la luna si ritira lentamente persistendo sull’alto delle case alte della collina di Sion. Più luminoso è il borgo di Ofel, dalle casette più umili e più basse.

 6 Ecco la casa di Annalia. Chiusa. Buia. Silenziosa. Dei fiori appassiti sono ancora sui due gradini della casa. Forse quelli gettati dalla vergine prima di morire, o quelli caduti dal suo letto funebre…
   Gesù bussa alla porta. Bussa di nuovo…
   Il rumore di una impannata aperta in alto. Una voce affranta: «Chi bussa?».
   «Maria e Gesù di Nazaret», risponde Maria.
   «Oh! Vengo! …».
   Breve attesa e poi il rumore dei paletti rimossi. La porta si apre mostrando il volto disfatto di Elisa, che si regge a fatica allo stipite e, quando Maria entrando le apre le braccia, si abbatte sul suo seno con i singulti fiochi di chi ha già tanto pianto da non aver più voce da dare al suo pianto. Gesù chiude l’uscio e attende paziente che sua Madre calmi quell’affanno.
   Una stanza è vicina alla porta. Entrano in quella, portando Gesù il lume posato da Elisa sul pavimento dell’entrata prima di aprire la porta. Il pianto della madre sembra non possa aver fine. Parla, fra i singhiozzi rochi, a Maria. Parla la madre alla Madre. Gesù, in piedi contro una parete, tace…

 7 Elisa non può darsi ragione di quella morte, avvenuta così… E nel suo soffrire fa ricadere la causa di essa a Samuele, il fidanzato spergiuro: «Le ha spaccato il cuore, quel maledetto! Ella non diceva. Ma certo soffriva da chissà quanto! E nella gioia, nel grido, le si è aperto il cuore. Sia maledetto in eterno».
   «No, cara. No. Non maledire. Non è così. Dio l’ha amata tanto da volerla nella pace. Ma anche fosse morta per causa di Samuele – non è, ma supponiamolo per un istante – pensa quale morte di gioia ella ebbe, e di’ che l’azione malvagia le procurò morte felice».
   «Io non l’ho più! M’è morta! M’è morta! Tu non sai cosa sia perdere una figlia! Io due volte ho gustato questo dolore. Perché già la piangevo morta quando tuo Figlio la guarì. Ma ora… Ma ora… Egli non è tornato! Non ha avuto pietà… Io l’ho perduta! Perduta! Già nella tomba è la mia creatura! Sai tu cosa sia veder agonizzare un figlio? Sapere che deve morire? Vederlo morto quando lo si credeva risanato e forte? Non sai. Non puoi parlare… Era bella come una rosa apertasi allora al primo sole mentre si ornava questa mattina. Si era voluta ornare con la veste che le avevo fatta per le nozze. Voleva anche coronarsi come sposa. Poi preferì sfare la ghirlanda già pronta e sfogliare i fiori per gettarli a tuo Figlio, e cantava! Cantava! La sua voce empiva la casa. Era vaga come la primavera. La gioia le faceva brillanti come stelle gli occhi, e porporine come polpa di melagrana le labbra aperte sul candore dei denti, e le guance le aveva rosee e fresche come rose novelle che la rugiada decora. E divenne bianca come il giglio appena dischiuso. E mi si piegò sul petto come uno stelo spezzato… Più una parola! Più un sospiro! Più colore. Più sguardo. Placida, bella, come un angelo di Dio, ma senza vita.

 8 “Tu non sai, tu che godi del trionfo di tuo Figlio e lo hai sano e forte, cosa è il mio dolore! Perché non è tornato indietro? In che lo aveva dispiaciuto, e io con lei, per non aver pietà della mia preghiera?».
   «Elisa! Elisa! Non dire… Il dolore ti fa cieca e sorda… Elisa, tu non sai il mio soffrire. E non sai il mare profondo che diverrà il mio soffrire. Tu l’hai vista placida e bella irrigidirsi in pace. Fra le tue braccia. Io… Io sono più di sei lustri che contemplo la mia Creatura e, oltre le carni lisce e monde che contemplo e carezzo, io vedo le piaghe dell’Uomo dei dolori che diverrà la mia Creatura. Sai, tu che dici che io non so cosa è vedere un figlio andare due volte alla morte, e una entrarvi e rimanervi in pace, sai cosa è vedere per tant’anni questa visione, per una madre? Mio Figlio! Eccolo. È già vestito di rosso come uscisse da un bagno di sangue. E presto, fra poco, ancor non sarà fatto oscuro il volto della tua creatura nel sepolcro, che io lo vedrò vestito della porpora del Sangue suo innocente. Di quel Sangue che gli ho dato. E se tu hai raccolto sul cuore tua figlia, sai quale sarà il mio dolore vedendo morire mio Figlio come un malfattore sul legno? Guardalo, il Salvatore di tutti! Nello spirito e nella carne. Perché la carne dei salvati da Lui sarà incorrotta e beata nel suo Regno. E guardami! Guarda questa Madre che ora per ora accompagna e conduce – oh! io non lo tratterrei di un passo! – suo Figlio al Sacrificio! Io ti posso capire, povera mamma. Ma tu capisci il mio cuore! Non odiare il Figlio mio. Annalia non avrebbe sopportato l’agonia del suo Signore. E il suo Signore la fece beata in un’ora di tripudio».

 9 Elisa ha cessato di piangere davanti alla rivelazione. Fissa Maria, dal pallido volto di martire lavato di lacrime silenziose, guarda Gesù che la guarda con pietà… e scivola ai piedi di Cristo gemendo: «Ma ella mi è morta! Mi è morta, Signore! Come un giglio, un giglio spezzato. Tu sei detto dai poeti che sei colui che si compiace fra i gigli! (Forse alludendo a: Cantico dei cantici 2, 1-2.16; 6, 2-3. Più sotto, Gesù fa un probabile riferimento a: Cantico dei cantici 6, 8-9; 8, 4). Oh! veramente Tu, nato dal giglio-Maria, scendi sovente fra le aiuole fiorite, e delle rose porpuree ne fai candidi gigli, e li cogli levandoli al mondo. Perché? Perché, Signore? Non è giusto che una madre goda della rosa nata da lei? Perché spegnerne il porporino nel freddo candore di morte del giglio?».
   «I gigli! Saranno il simbolo di quelle che mi ameranno come mia Madre amò Dio. La candida aiuola del Re divino».
   «Ma noi madri piangeremo. Noi madri abbiamo diritto alle nostre creature. Perché levarle alla vita?».
   «Non così voglio dire, donna. Resteranno le figlie, ma consacrate al Re come le vergini nei palazzi di Salomone. Ricordati il Cantico… E spose saranno, le beneamate, in Terra e in Cielo».
   «Ma la mia creatura è morta! È morta! ». Il pianto riprende straziante.
   «Io sono la Risurrezione e la Vita. Chi crede in Me, ancorché venga a morte, vive, e in verità ti dico che non muore in eterno. Tua figlia vive. Vive in eterno poiché credette nella Vita. La mia Morte le sarà completa Vita. Ha conosciuto la gioia del vivere in Me prima di conoscere il dolore di vedere Me strappato alla vita. Il tuo dolore ti fa cieca e sorda. Bene dice mia Madre. Ma presto dirai ciò che ti ho mandato a dire stamane: “Veramente la sua morte fu una grazia di Dio”. Credilo, donna. L’orrore attende questo luogo. E verrà giorno in cui le madri colpite come te diranno: “Lode a Dio che risparmiò ai nostri figli questi giorni”. E le madri non colpite grideranno al Cielo: “Perché, o Dio, non ci hai ucciso i figli prima di quest’ora?”. Credilo, donna. Credi alle mie parole. Non alzare fra te e Annalia la vera chiusura che separa, quella della diversità di fede. Vedi? Io potevo non venire. Tu sai quanto sono odiato. Non ti illuda il trionfo di un’ora!… Ogni angolo può celare un’insidia per Me. E sono venuto solo, nella notte, per consolarti e dirti queste parole. Io compatisco il dolore di una madre. Ma per la pace della tua anima ti vengo a dire queste parole. Abbi pace! Pace!».
   «Dammela Tu, Signore! Io non posso! Non posso nel mio soffrire darmi pace. Ma Tu, che rendi la vita ai morti e la salute ai morenti, dai la pace al cuore di una madre straziata».
   «Così sia, donna. A te la pace». Le impone le mani benedicendola e pregando in silenzio su lei. Maria si è inginocchiata a sua volta presso Elisa, cingendola con un braccio.

10 «Addio, Elisa. Io me ne vado…».
   «Non ci vedremo più, Signore? Io non uscirò dalla casa per molti giorni e Tu te ne andrai dopo le feste pasquali. Tu… sei ancora un poco parte di mia figlia… perché Annalia… perché Annalia viveva in Te e per Te». Piange. Più calma, ma quanto piange!
   Gesù la guarda… La carezza sul capo canuto. Le dice: «Mi vedrai ancora».
   «Quando?».
   «Fra otto notti da questa».
   «E mi conforterai ancora? Mi benedirai per darmi forza?».
   «Il mio cuore ti benedirà con tutta la pienezza del mio amore per quelli che mi amano. Vieni, Madre mia».
   «Figlio mio, se lo concedi vorrei rimanere ancora con questa madre. Il dolore è un maroso che torna, dopo che si è allontanato Colui che dà pace… Rientrerò all’ora di prima. Non ho paura ad andare sola. Lo sai. E sai che passerei per tutto un esercito nemico pur di confortare un mio fratello in Dio».
   «Sia come tu vuoi. Io vado. Dio sia con voi».
   Esce senza far rumore, chiudendosi dietro le spalle la porta della stanza e quella della casa.

11 Torna verso le mura, alla porta di Efraim o a quella Stercoraria o del Letame, perché molte volte ho sentito indicare queste due porte vicine con questi tre nomi, forse perché una si apre sulla via di Gerico che è in fondo, via che conduce a Efraim, e l’altra perché ha prossima la valle di Innon dove vengono arse le immondizie della città; e sono così uguali che confondo.
   Il cielo appena imbianca al confine d’oriente, pur essendo ancor gremito di stelle. Le vie sono avvolte in una penombra più penosa del buio notturno che la luna temperava col suo candore. Ma il milite romano ha buoni occhi e, come vede Gesù avanzarsi verso la porta, gli va incontro.
   «Salve. Ti ho atteso…». Si arresta titubante.
   «Parla senza paura. Che vuoi da Me?».
   «Sapere. Tu hai detto: “La pace che Io do permane anche nella guerra, perché è pace d’anima”. Io vorrei sapere che pace è, e cosa è l’anima. Come può l’uomo che è in guerra essere in pace? Quando si apre il tempio di Giano si chiude quello della Pace. Non possono le due cose essere insieme nel mondo». Parla addossato al muretto verdastro di un orticello, in una vietta stretta come un sentiero fra i campi, fra povere case, umido, tetro, buio. Tolto un lieve bagliore che indica l’elmo brunito, non si avverte altro dei due che parlano. L’ombra annulla i volti e i corpi in un unico nero.
   La voce di Gesù risuona piana e luminosa nella sua gioia di gettare un seme di luce nel pagano. «Nel mondo, in verità, non possono essere pace e guerra insieme. Una esclude l’altra. Ma nell’uomo di guerra può esser pace anche se combatte la guerra comandata. Può essere la mia pace. Perché la mia pace viene dal Cielo e non la lede il fragor della guerra e la ferocia delle stragi. Essa, cosa divina, invade la cosa divina che l’uomo ha in sé, e che anima è detta».
   «Divina? In me? Divo è Cesare. Io sono un figlio di contadini. Ora sono un legionario senza alcun grado. Se sarò prode, potrò forse divenire centurione. Ma divo no».
   «Vi è una parte divina in te. È l’anima. Viene da Dio. Dal vero Dio. Perciò è divina, gemma viva nell’uomo, e di divine cose si alimenta e vive: la fede, la pace, la verità. Guerra non la turba. Persecuzione non la lede. Morte non l’uccide. Solo il male, fare ciò che è brutto, la ferisce o uccide, e anche la priva della pace che Io dono. Perché il male separa l’uomo da Dio».

12 «E cosa è il male?».
   «Essere nel paganesimo e adorare gli idoli quando la bontà del vero Dio ha messo a conoscenza che c’è il vero Dio. Non amare il padre, la madre, i fratelli e il prossimo. Rubare, uccidere, esser ribelli, aver lussurie, essere falsi. Questo è il male».
   «Ah! allora io non posso avere la tua pace! Sono soldato e comandato ad uccidere. Per noi allora non c’è salvezza?!».
   «Sii giusto nella guerra come nella pace. Compi il tuo dovere senza ferocia e senza avidità. Mentre combatti e conquisti, pensa che il nemico è simile a te e che ogni città ha madri e fanciulle come la tua madre e le tue sorelle, e sii prode senza essere un bruto. Non uscirai dalla giustizia e dalla pace, e la mia pace resterà in te».
   «E poi?».
   «E poi? Cosa vuoi dire?».
   «Dopo la morte? Che avviene del bene che ho fatto e dell’anima che Tu dici che non muore se non si fa il male?».
   «Vive. Vive ornata del bene che ha fatto, in una pace gaudiosa, più grande di quella che si gode in Terra».
   «Allora in Palestina uno solo aveva fatto il bene! Ho capito».
   «Chi?».
   «Lazzaro di Betania. Non è morta la sua anima!».
   «In verità egli è un giusto. Però molti sono pari a lui e muoiono senza risuscitare, ma la loro anima vive nel Dio vero. Perché l’anima ha un’altra dimora, nel Regno di Dio. E chi crede in Me entrerà in quel Regno».
   «Anche io, romano?».
   «Anche tu, se crederai alla Verità».
   «Cosa è la Verità?».
   «Io sono la Verità, e la Via per andare alla Verità, e sono la Vita e do la Vita, perché chi accoglie la Verità accoglie la Vita».

13 I1 giovane soldato pensa,… tace… Poi alza il volto. Un volto ancor puro di giovane, e ha un sorriso limpido, sereno. Dice: «Io cercherò di ricordare questo e di sapere più ancora. Mi piace… ».
   «Come ti chiami?».
   «Vitale. Di Benevento. Delle campagne della città».
   «Ricorderò il tuo nome. Fai veramente vitale il tuo spirito nutrendolo di Verità. Addio. Si apre la porta. Esco dalla città».
   «Ave!».
   Gesù va lesto alla porta e si affretta per la via che conduce al Cedron e al Getsemani e da lì al campo dei Galilei.

14 Fra gli ulivi del monte raggiunge Giuda di Keriot, che sale anche lui svelto verso il campo che si desta. Giuda ha un atto quasi di spavento trovandosi di fronte Gesù. Gesù lo guarda fisso, senza parlare.
   «Sono stato a portare il cibo ai lebbrosi. Ma… ne ho trovati due a Innon, cinque a Siloan. Gli altri, guariti. Ancora là, ma guariti, tanto che mi hanno pregato di avvertire il sacerdote. Ero sceso alla prima luce per esser libero poi. Farà rumore la cosa. Un così gran numero di lebbrosi guariti insieme dopo che Tu li hai benedetti al cospetto di tanti!».
   Gesù non parla. Lo lascia parlare… Non dice né: «Hai fatto bene», né altra cosa attinente all’azione di Giuda e al miracolo, ma fermandosi all’improvviso e guardando fissamente l’apostolo gli chiede: «Ebbene? Che ha mutato l’averti lasciato libertà e denaro?».
   «Che vuoi dire?».
   «Questo: ti chiedo se ti sei santificato da quando ti ho reso libertà e denaro. E tu mi capisci… Ah! Giuda! Ricordalo! Ricordalo sempre: tu sei stato quello che ho amato più di ogni altro, avendone meno amore di quanto tutti gli altri mi hanno dato. Avendone anzi un odio maggiore, perché odio di uno che trattai da amico, del più feroce odio del più feroce fariseo. E ricorda ancor questo: che Io neppure ora ti odio, ma, per quanto sta al Figlio dell’uomo, ti perdono. Va’, ora. Non c’è più nulla da dirsi fra Me e te. Tutto è già fatto…».
   Giuda vorrebbe dire qualcosa, ma Gesù con un gesto imperioso gli fa cenno di andare avanti… E Giuda, chino il capo come un vinto, va avanti…

15 Al limite del campo dei Galilei gli undici apostoli e i due servi di Lazzaro sono già pronti.
   «Dove sei stato, Maestro? E tu, Giuda? Eravate insieme?».
   Gesù previene la risposta di Giuda: «Io avevo da dire qual cosa a dei cuori. Giuda andò dai lebbrosi… Ma
sono guariti tutti meno sette».
   «Oh! perché sei andato? Volevo venire io pure!», dice lo Zelote.
   «Per essere libero ora di venire con noi. Andiamo. Entreremo in città dalla porta del Gregge. Facciamo presto», dice ancora Gesù.

16 Si avvia per il primo, passando per gli uliveti che conducono dal campo, a quasi mezza via fra Betania e Gerusalemme, all’altro ponticello che accavalla il Cedron presso la porta del Gregge.
   Delle case di contadini sono sparse per i clivi, e quasi in basso, presso le acque del torrente, una scapigliata pianta di fichi si penzola sul rio. Gesù si dirige ad essa e cerca se fra il fogliame largo e grasso sia qualche fior di fico maturo. Ma il fico è tutto foglie, molte, inutili, ma non ha un sol frutto sui rami.
   «Sei come molti cuori in Israele. Non hai dolcezze per il Figlio dell’uomo, e non pietà. Possa da te non nascere mai più alcun frutto, e alcuno da te non ne mangi in futuro», dice Gesù.
   Gli apostoli si guardano. L’ira di Gesù per la pianta sterile, forse selvatica, li stupisce. Ma non dicono nulla. Solo più tardi, valicato il Cedron, Pietro gli chiede: «Dove hai mangiato?».
   «In nessun luogo».
   «Oh! Allora hai fame! Ecco là un pastore con qualche capra pascolante. Andrò e chiederò latte per Te. Faccio presto», e va a gran passi, tornando cauto con una vecchia scodella colma di latte.
   Gesù beve e rende con una carezza la tazza al pastorello che ha accompagnato Pietro…

17 Entrano in città e salgono al Tempio e, adorato il Signore, Gesù torna nel cortile dove i rabbi tengono le loro lezioni.
   La gente gli si affolla intorno e una madre, venuta da Cintium, presenta il bambino che un male ha reso cieco, credo. Ha gli occhi bianchi come chi ha una vasta cateratta sulla pupilla o un’albugine. Gesù lo guarisce sfiorando le orbite con le sue dita. E poi subito inizia a parlare:
   «Un uomo comprò un terreno e lo piantò a vigneti, vi edificò la casa per i coloni, una torre per i sorveglianti, cantine e luoghi per torchiare le uve, e lo diede a lavorare a dei coloni nei quali aveva fiducia. Poi se ne andò lontano. Quando venne il tempo che i vigneti potevano dare del frutto, essendo ormai le viti cresciute sino ad esser fruttifere, il padrone della vigna mandò i suoi servi dai coloni per ritirare gli utili del raccolto fatto. Ma i coloni circondarono quei servi e parte li presero a bastonate, parte li lapidarono con pietre pesanti ferendoli molto, parte li uccisero del tutto. Coloro che poterono tornare vivi dal padrone raccontarono ciò che era loro accaduto. Il padrone li curò e consolò e mandò altri servi ancor più numerosi. E i coloni trattarono questi come avevano trattato i primi. Allora il padrone della vigna disse: “Manderò loro il mio figliuolo. Certo essi avranno riguardo al mio erede”. Ma i coloni, vistolo venire e saputo che era l’erede, si chiamarono l’un l’altro dicendo: “Venite. Riuniamoci per essere in molti. Trasciniamolo fuori, in un luogo remoto, e uccidiamolo. La sua eredità resterà a noi”. E, accogliendolo con ipocriti onori, lo circondarono come per fargli festa, poi lo legarono dopo averlo baciato e lo picchiarono forte e lo portarono con mille motteggi al luogo del supplizio e l’uccisero. Ora ditemi voi. Quel padre e padrone che un giorno si accorgerà che il figlio ed erede del suo avere non torna, e scopre che i suoi servi-coloni, coloro ai quali aveva dato la terra ferace perché la coltivassero in suo nome, godendone per quanto era giusto e dandone quanto era giusto al loro signore, sono stati gli uccisori del figlio suo, che farà?».
   E Gesù dardeggia le iridi zaffiree, accese come da un sole, sui convenuti e specie sui gruppi dei più influenti giudei, farisei e scribi, sparsi fra la folla. Nessuno parla.
   «Dite, dunque? Voi almeno, rabbi di Israele. Dite parola di giustizia che persuada il popolo a giustizia. Io potrei dire parola non buona, secondo il vostro pensiero. Dite dunque voi, acciò il popolo non sia tratto in errore».
   Gli scribi rispondono, costretti, così: «Punirà gli scellerati facendoli perire in modo atroce e darà la vigna ad altri coloni, che onestamente gliela coltivino, dandogli il frutto della terra avuta in consegna».
   «Avete detto bene. Così è scritto nella Scrittura: (Salmo 118, 22-23) “La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare. Questa è opera fatta dal Signore ed è cosa meravigliosa agli occhi nostri”. Poiché dunque così è scritto, e voi lo sapete, e giudicate giusto che siano puniti atrocemente quei coloni uccisori del figlio erede del padrone della vigna ed essa sia data ad altri coloni che onestamente la coltivino, ecco, per questo vi dico: “Vi sarà tolto il Regno di Dio e sarà dato a gente che ne produca i frutti. E chi cadrà contro questa pietra si sfracellerà, e colui sopra il quale la pietra cadrà sarà stritolato”». 

18 I capi dei sacerdoti, i farisei e scribi, con atto veramente… eroico non reagiscono. Tanto può la volontà di raggiungere uno scopo! Per molto meno altre volte lo hanno avversato, e oggi che apertamente il Signore Gesù dice loro che verrà tolto ad essi il potere non scattano in improperi, non fanno atti violenti, non minacciano, falsi agnelli pazienti che sotto un’ipocrita veste di mitezza nascondono l’immutabile cuore di lupo.
   Si limitano ad accostarsi a Lui, che ha ripreso a camminare avanti e indietro ascoltando questo e quello dei
molti pellegrini che sono raccolti nell’ampio cortile, e dei quali molti gli chiedono consiglio per casi d’anima o per circostanze famigliari o sociali, in attesa di potergli dire qualcosa dopo averlo ascoltato dare un giudizio ad un uomo su un’intricata questione di eredità, che ha prodotto divisione e rancore fra i diversi eredi a causa di un figlio del padre, avuto con una serva della casa ma adottato, che i figli legittimi non vogliono con loro né coerede nella spartizione delle case e dei terreni, volendo non avere più nulla in comune col bastardo, e non sanno come risolvere, perché il padre ha fatto giurare avanti la sua morte che, come sempre egli aveva fatto spartendo il pane all’illegittimo come ai legittimi in uguale misura, così essi dovevano ugualmente spartire l’eredità con lui in egual misura.
   Gesù dice a colui che lo interroga a nome degli altri tre fratelli: «Sacrificate tutti un pezzo di terra, vendendolo, di modo da radunare il valore di denaro equivalente al quinto della sostanza totale, e datelo all’illegittimo dicendo: “Ecco la tua parte. Non sei defraudato del tuo, né si è fatto torto al volere di nostro padre. Va’ e Dio sia con te”. E siate abbondanti nel dare, anche più dello stretto valore della sua parte. Fatelo con testimoni che giusti siano, e nessuno potrà in Terra, e oltre la Terra, alzare voci di rimprovero e scandalo. E avrete pace fra voi e in voi, non avendo il rimorso di aver disubbidito al padre vostro, e non avendo fra voi colui che, veramente innocente, vi è causa di turbamento più che se fosse un ladrone messo fra voi».
   L’uomo dice: «Il bastardo ha rubato in verità pace alla nostra famiglia, salute alla madre nostra che morì di dolore, e un posto non suo».
   «Non è lui il colpevole, uomo. Ma colui che lo ha generato. Egli non chiese di nascere per portare il marchio del bastardo. Fu la brama di vostro padre che lo generò per darlo al dolore e per darvi dolore. Siate dunque giusti verso l’innocente che sconta già duramente la colpa non sua. Né abbiate anatema per lo spirito del padre vostro. Dio lo ha giudicato. Non occorrono i fulmini delle vostre maledizioni. Onorate il padre, sempre, anche se colpevole, non per se stesso, ma perché rappresentò in Terra il Dio vostro, avendovi creato per decreto di Dio ed essendo il signore della vostra casa. I genitori sono immediatamente dopo Dio. Ricorda il Decalogo. E non peccare. Va’ in pace».

19 I sacerdoti e scribi gli si accostano allora per interrogarlo: «Ti abbiamo sentito. Hai detto giusto. Un consiglio che più saggio non lo poteva dare Salomone. Ma ora di’ a noi, Tu che operi prodigi e dai sentenze quali solo il sapiente re poteva dare, con quale autorità fai queste cose? Donde ti viene tale potere?».
   Gesù li guarda fisso. Non è né aggressivo né sprezzante, ma molto imponente. Dice: «Anche Io ho da farvi una domanda, e se mi risponderete Io vi dirò con quale autorità Io, uomo senza autorità di cariche e povero – perché ciò è questo che volete dire – faccio queste cose. Dite: il battesimo di Giovanni da dove veniva? Dal Cielo o dall’uomo che lo impartiva? Rispondetemi. Con quale autorità Giovanni lo dava come rito purificatore per prepararvi alla venuta del Messia, se Giovanni era ancor più povero, indotto di Me e senza cariche di sorta, essendo vivente nel deserto dalla sua fanciullezza?».
   Gli scribi e i sacerdoti si consultano fra loro. La gente, con occhi spalancati e orecchie ben aperte, pronta alla protesta e all’acclamazione, se gli scribi squalificano il Battista e offendono il Maestro o se appaiono sconfitti dalla domanda del Rabbi di Nazaret, divinamente sapiente, si stringe intorno. Colpisce il silenzio assoluto di questa folla in attesa della risposta. È così profondo che si sentono le aspirazioni e i bisbigli dei sacerdoti o scribi, che parlano fra loro senza quasi usar la voce e occhieggiano intanto il popolo, del quale intuiscono i sentimenti pronti ad esplodere.
   Infine si decidono a rispondere. Si volgono al Cristo che, appoggiato ad una colonna, le braccia conserte sul petto, li scruta senza mai perderli d’occhio, e dicono: «Maestro, noi non sappiamo per quale autorità Giovanni faceva questo né donde veniva il suo battesimo. Nessuno ha pensato a chiederlo al Battista mentre era vivo ed egli, spontaneamente, mai lo ha detto».
   «E nemmeno Io vi dirò con quale autorità faccio tali cose». E volge loro le spalle chiamando a Sé i dodici e, fendendo la folla che acclama, esce dal Tempio.

20 Quando già sono fuori, oltre la Probatica, essendo usciti da quella parte, Bartolomeo gli dice: «Sono divenuti molto prudenti i tuoi avversari. Forse stanno convertendosi al Signore che ti ha mandato e a riconoscerti per Messia santo».
   «È vero. Non hanno discusso la tua domanda né la tua risposta…», dice Matteo.
   «Così sia. È bello che Gerusalemme si converta al Signore Dio suo», dice ancora Bartolomeo.
   «Non vi illudete! Quella porzione di Gerusalemme non si convertirà mai. Non hanno risposto in altro modo perché hanno temuto la folla. Io leggevo i loro pensieri anche se non sentivo le loro parole sommesse».
   «E che dicevano?», domanda Pietro.
   «Questo dicevano. Ho desiderio che voi lo sappiate per conoscerli a fondo e possiate dare ai futuri un’esatta descrizione dei cuori degli uomini al mio tempo. Essi non mi hanno risposto non per conversione al Signore. Ma perché fra loro hanno detto: “Se noi rispondiamo: ‘Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo’, il Rabbi ci risponderà: ‘E allora perché non avete creduto a ciò che veniva dal Cielo e indicava preparazione al tempo messianico?’; e se diremo: ‘Dall’uomo’, allora sarà la folla che si ribellerà dicendo: ‘E allora perché non credete a ciò che Giovanni, nostro profeta, disse di Gesù di Nazaret?’. È dunque meglio dire: ‘Non sappiamo’”. Ecco cosa dicevano. Non per conversione a Dio, ma per calcolo vile e per non avere a confessare con le loro bocche che Io sono il Cristo e faccio queste cose che faccio perché sono l’Agnello di Dio del quale parlò il Precursore. E neppure Io ho voluto dire con quale autorità faccio queste cose che faccio. Già molte volte l’ho detto fra quelle mura e in tutta la Palestina, e i miei prodigi parlano ancor più delle mie parole. Ora non lo dirò più con le mie parole. Lascerò che parlino i profeti e il Padre mio, e i segni del Cielo. Perché il tempo è venuto in cui tutti i segni verranno dati. Quelli detti dai profeti e segnati dai simboli della nostra storia, e quelli che Io ho detto: il segno di Giona; vi ricordate di quel giorno a Cedes? E il segno che attende Gamaliele. Tu Stefano, tu Erma e tu Barnaba che hai lasciato i compagni, oggi, per seguirmi, certo molte volte avete sentito il rabbi parlare di quel segno. Ebbene, presto il segno sarà dato».
   Si allontana su per gli uliveti del monte, seguito dai suoi e da molti discepoli (dei settantadue) oltre altri, come Giuseppe Barnaba, che lo segue per sentirlo parlare ancora. 

 21Dice Gesù:
   «Qui metterai la seconda parte del lunedì, ossia i discorsi fatti nella notte ai miei apostoli (visione del 6-3-45)».

   Cap. DLV. Lezione notturna a Simon Pietro sull’esame dei peccati e sul dolore dei buoni e degli innocenti.

   15 gennaio 1947.
 
 1 Gesù è solo in una piccola stanza. Seduto sul lettuccio, pensa o prega. Un lumicino ad olio su una scansia palpita con la sua fiammolina giallastra. Deve essere notte, perché non c’è rumore alcuno per la casa e nella via. Solo il torrente pare frusciare più forte, fuor della casa, nel silenzio della notte.
   Gesù alza il capo guardando l’uscio. Ascolta. Si alza e va ad aprire. Vede Pietro fuor dell’uscio. «Tu? Vieni. Che vuoi, Simone? Ancora alzato, tu che devi fare tanto cammino?». Lo ha preso per mano e tirato dentro, rinchiudendo l’uscio senza far rumore. Se lo fa sedere accanto sulla sponda del letto.
   «Volevo dirti, Maestro… Sì, volevo dirti che, lo hai visto anche oggi ciò che valgo. Sono capace soltanto di fare divertire dei poveri bambini, consolare una vecchierella, mettere pace fra due pastori che questionano per un’agnella risultata di petto cieco. Sono un povero uomo. Tanto povero che non capisco neppure ciò che Tu mi spieghi. Ma questa è un’altra cosa. Ora io volevo dirti che, proprio per questo, Tu mi tenessi qui. Io non ci tengo ad andare in giro quando Tu non sei con noi. E non sono capace di fare… Accontentami, Signore». Pietro parla con calore, ma tenendo gli occhi puntati sui rozzi mattoni sbocconcellati del pavimento.
   «Guardami, Simone», comanda Gesù. E poiché Pietro ubbidisce, Gesù lo fissa acutamente chiedendo: «E questo è tutto? Tutta la ragione del tuo vegliare? Tutta la ragione del tuo pregare di tenerti qui? Sii sincero, Simone. Non è mormorare dire al tuo Maestro l’altra parte del tuo pensiero. Bisogna saper distinguere fra parola oziosa e parola utile. È oziosa, e generalmente nell’ozio fiorisce il peccato, quando si parla delle manchevolezze altrui con chi non può nulla su esse. Allora è semplicemente mancanza di carità, anche se le cose dette sono vere. Come è mancanza di carità rimproverare più o meno acerbamente senza unire al rimprovero il consiglio. E parlo di rimproveri giusti. Gli altri sono ingiusti e sono peccato contro il prossimo. Ma quando uno vede un suo prossimo che pecca, e ne soffre perché peccando colui offende Dio e danneggia la sua anima, e da solo sente che non è capace di misurare l’entità dell’altrui peccato, né si sente sapiente a dire parole di conversione e allora si rivolge ad un giusto, ad un sapiente, e confida il suo affanno, allora non fa peccato, perché le sue confidenze sono volte a por fine ad uno scandalo e a salvare un’anima. È come uno che avesse un parente malato di una malattia che è vergognosa. È certo che egli cercherà di tenerla nascosta al popolo, ma in segreto andrà a dire al medico: “Il mio parente secondo me ha questo e questo, né io so consigliarlo e curarlo. Vieni tu o dimmi ciò che devo fare”. Manca forse costui di amore al parente? No. Anzi! Mancherebbe se fingesse di non accorgersi della malattia e la lasciasse progredire, portando alla morte, per un malinteso sentimento di prudenza e di amore.
 Un giorno, e non passeranno anni, tu, e con te i tuoi compagni, dovrete ascoltare le confidenze dei cuori. Non così come le ascoltate ora, da uomini, ma come sacerdoti, ossia medici, maestri e pastori delle anime, così come Io sono Medico, Maestro e Pastore. Dovrete ascoltare e decidere e consigliare. Il vostro giudizio avrà valore come se Dio stesso lo avesse pronunciato…».
   Pietro si svincola da Gesù, che lo teneva stretto al suo fianco, e dice alzandosi: «Ciò non è possibile, Signore. Non ce lo imporre mai. Come vuoi che si giudichi come Dio, se non sappiamo neppure giudicare come uomini?».
   «Allora saprete, perché lo Spirito di Dio si librerà su voi e vi penetrerà delle sue luci. Saprete giudicare, considerando le sette condizioni dei fatti che vi verranno proposti per avere consiglio o perdono. Ascolta bene e cerca di ricordare. A suo tempo lo Spirito di Dio ti ricorderà le mie parole. Ma tu cerca ugualmente di ricordare con la tua intelligenza, perché Dio te l’ha data perché tu la adoperi senza infingardie e presunzioni spirituali, che portano ad attendere e pretendere tutto da Dio. Quando tu sarai maestro, medico e pastore al posto mio e in mia vece, e quando un fedele verrà a piangere ai tuoi piedi i suoi turbamenti per azioni proprie o azioni altrui, tu devi sempre aver presente questo settenario di interrogativi.
   Chi: chi ha peccato? Cosa: quale è la materia del peccato? Dove: in che luogo? Come: in che circostanze? Con che o con chi: lo strumento o la creatura che fu materia al peccato. Perché: quali gli stimoli che hanno creato l’ambiente favorevole al peccato? Quando: in che condizioni e reazioni, e se accidentalmente o per abitudine malsana.
   Perché vedi, Simone, la stessa colpa può avere infinite sfumature e gradi, a seconda di tutte le circostanze che l’hanno creata e degli individui che l’hanno compiuta. Ad esempio… Prendiamo in considerazione due peccati che sono i più diffusi: quello della concupiscenza carnale o della concupiscenza delle ricchezze.
   Una creatura ha peccato di lussuria, o crede aver peccato di lussuria. Perché talora l’uomo confonde il peccato con la tentazione, oppure giudica uguali lo stimolo creato artificiosamente per un malsano appetito, e uguali quei pensieri che sorgono per riflesso ad una sofferenza di malattia, o anche perché la carne e il sangue delle volte hanno delle improvvise voci che risuonano nella mente prima che essa abbia tempo di mettersi in guardia per soffocarle. Viene da te e ti dice: “Io ho peccato di lussuria”. Un sacerdote imperfetto direbbe: “Anatema su te”. Ma tu, il mio Pietro, non devi dire così. Perché tu sei Pietro di Gesù, sei il successore della Misericordia. E allora, prima di condannare, devi considerare e toccare dolcemente e prudentemente il cuore che ti piange davanti per sapere tutti i lati della colpa o della supposta colpa, dello scrupolo.
   Ho detto dolcemente e prudentemente. Ricordare che, oltre che maestro e pastore, sei medico. Il medico non invelenisce le piaghe. Pronto a recidere se c’è della cancrena, sa però anche scoprire e medicare con mano leggera se vi è soltanto ferita con lacerazione di parti vive che vanno riunite, non strappate via. E ricordare che, oltre che medico e pastore, sei maestro. Un maestro regola le sue parole a seconda dell’età dei suoi discepoli. Sarebbe uno scandalo quel pedagogo che a fanciullini svelasse leggi animali che gli innocenti ignoravano, dando così cognizioni e malizie precoci. Anche nel trattare le anime bisogna avere prudenza nell’interrogare. Rispettarsi e rispettare. Ti sarà facile se in ogni anima tu vedrai un tuo figlio. Il padre è naturalmente maestro, medico e guida dei suoi figli. Perciò, quale che sia la creatura che ti è davanti turbata da colpa, o da timore di colpa, tu amala con paterno amore, e saprai giudicare senza ferire e senza scandalizzare.
 3 Mi segui?».
   «Sì, Maestro. Capisco molto bene. Dovrò essere cauto e paziente, persuadere a scoprire le ferite, ma guardarvi da me, senza attirare l’occhio altrui su esse, e soltanto quando vedessi che c’è proprio ferita allora dire: “Vedi? Qui ti sei fatto del male per questo e questo”. Ma, se vedo che la creatura ha soltanto paura di esser ferita per aver visto fantasmi, allora… soffiare via le nebbie senza dare delle luci, per zelo inutile, atte a illuminare vere fonti di colpa. Dico bene?».
   «Molto bene. Dunque. Se uno ti dice: “Ho peccato di lussuria”, tu considera chi hai di fronte. Vero è che il peccato può sorgere a tutte le età. Ma sarà più facile riscontrarlo in un adulto che non in un fanciullo, e diverse saranno perciò le interrogazioni e le risposte da fare e da dare ad un uomo o ad un fanciullo. Viene di conseguenza, dalla prima indagine, la seconda sulla materia del peccato, e poi la terza sul luogo del peccato, e la quarta sulle circostanze del peccato, e la quinta su chi fu complice al peccato, e la sesta sul perché del peccato, e la settima sul tempo e sul numero del peccato.
   Vedrai che, generalmente, mentre per un adulto, e adulto vivente nel mondo, ad ogni domanda ti apparirà corrispondente una circostanza di vera colpa, per creature fanciulle di età o di spirito, a molte domande dovrai risponderti: “Qui c’è un fumo, non sostanza di colpa”. Anzi, vedrai talora in luogo di fango esservi un giglio che trema di essere stato schizzato di fango, e confonde la goccia di rugiada scesa sul suo calice con lo spruzzo della mota. Anime tanto desiderose di Cielo che temono come macchia anche l’ombra di una nube, che le oscura per un momento frapponendosi fra loro e il sole, ma poi passa, e non vi è traccia di essa sulla candida corolla. Anime tanto innocenti e vogliose di restarlo, che Satana spaventa con tentazioni mentali o aizzando i fomiti della carne o la carne stessa, col­l’approfittarsi di vere malattie della carne. Queste anime vanno consolate e sorrette, perché sono non già peccatrici, ma martiri. Ricordalo sempre.
   E ricorda sempre di giudicare anche chi peccò di avidità alle ricchezze o cose altrui con lo stesso metodo. Perché, se è colpa maledetta essere avidi senza bisogno e senza pietà, rubando al povero e contro giustizia vessando i cittadini, i servi, o i popoli, meno grave, molto meno grave è la colpa di chi, avendo avuto negato un pane dal suo prossimo, lo ruba per sfamare se stesso e le sue creature. Ricorda che, se tanto per il lussurioso come il ladro è di misura, nel giudicare, il numero, le circostanze e la gravità della colpa, è anche di misura nel giudicare la conoscenza, da parte del peccatore, del peccato che ha commesso e nel momento che lo commetteva. Perché, se uno fa con piena conoscenza, pecca più di chi fa per ignoranza. E chi fa con libero consenso della volontà pecca più di chi è forzato al peccato. In verità ti dico che talora vi saranno fatti dall’apparenza di peccato e che saranno martirio, e avranno il premio dato per un patito martirio.
   E ricorda soprattutto che in tutti i casi, prima di condannare, dovrai ricordarti che tu pure fosti uomo e che il Maestro tuo, che nessuno poté trovare in peccato, mai, non condannò mai alcuno che si fosse pentito di aver peccato. Perdona settanta volte sette, e anche settanta volte settanta, i peccati dei tuoi fratelli e dei figli tuoi. Perché chiudere le porte della Salute ad un malato, solo perché ricaduto nella malattia, è volerlo fare morire.
 4 Hai compreso?».
   «Ho compreso. Questo l’ho proprio compreso…».
   «E allora dimmi ora tutto il tuo pensiero».
   «Eh! sì! Te lo dico perché vedo che proprio Tu sai tutte le cose, e capisco che non è mormorare dirti di mandare via Giuda, al mio posto, perché egli soffre di non andare. Io te lo dico non per dire che egli è invidioso e farmi scandalo di lui, ma per dargli pace e… darti pace. Perché deve essere ben faticoso per Te avere sempre quel vento di temporale vicino…».
   «Giuda si è ancora lamentato?».
   «Eh! sì! Ha detto che ogni tua parola è una ferita per lui. Anche quello che hai detto per i fanciulli. Dice che in verità fu per lui che Tu hai detto che Eva andò all’albero perché le piaceva quella cosa lucente come un serto di re. Io veramente non ci avevo trovato proprio un paragone. Ma io sono ignorante. Bartolmai e lo Zelote invece hanno detto che Giuda è stato proprio “toccato nel vivo più vivo”, perché egli è stregato da tutto ciò che luccica e seduce la vanagloria. E avranno ragione, perché essi sono sapienti. Sii buono con i tuoi poveri apostoli, Maestro! Fa’ contento Giuda, e me con lui. Tanto! Lo vedi? So fare solo divertire i fanciulli… ed essere fanciullo fra le tue braccia», e si stringe al suo Gesù, che ama veramente con tutte le sue forze.
   «No. Non ti posso accontentare. Non insistere. Tu, proprio perché sei come sei, vai alla missione. Egli, proprio perché è come è, resta qui. Anche mio fratello me ne aveva parlato, e per quanto lo ami tanto ho risposto anche a lui “no“. Neppure se me ne pregasse mia Madre cederei. Non è un castigo, ma una medicina. E Giuda la deve prendere. Se non gioverà al suo spirito gioverà al mio, perché non potrò rimproverarmi di avere omesso cosa alcuna per santificarlo».
   Gesù è severo e imperioso nel dire questo. Pietro lascia ricadere le braccia e abbassa il capo sospirando.
   «Non te ne affliggere, Simone. Noi avremo un’eternità per stare uniti e amarci.
 5 Ma tu avevi altre cose da dirmi…».
   «È tardi, Maestro. Tu devi dormire».
   «Tu più di Me, Simone, che all’alba devi metterti in cammino».
   «Oh! per me! Stare qui con Te è più riposo che stare sul letto».
   «Parla, dunque. Tu lo sai che poco Io dormo…».
   «Ecco! Io sono uno zuccone, lo so e lo dico senza vergogna. E se fosse per me non mi importerebbe molto di sapere, perché penso che la sapienza più grande sia amarti e seguirti e servirti con tutto il cuore. Ma Tu mi mandi qua e là. E la gente mi interroga e io devo rispondere. Penso che quello che io chiedo a Te, altri possono chiederlo a me. Perché gli uomini hanno gli stessi pensieri. Tu dicevi ieri che sempre gli innocenti e i santi soffriranno, anzi saranno quelli che soffrono per tutti. Questo è duro per il mio intelletto, anche che Tu dica che essi stessi lo desidereranno. E penso che, come è duro per me, possa esserlo per altri. Se me ne chiedono, che cosa devo rispondere? In questo primo viaggio una madre mi disse: “Non era giusto che la mia bambina morisse con tanto dolore, perché era buona e innocente”. E io, non sapendo che dire, le ho detto le parole di Giobbe: “Il Signore ha dato. Il Signore ha tolto. Sia benedetto il Nome del Signore”. Ma non sono rimasto persuaso neppure io. E non ho persuaso lei. Vorrei un’altra volta sapere che dire…».
   «È giusto.
 6 Ascolta. Pare un’ingiustizia, ed è una grande giustizia, che i migliori soffrano per tutti. Ma dimmi un poco, Simone. Cosa è la Terra? Tutta la Terra».
   «La Terra? Uno spazio grande, grandissimo, fatto di polvere e acque, di rocce, con piante, animali e creature umane».
   «E poi?».
   «E poi basta… A meno che Tu non voglia che io dica che è il luogo di castigo dell’uomo e di esilio».
   «La Terra è un altare, Simone. Un enorme altare. Doveva essere altare di lode perpetua al suo Creatore. Ma la Terra è piena di peccato. Perciò deve essere altare di perpetua espiazione, di sacrificio, su cui ardono le ostie. La Terra dovrebbe, come gli altri mondi sparsi nel Creato, cantare i salmi a Dio che l’ha fatta. Guarda!».
   Gesù apre le imposte di legno, e dalla finestra spalancata entra il fresco della notte, il rumore del torrente, il raggio di luna, e si vede il cielo trapunto di stelle.
   «Guarda quegli astri! Essi cantano con la voce loro, che è di luce e di moto negli spazi infiniti del firmamento, le lodi di Dio. Da millenni dura il loro canto, che sale dagli azzurri campi del cielo al Cielo di Dio. Possiamo pensare astri e pianeti, stelle e comete come creature siderali che, come siderali sacerdoti, leviti, vergini e fedeli, devono cantare in un tempio sconfinato le laudi del Creatore. Ascolta, Simone. Senti il fruscio delle brezze fra le fronde e il rumore delle acque nella notte. Anche la Terra canta, come il cielo, coi venti, con le acque, con la voce degli uccelli e degli animali. Ma, se per il firmamento basta la luminosa lode degli astri che lo popolano, non basta il canto dei venti, acque e animali per il tempio che è la Terra. Perché in essa non sono solo venti, acque e animali, cantanti incoscientemente le lodi di Dio, ma in essa è anche l’uomo: la creatura perfetta sopra tutto ciò che è vivente nel tempo e nel mondo, dotata di materia come gli animali, i minerali e le piante, e di spirito come gli angeli del Cielo, e come essi destinata, se fedele nella prova, a conoscere e possedere Dio, con la grazia prima, col Paradiso poi. L’uomo, sintesi che abbraccia tutti gli stati, ha una missione che gli altri creati non hanno e che per lui dovrebbe essere, oltre che dovere, una gioia: amare Dio. Dare intelligentemente e volontariamente culto d’amore a Dio. Ripagare Dio dell’amore che Egli ha dato all’uomo dandogli la vita e dandogli il Cielo oltre la vita. Dare culto intelligente.
   Considera, Simone. Che bene ritrae Dio dalla Creazione? Che utile? Alcuno. La Creazione non aumenta Dio, non lo santifica, non lo arricchisce. Egli è infinito. Tale sarebbe stato anche se la Creazione non fosse stata. Ma Dio-Amore voleva avere dell’amore. Ed ha creato per avere amore. Unicamente amore può trarre dal Creato Iddio, e questo amore, che è intelligente e libero unicamente negli angeli e negli uomini, è la gloria di Dio, la gioia degli angeli, la religione per gli uomini. Quel giorno che il grande altare della Terra tacesse di lodi e di suppliche d’amore, la Terra cesserebbe di essere. Perché, spento l’amore, sarebbe spenta la riparazione, e l’ira di Dio annullerebbe l’inferno terrestre che sarebbe divenuta la Terra. La Terra, dunque, per esistere deve amare. E ancora: la Terra deve essere il Tempio che ama e prega con l’intelligenza degli uomini. Ma nel Tempio, in ogni tempio, quali vittime si offrono? Le vittime pure, senza macchia né tara. Solo queste sono gradite al Signore. Esse e le primizie. Perché al padre della famiglia vanno date le cose migliori, e a Dio Padre dell’umana Famiglia va data la primizia di ogni cosa, e le cose elette.
 7 Ma ho detto che la Terra ha un duplice dovere di sacrificio: quello di lode e quello di espiazione. Perché l’Umanità che la copre ha peccato nei primi uomini e pecca continuamente, aggiungendo al peccato di disamore a Dio quegli altri mille delle sue aderenze alle voci del mondo, della carne e di Satana. Colpevole, colpevole Umanità che, avendo somiglianza con Dio, avendo intelligenza propria e aiuti divini, è peccatrice sempre, e sempre più. Gli astri ubbidiscono, le piante ubbidiscono, gli elementi ubbidiscono, gli animali ubbidiscono e, così come sanno, lodano il Signore. Gli uomini non ubbidiscono e non lodano a sufficienza il Signore. Ecco allora la necessità di anime ostie che amino ed espiino per tutti. Sono i fanciulli che pagano, innocenti e ignari, l’amaro castigo del dolore per coloro che non sanno che peccare. Sono i santi che, volonterosi, si sacrificano per tutti.
   Fra poco — un anno o un secolo è sempre “poco” rispetto all’eternità — non si celebreranno più altri olocausti sull’altare del gran Tempio della Terra fuor di questi delle vittime-uomo, consumate con il perpetuo sacrificio: ostie con l’Ostia perfetta. Non ti scuotere, Simone. Non dico già che Io metterò un culto simile a quello di Moloc e di Baal e di Astarte. Gli uomini stessi ci immoleranno. Intendi? Ci immoleranno. E noi andremo lieti alla morte per espiare e amare per tutti. E poi verranno i tempi in cui gli uomini non immoleranno più gli uomini. Ma sempre vi saranno le vittime pure, che l’amore consuma insieme alla gran Vittima nel Sacrificio perpetuo. Dico l’amore di Dio e l’amore per Dio. Invero esse saranno le ostie del tempo e del Tempio futuro. Non agnelli e capri, vitelli e colombi, ma il sacrificio del cuore è ciò che Dio gradisce. Davide lo ha intuito. E nel tempo nuovo, tempo dello spirito e dell’amore, solo questo sacrificio sarà gradito.
   Considera, Simone, che se un Dio ha dovuto incarnarsi per placare la Giustizia divina per il gran Peccato, per i molti peccati degli uomini, nel tempo della verità solo i sacrifici degli spiriti degli uomini possono placare il Signore. Tu pensi: “Ma perché allora Egli, l’Altissimo, dette ordine di immolargli i figli degli animali e i frutti delle piante”? Io te lo dico: perché, prima della mia venuta, l’uomo era un olocausto macchiato, e perché non era conosciuto l’Amore. Ora conosciuto sarà. E l’uomo, che conoscerà l’Amore, perché Io renderò la Grazia per la quale l’uomo conosce l’Amore, escirà dal letargo, ricorderà, comprenderà, vivrà, si sostituirà ai capri e agli agnelli, ostia di amore e di espiazione, ad imitazione dell’Agnello di Dio, suo Maestro e Redentore. Il dolore, sin qui castigo, si muterà in amore perfetto, e beati quelli che lo abbracceranno per amore perfetto».
   «Ma i bambini…».
   «Vuoi dire coloro che ancor non sanno offrirsi… E sai tu quando Dio parli in essi? Il linguaggio di Dio è linguaggio spirituale. L’anima lo intende e l’anima non ha età. Anzi ti dico che l’anima fanciulla, perché senza malizia, è, per capacità di intendere Dio, più adulta di quella di un vegliardo peccatore. Io ti dico, Simone, che tu vivrai tanto da vedere molti pargoli insegnare agli adulti, e anche a te stesso, la sapienza dell’amore eroico. Ma in quei piccoli che muoiono per ragioni naturali è Dio che opera direttamente, per ragioni di un così alto amore che non posso spiegarti, rientrando esse nelle sapienze che sono scritte nei libri della Vita e che solo nel Cielo saranno letti dai beati. Letti, ho detto. Ma, in verità, basterà guardare Iddio per conoscere non solo Dio, ma anche la sua infinita sapienza…
 8 Abbiamo fatto venire il tramonto della luna, Simone… Presto è l’alba e tu non hai dormito…».
   «Non importa, Maestro. Ho perduto poche ore di sonno e acquistato tanta sapienza. E sono stato con Te. Ma se Tu lo permetti, ora vado. Non a dormire. Ma a ripensare alle tue parole». È già sulla porta e sta per uscire quando si ferma pensieroso e poi dice: «Ancora una cosa, Maestro. È giusto che io dica, a qualcuno che soffre, che il dolore non è un castigo ma è una… grazia, una cosa come… come la nostra chiamata, bella anche se faticosa, bella anche se, a chi non sa, può parere brutta e triste cosa?».
   «Lo puoi dire, Simone. È la verità. Il dolore non è un castigo, quando lo si sa accogliere e usare con giustizia. Il dolore è come un sacerdozio, Simone. Un sacerdozio aperto a tutti. Un sacerdozio che dà un gran potere sul cuore di Dio. E un grande merito. Nato col peccato, sa placare la Giustizia. Perché Dio sa usare al Bene anche quanto l’Odio ha creato per dare del dolore. Io non ho voluto altro mezzo per annullare la Colpa. Perché non vi è mezzo più grande di questo».

   Cap. DXCIII. Lunedì notte al Getsemani con gli apostoli.

   6 marzo 1945.

 1 Gesù è ancora, a sera, nell’uliveto. Ed è coi suoi apostoli. E di nuovo parla.
   «E ancora un altro giorno è passato. Ora la notte e poi domani, e poi un altro domani, e poi la cena pasquale».
   «Dove la terremo, Signor mio? Quest’anno vi sono anche le donne», chiede Filippo.
   «E non abbiamo ancora provveduto a nulla e la città è piena oltre misura. Sembra che quest’anno tutto Israele, fino al più lontano proselite, sia accorso al rito», dice Bartolomeo.
   Gesù lo guarda e, come se recitasse un salmo, dice: (prendendo da Ezechiele 39, 17. Più sotto si riferirà a: Ezechiele 14, 12-13; Daniele 7; Osea 6, 1-6; 8, 11-14; Malachia 1, 10-11; 2, 3-6; e preluderà ad Apocalisse 11, 15-17). «Radunatevi, affrettatevi, accorrete da ogni parte alla mia vittima che immolo per voi, alla grande Vittima immolata sui monti d’Israele, a mangiare la sua Carne, a bere il suo Sangue».

 2 «Ma quale vittima? Quale? Tu sembri uno che sia preso da una follia fissa. Non parli che di morte… e ci addolori», dice veemente Bartolomeo.
   Gesù lo guarda ancora, lasciando con lo sguardo Simone che si curva su Giacomo di Alfeo e su Pietro e confabula con loro, e dice: «Come? Tu me lo chiedi? Tu non sei uno di questi piccoli che per esser dotti devono ricevere il settiforme lume. Tu eri già dotto nella Scrittura prima che Io ti chiamassi, attraverso a Filippo, in quel dolce mattino di primavera. Della mia primavera. E tu mi chiedi ancora quale è la vittima immolata sui monti, quella a cui verranno tutti per pascersi? E mi dici folle di una fissa follia perché parlo di morte? Oh! Bartolmai! Come il grido delle scolte, Io nella vostra tenebra, che mai si aprì alla luce, ho lanciato una volta, due volte, tre volte il grido annunziatore. Ma voi non l’avete mai voluto capire. Ne avete sofferto al momento, e poi… Come bambini avete dimenticato presto le parole di morte e siete tornati festosi al vostro lavoro, certi di voi e pieni di speranza che le mie e le vostre parole persuadessero sempre più il mondo a seguire ed amare il suo Redentore.
   No.

 3 Solo dopo che questa Terra avrà peccato contro di Me – e ricordate che sono parole del Signore al suo profeta – solo dopo, il popolo, e non solo questo, singolo, ma il grande popolo di Adamo, comincerà a gemere: “Andiamo al Signore. Lui che ci ha feriti ci guarirà”. E dirà il mondo dei redenti: “Dopo due giorni, ossia due tempi dell’eternità, durante i quali ci avrà lasciati in balìa del Nemico, che con ogni arma ci avrà percossi e uccisi come noi percotemmo il Santo e lo uccidemmo – e lo percotiamo e lo uccidiamo, perché sempre vi sarà la razza dei Caini che uccideranno con la bestemmia e le male opere il Figlio di Dio, il Redentore, scagliando frecce mortali non sulla sua eterna glorificata Persona, ma sulla loro anima da Lui riscattata, uccidendola, e uccidendo perciò Lui attraverso le loro anime – solo dopo questi due tempi verrà il terzo giorno, e risusciteremo al suo cospetto nel Regno di Cristo sulla Terra e vivremo dinanzi a Lui nel trionfo dello spirito. Lo conosceremo, impareremo a conoscere il Signore per essere pronti a sostenere, mediante questa conoscenza vera di Dio, l’estrema battaglia che Lucifero darà all’Uomo prima dello squillo dell’angelo dalla settima tromba, che aprirà il coro beato dei santi di Dio, dal numero perfetto in eterno – né il più piccolo pargolo, né il più vecchio vegliardo potrà mai più essere aggiunto al numero – il coro che canterà: ‘Finito è il povero regno della Terra. Il mondo è passato con tutti i suoi abitanti davanti alla rassegna del Giudice vittorioso. E gli eletti sono ora nelle mani del Signor nostro e del suo Cristo, ed Egli è il nostro Re in eterno. Lode al Signore Iddio onnipotente che è, che era e che sarà, perché ha assunto il suo gran potere ed è entrato nel possesso del suo Regno’”.
   Oh! chi fra voi saprà ricordare le parole di questa profezia, già suonante nelle parole di Daniele, con velato suono, ed ora squillata dalla voce del Sapiente davanti al mondo attonito e a voi, più attoniti del mondo?! “La venuta del Re – continuerà il mondo, gemente nelle sue ferite e chiuso nel sepolcro, mal vivo e mal morto, chiuso dal suo settemplice vizio e dalle sue infinite eresie, l’agonizzante spirito del mondo chiuso, coi suoi estremi conati, dentro l’organismo, morto lebbroso per tutti i suoi errori – la venuta del Re è preparata come quella dell’aurora e verrà a noi come la pioggia di primavera e di autunno”.
   L’aurora è preceduta e preparata dalla notte. Questa è la notte. Questa di ora. E che devo farti, Efraim? Che devo farti, o Giuda?…

 4 Simone, Bartolmai, Giuda, e cugini, voi più dotti nel Libro, riconoscete queste parole? Non da uno spirito folle, ma da uno che possiede la Sapienza e la Scienza esse vengono. Come un re che apra sicuro i suoi forzieri, perché sa dove è la data gemma che cerca, avendola messa di sua mano là dentro, Io cito i profeti. Io sono la Parola. Per secoli ho parlato attraverso labbra umane. E per secoli parlerò attraverso labbra umane. Ma tutto quanto è detto di soprannaturale è mia parola. Non potrebbe l’uomo, anche il più dotto e santo, salire, aquila d’anima, oltre i limiti del cieco mondo per carpire e dire i misteri eterni. 
   Il futuro non è “presente” che nella Mente divina. Stoltezza è in coloro che, non sollevati dal nostro Volere, pretendono fare profezie e rivelazioni. E Dio presto li smentisce e colpisce, perché solo Uno può dire: “Io sono”, e dire: “Io vedo”, e dire: “Io so”. Ma quando una Volontà che non si misura, che non si giudica, che va accettata a capo chino dicendo: “Eccomi”, senza discussione, dice: “Vieni, sali, odi, vedi, ripeti”, allora, tuffata nell’eterno presente del suo Dio, l’anima, chiamata dal Signore ad essere “voce”, vede e trema, vede e piange, vede e giubila; allora l’anima, chiamata dal Signore ad esser “parola”, ode e, giungendo a estasi o ad agonico sudore, dice le tremende parole del Dio eterno. Perché ogni parola di Dio è tremenda, essendo veniente da Colui il cui verdetto è immutabile e la Giustizia inesorabile, ed essendo rivolta agli uomini di cui troppo pochi meritano amore e benedizione e non fulmine e condanna. Ora questa parola, che vien detta e vilipesa, non è causa di tremenda colpa e punizione per coloro che, avendola udita, la respingono? Lo è.

 5 E che ancora dovevo farvi, o Efraim, o Giuda, o mondo, che Io non ti abbia fatto? Sono venuto amandoti, o Terra mia, e la mia parola ti fu spada che ti uccide perché tu l’hai aborrita. Oh! Mondo che uccidi il tuo Salvatore credendo di fare cosa giusta, tanto sei insatanassato da non comprendere neppure più quale è il sacrificio che Dio esige, sacrificio del proprio peccato e non di una bestia immolata e consumata con l’anima sozza! Ma che dunque ti ho detto in questi tre anni? Che ho predicato? Ho detto: “Conoscete Dio nelle sue leggi e nella sua natura”. E mi sono seccato, come vaso d’argilla porosa messo al sole, nello spargervi la conoscenza vitale della Legge e di Dio. E tu hai continuato a compiere olocausti senza mai compiere l’unico necessario: l’immolazione al Dio vero della tua mala volontà!
   Ora Dio eterno ti dice, città di peccato, popolo fedifrago – e nell’ora del Giudizio su te sarà usata la sferza che non sarà usata per Roma ed Atene, che èbeti sono e non conoscono parola e sapere, ma che quando, da eterni infanti mal curati dalla loro nutrice e rimasti bestiali nelle loro capacità, passeranno alle braccia sante della mia Chiesa, la mia unica sublime Sposa da cui mi verranno partoriti innumerevoli figli degni del Cristo, diverranno adulte e capaci, e mi daranno regge e milizie, templi e santi da popolarne il Cielo come di stelle – ora Dio eterno ti dice: “Non mi piacete più e non accetterò più dono dalla vostra mano. Esso mi è pari a sterco, ed lo ve lo ributto in faccia e vi resterà attaccato. Le vostre solennità, tutte esteriori, schifo mi fanno. Levo il patto con la stirpe d’Aronne e lo passo ai figli di Levi perché, ecco, questo è il mio Levi, e con Lui in eterno ho fatto un patto di vita e di pace, ed Egli mi fu fedele nei secoli dei secoli, sino al sacrificio. Ebbe il santo timore del Padre e tremò per il suo corruccio di offeso, al solo suono del mio Nome offeso. La legge della verità fu sulla sua bocca, e sulle sue labbra non fu iniquità, camminò con Me nella pace e nell’equità, e molti ritrasse dal peccato. Il tempo è venuto in cui in ogni luogo, e non più sull’unico altare di Sionne, immeritevoli essendo voi di offrirlo, sarà sacrificata e offerta al mio Nome l’Ostia pura, immacolata, accettevole al Signore”.

 6 Le riconoscete le eterne parole?».
«Le riconosciamo, o Signor nostro. E, credi, siamo abbattuti come da percossa. Ma non è possibile deviare il destino?».
«Destino lo chiami, Bartolmai?».
«Non saprei quale altro nome…».
«Riparazione. Ecco il nome. Non si offende, senza che l’offesa vada riparata, il Signore. E Dio Creatore fu offeso dal Primo creato. Da allora sempre si è aumentata l’offesa. E non servì la grande acqua del diluvio, né il fuoco piovuto su Sodoma e Gomorra, a far santo l’uomo. Non l’acqua e non il fuoco. La Terra è una sconfinata Sodoma in cui passeggia libero e re Lucifero. Allora venga una trinità a lavarla: il fuoco dell’amore, l’acqua del dolore, il sangue della Vittima. Ecco, o Terra, il mio dono. Sono venuto per dartelo. Ed ora fuggirei al compimento? È Pasqua. Non si può fuggire».
«Perché non vai da Lazzaro? Non sarebbe fuggire. Ma da lui non saresti toccato».
«Simone dice bene. Te ne supplico, Signore, fallo!», grida Giuda Iscariota gettandosi ai piedi di Gesù.
Al suo atto risponde un grande pianto di Giovanni e, ben ché più composti nel loro dolore, piangono i cugini e Giacomo e Andrea.

 7 «Tu mi credi il “Signore”? Guardami! », e Gesù trivella con i suoi occhi il volto angosciato dell’Iscariota. Perché è realmente angosciato, non finge. Forse è l’ultima lotta della sua anima con Satana, e non la sa vincere.
   Gesù lo studia e ne segue la lotta come uno scienziato potrebbe studiare una crisi di un malato. Poi si alza di scatto e così veementemente che Giuda, appoggiato alle sue ginocchia, ne viene respinto e ricade seduto per terra. Gesù arretra persino, col volto sconvolto, e dice: «Per fare arrestare anche Lazzaro? Doppia preda e doppia gioia, perciò. No. Lazzaro si serba al Cristo futuro, al trionfante Cristo. Solo uno sarà gettato oltre la vita e non tornerà. Io tornerò. Ma egli non tornerà. Ma Lazzaro resta. Tu, tu che sai tante cose, sai anche questa. Ma coloro che sperano di avere doppio guadagno per catturare l’aquila con l’aquilotto, nel nido e senza fatica, possono esser sicuri che l’aquila ha occhio per tutti e che per amore del suo piccolo andrà lungi dal nido, per esser presa lei sola, salvando lui. Vengo ucciso dall’odio e pure continuo ad amare.

 8 Andate. Io resto a pregare. Mai, come nell’ora che vivo, ho avuto bisogno di portare l’anima in Cielo».
   «Lasciami restare con Te, Signore», supplica Giovanni. 
   «No. Avete tutti bisogno di riposo. Vai».
   «Resti solo? E se ti fanno del male? Sembri sofferente anche… io resto», dice Pietro.
   «Tu vai con gli altri. Lasciatemi dimenticare per un’ora gli uomini! Lasciatemi in contatto con gli angeli del Padre mio! Mi suppliranno la Madre, che si macera di pianto e preghiera e che Io non posso aggravare del mio desolato dolore. Andate».
   «Non ci dài la pace?», chiede il cugino Giuda.
   «Hai ragione. La pace del Signore posi su coloro che non sono obbrobrio ai suoi occhi. Addio», e Gesù si interna salendo un balzo nel folto degli ulivi.

 9 «Eppure… quel che dice c’è proprio nella Scrittura! E udito da Lui si capisce perché e per chi è detto», mormora Bartolomeo.
   «Io l’ho detto a Pietro nell’autunno del primo anno…», dice Simone.
   «È vero… Ma… No! Io vivo non lo lascerò prendere. Domani…», dice Pietro.
   «Che farai domani?», chiede l’Iscariota.
   «Che farò? Parlo con me stesso. È tempo di congiura. Neppure all’aria confiderò il mio pensiero. E tu che sei potente, lo hai detto tante volte, perché non cerchi protezione per Gesù?».
   «Lo farò, Pietro. Lo farò. Non ve ne stupite se sarò assente qualche volta. Lavoro per Lui. Non glielo dite, però».
   «Sta’ sicuro. E che tu sia benedetto. Qualche volta ho diffidato di te, ma te ne chiedo scusa. Vedo che sei migliore di noi al momento buono. Tu fai… io non so che parlare a vuoto», dice Pietro, umile e sincero.
   E Giuda ride come lieto della lode. Si avviano fuor del Getsemani, verso la via che va a Gerusalemme.

   Cap. DLXXXV. Il sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. Giudei e pellegrini a Betania. Il Sinedrio ha deciso.

   27 marzo 1947.

 1 Amore e livore spingono molti dei pellegrini riuniti a Gerusalemme, e degli stessi gerosolimitani, a venire a Betania senza neppure attendere che il tramonto sia compiuto. Anzi! Il sole ha appena cominciato il suo tramonto quando i primi di essi vengono alla casa di Lazzaro. E a Lazzaro, che chiamato dai servi si stupisce di questa violazione del sabato, perché i primi venuti sono proprio i più noti fra i più intransigenti giudei, essi dànno questa risposta veramente farisaica: «Dalla porta del Gregge non si vedeva già più la palla del sole, e allora abbiamo iniziato il cammino, pensando che certo non avremmo passato la misura prescritta prima che il sole calasse dietro le cupole del Tempio». 
   Lazzaro ha un sorrisetto ironico sul volto asciutto. Perché è sano, di bell’aspetto, ma grasso non è certo. E risponde loro, con garbo ma anche con un lieve sarcasmo: «E che volete vedere? Il Maestro rispetta il suo sabato. E riposa. Egli non si limita a non vedere la palla del sole per considerare cessato il riposo. Ma attende che sia spento l’ultimo raggio per dire: “Il sabato è finito”». 
   «Lo sappiamo che è perfetto! Lo sappiamo! Ma se abbiamo sbagliato, ragion di più per vederlo. Un poco solo, tanto da essere da Lui assolti». 
   «Mi spiace. Ma non posso. Il Maestro è stanco e riposa. Io non lo disturberò». 

 2 Ma altra gente viene, e questa è fatta di pellegrini di ogni luogo, che pregano, che insistono per vedere Gesù. Con gli ebrei sono mescolati dei gentili, con questi dei proseliti. E osservano, e sbirciano Lazzaro come fosse un essere irreale. E Lazzaro sopporta la noia di questa celebrità non cercata, rispondendo paziente a chi lo interroga. Ma non dà ordine ai servi di aprire il cancello. 
   «Sei tu l’uomo risuscitato da morte?», chiede uno che, all’aspetto, è certo un sangue misto, perché di ebraico non ha che il caratteristico naso piuttosto grosso e spiovente, mentre l’accento e la foggia del vestire lo denunciano come straniero. 
   «Lo sono, per dare gloria a Dio che mi trasse da morte per farmi servo del suo Messia». 
   «Ma fu vera morte?», chiedono altri. 
   «Domandatelo a quei notabili giudei. Essi vennero ai miei funerali e molti furono presenti alla mia risurrezione». 
   «Ma che provasti? Dove eri? Che ricordi? Quando tornasti vivo, che accadde in te? Come ti risuscitò?… Non si può vedere il sepolcro dove eri? Di che moristi? Stai proprio bene ora? Neppure i segni delle piaghe hai più?». 
   Lazzaro, paziente, cerca di rispondere a tutti. Ma, se gli è facile dire che sta proprio bene e che anche i segni delle piaghe si sono cancellati ormai, nei mesi che sono trascorsi da quando è risorto, non può dire ciò che provò e come lo risuscitò. E risponde: «Non so. Mi trovai vivo nel mio giardino, fra i servi e le sorelle. Liberato dal sudario, vidi il sole, la luce, ebbi fame, mangiai, gioii della vita e del grande amore del Rabbi per me. Il resto, più di me, lo sanno coloro che erano presenti. Eccone là tre che parlano. E là due che sopraggiungono». (Sono, questi ultimi, Giovanni e Eleazaro sinedristi, mentre i tre che parlano fra loro sono due scribi e un fariseo che ho visto infatti alla risurrezione di Lazzaro, ma dei quali non ricordo il nome).  
   «Essi non parlano a noi gentili! Andate voi che siete giudei ad interrogarli… 

 3 Ma tu facci vedere il sepolcro dove eri».
   Sono insistenti come più non potrebbero. Lazzaro si decide. Dice qualcosa ai servi e poi si rivolge alla gente: «Andate su quella strada che è fra questa e l’altra mia casa. Vi verrò incontro per condurvi al sepolcro, per quanto non vi sia da vedere che un foro aperto in uno strato di roccia». 
   «Non importa! Andiamo! Andiamo!». 
   «Lazzaro! Fermati! Possiamo venire noi pure? O per noi è vietato ciò che si concede a stranieri?», dice uno scriba. 
   «No, Archelao. Vieni pure, se non ti è contaminazione avvicinarti ad un sepolcro». 
   «Non è tale, poiché non contiene la morte». 
   «Ma la contenne per quattro giorni. Per molto meno si è reputati immondi in Israele! Colui che sfiora con la veste uno che toccò un cadavere, voi dite che è immondo. E il mio sepolcro manda ancora zaffate di morte, nonostante sia aperto da tanto». 
   «Non importa. Ci purificheremo». 
   Lazzaro guarda i due farisei Giovanni e Eleazaro, e dice loro: «Anche voi venite?». 
   «Sì, veniamo». 

 4 Lazzaro va svelto verso il lato limitato dalle siepi, alte e compatte come muri, e apre un cancello inserito in una di esse e si affaccia sulla strada che conduce alla casa di Simone, facendo cenno a chi attende di venire avanti. Li conduce verso il sepolcro. Un rosaio in fiore ne contorna l’entrata, ma non è valido ad annullare l’orrore che emana una tomba aperta. Sulla roccia inclinata sotto l’arco fiorito si leggono le parole: «Lazzaro, vieni fuori!». 
   I malevoli le vedono subito e dicono subito: «Perché hai fatto scolpire là quelle parole? Non dovevi!». (In ossequio alla prescrizione di: Levitico 26, 1).
   «Perché? Nella mia casa posso fare ciò che voglio, e nessuno può accusarmi di peccato se ho voluto fissare sulla roccia, perché fossero incancellabili, le parole del grido divino che mi rese la vita. Quando io sarò là dentro e non potrò più celebrare la potenza misericordiosa del Rabbi, voglio che il sole le legga ancora sulla pietra e che le imparino le piante dai venti, le carezzino gli uccelli e i fiori, continuando per me a benedire il grido del Cristo che mi trasse da morte». 
   «Sei un pagano! Un sacrilego, sei! Tu bestemmi il nostro Dio. Tu celebri il sortilegio del figlio di Belzebù. Bada, Lazzaro!». 
   «Vi ricordo che sono nella mia casa e che siete nella mia casa, venuti non chiamati e per scopi indegni. Siete peggio di questi, che sono pagani ma riconoscono un Dio nel risuscitatore». 
   «Anatema! Tale il Maestro, tale il discepolo. Orrore! Andiamo! Via da questa cloaca impura. Corruttore d’Israele, il Sinedrio ricorderà le tue parole». 
   «E Roma i vostri complotti. Uscite!». Lazzaro, sempre mite, si ricorda di esser figlio di Teofilo e li scaccia come un branco di cani. 

 5 Restano i pellegrini di ogni paese e chiedono, e guardano, e implorano di vedere il Cristo. 
«Lo vedrete in città. Ora no. Non posso». 
   «Ah! ma viene in città? Proprio? Non menti? Viene anche se lo odiano tanto?». 
   «Viene. Andate ora, tranquilli. Vedete come riposa la casa? Non si vede persona né si sente una voce. Avete visto quanto volevate: il risorto e il luogo della sua sepoltura. Ora andate. Ma non fate che la curiosità sia sterile. Possa l’avermi visto, io vivente prova del potere di Gesù Cristo, l’Agnello di Dio e il Messia Ss., portarvi tutti sulla sua via. Per questa speranza io sono contento d’esser risorto, perché spero che il miracolo possa scuotere i dubbiosi e convertire i pagani, facendoli persuasi tutti che uno solo è il vero Dio e uno solo è il vero Messia: Gesù di Nazaret, Maestro santo». 
   La gente sfolla malvolentieri, e se uno va dieci vengono, perché nuova gente continua a venire. Ma Lazzaro riesce, con l’aiuto di alcuni servi, a spingere fuori tutti e a chiudere i cancelli. 

 6 Fa per ritirarsi ordinando: «Sorvegliate che non forzino le chiusure o le scavalchino. Presto scenderà la sera e se ne andranno ai loro ricoveri», quando vede uscire da dietro una macchia di mirti Eleazaro e Giovanni.
   «Che? Non vi avevo visto e credevo…». 
   «Non ci cacciare. Siamo penetrati in un folto per non esser visti. Dobbiamo parlare al Maestro. Siamo venuti noi perché meno sospettati di Giuseppe e Nicodemo. Ma non vorremmo essere visti da nessuno fuorché da te e dal Maestro… Sono fidati i tuoi servi?». 
   «In casa di Lazzaro usa il costume di vedere e sentire solo ciò che piace al padrone e di non sapere per gli estranei. Ma venite. Per questo sentiero, fra queste due pareti di verzura più opache di un muro». Li conduce nel viottolo che è fra la duplice barriera impenetrabile dei bossoli e degli allori.
   «State. Vi condurrò Gesù». 
   «Che nessuno se ne accorga!…». 
   «Non temete». 

 7 L’attesa dura poco. Presto sul sentiero, semi-oscuro per l’intreccio dei rami, appare Gesù, tutto bianco nella veste di lino, e Lazzaro resta al limite del sentiero come fosse di guardia o per prudenza. Ma Eleazaro gli dice, e più che dire gli fa cenno: «Vieni qui».
   Lazzaro si avvicina mentre Gesù saluta i due, che lo ossequiano profondamente. 
   «Maestro, e tu Lazzaro, ascoltate. Non appena s’è sparsa la voce che Tu sei venuto e che qui sei, il Sinedrio si è riunito in casa di Caifa. Tutto è abuso di quanto si fa… E ha deciso… Non ti lusingare, Maestro! Stai guardingo, Lazzaro! Non vi seduca la finta pace, l’apparente sonnolenza del Sinedrio. È una finta, Maestro. Una finta per attirarti e prenderti senza che la folla si agiti e si prepari a difenderti. È segnata la tua sorte e il decreto non si muta. Che sia domani o fra un anno, si compirà. Il Sinedrio non dimentica mai le sue vendette. Attende, sa attendere l’occasione propizia, ma poi!… E anche tu, Lazzaro. Vogliono levarti di mezzo, prenderti, sopprimerti, perché per tua causa troppi li abbandonano per seguire il Maestro. Tu, lo hai detto con giusta parola, sei la testimonianza del suo potere. E la vogliono distruggere. Le folle presto dimenticano, essi lo sanno. Scomparsi tu e il Rabbi, si spegneranno molti ardori». 
   «No, Eleazaro! Fiammeggeranno!», dice Gesù. 
   «Oh! Maestro! Ma che sarà se Tu sarai morto? Che ci farà che la fede in Te fiammeggi, anche che ciò sia, se Tu sarai spento? Io speravo poterti dire soltanto una cosa lieta e farti un invito: la mia sposa presto darà alla luce il figlio che la tua giustizia ha fatto fiorire rimettendo pace fra due cuori in tempesta. Nascerà per Pentecoste. Io ti vorrei dire di venire a benedirlo. Se Tu entri sotto il mio tetto, ogni sciagura sarà per sempre lontana da esso», dice il fariseo Giovanni. 
   «Ti do sin da ora la mia benedizione…». 
   «Ah! Tu non vuoi venire da me! Non mi credi leale! Lo sono, Maestro! Dio mi vede!». 
   «Lo so. È che… non sarò più fra voi per Pentecoste». 
   «Ma il bambino nascerà nella casa di campagna…». 
   «Lo so. Ma Io non ci sarò. Eppure tu, la tua sposa, il nascituro e i figli che già hai, hanno la mia benedizione. Grazie di essere venuti. Ora andate. Conducili per il sentiero oltre la casa di Simone. Che non siano visti… Io torno in casa. La pace a voi…».

   Cap. DLXXXVI. Il sabato avanti l’entrata in Gerusalemme. La cena di Betania. Giuda di Keriot ha deciso.

   28 marzo 1947.

 1 La cena è stata preparata nella sala tutta bianca dove Gesù parlò alle discepole. Ed è tutto uno splendore di bianco e di argento, nel quale mettono una sfumatura meno nivea e fredda dei fasci di rami di melo o di pero, o altra pianta da frutto, candidi come la neve, ma con un così lieve ricordo di rosa che fa pensare a neve sfiorata da un bacio di lontana aurora. Si ergono, da vasi panciuti o da esili anfore d’argento, sulle mense e sugli scrigni e le credenze che sono lungo le pareti della sala. I fiori spargono per la sala il caratteristico odore dei fiori di pianta da frutto, di fresco, di amarognolo, di primavera pura…
   Lazzaro entra nella sala al fianco di Gesù. Dietro, due a due, o a gruppi più folti, gli apostoli. Ultime, le due sorelle di Lazzaro con Massimino.
   Non vedo le discepole. Neppure Maria vedo. Forse hanno preferito rimanere nella casa di Simone intorno alla Madre afflitta.
   Il giorno volge al crepuscolo. Ma un superstite ricordo di sole colpisce ancora la chioma frusciante di alcune palme, riunite in gruppo a pochi metri dalla sala, e la vetta di un lauro gigantesco in cui rissano i passeri prima di porsi a riposo. Oltre le palme e il lauro, oltre le siepi di rose, di gelsomini, e le aiuole di mughetti, di altri fiori e pianticine odorifere, la macchia candida, spruzzata del verde tenero delle prime foglie, di un gruppo di meli o di peri tardivi nel frutteto. Sembra una nuvola rimasta impigliata fra i rami.

 2 Gesù, nel passare vicino ad un’anfora piena di rami, osserva: «Avevano già i primi frutticini. Guarda! Sulla cima fiori, mentre più in basso è già caduto il fiore e gonfia l’ovario».
   «È Maria che li ha voluti cogliere. Ne ha portato fasci anche a tua Madre. Si è alzata all’alba, io credo, per paura che un giorno di più di sole consumasse queste fragili corolle. Io ho saputo da poco di questa strage. Ma non ne ho avuto lo sdegno che ne ebbero i servi agricoltori. Ho pensato, anzi, che era giusto offrirti tutte le bellezze del creato, a Te, Re di tutte le cose».
   Gesù si siede sorridendo al suo posto e guarda Maria, che insieme alla sorella si appresta a servire come fosse un’ancella, porgendo le coppe della purificazione e gli asciugatoi, e poi versando il vino nei calici e posando i vassoi di vivande sulla tavola man mano che i servi li portano dalle cucine o li porgono, dopo averli scalcati sulle credenze.
   Naturalmente, se le sorelle servono con cortesia tutti i commensali, la loro premura è specialmente concentrata sui due commensali che sono a loro dilettissimi: Gesù e Lazzaro.

 3 Ad un certo punto Pietro, che mangia di gusto, osserva: «Guarda! Mi accorgo ora! Tutti piatti come si usa in Galilea. Mi sembra… Ma sì! Mi sembra di essere ad un pranzo di nozze. Però qui non manca il vino come mancò a Cana».
   Maria sorride mescendo all’apostolo un nuovo calice di vino ambrato e limpidissimo. Ma non parla.
   È ancora Lazzaro che spiega: «Questo fu infatti il pensiero delle sorelle, e specie di Maria: dare una cena in cui il Maestro avesse l’impressione di essere nella sua Galilea, certo migliore, molto migliore, sebbene essa pure imperfetta, di ciò che non siano questi luoghi…».
   «Ma per fargli pensare questo ci sarebbe voluta Maria a questa tavola. A Cana c’era. Per Lei avvenne il miracolo», osserva Giacomo d’Alfeo.
   «Doveva essere un gran vino quello! ».
   «Vino è simbolo di allegria e dovrebbe esserlo anche di fecondità, essendo il vino succo della feconda vite. Ma non mi sembra che abbia fecondato molto. Susanna non ha un figlio», dice l’Iscariota. 
   «Oh! se era un vino! Ci ha fecondati nello spirito…», dice Giovanni sognante un poco, come è sempre quando contempla nel suo interno i miracoli operati da Dio. E termina: «Per una vergine è stato fatto… e influsso di purezza scese in chi lo gustò».
   «Ma credi Susanna vergine?», chiede ridendo l’Iscariota.
   «Non ho detto questo. Vergine è la Madre del Signore. Verginità si emana da tutto ciò che per Lei si è compiuto. Sempre io penso come sono verginizzanti tutte le cose che per Maria si fanno… », e sogna di nuovo, sorridendo a chissà che visione.
   «Beato quel ragazzo! Io credo che non ricorda più neppure il mondo, ora. Osservatelo», dice Pietro indicando Giovanni che, sdraiato sul suo lettuccio, smuove sopra pensiero dei pezzetti di pane dimenticandosi di mangiare.
   Anche Gesù si curva un poco per guardare Giovanni, che è a un angolo del lato della tavola messa a U, e perciò un poco dietro alle spalle del Signore, che è al centro del lato centrale, avendo suo cugino Giacomo a sinistra e Lazzaro a destra, e dopo Lazzaro è lo Zelote e Massimino, come dopo Giacomo è l’altro Giacomo e Pietro. Giovanni, invece, è fra Andrea e Bartolomeo, poi è Tommaso, avendo di fronte Giuda, Filippo e Matteo e il Taddeo, che è proprio all’angolo dove la tavola lunga, centrale, incomincia.

 4 Maria di Lazzaro esce dalla sala, mentre Marta mette sulla tavola dei vassoi colmi di fiori di fichi novelli, di verdi steli di finocchio e mandorle fresche sgusciate, fragoloni o lamponi, che so io, che sembrano ancor più rossi in mezzo agli smeraldi pallidi dei finocchi e delle fiore e al latteo delle mandorle, dei piccoli poponi o altro frutto del genere… mi sembrano quei poponi verdi della bassa Italia, e aranci dorati.
   «Già di questi frutti? Non ne ho visti in nessun luogo di maturi», dice sgranando gli occhi Pietro, accennando le fragole e i poponi.
   «Sono venuti in parte dalle sponde oltre Gaza, dove ho un orto di questi prodotti, e parte dalle terrazze solari che ho sopra la casa, i vivai delle pianticine più delicate che occorre proteggere dal gelo. Me ne insegnò l’uso un amico romano… Non mi insegnò che questo di buono…». Lazzaro si incupisce. Marta sospira… Ma Lazzaro torna subito il perfetto ospite che non dà tristezze ai suoi invitati: «Molto si usa, nelle ville di Baia e Siracusa e lungo l’arco di Sibari, coltivare di queste delizie con questo metodo per averle precocemente. Mangiate: gli ultimi frutti negli aranci libici, i primi nei poponi d’Egitto cresciuti nei solari e in queste frutta latine, e le mandorle bianche della nostra patria, le fave tenere, i digestivi steli che sanno d’anaci… 

 5 Marta, hai pensato al bambino?».
   «A tutti ho pensato. Maria si è commossa ricordando l’Egitto …».
   «Ne avevamo qualche pianta nel povero orto. Nei grandi caldi era una festa immergere i poponi nel pozzo del vicino, che era fondo e freddo, e mangiarne la sera… Ricordo… E avevo una capretta golosa che bisognava guardare, perché era ghiotta delle piante e delle frutta tenerelle…». Gesù, che parlava a capo un po’ chino, alza la testa e guarda le palme stormenti nel vento della sera che cala: «Quando vedo quelle palme… Sempre che vedo le palme, rivedo l’Egitto, la sua terra gialla e sabbiosa che il vento smuoveva così facilmente, e lontano tremolavano nell’aria rarefatta le piramidi… e i fusti alti dei palmizi… e la casa dove… Ma è inutile dire. A ogni tempo il suo affanno… E con il suo affanno la sua gioia… Lazzaro, mi daresti qualcuno di questi frutti? Li vorrei portare a Maria e Mattia. Non credo che Giovanna ne abbia».
   «Non ne ha. Lo diceva ieri proponendosi di metterne a Bétèr, facendo costruire i solari. Ma non te li do ora. Ho colto quanti ne avevo e per qualche giorno mancano dei frutti maturi. Te li manderò, oppure mandali a prendere entro giovedì. Ne prepareremo un grazioso canestro per quei fanciulli. Non è vero, Marta?».
   «Sì, fratello mio. E vi metteremo i piccoli gigli delle convallarie, che a Giovanna piacciono tanto».

 6 Rientra Maria Maddalena. Ha nelle mani un’anfora dall’esile collo, terminante in un beccuccio, aggraziato come gola di uccello. L’alabastro è di un prezioso colore giallo rosato, come certe carni di bionde. Gli apostoli la guardano, forse credendo che porti qualche ghiottoneria rara. Ma Maria non va al centro, fra 1’U della tavola, dove è la sorella. Passa dietro i sedili-lettucci, va a collocarsi fra quello di Gesù e Lazzaro e quello dove sono i due Giacomi. Stura il vaso d’alabastro e pone la mano sotto il beccuccio, raccogliendo alcune gocce di un liquido filante che geme lentamente dall’anfora aperta. Un acuto odore di tuberose e altre essenze, un profumo intenso e buonissimo, si sparge per la sala.
   Ma Maria non è contenta di quel poco che viene. Si china e infrange con un colpo sicuro il collo dell’anfora contro lo spigolo del lettuccio di Gesù. Il collo esile cade a terra spargendo sui marmi del pavimento gocce profumate. Ora l’anfora ha un’ampia bocca e l’esuberanza dell’unguento ne trabocca in righe pesanti.
   Maria si pone alle spalle di Gesù e sparge l’olio spesso sul capo del suo Gesù, ne cosparge tutte le ciocche, le stende e poi le ravvia col pettine che si leva dai capelli, le ricompone in ordine sul capo adorato. La testa biondo-rossa di Gesù splende come un oro cupo, lucidissimo dopo quest’unzione. La luce del lampadario, che i servi hanno acceso, si riflette sul capo biondo di Cristo come su un casco di un bronzo ramato bellissimo. Il profumo è inebriante. Penetra nelle nari, sale al capo, quasi è stuzzicante come una polvere starnutatoria tanto è acuto, sparso così senza misura.
   Lazzaro, col capo girato all’indietro, sorride vedendo con qual cura Maria unge e ravvia le ciocche di Gesù perché il suo capo appaia ordinato dopo l’odorosa frizione, mentre non si cura che le sue trecce, non più sorrette dal largo pettine che aiuta le forcine nel loro compito, stanno abbassandosi sempre più sul collo, prossime ad allentarsi del tutto giù per le spalle.
   Anche Marta guarda e sorride. Gli altri parlano fra loro a bassa voce e con diverse espressioni sul viso.
   Ma Maria non è sazia ancora. Vi è ancora molto unguento nel vaso spezzato, e i capelli di Gesù, per quanto siano folti, ne sono già saturi. Allora Maria ripete il gesto d’amore di una sera lontana. Si inginocchia ai piedi del lettuccio, scioglie le fibbie dei sandali di Gesù e scalza i piedi di Lui e, tuffando le lunghe dita della bellissima mano nel vaso, ne trae quanto più unguento può, e lo stende, lo sparge sui piedi nudi, dito per dito, poi la pianta e il calcagno e su, al malleolo, che scopre gettando indietro la veste di lino, per ultimo sul dorso dei piedi, indugia là sui metatarsi dove entreranno i chiodi tremendi, insiste sinché non trova più balsamo nel cavo del vasello, e allora lo infrange al suolo e, libere le mani, si spunta le grosse forcine, si scioglie svelta le trecce pesanti e asporta, con quella matassa d’oro, viva, morbida, fluente, quanto supera dell’unzione dai piedi, stillanti balsamo, di Gesù.

 7 Giuda – fin qui aveva taciuto, osservando con sguardo impuro di lussuria e di invidia la bellissima donna e il Maestro che ella ungeva sul capo e sui piedi – alza la voce, unica voce di aperto rimprovero; gli altri, non tutti ma alcuni, avevano avuto qualche mormorio o gesto di disapprovazione stupita ma anche pacata. Ma Giuda, che si è alzato anche in piedi per vedere meglio l’unzione sparsa sui piedi di Cristo, dice con mal garbo: «Quale inutile e pagano sciupìo! Perché farlo? E poi non si vuole che i Capi del Sinedrio mormorino di peccato! Codesti sono atti di cortigiana lasciva e non si addicono alla nuova vita che tu conduci, o donna. Troppo ricordano il tuo passato!».
   L’insulto è tale che tutti restano sbalorditi. È tale che tutti si agitano, chi sedendosi sui lettucci, chi balzando in piedi, tutti guardando Giuda come fosse uno impazzito d’improvviso.
   Marta avvampa. Lazzaro si alza di scatto picchiando un pugno sul tavolo e dice: «In casa mia…», ma poi guarda Gesù e si frena.
   «Sì. Mi guardate? Tutti avete mormorato in cuor vostro. Ma ora, perché io mi sono fatto vostra eco e ho detto apertamente ciò che pensavate, ecco che siete pronti a darmi torto. Ripeto ciò che ho detto. Non voglio già dire che Maria sia l’amante del Maestro. Ma dico che certi atti non si convengono né a Lui né a lei. È un’azione imprudente. E ingiusta, anche. Sì. Perché questo spreco? Se ella voleva distruggere i ricordi del suo passato, poteva dare a me quel vaso e quell’unguento. Almeno una libbra di nardo puro era! E di gran pregio. Lo avrei venduto per trecento denari al minimo, ché un nardo di tal pregio va su quel prezzo. E potevo vendere il vaso che era bello e prezioso. Avrei dato ai poveri, che ci assediano, questi denari. Non bastano mai. E domani, a Gerusalemme, senza numero saranno quelli che chiedono un obolo».
   «Questo è vero!», assentono gli altri.
   «Potevi usarne un poco per il Maestro e l’altro …».

 8 Maria di Magdala è come fosse sorda. Continua a detergere i piedi di Cristo con i suoi capelli sciolti, che ora, giù nel basso, sono pesanti di unguento essi pure e più scuri che sull’alto del capo. I piedi di Gesù sono lisci e morbidi nel loro color di avorio vecchio, come fossero coperti di un’epidermide novella. E Maria calza di nuovo i sandali al Cristo e bacia ogni piede prima e dopo di averlo calzato, sorda ad ogni cosa che non sia il suo amore per Gesù.
   Il quale la difende posandole una mano sulla testa, curva nell’ultimo bacio, e dicendo: «Lasciatela fare. Perché le date pena e molestia? Voi non sapete ciò che ella ha fatto. Maria ha compiuto un’azione doverosa e buona verso di Me. I poveri saranno sempre fra voi. Io sto per andarmene. Essi li avrete sempre, ma Me presto non mi avrete più. Ai poveri potrete dare sempre un obolo. A Me fra poco, al Figlio dell’uomo fra gli uomini, non sarà più possibile dare onore alcuno, per volere di uomini e perché l’ora è venuta. L’amore le è luce. Ella sente che Io sto per morire e ha voluto anticipare al mio corpo le unzioni per la sepoltura. In verità vi dico che là dove sarà predicata la Buona Novella sarà fatta ricordanza di questo suo atto d’amore profetico. In tutto il mondo. In tutti i secoli. Volesse Iddio far di ogni creatura un’altra Maria, che non calcola valore, che non nutre attaccamento, che non serba un ricordo anche minimo del passato, ma distrugge e calpesta ogni cosa della carne e del mondo, e si infrange e si sparge, come fece del nardo e dell’alabastro, sul suo Signore, e per amore di Lui. Non piangere, Maria. Io te le ripeto in quest’ora le parole dette a Simone fariseo e a Marta tua sorella: “Tutto ti è perdonato perché tu hai saputo amare totalmente“. “Tu hai scelto la parte migliore. E non ti verrà tolta”. Va’ in pace, mia dolce pecorella ritrovata. Va’ in pace. I pascoli dell’amore saranno il tuo cibo in eterno. Alzati. Bacia anche le mie mani che ti hanno assolta e benedetta… Quanti hanno assolto, benedetto, guarito, beneficato, queste mie mani! Eppure Io vi dico che il popolo che lo ho beneficato sta apprestando a queste mani la tortura…».

 9 Si fa un silenzio pesante, nell’aria pesante dell’acuto profumo. Maria, i capelli sciolti sulle spalle a farle manto e sul volto a farle velo, bacia la destra che Gesù le porge e non sa staccare da essa le labbra…
   Marta, commossa, le viene vicino e le raccoglie i capelli disciolti, li intreccia carezzandola poi e stendendole il pianto sulle gote nel tentativo di asciugarlo…
   Nessuno ha più voglia di mangiare… Le parole di Cristo fanno pensosi.
   Il primo ad alzarsi è Giuda d’Alfeo. Chiede licenza di ritirarsi. Giacomo suo fratello lo imita e così fanno Andrea e Giovanni. Restano gli altri, ma già in piedi, intenti a purificarsi le mani ai bacili d’argento che i servi porgono loro. Maria e Marta lo fanno col Maestro e con Lazzaro.

10 Entra un servo e si china a parlare a Massimino.
   «Maestro», dice questo dopo averlo ascoltato, «ci sono delle persone che vorrebbero vederti. Vengono di lontano, dicono. Che facciamo?».
   Gesù chiama Filippo, Giacomo di Zebedeo e Tommaso, e ordina: «Andate, evangelizzate, guarite, fate in mio Nome. Annunciate che domani salirò al Tempio».
   «Sarà bene dirlo, questo, Signore?», chiede Simone Zelote.
   «È inutile tacerlo poiché già è detto, dai nemici più che dagli amici, nella Città santa. Andate! ».
   «Uhm! Finché lo sanno gli amici… si sa. Ma essi non tradiscono. Io non so come possano saperlo gli altri».
   «Fra i molti amici è sempre qualche nemico, Simone di Giona. Troppi ormai sono… gli amici, e con troppa facilità vengono accolti per tali. Se penso quanto dovetti pregare e attendere io! … Ma erano i primi tempi e si era guardinghi. Poi i trionfi abbagliarono e non si fu più guardinghi. E fu male. Ma ciò avviene a tutti i vincitori. Le vittorie offuscano la limpidezza del vedere e indeboliscono la prudenza nell’agire. Parlo di noi discepoli, naturalmente. Non del Maestro. Egli è perfetto. Fossimo rimasti noi dodici, non si dovrebbe tremare per tema di tradimenti! », mente spudoratamente Giuda di Keriot.
   È indescrivibile lo sguardo che Cristo posa sull’apostolo traditore. Uno sguardo di richiamo e di dolore infiniti. Ma Giuda non lo raccoglie. Passando davanti alla tavola, si avvia per uscire…

11 Gesù lo segue con lo sguardo e, quando lo vede proprio uscire, gli chiede: «Dove vai?».
   «Fuori…», risponde evasivamente Giuda.
   «Fuori da questa stanza, o fuori da questa casa?».
   «Fuori… Così… A camminare un poco».
   «Non andare, Giuda. Resta con Me, con noi…».
   «Sono andati via i tuoi fratelli e Giovanni con Andrea. Perché non devo andare io?».
   «Tu non vai a riposare come loro…».
   Giuda non risponde, ma esce caparbio. Le parole si sono taciute nella sala. Gli ospiti e i quattro apostoli rimasti – Pietro, Simone, Matteo e Bartolomeo – si guardano fra loro.
   Gesù guarda fuori. Si è alzato andando ad una finestra per seguire le mosse di Giuda e, quando lo vede uscire dalla casa col mantello già indossato e avviarsi verso il cancello che da qui non si vede, lo chiama forte: «Giuda! Attendimi. Ti devo dire una cosa», e respinge dolcemente Lazzaro che, intuendo un dolore nel suo Maestro, lo aveva cinto con un braccio alla vita; ed esce dalla sala, raggiungendo Giuda che ha continuato a camminare sebbene più lentamente.

12 Lo raggiunge a un buon terzo della distanza tra la casa e la cinta del giardino, presso un boschetto di piante dalle spesse foglie, che sembrano di ceramica verde cupa tutta spruzzata di piccoli fiori a ciocche, e ogni fiore è una crocetta con petali pesanti come fossero fatti di cera appena ingiallita, dal profumo intenso. Non ne so il nome.
   Lo attira dietro quel folto e, sempre tenendogli la mano stretta sull’avambraccio, gli torna a chiedere: «Dove vai, Giuda? Te ne prego, resta qui! ».
   «Tu che sai tutto perché me lo chiedi? Che bisogno hai di chiedere, Tu che leggi nel cuore degli uomini? Lo sai che vado dai miei amici. Non mi concedi di andarvi. Essi mi sollecitano. Vado».
   «I tuoi amici! La tua rovina, devi dire! Tu vai a quella. Vai ai tuoi veri assassini. Non andare, Giuda! Non andare! Tu vai a commettere un delitto… Tu…».
   «Ah! hai paura?! Hai finalmente paura?! Ti senti uomo, finalmente! Sei un uomo! Nulla più di un uomo! Perché solo l’uomo ha paura della morte. Dio sa che non può morire. Se ti sentissi Dio, sapresti che non potresti morire e non avresti paura. Perché Tu, ora, ora che ti senti vicina la morte, l’hai questa paura comune a tutti gli uomini, e cerchi, con tutti i mezzi, di allontanarla, e vedi da per tutto e in ogni cosa un pericolo. Dove sono le tue belle audacie? Dove le proteste sicure di esser contento, di essere sitibondo di compiere il Sacrificio? Non ne hai più neppure un’eco in cuore! Credevi che non venisse mai quest’ora, e allora facevi il forte, il generoso, dicevi le frasi solenni. Va’! Non sei da meno di quelli che Tu rimproveri come ipocriti! Ci hai lusingati e traditi. E noi che avevamo per Te lasciato ogni cosa! Noi che per causa tua siamo odiati! Tu sei la causa della nostra rovina… ».
   «Basta. Va’! Va’! Non sono passate molte ore che tu mi hai detto: “Aiutami a rimanere. Difendimi!”. L’ho fatto. A che è giovato? Dimmi ancora una cosa, e rifletti prima di dirla. È questa la tua pura volontà? Questa di andare dai tuoi amici, di preferirli a Me?».
   «Sì. È questa. Non ho bisogno di riflettere, perché da tempo non ho che questa volontà».
   «E allora va’. Dio non violenta la volontà dell’uomo», e Gesù gli volge le spalle tornando lentamente verso la casa.

13 Quando è prossimo ad essa, alza il capo attirato dallo sguardo che Lazzaro, ritto al posto di prima, tiene puntato su Lui. Ed è un ben pallido viso quello che si sforza di sorridere all’amico fedele.
   Rientra nella sala dove i quattro apostoli parlano con Massimino, mentre Marta e Maria dirigono il lavoro dei servi, che riordinano la sala levando le stoviglie e le biancherie usate nel convito.
   Lazzaro è andato sulla soglia e ha cinto di nuovo Gesù alla cintura e, passando presso un servo, gli dice: «Portami quel rotolo che è sul tavolo della mia stanza di lavoro».
   Conduce Gesù su uno di quegli ampi sedili che sono nell’incassatura delle finestre, perché si sieda. Ma Gesù resta in piedi, sforzandosi di prestare attenzione a quanto gli dice Lazzaro… ma è visibile che il suo pensiero è altrove e che il suo cuore è molto afflitto benché, quando si accorge di essere osservato dagli apostoli, sorrida per dissipare il sospetto che è nel cuore di chi lo ha avvicinato circondandolo e che bisbiglia col vicino e ammicca accennando al Maestro.
   Il servo torna col rotolo e Pietro, visto che quelle pergamene contengono cose più alte di quanto la sua testa possa capire, si ritira dicendo: «I pesci non abboccano a certi cibi. Meglio parlare con Massimino di piante e colture».

14 Marta continua il suo lavoro. “Maria, anche tacendo, prende parte ai discorsi di Lazzaro, che segnala al Maestro alcuni punti scritti sulle pergamene, dicendo: «Non ha una preveggenza singolare questo pagano? Più che molti fra noi. Forse… se fosse stato qui, mentre Tu sei il Maestro nostro, sarebbe stato fra i tuoi discepoli, e uno dei migliori. E ti avrebbe capito come molti fra noi non sanno. E quale poema avrebbe tratto al suo genio l’ammirazione per Te! Le tue parole raccolte e conservate da uno spirito che è luminoso pur essendo di pagano! La tua vita descritta da questo intelletto aperto e limpido! Noi non abbiamo più scrittori e poeti. Tu sei nato tardi. Quando l’egoismo della vita e la corruzione religioso-sociale hanno estinto in noi poesia e genio. Ciò che senza conoscerti hanno scritto di Te i nostri sapienti e profeti non ha trovato riscontro nella voce viva di un tuo seguace. I tuoi prediletti, i tuoi fedeli sono, per la più parte, gente senza istruzione. E gli altri… No. Non abbiamo più degli scioelet (dico come è pronunciato Gli ebrei chiamavano così coloro che parlavano alle adunanze. I libri sapienziali sono composti delle parole degli scioelet raccolte nei rotoli delle Scritture) per tramandare alle folle le tue sapienze e la tua figura. Non li abbiamo più, perché manca lo spirito e la volontà più che la capacità di farlo. La parte umanamente più eletta di Israele è sorda come una tromba guastata e non sa più cantare le glorie e meraviglie di Dio. Il mio timore è che tutto si perda o venga alterato, parte per incapacità, parte per malvolere… ».
   «Non accadrà. Lo Spirito del Signore, quando sarà stabilito nell’interno dei cuori, ripeterà le mie parole e ne spiegherà il significato. È lo Spirito di Dio Colui che parla sulle labbra del Cristo. Poi… Poi parlerà
direttamente agli spiriti e ricorderà le mie parole».

15 «Oh! fosse presto! Presto, poiché le tue parole sono così poco ascoltate e meno capite. Io penso che violento come fuoco che divampi sarà il ruggire dello Spirito di Dio per scolpire nelle menti, con la violenza, ciò che non vollero accogliere perché era dolce e mite. Io penso che il fiammeggiante Spirito brucierà con le sue fiamme le tiepide o torpide coscienze, scrivendo su esse le tue parole. Il mondo dovrà amarti. L’Altissimo lo vuole! Ma quando sarà?», dice la Maddalena col suo solito impeto.
   «Quando Io mi sarò consumato nel Sacrificio d’amore. Allora l’Amore verrà. Sarà come la fiamma bella che si alza dalla Vittima immolata. E non si spegnerà questa fiamma, perché non cesserà il Sacrificio. Stabilito che sia, durerà per tutto il tempo della Terra».
   «Ma allora… Tu dovresti proprio essere immolato perché ciò avvenisse!».
   «Così è». Gesù ha il suo gesto solito di adesione alla propria sorte. Allarga le braccia con le mani rivolte in fuori e china il capo. Poi lo rialza per sorridere a Lazzaro afflitto e dice: «Però non sarà violenta come un ruggito la voce immateriale dello Spirito di Amore, ma sarà dolce come l’amore, il quale è soave come vento di nisam eppure è forte come la morte. L’ineffabile ministero dell’Amore! Il complemento, il completamento del mio ministero. La perfezione del mio ministero di Maestro… Io non temo, come tu temi, o Maria, che nulla si perda di quanto ho dato. Anzi, in verità ti dico che raggi di luce saranno gettati sulle mie parole e ne vedrete lo spirito. Io me ne vado serenamente, perché affido la mia dottrina allo Spirito Santo e il mio spirito al Padre mio».

16 Curva il capo pensando e poi, posato il rotolo, che ha originato la conversazione, su una specie di alta credenza o cofano d’ebano o di altro legno scuro, tutta a intarsi di avorio giallastro, che quattro servi hanno portato dalla stanza vicina e nella quale Marta sta ordinando la disposizione delle stoviglie più preziose, dice: «Lazzaro, vieni fuori. Ho bisogno di parlarti!».
   «Subito, Signore», e Lazzaro si alza dal sedile su cui si era seduto e segue Gesù nel giardino che imbruna, morendo in cielo l’ultima luce del giorno ed essendo ancor troppo tenue il primo albore lunare che si manifesta appena.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!