Vangelo Mt 7, 15-20: «Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete ».

Vangelo Mt 7, 15-20
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Guardatevi dai falsi profeti, che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro sono lupi rapaci! Dai loro frutti li riconoscerete.
Si raccoglie forse uva dagli spini, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. Ogni albero che non dà buon frutto viene tagliato e gettato nel fuoco. Dai loro frutti dunque li riconoscerete».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo.
   Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l’ha data? Con la sua Parola.
   Perché l’ha data? Per il suo Amore.
   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
   Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico” No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
   L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì “, e perciò non lo dico.. – ma lo penso.. – ed è lo stesso…»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

Facoltativo (e dello stesso periodo della Vita di Gesù Cristo)

   Cap. CXCII. Una predizione a Giacomo d’Alfeo. L’arrivo a Engannim dopo una sosta a Mageddo.

  17 giugno 1945.

 1 «Signore, quella cima è il Carmelo?» chiede il cugino Giacomo.
   «Sì, fratello. Quella è la catena del Carmelo, e la cima più alta è quella che dà il nome alla catena».
   «Deve essere bello anche di lì il mondo. Ci sei mai stato?».
   «Una volta, da solo, all’inizio della mia predicazione. E ai piedi di esso guarii il mio primo lebbroso. Ma ci andremo insieme, a rievocare Elia…»
   «Grazie, Gesù. Mi hai compreso come sempre».
   «E come sempre ti perfeziono, Giacomo».
   «Perché?».
   «Il perché è scritto in Cielo».
   «Non me lo diresti, fratello, Tu che leggi ciò che è scritto in Cielo?».
   Gesù e Giacomo procedono a fianco l’uno dell’altro, e solo il piccolo Jabé, sempre per mano di Gesù, può udire la confidente conversazione dei cugini che si sorridono guardandosi negli occhi.
   Gesù, passando un braccio sulle spalle di Giacomo per attirarselo ancora più vicino, chiede: «Lo vuoi proprio sapere? Ebbene te lo dirò ad indovinello, e quando ne troverai la chiave sarai sapiente. Ascolta: “Radunati i falsi profeti sul monte Carmelo, si avvicinò Elia e disse al popolo: ‘Fino a quando zoppicherete da due parti? Se il Signore è Dio, seguitelo; se lo è Baal, seguite lui’. Il popolo non rispose. Allora Elia seguitò a dire al popolo: ‘Dei profeti del Signore sono rimasto io solo’ “; e, unica forza del solo, era il grido: ‘Esaudiscimi, Signore, esaudiscimi affinché questo popolo riconosca che Tu sei il Signore Iddio e che hai di nuovo convertito i loro cuori’. Allora il fuoco del Signore cadde e divorò l’olocausto”. Fratello, indovina».
   Giacomo pensa a capo chino e Gesù lo guarda sorridendo. Fanno qualche metro così, poi Giacomo dice: «Ha attinenza con Elia o col mio futuro?».
   «Col tuo futuro, naturalmente…»
   Giacomo pensa ancora, e poi mormora: «Sarei destinato io ad invitare Israele a seguire con verità una via? Sarei io chiamato ad essere l’unico rimasto in Israele? Se sì, vuoi dire che gli altri saranno perseguitati e dispersi e che… e che… pregherò Te per la conversione di questo popolo… quasi fossi un sacerdote… quasi fossi… una vittima… Ma se così è, incendiami da ora, Gesù…».
   «Lo sei già. Ma sarai rapito dal Fuoco, come Elia. Per questo andremo, Io e te soli, a parlare sul Carmelo».
   «Quando? Dopo la Pasqua?».
   «Dopo una Pasqua, sì. E allora ti dirò tante cose…»

 2 Un bel fiumicello che scorre verso il mare, fatto pieno dalle piogge primaverili e dalle nevi disciolte, ferma il loro andare.
   Accorre Pietro e dice: «Il ponte è più su, là dove passa la strada che da Tolemaide ve ad Enganmin (o Engannim)».
   Gesù torna indietro docilmente valicando il fiumicello su un robusto ponte di pietra. Subito dopo si ripresentano altre montagnole e colline, ma di poca entità. 
   «Saremo entro sera ad Engannim?» chiede Filippo. 
   «Certamente. Ma… ora abbiamo il fanciullo. Sei stanco Jabé?» chiede amorosamente Gesù.
   «Sii sincero come un angelo».
   «Un poco, Signore. Ma mi sforzerò a camminare».
   «Questo bambino è indebolito» dice con la sua voce gutturale l’uomo di Endor. 
   «Sfido io!» esclama Pietro.
   «Con la vita che fa da qualche mese! Vieni, che ti prendo in braccio». 
   «Oh! no, signore. Non ti affaticare. Posso camminare ancora».
   «Vieni, vieni. Non sei certo pesante. Sembri un uccellino malnutrito» e Pietro lo issa a cavalluccio sulle sue spalle quadrate, tenendolo per le gambe. Vanno presto perché il sole è ormai forte e invita e sprona a raggiungere le colline ombrose.

 3 Sostano in un paese, che sento chiamare Mageddo, per prendere cibo e riposo presso una fonte molto fresca e rumorosa per la molt’acqua che da essa sgorga nel bacino di pietra oscura. Ma nessuno del paese si interessa ai viaggiatori, anonimi fra i molti altri pellegrini più o meno ricchi che vanno a piedi o su asinelli e mule verso Gerusalemme per la Pasqua. Vi è già un’aria di festa e molti bambini sono coi gitanti, esilarati all’idea della cerimonia della maggiore età.
   Due ragazzetti di agiata condizione, che vengono a giocare presso la fonte mentre vi è Jabé con Pietro, che se lo tira dietro allettandolo con mille cosette, chiedono al ragazzo: «Vai anche tu per essere figlio della Legge?»
   Jabé risponde timidamente: «Sì», ma si nasconde quasi dietro a Pietro. «E’ tuo padre questo? Sei povero, vero?»
   «Sono povero, sì». I due fanciulli, forse figli di farisei, lo scrutano ironici e curiosi e dicono: «Si vede».
   Infatti si vede… Il suo abitino è ben misero! Forse il fanciullo è cresciuto, e nonostante che l’orlo della veste, di un marrone stinto dalle intemperie, sia stato disfatto, l’abito arriva appena a metà delle esili gambette brune, lasciando ben scoperti i piccoli piedi mal calzati da due informi sandali tenuti da funicelle che devono torturare  il piede. I fanciulli, spietati per l’egoismo proprio in molti fanciulli, per la crudeltà dei fanciulli non buoni, dicono: «Oh! allora non avrai un abito nuovo per la tua festa! Noi invece!… Vero Gioachino? Io tutto rosso, col manto uguale. Lui, invece, color del cielo, e avremo sandali con fibbie d’argento e una cintura preziosa e un talet tenuto da una lamina d’oro e…»
   «…e un cuore di pietra, dico io!» scatta Pietro, che ha finito di rinfrescarsi i piedi e di prendere acqua per tutte le borracce.
   «Siete cattivi, ragazzi. La cerimonia e la veste non valgono un ranocchio se il cuore non è buono. Preferisco il mio bambino. Sgombrate, superbi! Andate fra i ricchi e abbiate rispetto a chi è povero e onesto.

 4 Vieni, Jabé. Quest’acqua è buona ai piedini stanchi. Vieni che te li lavo. Dopo camminerai meglio. Oh! queste funicelle come ti hanno fatto del male! Non devi più camminare. Ti porterò in braccio finché siamo ad Engannim. Là troverò un sandalaio e ti comprerò un paio di sandali nuovi». E Pietro lava e asciuga i piedini che da tempo non hanno avuto più tante carezze.
   Il bambino lo guarda, tituba, ma poi si piega sull’uomo che gli riallaccia i sandali e lo circonda con le sue braccine scarne e dice: «Come sei buono!» e lo bacia sui capelli brizzolati.
   Pietro si commuove. Si siede per terra, là nell’umido, come si trova, e si mette in grembo il bambino e gli dice: «Allora chiamami “padre”».
   Il gruppetto è soave. Gesù si avvicina con gli altri.Ma prima i due superbietti di poc’anzi, che erano rimasti lì curiosi, chiedono: «Ma non è tuo padre?»
   «E’ padre e madre per me» dice sicuro Jabé.
   «Sì, caro! Hai detto bene: padre e madre. E, cari i miei signorini, vi assicuro che non andrà malvestito alla cerimonia. Avrà anche lui un vestito da re, rosso come il fuoco e con una cintura verde come l’erba, e il talet bianco come neve».
   Per quanto l’accozzo non sia armonico, pure stupisce i due vanitosi e li mette in fuga.
   «Che fai Simone, Simone, nel bagnato?» chiede Gesù con un sorriso.
   «Bagnato? Ah! sì. Me ne accorgo ora. Che faccio? Mi rifaccio agnello con l’innocenza sul cuore. Ah! Maestro! Maestro! Bene, andiamo. Ma mi devi lasciare fare con questo piccolo. Poi lo cederò. Ma finché non è un vero israelita è mio».
   «Ma sì! E tu ne sarai sempre il tutore, come un vecchio padre. Va bene? Andiamo, per essere a sera ad Engannim senza far troppo correre il bambino».
   «Lo porto io. Pesa di più la mia rete. Non può camminare con queste due suole rotte. Vieni». E caricandosi il suo figlioccio Pietro riprende felice la sua via, ormai sempre più ombrosa, fra boschi di frutte varie, in un ascendere dolce di colli dai quali la vista spazia sull’ubertosa pianura di Esdrelon.

 5 Sono già nei pressi di Engannim – che deve essere una bella cittadina, ben munita di acqua portata dai colli con un aereo acquedotto, probabilmente opera romana – quando li fa rifugiare sul bordo della via il rumore di un drappello militare che sopraggiunge. Gli zoccoli dei cavalli suonano sulla via che qui, nei pressi della città, mostra una larva di pavimentazione affiorante dalla polvere accumulata insieme a detriti sulla via, vergine di ogni scopa.
   «Salve, Maestro! Come qui?» grida Publio Quintilliano smontando da cavallo e avvicinandosi a Gesù con un aperto sorriso, tenendo per la briglia il cavallo. I suoi soldati si mettono al passo per secondare il superiore.
   «Vado a Gerusalemme per la Pasqua».
   «Io pure. Si rinforza la guardia per le feste, anche perché Ponzio Pilato viene per esse in città, e vi è Claudia. Noi siamo a staffetta di lei. Sono vie così insicure! Le aquile fugano gli sciacalli» ride il soldato e guarda Gesù. Continua poi più piano: «Doppia guardia quest’anno, per proteggere le spalle del sozzo Antipa. Vi è molto malcontento per l’arresto del Profeta. Malcontento in Israele e… malcontento, per riflesso, fra noi. Ma…  abbiamo già pensato a far giungere una… benigna suonata di …flauti al Sommo Sacerdote e compari» e a bassa voce termina: «Va’ sicuro. Tutti gli unghioni sono rientrati nelle zampe. Ah! Ah! Hanno paura di noi. Basta che ci si schiarisca la voce che lo prendono per un ruggito. Parlerai a Gerusalemme? Vieni presso il Pretorio. Claudia parla di Te come di un grande filosofo. E’ bene per Te perché… il proconsole è Claudia».

 6 Si guarda intorno e vede Pietro carico, rosso, sudato. «Quel bambino?».
   «Un orfano che ho preso con Me».
   «Ma quel tuo uomo fatica troppo! Fanciullo, hai paura venire per qualche metro a cavallo? Ti metterò sotto la clamide e andrò piano. Ti renderò a… a questo uomo quando saremo alle porte».
   Il bambino non fa resistenza, deve essere dolce come un agnello, e Publio lo issa con sé in sella. E nel dare ordine ai soldati di andare adagio vede anche l’uomo di Endor. Lo fissa e dice: «Tu qui?»
   «Io. Ho cessato di vendere le uova ai romani. Ma i polli ci sono ancora. Ora sono col Maestro…»
   «Buon per te! Ne avrai più conforto. Addio! Salve, Maestro. Ti aspetto a quel ciuffo d’alberi». E sprona.
   «Lo conosci? E ti conosce?» chiedono in molti a Giovanni di Endor.
   «Si, come fornitore di polli. Prima non mi conosceva. Ma una volta fui chiamato al comando a Naim, per fissare le quote, e c’era lui. D’allora, quando andavo a comprare libri o utensili a Cesarea, mi ha sempre salutato. Mi chiama Ciclope o Diogene. Non è cattivo, e per quanto abbia odio ai romani pure non l’ho offeso, perché mi poteva essere utile».
   «Hai sentito, Maestro? Ha fatto bene il mio discorso al centurione di Cafarnao. Ora vado più quieto» dice Pietro.
   Raggiungono il folto di alberi alla cui ombra si è appiedata la pattuglia.
   «Ecco che rendo il fanciullo. Hai ordini, Maestro?»
   «No, Publio. Dio ti si mostri».
   «Salve» e rimonta e sprona, seguito dai suoi con grande sferragliar di zoccoli e corazze.

 7 Entrano in città e Pietro col suo piccolo amico va a comperare i sandaletti.
   «Quell’uomo muore dalla voglia di un figlio» dice lo Zelote, e termina: «Ha ragione».
   «Ve ne darò a migliaia. Ora andiamo a cercare asilo per proseguire domani alla prima aurora».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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