Vangelo Mt 11, 25-30: «Ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai saggi e agli scaltri, e le hai rivelate ai piccoli».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo Mt 11, 25-30
In quel tempo, Gesù prese a dire: «Ti glorifico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai saggi e agli scaltri, e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché questo è stato il beneplacito davanti a te. Ogni cosa mi è stata data dal Padre mio, e nessuno conosce il Figlio se non il Padre, come nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo. Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi darò riposo. Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me che sono mite ed umile di cuore; e troverete riposo per le vostre anime, perché il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Prendete su di voi il mio giogo, e imparate da me che sono mite ed umile di cuore ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Vetus Ordo e Novus Ordo coincidenti 

   Cap. CCLXVI. I discepoli del Battista vogliono accertarsi che Gesù è il Messia. Testimonianza sul Precursore e invettiva contro le città impenitenti.

   29 agosto 1945

 1 Gesù è solo con Matteo che, ferito ad un piede, non è potuto andare con gli altri a predicare. Ma però malati e desiderosi della Buona Novella affollano la terrazza e lo spazio libero dell’orto per udirlo e averne aiuto.
  Gesù termina di parlare dicendo: «Contemplato che abbiamo insieme la grande frase[63] di Salomone: “Nell’abbondanza della giustizia sta la somma fortezza”, Io vi esorto a possedere questa abbondanza perché essa è moneta per entrare nel Regno dei Cieli. State con la mia pace e Dio sia con voi». E poi si volge ai poveri e ai malati — e in molti casi sono l’uno e l’altro insieme — e ascolta con bontà i loro racconti, soccorre con denaro, consiglia con parole, sana coll’imposizione delle mani e con la parola. Matteo, al suo fianco, provvede a dare le monete.

 2 Gesù sta ascoltando attentamente una povera vedova, che gli narra fra le lacrime della morte improvvisa del marito legnaiuolo al suo banco di lavoro, avvenuta pochi giorni prima:
   «Sono corsa a cercarti qui, e tutto il parentado del morto mi accusò di essere scomposta e dura di cuore e ora mi maledice. Ma io ero venuta perché so che risusciti e so che se potevo trovarti il mio uomo sarebbe risorto. Non c’eri… Ora egli è nel sepolcro da due settimane… ed io sono qui con cinque figli… I parenti mi odiano e non mi aiutano. Ho degli ulivi e delle viti. Pochi, ma mi darebbero pane per l’inverno se potessi tenerli fino alla raccolta. Ma non ho denaro, perché l’uomo da tempo era poco sano e poco lavorava, e per sostenersi mangiava e beveva anche troppo. Diceva che il vino gli faceva bene… invece fece il doppio male di ucciderlo e di consumare i risparmi già ridotti per il suo poco lavoro. Stava finendo un carro e un cofano, e aveva ordinati due letti, delle tavole e mensole. Ma ora… Non sono finiti e mio figlio maschio non ha ancora otto anni. Perderò il denaro… Dovrò vendere gli arnesi, il legname.
  Il carro e il cofano non posso neppure venderli per tali, per quanto quasi ultimati, e li dovrò dare come legna da ardere. E non basteranno i denari perché io, mia madre vecchia e malata, e cinque figli, siamo sette persone… Venderò il vigneto e gli ulivi… Ma Tu sai come è il mondo… Strozza dove c’è il bisogno. Dimmi, che devo fare? Io volevo serbare il banco e i ferri per il figlio che già sa qualcosa del legno… volevo serbare la terra per vivere e per dote alle figlie…».
  Sta ascoltando tutto questo quando un rimescolio fra la gente lo avverte che c’è qualcosa di nuovo. Si volta per vedere e vede tre uomini che si fanno strada fra la folla. Si torna a voltare per parlare alla vedova: «Dove abiti?».
  «A Corozim, presso la strada che va alla Fonte calda. Una casa bassa in mezzo a due fichi».
  «Va bene. Verrò ad ultimare il carro e il cofano, e li venderai a chi li ha ordinati. Aspettami domani all’aurora».
  «Tu! Tu lavorare per me!». La donna è soffocata dallo stupore.
  «Riprenderò il lavoro mio e ti darò pace. Intanto, a quelli di Corozim senza cuore impartirò la lezione della carità».
  «Oh! sì! Senza cuore! Ci fosse stato ancora il vecchio Isacco! Non mi avrebbe lasciata morire di fame. Ma egli è tornato ad Abramo…».
  «Non piangere. Va’ tranquilla. Ecco quanto serve per oggi.
  Domani verrò Io. Va’ in pace».
  La donna si prostra a baciargli la veste e se ne va più sollevata.

 3 «Maestro tre volte santo, ti posso salutare?», chiede uno dei tre sopraggiunti che si sono fermati rispettosamente dietro a Gesù, attendendo che Egli congedasse la donna, e che perciò hanno sentito la promessa di Gesù. E quest’uomo che saluta è Mannaem.
  Gesù si volta e con un sorriso dice: «Pace a te, Mannaem! Ti sei dunque ricordato di Me?».
  «Sempre, Maestro. E avevo divisato di venire da Te in casa di Lazzaro o all’orto degli Ulivi per stare con Te. Ma prima di Pasqua fu preso il Battista. Fu ripreso con tradimento ed io temevo che, nell’assenza di Erode venuto a Gerusalemme per la Pasqua, Erodiade ordinasse l’uccisione del santo. Non è voluta andare per le feste a Sionne dicendosi malata. Malata, sì. Di odio e lussuria… Io sono stato a Macheronte per controllare e… trattenere la perfida donna, che sarebbe capace di uccidere di sua mano… E non lo fa perché teme di perdere il favore di Erode, che… per paura o per convinzione difende Giovanni limitandosi a tenerlo prigioniero. Ora Erodiade è fuggita dal caldo opprimente di Macheronte andando in un castello di sua proprietà. Ed io sono venuto con questi amici miei e discepoli di Giovanni. Egli li mandava perché ti interrogassero. E io mi sono unito a loro».

 4 La gente, sentendo parlare di Erode e comprendendo chi è che ne parla, si affolla curiosa intorno al gruppetto di Gesù e dei tre.
  «Che volevate chiedermi?», chiede Gesù dopo scambievoli saluti coi due austeri personaggi.
  «Parla tu, Mannaem, che sai tutto e sei più amico», dice uno dei due.
  «Ecco, Maestro. Tu devi compatire se per troppo amore i discepoli vanno in diffidenza verso Colui che credono antagonista o soppiantatore del loro maestro. Così fanno i tuoi, così quelli di Giovanni. È una comprensibile gelosia, che dimostra tutto l’amore dei discepoli per i maestri. Io… sono imparziale, e questi che con me sono lo possono dire, perché conosco Te e Giovanni e vi amo con giustizia, tanto che, per quanto ami Te per quello che sei, ho preferito fare il sacrificio di stare presso Giovanni, perché venero lui pure per quello che è, ed attualmente perché più in pericolo di Te. Ora per questo amore, nel quale soffiano col loro astio i farisei, essi sono giunti a dubitare che Tu sia il Messia. E lo hanno confessato a Giovanni credendo di dargli una gioia col dire: “Per noi sei tu il Messia. Non ci può essere uno più santo di te”. Ma Giovanni li ha rimproverati per prima cosa chiamandoli bestemmiatori, e poi, dopo il rimprovero, con più dolcezza, ha spiegato tutte le cose che ti indicano come vero Messia. Infine, vedendoli ancora non persuasi, ha preso due di essi, questi, e ha detto: “Andate da Lui e ditegli in mio nome: ‘Sei Tu quello che ha da venire o dobbiamo attenderne un altro?'”. Non ha mandato i discepoli già pastori, perché essi credono e non sarebbe giovato mandarli. Ma ha preso fra quelli che dubitano per farteli avvicinare e perché la loro parola dissipi i dubbi dei loro simili. Io li ho accompagnati per poterti vedere. Ho detto. Tu ora calma i loro dubbi».

 5 «Ma non ci credere ostili, Maestro! Le parole di Mannaen te lo potrebbero far pensare. Noi… noi… Noi conosciamo da anni il Battista e lo abbiamo sempre visto santo, penitente, ispirato. Tu… non ti conosciamo che per parola altrui. E Tu sai cosa è la parola degli uomini… Crea e distrugge fama e lodi nel contrasto fra chi esalta e chi abbatte, così come una nuvola viene formata e disciolta da due venti contrari».
  «So, so. Leggo nel vostro animo, e i vostri occhi leggono la verità in quanto vi circonda, così come le vostre orecchie hanno sentito il colloquio con la vedova. Questo basterebbe a persuadere. Ma Io vi dico. Osservate chi mi circonda. Qui non sono ricchi né gaudenti, qui non persone scandalose. Ma poveri, malati, onesti israeliti che vogliono conoscere la Parola di Dio. E non altro. Questo, questo, questa donna, e poi quella fanciullina e quel vecchio, sono venuti qui malati ed ora sono sani. Interrogateli e vi diranno cosa avevano e come li guarii e come stanno ora. Fate, fate. Io intanto parlo con Mannaen», e Gesù fa per ritirarsi.
  «No, Maestro. Noi non dubitiamo delle tue parole. Solo dàcci una risposta da portare a Giovanni, perché egli veda che siamo venuti e perché possa, in base a quella, persuadere i nostri compagni».
  «Andate a riferire questo a Giovanni: “I sordi odono; questa fanciulla era sorda e muta. I muti parlano; e quell’uomo era muto dalla nascita. I ciechi vedono”.

 6 Uomo, vieni qui. Di’ a costoro ciò che avevi», dice Gesù prendendo per un braccio un miracolato.
  Questo dice: «Sono muratore e mi cadde sul viso un secchio pieno di calce viva. Mi bruciò gli occhi. Da quattro anni ero nelle tenebre. Il Messia mi ha bagnato gli occhi seccati con la sua saliva e sono tornati più freschi di quando avevo venti anni. Che Egli ne sia benedetto».
  Gesù riprende: «E coi ciechi, sordi, muti guariti, si raddrizzano gli zoppi e corrono gli storpiati. Ecco lì quel vecchio rattrappito poco anzi e ora dritto come una palma del deserto e agile come una gazzella. Si sanano le malattie più gravi. Tu, donna, che avevi?».
  «Un male al seno per troppo latte dato a bocche voraci. E il male, col seno, mi rodeva la vita. Ora guardate», e si socchiude la veste mostrando intatte le mammelle e aggiunge: «Era tutta una piaga, e lo dimostra la tunica ancor bagnata del marciume. Ora vado a casa per mettere veste monda e sono forte e felice. Mentre solo ieri ero morente, portata qui da pietosi, e tanto infelice… per i bambini prossimi ad essere senza madre. Eterna lode al Salvatore!».
  «Udite? E potete interrogare il sinagogo di questa città sulla risurrezione della figlia sua e, tornando verso Gerico, passate da Naim, chiedete del giovane risuscitato alla presenza di tutta la città e mentre stava per essere messo nel sepolcro. Così potrete riferire che i morti risuscitano. Che molti lebbrosi siano guariti potete saperlo da molti luoghi di Israele, ma se volete andare a Sicaminon cercatene fra i discepoli, e molti ne troverete. Dite dunque a Giovanni che i lebbrosi sono mondati. E dite, poiché lo vedete, che ai poveri è annunziata la Buona Novella. Ed è beato chi non si sarà scandalizzato di Me. 

 7 Dite questo a Giovanni. E ditegli che Io lo benedico con tutto il mio amore».
  «Grazie, Maestro. Benedici noi pure prima della partenza».
  «Voi non potete partire in queste ore calde. Rimanete perciò miei ospiti fino a sera. Vivrete per un giorno la vita di questo Maestro che non è Giovanni, ma che Giovanni ama perché sa Chi è. Venite nella casa. Vi è fresco e vi ristorerò. Addio, miei ascoltatori. La pace sia con voi», e congedate le turbe entra in casa coi tre ospiti…

 8 …Quanto si dicano in quelle ore affocate non so. Ciò che vedo ora è la preparazione della partenza per Gerico dei due discepoli. Mannaen pare che resti, perché il suo cavallo non è stato portato con i due robusti asini davanti all’apertura del muro del cortile. I due inviati di Giovanni, dopo molti inchini al Maestro e a Mannaen, montano in sella e ancora si voltano a guardare e a salutare, finché un angolo di via non li nasconde alla vista.
  Molti di Cafarnao si sono affollati per vedere questa partenza, perché la notizia della venuta dei discepoli di Giovanni e la risposta di Gesù a loro hanno fatto il giro del paese, e credo anche di altri paesi vicini. Vedo persone di Betsaida e Corozim, che si sono presentate ai messi di Giovanni chiedendo di lui e dicendo di salutarlo — forse sono ex discepoli del Battista — rimanere ora, in crocchio con quelli di Cafarnao, a commentare. Gesù, con a fianco Mannaen, fa per rientrare in casa parlando. Ma la gente gli si stringe intorno, curiosa di osservare il fratello di latte di Erode e i suoi modi pieni di ossequio per Gesù, e desiderosa di parlare col Maestro.

 9 C’è anche Giairo, il sinagogo. Ma, per grazia di Dio, non ci sono farisei. È proprio Giairo che dice: «Sarà contento Giovanni! Non solo hai mandato esauriente risposta, ma anche, trattenendoli, hai potuto ammaestrarli e mostrare loro un miracolo».
  «E non da poco, anche!», dice un uomo.
  «Io avevo portato apposta la mia bambina oggi perché la vedessero. Non è mai stata così bene e per lei è una gioia venire dal Maestro. Avete sentito, eh?, la sua risposta: “Io non mi ricordo cosa è la morte. Ma mi ricordo che un angelo mi ha chiamata portandomi attraverso ad una luce sempre più viva, al termine della quale era Gesù. E come l’ho visto allora, col mio spirito che tornava in me, non lo vedo neppure ora. Voi ed io ora vediamo l’Uomo. Ma il mio spirito ha visto il Dio che è chiuso nell’Uomo”. E come si è fatta buona da allora! Lo era buona. Ma ora è un vero angelo. Ah! per me, dicano quello che vogliono tutti, non ci sei che Tu di santo!».
  «Ma anche Giovanni è santo però», dice uno di Betsaida.
  «Sì. Ma è troppo severo».
  «Non lo è più per gli altri che per sé».
  «Ma non fa miracoli e si dice che digiuni perché sia come un mago».
  «Eppure è santo».
  Il battibecco fra la folla si estende. 

10 Gesù alza la mano e la stende col gesto abituale che ha quando chiede silenzio e attenzione perché vuole parlare. Il silenzio si fa subito.
  Gesù dice:
  «Giovanni è santo e grande. Non guardate il suo modo di fare né l’assenza dei miracoli. In verità ve lo dico: “Egli è un grande del Regno di Dio”. Là apparirà in tutta la sua grandezza.
  Molti si lamentano perché egli era ed è severo fino ad appa rire rude. In verità vi dico che egli ha lavorato da gigante per preparare le vie del Signore. E chi lavora così non ha tempo da perdere in mollezze. Non diceva egli, mentre era lungo il Giordano, le parole[64] di Isaia in cui lui e il Messia sono profetizzati:
  “Ogni valle sarà colmata, ogni monte sarà abbassato, e le vie tortuose saranno raddrizzate e le scabre fatte piane”, e ciò per preparare le vie al Signore e Re? Ma in verità ha fatto più egli che non tutto Israele per prepararmi la via! E chi deve abbattere monti e colmare valli e raddrizzare vie o rendere dolci le salite penose, non può che lavorare rudemente. Perché egli era il Precursore, e solo il giro di poche lune lo anticipava da Me, e tutto doveva esser fatto prima che il Sole fosse alto sul giorno della Redenzione. Il tempo è questo, il Sole ascende per splendere su Sionne e da lì su tutto il mondo. Giovanni ha preparato la via. Come doveva.
  Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna che ogni vento agita in diversa direzione? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma questi abitano nelle case dei re, avvolti in morbide vesti e ossequiati da mille servi e cortigiani, cortigiani essi pure di un povero uomo. Qui ve ne è uno. Interrogatelo se in lui non è il disgusto della vita di Corte e ammirazione per la rupe solitaria e scabra, sulla quale invano si avventano fulmini e gragnuole e i venti stolti giostrano per svellerla, mentre essa sta solida con lo slancio di tutte le sue parti verso il cielo, con la punta che predica la gioia dell’alto tanto è eretta, puntuta come una fiamma che sale. Questo è Giovanni. Così lo vede Mannaen, perché ha compreso la verità della vita e della morte, e vede grandezza là dove è, anche se nascosta sotto apparenze selvagge.
  E voi, che avete visto in Giovanni quando siete andati a vederlo? Un profeta? Un santo? Io ve lo dico: Egli è da più di un profeta. Egli è da più di molti santi, da più dei santi perché è colui del quale sta scritto[65]: “Ecco, Io mando dinnanzi a voi il mio angelo a preparare la tua via dinnanzi a Te”.

11 Angelo. Considerate. Voi sapete che gli angeli sono spiriti puri, creati da Dio a sua somiglianza spirituale, messi a congiunzione fra l’uomo: perfezione del creato visibile e materiale, e Dio: Perfezione del Cielo e della Terra, Creatore del regno spirituale e del regno animale. Nell’uomo anche più santo vi è sempre la carne e il sangue a porre un abisso fra lui e Dio. E l’abisso si sprofonda per il peccato che appesantisce anche ciò che è spirituale nell’uomo.  Ecco allora Dio creare gli angeli, creature che toccano il vertice della scala creativa così come i minerali ne segnano la base; i minerali, la polvere che compone la terra, le materie inorganiche in genere. Specchi tersi del Pensiero di Dio, fiamme volonterose operanti per amore, pronti a comprendere, solleciti ad operare, liberi nel volere come noi, ma di un volere tutto santo che ignora le ribellioni e i fomiti del peccato. Questo sono gli angeli adoratori di Dio, suoi messaggeri presso gli uomini, protettori nostri, datori a noi della Luce che li investe e del Fuoco che essi raccolgono adorando.
  Giovanni è detto “angelo” dalla parola profetica. Ebbene Io vi dico: “Tra i nati di donna non ne è mai sorto uno più grande di Giovanni Battista”. Eppure, il più piccolo del Regno dei Cieli sarà più grande di lui-uomo. Perché uno del Regno dei Cieli è figlio di Dio e non figlio di donna. Tendete dunque tutti a divenire cittadini del Regno.

12 Che vi chiedete l’un l’altro?».
  «Dicevamo: “Ma Giovanni sarà nel Regno? E come vi sarà?”».
  «Egli nel suo spirito è già del Regno e vi sarà dopo la morte come uno dei soli più splendidi dell’eterna Gerusalemme. E ciò per la Grazia che è senza incrinatura in lui e per la sua volontà propria. Perché egli fu ed è violento anche con se stesso per fine santo. Dal Battista in poi, il Regno dei Cieli è di coloro che sanno conquistarselo con la forza opposta al Male, e se lo acquistano i violenti. Perché ora sono note le cose da farsi e tutto è dato per questa conquista. Non è più il tempo che parlavano solo la Legge ed i Profeti. Questi hanno parlato sino a Giovanni. Ora parla la Parola di Dio e non nasconde un iota di quanto è da sapersi per questa conquista. Se credete in Me, dovete perciò vedere Giovanni come quell’Elia che deve venire[66]. Chi ha orecchi da intendere intenda. Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile a quella che descrivono quei ragazzi, che seduti sulla piazza gridano ai loro compagni: “Abbiamo suonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanni che non mangia e non beve, e questa generazione dice: “Può fare così perché ha il demonio che lo aiuta”. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Così alla Sapienza viene resa giustizia dai suoi figli! 

13 In verità vi dico che solo i pargoli sanno riconoscere la verità, perché in essi non è malizia».
  «Bene hai detto, Maestro», dice il sinagogo. «Ecco perché mia figlia, ancor senza malizia, ti vede quale noi non giungiamo a vederti. Eppure questa città e quelle vicine traboccano della tua potenza, sapienza e bontà e, devo confessarlo, non procedono che in cattiveria verso di Te. Non si ravvedono. E il bene, che Tu dai loro, fermenta in odio verso di Te».
  «Come parli, Giairo? Tu ci calunni! Noi siamo qui perché fedeli al Cristo», dice uno di Betsaida.
  «Sì. Noi. Ma quanti siamo? Meno di cento su tre città che dovrebbero essere ai piedi di Gesù. Fra quelli che mancano, e parlo degli uomini, la metà è nemica, un quarto indifferente, l’altra voglio mettere non possa venire. Non è questo colpa agli occhi di Dio? E non sarà punito tutto questo livore e questa pertinacia nel male? Parla Tu, Maestro che sai, e che se taci è per la tua bontà, non già perché Tu ignori. Longanime sei, e ciò è preso per ignoranza e debolezza. Parla dunque e possa il tuo parlare scuotere almeno gli indifferenti, posto che i malvagi non si convertono ma sempre più malvagi divengono».
  «Sì. È colpa e sarà punita. Perché il dono di Dio non va mai sprezzato o usato per fare del male. Guai a te, Corozim, guai a te, Betsaida, che fate mal’uso dei doni di Dio. Se in Tiro e in Sidone fossero già avvenuti i miracoli avvenuti in mezzo a voi, già da gran tempo, vestiti di cilizio e aspersi di cenere, avrebbero fatto penitenza e sarebbero venuti a Me. E perciò vi dico che a Tiro e a Sidone sarà usata maggiore clemenza che a voi nel giorno del Giudizio. E tu, Cafarnao, credi che per avermi ospitato soltanto sarai esaltata sino al Cielo? Tu scenderai fino all’inferno. Perché, se in Sodoma fossero stati fatti i miracoli che Io ti ho dati, essa ancora sarebbe fiorente, perché in Me avrebbe creduto e si sarebbe convertita. Perciò sarà usata maggior clemenza a Sodoma nell’ultimo Giudizio, perché essa non ha conosciuto il Salvatore e la sua Parola, e perciò è meno grande la sua colpa di quanto non ne verrà usata a te, che hai conosciuto il Messia e udita la sua parola e non ti sei ravveduta. Però, siccome Dio è giusto, a quelli di Cafarnao, Betsaida e Corozim che hanno creduto e che si santificano ubbidendo alla mia parola, sarà usata misericordia grande. Perché non è giusto che i giusti siano coinvolti nella rovina dei peccatori. 

14 Riguardo a tua figlia, Giairo, e alla tua, Simone, e al tuo bambino, Zaccaria, e ai tuoi nipoti, Beniamino, Io vi dico che essi, essendo senza malizia, già vedono Dio. E voi lo vedete come la loro fede è pura e operosa in essi, unita a sapienza celeste, a aneliti di carità quali gli adulti non hanno».
  E Gesù, alzando gli occhi al cielo che incupisce nella sera, esclama: «Io ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Così, o Padre, perché così ti è piaciuto. Tutto è stato affidato a Me dal Padre mio, e nessuno lo conosce tranne il Figlio e coloro ai quali il Figlio avrà voluto rivelarlo. Ed Io l’ho rivelato ai piccoli, agli umili, ai puri, perché Dio si comunica ad essi, e la verità scende come seme nei terreni liberi, e su essa il Padre fa piovere le sue luci perché getti radice e faccia pianta. Anzi, che in verità il Padre prepara questi spiriti di pargoli per età o pargoli di volere, perché essi conoscano la Verità ed Io abbia gioia dalla loro fede»…

   Cap. CCLXVIII. Lezione sulla carità con la parabola dei nòccioli. Il giogo di Gesù è leggero.

   1 settembre 1945

 1 Gesù con a fianco Mannaen esce dalla casa della vedova dicendo: «La pace a te e ai tuoi. Dopo il sabato ci ritroveremo. Addio, piccolo Giuseppe. Domani riposa e giuoca, poi mi aiuterai ancora. Perché piangi?».
  «Ho paura che Tu non torni più…».
  «Io dico sempre la verità. Ma tanto ti spiace che Io me ne vada?».
  Il bambino accenna di sì col capo.
  Gesù lo carezza e dice: «Un giorno passa presto. Domani stai con la mamma e i fratelli. E Io sto coi miei apostoli e parlo a loro. In questi giorni ho parlato a te per insegnarti a lavorare, adesso vado da loro per insegnar loro a predicare e a essere buoni. Non ti divertiresti con Me, bambino solo fra tanti uomini».
  «Oh! mi divertirei perché sarei con Te».
  «Ho capito, donna! Tuo figlio fa come molti, e sono i migliori. Non mi vuole lasciare. Ti fidi a lasciarmelo fino a dopodomani?».
  «Oh! Signore! Ma tutti te li darei! Con Te sono sicuri come in Cielo… E questo bambino, che era quello che stava più di tutti col padre, ha troppo sofferto. Ci si è trovato lui al momento… Vedi?… Non fa che piangere e languire. Non piangere, fi glio mio. Chiedi al Signore se non è vero ciò che io dico. Maestro, io per consolarlo gli dico sempre che il padre non è perduto, ma solo andato lontano da noi momentaneamente».
  «È verità. È proprio come dice tua madre, piccolo Giuseppe».
  «Ma finché io non muoio non lo ritrovo. E io sono piccolo. E se divento vecchio come era Isacco, quanto devo aspettare?».
  «Povero bambino! Ma il tempo è veloce».
  «No, Signore. Sono tre settimane che non ho il padre, e mi pare tanto, tanto!… Io non ce la faccio senza di lui…», e piange senza rumore ma con profonda pena.
  «Lo vedi? Fa sempre così. E specie quando non è occupato in cose che l’assorbono. Il sabato è un tormento. Io ho paura che mi muoia…».
  «No. Ho un altro fanciullo senza padre e senza madre. Era macilento e triste. Ora, presso una buona donna di Betsaida, e con la certezza di non essere separato dai genitori, è rifiorito nella carne e nello spirito. Così sarà del tuo. E per quello che gli dirò, e perché il tempo è un grande medico, e anche perché, quando ti vedrà più tranquilla per il pane quotidiano, sarà più quieto lui pure. 

 2 Addio, donna. Il sole cala e devo andare. Vieni, Giuseppe. Saluta la mamma, i fratellini e la vecchia madre, e poi raggiungimi di corsa».
  E Gesù se ne va.
  «E ora che dirai agli apostoli?».
  «Che ho un vecchio discepolo e uno nuovo».
  Camminano per Corozim che si anima di gente.
  Un gruppo di uomini ferma Gesù: «Te ne vai? Non resti di sabato?».
  «No. Vado a Cafarnao».
  «Senza dire una parola in tutta la settimana. Non siamo degni della tua parola?».
  «Non vi ho dato per sei giorni la parola migliore?».
  «Quando? E a chi?».
  «A tutti. Dal banco del falegname. Per dei giorni ho predicato che il prossimo va amato e aiutato in tutti i modi, specie dove è fatto di deboli come sono le vedove e gli orfani. Addio, voi di Corozim. Meditate nel sabato questa mia lezione». E Gesù si avvia di nuovo, lasciando interdetti i cittadini.
  Ma il bambino, che lo raggiunge di corsa, fa sì che questi cittadini si risveglino nella loro curiosità e dicano di nuovo a Gesù, che tornano a fermare: «Porti via il maschio alla vedova? Perché?».
  «Per insegnargli a credere che Dio è Padre e che in Dio troverà anche il padre perduto. E anche perché ci sia uno che crede, qui, al posto del vecchio Isacco».
  «Con i tuoi discepoli ci sono tre di Corozim».
  «Con i miei. Non qui. Questo sarà qui. Addio».
  E, tenendo il bambino in mezzo fra Lui e Mannaen, va svelto per la campagna verso Cafarnao, parlando con Mannaen.

 3 Giungono a Cafarnao quando già gli apostoli sono arrivati.
  Seduti sul terrazzo, all’ombra della pergola, intorno a Matteo, narrano le loro gesta al compagno che non è ancora guarito. Si voltano al lieve scalpiccio dei sandali sulla scaletta e vedono la testa bionda di Gesù emergere sempre più dal muretto della terrazza. Corrono a Lui che sorride… e restano di stucco vedendo che dietro a Gesù è un povero bambino. La presenza di Mannaen, che sale pomposo nella sua veste di lino candido — resa ancor più bella dalla cintura preziosa, dal mantello rosso fiamma di lino tinto, così lucido da parer seta, appena appoggiato alle spalle a fargli quasi strascico dietro le spalle, e dal copricapo di bisso tenuto da un sottile diadema d’oro, una lamina bulinata che gli taglia a metà la fronte spaziosa dandogli quasi un’aria di re egizio — trattiene una valanga di domande che gli occhi però esprimono ben chiare. Ma dopo i saluti reciproci, seduti ormai presso Gesù, gli apostoli chiedono: «E questo?», accennando al bambino.
  «E questo è la mia ultima conquista. Un piccolo Giuseppe, legnaiuolo come il grande Giuseppe che mi fu padre. Perciò a Me carissimo, come Io carissimo a lui. Non è vero, bambino? Vieni qui, che ti faccio conoscere questi miei amici dei quali hai tanto sentito parlare. Questo è Simon Pietro, l’uomo più buono coi bambini che ci sia. E questo è Giovanni, un grande fanciullo che ti parlerà di Dio anche giocando. E questo è Giacomo suo fratello, serio e buono come un fratello maggiore. E questo è Andrea, fratello di Simon Pietro: andrai subito d’accordo con lui perché è mite come un agnello. E poi ecco Simone lo Zelote: questo ama tanto i bambini senza padre che credo girerebbe tutta la Terra, se non fosse con Me, per cercarli. Poi ecco qui Giuda di Simone e con lui Filippo di Betsaida e Natanaele. Vedi come ti guardano? Hanno bambini anche loro e amano i bambini. E questi sono i miei fratelli Giacomo e Giuda. Essi amano tutto ciò che Io amo, perciò ti ameranno. Ora andiamo noi da Matteo, che spasima per il suo piede eppure non ha rancore per i bambini che, giocando sventatamente, lo hanno colpito con una selce aguzza. Non è vero, Matteo?».
  «Oh! no, Maestro. È figlio della vedova?».
  «Sì. È molto bravo, ma è rimasto molto triste».
  «Oh! povero bambino! Ti farò chiamare Giacomino e giocherai con lui», e Matteo lo carezza attirandoselo con una mano vicino.
  Gesù termina la presentazione con Tommaso che, pratico, la completa offrendo al bimbo un grappolo d’uva staccata dalla pergola.
  «Ora siete amici», conclude Gesù sedendo di nuovo, mentre il bambino succhia la sua uva rispondendo a Matteo che se lo tiene vicino.

 4 «Ma dove sei stato tutto solo per tutta la settimana?».
   «A Corozim, Simone di Giona».
   «Questo lo so. Ma che ci hai fatto? Sei stato da Isacco?».
   «Isacco l’Adulto è morto».
   «E allora?».
   «Non te lo ha detto Matteo?».
   «No. Ha detto soltanto che eri a Corozim dal giorno dopo la nostra partenza».
   «Matteo è più bravo di te. Egli sa tacere e tu non sai frenare la tua curiosità».
   «Non la mia. Quella di tutti».
   «Ebbene, sono andato a Corozim per predicare la carità in atto».
   «La carità in atto? Che vuoi dire?», chiedono in molti.
   «A Corozim c’è una vedova con cinque bambini e una vecchia malata. L’uomo è morto all’improvviso al banco di lavoro, lasciando dietro sé miseria e lavori incompiuti. Corozim non ha saputo trovare un briciolo di pietà per questa famiglia infelice. Io sono andato a finire i lavori e…».
   Avviene un pandemonio. Chi domanda, chi protesta, chi brontola con Matteo per averlo permesso, chi ammira e chi critica. E, purtroppo, chi protesta o critica è la maggioranza.
Gesù lascia che la burrasca si quieti così come si è formata e, per tutta risposta, dice:
«E ci tornerò dopodomani. E così farò finché ho finito. E voglio sperare che almeno voi comprendiate. 

 5 Corozim è un nòcciolo serrato e mancante del germe. Siate almeno voi nòccioli col germe.
  Tu, bambino, dàmmi la noce che Simone ti ha dato e ascolta anche tu.
  Vedete questa noce? E prendo questa perché non ho altri gusci sotto le mani, ma per capire la parabola pensate ai nòccioli dei pinoli o delle palme, ai più duri, a quelli delle ulive per esempio. Sono astucci serrati, senza fessure, durissimi, di un legno compatto. Sembrano scrigni magici che solo una violenza può aprire. Eppure, se uno di essi viene gettato nella terra, anche semplicemente a terra e il passante lo affonda, col passarvi sopra, quel tanto che esso si adagi nel suolo, che avviene? Che il forziere si apre e fa radici e foglie. Come avviene da sé? Noi dobbiamo battere molto col martello per riuscirvi e invece, senza colpi, il nòcciolo si apre da sé. È dunque magico quel seme? No. Ha dentro una polpa. Oh! una cosa debole rispetto al duro guscio! Eppure, essa nutre un ancora più piccola cosa: il germe. E questo è la leva che sforza, apre, dà pianta con fronde e radici. Provate a seppellire dei nòccioli e poi attendete. Vedrete che alcuni nascono, altri no. Estraete quelli che non sono nati. Apriteli col martello e vedrete che sono semivuoti. Non è dunque l’umido del suolo né il calore quelli che fanno aprire il nòcciolo. Ma è la polpa, e più: l’anima della polpa, il germe che, gonfiando, fa da leva e apre.

 6 Questa è la parabola. Ma applichiamola a noi.
  Che ho fatto che non andasse fatto? Ci siamo ancora capiti così poco da non comprendere che l’ipocrisia è peccato e che la parola è vento se non è convalidata dall’azione? Che vi ho sempre detto Io? “Amatevi gli uni con gli altri. L’amore è il precetto e il segreto della gloria”. E Io, che predico, dovrei essere senza carità? Darvi l’esempio di un maestro menzognero? No, mai!
  Oh! amici miei. Il nostro corpo è il nòcciolo duro, nel nòcciolo duro è chiusa la polpa: l’anima; in essa è il germe che Io ho deposto. Esso è fatto di molti elementi. Ma il principale è la carità. Essa è che fa da leva per schiudere il nòcciolo e liberare lo spirito dalle costrizioni della materia ricongiungendolo a Dio, che Carità è.
  La carità non si fa solo di parole o di denaro. Si fa la carità con la sola carità. E non vi paia uno scherzo di parole. Io non avevo denaro, e le parole non bastavano per questo caso. Qui vi erano sette persone sulle soglie della fame e dell’angoscia. La disperazione avanzava le sue branche nere per ghermire e affogare. Il mondo si ritirava duro ed egoista davanti a questa sventura. Il mondo mostrava di non avere capito il Maestro nelle sue parole. Il Maestro ha evangelizzato con le opere. Io avevo capacità e libertà di farlo. E avevo il dovere di amare per tutto il mondo questi meschini che il mondo disama. Io ho fatto tutto questo.
  Potete criticarmi ancora? O devo essere Io che — alla presenza di un discepolo che non si è scandalizzato di portare la sua persona fra la segatura e i trucioli per non abbandonare il Maestro e che, ne sono convinto, si sarà fatto più persuaso di Me vedendomi curvo sul legno di quanto non sarebbe stato persuaso vedendomi in trono, e di un bambino che ha sentito Me per quello che sono, nonostante la sua ignoranza, la sventura che l’ottunde, e la sua assoluta verginità di conoscenza col Messia quale esso è in realtà — o devo essere Io che vi critico? Non parlate? Non vi mortificate soltanto, mentre Io alzo la voce a raddrizzare idee errate. E per amore lo faccio. Ma mettete in voi il germe che santifica e apre il nòcciolo. O sarete sempre degli esseri inutili.
  Quello che Io ho fatto, voi dovete essere pronti a fare. Per amore del prossimo, per portare a Dio un’anima, nessun lavoro vi deve pesare. Il lavoro, quale esso sia, non è mai umiliante. Mentre umilianti sono le azioni basse, le falsità, le denunce bugiarde, le durezze, i soprusi, gli strozzinaggi, le calunnie, le lussurie. Queste mortificano l’uomo. Eppure si fanno senza vergognarsene, anche da parte di quelli che vogliono dirsi perfetti e che certo si sono scandalizzati di vedermi lavorare di sega e di martello.
  Oh! Oh! il martello! L’indegno martello, se è per mettere chiodi in un legno a formare un oggetto atto a dar da mangiare a degli orfanelli, come diverrà nobile! Il martello, ignobile[67] se nelle mie mani e per fine santo, come non apparirà più tale, e come lo vorranno avere tutti quelli che ora si darebbero a gridare il loro scandalo per esso! Oh! uomo, creatura che dovresti essere luce e verità, come sei tenebra e menzogna!
  Ma voi, voi almeno, comprendete cosa è il bene! Cosa è la carità. Cosa è l’ubbidienza. In verità vi dico che molti sono i farisei. E che non sono assenti fra quelli che mi circondano».
  «No, Maestro. Non lo dire! Noi… è perché ti amiamo che non vogliamo certe cose!…».
  «È perché non avete ancora capito nulla. 

 7 Vi ho parlato della fede e della speranza, e credevo che non necessitasse parola novella per parlarvi della carità, perché Io tanto l’emano che dovreste esserne saturi. Ma vedo che la conoscete solo di nome, senza saperne la natura e la forma. Così come conoscete la luna.
  Vi ricordate quando ho detto che la speranza è come il braccio trasverso del dolce giogo che sorregge la fede e la carità, ed è il patibolo dell’umanità e il trono della salvezza? Sì? Ma non avete compreso le mie parole nel loro significato. E perché non me ne avete chiesto spiegazione? Ve la do Io. È giogo perché obbliga l’uomo a tenere bassa la sua superbia stolta sotto il peso delle verità eterne. Ed è patibolo di questa superbia. L’uomo che spera in Dio suo Signore, di necessità umilia il suo orgoglio, che vorrebbe proclamarsi “dio”, e riconosce che egli è nulla e Dio è tutto, che egli può nulla e Dio può tutto, che egli-uomo è polvere che passa e Dio è eternità che eleva la polvere a superiore grado, dandogli premio di eternità. L’uomo si inchioda alla sua croce santa per raggiungere la Vita. E ve lo configgono le fiamme della fede, della carità, ma lo alza verso il Cielo la speranza che è fra questa e quella. Però, ritenete la lezione: se manca la carità, il trono è senza luce e il corpo, schiodato da un lato, pende verso il fango, non vedendo più il Cielo. Annulla così gli effetti salutari della speranza, e finisce col rendere sterile anche la fede perché, staccati da due delle tre teologali virtù, si cade in languore e in gelo mortale.
  Non rifiutate Dio neppure nelle minime cose. Ed è rifiutare Iddio respingere un aiuto al prossimo per orgoglio pagano.

 8 La mia dottrina è un giogo che piega l’umanità colpevole ed è un maglio che rompe la scorza dura per liberarne lo spirito. È un giogo ed è maglio, sì. Ma pure chi la accetta non sente la stanchezza che dànno tutte le altre dottrine umane e tutte le altre cose umane. Ma pure chi se ne fa colpire non sente il dolore di essere frantumato nell’io umano, ma prova un senso di liberazione. Perché cercate di liberarvene per sostituirla da tutto ciò che è piombo e dolore?
  Voi tutti avete i vostri dolori e le vostre fatiche. Tutta l’umanità ha dolori e fatiche, superiori alle forze umane talora. Dal bambino come questo, che già porta sulle piccole spalle un grande peso che lo fa piegare e che leva il sorriso del fanciullo alle sue labbra e la spensieratezza alla sua mente che, sempre umanamente parlando, non sarà perciò mai più stata fanciulla, al vecchio che piega alla tomba con tutti i disinganni e le fatiche, e i pesi, e le ferite della sua lunga vita. Ma nella mia dottrina e nella mia fede è il sollievo da questi pesi accascianti. Perciò è detta la “Buona Novella”. E chi l’accetta e l’ubbidisce sarà beato dalla Terra, perché avrà Dio a suo sollievo e le virtù a rendergli facile e luminoso il cammino, quasi fossero buone sorelle che, tenendolo per mano, con le lampade accese ne rischiarano la via e la vita e gli cantano le eterne promesse di Dio, fino a quando, piegando in pace il corpo stanco sulla Terra, si risveglia in Paradiso.
  Perché volete, o uomini, essere affaticati, desolati, stanchi, disgustati, disperati, quando potete essere sollevati e confortati? Perché anche voi, miei apostoli, volete sentire la stanchezza della missione, la sua difficoltà, la sua severità, mentre avendo la fiducia di un bambino potete avere solo ilare solerzia, luminosa facilità a compierla e comprendere e sentire che essa è severa solo agli impenitenti che non conoscono Dio, ma per i fedeli suoi è come mamma che sorregge sul cammino, indicando ai piedi incerti del pargolo i sassi ed i pruni, i nidi di serpi ed i fossati, perché egli li conosca e non vi pericoli?

 9 Voi ora siete desolati. La vostra desolazione ha avuto un inizio ben miserabile! Voi siete desolati prima della mia umiltà come di un delitto contro Me stesso. Ora siete desolati perché avete capito di avermi addolorato e di essere così lontani ancora dalla perfezione. Ma in pochi questa seconda desolazione è priva di superbia. Della superbia ferita dalla constatazione di essere ancora nulla, mentre per orgoglio vorreste essere perfetti. Abbiate solo l’umiltà volonterosa di accettare il rimprovero e di confessare che avete sbagliato, promettendo in cuor vostro di volere la perfezione per un fine sopraumano. E poi venite a Me. Io vi correggo, ma vi comprendo e compatisco.
  Venite a Me, voi apostoli, e venite a Me voi tutti, uomini che soffrite per dolori materiali, per dolori morali, per dolori spirituali. Questi ultimi dati dal dolore di non sapervi santificare come vorreste per amore di Dio e con sollecitudine e senza ritorni al Male. La via della santificazione è lunga e misteriosa e talora si compie all’insaputa del camminatore, che procede fra le tenebre, col sapore del tossico in bocca, e crede di non procedere e di non bere liquido celeste, e non sa che anche questa cecità spirituale è un elemento di perfezione.
  Beati quelli, tre volte beati quelli che continuano a procedere senza godimenti di luce e di dolcezze, e non si arrendono perché nulla vedono e sentono, e non si fermano dicendo: “Finché Dio non mi dà delizie io non procedo”. Io ve lo dico: la strada più oscura diverrà luminosissima d’improvviso aprendosi su paesaggi celesti. Il tossico, dopo aver levato ogni gusto per le cose umane, si muterà in dolcezza di Paradiso per questi coraggiosi che stupiti diranno: “Come ciò? Perché a me tanta dolcezza e letizia?”. Perché avranno perseverato e Dio li farà esultanti dalla Terra di ciò che è il Cielo.
  Ma intanto, per resistere, venite a Me voi tutti che siete affaticati e stanchi, voi apostoli e, con voi, tutti gli uomini che cercano Dio, che piangono per causa del dolore della Terra, che si sfiniscono da soli, ed Io vi ristorerò. Prendete su voi il mio giogo. Non è un peso. È un sostegno. Abbracciate la mia dottrina come fosse una amata sposa. Imitate il Maestro vostro che non si limita a bandirla ma fa ciò che insegna. Imparate da Me che sono mite ed umile di cuore. Troverete il riposo delle vostre anime, perché mitezza e umiltà concedono il regno sulla Terra e nei Cieli. Già ve l’ho detto che i trionfatori veri fra gli uomini sono coloro che li conquistano con l’amore, e l’amore è sempre mite e umile. Io non vi darei mai da fare delle cose superiori alle vostre forze, perché vi amo e vi voglio con Me nel mio Regno. Prendete dunque la mia insegna e la mia assisa, e sforzatevi ad essere simili a Me e quali la mia dottrina insegna. Non abbiate paura, perché il mio giogo è dolce e il suo peso è leggero, mentre infinitamente potente è la gloria di cui godrete se a Me fedeli. Infinita ed eterna…

10 Vi lascio per qualche tempo. Vado col bambino presso il lago. Troverà degli amici… Poi spezzeremo il pane insieme.
  Vieni, Giuseppe. Ti farò conoscere i piccoli che mi amano».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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