Vangelo Mc 6, 30-34: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’».

Vangelo Novus Ordo Mc 6, 30-34
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare.
Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero.
Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
« Egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXI. Partenza alla volta di Tarichea con gli apostoli rientrati a Cafarnao.

   5 settembre 1945

 1 È notte fatta quando Gesù torna a casa. Entra senza rumore nell’orto, si affaccia un attimo alla cucina buia. La vede vuota. Si affaccia alle due stanze dove sono le stuoie ed i letti. Vuote esse pure. Solo le vesti mutate, ammucchiate per terra, dicono che gli apostoli hanno fatto ritorno. La casa sembra disabitata tanto è silenziosa.
   Gesù, facendo meno rumore di un’ombra, sale la scaletta, candore nel candore della luna piena, e giunge sulla terrazza. La percorre. Pare uno spettro che si muova senza rumore. Un luminoso spettro. Nell’incandescenza bianca della luna pare affinarsi, alzarsi più ancora. Alza con la mano la tenda che è alla porta della stanza alta. Essa era rimasta calata da quando i discepoli di Giovanni vi erano entrati con Gesù. Dentro, seduti qua o là, a gruppi, o soli, sono gli apostoli coi discepoli di Giovanni e Mannaen, e, addormentato col capo sui ginocchi di Pietro, è Marziam. La luna si incarica di illuminare la stanza entrando coi suoi fiotti fosforici dalle finestre aperte. Nessuno parla. E nessuno, tolto il bambino seduto per terra su una stuoia, dorme.

 2 Gesù entra piano e il primo che lo vede è Tommaso. «Oh! Maestro!», dice facendo un sobbalzo.
  Gli altri si scuotono tutti. Pietro, nel suo impeto, fa per alzarsi di scatto, ma si sovviene del bambino e lo fa dolcemente, adagiando il capo bruno di Marziam sul suo sedile, di modo che giunge da Gesù per ultimo, mentre il Maestro, con voce stanca di chi ha molto sofferto, risponde a Giovanni, Giacomo e Andrea che gli dicono il loro dolore: «Lo comprendo. Ma solo chi non crede ha da sentirsi desolato di una morte. Non noi che sappiamo e crediamo. Giovanni non ci è più separato. Lo era prima. Prima ci separava, anzi. O con Me, o con lui. Ora non più. Dove è lui Io sono. Presso a Me lui è».
  Pietro insinua la sua testa brizzolata fra le teste giovanili e Gesù lo vede: «Anche tu hai pianto, Simone di Giona?»; e Pietro, con voce più rauca del solito: «Sì, Signore. Perché anche io ero stato di Giovanni… E poi… e poi… E pensare che il venerdì scorso io mi rammaricavo che la presenza dei farisei ci avesse ad amareggiare il sabato! Questo sì che è un sabato d’amarezza! Avevo portato il bambino… per avere un sabato anche più bello… Invece…».
  «Non ti accasciare, Simone di Giona. Giovanni non è perduto. Lo dico anche a te. E in cambio abbiamo tre discepoli ben formati. Dove è il bambino?».
  «Là, Maestro. Dorme…».
  «Lascialo dormire», dice Gesù curvandosi sulla testolina bruna che dorme tranquilla. E poi chiede ancora: «Avete cenato?».
  «No, Maestro. Ti aspettavamo ed eravamo in pensiero, ormai, per il ritardo, non sapendo dove cercarti… e parendoci di avere perduto anche Te».
  «Abbiamo ancora tempo da stare insieme. Su, preparate la cena, perché dopo ce ne andremo altrove. Ho bisogno di isolarmi fra amici, e domani, qui stando, saremmo sempre circondati di persone».
  «E io ti giuro che non li sopporterei, specie quelle serpentesse delle anime farisee. E sarebbe un brutto fatto se sfuggisse loro anche un sorriso a nostro riguardo, nella sinagoga!».
  «Buono, Simone!… Ma Io ho calcolato anche questo. Perciò sono tornato a prendervi con Me».
  Alla luce delle lucernette accese ai due lati della tavola si vedono meglio le alterazioni dei visi. Solo Gesù è di una maestà solenne, e Marziam sorride nel sonno.
  «Il bambino ha mangiato prima», spiega Simone.
  «È meglio lasciarlo dormire, allora», dice Gesù.
  E in mezzo ai suoi offre e distribuisce il parco cibo che viene mangiato senza volontà. E presto la cena è finita.

 3 «Ditemi ora che avete fatto…», incoraggia Gesù.
  «Io sono stato con Filippo nelle campagne di Betsaida e abbiamo evangelizzato e curato un bambino malato», dice Pietro.
  «Veramente è stato Simone che lo ha guarito», dice Filippo che non vuole prendersi una gloria non sua.
  «Oh! Signore! Non so come ho fatto. Ho pregato molto, con tutto il cuore, perché mi faceva pietà il malatino. Poi l’ho unto con l’olio e l’ho soffregato con le mie mani rozze… ed è guarito. Quando l’ho visto colorirsi in viso e aprire gli occhi, rivivere insomma, ho avuto quasi paura».
  Gesù gli posa la mano sul capo senza parlare.
  «Giovanni ha stupito molto per aver cacciato un demonio. Ma a parlare è toccato a me», dice Tommaso.
  «Anche tuo fratello Giuda lo ha fatto», dice Matteo.
  «Allora anche Andrea», dice Giacomo d’Alfeo.
  «Invece Simone lo Zelote ha guarito un lebbroso. Oh! non ha avuto paura di toccarlo! E mi ha detto poi: “Ma non temere. A noi non si apprende nessun male fisico per volontà di Dio”», dice Bartolomeo.
  «Hai detto bene, Simone. E voi due?», chiede Gesù a Giacomo di Zebedeo e all’Iscariota, che stanno un poco lontani, il primo parlando con i tre discepoli di Giovanni, il secondo solo e immusonito.
  «Oh! io non ho fatto nulla», dice Giacomo. «Ma Giuda ha fatto tre miracoli potenti: un cieco, un paralitico, un indemoniato. A me pareva un lunatico. Ma la gente diceva così…».
  «E te ne stai con quel viso se Dio ti ha tanto aiutato?», chiede Pietro.
  «So essere umile anche io», risponde l’Iscariota.
  «E poi siamo stati ospitati da un fariseo. Io mi ci trovavo a disagio. Ma Giuda sa fare meglio e lo ha proprio ammansito. Il primo giorno era sostenuto, ma poi… Vero, Giuda?».
  Giuda assente senza parlare.
  «Molto bene. E farete sempre meglio. La prossima settimana staremo insieme. Intanto… Simone, vai a preparare le barche. Anche tu, Giacomo».
  «Per tutti, Maestro? Non vi staremo».
  «Non puoi averne un’altra?».
  «Chiedendola a mio cognato, sì. Vado».
  «Va’. E, appena fatto, torna. E non dare molte spiegazioni».
  I quattro pescatori partono. Gli altri scendono a prendere sacchi e mantelli. 

 4 Resta Mannaen con Gesù. Il bambino continua a dormire.
  «Maestro, vai lontano?».
  «Non so ancora… Essi sono stanchi e addolorati. Io pure.
  Conto andare a Tarichea, nelle campagne, per isolarci in pace…».
  «Io ho il cavallo, Maestro. Ma, se permetti, vengo seguendo il lago. Vi starai molto?».
  «Forse tutta la settimana e non oltre».
  «Allora verrò. Maestro, benedicimi in questo primo commiato. E levami un peso dal cuore».
  «Quale, Mannaen?».
  «Ho il rimorso di avere lasciato Giovanni. Forse se c’ero…».
  «No. Era la sua ora. Ed egli certo è stato contento di vederti venire a Me. Non avere questo peso. Cerca anzi di liberarti presto e bene dall’unico peso che hai: il gusto di essere uomo. Divieni spirito, Mannaen. Lo puoi. C’è in te la capacità di esserlo. Addio, Mannaen. La mia pace sia con te. Presto ci rivedremo in Giudea».
  Mannaen si inginocchia e Gesù lo benedice. Poi lo alza e lo bacia. Rientrano gli altri e si salutano fra di loro, sia gli aposto li che i discepoli di Giovanni. Vengono per ultimi i pescatori.
  «È fatto, Maestro. Possiamo andare».
  «Va bene. Salutate Mannaen che resta qui fino al tramonto di domani. Raccogliete le cibarie, prendete l’acqua e andiamo. Fate poco rumore».
  Pietro si curva per svegliare Marziam.
  «No, lascia. Potrebbe piangere. Lo prendo in braccio Io», dice Gesù e dolcemente solleva il bambino, che mugola un poco ma poi si accomoda istintivamente fra le braccia di Gesù.

 5 Spengono le lampade. Escono. Chiudono la porta. Scendono. Sulla soglia dell’orto salutano nuovamente Mannaen e poi, in fila, per la via piena di luna vanno al lago: un enorme specchio d’argento sotto la luna allo zenit. Tre gocce rosse sullo specchio quieto sembrano i tre fanaletti delle prore già immersi nell’acqua. Salgono distribuendosi per le barche, ultimi salgono i pescatori: Pietro e un garzone dove è Gesù, Giovanni e Andrea nell’altra, Giacomo e un garzone nella terza.
  «Dove, Maestro?», chiede Pietro.
  «A Tarichea. Dove sbarcammo[72] dopo il miracolo dei geraseni. Ora non ci sarà pantano. E vi sarà quiete».
  Pietro prende il largo e gli altri, con le barche, dietro, una scia nell’altra. Nessuno parla. Soltanto quando sono al largo e Cafarnao svanisce nel chiarore di luna che uniforma tutto col suo pulviscolo d’argento, Pietro, quasi parlasse alla barra del timone, dice: «E ci ho gusto. Domani ci cercheranno, vecchia mia, e grazie a te non ci troveranno».
  «A chi parli, Simone?», chiede Bartolomeo.
  «Alla barca. Non sai che per i pescatori è come una sposa?
  Quanto ho parlato con lei! Più che con Porfirea. Maestro!… È ben coperto il bambino? C’è guazza sul lago di notte…».
  «Sì. Senti, Simone. Vieni qui. Ti devo parlare…».
  Pietro affida la barra del timone al mozzo e viene da Gesù.
  «Ho detto Tarichea. Ma basterà esserci dopo il sabato per salutare di nuovo Mannaen. Non potresti trovare un luogo lì vicino dove stare in pace?».
  «Oh! Maestro! In pace noi o anche le barche? Per quelle ci vuole Tarichea oppure i porti dell’altra sponda. Ma se è per noi, basta che Tu ti inselvi al di là del Giordano, che solo le bestie ti scoveranno… e forse qualche pescatore che sorveglia le tese dei pesci. Potremo lasciare le barche a Tarichea. Vi giungeremo all’alba e noi fileremo svelti oltre il guado. Si passa bene di questi tempi».
  «Va bene. Faremo così…».
  «Fa schifo anche a Te il mondo, eh? Preferisci i pesci e le zanzare, eh? Hai ragione».
  «Non ho schifo. Non bisogna averlo. Ma voglio evitare che voi facciate degli scandali e voglio consolarmi in voi in queste ore del sabato».
  «Maestro mio!…». Pietro lo bacia sulla fronte e se ne va asciugandosi un lacrimone, che vuole proprio rotolare fuori e scendere verso la barba.
  Torna al suo timone e punta a sud, fermamente, mentre la luce lunare decresce nel tramonto del pianeta che si abbassa oltre un colle, levando il suo faccione dalla vista degli uomini, ma lasciando ancora il cielo bianco della sua luce e d’argento il lago nella spiaggia di oriente. Il resto è indaco cupo che appena si distingue al lume del fanale di prora.

   Cap. CCLXXII. Rincarnazione e vita eterna nel dialogo con uno scriba.

    6 settembre 1945

 1 Quando Gesù mette piede sulla riva destra del Giordano, a un buon miglio, forse più, dalla penisoletta di Tarichea, là dove non vi è che campagna bella verde — perché il terreno, ora asciutto, ma umido nel profondo, mantiene vive le piante anche più esili — trova molta gente ad attenderlo.
  Gli vengono incontro i cugini con Simone Zelote: «Maestro, le barche ci hanno indicato… Forse anche Mannaen è stato un indice…».
  «Maestro», si scusa Mannaen, «io sono partito di notte per non essere visto e non ho parlato con nessuno. Credilo. Mi hanno chiesto in molti dove eri. Ma io a tutti ho detto solo: “È partito”. Ma credo che il male lo abbia fatto un pescatore dicendo che ti aveva dato la barca…».
  «Quell’imbecille di mio cognato!», tuona Pietro. «E glielo avevo detto di non parlare! E gli avevo detto che andavamo a Betsaida! E gli avevo detto che se parlava gli strappavo la barba! E lo farò! Oh, se lo farò! E ora? Addio pace, isolamento, riposo!».
  «Buono, buono, Simone. Noi abbiamo già avuto le nostre giornate di pace. E, del resto, parte dello scopo che perseguivo l’ho avuto: ammaestrarvi, consolarvi e calmarvi per impedire offese e urti fra voi e i farisei di Cafarnao. Ora andiamo da questi che ci attendono. A premiare la loro fede e il loro amore. Anche questo amore, non è cosa che solleva? Noi soffriamo di quello che è odio. Qui è amore. Perciò è godimento».
  Pietro si calma come un vento che cade di colpo. E Gesù va verso la folla dei malati, che lo attendono con il desiderio inciso sul volto, e li guarisce uno dopo l’altro, benevolo, paziente anche verso uno scriba che gli presenta il figlioletto ammalato.

 2 È questo scriba che gli dice: «Lo vedi? Tu fuggi. Ma inutile è farlo. Odio e amore sono sagaci nel trovare. Qui l’amore ti ha trovato come è detto nel Cantico. Ormai per troppi Tu sei come lo Sposo dei Cantici. E si viene a Te come la Sulamite va allo sposo, sfidando le guardie di ronda e le quadrighe di Aminadab».
  «Perché dici questo? Perché?».
  «Perché è vero. Venire è pericolo perché sei odiato. Non lo sai che ti posteggia Roma e ti odia il Tempio?».
  «Perché mi tenti, uomo? Tu metti l’insidia nelle tue parole per portare al Tempio e a Roma le mie risposte. Non con insidia Io ho curato tuo figlio…».
  Lo scriba, sotto al dolce rimprovero, china il capo confuso e confessa: «Vedo che realmente Tu vedi i cuori degli uomini. Perdona. Io vedo che realmente Tu sei santo. Perdona. Ero venuto, sì, fermentando in me il lievito che altri vi aveva messo…».
  «E che aveva trovato in te il calore adatto per fermentare».
  «Sì. È vero… Ma ora ne parto senza lievito. Ossia con un lievito nuovo».
  «Lo so. E non ho rancore. Molti sono in colpa per propria volontà, molti per volontà altrui. Diversa sarà la misura con cui saranno giudicati dal giusto Iddio. Tu, scriba, sii giusto e non corrompere in avvenire come fosti corrotto. Quando le pressioni del mondo ti premeranno, guarda la grazia vivente che è tuo figlio, salvato da morte, e sii riconoscente a Dio».
  «A Te».
  «A Dio. A Lui ogni gloria e lode. Io sono il suo Messia e sono il primo a lodarlo e a glorificarlo. Il primo ad ubbidirlo. Perchél’uomo non si avvilisce onorando e servendo Dio in verità, ma si degrada servendo il peccato».
  «Bene dici. Sempre così parli? Per tutti?».
  «Per tutti. Parlassi ad Anna o a Gamaliele, o parlassi al mendico lebbroso su una carraia, le parole sono le stesse perché la Verità è una».
  «Parla, allora, perché tutti siamo qui, mendichi di una tua parola o di una tua grazia».
  «Parlerò. Acciò non si dica che ho preconcetti verso chi è onesto nelle sue convinzioni».
  «Sono morte quelle che avevo. Ma è vero. Ero onesto in esse. Credevo servire Dio combattendo Te».
  «Sei sincero. E per questo meriti di comprendere Dio che non è mai menzogna. Ma le tue convinzioni non sono ancora morte. Io te lo dico. Sono come gramigne bruciate. Alla superficie sembrano morte e in verità hanno avuto un duro assalto che le ha sfinite. Ma le radici sono vive. Ma il terreno le nutre. Ma le rugiade le invitano a gettare nuovi rizomi, e questi nuove foglie. Bisogna sorvegliare perché ciò non avvenga, o sarai di nuovo invaso dalle gramigne. 

 3 Israele è duro a morire!».
  «Deve dunque morire Israele? È pianta malvagia?».
  «Deve morire per risorgere».
  «Una rincarnazione spirituale?».
  «Una evoluzione spirituale. Non ci sono rincarnazioni in nessun genere».
  «C’è chi vi crede».
  «Sono in errore».
  «L’ellenismo ha messo anche in noi queste credenze. E i dotti se ne pascono e gloriano come di un cibo nobilissimo».
  «Contraddizione assurda in quelli che gridano l’anatema per la trascuranza di uno dei seicentotredici precetti minori».
  «È vero. Ma… così è. Piace imitare ciò che pur si odia».
  «Allora imitate Me, posto che mi odiate. E meglio per voi sarà».
  Lo scriba deve sorridere argutamente, per forza, per questa uscita di Gesù. La gente sta a bocca aperta ad ascoltare, e i lontani si fanno ripetere dai vicini le parole dei due.
  «Ma Tu, in confidenza, che credi della rincarnazione?».
  «Che è errore. L’ho detto».
  «Vi è chi sostiene che i vivi si generano dai morti e i morti dai vivi, perché ciò che è non si distrugge».
  «Ciò che eterno è non si distrugge, infatti. Ma dimmi. Secondo te, il Creatore ha limiti a Se stesso?».
  «No, Maestro. Pensarlo sarebbe menomazione».
  «Tu lo hai detto. E può allora pensarsi che Egli permetta che uno spirito rincarni perché più che tanti spiriti non ce ne possono essere?».
  «Non si dovrebbe pensare. Eppure vi è chi lo pensa».
  «E, ciò che è peggio, lo pensa in Israele. Questo pensiero di una immortalità dello spirito — che è già grande, anche se è unito all’errore di una valutazione ingiusta di come avvenga questa immortalità, in un pagano — dovrebbe essere perfetto in un israelita. Invece, in chi lo ammette nei termini della tesi pagana, diviene pensiero ridotto, abbassato, colpevole. Non gloria del pensiero, che mostra di essere degno di ammirazione per aver rasentato da solo la Verità e che perciò testimonia della natura composita dell’uomo, come lo è nel pagano, per questa sua intuizione di una perenne vita della cosa misteriosa che ha nome anima e che ci distingue dai bruti. Ma menomazione del pensiero che, conoscendo la divina Sapienza e il Dio vero, materialista diventa anche in cosa così altamente spirituale.

 4 Lo spirito non trasmigra che dal Creatore all’essere e dall’essere al Creatore, al quale si presenta dopo la vita per avere giudizio di vita o di morte. Questa è verità. E là dove è mandato, là resta. In eterno».
  «Non ammetti il Purgatorio?».
  «Sì. Perché lo chiedi?».
  «Perché dici “dove è mandato resta”. Il Purgatorio è temporaneo».
  «Appunto lo assorbo nel mio pensiero alla Vita eterna. Il Purgatorio è già “vita”. Tramortita, legata, ma vitale sempre. Finita la temporanea sosta nel Purgatorio, lo spirito conquista la perfetta Vita, la raggiunge più senza limiti e legami. Due saranno le cose che resteranno: il Cielo, l’Abisso; il Paradiso, l’Inferno. Due le categorie: i beati, i dannati. Ma da quei tre regni, che ora sono, nessuno spirito tornerà mai a vestire carne. E ciò fino alla risurrezione finale, che chiuderà per sempre l’incarnazione degli spiriti nelle carni, dell’immortale nel mortale».
  «Dell’eterno no?».
  «Eterno è Dio. L’eternità è non avere un principio e una fine. E ciò è Dio. L’immortalità è continuare a vivere da quando si è iniziato a vivere. E ciò è per lo spirito dell’uomo. Ecco la differenza».
  «Tu dici “vita eterna”».
  «Sì. Da quando uno è creato alla vita, può, per lo spirito, per la grazia e per la volontà, conseguire la vita eterna. Non l’eternità. Vita presuppone inizio. Non si dice “vita di Dio”, perché Dio non ha avuto principio».
  «E Tu?».
  «Io vivrò perché anche carne sono, e allo spirito divino ho unito l’anima del Cristo in carne d’uomo».
  «Dio è detto “il Vivente”».
  «Infatti non conosce morte. Egli è Vita. L’inesauribile Vita.
 Non vita di Dio. Ma Vita. Solo questo. Sono sfumature, o scriba. Ma è nelle sfumature che si ammanta Sapienza e Verità».

 5 «Parli così ai gentili?».
  «Non così. Non capirebbero. Mostro loro il Sole. Ma così come lo mostrerei ad un bambino fino allora cieco e stolto, e miracolosamente tornato a vista e intelligenza. Così: come astro. Senza addentrarmi a spiegarne la composizione. Ma voi di Israele non siete né ciechi né stolti. Da secoli il dito di Dio vi ha aperto gli occhi e snebbiato la mente…».
  «È vero, Maestro. Eppure siamo ciechi e stolti».
  «Vi siete fatti tali. E non volete il miracolo di chi vi ama».
  «Maestro…».
  «È verità, scriba».
  Costui china la testa e tace. Gesù lo lascia andando oltre e, nel passare, carezza Marziam e il figlioletto dello scriba che si sono messi a giocare con dei sassolini multicolori.
  Più che una predicazione, la sua è una conversazione con questo o quel gruppo. Ma è una continua predicazione, perché risolve ogni dubbio, chiarisce ogni pensiero, riassume o dilata cose già dette o concetti ritenuti in parte da qualcuno. E le ore passano così…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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