Vangelo Mc 3, 7-12: “Aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo” .

Vangelo Novus Ordo Mc 3, 7-12
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù, con i suoi discepoli si ritirò presso il mare e lo seguì molta folla dalla Galilea. Dalla Giudea e da Gerusalemme, dall’Idumea e da oltre il Giordano e dalle parti di Tiro e Sidòne, una grande folla, sentendo quanto faceva, andò da lui.
Allora egli disse ai suoi discepoli di tenergli pronta una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. Infatti aveva guarito molti, cosicché quanti avevano qualche male si gettavano su di lui per toccarlo.
Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli imponeva loro severamente di non svelare chi egli fosse.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
” Gli spiriti impuri, quando lo vedevano, cadevano ai suoi piedi e gridavano: «Tu sei il Figlio di Dio!» ” .

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXVI. I miracoli dopo l’elezione apostolica. Prima predica di Simone Zelote e di Giovanni.

  18 maggio 1945

 1 Gesù, scendendo a mezza costa, trova molti discepoli e molti altri ancora che si sono uniti piano piano ai discepoli, portati qui, in questo luogo fuori via, dal bisogno del miracolo, dal desiderio della parola di Gesù, venuti sicuri per indicazioni di gente o per istinto d’anima. Io penso che gli angeli degli uomini guidassero gli stessi, desiderosi di Dio, al Figlio di Dio. Né credo di fare con ciò della leggenda. Se si pensa con quale pronta e astuta costanza Satana portava i nemici a Dio e al suo Verbo, nei momenti in cui lo spirito demonico poteva fare apparire agli uomini una parvenza di colpa nel Cristo, è lecito poter pensare, più che lecito è giusto, che anche gli angeli non fossero inferiori ai demoni e portassero gli spiriti non demonici al Cristo.
   E Gesù, a tutti questi che lo hanno atteso senza stanchezze e timori, si prodiga in soccorsi di miracoli e in soccorsi di parola. Quanti miracoli! Una fioritura pari a quella che decora le balze del monte: grandi come è quello di un fanciullo, estratto ustionato atrocemente da un paghaio in fiamme, portato qui su una barella, mucchio di carne arsa che mugola lamentosamente sotto al lino di cui lo hanno ricoperto tanto è atroce il suo aspetto arso, morente ormai, e che Gesù risana alitandogli sopra e risarcendo le bruciature che si annullano completamente, tanto che il fanciullo sorge nudo affatto, e corre felice verso la mamma che ne carezza piangendo di gioia le carni tutte guarite, senza tracce di fuoco, ne bacia gli occhi che si pensavano arsi e invece sono vivi e scintillanti di gioia, i capelli che sono appena corti, ma non distrutti, quasi la vampa avesse fatto da rasoio e non da distruzione; fino al piccolo miracolo di un vecchietto tossicoloso che dice: «Non per me, ma perché devo fare da padre ai nipotini orfani e non posso lavorare il suolo con questo umore fermo qui, in gola, e che mi affoga»… 
   E poi il miracolo non visibile, ma certo esistente, che provocano le parole di Gesù: «Fra voi è uno che piange con l’anima e non osa dire con la parola: “Abbi pietà! “. Io rispondo: “Sia come tu chiedi. Tutta la pietà. Perché tu sappia che Io sono la Misericordia”. Solo, a mia volta, ti dico: “Abbi generosità”. Sii generoso con Dio. Strappa ogni legame col passato. Dio lo senti e a Lui che senti vieni allora con libero cuore, con totale amore».
   Chi sia, fra la folla, colui o colei al quale vanno queste parole, non so.

 2 Gesù dice ancora: «Questi sono i miei apostoli. Altrettanti Cristi sono, perché Io tali li ho eletti. Rivolgetevi ad essi con fiducia. Essi sanno da Me tutto quanto vi abbisogna per le anime vostre…».
   Gli apostoli guardano Gesù perfettamente spaventati. Ma Egli sorride e prosegue: «…e daranno alle vostre anime luce di stella e ristoro di rugiada tanto da impedirvi di languire nelle tenebre. E poi Io verrò, e vi darò pienezza di sole e di onde, tutta la sapienza per farvi forti e felici di soprannaturale fortezza e gioia. La pace a voi, figli. Sono atteso da altri, più infelici e poveri di voi. Ma soli non vi lascio. Vi lascio i miei apostoli, ed è come lasciassi i figli del mio amore affidati alle cure delle più amorose e fidate delle nutrici».
   Gesù fa un gesto di addio e di benedizione e si avvia, fendendo la folla che non lo vuole lasciare partire; ed è allora che si ha l’ultimo miracolo, quello di una vecchierella semiparalizzata, condotta qui dal nipote e che agita festosa il braccio destro prima inerte e grida: «Egli mi ha sfiorata col suo manto, nel passare, e sono guarita! Neppure lo chiedevo, perché vecchia sono… Ma Egli ha avuto pietà anche del mio desiderio segreto. E col manto, un lembo di esso che mi ha sfiorato il braccio perduto, mi ha guarita! Oh! che grande Figlio ha avuto il santo Davide nostro! Gloria al suo Messia! Ma guardate! Ma guardate! Anche la gamba è spedita come il braccio… Oh! come a vent’anni sono!». 
   Il convergere di molti verso la vecchietta, che strilla con tutto il suo fiato la sua felicità, fa sì che Gesù possa svignarsela senza essere più oltre impedito. E gli apostoli dietro.

 3 Quando sono in un luogo deserto, quasi al piano, fra una folta brughiera che va verso il lago, si fermano un momento. Gesù per dire: «Vi benedico! Tornate al vostro lavoro e fatelo finché Io verrò come ho detto». 
   Pietro, fino ad allora sempre zitto, prorompe: «Ma, Signor mio, che hai fatto? Perché dire che noi abbiamo tutto quanto abbisogna alle anime? E vero! Tu ci hai detto molto. Ma noi siamo zucconi, io almeno, e… e di quello che mi hai dato me ne è rimasto poco, molto poco mi è rimasto. É come uno che, di un pasto, ha ancora nello stomaco il più greve. Il resto non ce più». 
   Gesù sorride apertamente: «E dove è allora il resto del cibo?». 
   «Ma… non so. So che, se io mangio piattini delicati, dopo ora non mi sento più niente nello stomaco. Mentre se mangio radici pesanti o lenticchie con l’olio, eh! ci vuole a mandarle giù!».
   «Ci vuole. Ma credi che radici e lenticchie, che sembra ti empiano di più, sono quelle che meno ti lasciano di sostanza: tutta scoria che passa con poco utile. Mentre i piattini che in un’ora non ti senti più, sono non nello stomaco dopo un’ora, ma nel tuo stesso sangue. Quando un cibo è digerito non è più nello stomaco, ma il suo succo è nel sangue e giova di più. Ora a te e ai tuoi compagni vi pare che di quanto vi ho detto più nulla o ben poco sia in voi. Forse vi ricordate bene le parti che più sono consone alla vostra particolare natura: i violenti le parti violente, i meditativi le parti meditative, gli amorosi le parti tutto amore. Senza forse è così. Ma credete: tutto è in voi. Anche se vi pare che sia dileguato. Lo avete assorbito. Il pensiero vi si dipanerà come un filo multicolore portandovi le tinte dolci o severe a seconda che ne avete bisogno. Non abbiate paura. Pensate pure che Io so e che mai vi manderei se vi sapessi incapaci di fare. Addio, Pietro. Su! Sorridi! Abbi fede! Un bell’atto di fede nella Sapienza onnipresente. Addio a tutti. Il Signore resta con voi». E rapido li lascia, ancora stupiti e agitati di quanto hanno udito dire di dover fare.

 4 «Eppure bisogna ubbidire» dice Tommaso. 
   «Eh!… già!… Oh! povero me! Quasi gli corro dietro…» mormora Pietro. 
   «No. Non lo fare. L’ubbidienza è amore a Lui» dice Giacomo di Alfeo. 
   «E cominciare mentre ancora Egli ci è presso, e può consigliarci se sbagliamo, è elementare e anche santa prudenza. Aiutarlo dobbiamo» consiglia lo Zelote. 
  «E vero. Gesù è piuttosto affaticato. Bisogna sollevarlo un poco, come possiamo. Non basta portare le sacche, preparare il letti e il cibo. Questo chiunque lo può fare. Ma aiutarlo, come Egli vuole, nella sua missione» conferma Bartolomeo. 
   «Tu dici bene perché sei dotto. Ma io… Quasi ignorante sono io…» geme Giacomo di Zebedeo. 
   «O Dio! Ecco che arrivano quelli che erano lassù! Come facciamo?» esclama Andrea.      E Matteo: «Scusate se io, il più miserabile, consiglio. Ma non sarebbe meglio pregare il Signore, invece di stare qui a lamentarsi su ciò che coi lamenti non si ripara? Su, Giuda, tu che sai tanto bene la Scrittura, di’ per tutti la preghiera di Salomone per ottenere la Sapienza. Presto! Prima che ci raggiungano». 
   E il Taddeo con la sua bella voce baritonale inizia: « Dio dei milei padri, Signore di misericordia che tutto hai creato…» ecc… ecc…, fino al punto: « … per la sapienza furono salvati tutti quelli che a Te, Signore, piacquero fin dal principio».
   Appena in tempo prima che la gente li raggiunga, li attorni, li assalga con mille domande sul dove è andato il Maestro, sul quando tornerà, e, più difficile ad essere accontentata, con la richiesta: «Ma come si fa a seguire il Maestro non con le gambe, ma con l’anima, per le vie della Via che Egli indica?».
   A questa domanda gli apostoli restano imbarazzati. Si guardano fra di loro e l’Iscariota risponde: «Col seguire la perfezione» quasi fosse una risposta che possa spiegare tutto!… 
   Giacomo di Alfeo, più umile e più pacato, pensa e poi dice: «La perfezione a cui accenna il mio compagno si raggiunge ubbidendo alla Legge. Perché la Legge è giustizia e la giustizia è perfezione». 

 5 Ma la gente ancora non è contenta e chiede per bocca di uno che pare un capo:«Ma noi siamo piccoli come fanciulli nel Bene. I fanciulli non sanno ancora il significato del Bene e del Male, non distinguono. E noi, in questa Via che Egli indica, siamo così informi da essere incapaci di distinguere. Avevamo una via nota. Quella antica che ci è stata insegnata nelle scuole. Così difficile, lunga, paurosa! Ora, dalle sue parole, sentiamo che è come quell’acquedotto che vediamo di qui. Sotto c’è la via delle bestie e dell’uomo, sopra, sugli archi leggeri, alta nel sole e nell’azzurro, presso ai rami più alti che frusciano e cantano per il vento e gli uccelli, vi è un’altra via, liscia, pulita, luminosa quanto quella inferiore è scabra, sporca, oscura, una via, per l’acqua che è limpida e sonante, che è benedizione, per l’acqua che viene da Dio e che è accarezzata da ciò che è di Dio: raggi di sole e di stelle, fronde novelle, fiori, ali di rondine. Noi vorremmo salire a quella via più alta, e che è la sua, e non sappiamo, perché siamo confitti qui, in basso, sotto il peso di tutta la costruzione antica. Come facciamo?». 
   Colui che ha parlato è un giovane sui venticinque anni, bruno, robusto, dallo sguardo intelligente e l’aspetto meno popolano della maggioranza dei presenti. Si appoggia ad un altro più maturo. L’Iscariota, che alto come è lo vede, sussurra ai compagni:
   «Presto, parlate bene. Vi è Erma con Stefano, Stefano, amato da Gamaliele!». 
Cosa che finisce di imbarazzare del tutto gli apostoli.

 6 Infine lo Zelote risponde: «L’arco non sarebbe se non ci fosse la base nella via oscura. Questa è la matrice di quello, che da essa si lancia e sale nell’azzurro di cui tu sei voglioso. Le pietre confitte nel suolo, e che sorreggono il peso senza godere dei raggi e dei voli, non ignorano però che essi ci sono, perché talora una rondine cala con uno strido fino al fango e carezza la base dell’arco, e scende un raggio di sole o di stella a dire quanto è bello il firmamento. Così nei secoli passati è scesa, di tempo in tempo, una parola celeste di promessa, un raggio celeste di sapienza, per carezzare le pietre oppresse dal corruccio divino. Perché le pietre erano necessarie. Non sono, non furono e non saranno mai inutili. Su esse si è elevato lentamente il tempo e la perfezione del conoscere umano fino a raggiungere la libertà del tempo presente e la sapienza del conoscere sovrumano.
   Già leggo la tua obbiezione, ti è scritta in volto. E quella che tutti abbiamo avuto, prima di saper comprendere che questa è la Nuova Dottrina, la Buona Novella predicata a coloro che per un processo a ritroso non sono divenuti adulti con l’elevarsi delle pietre del sapere, ma si sono sempre più oscurati come muro che sprofonda in un abisso cieco.
   Noi, per uscire da questa malattia di oscuramento soprannaturale, dobbiamo liberare coraggiosamente la pietra fondamentale da tutte le pietre sovrapposte. Non abbiate tema di demolire quello che è un alto muro ma che non porta la linfa pura della sorgente eterna. Tornate alla base. Quella non va mutata. E’ da Dio. Ed immobile è. Ma prima di scartare le pietre, perché non tutte sono malvagie e inutili, provatele una ad una, al suono della parola di Dio. Se le sentite non discordi, ritenetele, riusatele per ricostruire. Ma se in esse sentite il suono discorde della voce umana o quello lacerante della voce satanica – e non vi potete sbagliare perché se è voce di Dio è suono d’amore, se è voce umana è suono di senso, se voce satanica è voce d’odio – allora frantumate le pietre malvagie. Dico: frantumate, perché è carità non lasciare indietro germi od oggetti di male che possano sedurre il viandante ed indurlo ad usarle per suo danno. Frantumate letteralmente ogni cosa non buona che fu vostra in opere, scritti, insegnamenti o atti. Meglio restare con poco, elevarsi appena di un cubito ma con buone pietre, che per dei metri ma con pietre malvagie. I raggi e le rondini scendono anche sulle muricce appena elevate dal suolo, e i fioretti umili della proda con facilità giungono ad accarezzare le pietre basse. Mentre le superbe pietre che vogliono elevarsi inutili e scabre non hanno che schiaffi di rovi e abbracci di tossici. Demolite per ricostruire e per salire provando la bontà delle vostre antiche pietre alla voce di Dio».

 7 «Bene parli, uomo. Ma salire! Come? Ti abbiamo detto che meno di pargoli siamo. Chi ci fa salire sull’erta colonna? Proveremo le pietre al suono di Dio, frantumeremo le meno buone. Ma come salire? E’ vertigine solo a pensarlo!» dice Stefano.

 8 Giovanni, che ha ascoltato a capo chino sorridendo a se stesso, alza un volto luminoso e prende la parola. «Fratelli! Vertigine è pensare di salire. E’ vero. Ma chi vi dice che è necessario attaccare l’altezza direttamente? Questo non i pargoli, ma neppure gli adulti lo possono fare. Solo gli angeli possono lanciarsi negli azzurri, perché hanno libertà da ogni peso di materia. E negli uomini solo gli eroi della santità lo possono fare. Abbiamo un vivente che tuttora, in questo mondo avvilito, sa essere eroe di santità come gli antichi di cui si infiora Israele, quando i Patriarchi erano amici di Dio e la parola del Codice eterno era la sola, ma la ubbidita da ogni retta creatura. Giovanni, il Precursore, insegna come si attacca l’altezza direttamente. E’ un uomo, Giovanni. Ma la Grazia che il Fuoco di Dio gli ha comunicata, mondandolo dal ventre della madre, così come fu mondato dal serafino il labbro del Profeta, perché potesse precedere il Messia senza lasciare fetore di colpa d’origine sulla via regale del Cristo, ha dato a Giovanni ali di angelo e la penitenza le ha fatte crescere, abolendo insieme quel peso di umanità che la sua natura di nato di donna aveva conservato. Onde Giovanni, dal suo speco dove predica penitenza, e dal suo corpo dove arde lo spirito sposato alla Grazia, lancia, può lanciare se stesso al sommo dell’arco oltre il quale è Dio, l’altissimo Signore Iddio nostro, e può, dominando i secoli passati, il giorno presente, il tempo futuro, annunciare, con voce di profeta, con occhio d’aquila che può fissare il Sole eterno e riconoscerlo: “Ecco l’Agnello di Dio. Colui che leva i peccati del mondo”, e morire dopo questo suo canto sublime, che sarà usato non solo nel tempo limitato ma nel tempo senza fine, nella Gerusalemme per sempre eterna e beata, per acclamare la Seconda Persona, per invocarla sulle miserie umane, per osannarla nei fulgori eterni.

 9 Ma l’Agnello di Dio, il dolcissimo Agnello che ha lasciato la sua luminosa dimora dei Cieli nei quali è Fuoco di Dio in abbraccio di fuoco – oh! eterna generazione del Padre che concepisce col Pensiero illimitato e santissimo il suo Verbo, e se lo assorbe producendo una fusione d’amore che crea lo Spirito di Amore in cui si accentra la Potenza e la Sapienza! – ma l’Agnello di Dio che ha lasciato la sua purissima, incorporea forma, per chiudere la sua purezza infinita, la sua santità, la sua natura divina in carne mortale, sa che noi non siamo i mondati dalla Grazia, ancora non lo siamo, e sa che non potremmo, come l’aquila che è Giovanni, lanciarci nelle altezze, sul culmine dove è Dio Uno e Trino. Noi siamo i piccoli passeri del tetto e della via, siamo le rondini che toccano l’azzurro ma si cibano di insetti, siamo le calandre che vogliono cantare per imitare gli angeli ma rispetto al cui canto il nostro è fremito discorde di cicala estiva. Questo, il dolce Agnello di Dio, venuto per levare i peccati del mondo, lo sa. Perché, se non è più lo Spirito infinito dei Cieli, avendo costretto Se stesso in carne mortale, la sua infinità non è menomata per questo, e tutto sa essendo sempre infinita la sua sapienza.
   Ed ecco allora che ci insegna la sua via. La via dell’amore. Egli è l’Amore che per misericordia di noi si fa carne. Ecco allora che questo Amore misericordioso ci crea la via che anche i piccoli possono salire. Ed Egli, non per bisogno proprio, ma per insegnarcela, la percorre per primo. Egli neppure avrebbe bisogno di aprire le ali per rifondersi col Padre. Il suo spirito, io ve lo giuro, è chiuso qui, sulla misera terra, ma è sempre col Padre, perché tutto può Dio, e Dio Egli è. Ma va avanti, lasciando dietro di Sé gli aromi della sua santità, l’oro e il fuoco del suo amore. Osservate la sua via. Oh! ben giunge all’arco sommo! Ma come è placida e sicura! Non è una retta: è una spirale. Più lunga, e il suo sacrificio di amore misericordioso si svela in questa lunghezza su cui Egli trattiene Se stesso per amore di noi deboli. Più lunga, ma più adatta alla nostra miseria. La salita all’Amore, a Dio, è semplice come è semplice l’Amore. Ma è profonda perché Dio è un abisso che direi irraggiungibile se Egli non si abbassasse per farsi raggiungere, per sentirsi baciare dalle anime di Lui innamorate (Giovanni parla e piange sorridendo con la bocca, nell’estasi del suo svelare Dio). E’ lunga la semplice via dell’Amore, perché l’Abisso che è Dio non ha fondo, e tanto uno potrebbe salire quanto volesse. Ma l’Abisso mirabile chiama il nostro abisso miserabile. Chiama con le sue luci e dice: “Venite a Me!”. Oh! Invito di Dio! Invito di Padre!

 10 Udite! Udite! Dai Cieli lasciati aperti, perché il Cristo ne ha spalancato le porte – mettendo a tenerle tali gli angeli della Misericordia e del Perdono, perché in attesa della Grazia sugli uomini ne fluissero almeno luci, profumi, canti e sereni, atti a sedurre santamente i cuori umani – vengono incontro a noi parole soavissime. E’ la voce di Dio che parla. E la voce dice: “La vostra puerizia? Ma è la vostra moneta migliore! Vorrei che tutt’affatto piccoli diveniste per avere in voi l’umiltà, la sincerità e l’amore dei pargoli, il confidente amore dei pargoli verso il padre. La vostra incapacità? Ma è la mia gloria! Oh! venite. Neppure vi chiedo che voi da voi stessi proviate il suono delle pietre buone e cattive. Ma datele a Me! Io le sceglierò e voi vi ricostruirete. La scalata alla perfezione? Oh! no, piccoli figli miei. Qui la mano nella mano del Figlio mio, fratello vostro, ora e così, al suo fianco ascendete… Ascendere! Venire a Te, eterno Amore! Prendere la tua somiglianza, ossia l’Amore!
   Amare! Ecco il segreto!… Amare! Darsi.,. Amare! Abolirsi… Amare! Fondersi… La carne? Un nulla. Il dolore? Un nulla. Il tempo? Un nulla. Il peccato stesso diviene nulla se io lo sciolgo nel tuo fuoco, o Dio! L’Amore solo è. L’Amore! L’Amore, che ci ha dato l’incarnato Iddio, ci darà ogni perdono. E amare è atto che nessuno sa meglio dei pargoli fare. E nessuno è amato più di un pargolo.

 11 O tu che non conosco, ma che vuoi conoscere il Bene per distinguerlo dal Male, per avere l’azzurro, il sole celeste, tutto quanto è letizia soprannaturale, ama e l’avrai. Ama Cristo. Morirai nella vita, ma risusciterai nello spirito. Con uno spirito nuovo, senza più avere bisogno di usare le pietre, sarai per l’eternità un fuoco che non muore. La fiamma sale. Non abbisogna di scalini né di ali per salire. Libera il tuo io da ogni costruzione, poni in te l’Amore. Fiammeggerai. Lascia che ciò avvenga senza restrizioni. Aizza anzi la fiamma gettandovi ad alimentarla tutto il tuo passato di passioni, di sapere. Si distruggerà nella fiamma il men buono, e ciò che già è metallo nobile si farà puro. Gettati, o fratello, nell’amore attivo e gaudente della Trinità. Comprenderai ciò che ora ti pare incomprensibile, perché comprenderai Dio, il Comprensibile solo da quelli che si dànno senza misura al suo fuoco sacrificatore. Ti fisserai in ultimo in Dio in un abbraccio di fiamma, pregando per me, il pargolo di Cristo, che ha osato parlarti dell’Amore». 
   Sono tutti di stucco: apostoli, discepoli, fedeli… L’interpellato è pallido, mentre Giovanni è di porpora non tanto per la fatica quanto per l’amore.
   Infine Stefano ha un grido: «Te benedetto! Ma dimmi, chi sei?» E Giovanni – ed ha un atto che mi ricorda molto la Vergine nell’atto dell’Annunciazione – dice piano, curvandosi come adorando Colui che nomina: «Sono Giovanni. Tu vedi in me il minimo fra i servi del Signore.»
   «Ma chi il tuo maestro prima d’ora?». 
   «Alcuno che Dio non sia, poiché ho avuto il latte spirituale da Giovanni il presantificato di Dio, mangio il pane di Cristo Verbo di Dio, e bevo il fuoco di Dio che mi viene dai Cieli. Sia gloria al Signore!». 
   «Ah! ma io non vi lascio più! Né te né costui, nessuno lascio. Prendetemi!». 
   «Quando… Oh! ma qui è Pietro, il capo fra noi » e Giovanni prende lo sbalordito Pietro e lo proclama così «il primo». 
   E Pietro ritrova se stesso: «Figlio, a grande missione occorre severa riflessione. Questo è l’angelo di noi e accende. Ma occorre sapere se la fiamma in noi potrà durare. Misura te stesso. E poi vieni al Signore. Noi ti apriremo il cuore come a fratello carissimo. Per intanto, se vuoi conoscere meglio la nostra vita, resta. Le greggi del Cristo possono crescere a dismisura per essere scelti, fra i perfetti e gli imperfetti, i veri agnelli dai falsi montoni.»
   E con questo ha fine la prima manifestazione apostolica.

   Cap. CLXVII. L’incontro con le romane nel giardino di Giovanna di Cusa.

  19 maggio 1945 

 1 Gesù, con l’aiuto di un barcaiolo che lo ha accolto nella sua barchetta, sbarca sul pontile del giardino di Cusa. Già lo ha visto un giardiniere ed accorre ad aprirgli il cancello che intercetta agli estranei l’entrata nella proprietà dalla parte del lago, un alto e forte cancello che però si nasconde in una siepe foltissima e alta di lauri e bossi dalla parte esterna, verso il lago, e di rose di ogni colore dalla parte interna, verso la casa. Gli splendidi rosai infiorano le fronde bronzee dei lauri e dei bossi, si insinuano fra le ramaglie, fanno capolino dall’altro lato, oppure sormontano del tutto la verde barriera e fanno cadere le loro chiome fiorite al di là. Solo ad un punto, all’altezza di un viale, il cancello si mostra nudo, ed è lì che si apre per dare passaggio a chi viene dal lago e a chi va al lago.
   «La pace a questa casa e a te, Joanna. Dove è la tua padrona?».
   «Là con le sue amiche. Ora la chiamo. Ti attendono da tre giorni per paura di giungere in ritardo».
Gesù sorride. Il servo va di corsa a chiamare Giovanna. Intanto Gesù cammina lentamente verso il luogo accennato dal servo, ammirando lo splendido giardino, si potrebbe dire lo splendido roseto, che Cusa ha fatto costruire per la moglie. Rose di tutti i colori, grandezze e forme, in questo seno riparato di lago, ridono già, precoci e splendide. Vi sono anche altre piante da fiore. Ma sono ancora senza fioritura e la loro presenza è minima di fronte alla quantità dei roseti.

 2 Accorre Giovanna. Non ha neppure posato un cestello pieno a metà di rose, né le forbici che aveva per coglierle, e corre così, a braccia tese, snella e gentile nella ricca veste di sottile lana di un rosa tenuissimo, le cui increspature sono tenute in sesto da borchie e fibbie di filigrana d’argento su cui splendono pallide granate. Sui capelli neri e ondulati, un diadema a foggia di mitra, pure in argento e granate, trattiene un velo di bisso leggerissimo, tinto pure in rosa, che ricade all’indietro, lasciando scoperte le piccole orecchie appesantite da orecchini simili al diadema e il volto ridente, il collo sottile sulla cui radice brilla una collana uguale nel lavoro al resto degli ornamenti preziosi. Lascia cadere il suo cesto davanti ai piedi di Gesù e si inginocchia a baciargli la veste, fra le rose sparse. 
   «Pace a te, Giovanna. Sono venuto».
   «Ed io sono felice. Esse pure sono venute. Oh! ora mi pare di avere fatto male a fare questo! Come farete ad intendervi? Sono affatto pagane!».
Giovanna è un poco agitata. Gesù sorride, le pone la mano sul capo: «Non avere paura. Ci intenderemo benissimo. E tu hai fatto benissimo a “fare questo”. L’incontro sarà fiorito di bene come il tuo giardino di rose. Raccogli ora queste povere rose che hai lasciato cadere e andiamo dalle tue amiche». 
   «Oh! di rose ce ne sono tante! Lo facevo per passare il tempo, e poi le amiche sono così… così… voluttuose… Amano i fiori come fossero… non so…». 
   «Ma li amo Io pure! Vedi che abbiamo già trovato un argomento per intenderci fra Me e loro? Su! Raccogliamo queste splendide rose…» e Gesù si china per dare l’esempio.
   «Non Tu! Non Tu, Signore! Se proprio vuoi, ecco… è fatto».

 3 Camminano fino ad un chiosco che è fatto di un intreccio multicolore di rose. Dalla soglia occhieggiano tre romane: Plautina, Valeria e Lidia. La prima e l’ultima stanno in sospeso, ma Valeria corre fuori e si inchina dicendo: «Salve, Salvatore della mia piccola Fausta!
   «Pace e luce a te e alle tue amiche». 
   Le amiche si inchinano senza parlare.
   Plautina la conosciamo di già. Alta, imponente, dagli splendidi occhi neri, un poco imperiosi, sotto la fronte liscia e bianchissima, naso diritto, perfetto, bocca un poco tumida ma ben fatta, mento rotondetto e marcato, mi ricorda certe bellissime statue di imperatrici romane. Pesanti anelli splendono sulle bellissime mani e larghi bracciali d’oro fasciano le braccia, veramente statuarie, al polso e oltre il gomito, che appare di un bianco rosato, liscio e perfetto, fuori dalla corta manica drappeggiata.
   Lidia invece è bionda, più sottile e più giovane. La sua non è la bellezza imponente di Plautina, ma ha tutta la grazia di una gioventù femminea ancora un poco acerba. E posto che siamo in tema pagano potrei dire che, se Plautina pare la statua di una imperatrice, Lidia potrebbe essere una Diana o una Ninfa di gentile e pudico aspetto.
   Valeria, ora che non è nella disperazione di quando la vedemmo a Cesarea, appare nella sua bellezza di giovane madre, dalle forme piene ma ancora molto giovanili, dall’occhio quieto della madre felice di nutrire e vedere crescere del suo latte il suo nato. Rosea e castana, ha un sorriso pacato ma tanto dolce. Ho l’impressione che siano dame di grado inferiore a Plautina, che anche con lo sguardo esse venerano come una regina.

 4 «Vi occupavate di fiori? Continuate, continuate. Potremo parlare anche mentre cogliete queste splendide opere del Creatore che sono i fiori e mentre le disponete con l’abilità di cui Roma è maestra in queste coppe preziose, per allungarne la vita, ahimè! troppo breve… Se noi ammiriamo questo boccio, che appena apre il riso dei suoi petali giallo rosa, come non possiamo rimpiangere di vederlo morire? Ma, oh! come sarebbero stupiti gli ebrei di sentirmi dire questa cosa! Ma è perché anche nella creatura floreale noi sentiamo un che, che ha vita. E di vederne la fine ci duole. Però la pianta è più saggia di noi. Sa che su ogni ferita di stelo tagliato nasce un nuovo virgulto che sarà la nuova rosa. Ed ecco allora che la nostra mente deve cogliere l’insegnamento e farsi, dell’amore un poco sensuale per il fiore, uno sprone a pensiero più alto». 
   «Quale, Maestro?» interroga Plautina, che ascolta attenta e sedotta dal pensiero elegante del Maestro ebreo.
   «Questo. Che come la pianta non muore finché la sua radice è nutrita dal suolo, non muore per morire di steli, così l’umanità non muore per chiudersi al vivere terreno di un essere. Ma sempre nuovi fiori rampolla. E – pensiero ancor più alto, atto a farci benedire il Creatore – e mentre il fiore, morto che sia, più non rivive, e ciò è tristezza, l’uomo, addormentato che sia nel sonno ultimo, non è morto, ma vivo di una più fulgida vita, traendo con la sua parte migliore eterna vita e splendore dal Creatore che lo ha formato.

 5 Per questo, Valeria, se la tua bambina fosse morta tu non avresti perduto la sua carezza. Sulla tua anima sarebbe sempre venuto il bacio della tua creatura, separata ma non dimentica del tuo amore. Vedi come è dolce avere una fede nella vita eterna? Dove è ora la tua piccina?». 
   «In quella cuna coperta. Non me ne ero mai separata avanti, perché l’amore per il marito e per la figlia erano i due scopi della mia vita. Ma ora che so cosa è vederla morire, non la lascio neppure per un attimo». 
   Gesù si dirige ad un sedile su cui è posata una specie di cunella di legno, tutta coperta da una ricca coltre. La scopre e guarda la piccina dormiente che l’aria più viva sveglia dolcemente. I suoi occhietti si aprono stupiti e un sorriso d’angelo schiude la bocchina mentre le manine, prima chiuse a pugnello, si aprono avide di afferrare gli ondeggianti capelli di Gesù, mentre un cinguettio di passerotto segna il procedere di un discorso nel suo pensiero. Infine trilla la grande, universale parola: «Mamma!».
   «Prendila, prendila» dice Gesù, che si scosta per lasciare che Valeria si curvi sulla cuna. 
   «Ma ti darà noia!… Ora chiamerò una schiava e la farò portare per il giardino». 
   «Noia? Oh! no! Mai noia i bambini. Sono sempre miei amici».
   «Hai figli o nipoti, Maestro?» chiede Plautina, che osserva con che sorrisi Gesù stuzzica la piccola per farla ridere.
   «Non ho né figli né nipoti. Ma amo i bambini come amo i fiori. Perché sono puri e senza malizia. Anzi, dàmmi, o donna, la tua piccina. Stringermi al cuore un piccolo angelo mi è tanto dolce».
   E si siede con la piccolina, che l’osserva e che gli spettina la barba e poi trova da fare meglio con le frange del mantello e il cordone della veste, ai quali dedica un lungo e misterioso discorso.

 6 Plautina dice: «La nostra amica buona e saggia, una delle poche che non si sdegni di noi e non si corrompa con noi, ti avrà detto che abbiamo avuto desiderio di vederti ed udirti per giudicarti per quello che sei. Perché Roma non crede alle fole… Perché sorridi, Maestro?».
   «Dopo te lo dirò. Prosegui».
   «Perché Roma non crede alle fole e vuole giudicare con scienza e coscienza prima di condannare e di esaltare. Il tuo popolo ti esalta e ti calunnia con uguale misura. Le tue opere porterebbero a farti esaltare. Le parole di molti ebrei a crederti poco meno di un delinquente. Le tue parole sono solenni e sagge come quelle di un filosofo. Roma ha molto amore alle dottrine filosofiche e… devo dirlo, i nostri filosofi attuali non hanno una dottrina che soddisfi, anche perché non corrisponde ad essa la loro forma di vita».
   «Non possono avere una forma di vita corrispondente alla loro dottrina».
   «Perché sono pagani, non è vero?».
   «No. Perché sono atei».
   «Atei? Hanno i loro dèi».
   «Non hanno più neppure quelli, donna. Io ti ricordo gli antichi filosofi, i più grandi. Erano pagani essi pure, ma ciononostante guarda che elevatezza di vita fu la loro! Mescolata all’errore, perché l’uomo è portato ad errare. Ma quando furono davanti ai misteri più grandi: la vita e la morte; ma quando furono messi davanti al dilemma dell’onestà o della disonestà, della virtù o del vizio, della eroicità o della vigliaccheria, e pensarono che dal loro volgere al male sarebbe venuto male alla patria e ai cittadini, ecco allora che con volontà gigante gettarono lungi da loro le branche dei mali polipi, e liberi e santi seppero volere il Bene, a qualunque costo. Questo Bene che altri non è che Dio».

 7 «Tu sei Dio, si dice. E vero?».
   «Io sono il Figlio del Dio vero, fatto Carne restando Dio».
   «Ma che è Dio? Il più grande dei maestri, se guardiamo Te».
   «Dio è ben più di un maestro. Non avvilite l’idea sublime della Divinità ad una limitazione di sapienza».
   «La sapienza è una deità. Noi abbiamo Minerva. É la dea del sapere».
   «Avete anche Venere, dea del piacere. Potete ammettere che un dio, ossia uno superiore ai mortali, abbia, portata alla perfezione, tutto quanto è bruttura nei mortali? Potete pensare che uno che è eterno abbia in eterno le piccole, meschine, avvilenti delizie di chi ha un’ora di tempo? E che ne faccia scopo del suo vivere? Non pensate che lurido Cielo è quello che voi chiamate Olimpo e dove fermentano i più acri succhi dell’umanità? Se guardate il vostro Cielo, che vedete? Lussurie, delitti, odi, guerre, furti, crapule, tranelli, vendette. Se volete celebrare le feste dei vostri dèi, che fate? Orgie. Che culto date ad essi? Dove è la vera castità delle sacrate a Vesta? Su quale divino codice si appoggiano per giudicare i vostri pontefici? Quali parole possono leggere nel volo degli uccelli o dal rombo d’un tuono i vostri àuguri? E le sanguinanti viscere degli animali sacrificati che risposte possono dare ai vostri auspici? Hai detto: ” Roma non crede alle fole “. E allora perché crede che dodici poveri uomini, col far fare il giro dei campi ad un porco, una pecora e un toro, e coll’averli immolati, possano propiziarsi Cerere, se avete infinite deità, in odio l’una verso l’altre, e di cui credete alle vendette? No. Ben altra cosa è Dio. Esso è eterno, unico e spirituale».
   «Ma Tu dici essere Dio e sei carne».
   «Vi è un altare senza dio nella patria degli dèi. La saggezza umana lo ha dedicato al Dio ignoto. Perché i saggi, i veri filosofi hanno intuito esservi qualcosa oltre lo scenario istonato creato per quegli eterni bambini che sono gli uomini dagli spiriti avvolti nelle bende dell’errore. Se ora questi saggi – che hanno intuito esservi qualcosa oltre lo scenario bugiardo, qualcosa di veramente sublime e divino che ha fatto quanto è, e dal quale viene quanto di buono vi è nel mondo – hanno voluto un altare al Dio ignoto, che essi sentivano il vero Iddio, come potete voi dare nome di dèi a ciò che dio non è, e dire di sapere ciò che in realtà non sapete? Sappiate dunque cosa è Dio per poterlo conoscere ed onorare.

 8 Dio è Quello che dal suo pensiero ha fatto dal Nulla il Tutto. Vi può persuadere e soddisfare la favola dei sassi che si mutano in uomini? In verità vi sono uomini più duri e malvagi del sasso, e sassi vi sono che sono più utili dell’uomo. Ma non ti è più dolce, Valeria, guardando questa tua piccolina, pensare: “E una vivente volontà di Dio, da Lui creata e formata, da Lui dotata di una seconda vita che non muore, di modo che io l’avrò ancora, la mia piccola Fausta, e per l’eternità, se credo nel Dio vero;” anziché dire: “Queste carni di rosa, questi capelli più sottili di filo di ragno, queste pupille serene vengono da un sasso”? Oppure dire: “Io sono in tutto simile alla lupa o alla cavalla e brutalmente mi accoppio, brutalmente genero, brutalmente allevo, e questa figlia è frutto del mio istinto bruto, è un bruto pari a me, e domani, morta lei, morta io, saremo due carogne che si disciolgono in fetore e che mai più si rivedranno”? Dimmi! Il tuo cuore di madre che vorrebbe delle due ragioni?».
   «La seconda no certo, Signore! Se avessi saputo che Fausta non era cosa che per sempre poteva essere dissolta, il mio dolore, nella sua agonia, sarebbe stato meno spietato. Perché avrei detto: “Ho smarrito una perla. Ma essa vi è ancora. Ed io la ritroverò.»
   «Lo hai detto.

 9 Quando Io sono venuto verso di voi la vostra amica mi disse che si stupiva della vostra passione per i fiori. E temeva che ciò mi potesse urtare. Ma Io l’ho rassicurata dicendo: “Io pure li amo, e perciò ci intenderemo veramente bene”. Ma voglio portarvi ad amare i fiori così come porto Valeria ad amare la sua creatura di cui, sono certo, avrà più grande cura ora che sa che ha l’anima, che è particella di Dio chiusa nella carne fattale da lei, mamma; una particella che non muore, e che la mamma ritroverà nel Cielo, se crederà nel Dio vero. Così voi. Guardate questa splendida rosa. La porpora che orna la veste imperiale è meno splendida di questo petalo, che non solo è gioia degli occhi per il colore ma è gioia del tatto per la sua morbidezza è dell’olfatto per il suo profumo. E guardate questa ancora, e questa, e questa. La prima è sangue sgorgato da un cuore, la seconda è neve testé caduta, la terza è pallido oro, l’ultima sembra fatta con questa dolce faccia infantile che mi sorride in grembo. Ancora: la prima è rigida su un grosso stelo quasi senza spine, rossastro nel fogliame come fosse spruzzato di sàngue, la seconda ha rari uncini di spine e opache e pallide foglie lungo lo stelo, la terza è flessuosa come giunco ed ha un fogliame piccolo e lucido come una verde cera, l’ultima pare precluda la via ad ogni assalto alla rosea corolla tanto si è cosparsa di spine. Sembra una lima dalle acutissime punte. Ora pensate. Chi ha fatto questo? Come? Quando? Dove? Che era questo luogo nella notte dei tempi?
   Nulla era. Era informe agitarsi di elementi. Uno, Dio, disse: “Voglio” e gli elementi si separarono riunendosi per famiglie. E un altro “voglio” tuonò, e si ordinarono l’uno nell’altro: l’acqua fra le terre; l’uno sull’altro: l’aria e la luce sul pianeta composto. Ancora un “voglio” e furono le piante. E poi furono le stelle, e poi gli animali, e poi l’uomo. E perché l’uomo avesse diletto, come splendidi balocchi al suo prediletto, Dio elargì i fiori, gli astri, e per ultimo gli donò la gioia di procreare non ciò che muore, ma ciò che sopravvive alla morte per il dono di Dio che è l’anima. Queste rose sono altrettante volontà del Padre. L’infinita sua potenza si esplica in infinità di bellezze.

 10 Mi è inceppato il dire perché urta contro il bronzo serrato della vostra credenza. Ma spero che, per essere il primo incontro, ci si sia già un poco intesi. L’anima vostra lavori su quanto ho detto. Avete domande da fare? Fatele. Sono qui per chiarirle. Non è vergogna l’ignoranza. E’ vergogna il persistere nell’ignoranza quando c’è chi è pronto a chiarire i dubbi».
   E Gesù, come fosse il più esperto dei papà, esce dal chiosco sorreggendo la piccolina che fa i primi passetti e che vuole andare verso uno zampillo che ondeggia al sole.

 11 Le dame restano dove sono parlottando fra loro. E Giovanna, combattuta fra due desideri, sta sulla soglia del chiosco…
   Infine Lidia si decide, e dietro lei le altre, e va da Gesù che ride perché la piccola vuole afferrare lo spettro solare dell’acqua e non stringe che luce e insiste, insiste con tutto un pigolio di pulcino sulle labbruzze di rosa.
   «Maestro… io non ho capito perché Tu hai detto che i nostri maestri non possono avere forme di vita buona essendo atei. Credono ad un Olimpo. Ma credono…».
   «Non hanno più che l’esteriorità del credere. Finché hanno veramente creduto, come i veri saggi credettero a quell’Ignoto di cui ti ho detto, a quel Dio che soddisfaceva la loro anima anche se senza nome, anche inavvertitamente dal volere, finché hanno volto il loro pensiero a questo Ente, ben superiore, ben superiore ai poveri dèi pieni di umanità, e bassa umanità, che il paganesimo si è dati, hanno, necessariamente, specchiato un poco di Dio. L’anima è uno specchio che riflette e un’eco che riporta».
   «Cosa, Maestro?».
   «Dio».
   «E’ grande parola!».
   «E’ grande verità».

 12 Valeria, che è sedotta dal pensiero della immortalità, chiede: «Maestro, spiegami dove è l’anima della mia bambina. Bacerò quel posto come un sacrario e l’adorerò, poiché è parte di Dio».
   «L’anima! E’ come questa luce che la tua Faustina vuole stringere e non può perché è incorporea. Ma c’è. Io, tu, le tue amiche la vediamo. Ugualmente l’anima è visibile in tutto quanto differenzia l’uomo dal bruto. Quando la tua piccina ti dirà i primi suoi pensieri, pensa che quell’intelligenza è la sua anima che si disvela. Quando ti amerà non con l’istinto ma con la ragione, pensa che quell’amore è la sua anima. Quando ti crescerà al fianco bella, non tanto di corpo ma di virtù, pensa che quella bellezza è la sua anima. E non adorare l’anima, ma Dio Creatore della stessa, Dio che di ogni anima buona si vuole fare un trono».
   «Ma dove è questa cosa incorporea e sublime: nel cuore? nel cervello?».
   «E’ nel tutto che è l’uomo. Vi contiene ed è in voi contenuta. Quando vi lascia siete cadaveri. Quando viene uccisa, da un delitto di uomo a se stesso, siete dannati, separati per sempre da Dio».
   «Tu dunque ammetti che il filosofo che ci disse “immortali” aveva ragione benché pagano?» chiede Plautina.
   «Non lo ammetto. Faccio di più. Dico che ciò è articolo di fede. L’immortalità dell’anima, ossia l’immortalità della parte superiore dell’uomo è il mistero più certo e più consolante del credere. E’ quello che ci assicura di dove veniamo, di dove andiamo, di chi siamo, e ci leva l’amaro di ogni separazione».

 13 Plautina pensa profondamente. Gesù l’osserva e tace. Infine chiede: «E Tu l’hai l’anima?».
   Gesù risponde: «Sicuramente».
   «Ma sei o non sei Dio?».
   «Sono Dio. Te l’ho detto. Ma ora ho preso natura di Uomo. E sai per quale motivo? Perché solo con questo mio sacrificio Io potevo risolvere i punti insuperabili alla vostra ragione, e dopo aver abbattuto l’errore, liberando il pensiero, potevo liberare anche l’anima da una schiavitù che per ora non ti posso spiegare. Perciò ho chiuso la Sapienza in un corpo, la Santità in un corpo. La Sapienza la spargo come seme sul terreno e polline ai venti, la Santità come da preziosa anfora infranta fluirà sul mondo nell’ora della Grazia e santificherà gli uomini. Allora il Dio ignoto sarà noto».
   «Ma Tu sei già noto. Chi pone in dubbio la tua potenza e la tua sapienza è malvagio o mentitore».
   «Noto sono. Ma questa non è che un’alba. Il meriggio sarà pieno della cognizione di Me».
   «Quale sarà il tuo meriggio? Un trionfo? Lo vedrò io?».
   «In verità sarà un trionfo. E tu vi sarai. Perché in te è nausea di ciò che sai e appetito di ciò che ignori. La tua anima ha fame».
   «E’ vero! Ho fame di verità».
   «Io sono la Verità».
   «Concediti allora all’affamata».
   «Non hai che venire alla mia mensa. La mia parola è pane di verità».

 14 «Ma che diranno i nostri dèi se li abbandoniamo? Non si vendicheranno su noi?» chiede Lidia, paurosa.
   «Donna, hai mai visto un mattino nebbioso? I prati si perdono sotto un vapore che li nasconde. Viene il sole e il vapore si dissolve, i prati splendono più belli. Così i vostri dèi, nebbia di povero pensiero umano che, ignorando Dio e avendo bisogno di credere, perché la fede è lo stato permanente e necessario dell’uomo, si è creato questo Olimpo, vera fola insussistente. Così i vostri dèi al sorgere del Sole, Iddio vero, nei vostri cuori, si dissolveranno senza poter nuocere. Perché essi non sono».
   «Bisognerà ascoltarti ancora molto… Siamo assolutamente davanti all’ignoto. Tutto quanto Tu dici è nuovo».
   «Ma ti ripugna? Non lo puoi accettare?».
   Plautina risponde sicura: «No. Mi sento più orgogliosa di quel minimo che ora so, e che Cesare non sa, che del mio nome».
   «E allora persevera.

 15 Io vi lascio con la mia pace».
   «Ma come? Non resti, mio Signore?». Giovanna è desolata.
   «Non resto. Ho molto da fare… »
   «Oh! che ti volevo dire la mia pena!».
   Gesù, che si incammina, dopo l’ossequio delle romane, si volge e dice: «Vieni sino alla barca. Mi dirai il tuo affanno».
   E Giovanna va. E dice: «Cusa mi vuole mandare per qualche tempo a Gerusalemme, e io ne ho dolore. Lo fa perché non vuole che io sia più relegata, ora che sono sana…»
   «Anche tu ti crei nebbie inutili!». Gesù ha già un piede sulla barca. «Se pensassi che così potrai ospitarmi o seguirmi con più facilità, saresti contenta e diresti: “La Bontà ci ha pensato”».
   «Oh!… è vero, mio Signore! Non avevo riflettuto».
   «Vedi dunque! Ubbidisci, da brava moglie. L’ubbidienza ti darà il premio di avermi per la prossima Pasqua e l’onore di aiutarmi ad evangelizzare le tue amiche. La pace sia sempre con te!»
   La barca si stacca e tutto ha fine.

   Cap. CCLXIX. La disputa con scribi e farisei a Cafarnao. L’arrivo della Madre e dei fratelli.

   2 settembre 1945

 1 La stessa scena della passata visione. Gesù si accomiata dalla vedova, tenendo però già per mano il piccolo Giuseppe, e dice alla donna: «Non verrà nessuno prima del mio ritorno, a meno che non sia un gentile. Ma chiunque venga trattienilo fino a dopo domani dicendo che verrò senza fallo».
  «Lo dirò, Maestro. E se vi saranno malati li ospiterò come Tu mi hai insegnato».
  «Addio, allora, e la pace sia con voi. Vieni, Mannaen».
  Da questo breve spunto comprendo che malati e infelici in genere lo hanno raggiunto a Corozim e che all’evangelizzazione del lavoro Gesù ha unito quella del miracolo. E se Corozim resta sempre indifferente è proprio segno che è terreno selvaggio e incoltivabile. Pure Gesù la traversa, salutando quelli che lo salutano, come nulla fosse, e poi riprendendo a parlare con Mannaen, che è incerto se ripartire per Macheronte o rimanere ancora una settimana…

 2 … Nella casa di Cafarnao intanto si preparano al sabato. Matteo, un poco zoppicante, riceve i compagni, li soccorre d’acqua e di frutta fresche, chiedendo delle loro missioni.
  Pietro arriccia il naso vedendo che già dei farisei bighellonano presso la casa: «Hanno voglia di avvelenarci il sabato.
  Quasi direi di andare incontro al Maestro e dirgli di andare a Betsaida lasciando costoro delusi».
  «E credi che il Maestro lo farebbe?», chiede suo fratello.
  «E poi c’è nella stanza bassa quel povero infelice che aspetta», osserva Matteo.
  «Si potrebbe portarlo con la barca a Betsaida, e io, o qualche altro, andare incontro al Maestro», dice Pietro.
  «Quasi quasi…», dice Filippo che, avendo famiglia a Betsaida, ci andrebbe volentieri.
  «Molto più che, vedete, vedete! Oggi la guardia è rinforzata con degli scribi. Andiamo senza perdere tempo. Voi, col malato, passate dall’orto, e via per il dietro della casa. Io porto la barca al “pozzo del fico” e Giacomo fa la stessa cosa. Simone Zelote e i fratelli di Gesù vanno incontro al Maestro».
  «Io non vado via coll’indemoniato», proclama l’Iscariota.
  «Perché? Hai paura che ti si attacchi il demonio?».
  «Non mi inquietare, Simone di Giona. Ho detto che io non vado e non vado».
  «Va’ coi cugini incontro a Gesù».
  «No».
  «Auf! Vieni in barca».
  «No».
  «Ma insomma che vuoi? Sei sempre quello degli ostacoli…».
  «Voglio rimanere dove sono: qui. Non ho paura di nessuno e non scappo. E del resto il Maestro non vi sarebbe grato della trovata. E sarebbe un’altra predica di rimprovero, e io non ho voglia di averla per vostra colpa. Voi andate. Io resterò a riferire…».
  «No proprio! O tutti o nessuno», urla Pietro.
  «Allora nessuno, perché il Maestro è qui. Eccolo che si avanza», dice serio lo Zelote che guardava sulla via.
  Pietro, malcontento, borbotta fra la barba. Ma va incontro a Gesù con gli altri. 

 3 Dopo i primi saluti gli dicono di un indemoniato, cieco e muto, che attende coi parenti la sua venuta da molte ore.
  Matteo spiega: «È come inerte. Si è gettato su dei sacchi vuoti e non si è più mosso. I parenti sperano in Te. Vieni a ristorarti e poi lo soccorrerai».
  «No. Vado subito da lui. Dove è?».
  «Nella stanza bassa presso al forno. L’ho messo lì coi parenti perché ci sono molti farisei, e anche scribi, che sembrano in agguato…».
  «Sì, e sarebbe meglio non farli contenti», brontola Pietro.
  «Giuda di Simone non c’è?», chiede Gesù.
  «È rimasto in casa. Lui deve fare ciò che gli altri non fanno», brontola ancora Pietro.
  Gesù lo guarda ma non lo rimprovera. Si affretta alla casa affidando il bambino proprio a Pietro, che se lo carezza tirando subito fuori dall’alta cintura un fischietto dicendo: «Uno a te e uno a mio figlio. Domani sera ti ci porto a vederlo. Me li sono fatti fare da un pastore al quale ho parlato di Gesù».
  Gesù entra in casa, saluta Giuda che sembra tutto occupato ad ordinare le stoviglie, e poi tira diritto fino ad una specie di dispensa bassa e scura che è addossata al forno.
  «Fate uscire il malato», ordina Gesù.
  Un fariseo che non è di Cafarnao, ma che ha una mùtria peggiore ancora a quelle dei farisei locali, dice: «Non è un malato. È un indemoniato».
  «È sempre una malattia dello spirito…».
  «Ma lui ha legati gli occhi e la favella…».
  «È sempre una malattia dello spirito, che si estende alle membra e agli organi, la possessione. Se mi avessi lasciato terminare avresti saputo che volevo dire questo. Anche la febbre è nel sangue quando si è malati, ma dal sangue attacca poi questa o quella parte del corpo».
  Il fariseo non sa che ribattere e tace.

 4 L’indemoniato è stato condotto di fronte a Gesù. Inerte. Ha detto bene Matteo. Molto impedito dal demonio.
  La gente intanto si affolla. È incredibile come, specie nelle ore, dirò così, di svago, facesse presto un tempo ad accorrere gente dove c’era da vedere qualche cosa. Vi sono ora i notabili di Cafarnao, fra i quali i quattro farisei, vi è Giairo, e in un angolo, con la scusa di sorvegliare l’ordine, vi è il centurione romano, e con lui cittadini di altre città.
  «In nome di Dio, lascia le pupille e la lingua di costui! Lo voglio! Libera di te questa creatura! Non ti è più lecito tenerla. Via!», grida Gesù tendendo le mani nel comando.
  Il miracolo si inizia con un urlo di rabbia del demonio e finisce con un urlo di gioia del liberato che grida: «Figlio di Davide! Figlio di Davide! Santo e Re!».

 5 «Come fa costui a sapere chi è colui che lo ha guarito?», chiede uno scriba.
  «Ma è tutta una commedia! Questa gente è pagata per fare ciò!», dice alzando le spalle un fariseo.
  «Ma da chi, se è lecito chiedervelo?», interroga Giairo.
  «Anche da te».
  «E a che scopo?».
  «Per rendere celebre Cafarnao».
  «Non umiliare la tua intelligenza dicendo stoltezze e la tua lingua sporcandola di menzogne. Tu sai che ciò non è vero, e dovresti capire che dici una stoltezza. Ciò che qui avviene è avvenuto in molte parti di Israele. Allora dovunque vi sarà chi paga? In verità non sapevo che in Israele la plebe fosse molto ricca! Perché voi, e con voi i grandi tutti, non pagate certo per questo. Allora paga la plebe, che è l’unica che ami il Maestro».
  «Tu sei sinagogo e lo ami. Là è Mannaen. E a Betania è Lazzaro di Teofilo. Questi non sono plebe».
  «Ma sono essi, e sono io, onesti. E non truffiamo nessuno, in niente. E tanto meno nelle cose di fede. Non ce lo permettiamo noi, temendo Dio e avendo capito ciò che a Dio piace: l’onestà».
  I farisei voltano le spalle a Giairo e attaccano i parenti del guarito: «Chi vi ha detto di venire qui?».
  «Chi? Molti. Già guariti o parenti di guariti».
  «Ma che vi hanno dato?».
  «Dato? La assicurazione che Egli ce lo avrebbe guarito».
  «Ma era proprio malato?».
  «Oh! Menti subdole! Credete che si sia finto tutto ciò? Andate a Gadara e chiedete, se non credete, della sventura della famiglia di Anna di Ismaele».
  La gente di Cafarnao, sdegnata, tumultua, mentre dei galilei, venuti da presso Nazaret, dicono: «Eppure costui è figlio di Giuseppe legnaiolo!».
  I cittadini di Cafarnao, fedeli a Gesù, urlano: «No. È quello che Lui dice e che il guarito ha detto: “Figlio di Dio e Figlio di Davide”».
  «Ma non aumentate l’esaltazione del popolo con le vostre asserzioni!», dice sprezzante uno scriba.
  «E che è allora, secondo voi?».
  «Un Belzebù!».
  «Uh! Lingue di vipere! Bestemmiatori! Posseduti voi! Ciechi di cuore! Rovina nostra. Anche la gioia del Messia vorreste levarci, eh? Strozzini! Selci aride!». Un bel baccano!
  Gesù, che si era ritirato in cucina per bere un poco d’acqua, si affaccia sulla soglia in tempo per sentire una volta ancora la trita e stolta accusa farisaica: «Costui non è che un Belzebù, perché i demoni lo ubbidiscono. Il grande Belzebù suo padre lo aiuta, ed Egli caccia i demoni non con altro che con l’opera di Belzebù principe dei demoni».

 6 Gesù scende i due piccoli scalini della soglia e viene avanti, diritto, severo e calmo, fermandosi proprio di fronte al gruppo scribo-farisaico, e fissatili acutamente dice loro:
  «Anche sulla Terra noi vediamo che un regno diviso in partiti contrari fra di loro diviene debole all’interno e facile ad essere aggredito e devastato dagli stati vicini che lo rendono suo schiavo. Anche sulla Terra vediamo che una città divisa in parti contrarie non ha più benessere, e così lo è di una famiglia i cui componenti siano divisi dall’astio fra di loro. Essa si sgretola, diviene un inutile sbocconcellamento che non serve a nessuno e che fa ridere i concittadini. La concordia, oltre che dovere, è furbizia. Perché mantiene indipendenti, forti e amorosi. Questo dovrebbero riflettere i patriotti, i cittadini, i famigliari, quando per l’uzzolo di un utile singolo vengono tentati a separazioni e a sopraffazioni che sono sempre pericolose, essendo alterne nei partiti, essendo distruttrici negli affetti. E questa furbizia infatti esercitano coloro che sono i padroni del mondo. Osservate Roma nella sua innegabile potenza, a noi tanto penosa. Domina il mondo. Ma è unita in un unico parere, in una sola volontà: “dominare”. Anche fra di loro ci saranno certo contrasti, antipatie, ribellioni. Ma questo sta nel fondo. Alla superficie è un blocco solo, senza incrinature, senza turbamenti. Vogliono tutti la stessa cosa e riescono perché vogliono. E riusciranno finché vorranno la stessa cosa.
  Guardate questo esempio umano di furbizia coesiva e pensate: se questi figli del secolo sono così, cosa non sarà Satana? Essi sono per noi dei satana. Ma la loro satanicità pagana è nulla rispetto alla satanicità perfetta di Satana e dei suoi demoni. Là, in quel regno eterno, senza secolo, senza fine, senza limite di astuzia e di cattiveria, là dove si gode di nuocere a Dio e agli uomini — ed è loro respiro il nuocere, loro doloroso godimento, unico, atroce — con perfezione maledetta si è raggiunta la fusione degli spiriti, uniti in un solo volere: “nuocere”. Ora se, come voi volete sostenere per insinuare dubbi sul mio potere, Satana è colui che mi aiuta perché Io sono un Belzebù minore, non avviene che Satana è in discordia con se stesso e coi suoi demoni, se caccia questi dai suoi possessi? E se in discordia è, potrà mai durare il suo regno? No, che ciò non è. Satana è furbissimo e non si nuoce. Egli mira ad estendere non a ridurre il suo regno nei cuori. La sua vita è “rubare – nuocere mentire – offendere – turbare”. Rubare anime a Dio e pace agli uomini. Nuocere alle creature del Padre dando dolore allo stesso. Mentire per traviare. Offendere per godere. Turbare perché egli è il Disordine. E non può mutare. È eterno nel suo essere e nei suoi metodi.

 7 Ma rispondete a questa domanda: se Io caccio i demoni in nome di Belzebù, in nome di chi li cacciano i vostri figli? Vorrete confessare allora che essi pure sono Belzebù? Ora, se voi lo dite, essi vi giudicheranno calunniatori. E se la loro santità sarà tale da non reagire all’accusa, vi giudicherete da voi stessi confessando che credete di avere molti demoni in Israele, e vi giudicherà Iddio in nome dei figli d’Israele accusati d’essere demoni. Perciò, da qual che venga il giudizio, essi in fondo saranno i vostri giudici, là dove il giudizio non è subornato da pressioni umane.
  Se poi, come è verità, Io caccio i demoni per lo Spirito di Dio, è dunque prova che è giunto a voi il Regno di Dio e il Re di questo Regno. Il quale Re ha un potere tale che nessuna forza contraria al suo Regno gli può resistere. Onde Io lego e costringo gli usurpatori dei figli del mio Regno ad uscire dai luoghi occupati ed a restituirmi la preda perché Io ne prenda possesso. Non fa forse così uno che voglia entrare in una casa abitata da un forte per levargli i beni, bene o male acquistati? Così fa. Entra e lo lega. E dopo averlo fatto può spogliare la casa. Io lego l’angelo tenebroso che si è preso ciò che è mio, e gli levo il bene che mi ha rubato. E Io solo posso farlo, perché Io solo sono il Forte, il Padre del secolo futuro, il Principe della pace».

 8 «Spiegaci cosa vuoi dire dicendo: “Padre del secolo futuro”. Credi Tu di vivere fino al nuovo secolo e, più stoltamente ancora, pensi di creare il tempo, Tu, povero uomo? Il tempo è di Dio», chiede uno scriba.
  «E tu, scriba, me lo chiedi? Non sai dunque che vi sarà un secolo che avrà inizio ma fine non avrà, e che sarà il mio? In esso Io trionferò radunando intorno a Me coloro che sono i figli di esso, ed essi vivranno eterni come quel secolo che Io avrò creato, e già lo sto creando mettendo lo spirito in valore, sulla carne e sul mondo e sugli inferi che Io scaccio perché tutto Io posso. Per questo vi dico che chi non è con Me è contro di Me, e chi con Me non raccoglie disperde. Perché Io sono Colui che sono. E chi non crede questo, già profetizzato, pecca contro lo Spirito Santo, la cui parola fu detta dai Profeti e non è menzogna né errore, e va creduta senza resistenza.
  Perché Io ve lo dico: tutto sarà perdonato agli uomini, ogni loro peccato e bestemmia. Perché Dio sa che l’uomo non è solo spirito ma è carne, e carne tentata che soggiace ad improvvise debolezze. Ma la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata. Chi avrà parlato contro il Figlio dell’uomo sarà ancora perdonato, perché la pesantezza della carne, che avvolge la mia Persona e avvolge l’uomo che contro Me parla, può ancora trarre in errore. Ma chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questa né nella vita futura, perché la Verità è quella che è: netta, santa, innegabile, ed espressa allo spirito e in maniera che non induce ad errore. Altro che in coloro che volutamente vogliono l’errore. Negare la Verità detta dallo Spirito Santo è negare la Parola di Dio e l’Amore che quella Parola ha dato per amore degli uomini. E il peccato contro l’Amore non è perdonato.

 9 Ma ognuno dà i frutti della sua pianta. Voi date i vostri, e frutti buoni non sono. Se voi date un albero buono perché sia messo nel verziere, esso darà buoni frutti; ma se date un albero cattivo, cattivo sarà il frutto che da esso sarà colto, e tutti diranno: “Questo albero non è buono”. Perché è dal frutto che si conosce l’albero. E voi come credete di poter parlare bene, voi che siete cattivi? Perché la bocca parla di ciò che gli riempie il cuore. È dalla sovrabbondanza di ciò che abbiamo in noi che noi traiamo i nostri atti e discorsi. L’uomo buono trae dal suo buon tesoro cose buone; il malvagio dal suo cattivo tesoro leva le male cose. E parla e agisce secondo il suo intimo.
  E in verità vi dico che l’ozio è colpa. Ma meglio è oziare che fare opere malvagie. E anche vi dico che è meglio tacere che parlare oziosamente e malvagiamente. Anche se il tacere è ozio, fatelo piuttosto che peccare con la lingua. Io vi assicuro che di ogni parola detta oziosamente agli uomini sarà chiesta la giustificazione nel giorno del Giudizio, e che per le parole dette saranno gli uomini giustificati, e dalle parole stesse saranno condannati. Attenti, perciò, voi che tante ne dite di più che oziose, perché sono non solo oziose ma operanti nel male e allo scopo di allontanare i cuori dalla Verità che vi parla».

10 I farisei si consultano con gli scribi e poi tutti insieme, fingendo cortesia, chiedono: «Maestro, si crede meglio a quello che si vede. Dàcci dunque un segno perché noi si possa credere che Tu sei ciò che dici d’essere».
  «Vedete che in voi è il peccato contro lo Spirito Santo, che per Verbo incarnato mi ha indicato più volte? Verbo e Salvatore, venuto nel tempo segnato, preceduto e seguito dai segni profetizzati, operante ciò che lo Spirito dice».
 Essi rispondono: «Allo Spirito crediamo, ma come possiamo credere a Te se non vediamo un segno coi nostri occhi?».
  «Come potete allora credere allo Spirito le cui azioni sono spirituali, se non credete alle mie che sono sensibili ai vostri occhi? La mia vita ne è piena. Non basta ancora? No. Io stesso rispondo che no. Non basta ancora. A questa generazione adultera e malvagia, che cerca un segno, sarà dato un segno[69] soltanto: quello del profeta Giona. Infatti, come Giona stette per tre giorni nel ventre della balena, così il Figlio dell’uomo starà tre giorni nelle viscere della Terra. In verità vi dico che i Niniviti risorgeranno nel giorno del Giudizio come tutti gli uomini e insorgeranno contro questa generazione e la condanneranno. Perché essi fecero penitenza alla predicazione di Giona e voi no. E qui vi è Uno che è da più di Giona. E così risorgerà e insorgerà contro di voi la Regina del Mezzogiorno e vi condannerà, perché essa venne[70] dagli ultimi confini della Terra per udire la sapienza di Salomone. E qui vi è Uno da più di Salomone».

11 «Perché dici che questa generazione è adultera e malvagia? Non lo sarà da più delle altre. In essa vi sono gli stessi santi che vi erano nelle altre. La compagine di Israele non è mutata. Tu ci offendi».
  «Voi vi offendete da voi stessi nuocendovi nelle vostre anime, perché le allontanate dalla Verità, e dalla Salvezza perciò. Ma Io vi rispondo lo stesso. Questa generazione non è santa che nelle vesti e nell’esterno. Dentro, santa non è. Vi sono in Israele gli stessi nomi per significare le stesse cose. Ma non c’è la realtà delle cose. Vi sono gli stessi usi, vesti e riti. Ma manca lo spirito di essi. Siete adulteri perché avete respinto il soprannaturale maritaggio con la Legge divina e avete sposato, in seconda adultera unione, la legge di Satana. Non siete circoncisi che in un membro caduco. Il cuore non è più circonciso. E malvagi siete, perché vi siete venduti al Maligno. Ho detto».
  «Tu troppo ci offendi. Ma perché, se così è, Tu non liberi Israele dal demonio acciò santo diventi?».
  «Ha Israele questa volontà? No. L’hanno quei poveri che vengono per essere liberati dal demonio perché lo sentono in loro come un peso e una vergogna. Voi questo non lo sentite. E inutilmente voi ne sareste liberati, perché, non avendo volontà di esserlo, subito sareste ripresi ed in maniera ancor più forte. Perché, quando uno spirito immondo è uscito da un uomo, vagola per luoghi aridi in cerca di riposo e non lo trova. Luoghi aridi non materialmente, notate. Aridi perché gli sono ostili non accogliendolo, così come la terra arida è ostile al seme. Allora dice: “Tornerò alla casa mia da dove sono stato cacciato a forza e contro la sua volontà. E certo sono che mi accoglierà e mi darà riposo”. Infatti torna a colui che era suo, e molte volte lo trova disposto ad accoglierlo, perché in verità ve lo dico che l’uomo ha più nostalgia di Satana che di Dio, e se Satana non gli opprime le membra per nessun’altra possessione si lamenta. Va dunque e trova la casa vuota, spazzata, adorna, odorosa di purezza. Allora va a prendere altri sette demoni perché non vuole più perderla, e con questi sette spiriti peggiori di lui entra in essa e vi si stabiliscono tutti. E questo secondo stato, di uno convertito una volta e che si pervertisce una seconda, è peggiore del primo. Perché il demonio ha la misura di quanto quell’uomo sia amante di Satana e ingrato a Dio, ed anche perché Dio non ritorna là dove si calpestano le sue grazie e, già esperti di una possessione, si riaprono le braccia ad una maggiore. La ricaduta nel satanismo è peggio di una ricaduta in etisia mortale già sanata una volta. Non è più passibile di miglioramento e guarigione. Così accadrà anche di questa generazione che, convertita dal Battista, ha rivoluto essere peccatrice perché è amante del Malvagio e non di Me».

12 Un brusio, che non è né di approvazione né di protesta, scorre per la folla, che si pigia ormai tanto numerosa che anche la via ne è stipata, oltre l’orto e la terrazza. Vi è gente a cavalcioni del muretto, arrampicata sul fico dell’orto e sulle piante degli orti vicini, perché tutti vogliono sentire la disputa fra Gesù e i suoi nemici. Il brusio, come un’onda che dal largo giunge al lido, arriva di bocca in bocca fino agli apostoli che più sono vicino a Gesù, ossia Pietro, Giovanni, lo Zelote e i figli di Alfeo. Perché gli altri sono parte sulla terrazza e parte nella cucina. Meno Giuda Iscariota che è sulla via, fra la folla.
  E Pietro, Giovanni, lo Zelote, i figli d’Alfeo lo raccolgono questo brusio e dicono a Gesù: «Maestro, c’è tua Madre e i tuoi fratelli. Sono là fuori, sulla via, e ti cercano perché ti vogliono parlare. Da’ ordine che la folla si allontani perché essi possano venire a Te, perché certo un gran motivo li ha portati fin qui a cercarti».
  Gesù alza il capo e vede in fondo alla gente il viso angosciato di sua Madre che lotta per non piangere, mentre Giuseppe di Alfeo le parla concitatamente, e vede i segni di diniego di Lei, ripetuti, energici, nonostante l’insistenza di Giuseppe. Vede anche il viso imbarazzato di Simone, palesemente addolorato, disgustato… Ma non sorride e non ordina nulla. Lascia l’Afflitta nel suo dolore e i cugini là dove sono.
  Abbassa gli occhi sulla folla e, rispondendo agli apostoli vicini, risponde anche a quelli lontani che tentano di far valere il sangue più del dovere. «Chi è mia Madre? Chi sono i miei fratelli?». Gira l’occhio, severo nel volto che impallidisce per que sta violenza che si deve fare, per mettere il dovere al disopra dell’affetto e del sangue e per fare questa sconfessione del suo legame alla Madre per servire il Padre, e dice, accennando con un largo gesto la folla che si pigia intorno a Lui al lume rosso delle torce e alla luce argentea della luna quasi piena: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli. Coloro che fanno la volontà di Dio sono i miei fratelli e sorelle, sono mia madre. Non ne ho altri. E i miei saranno tali se, per primi e con maggior perfezione di ogni altro, faranno la volontà di Dio fino al sacrificio totale di ogni altra volontà o voce di sangue e di affetto».
  La folla ha un mormorio più forte, come se fosse un mare sconvolto da un subito vento.
  Gli scribi iniziano la fuga dicendo: «È un demonio! Rinnega persino il suo sangue!».
  I parenti avanzano dicendo: «È un folle! Tortura persino sua Madre!».
  Gli apostoli dicono: «In verità che in questa parola c’è tutto l’eroismo!».
  La folla dice: «Come ci ama!».

13 A fatica, Maria con Giuseppe e Simone fendono la folla. Lei tutta dolcezza, Giuseppe tutto furia, Simone tutto imbarazzo. Giungono presso a Gesù.
  E Giuseppe lo investe subito: «Sei folle! Offendi tutti. Non rispetti neppure tua Madre. Ma ora sono qui io e te lo impedirò. È vero che vai come lavorante qua e là? E allora, se vero è, perché non lavori nella tua bottega, sfamando tua Madre? Perché menti dicendo che il tuo lavoro è la predicazione, ozioso e ingrato che sei, se poi vai al lavoro prezzolato in casa estranea? Veramente mi sembri preso da un demonio che ti travia. Rispondi!».
  Gesù si volta e prende per mano il bambino Giuseppe, se lo tira vicino e poi lo alza tenendolo per le ascelle e dice: «Il mio lavoro fu sfamare questo innocente e i suoi parenti e persuaderli che Dio è buono. È stato predicare a Corozim l’umiltà e la carità. E non a Corozim soltanto. Ma anche a te, Giuseppe, fratello ingiusto. Ma Io ti perdono perché ti so morso da denti di serpe. E perdono anche a te, Simone incostante. Non ho nulla da perdonare né da farmi perdonare da mia Madre, perché Ella giudica con giustizia. Il mondo faccia ciò che vuole. Io faccio ciò che Dio vuole. E con la benedizione del Padre e della Madre mia sono felice più che se tutto il mondo mi acclamasse re secondo il mondo. Vieni, Madre. Non piangere. Essi non sanno ciò che fanno. Perdonali».
  «Oh! Figlio mio! Io so. Tu sai. Non c’è altro da dire…».
  «Non c’è altro da dire fuorché alla gente questo: “Andate in pace”».
  E Gesù benedice la folla e poi, tenendo con la destra Maria, con la sinistra il bambino, si avvia alla scaletta e la sale per il primo.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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