Vangelo Lc 9, 28-36: «In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare».

Vangelo Novus Ordo Lc 9,28-36
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare.
Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXLIX. La Trasfigurazione sul monte Tabor e l’epilettico guarito ai piedi del monte. Un commento per i prediletti.

   3 Dicembre 1945

 1 Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risvegliata da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.
   In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa – dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si dischiudono, come bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata; all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzione di polvere, fumo e sentore di corpi umani – vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo.
   Vanno in direzione sud-est, valicando i colli che fanno corona a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est.

 2 Questi monti sono preceduti dal cono semimonco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri carabinieri vista di profilo.

   Lo raggiungono.
   Gesù si ferma e dice: «Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Nazaret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo».
   E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.
   In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sulla cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare la?».
   «Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!».
   «Oh! mio Signore! Non potremo andare un poco più adagio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?».
   «Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza Simon Pietro! Lassù vi farò riposare». E riprende a salire…


 3 
Dice Gesù: 
   
«Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P.M. copierà ciò che ti mostro ora».

   5 Agosto 1944

 4 Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fin nelle lontananze.
   Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci troviamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi.
   È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un largo raggio. Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incastonarsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da smeraldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si increspa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbiani, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli alberi che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umore. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.
   Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pianura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le diverse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.
   Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più precoci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.
   Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud.

 5 Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa. 
   «Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.
   Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera al Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.
   Pietro si leva i sandali e se ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.

 6 Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.
   Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù Trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la Maestà del volto e del corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende perfino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.  
   Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si erga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce immensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco,incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima.
   Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. «Maestro, Maestro», chiamano piano ma con ansia.
   Egli non sente. 
   «È in estasi», dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?».
   I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.

 7 La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.
   I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.
   I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere ma hanno paura.
   Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: «E’ bello stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirti… ».
   Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori. 
   Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce
potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.
   «Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».
   Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: «Il Signore parla!».

 8 Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.
   Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.
   «Alzatevi. Sono Io. Non temete», dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo. 
   «Levatevi, dunque. Ve lo comando», ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.
   «Oh! Maestro, Dio mio!», esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua glo-ria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?».
   «Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare a essi Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno».
   «Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così».
   «Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».
   I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.

   [3 Dicembre 1945]

 9 … Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni or sono, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo… e dopo!… La paura delle paure! La voce di Dio!… Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!… Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo… Ma come ha fatto tua madre a vedere… a sentire… a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?»
   «Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria», dice dolcemente Gesù.
   «Che cosa! Che cosa!… Ma dopo che Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?».
   «Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito?».
   «Oh! si, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”».

10 Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.
   «Non li troveremo», dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti».
   «Vieni e non crearti stolti pensieri».
   Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte.
   «Ohimè! Scribi!… E disputano già!», dice Pietro accennandoli. E scende gli ultimi metri a malincuore.
   Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando: «Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuto in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato».
   «Di che disputavate fra voi?».
   «Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è meso Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pregarti. Ascoltalo».

11 Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò.
   «Maestro», gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli la si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o rischia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo».
   Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare?». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi.

12 Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio».
   L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte rosseggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi magnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica.
   Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e dice: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano».
   E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo assale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto accecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, come credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici».
   «Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede».
   «Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a sufficienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo», dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il figlio più che mai in convulsione.

13 Gesù si raddrizza, si tira in dietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte: «Spirito maledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non entrarvi mai più!».
   Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.
   «È morto!», gridano in molti. «Povero fanciullo!», «Povero padre!», compiangono i migliori.
   E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno!», oppure: «Maestro, come è? Questa volta belzebù ti ha fatto fare brutta figura…», e ridono velenosamente.
   Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha rivoltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, mentre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla…
   «E ora andiamo», dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via fatta al mattino.


14 Dice Gesù:


«E ora qui P.M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 cominciando dalle parole: “Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».   

   [5 Agosto 1944]

15 Dice Gesù:
   «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gioia. 
   Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.
   Mai superbia. Saresti punita perdendomi.
   Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.
   Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.
   Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.
   Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.
   Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.
   Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho inviati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo. Perché il male non riposa mai e il bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio contatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.
   Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere il segno dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.
   Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo nostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla Terra, comune al Cristo, al suo precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.
   Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione e ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne».    

Cap. DLXXVI. Verso Doco l’incontro con il giovane ricco.

7 marzo 1947

 1 È un’altra mattina bellissima d’aprile. La terra e il firmamento spiegano tutte le loro primaverili bellezze. Si respira luce, canto, profumo, tanto l’aria è satura di luminosità, di voci di festa e d’amore, di fragranze. Deve esser scesa nella notte una breve pioggia che ha reso scure e senza polvere le strade, senza con ciò farle fangose, ed ha pulito steli e foglie che ora tremolano, tutte scintillanti e monde, ad una dolce brezza che scende dai monti verso questa fertile piana, che preannuncia Gerico. 
   Dalle rive del Giordano salgono continuamente persone che hanno traghettato dall’altra sponda, oppure hanno seguito la strada che costeggia il fiume, venendo su questa che punta direttamente su Gerico e su Doco, come indicano i segnali stradali. E ai molti ebrei, che si dirigono da ogni parte a Gerusalemme per il rito, si mescolano mercanti di altri luoghi, e pastori e pastori con gli agnelli dei sacrifici, belanti ignari. Molti riconoscono e salutano Gesù. Sono, questi, ebrei della Perea e Decapoli e di luoghi anche più lontani. Ve ne è un gruppo di Cesarea Paneade. E sono pastori che, per essere piuttosto nomadi dietro i greggi, hanno conoscenza del Maestro, incontrato o annunciato a loro dai discepoli. 

 2 Uno si prostra e gli dice: «Posso offrirti l’agnello?». 
   «Non te lo levare, uomo. È il tuo guadagno questo». 
   «Oh! è la mia riconoscenza. Tu non ti ricordi di me. Io sì. Sono uno che Tu hai guarito guarendo tanti. Mi hai rinsaldato l’osso della coscia che nessuno guariva e mi teneva infermo. Te lo do volentieri l’agnello. Il più bello. Questo. Per il banchetto di letizia. Lo so che per l’olocausto sei tenuto alla spesa. Ma per la letizia! Tanta ne hai data a me. Prendilo, Maestro». 
   «Ma sì, prendilo. Saranno denari che risparmieremo. O meglio, sarà possibilità di mangiare, perché con tutte le prodigalità che si fanno io non ho più denaro», dice l’Iscariota. 
   «Prodigalità? Ma se da Sichem non si è più speso uno spicciolo!», dice Matteo. 
   «Insomma, io non ho più denaro. Gli ultimi li detti a Merode». 
   «Uomo, ascolta», dice Gesù al pastore per porre fine alle parole di Giuda. «Io non vado per ora a Gerusa-
lemme e non posso portare con Me l’agnello. Altrimenti lo accetterei per mostrarti che gradisco il tuo dono». 
   «Ma poi andrai in città. Ti fermerai per le feste. Avrai un ricovero. Dimmi dove ed io consegnerò ai tuoi amici…». 
   «Non ho nulla di questo… Ma a Nobe ho un vecchio e povero amico. Ascoltami bene: il dì dopo il sabato pasquale tu andrai all’alba a Nobe e dirai a Giovanni, l’anziano di Nobe (tutti te lo indicheranno): “Questo agnello te lo manda Gesù di Nazaret, tuo amico, perché tu festeggi questo giorno con banchetto di letizia, perché più grande letizia di oggi non c’è per i veri amici del Cristo”. Lo farai?». 
   «Se così vuoi, lo farò». 
   «E mi farai felice. Non prima del dì dopo il sabato. Ricorda bene. E ricorda le parole che ti ho detto. Ora va’ e la pace sia con te. E serba il tuo cuore stabile in essa pace nei giorni futuri. Ricorda anche questo e continua a credere nella mia Verità. Addio» . 

 3 Della gente si è accostata ad ascoltare il dialogo e si dirada solo quando il pastore, rimettendo in moto il suo gregge, la obbliga a sparpagliarsi. Gesù segue il gregge, approfittando della scia aperta da esso. 
   La gente bisbiglia: «Ma allora va proprio a Gerusalemme? Ma non sa che c’è il bando per Lui?». 
   «Eh! ma nessuno può vietare ad un figlio della Legge di presentarsi al Signore per la Pasqua. È colpevole forse di pubblico reato? No. Perché, se lo fosse, il Preside lo avrebbe fatto imprigionare come Barabba». 
E altri: «Hai sentito? Non ha ricovero né amici a Gerusalemme. Che tutti lo abbiano abbandonato? Anche il risorto? Bella riconoscenza!». 
   «Taci là! Quelle due sono le sorelle di Lazzaro. Io sono delle campagne di Magdala e le conosco bene. Se le sorelle sono con Lui, segno è che la famiglia di Lazzaro gli è fedele». 
   «Forse non osa entrare in città». 
   «Ha ragione». 
   «Dio lo perdonerà se sta fuori di essa». 
   «Non è colpa sua se non può salire al Tempio». 
   «La sua prudenza è saggia. Se venisse preso, tutto sarebbe finito prima della sua ora». 
   «Certo non è ancor pronto per la sua proclamazione a re nostro, ed Egli non vuole essere preso». 
   «Si dice che, mentre lo si sapeva ad Efraim, Egli sia andato in ogni luogo, sin presso le tribù nomadi, per prepararsi i seguaci e le milizie e cercare protezioni». 
   «Chi te lo ha detto?». 
   «Sono le solite menzogne. Egli è il Re santo e non il re da milizie». 
   «Forse farà la Pasqua supplementare. Allora è più facile passare inosservato. Il Sinedrio è sciolto dopo le feste, e tutti i sinedristi vanno alle loro case per la mietitura. Sino a Pentecoste non si raduna di nuovo». 
   «E, via che siano i sinedristi, chi volete che gli faccia del male? Sono loro gli sciacalli!». 
   «Uhm! che Egli si usi tanta prudenza? Cosa troppo da uomo! Egli è da più che un uomo e non avrà prudenza vile». 
   «Vile? Perché? Nessuno può dir vile chi si risparmia per la sua missione». 
   «Vile sempre, perché ogni missione è sempre inferiore a Dio. Perciò il culto a Dio deve avere la precedenza su ogni altra cosa». 
   Queste le parole che vanno da bocca a bocca. Gesù mostra di non sentire. 

 4 Giuda d’Alfeo si ferma per attendere le donne e, sopraggiunte che siano – esse erano col ragazzo, indietro una trentina di passi – dice a Elisa: «Avete dato molto a Sichem dopo che partimmo!». 
   «Perché?». 
   «Perché Giuda non ha più un picciolo. I tuoi sandali, o Beniamino, non verranno. È destino così. A Tersa non si poté entrare e, anche avessimo potuto, il non aver denaro avrebbe impedito ogni acquisto… Dovrai entrare a Gerusalemme così…». 
   «Prima c’è Betania», dice Marta con un sorriso. 
   «E prima c’è Gerico e la mia casa», dice Niche pure sorridendo. 
   «E prima di tutto ci sono io. Io ho promesso e io farò. Viaggio di esperienze questo! Ho provato cosa è non avere una didramma. E ora proverò cosa è dover vendere un oggetto per bisogno», dice Maria di Magdala. 
   «E che vuoi vendere, Maria, se non porti più gioielli?», chiede Marta alla sorella. 
   «Le mie grosse forcine d’argento. Sono tante. Ma per tenere a posto questo inutile peso possono bastare quelle di ferro. Le venderò. Gerico è piena di gente che compra queste cose. E oggi è giorno di mercato, e così domani e sempre per queste ricorrenze». 
   «Ma sorella!».
   «Che? Ti scandalizzi pensando che mi si possa credere povera tanto da dover vendere le forcine d’argento? Oh! vorrei averti dato sempre di questi scandali! Peggio era quando, senza bisogno, vendevo me stessa al vizio altrui e mio». 
   «Ma taci! C’è il ragazzo, che non sa!». 
   «Non sa ancora. Forse non sa ancora che io ero la peccatrice. Domani lo saprebbe da chi mi odia perché non sono più tale, e certo con particolari quali il mio peccato non ebbe pur essendo tanto grande. Meglio dunque che lo sappia da me e veda quanto può il Signore che lo ha accolto: fare di una peccatrice una pentita, di un morto un risorto, di me morta nello spirito, di Lazzaro morto nel corpo, due viventi. Perché questo ha fatto a noi il Rabbi, o Beniamino. Ricordalo sempre e amalo con tutto il tuo cuore, perché Egli è veramente il Figlio di Dio». 

 5 Un inpo lungo la via ha fermato Gesù e gli apostoli, e le donne li raggiungono. Gesù dice: «Andate avanti voi, verso Gerico, ed anche entrateci, se volete. Io vado a Doco con questi. Al tramonto sarò con voi». 
   «Oh! perché ci allontani? Non siamo stanche», protestano tutte. 
   «Perché vorrei che voi intanto, almeno alcune, avvisaste i discepoli che Io sarò da Niche domani». 
   «Se è così, Signore, noi andiamo. Vieni Elisa, e tu Giovanna, e tu Susanna e Marta. Prepareremo ogni cosa», dice Niche. 
   «E io e il ragazzo. Faremo i nostri acquisti. Benedicici, Maestro. E vieni presto. Tu, Madre, resti?», dice Maria di Magdala. 
   «Sì. Col Figlio mio». 
   Si separano. Con Gesù restano soltanto le tre Marie: la Madre, sua cognata Maria Cleofe e Maria Salome. E Gesù lascia la via di Gerico per una via secondaria che va a Doco.

 6 E da poco è per essa quando, da una carovana che viene non so da dove – una ricca carovana che certo viene da lontano perché ha le donne montate sui cammelli, chiuse nelle tremolanti berline o palanchini legati sulle schiene gibbute, e gli uomini a cavallo di focosi cavalli o di altri cammelli – si stacca un giovane e facendo inginocchiare il suo cammello scivola giù di sella, andando verso Gesù. Un servo, accorso, gli tiene la bestia per le briglie.
   Il giovane si prostra davanti a Gesù e, dopo il profondo saluto, gli dice: «Filippo di Canata, figlio di veri israeliti e rimasto tale, io sono. Discepolo di Gamaliele sinché la morte del padre mio non mi fece capo dei suoi commerci. Ti ho sentito più di una volta. So le tue azioni. Aspiro ad una vita migliore per avere quella vita eterna che Tu assicuri possesso di chi crea il tuo Regno in sé. Dimmi dunque, Maestro buono, che dovrò fare per avere la vita eterna?». 
   «Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono». 
   «Tu sei il Figlio di Dio, buono come il Padre tuo. Oh! dimmi, che devo fare?». 
   «Per entrare nella vita eterna osserva i comandamenti». 
   «Quali, mio Signore? Gli antichi o i tuoi?». 
   «Negli antichi sono già i miei, i miei non mutano gli antichi. Essi sono sempre: adorare di amor vero l’unico vero Dio e rispettare le leggi del culto, non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non attestare il falso, onorare padre e madre, non danneggiare il prossimo ma anzi  amarlo  come  ami  te  stesso.  Facendo  così, avrai la vita eterna». 
   «Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia fanciullezza». 
   Gesù lo guarda con occhio d’amore e dolcemente gli chiede: «E non ti paiono sufficienti ancora?». 
   «No, Maestro. Cosa grande è il Regno di Dio in noi e nell’altra vita. Infinito dono è Dio che a noi si dona. Io sento che tutto è poco, di ciò che è dovere, rispetto al Tutto, all’Infinito perfetto che si dona e che penso si debba ottenere con cose più grandi di quelle che sono comandate per non dannarsi ed essergli graditi». 
   «Tu dici bene. Per essere perfetto ti manca ancora una cosa. Se vuoi essere perfetto come vuole il Padre nostro dei Cieli, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo che ti farà diletto al Padre, che ha dato il suo Tesoro per i poveri della Terra. Poi vieni e seguimi». 
   Il giovane si rattrista, si fa pensieroso. Poi si alza in piedi dicendo: «Ricorderò il tuo consiglio…», e si allontana tristemente. 

 7 Giuda ha un sorrisetto ironico e mormora: «Non sono io solo ad amare il denaro!». 
   Gesù si volge e lo guarda… e poi guarda gli altri undici visi che gli sono intorno, poi sospira: «Come difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli, la cui porta è stretta, ed erta è la via, e non possono percorrerla ed entrare coloro che sono caricati dei pesi voluminosi delle ricchezze! Per entrare lassù non ci vogliono che tesori di virtù, immateriali, e sapersi separare da tutto quanto è attaccamento alle cose del mondo e vanità». Gesù è molto triste… 
   Gli apostoli si sogguardano fra loro… 
   Gesù riprende, guardando la carovana del giovane ricco che si allontana: «In verità vi dico che è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che non per un ricco di entrare nel Regno di Dio». 
«Ma allora chi mai potrà salvarsi? La miseria fa sovente peccatori, per invidie e poco rispetto a ciò che è d’altri, e per sfiducia verso la Provvidenza… La ricchezza è di ostacolo alla perfezione… E allora? Chi potrà
salvarsi?». 
   Gesù li guarda e dice loro: «Quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio, perché a Dio tutto è possibile.    Basta che l’uomo lo aiuti, il suo Signore, con la sua buona volontà. È buona volontà accettare il consiglio avuto e sforzarsi di giungere alla libertà dalle ricchezze. Ad ogni libertà, per seguire Dio. Perché la vera libertà dell’uomo è questa: seguire le voci che Dio gli sussurra al cuore e i suoi comandi, non essere schiavo né di se stesso, né del mondo, né del rispetto umano, e perciò non schiavi di Satana. Usare della splendida libertà di arbitrio che Dio ha dato all’uomo per volere liberamente e solamente il Bene, e conseguire così la vita eterna luminosissima, libera, beata. Neppur della propria vita bisogna essere schiavi, se per secondare la stessa noi si deve fare resistenza a Dio. Ve l’ho detto: (Vedi Vol 4 Cap 265) “Colui che perderà la sua vita per amor mio e per servire Iddio, costui la salverà in eterno”». 

 8 «Ecco! Noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, anche le più lecite. Che ce ne verrà dunque? Entreremo allora nel tuo Regno?», chiede Pietro. 
   «In verità, in verità vi dico che coloro che mi avranno seguito in tal modo e che mi seguiranno – perché c’è sempre tempo a riparare alle accidie e alle colpe sin qui fatte, sempre tempo sinché si è sulla Terra e si hanno davanti dei giorni nei quali poter riparare al mal fatto – costoro saranno con Me nel Regno mio. In verità vi dico che voi, che mi avete seguito nella rigenerazione, siederete sopra i troni a giudicare le tribù della Terra insieme al Figlio dell’uomo seduto sul trono della sua gloria. In verità ancora vi dico che non vi sarà nessuno che, avendo per amor del mio Nome lasciato casa, campi, padre, madre, fratelli, sposa, figli e sorelle, per spargere la Buona Novella e continuarmi, non riceva il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel secolo futuro». 
   «Ma se perdiamo tutto, come possiamo centuplicare il nostro avere?», chiede Giuda di Keriot. 
   «Torno a dire: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio darà il centuplo di gaudio spirituale a coloro che da uomini del mondo seppero farsi figli di Dio, ossia uomini spirituali. Essi godranno il vero gaudio, qui e oltre la Terra. E ancor vi dico che non tutti quelli che sembrano i primi, e primi dovrebbero essere avendo più di tutti ricevuto, saranno tali. E non tutti quelli che sembrano ultimi, e men che ultimi, non essendo in apparenza miei discepoli e neppur del Popolo eletto, saranno gli ultimi. In verità molti da primi diverranno ultimi, e molti ultimi, infimi, diverranno primi…

 9 Ma ecco là Doco. Andate avanti tutti, meno Giuda di Keriot e Simone Zelote. Andate ad annunciarmi a quelli che possono aver bisogno di Me». 
   E Gesù attende con i due trattenuti di unirsi alle tre Marie, che li seguono a qualche metro di distanza.

  Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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