Vangelo Lc 13, 10-17: «Donna, sei liberata dalla tua malattia».

Vangelo Novus ordo Lc 13, 10-17
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù stava insegnando in una sinagoga in giorno di sabato. C’era là una donna che uno spirito teneva inferma da diciotto anni; era curva e non riusciva in alcun modo a stare diritta.
Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei liberata dalla tua malattia». Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, prese la parola e disse alla folla: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi guarire e non in giorno di sabato».
Il Signore gli replicò: «Ipocriti, non è forse vero che, di sabato, ciascuno di voi slega il suo bue o l’asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? E questa figlia di Abramo, che Satana ha tenuto prigioniera per ben diciotto anni, non doveva essere liberata da questo legame nel giorno di sabato?».
Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Impose le mani su di lei e subito quella si raddrizzò e glorificava Dio ».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXXXVII. Il sabato a Corozim. Parabola sui cuori inlavorabili e guarigione di una donna curva.

   21 Novembre 1945

 1 Gesù è nella sinagoga di Corozim che si affolla lentamente di popolo. I maggiorenti del luogo devono avere insistito perché Gesù ammaestrasse lì dentro in questo sabato. Lo capisco dalle loro ragioni e dalle loro risposte di Gesù.
   «Non siamo più protervi dei giudei o di quelli della Decapoli» dicono, «eppure Tu ci vai e ci ritorni più e più volte».
   «Anche qui è la stessa cosa. Con le parole e con le opere, col silenzio e l’azione vi ho ammaestrato».
   «Ma se noi siamo più duri degli altri, ragione di più per insistere…».
   «Va bene, va bene».
   «Certo che sì, che va bene! Noi ti concediamo di usare della nostra sinagoga come tuo luogo di ammaestramento appunto perché giudichiamo che va bene fare così. Gradisci dunque l’invito e parla».

 2 Gesù apre le braccia, segno di silenzio per i presenti, e dà inizio al discorso e dice, con tono di salmo, una recitazione lenta, cantante ed enfatica: «“Areuna rispose a Davide: ‘Il re mio signore prenda e offerisca come a lui piace. Ecco i buoi per l’olocausto, il carro e i gioghi dei buoi per il legno; tutto, o re, dona Areuna al re’. Ed aggiunse: ‘Il Signore Dio tuo gradisca il tuo voto’. Ma il re rispose e disse: ‘Non sarà come vorresti tu. No. Io voglio comperare in contanti e non voglio offrire al Signore Dio mio olocausti datimi in dono’ ”».
   Gesù abbassa lo sguardo, perché parlava col volto quasi riverso verso il soffitto, e fissa acutamente il sinagogo e i quattro maggiorenti che erano con Lui e chiede: «Avete capito il significato?».
   «Questo è nel secondo dei Re, quando il re santo comprò l’aia di Areuna… Ma non comprendiamo perché ce l’hai detto. Qui non c’è pestilenza e non c’è da offrire sacrificio. Tu re non sei… Vogliamo dire: non lo sei ancora».
   «In verità il vostro pensiero è tardo nel comprendere i simboli e incerta è la vostra fede. Se certa fosse,
vedreste che già sono Re come Io ho detto, e se aveste pronta l’intuizione comprendereste che qui è una pestilenza ben grave, più di quella che crucciava Davide. Avete quella della incredulità che vi fa perire».
   «Ebbene! Se siamo tardi ed increduli, dàcci intelligenza e fede e spiegaci ciò che hai voluto dire».
   «Dico: non offro a Dio olocausti forzati, quelli che vengono offerti per interesse meschino. Non accetto di parlare solo se lo si concede a Colui che è venuto per parlare. Questo è mio diritto e me lo prendo. Sotto il sole o fra chiuse pareti, in alto dei monti o nel fondo delle valli, sul mare o seduto sulle sponde del Giordano, ovunque ho diritto e dovere di ammaestrare e di comperare con la mia fatica gli unici olocausti che siano graditi a Dio: cuori convertiti e resi fedeli dalla mia parola. Qui, voi di Corozim, avete concesso al Verbo la parola non per rispetto e fede, ma perché avete nel cuore una voce che vi tortura come tarlo che rode il legno: “Questa punizione del gelo è per la nostra durezza di cuore”. E volete riparare. Per la borsa, non per l’anima. Oh! Corozim pagana e testarda! Ma non tutta Corozim è tale. Per quelli che tali non sono, Io parlerò. Con una parabola.

 3 Udite. Ad un artefice venne portato da un ricco stolto un grosso blocco di una sostanza bionda come il miele del più fino e gli venne ordinato di lavorarlo riducendolo ad ornata ampolla.
   “Non è sostanza buona al lavoro, questa” disse l’artefice al riccone. “Vedi? È molliccia, elastica. Come posso scolpirla e modellarla?”.
   “Come? Non è buona? È una resina pregiata, e un mio amico ne ha una piccola anfora nella quale il suo vino acquista un prezioso sapore. L’ho pagata a peso d’oro per avere un’anfora più grande e mortificare così il mio amico, che se ne vanta. Fàmmela. E subito. O dirò che sei un artefice incapace”.
   “Ma quella del tuo amico sarà di biondo alabastro”.
   “No. È di questa sostanza”.
   “Sarà d’ambra fina”.
   “No. È di questa sostanza”.
   “Sarà, mettiamolo, di questa sostanza, ma resa compatta, dura da secoli di antichità o da mescolanze con altre sostanze solidificanti. Chiediglielo e torna a dirmi come fu fatta la sua”.
   “No. Me l’ha venduta lui stesso, assicurandomi che va usata così”.
   “E allora ti ha truffato per punirti della tua invidia sulla sua bell’anfora”.
   “Guarda come parli! Lavora, o ti punirò levandoti la bottega, che tanto non vale tutto quanto hai per quello che  mi costa questa resina stupenda”.
   L’artefice, desolato, si mise all’opera. Impastava… ma la pasta gli si appiccicava alle mai. Cercava di solidificarne un briciolo con mastici e polveri… Ma la resina perdeva la sua trasparenza d’oro. La portava presso il forno fusorio sperando che il calore la indurisse, e con le mani nei capelli doveva levarla perché si faceva liquida. Mandò sull’alto Ermon a prendere neve gelata e ve la immerse… Induriva, era bella. Ma non si modellava più. “La modellerò con lo scalpello” disse. Al primo colpo di scalpello la resina andò in pezzi.
   L’artefice, disperato del tutto, già convinto che nulla poteva rendere lavorabile quella sostanza, tentò un’ultima prova. Riunì i pezzi, li fece di nuovo fluidi nel calore del forno, li ricongelò, ma non troppo, con la neve e nella massa, molliccia appena, provò a lavorare di scalpello e di spatola. Si modellava, oh! sì! Ma appena levato scalpello e spatola, tornava alla forma di prima, quasi fosse la pasta del pane gonfiante nella madia.
   L’uomo si dette vinto. E, per sfuggire alle rappresaglie del ricco e alla rovina, nella notte caricò su un carro la moglie, il figli, le suppellettili e gli arnesi di lavoro, lasciando al centro della stanza da lavoro, vuota di ogni cosa, la massa bionda della resina con sopra un cartiglio e la parola “Inlavorabile”, e fuggì oltre i confini…

 4 Sono stato mandato a lavorare i cuori alla Verità e alla Salute. Mi sono venuti nelle mani cuori di ferro, di piombo, di stagno, di alabastro, di marmo, d’argento, d’oro, di diaspro, di gemme. Cuori duri, cuori selvaggi, cuori troppo teneri, cuori volubili, cuori induriti dai dolori, cuori preziosi, ogni genere di cuori. Li ho lavorati tutti. E molti li ho modellati secondo il desiderio di Chi mi ha mandato. Taluni mi hanno ferito mentre li lavoravo, altri hanno preferito rompersi anziché lasciarsi lavorare fino in fondo. Ma, magari con odio, serberanno per sempre un ricordo di Me.
   Voi siete inlavorabili. Caldo di amore, pazienza di istruzione, freddo di rimproveri, fatica di scalpello, nulla serve su voi. Appena levo le mani, voi tornate quali eravate. Dovreste fare una cosa sola per essere mutati: abbandonarvi totalmente a Me. Non lo fate. Non lo farete mai. Il Lavorante, desolato, vi abbandona al vostro destino. Ma, poiché è giusto, non vi abbandona tutti ad un modo. Nella sua desolazione sa scegliere ancora i meritevoli del suo amore e li conforta e li benedice.

 5 Donna, vieni qui!», dice accennando ad una donna che se ne sta presso la parete, così curva da parere un punto interrogativo. La gente vede dove Gesù indica, mentre non vede la donna che, per la sua posizione, non può vedere Gesù e la sua mano.
   «Vai dunque, Marta! Egli ti chiama» le dicono in diversi.
   E la poveretta se ne va arrancando col suo bastone, all’altezza del quale è il suo capo. È ormai davanti a Gesù che le dice: «Donna, abbi un ricordo del mio passaggio e un premio alla tua fede silenziosa e umile. Sii liberata dalla tua infermità» grida in ultimo, posandole le mani sulle spalle. E subito la donna si alza e, dritta come una palma, alza le braccia e grida: «Osanna! Egli mi ha guarita! Ha visto la sua serva fedele e l’ha beneficata. Sia lode al Salvatore e Re d’Israele! Osanna al Figlio di Davide!».
   La gente risponde coi suoi agli «osanna» della donna, che ora è in ginocchio ai piedi di Gesù e che gli bacia l’orlo della veste, mentre Egli le dice: «Va’ in pace e persevera nella fede».

 6 Il sinagogo, al quale devono ancora bruciare le parole dette da Gesù prima della parabola, vuole rendere veleno a rimprovero e grida indignato, mentre la folla si apre per lasciare passare la miracolata: «Ci sono sei giorni per lavorare, sei giorni per chiedere e per dare. Venite dunque in quelli, tanto a chiedere come a dare. Venite a guarire in quelli, senza violare il sabato, peccatori e miscredenti, corrotti e corruttori della Legge!», e cerca di spingere fuori dalla sinagoga tutti, come per scacciare profanazione dal luogo di preghiera.
   Ma Gesù, che lo vede aiutato nell’atto dai quattro maggiorenti di prima e da altri sparsi fra la folla, i quali danno i segni più manifesti di essere scandalizzati, torturati dal… delitto di Gesù, grida a sua volta, mentre con le braccia conserte sul petto, severo, imponente, lo guarda: «Ipocriti! Chi di voi in questo giorno non ha slegato il bue o l’asino dalla mangiatoia e non lo ha condotto a bere? E chi non ha portato fasci di erba alle pecore del gregge e munto il latte dalle mammelle piene? Perché mai, se avete sei giorni per farlo, lo avete fatto anche oggi, per pochi denari di latte, o per paura di perdere per sete il bue e l’asino? E non dovevo Io sciogliere costei dalle sue catene dopo che Satana ve l’ha tenuta avvinta per diciotto anni, solo perché è sabato? Andate. Io ho potuto sciogliere costei dalla sua sventura non voluta. Ma non potrò mai sciogliere voi dalle vostre che sono volontarie, o nemici della Sapienza e della Verità!».
   La gente buona, fra i molti non buoni di Corozim, approva e loda, mentre l’altra parte, livida di rabbia, fugge via, lasciando in asso il livido sinagogo.
   Anche Gesù lo lascia in asso ed esce dalla sinagoga, attorniato dai buoni che lo continuano a circondare finché Egli ha raggiunto la campagna, luogo nel quale Egli li benedice un’ultima volta, prendendo poi la via maestra insieme ai cugini, Pietro e Tommaso…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

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