Vangelo Gv 6, 52-59: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita».

Vangelo Gv 6, 52-59
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me.
Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CCCLIV. Il discorso sul Pane del Cielo, nella sinagoga di Cafarnao, e la defezione di molti discepoli.

 1 Prima della visione del 7-12 va messa quella della seconda moltiplicazione dei pani, avuta il 28 maggio 44, col relativo dettato.

   7 Dicembre 1945

 2 La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo o almeno un discepolo. E vanno chiedendo…
   Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono dei discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».
   L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto il gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro dove è?».
   I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».
   «Ah! Ecco! Noi lo cercavamo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però… potevano dircelo i pescatori di Magdala!».
   «Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti la Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo», dice Stefano.
   «Ma non torna qui?».
   «Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».
   «Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».
   «Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. È la, nella casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile il seguirlo.

 3 Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturi di essi – che poco male sarebbe, perché Egli è luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre – ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi novello. Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio », dice Stefano parlando per tutti i compagni.
   «No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.
   Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».
   «Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu. Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».
   «Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».

 4 E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele.
   Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».
   I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo d’Israele».
   «Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi scandalizzati.
   «Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».
   «Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!».
   «Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma di ce che il Cristo è sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo», dice Erma. 
   «Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».
   «Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma.
   «E allora cosa è per Gamaliele questo?».
   «Il più grande uomo, Maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “E’ il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».
   «E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?».
   «Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».
   «Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio…», dice insinuando uno.
   «Uomo, come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.
   «Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro
   «Si e no. Come uomo che ci voleva bene, si. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di
me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’”».
   «E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».
   «Oh! non ha che parole elette per lui!».
   «Non ne è invidioso?».
   «Dio non invidia», dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».
   «Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?».
   E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

 5 Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Solla soglia è Gesù che carezza dei bambini.
   Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».
   «Da pochi momenti». il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.
   «Sei stato in orazione, Maestro?», chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.
   «Si. Da che lo comprendi, figlio mio?», dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.
   «Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».
   «Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano…».
   «E che c’è sul mio viso, Signore?».
   «Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro. «Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Và in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi e baciargli i piedi.

 6 Tornano dagli altri.
   «Questa gente è venuta per sentirti…», dice Filippo.
   «Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».
   Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della Sinagoga.
   Gesù va al suo posto, in quella sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti Pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.
   «In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio. 

 7 I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Che se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo. Per molto di più di un pò di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per cibo che empie il ventre, ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.
   Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E voi avete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».

 8 «Che dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osserviamo le legge e i profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio ».
   «E’ vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole. La legge che voi conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre… oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni… e vedrete che non potete vivere. Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti vostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venite dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dammi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato ».

 9 «Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te il sigillo di Dio? Che fai tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva ».
   «Siete in errore. Non Mosè ma il Signore potè fare questo. E nell’esodo si legge: “Ecco Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il sabato”. E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e conce-dere a punire e privare.
   Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè – detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di bene-detta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza” – Dio, dice-vo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in se ogni delizia ed ogni soavità di sapore. E – ricordate bene ciò che dice la Sapienza – e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco – è sempre la Sapienza che parla – dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.
   Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati all’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.
   Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.
   Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia ».

10«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremmo più ».
   «Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dàcci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordina avuto. E quel Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso! ».

 11«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha? ».
   «Io sono il Pane di vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio. E a Me tutto dalla Terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante Terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eterna e Io lo possa risuscitare nell’ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo ».

 12Vi è un poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei Giudei. Riprende a parlare.
   «Perché mormorate fra voi? Si, Io sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, vergine consacrata al Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi disceso dal Cielo?”, e il dubbio sorge in voi.
   Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farse Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.
Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.
   E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di la vengo? Si, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.
   Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto. È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me ».
   «E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo volto? », chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso ».
   «Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

 13Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.
   In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.
   I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiano la Vita che non muore.
   Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il Pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

 14«Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto ».
   «In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovrete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.
   In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò l’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno ».
   «Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare? », sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

 15La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, si e no se si arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.
   Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.
   «E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono porati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere.
   E molti altri si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

16Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…
   Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.   
   Pietro, con impeto doloroso, gli dice: « Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni… 
Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.
   «Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».
   Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».
   La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…
   Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».
   Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».
   Gli altri, vedendo che Gesù accarezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.
   Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo ».

Facoltativo e dello stesso periodo della Vita sulla terra del Cristo nostro Signore:

   Cap. CCCLX. Il malumore degli apostoli a il riposo in una grotta. L’incontro con Rosa di Gerico.

   14 Dicembre 1945

 1 La pianura del lato orientale del Giordano, per le continue piogge, pare divenuta una laguna, specie nel luogo dove si trovano adesso Gesù e gli apostoli. Hanno da poco superato un torrente che scende da una stretta gola delle vicine colline, che sembra facciano tutta una diga ciclopica, dal nord al sud, lungo il Giordano, rotta qua e là da strette vallate dalle quali sgorga l’inevitabile torrente. Sembra che una grande merlettatura di colli sia stata messa da Dio a fare contorno alla grande valle del Giordano, da questa parte. Direi persino una merlettatura monotona, tanto è uguale alle sporgenze, negli aspetti e anche molto nelle altezze.


   Il gruppo apostolico è fra i due ultimi torrenti, straripati per giunta presso le rive, e perciò più ampi di letto, specie quello a sud che è imponente per la massa d’acqua che convoglia dalle montagne e che rumoreggia torbida nell’avviarsi al Giordano, che si sente a sua volta frusciare forte, specie là dove le curve naturali, quasi potrei dire le strozzature che ha di continuo, o la confluenza di un suo emissario, producono un ingorgo d’acque. Orbene, Gesù è fra questo triangolo mozzo, fatto di tre corsi d’acqua in piena, e trarre le gambe da quel pantano non è cosa facile.

 2 L’umore apostolico è più torbido della giornata. Ed è tutto dire. Tutti vogliono dire la loro. E ogni cosa detta cela, sotto apparenza di un consiglio, un rimprovero. È l’ora dei: «Io lo avevo detto», «Se si fosse fatto come consigliavo», ecc. ecc., così urtanti per chi ha commesso un errore ed è già accasciato per averlo fatto.
   Qui si dice: «Era meglio passare il fiume all’altezza di Pella e andare per l’altra parte, che è meno brutta», oppure: «Era bene prenderlo quel carro! Abbiamo fatto i bravi, ma poi…», e anche: «Se rimanevamo sui monti non c’era questo fango!».
   Giovanni dice: «Siete i profeti delle cose fatte. Chi lo prevedeva questo insistere di pioggia?».
   «È il suo tempo. Era da prevedersi», sentenzia Bartolomeo.
   «Gli altri anni non era così, avanti Pasqua. Io venni a voi che il Cedron non era certo pieno, e l’anno passato ebbimo persino dell’asciuttore. Voi, che vi lamentate, non ricordate la sete che ebbimo nella pianura filistea?», dice lo Zelote.
   «Eh! È naturale! Parlano i due saggi e ci dànno la voce!», dice ironico Giuda di Keriot.
   «Tu taci, per favore. Sai solo criticare. Ma al momento buono, quando c’è da parlare con qualche fariseo o simile, sei zitto come avessi la lingua legata», gli dice inquieto il Taddeo.
   «Si. Ha ragione. Perché non hai ribattuto una parola, all’ultimo paese, a quei tre serpenti? Tu lo sapevi che siamo stati anche a Giocala e a Meieron, rispettosi e ossequienti, e che là c’è voluto andare Lui che onora i grandi rabbi defunti. Ma non hai parlato! Tu sai come Egli esige da noi rispetto alla Legge e ai sacerdoti. Ma non hai parlato! Ora parli. Ora, perché c’è da fare della ironia sui migliori di noi e da fare critiche a ciò che fa il Maestro», incalza Andrea che, di solito paziente, oggi è proprio nervoso.
   «Taci tu. Giuda ha torto, lui che è amico di molti, di troppi samaritani…», dice Pietro.
   «Io? Chi sono questi? Fànne il nome, se puoi».
   «Si, caro. Tutti i farisei, sadducei, potenti di cui vanti l’amicizia, e che ti conoscano si vede! Me, non mi salutano mai. Ma tu, sì».
   «Ne sei geloso! Ma io sono uno del Tempio e tu no».
   «Per grazia di Dio sono un pescatore. Sì. E me ne vanto».
   «Un pescatore tanto stolto che non ha saputo nemmeno prevedere questo tempo».
   «No! L’ho detto: “Luna di Nisam e fatta con pioggia vuol acqua che scende a moggia”», sentenzia Pietro.
   «Ah! Qui ti ci volevo! E tu che ne dici, Giuda d’Alfeo? E tu, Andrea? Anche Pietro, il capo critica il Maestro!».
   «Io non critico proprio nessuno. Dico un proverbio».
   «Che, a chi lo intende, è critica e rimprovero».
   «Si… ma tutto ciò non serve ad asciugare la terra, mi pare. Ormai ci siamo e ci dobbiamo stare. Serbiamo il fiato per sradicare i piedi da questo pantano», dice Tommaso.

 3 E Gesù? Gesù tace. Va un poco avanti, sguazzando nella melma, o cercando zolle erbose emergenti. Ma anche quelle basta calpestarle perché schizzino acqua fino a metà stinco, come se il piede avesse premuto una vescica invece di una zolla erbosa. Tace, li lascia parlare, malcontenti, tutt’affatto uomini, niente più che uomini che il minimo disturbo rende irascibili e ingiusti. Ormai è vicino il più meridionale dei fiumi e Gesù, vedendo passare lungo l’argine innondato un uomo su un  mulo, chiede: «Dov’è il ponte?».
   «Più su. Ci passo anche io. L’altro a valle, quello romano, è sott’acqua ormai».
   Altro coro di brontolii… Ma si affrettano a seguire l’uomo che parla con Gesù.
   «Ti conviene, però, buttarti a monte », dice. E termina: «Torna in piano quando trovi il terzo fiume dopo il Yaloc. Allora sarai vicino al guado. Ma fà presto. Non sostare perché il fiume gonfia di ora in ora. Che brutta stagione! Il gelo prima, poi l’acqua. E forte così. Un castigo di Dio. Ma è giusto! Quando non si lapidano i bestemmiatori della Legge, Dio punisce. E noi ne abbiamo di quelli! Tu sei Galileo, non è vero? Allora conoscerai quello di Nazaret che i buoni abbandonano perché causa di ogni male. Le folgori attira con la sua parola! I castighi! Bisogna sentire cosa raccontano di Lui quelli che erano con Lui. Hanno ragione i farisei di perseguitarlo. Chissà che ladrone è! Deve fare paura come un belzebù. Mi era venuta voglia di andarlo a sentire, perché prima mi era stato detto un gran bene di Lui. Ma… erano discorsi di quelli della sua banda. Tutta gente senza scrupoli come Lui. I buoni lo abbandonano. E fanno bene. Io, già, per mio conto, non ci vado più a vederlo. E se il caso me lo porta vicino, lo prendo a sassate, come è dovere contro i bestemmiatori».
   «Lapidami, allora. Sono Io Gesù di Nazaret. Io non fuggo e non ti maledico. Sono venuto per redimere il mondo versando il mio Sangue. Sacrificami, ma diventa giusto».
   Gesù dice questo aprendo un poco le braccia stese verso terra, lo dice lentamente, mitamente e mestamente. Ma se avesse maledetto non avrebbe fatto più impressione all’uomo, che tira così bruscamente le redini che il mulo fa uno scarto e per poco non cade dall’argine del fiume in piena. Gesù si abbranca al morso e trattiene la bestia, in tempo, salvando uomo e mulo.
L’uomo non fa che ripetere: «Tu! Tu!…», e vedendo l’atto che lo salva urla: «Ma ti ho detto che ti avrei lapidato… non capisci?».
   «Ed Io ti dico che ti perdono e che anche per te soffrirò per redimerti. Questo è il Salvatore».
   L’uomo lo guarda ancora, dà una tallonata nel fianco del mulo e parte di corsa. Fugge… Gesù china il capo.

 4 Gli apostoli sentono il bisogno di dimenticare il fango e la pioggia e tutte le altre miserie per consolarlo. Gli si fanno intorno e dicono: «Non ti affliggere! Di briganti non ne abbiamo bisogno. E quello è tale. Perché solo un malvagio può credere vere le calunnie su Te e avere paura di Te».
   «Però», dicono anche, «che imprudenza, Maestro! E se ti faceva del male? Perché dire che eri Tu Gesù di Nazaret?».
   «Perché è la verità… Andiamo verso i monti come ha consigliato. Perderemo un giorno, ma voi uscirete dal pantano».
   «Anche Tu», obbiettano.
   «Oh! per Me non conta. È il pantano delle anime morte quello che mi affatica», e due lacrime gocciano dai suoi occhi.
   «Non piangere, Maestro. Noi brontoliamo, ma ti vogliamo bene. Se possiamo incontrare i tuoi denigratori! Ne faremo vendetta ».
   «Voi perdonerete come Io perdono. Ma lasciatemi piangere. Sono l’Uomo, infine! E l’essere tradito, rinnegato, abbandonato, mi dà dolore!».
   «Guarda noi, guarda noi. Pochi e buoni. Nessuno di noi ti tradirà né ti abbandonerà. Credilo Maestro».
   «Neanche dirle certe cose! È offesa alla nostra anima pensare che noi si possa tradire!», esclama l’Iscariota.
   Ma Gesù è afflitto. Tace, e lente lacrime rotolano sulle gote pallide di un viso stanco e smagrito.
   Si avvicinano ai monti.
   «Saliremo lassù, o costeggeremo le basi? Vi sono paesi a mezza costa. Guarda. Di qua e di là del fiume», gli osservano.
   «La sera scende. Cerchiamo di raggiungere un paese. Questo o quello è indifferente».
   Giuda Taddeo, che ha occhi molto buoni, scruta le pendici. Va vicino a Gesù. Dice: «All’occorrenza ci sono spacchi nel monte. Li vedi là? Ci rifugeremo in quelli. Sarà sempre meglio che nel fango».
   «Faremo fuoco», conforta Andrea.
   «Con la legna umida?», chiede ironico Giuda di Keriot.
   Nessuno gli risponde. Pietro mormora: «Benedico l’Eterno che non ci sono con noi né le donne né Marziam».

 5 Passano il ponte, molto preistorico, che è proprio ai piedi della valle, e prendono il lato meridionale di questa, per una strada mulattiera diretta ad un paese. Le ombre scendono rapide. Tanto che decidono rifugiarsi in una vasta grotta per sfuggire ad un piovasco violento. Forse è una grotta che serve di rifugio ai pastori, perché vi è strame e sudiciume e un rozzo focolare.
   «Come letto non serve. Ma per fare del fuoco…», dice Tommaso accennando le ramaglie trite e sporche, che sono sparse al suolo insieme a felci secche e rami di ginepro o altra pianta simile. E le spinge, con l’aiuto di un bastone, verso il focolare. Le ammucchia e dà fuoco.
Fumo e fetore, insieme a odore di resine e ginepri, si alzano dal fuoco. Eppure è gradito quel calore, e tutti fanno semicerchio mangiando, alla luce mobile delle fiamme, pane e formaggio.
   «Si poteva però tentare al paese», dice Matteo che è roco e infreddato.
   «Oh! senti! Per ripetere la storia di tre sere fa? Qui non ci caccia nessuno. Staremo seduti su quelle legna e faremo fuoco finché potremo.    Ora che ci si vede, ce n’è della legna! Guarda, guarda! Anche paglia!… È proprio un ovile. Certo per l’estate, o per quando trasmigrano.

 6 E di qui? Dove si va? Prendi un ramo acceso, Andrea, che voglio vedere», ordina Pietro che gira in vena di scoperte. Andrea ubbidisce. Si infilano per una stretta fessura che è in una parete della grotta.
   «Badate che non ci siano bestie brutte!», urlano gli altri. «O dei lebbrosi», dice il Taddeo.
   Dopo un momento viene la voce di Pietro. «Venite! Venite! Qui si sta meglio. C’è pulito e asciutto, e ci sono panche di legno, e lagna per bruciare. Ma è una reggia per noi! Portate dei rami accesi, che facciamo subito fuoco».
   Deve essere proprio un ricovero di pastori. E questa è la grotta dove questi in riposo dormono, mentre nell’altra vegliano quelli di guardia a turno il gregge. È una escavazione nel monte, molto più piccola e forse fatta dall’uomo, o per lo meno ampliata e solidificata con pali messi a sorreggere la volta. Una cappa di camino primordiale si spiega a gancio verso la prima grotta per aspirare il fumo che non avrebbe uscita.
   Dei pancacci e della paglia sono contro le pareti, nelle quali sono infissi arpioni per agganciare lucerne e vesti o bisacce.
   «Ma va benone! Su facciamo molto fuoco! Staremo caldi e si asciugheranno i mantelli. Via le cinture; facciamone funi per stendervi sopra i mantelli», ordina Pietro, e poi aggiusta le panche e le paglie e dice: «E ora un po’ per uno si dorme e un po’ per uno si tiene vivo il fuoco. Per vederci e per stare caldi. Che grazia di Dio!».
   Giuda borbotta fra i denti. Pietro si volta risentito. «Rispetto alla grotta di Betlemme, dove il Signore è nato, questa è una reggia. Se c’è nato Lui, potremo starci noi per una notte».
   «Anche è più bella delle grotte di Arsela. Là di bello non c’era che il nostro cuore, più buono di ora», dice Giovanni e si sperde in un suo mistico ricordo.
   «È anche molto migliore di quella che ospitò il Maestro per prepararsi alla predicazione», dice severo lo Zelote guardando l’Iscariota come per dirgli di farla finita.
   Gesù apre la bocca per ultimo: «Ed è senza misura più calda e comoda di quella in cui feci penitenza per te, Giuda di Simone, in questo tebet».
   «Penitenza per me? Perché? Non ce ne era bisogno!».
   «In verità dovremmo Io e te passare la vita in penitenza per liberare te da tutto ciò che ti aggrava. E non basterebbe ancora».
   La sentenza data con pacatezza ma tanto decisa, cade come una folgore nel gruppo sbigottito… Giuda abbassa il viso e si ritira in un angolo. Non ha l’audacia di reagire.

 7 «Io resto sveglio. Al fuoco bado Io. Dormite voi », ordina Gesù dopo qualche tempo.
   E dopo poco allo scoppiettio della legna si unisce il respiro pesante dei dodici stanchi, sdraiati sulle pancacce fra la paglia. E Gesù, se la paglia cade e li lascia scoperti, si alza e la ridiscende sul dormiente, amoroso come una madre. E pure piange mentre contempla i volti ermetici nel sonno di taluni, o placidi, o corrucciati. Guarda l’Iscariota che pare ghignare anche nel sonno, torvo, a pugni stretti… Guarda Giovanni che dorme con una mano sotto la guancia, il viso velato dai capelli biondi, roseo, sereno come un bimbo in cuna. Guarda il volto onesto di Pietro e quello severo di Natanaele, quello butterato dello Zelote, quello aristocratico di suo cugino Giuda, e si ferma a lungo a guardare Giacomo di Alfeo che è un Giuseppe di Nazaret molto giovane. Sorride sentendo i monologhi di Tommaso e di Andrea, che sembra parlino al Maestro. Copre molto Matteo che respira a fatica, prendendo altra paglia per tenerlo caldo e la stende sui piedi di Matteo dopo averla scaldata alla fiamma. Sorride sentendo Giacomo proclamare: «Credete nel Maestro e avrete la vita»… e continuare in una predica a personaggi di sogno. E si china a raccogliere una borsa dove Filippo tiene ricordi cari, mettendogliela piano sotto la testa. E negli intervalli medita e prega…

 8 Ilprimo a destarsi è lo Zelote. Vede Gesù ancora presso il fuoco acceso nella grotta ben calda. E dal mucchio della legna ridotto a una miseria comprende che sono passate molte ore. Scende dal suo giaciglio e viene in punta di piedi da Gesù. «Maestro non vieni a dormire? Veglio io».
   «È l’alba Simone. Sono andato di là poco fa. Ho visto il cielo che già schiarisce».
   «Ma perché non ci hai chiamati? Sei stanco Tu pure!».
   «Oh! Simone! Avevo tanto bisogno di pensare… e di pregare», e gli appoggia il capo sul petto.
   Lo Zelote, ritto presso Lui seduto, lo carezza e sospira. Chiede: «Pensare a che, Maestro? Tu non hai bisogno di pensare. Tu sai tutto».
   «Pensare non a ciò che devo dire. Ma a ciò che devo fare. Io sono disarmato contro il mondo astuto, perché Io non ho la malizia del mondo e l’astuzia di satana. Ed il mondo mi vince… E sono tanto stanco…».
   «E addolorato. E noi contribuiamo a questo, Maestro buono che non meritiamo di avere. Perdona me ed i compagni. Lo dico per tutti».
   «Vi amo tanto… Soffro tanto… Perché così spesso non mi capite?».

 9 Il loro bisbiglio sveglia Giovanni, che è il più vicino. Apre i suoi occhi celesti, si guarda stupito intorno, poi ricorda e si alza subito, venendo alle spalle dei due che parlano.
   Sente così le parole di Gesù: «Perché tutto l’odio e le incomprensioni divenissero un nulla sopportabile, mi basterebbe il vostro amore, la vostra comprensione… Invece non mi capite… E questa è la mia prima tortura. È pesante! Pesante! Ma non ne avete colpa. Siete uomini… Sarà il vostro dolore non avermi capito quando non potrete più riparare… Per questo, perché allora espierete le superficialità di ora, le meschinità di ora, le ottusità di ora, Io vi perdono e in anticipo dico: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno né il dolore che mi danno”».
   Giovanni scivola sul davanti, e in ginocchio, e abbraccia le ginocchia del suo Gesù afflitto, ed è già prossimo al pianto mentre sussurra: «Oh! Maestro mio!».
   Lo Zelote, che ha sempre sul petto la testa di Gesù, si china a baciarlo sui capelli dicendo: «Eppure ti amiamo tanto! Ma pretenderemmo da Te una capacità di difenderti, di difenderci, di trionfare. Ci avvilisce vederti uomo, soggetto agli uomini, alle intemperie, alla miseria, alla cattiveria, ai bisogni della vita… Stolti siamo. Ma così è. Per noi sei il Re, il Trionfatore, il Dio. Non riusciamo a capire la sublimità della tua abnegazione a tanto per amor nostro. Perché Tu solo sai amare. Noi non sappiamo…».
   «Sì, Maestro. Simone dice bene. Non sappiamo amare come ama Dio: Tu. E ciò che è infinita bontà, infinito amore, lo scambiamo per debolezza e ce ne approfittiamo… Aumenta il nostro amore, aumenta il tuo amore, Tu che ne sei la fonte, fallo straripare come ora straripano i fiumi, imbevici, saturaci, di esso, così come lo sono i prati lungo la valle. Non necessita sapienza, valore, austerità per essere perfetti come Tu vuoi. Basta avere amore… Signore, io me ne confesso per tutti: non sappiamo amare».
   «Voi, i due che più capiscono, vi accusate. Siete l’umiltà. Ma l’umiltà è amore. Ma anche gli altri non hanno che un diaframma per essere come voi. Ed Io lo abbatterò. Perché infatti sono Re, Trionfatore e Dio. In eterno. Ma ora sono l’Uomo. La mia fronte pesa già sotto il supplizio della mia corona. È sempre stata una torturante corona essere l’Uomo… Grazie, amici. Mi avete consolato. Perché questo ha di buono l’essere uomini: avere una madre che ama e degli amici sinceri.

10 Ora destiamo i compagni. Non piove più. I manti sono asciutti. I corpi riposati. Mangiate e pariamo».
   Alza la voce lentamente finché il «partiamo» è un ordine sicuro. Tutti sorgono e si rammaricano di avere sempre dormito mentre Gesù ha vegliato. Si rassettano, mangiano, prendono i mantelli, spengono il fuoco ed escono sul sentiero umido iniziando la discesa fino alla mulattiera che segue la costa, abbastanza in pendenza per non essere un mare di fango.    La luce è ancora poca perché non c’è sole né sereno. Ma sufficiente a vedere.

11 Andrea e i due figli di Alfeo sono avanti a tutti. Ad un certo punto si chinano, guardano e corrono indietro. «C’è una donna! Pare morta! Sbarra il sentiero».
   «Oh! che noia! Si comincia male. Come si fa? Ora bisognerà anche purificarsi!». I primi brontolii del giorno.
   «Andiamo a vedere noi se è morta», dice Tommaso a Giuda Iscariota.
   «Io non ci vengo per niente», risponde l’Iscariota.
   «Vengo io con te, Toma», dice lo Zelote e va avanti.
L’avvicinano, si curvano, e Tommaso corre indietro urlando.
   «È assassinata, forse», dice Giacomo di Zebedeo.
   «Oppure morta di freddo», risponde Filippo.
   Ma Tommaso li raggiunge e grida: «Ha la veste scucita dei lebbrosi…», e pare abbia visto il diavolo tanto è stranito.
   «Ma è morta?», chiedono. «E chi lo sa! Io sono scappato».
   Lo Zelote si rialza e viene sollecito verso Gesù. Dice: « Maestro, una sorella lebbrosa. Non so se è morta. Non direi. Mi sembra che il cuore batta ancora».
   «L’hai toccata?!», urlano molti scostandosi.
   «Si. Non ho paura della lebbra da quando sono di Gesù. E ho pietà perché so cosa è l’essere lebbroso. Forse l’infelice è stata colpita, perché sanguina al capo. Forse era scesa in cerca di cibo. È tremendo, sapete, morire di fame e dovere sfidare gli uomini per avere un pane».
   «È molto sciupata?».
   «No. Anzi non so come è fra i lebbrosi. Non ha scaglie, né piaghe, né cancrene. Forse lo è da poco. Vieni Maestro. Te ne prego. Come per me, abbi pietà della sorella lebbrosa! ».
   «Andiamo. Datemi pane, formaggio e quel poco di vino che ancora abbiamo».
   «Non la farai bere dove noi beviamo!», urla terrorizzato l’Iscariota.
   «Non temere. Berrà dalla mia mano. Vieni, Simone».

12 Vanno avanti… ma la curiosità manda avanti anche gli altri. Senza più noia per l’acqua che è fra il fogliame e che piove sulle teste dai rami scossi, né del musco zuppo, salgono sulla costa per vedere senza essere vicino alla donna. E vedono che Gesù si china, la prende per le ascelle e la trascina seduta contro un masso. La testa pende come fosse morta.
   «Simone, rovesciale il capo, che le possa far scendere in gola un po’ di vino».
Lo Zelote ubbidisce senza paura e Gesù, tenendo alta la zucchetta, fa cadere delle stille di vino fra le labbra socchiuse e livide. E dice: «È gelata, l’infelice! Ed è tutta bagnata».
   «Se non era lebbrosa la potevamo portare dove fummo noi», dice impietosito Andrea.
   «Ci mancherebbe altro!», scatta Giuda.
   «Ma se non è lebbrosa! Non ha segno di lebbra».
   «Ha la veste. Basta quella».
   Il vino agisce intanto. La donna ha un sospiro stanco. Gesù gliene cola in bocca un sorso vedendo che inghiotte. La donna apre due occhi annebbiati e spaventati. Vede degli uomini. Tenta alzarsi e fuggire gridando: «Sono infetta! Sono infetta!». Ma le forze non la soccorrono. Si copre il volto con le mani
gemendo: «Non mi lapidate! Sono scesa perché ho fame… Sono tre giorni che nessuno mi getta nulla…».
   «Qui c’è pane e formaggio. Mangia. Non avere paura. Bevi un po’ di vino dalla mia mano», dice Gesù versandosi nel cavo della mano un po’ di vino e dandoglielo.
   «Ma non hai paura?», dice l’infelice sbalordita.
   «Non ho paura », risponde Gesù. E sorride alzandosi in piedi, ma restando presso la donna che mangia avida il pane e il formaggio.
   Pare una belva affamata. Ansa perfino nell’ansia di nutrirsi.

13 Poi, sedata l’animalità delle viscere vuote, si guarda intorno… Conta a voce alta: «Uno… due… tre… tredici… Ma allora?… Oh! Chi è il Nazareno? Tu, non è vero? Solo Tu puoi avere pietà di una lebbrosa come hai avuto!…». La donna si pone in ginocchio a fatica per la debolezza.
   «Sono Io, sì. Che vuoi? Guarire?».
   «Anche… Ma prima devo dirti una cosa… Io sapevo di Te. Me ne avevano parlato alcuni, passati tanto tempo fa… Tanto? No. Era l’autunno. Ma per un lebbroso… ogni giorno è un anno… Avrei voluto vederti. Ma come potevo venire in Giudea, in Galilea? Mi chiamano “lebbrosa”. Ma non ho che una piaga sul petto, e me l’ha data il marito che mi ha presa vergine e sana, e sano non era. Ma è un grande… e tutto può. Anche dire che io l’avevo tradito venendo a lui malata, e ripudiarmi così, per prendere un’altra donna di cui era invaghito. Mi ha denunciata per lebbrosa, e perché volli scolparmi fui presa a sassate. Era giusto, Signore? Ieri sera un uomo è passato da Betjaboc avvisando che Tu venivi e dicendo venirti incontro per cacciarti. Io c’ero… Discesa fino alle case perché avevo fame. Avrei frugato nei letamai per sfamarmi… Io che ero la “signora” avrei cercato strappare al pollame un poco di impasto inacidito… ».
   Piange… Poi riprende: «L’ansia di trovarti, per Te, per dirti: “Fuggi!; per me, per dirti: “Pietà!”, mi ha fatto dimenticare che, contrariamente alla legge nostra, cani, porci e polli vivono presso le case d’Israele, ma che il lebbroso non può scendere a chiedere un pane, neppure se è una che di lebbrosa ha solo il nome. E mi sono fatta avanti, chiedendo dove eri. Non mi hanno visto subito nell’ombra e mi hanno detto: “Sale per l’argine del fiume”. Ma poi mi hanno vista e mi hanno dato pietre per pane. Sono corsa via, nella notte, per venire incontro a Te, per sfuggire i cani. Avevo fame, avevo freddo, avevo paura. Sono caduta dove mi hai trovata. Qui. Ho creduto di morire. Invece ho trovato Te. Signore, non sono lebbrosa. Ma questa piaga qui alla mammella mi impedisce di tornare fra i viventi. Io non chiedo di tornare Rosa di Gerico come al tempo del padre mio, ma almeno di vivere fra gli uomini e seguire Te. Quelli che mi hanno parlato in ottobre hanno detto che Tu hai discepole e che con loro eri… Ma prima salvati Tu. Non morire, Tu che sei buono!».
   «Io non morirò finché non è il mio tempo. 

14 Và là, a quel masso. Vi è una grotta sicura. Riposati e poi và dal sacerdote». 
   «Perché, Signore?». La donna trema d’ansia.
   Gesù sorride: «Torna la Rosa di Gerico che fiorisce nel deserto e che è sempre viva anche se pare morta. La tua fede ti ha guarita».
   La donna socchiude la veste sul petto, guarda e grida: «Più niente! Oh! Signore, mio Dio!», e cade fronte a terra.
   «Datele pane e cibi. E tu, Matteo, dàlle un paio dei tuoi sandali. Io darò un mantello. Che possa andare, quando sarà ristorata, dal sacerdote. Dàlle anche l’obolo, Giuda. Per le spese di purificazione. L’attenderemo al Getsemani per darla a Elisa. Mi ha chiesto una figlia».
   «No, Signore. Non riposo. Vado. Subito. Subito».
   «Scendi al fiume, allora, lavati, mettiti il manto addosso…».
   «Signore, io lo do alla sorella lebbrosa. Lascia che lo faccia ed io la condurrò da Elisa. Io guarisco una seconda volta, vedendo me in lei, felice», dice lo Zelote.
   «Sia come vuoi. Dàlle quanto serve. Donna, ascolta bene. Andrai a purificarti e poi andrai a Betania, cercherai di Lazzaro e dirai che ti ospiti finché Io vengo. Và in pace».
   «Signore! Quando potrò baciarti i piedi?».
   «Presto. Và. Ma sappi che solo il peccato mi fa ribrezzo. E perdona allo sposo perché per suo mezzo hai trovato Me».
   «È vero. Lo perdono. Vado… Oh! Signore! Non ti fermare qui dove ti odiano. Pensa che ho camminato esausta, per una notte, per venirtelo a dire, e che se invece di Te trovavo altri potevo essere uccisa a sassate come una serpe».
   «Lo ricorderò. Và, donna. Brucia la veste. Accompagnala, Simone. Noi vi seguiremo. Al ponte vi raggiungeremo».

15 Si separano.
   «Però ora bisogna purificarsi. Siamo impuri tutti».
   «Non era lebbra, Giuda di Simone. Io te lo dico».
   «Ebbene, io mi purificherò. Non voglio impurità su di me».
   «Candido giglio!», esclama Pietro.
   «Se non si sente impuro il Signore, vuoi sentitici tu?».
   «E per una che Lui dice non lebbrosa? Ma che aveva, Maestro? Tu hai visto la piaga?».
   «Si. Un frutto della lussuria maschile. Ma non era lebbra. E se l’uomo fosse stato onesto non l’avrebbe scacciata, perché egli era più di lei malato. Ma tutto serve ai lussuriosi per saziare la loro fame. Tu, Giuda, se vuoi và pure. Ci ritroveremo al Getsemani. E purificati! Purificati! Però la prima delle purificazioni è la sincerità. Tu sei ipocrita. Ricordalo. Ma và pure».
   «No, che resto! Se Tu lo dici, io credo. Non sono perciò impuro e resto con Te. Tu vuoi dire che io sono lussurioso e che profittavo del fatto per… Ti dimostro che il mio amore sei Tu».
   Vanno lesti per la discesa. 

   15 Dicembre 1945. 
16 Dice Gesù: «Qui metterete la visione del “Miracolo del Giordano in piena”, avuta il 17 settembre 1944».

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