Vangelo Gv 21, 20-25: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi».

Giovanna EspositoVangeloLeave a Comment

Vangelo Gv 21, 20-25
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.


Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DCXXXIII. Apparizione sulle rive del lago e conferimento del mandato a Pietro.

   19 aprile 1947.

 1 Una notte calma e afosa. Non tira un respiro di vento. Le stelle, larghe e palpitanti, gremiscono il cielo sereno. Il lago, calmo e immobile tanto da parere una vastissima vasca al riparo dei venti, riflette sulla sua superficie la gloria di quel cielo palpitante d’astri. Le piante lungo le rive sono un blocco senza fremiti. Così calmo il lago che il suo fiotto sulla riva si riduce ad un fruscio lievissimo. Qualche barca al largo, appena visibile come forma vagante, che talora mette una stellina a poca distanza dall’onda col suo lumino legato all’albero della vela a rischiarare l’interno del piccolo scafo.
   Non so quale punto del lago sia. Direi in quello più meridionale, là dove il lago si appresta a ritornar fiume. Alla periferia di Tarichea, direi, non perché io veda la città, che un ammasso d’alberi mi nasconde, protendendosi nel lago a fare un piccolo promontorio collinoso, ma perché così giudico dalle stelline dei lumi delle barche, che si allontanano verso nord staccandosi dalle sponde del lago. Dico periferia perché un mucchietto di casupole, che son tanto poche da non poter costituire neppure un villaggio, sono riunite lì, ai piedi del piccolo promontorio. Case povere, quasi sul lido, certo di pescatori.
   Delle barche in secco sulla piccola spiaggia; altre, già pronte a navigare, presso riva, nell’acqua, e così ferme da parer confitte al suolo, anziché galleggianti.
 2 Da una casupola Pietro sporge il capo. La luce tremolante di un fuoco acceso nella cucina fumosa illumina da tergo la figura atticciata dell’apostolo, facendola risaltare come un disegno. Guarda il cielo, guarda il lago… Viene avanti sino al limite del lido. Poi — è con una tunica corta e a piedi scalzi — entra nell’acqua sino a mezza coscia e carezza il bordo di una barca, protendendo il braccio muscoloso.
   Lo raggiungono i figli di Zebedeo.
   «Bella notte».
   «Fra poco ci sarà la luna».
   «Sera di pesca».
   «Coi remi però».
   «Non c’è vento».
   «Che si fa?».
   Parlano adagio, a frasi staccate, come uomini usi alla pesca e alle manovre delle vele e delle reti, che richiedono attenzione e perciò poche parole.
   «Sarebbe bene andare. Venderemmo parte della pesca».
   Vengono a raggiungerli sulla riva Andrea, Tommaso e Bartolomeo.
   «Che calda questa notte!», esclama Bartolomeo.
   «Farà tempesta? Vi ricordate quella notte?», chiede Tommaso.
   «Oh! no! Calmeria, nebbie forse, ma non tempesta. Io… Io vado a pescare. Chi viene con me?».
   «Veniamo tutti. Forse si starà meglio là in mezzo», dice Tom­maso che suda, e aggiunge: «Occorreva alla donna quel fuoco, ma è come fossimo stati alle terme calde…».
   «Vado a dirlo a Simone. È tutto solo là», dice Giovanni.
 3 Pietro già prepara la barca insieme ad Andrea e Giacomo.
   «Andiamo sino a casa? Una sorpresa per mia madre…», chiede Giacomo.
   «No. Non so se posso far venire Marziam. Prima di… della… Sì, insomma! Prima di andare a Gerusalemme — si era ancora ad Efraim — il Signore mi disse di voler fare la seconda Pasqua con Marziam. Ma poi non mi ha detto altro…».
   «A me pare che abbia detto di sì», dice Andrea.
   «Sì. La seconda Pasqua, sì. Ma farlo venire prima non so se vuole. Ho fatto tanti sbagli che… Oh! vieni anche tu?».
   «Sì, Simone di Giona. Mi ricorderà molte cose questa pesca…».
   «Eh! a tutti ricorderà molte cose… E cose che non torneranno più… Si andava col Maestro in questa barca, sul lago… E io le volevo bene come fosse una reggia, e mi pareva di non poter vivere senza di essa. Ma ora che Lui non c’è più, nella barca… ecco… ci sono dentro e non ne ho gioia», dice Pietro.
   «Nessuno più ha gioia delle cose passate. Non è più la stessa vita. E anche a guardare indietro… fra quelle ore passate e quelle presenti c’è in mezzo quel tempo orrendo…», sospira Bartolomeo.
   «Pronti. Venite. Tu al timone e noi ai remi. Andiamo verso la curva di Ippo. È posto buono. Su! Op! Su! Op!».
   Pietro dà la voga e la barca scivola sull’acqua cheta, Bartolomeo al timone. Tommaso e lo Zelote a far da garzoni, pronti a gettar le reti che preparano stese. Si alza la luna, ossia supera i monti di Gadara (se non erro) o Gamala, insomma quelli che sono sulla costa orientale ma verso il sud del lago, e il lago ne riceve il raggio, che fa un strada di diamanti sull’acque chete.
   «Ci accompagnerà sino al mattino».
   «Se non viene foschia».
   «I pesci lasciano il fondo attirati dalla luna».
   «Se faremo buona pesca, bene sarà. Perché non abbiamo più denaro. Compreremo pane e porteremo a quelli sul monte pesce e pane».
   Parole lente, con pause lunghe fra l’una e l’altra voce.
   «Voghi bene, Simone. Non hai perso la vogata!…», ammira lo Zelote.
   «Sì…
 4 Maledizione!».
   «Ma che hai?», chiedono gli altri.
   «Ho… Ho che il ricordo di quell’uomo mi perseguita da per tutto. Mi ricordo di quel giorno che si faceva con due barche a chi vogava meglio, e lui…».
   «Io invece pensavo che una delle prime volte che ebbi la visione del suo abisso di perfidia, fu quella volta che incontrammo, anzi, che scontrammo le barche dei romani. Ricordate?», dice lo Zelote.
   «Eh! se si ricorda! Mah!… Lui lo difendeva… e noi… fra le difese del Maestro e le doppiezze del… del nostro, non si comprese mai bene…», dice Tommaso.
   «Uhm! Io più di una volta… Ma diceva: “Non giudicare, Simone!”».
   «Il Taddeo lo ebbe sempre in sospetto».
   «Quello che io non riesco a credere è che costui non ne abbia saputo mai nulla», dice Giacomo urtando col gomito suo fratello. Ma Giovanni tace curvando il capo.
   «Ormai puoi dire…», dice Tommaso.
   «Mi sforzo di dimenticare. Così ne ho avuto ordine. Perché mi volete fare disubbidire?».
   «Hai ragione. Lasciamolo stare», difende lo Zelote.
 5 «Calate le reti. Adagio… Vogate voi. Voga lento. Curva a sinistra, Bartolmai. Accosta. Vira. Accosta. Vira. Stesa la rete? Sì? Su i remi e attendiamo», comanda Pietro.
   Come è bello il dolce lago nella pace della notte, sotto il bacio della luna! Paradisiaco tanto è puro. La luna vi si specchia in pieno dal cielo e lo fa di diamante, la sua fosforescenza trema sui colli, li disvela, fa di neve le città delle rive…
   Ogni tanto estraggono la rete. Una cascata arpeggiante di diamanti sull’argento del lago. Vuota. La immergono di nuovo. Si spostano. Non hanno fortuna…
   Le ore passano. La luna tramonta, mentre la luce dell’alba si fa strada, incerta, verd’azzurra… Una foschia di caldo fuma verso le rive, specie verso l’estremità sud del lago. Tiberiade se ne vela e se ne vela Tarichea. Nebbia bassa, poco compatta, che il primo sole scioglierà. Per evitarla preferiscono costeggiare il lato d’oriente dove essa è meno fitta, mentre a ovest, venendo dall’acquitrino che è oltre Tarichea sulla riva destra del Giordano, essa si affittisce come l’acquitrino fumasse. Vogano attenti per evitare qualche pericolo del fondale, essi pratici del lago.
 6 «Voi, della barca! Avete niente da mangiare?». Una voce maschile viene dalla riva. Una voce che li fa sussultare.
   Ma scrollano le spalle, rispondendo forte: «No»; e poi fra loro: «Ci pare sempre di sentirlo!…».
   «Gettate le reti a destra della barca e troverete».
   La destra è verso il largo. Gettano la rete, un poco perplessi. Scosse, peso che fa piegare la barca dal lato dove è la rete.
   «Ma questo è il Signore!», grida Giovanni.
   «Il Signore, dici?», chiede Pietro.
   «E ne hai dubbio? Ci è parsa la sua voce, ma questa ne è la prova. Guarda la rete! È come quella volta! È Lui, ti dico! Oh! Gesù mio! Dove sei?».
   Tutti aguzzano lo sguardo a forare i veli della nebbia, dopo aver bene assicurata la rete per trascinarla nella scia della barca, posto che volerla issare è pericolosa manovra, e remano per andare a riva. Ma Tommaso deve prendere il remo di Pietro che, infilata in fretta e furia la breve tunica sulle brachette cortissime che erano il suo unico vestimento, come è quello degli altri meno Bartolomeo, si è gettato a nuoto nel lago e fende a grandi bracciate l’acqua cheta, precedendo la barca e mettendo per primo il piede sulla spiaggetta deserta, dove su due pietre al riparo da un cespuglio spinoso luccica un fuoco di sterpi. E lì, vicino al fuoco, è Gesù, sorridente e benigno.
   «Signore! Signore!». Pietro ha il fiato grosso dall’emozione e non può dire altro. Grondante d’acqua come è, non osa toccare neppur la veste del suo Gesù, e sta prostrato sull’arena con la tunica incollata addosso, adorando.
 La barca sfrega sul greto e si ferma. Tutti sono in piedi, agitati dalla gioia…
 «Portate qua di quei pesci. Il fuoco è pronto. Venite e mangiate», ordina Gesù.
   Pietro corre alla barca e aiuta a issare la rete, e afferra nel mucchio guizzante tre grossi pesci e li sbatte sull’orlo della barca per ucciderli e li sbuzza col suo coltello. Ma gli tremano le mani, oh! non di freddo! Li sciacqua, li porta là dove è il fuoco e ve li aggiusta sopra, sorvegliandoli nella cottura. Gli altri stanno adorando il Signore, un poco lontani da Lui, timorosi come sempre di Lui che è, Risorto, così divinamente potente.
   «Ecco. Qui è il pane. Avete lavorato tutta la notte e siete stanchi. Ora vi rifocillerete. È pronto, Pietro?».
   «Sì, mio Signore», dice Pietro con una voce ancor più roca del solito, curvo sul fuoco, e si asciuga gli occhi che gocciano, come se il fumo li facesse piangere irritandoli insieme alla gola. Ma non è il fumo che dà quella voce e quelle lacrime…
   Porta il pesce che ha steso su una foglia rasposa, pare una foglia di zucca e gliel’ha portata Andrea dopo averla sciacquata nel lago.
   Gesù offre e benedice, spezza il pane e i pesci e li distribuisce facendone otto parti e gustandone Lui pure. Mangiano con la riverenza con cui compirebbero un rito. Gesù li guarda e sorride. Ma tace Egli pure sinché chiede: «Dove sono gli altri?».
   «Sul monte. Dove hai detto. E noi si è venuti per pescare, perché non si ha più denaro e non vogliamo abusare dei discepoli».
   «Fate bene. Però d’ora in avanti voi apostoli starete sul monte in orazione, edificando con l’esempio i discepoli. Mandate quelli a pescare. Voi è bene che rimaniate là in preghiera e per ascoltare quelli che hanno bisogno di consiglio o possono venire a darvi delle notizie. Teneteli uniti molto i discepoli. Presto ver­rò».
   «Lo faremo, Signore».
   «Marziam non è con te?».
   «Non me lo avevi detto di farlo venire così subito».
   «Fàllo venire. La sua ubbidienza è finita».
   «Lo farò venire, Signore».
 8 Un silenzio. Poi Gesù, che era stato un poco a capo chino, pensando, alza la testa e figge gli sguardi su Pietro. Lo guarda col suo sguardo delle ore di più forte miracolo e impero. Pietro ne ha un trasalimento quasi di paura e si getta un poco indietro… Ma Gesù, posando una mano sulla spalla di Pietro, lo trattiene fortemente e gli chiede, tenendolo così: «Simone di Giona, mi ami tu?».
   «Certo, Signore! Tu lo sai che ti amo», risponde Pietro sicuro.
   «Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
 «Sì, mio Signore. E Tu lo sai che ti amo». La voce è meno baldanzosa, è anzi un poco stupita per la ripetizione di quella domanda.
   «Pasci i miei agnelli… Simone di Giona, mi ami tu?».
   «Signore… Tu sai tutto… Tu sai se io ti amo…», gli trema la voce a Pietro, che è sicuro del suo amore ma che ha l’impressione non ne sia sicuro Gesù.
   «Pasci le mie pecorelle. La tua triplice professione d’amore ha cancellato la tua triplice negazione. Sei tutto puro, Simone di Giona, ed Io ti dico: assumi la veste ponteficale e porta la Santità del Signore in mezzo al mio gregge. Cingiti le vesti alla cintura e tienile cinte sinché da Pastore tu pure diverrai agnello. In verità ti dico che, quando eri più giovane, da te ti cingevi e andavi dove volevi, ma quando sarai invecchiato stenderai le mani ed un altro ti cingerà e ti condurrà dove non vorresti. Ora però sono Io che ti dico: “Cingiti e seguimi sulla mia stessa via”. Alzati e vieni».
   Si alza Gesù e si alza Pietro, andando verso la riva, e gli altri si danno a spegnere il fuoco soffocandolo sotto la rena.
 9 Ma Giovanni, raccolti i resti del pane, segue Gesù. Pietro sente lo scalpiccìo dei passi e volge il capo. Vede Giovanni e chiede, accennandolo a Gesù: «E di questo che avverrà?».
   «Se Io voglio che resti finché Io non ritorni, che te ne importa? Tu seguimi».
   Sono sulla riva. Pietro vorrebbe ancora parlare: l’imponenza di Gesù, le parole sentite lo trattengono. Si inginocchia, imitato dagli altri, e adora. Gesù li benedice e congeda. Essi salgono in barca e si allontanano remando. Gesù li guarda andare.

   Cap. DCLII. Commiato all’Opera.

   [28 aprile 1947]
 
   Dice Gesù:
   «Le ragioni che mi hanno mosso ad illuminare e a dettare episodi e parole miei al piccolo Giovanni sono, oltre alla gioia di comunicare una esatta cognizione di Me a quest’anima-vittima e amante, molteplici.
   Ma in tutte ne è anima l’amore mio per la Chiesa, sia docente che militante, e il desiderio di aiutare le anime nella loro ascesa verso la perfezione. La conoscenza di Me è aiuto all’ascesa. La mia Parola è Vita.
   Nomino le principali:
   
  I. Le ragioni dette nel dettato del 18-1-47 che il piccolo Giovanni metterà qui integralmente. Questa è la ragione più grande, perché voi state perendo e vi voglio salvare.


   3 febbraio 1947.
 
   Dice Gesù:
   “La ragione più profonda del dono di quest’opera, fra le molte altre che il mio portavoce conosce, è che in questi tempi, nei quali il modernismo condannato dal mio S. Vicario Pio X si corrompe in sempre più dannose dottrine umane, la S. Chiesa, rappresentata dal mio Vicario, abbia materia di più a combattere coloro che negano:
   la soprannaturalità dei dogmi;
   la divinità del Cristo;
   la verità del Cristo Dio e Uomo, reale e perfetto così nella fede come nella storia che di Lui è stata tramandata (Vangelo, Atti degli Apostoli, Epistole apostoliche, tradizione);
   la dottrina di Paolo e Giovanni e dei Concili di Nicea, Efeso e Calcedonia, e altri più recenti, come mia vera dottrina da Me verbalmente insegnata o ispirata;
   la mia sapienza illimitata perché divina;
   l’origine divina dei dogmi, dei sacramenti e della Chiesa una, santa, cattolica, apostolica;
   l’universalità e continuità, sino alla fine dei secoli, del Vangelo da Me dato per tutti gli uomini;
   la natura, perfetta dall’inizio, della mia dottrina, che non si è formata quale è attraverso successive trasformazioni, ma tale è stata data: dottrina del Cristo, del tempo di Grazia, del Regno dei Cieli e del Regno di Dio in voi, divina, perfetta, immutabile, Buona Novella per tutti i sitibondi di Dio.
   Al dragone rosso con sette teste, dieci corna e sette diademi sulle teste, che con la coda trae dietro la terza parte delle stelle del cielo e le fa precipitare — e in verità vi dico che esse precipitano ancor più in basso che sulla terra — e che perseguita la Donna; alle bestie del mare e della terra che molti, troppi adorano, sedotti come sono dai loro aspetti e prodigi, opponete il mio Angelo volante nel mezzo del cielo tenendo il Vangelo eterno ben aperto anche sulle pagine sin qui chiuse, perché gli uomini possano salvarsi per la sua luce dalle spire del gran Serpente dalle sette fauci, che li vuole affogare nelle sue tenebre, e al mio ritorno Io ritrovi ancora la fede e la carità nel cuore dei perseveranti e siano questi numerosi più di quanto l’opera di Satana e degli uomini non danno a sperare che possano essere”.
           
   II. Risvegliare nei sacerdoti e nei laici un vivo amore al Vangelo e a quanto è attinente al Cristo. Prima fra tutte le cose una rinnovellata carità alla Madre mia, nelle preghiere della quale è il segreto della salute del mondo. Lei, la Madre mia, è la Vincitrice del Dragone maledetto. Aiutate la sua potenza col vostro rinnovellato amore a Lei e con la rinnovellata fede e conoscenza di quanto le si riferisce. Maria ha dato al mondo il Salvatore. Il mondo avrà ancora da Lei la salvezza.
           
   III. Dare ai maestri di spirito e direttori di anime aiuto al loro ministero, studiando il mondo di spiriti diversi che si agitò intorno a Me e dei diversi modi da Me usati per salvarli. Perché stolto sarebbe volere avere un metodo unico per tutte le anime. Diverso è il modo di attrarre alla Perfezione un giusto che spontaneamente vi tende, da quello da usarsi per un credente ma peccatore, da quello da usarsi per un Gentile. Ne avete tanti anche fra voi, se giungete a giudicare, come il vostro Maestro, come Gentili quelli che sono i poveri esseri che hanno sostituito l’idolo della potenza e prepotenza, o dell’oro, o della lussuria, o della superbia del loro sapere, al Dio vero. E diverso è il modo da usarsi per salvare i moderni proseliti, ossia coloro che hanno accettato l’idea cristiana ma non la cittadinanza cristiana, appartenendo alle Chiese separate. Nessuno sia sprezzato, e queste pecore sperse meno di tutti. Amatele e cercate di ricondurle al­l’Ovile unico perché il desiderio del Pastore Gesù si compia.
   Alcuni obbietteranno, leggendo quest’Opera: “Non risulta dal Vangelo che Gesù abbia avuto contatti coi romani o greci, e perciò noi rigettiamo queste pagine”. Quante cose non risultano dal Vangelo, o traspaiono appena da dietro spesse cortine di silenzio, lasciate cadere dagli Evangelisti su episodi che, per la loro infrangibile mentalità di ebrei, essi non approvavano! Credete voi di conoscere tutto quello che ho fatto?
   In verità vi dico che neppure dopo aver letta e accettata questa illustrazione della mia vita pubblica voi conoscete tutto di Me. Avrei ucciso, nella fatica di essere il cronista di tutti i giorni del mio ministero e di tutte le azioni compiute in quei singoli giorni, il mio piccolo Giovanni, se gli avessi fatto conosceretutto perché tutto vi trasmettesse! “Ci sono poi altre cose fatte da Gesù, le quali, se fossero scritte una ad una, credo che il mondo non potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere”, dice Giovanni. A parte l’iperbole, in verità vi dico che se si fossero dovute scrivere tutte le mie singole azioni, tutte le mie lezioni particolari, le mie penitenze e orazioni per salvare un’anima, sarebbero occorse le sale di una delle vostre biblioteche, e una delle maggiori, per contenere i libri parlanti di Me. E anche in verità vi dico che sarebbe molto più utile per voi dare al rogo tanta inutile scienza polverosa e velenosa per far posto ai miei libri, che sapere così poco di Me e adorare così tanto quella stampa quasi sempre sporca di libidine o di eresia.
           
   IV. Restituire nella loro verità le figure del Figlio dell’Uomo e di Maria, veri figli di Adamo per la carne e il sangue, ma di un Adamo innocente. Come noi, così dovevano essere i figli dell’Uomo, se il Progenitore e la Progenitrice non avessero avvilito la loro perfetta umanità — nel senso di uomo, ossia di creatura nella quale è la duplice natura spirituale, a immagine e somiglianza di Dio, e la natura materiale — come voi sapete che hanno fatto. Sensi perfetti, ossia sottomessi alla ragione pur nella loro grande acutezza. Nei sensi includo quelli morali insieme a quelli corporali. Amore completo e perfetto perciò, e per lo sposo al quale non la stringe sensualità, ma soltanto vincolo di spirituale amore, e per il Figlio. Amatissimo. Amato con tutta la perfezione di una perfetta donna per la creatura nata da lei. Così avrebbe dovuto amare Eva: come Maria, ossia non per quello che di godimento carnale era il figlio, ma perché quel figlio era figlio del Creatore e ubbidienza compiuta al suo comando di moltiplicare la specie umana. E amato con tutto l’ardore di una perfetta credente, che sa quel suo Figlio non figuratamente ma realmente: Figlio di Dio.
   A coloro che giudicano troppo amoroso l’amor di Maria per Gesù dico di considerare chi era Maria: la Donna senza peccato e perciò senza tare alla sua carità verso Dio, verso i parenti, verso lo sposo, verso il Figlio, verso il prossimo; di considerare cosa vedeva la Madre in Me oltre che vedere il Figlio del suo seno; e infine di considerare la nazionalità di Maria. Razza ebrea, razza orientale, e tempi molto lontani dagli attuali. Perciò, da questi elementi scaturisce la spiegazione di certe amplificazioni verbali di amore che a voi possono parere esagerate. Stile fiorito e pomposo anche nel parlare comune, lo stile orientale ed ebraico. Tutti gli scritti di quel tempo e di quella razza ne sono un documento, né il volger dei secoli ha molto mutato lo stile d’oriente.
   Pretendereste che, perché voi, venti secoli dopo e quando la perversità della vita ha ucciso tanto amore, dovete esaminare queste pagine, Io vi dessi una Maria di Nazaret quale è la donna arida e superficiale del vostro tempo? Maria è ciò che è, e non si muta la dolce, pura, amorosa Fanciulla d’Israele, Sposa di Dio, Madre verginale di Dio, in una eccessivamente, morbosamente esaltata, o in una glacialmente egoista donna del vostro secolo.
   A coloro che giudicano troppo amoroso l’amor di Gesù per Maria dico di considerare che in Gesù era Dio e che Dio uno e trino prendeva i suoi conforti amando Maria, Colei che lo ripagava del dolore di tutta la razza umana, il mezzo perché Dio potesse tornare a gloriarsi della sua Creazione che dà cittadini ai suoi Cieli. E considerino infine che ogni amore diventa colpevole quando, e soltanto, quando disordina, ossia quando va contro la volontà di Dio e il dovere da compiere.
   Ora considerate: l’amore di Maria ha fatto questo? Il mio amore ha fatto questo? Mi ha Ella trattenuto, per egoistico amore, dal compiere tutta la volontà di Dio? Per un disordinato amore per mia Madre ho rinnegato forse la mia missione? No. L’uno e l’altro amore hanno avuto un solo desiderio: che si compisse la volontà di Dio per la salute del mondo. E la Madre ha detto tutti gli addii al Figlio, e il Figlio ha detto tutti gli addii alla Madre, consegnando il Figlio alla croce del magistero pubblico e alla croce del Calvario, consegnando la Madre alla solitudine e allo strazio, perché fosse Corredentrice, senza tenere conto dell’umanità nostra che si sentiva lacerare e del nostro cuore che si spezzava nel dolore. È questo debolezza? Sentimentalismo? È amor perfetto, o uomini che non sapete amare e non comprendete più l’amore e le sue voci!
   E ancora quest’Opera ha scopo di illuminare dei punti che un complesso di circostanze hanno coperto di tenebre e formano così zone oscure nella luminosità del quadro evangelico e punti che sembrano di frattura, e non sono che punti oscurati, fra l’uno e l’altro episodio, punti indecifrabili e che nel poter decifrarli sta la chiave per comprendere esattamente certe situazioni che si erano create e certe maniere forti che avevo dovuto avere, così in contrasto con le mie esortazioni continue al perdono, alla mitezza e umiltà, certi irrigidimenti verso i tenaci, inconvertibili avversari. Ricordate tutti che, dopo avere usato tutta la misericordia, Dio, per onore di Sé stesso, sa anche dire “Basta” a coloro che, perché è buono, credono lecito di abusare della sua longanimità e tentarlo. Dio non si irride. È parola antica e sapiente.
           
   V. Conoscere esattamente la complessità e durata della mia lunga passione, la quale culmina nella Passione cruenta compiuta in poche ore, che mi aveva consumato in un tormento quotidiano durato lustri e lustri, e andato sempre crescendo, e con la mia la passione della Madre alla quale la spada del dolore trafisse il cuore per un tempo uguale. E spingervi, per questa conoscenza, ad amarci di più.
           
   VI. Dimostrare il potere della mia Parola e gli effetti diversi della stessa a seconda che chi la riceveva apparteneva alla schiera degli uomini di buona volontà, o a quella di coloro che avevano una volontà sensuale che non è mai retta.
   Gli apostoli e Giuda. Ecco i due esempi opposti. I primi, imperfettissimi, rozzi, ignoranti, violenti, ma con buona volontà. Giuda, dotto più della maggioranza di essi, raffinato dalla vita nella capitale e nel Tempio, ma di mala volontà. Osservate l’evoluzione nel Bene dei primi, la loro ascesa. Osservate l’evoluzione del secondo nel Male e la sua discesa.
   Osservino questa evoluzione nella perfezione degli undici buoni soprattutto coloro che per un difetto visivo mentale sono usi a snaturare la realtà dei santi, facendo dell’uomo che raggiunge la santità con dura, durissima lotta contro le forze pesanti e oscure, un essere innaturale senza fomiti e fremiti, e perciò senza meriti. Perché il merito viene proprio dalla vittoria sulle passioni disordinate e le tentazioni, raggiunta per amore di Dio e per conseguire il fine ultimo: godere di Dio in eterno.
   Lo osservino coloro che pretendono che il miracolo della conversione debba venire solo da Dio. Dio dà i mezzi per convertirsi, ma non violenta la volontà dell’uomo, e se l’uomo non vuole convertirsi, inutilmente ha ciò che ad altro serve alla conversione.
   Considerino, coloro che esaminano, i molteplici effetti della mia Parola, non soltanto sull’uomo umano, ma anche sull’uomo spirituale. Non soltanto sull’uomo spirituale, ma anche sull’uomo umano. La mia Parola, accolta con buona volontà, trasforma l’uno e l’al­tro portando a perfezione esterna e interna.
   Gli apostoli, che per la loro ignoranza e la mia umiltà trattavano il Figlio dell’Uomo con confidenza eccessiva — un buon maestro fra loro, nulla più, un maestro umile e paziente col quale era lecito prendersi delle libertà talora eccessive; ma non era irriverenza la loro: era ignoranza, e va scusata — gli apostoli, rissosi fra loro, egoisti, gelosi nel loro amore e del mio amore, impazienti con il popolo, un poco orgogliosi di essere “gli apostoli”, ansiosi dello stupefacente che li addita alle folle come dotati di un potere straordinario, lentamente ma continuamente si trasformano in uomini nuovi, dominando prima le loro passioni per imitare Me e far contento Me, poscia, sempre più conoscendo il mio vero Io, mutando modi e amore sino a vedermi, amarmi e trattarmi come Signore divino. Sono forse, al termine della mia vita sulla Terra, ancora i compagni superficiali e allegri dei primi tempi? Sono, soprattutto dopo la Risurrezione, gli amici che trattano il Figlio dell’Uomo da Amico? No. Sono i ministri del Re, prima. Sono i sacerdoti di Dio, dopo. Tutti diversi, trasformati completamente.
   Considerino questo coloro che troveranno forte e giudicheranno innaturale la natura degli apostoli, che era quale è descritta. Io non ero un dottore difficile e un re superbo, non ero un maestro che giudica indegni di lui gli altri uomini. Ho saputo compatire. Ho voluto formare prendendo materie grezze, empire di perfezioni d’ogni specie vasi vuoti, dimostrare che Dio può tutto, e da una selce trarre un figlio d’Abramo, un figlio di Dio, e da un nulla un maestro, a confondere i maestri boriosi della loro scienza che molto sovente ha perduto il profumo della mia.
           
   VII. Infine: farvi conoscere il mistero di Giuda, quel mistero che è la caduta di uno spirito che Dio aveva beneficato straordinariamente. Un mistero che in verità si ripete troppo sovente e che è la ferita che duole nel Cuore del vostro Gesù.
   Farvi conoscere come si cade mutandosi da servi e figli di Dio in demoni e deicidi che uccidono il Dio in loro coll’uccidere la Grazia, per impedirvi di mettere il piede sui sentieri dai quali si cade nell’Abisso, e per insegnarvi come usare per vedere di trattenere gli agnelli imprudenti che si spingono verso l’abisso. Applicate il vostro intelletto a studiare l’orrenda e pur comune figura di Giuda, complesso in cui si agitano serpentini tutti i vizi capitali che voi trovate e avete da combattere in questo o in quello. È la lezione che dovete maggiormente imparare, perché sarà quella che vi è più utile nel vostro ministero di maestri di spirito e direttori d’anime. Quanti mai, in ogni stato della vita, imitano Giuda dandosi a Satana e incontrando la morte eterna!
           
   Sette ragioni, come sette sono le parti:
 

   I. Preevangelo (dal Concepimento immacolato di Maria sempre Vergine alla morte di S. Giuseppe).
   II. Anno primo di vita pubblica.
   III. Anno secondo di vita pubblica.
   IV. Anno terzo di vita pubblica.
   V. Pre-Passione (da tebet a nisam, ossia dall’agonia di Lazzaro alla cena di Betania).
   VI. Passione (dall’addio a Lazzaro alla mia Sepoltura e giorni seguenti sino all’alba pasquale).
   VII. Dalla Risurrezione alla Pentecoste.
 Sia tenuta questa divisione delle parti come Io qui la indico, che è la giusta.
           
   Ed ora? Che dite al vostro Maestro? Non parlate a Me. Ma in cuor vostro parlate e, sol che possiate farlo, parlate al piccolo Giovanni. Ma in nessuno di questi due casi parlate con quella giustizia che vorrei vedere in voi. Perché al piccolo Giovanni parlate per dare pena, calpestando la carità verso la cristiana, la consorella e lo strumento di Dio. In verità vi dico ancora una volta che non è placida gioia essere strumento mio: è fatica e sforzo continui, in tutto è dolore perché ai discepoli del Maestro il mondo dà ciò che dette al Maestro: dolore; e occorrerebbe che almeno i sacerdoti, e specie i confratelli, aiutassero questi piccoli martiri che procedono sotto la loro croce… E perché in cuor vostro, parlando a voi stessi, voi avete lamento di superbia, invidia, incredulità e altro. Ma Io vi darò risposta alle vostre lamentele e ai vostri stupori scandalizzati.
   Nella sera dell’ultima Cena agli undici che mi amavano Io ho detto: “Quando lo Spirito Consolatore sarà venuto vi ricorderà tutto ciò che Io ho detto”. Quando Io parlavo avevo sempre presente, oltre ai presenti, tutti quelli che mi sarebbero stati discepoli nello spirito, e con verità e volontà di volere. Lo Spirito Santo, che già con la sua Grazia infonde in voi facoltà di ricordare Iddio, traendo le anime dall’intontimento della Colpa originale e liberandole dagli offuscamenti che, per la triste eredità di Adamo, fasciano la luminosità degli spiriti creati da Dio perché ne godessero la vista e conoscenza spirituale, completa la sua opera di Maestro “ricordando”, nel cuore di coloro che sono da Lui condotti e che sono i figli di Dio, quanto Io ho detto e che costituisce il Vangelo.
   Ricordare qui è per illuminare lo spirito di esso. Perché nulla è ricordare le parole del Vangelo se non se ne comprende lo spirito. E lo spirito del Vangelo, che è amore, può essere fatto comprendere dall’Amore, ossia dallo Spirito Santo, il Quale, così come è stato il vero Scrittore del Vangelo, ne è anche il solo Commentatore, poiché solo l’autore di un’opera sa lo spirito della stessa e lo comprende, anche se non riesce a farlo comprendere ai lettori della stessa. Ma là dove non riesce un autore umano, perché ogni perfezione umana è ricca di lacune, giunge lo Spirito perfettissimo e sapientissimo. Perciò solo lo Spirito Santo, Autore del Vangelo, è anche Colui che lo ricorda e commenta e completa in fondo alle anime dei figli di Dio.
   “Il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre vi manderà in mio Nome, vi insegnerà ogni cosa, vi rammenterà tutto quello che ho detto” (Giovanni, cap. 14, v. 26).
   “Quando poi sarà venuto quello Spirito di Verità, Egli vi ammaestrerà in ogni vero; ché non vi parlerà da sé stesso, ma dirà tutto quello che ha udito e vi annunzierà l’avvenire. Egli mi glorificherà, perché riceverà del mio e ve lo annunzierà. Tutto quello che ha il Padre è mio; per questo ho detto che Egli riceverà del mio e ve lo annunzierà”. (Giovanni, capo 16°, v. 13-14-15).
   Che se poi obbiettate che, essendo lo Spirito Santo l’Autore vero del Vangelo, non si capisce come mai non abbia ricordato quanto in quest’opera è detto e quanto Giovanni fa comprendere avvenuto con le parole che chiudono il suo Vangelo, Io vi rispondo che i pensieri di Dio sono diversi da quelli degli uomini, e sempre giusti e insindacabili.
   E ancora: se obbiettate che la rivelazione si è chiusa con l’ultimo Apostolo e non c’era nulla più da aggiungere, perché lo stesso Apostolo dice nell’Apocalisse: “Se uno vi aggiungerà qualche cosa, Dio porrà su lui le piaghe scritte in questo libro” (cap. 22, v. 18), e ciò può intendersi per tutta la Rivelazione alla quale l’Apocalisse di Giovanni è ultimo coronamento, Io vi rispondo che non fu con quest’opera fatta aggiunta alla Rivelazione, ma ricolmate le lacune che si erano prodotte per cause naturali e voleri soprannaturali. E se Io mi sono voluto compiacere di ricostruire il quadro della mia divina Carità, così come fa un restauratore di mosaici che rimette le tessere deteriorate o mancanti, restituendo al mosaico la sua completa bellezza, e mi sono riservato di farlo in questo secolo nel quale l’Umanità precipita verso l’Abisso di tenebre e orrore, potete voi vietarmelo? Potete forse dire di non averne bisogno, voi dallo spirito così annebbiato, sordo, illanguidito, alle luci, voci e inviti dell’Alto?
   In verità dovreste benedirmi per il mio aumentare con nuove luci la luce che avete e che non vi è più sufficiente a “vedere” il vostro Salvatore. Vedere la Via, la Verità e la Vita, e sentire risorgere in voi quella spirituale commozione dei giusti del mio tempo, pervenendo, attraverso a questa conoscenza, ad un rinnovamento dei vostri spiriti nell’amore, che sarebbe salvezza, perché ascesa verso la perfezione.
   Non vi dico “morti”, ma dormienti, assopiti. Simili a piante durante il sonno invernale. Il Sole divino vi dà i suoi fulgori. Destatevi e benedite il Sole che si dona, accoglietelo con gioia perché Egli vi scaldi, dalla superficie al profondo, vi ridesti, vi copra di fiori e frutti.
   Sorgete. Venite al Dono mio.
   “Prendete e mangiate. Prendete e bevete”, ho detto agli apostoli.
   “Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: ‘dammi da bere’, tu stessa ne avresti chiesto a lui, che ti avrebbe dato acqua viva”, ho detto alla samaritana.
   Lo dico anche ora: ai dottori come ai samaritani. Perché ambedue le classi estreme ne hanno bisogno, e bisogno ne hanno quelli che stanno fra i due estremi. I primi per non essere denutriti e spogli di forze anche per sé stessi, e di soprannaturale nutrimento per chi langue per mancanza di conoscenza di Dio, del Dio-Uomo, del Maestro e Salvatore. I secondi perché le anime hanno bisogno d’acqua viva quando periscono lontano dalle fonti. Quelli di mezzo fra i primi e i secondi, la grande massa dei non peccatori gravi, ma anche degli statici nel non progredire, per pigrizia, tiepidezza, per uno sbagliato concetto sulla santità, quelli che sono scrupolosi di non dannarsi, di essere osservanti, di intricarsi in un labirinto di pratiche superficiali, ma che non osano fare un passo sulla via erta, ertissima dell’eroicità, perché da quest’opera abbiano la spinta iniziale ad uscire da quella staticità e iniziare il cammino eroico.
   Io ve le dico queste parole. Vi offro questo cibo e questa bevanda d’acqua viva. La mia Parola è Vita. E Io vi voglio nella Vita, con Me. E moltiplico la mia parola a controbilanciare i miasmi di Satana che vi distruggono le forze vitali dello spirito.
   Non respingetemi. Ho sete di darmi a voi. Perché vi amo. È la mia inestinguibile sete. Ho ardente desiderio di comunicarmi a voi per farvi pronti al banchetto delle nozze celesti. E voi avete bisogno di Me per non languire, per vestirvi di veste ornata per le nozze dell’Agnello, per la grande festa di Dio dopo aver superato la tribolazione in questo deserto pieno di insidie, rovi e serpenti che è la Terra, per passare fra le fiamme e non averne danno, calcare i rettili e dover assorbire veleni senza morire, avendo in voi Me.
   E ancora vi dico: “Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere ‘perché il tempo è vicino‘ (Giovanni, Apocalisse, cap. 22, v. 10) ‘e chi è santo si faccia ancor più santo’ (v. 11)”.
   La grazia del Signor vostro Gesù Cristo sia con tutti quelli che in questo libro vedono un avvicinarsi di Me e sollecitano che si compia, a loro difesa, col grido dell’Amore: “Vieni, Signore Gesù!”».
           

   A me in particolare dice poi Gesù:
   «A proemio dell’Opera metterai il primo capitolo del Vangelo di Giovanni, dal versetto 1° al versetto 18° incluso. Così, integralmente come è scritto. Giovanni scrisse quelle parole, come te scrivesti tutte quelle riportate nell’Opera, sotto dettatura dello Spirito di Dio. Non vi è nulla da aggiungere o togliere, come non vi fu nulla da aggiungere o togliere alla orazione del Padre nostro e alla mia preghiera dopo l’Ultima Cena. Ogni parola di questi punti è gemma divina e non va toccata. Non c’è, per essi punti, che fare una cosa: pregare ardentemente lo Spirito Santo che ve li illumini in tutta la loro bellezza e sapienza.
   Quando poi giungerai al punto che inizia la mia vita pubblica, copierai pure integralmente il primo capitolo di Giovanni, dal versetto 19° al 28° incluso, e il capitolo terzo di Luca dal versetto 3° al 18° incluso, l’uno dietro l’altro, come fossero un solo capitolo. C’è tutto il Precursore, asceta di poche parole e di dura disciplina, e non c’è altro da dire. Poi metterai il mio Battesimo e andrai avanti come ho detto di volta in volta.
   E la tua fatica è finita. Ora resta l’amore e la ricompensa da godere.
   Anima mia, e che ti dovrei dire? Tu mi chiedi, col tuo spirito perduto in Me: “Ed ora che farai, Signore, di me, tua serva?”. Potrei dirti: “Spezzerò il vaso di creta per estrarne l’essenza e portarla dove Io sono”. E sarebbe gioia di entrambi. Ma ancora mi occorri per un poco, e un altro poco ancora, qui, ad emanare i tuoi profumi che sono ancora l’odore del Cristo che in te inabita. E allora ti dirò come per Giovanni: “Se voglio che tu resti finché Io non venga a prenderti, che te ne importa di rimanere?”.
   Pace a te, mia piccola, instancabile voce. Pace a te. Pace e benedizione.
   Il Maestro ti dice: “Grazie”. Il Signore ti dice: “Sii benedetta”. Gesù, il tuo Gesù, ti dice: “Io sempre sarò con te perché mi è dolce stare con quelli che mi amano”.
   La mia pace, piccolo Giovanni. Vieni e riposa sul mio Petto».
           
   E con queste parole sono finiti anche i suggerimenti per la stesura dell’Opera e date le ultime spiegazioni.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!

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