San Giustino De Jacobis prega per noi – 31 luglio

Giovanna EspositoSantiLeave a Comment

Giustino de jacobis nacque nel 1800 a S. Fele (Basilicata). La sua famiglia si trasferì a Napoli; all’età di diciotto anni entrò a far parte della Congregazione della Missione (lazzaristi o vincenziani) e, ordinato sacerdote, fu continuamente richiesto come predicatore e confessore, sviluppando un’abilità speciale nello spiegare la fede ai non istruiti. Allo stesso tempo si dimostrò particolarmente abile come amministratore: fu incaricato di contribuire a una nuova fondazione a Monopoli e poi nominato superiore della casa dell’ordine a Lecce. Nel 1836 e 1837, quando Napoli fu colpita da un’epidemia di colera, Giustino mostrò la sua gran carità nell’assistere i malati, specialmente i poveri.

Poi, nel 1839, fu incaricato di occuparsi delle missioni vincenziane fondate di recente a Godar e Adua in Etiopia. Un giornale contemporaneo, scrivendo della sua nomina, lo descrisse come «uno di quegli evangelizzatori che sanno come sottomettere la natura alla religione, e portare a Gesù Cristo sia i saggi e gli studiosi, che gli ignoranti e i semplici» (B.T.A.). L’Etiopia mise alla prova sia la sua abilità che la sua determinazione: il paese era politicamente diviso, con costanti combattimenti tra i signori locali, alcuni dei quali sostennero Giustino, mentre la maggior parte si oppose perché era occidentale. Il paese si trovava anche in uno stato di povertà religiosa: la Chiesa copta, cui apparteneva circa metà della popolazione, era teoricamente governata da un vescovo non etiope, o abuna, nominato dal patriarca di Alessandria, ma per gran parte del periodo tra il 1803 e il 1841, non c’era stato nessun abuna nel paese.

Circolava un forte risentimento contro la minoranza di cattolici latini, che erano ancora messi in relazione, nella mente del popolo, con l’attività missionaria occidentale che aveva avuto la mano pesante nel XVII secolo. I sacerdoti occidentali erano stati banditi dal paese nel 1632, e la missione vincenziana fu la prima a essere istituita da allora. Giustino era sensibile a questa situazione complessa e studiò la cultura e le lingue di quella nazione, tentando di porre fine all’ostilità con la disponibilità e l’umiltà. Seguì uno stile di vita etiope, indossando abiti locali e vivendo in generale senza mobili, dormendo e sedendo per terra, e scrivendo su brandelli di carta appoggiandosi sulle ginocchia. Aveva grandi vedute sulla necessità di un clero autoctono, pensando che sarebbe stato meglio avere dei sacerdoti etiopi non molto istruiti piuttosto che una gran quantità di missionari europei. Insisteva nell’osservare il rito etiope nel celebrare la Messa, con l’appoggio di papa Pio IX, e quando furono successivamente ordinati sacerdoti locali secondo il rito latino, chiese loro di svolgere il loro ministero secondo i riti locali.

Il suo primo coinvolgimento ufficiale con il clero copto avvenne nel 1841, quando un notabile del luogo gli ordinò di far parte di una delegazione che si recasse ad Alessandria per chiedere la nomina di un abuna. Sfortunatamente il patriarca nominò Salama, che aveva solo vent’anni, senza alcuna esperienza monastica, che aveva studiato presso una scuola inglese protestante, perciò totalmente impreparato a trattare i problemi della Chiesa etiopica. Nel 1846 il vicario apostolico, mons. Massaia, giunse da Roma per aprire una nuova missione per i popoli non cristiani dell’Etiopia meridionale. Ordinò alcuni candidati che Giustino aveva preparato per il sacerdozio e tentò di persuadere quest’ultimo a diventare vescovo dell’Etiopia settentrionale. Giustino rifiutò, in parte per umiltà, e in parte perché non era sicuro che ciò avrebbe contribuito ai tentativi missionari: i vescovi stranieri erano molto impopolari e trattati con molto sospetto (quando si seppe della presenza di Massaia, questi dovette sfuggire a una banda armata incaricata di ucciderlo). Alla fine Giustino accettò di essere consacrato: la cerimonia fu celebrata in segreto da Massaia nel 1848, dopo che Giustino era dovuto scappare sull’isola di Massawa per evitare l’attacco di un esercito di ribelli. Fu in grado di tornare sulla terraferma nel 1849, ma tenne segreta la sua consacrazione il più a lungo possibile; una delle sue poche ordinazioni fu quella di Michele Ghébré (28 ago.) nel 1851. Gradualmente il suo operato guadagnò terreno, e per il 1853 c’erano venti sacerdoti locali di rito latino e circa cinquemila laici, con una sorta di seminario peripatetico del tipo maestro-discepoli.

Nel 1854 Giustino si spostò a Gondar, nel sud, dove sperava di trattare direttamente con Kassa, che in quel momento era il più potente dei signori della guerra e che presto sarebbe stato incoronato re dei re da Salama. In luglio egli fu imprigionato, insieme con i suoi compagni; la decisione di uccidere quest’ultimo nacque da Salama; ai copti fu detto che «uccidere colui che segue la loro religione, per esempio i latini, significa guadagnare, sette corone celesti» (O.D.S.). Giustino fu esiliato sotto scorta armata, ma le guardie lo fecero scappare, così egli ritornò segretamente a Gondar per vedere se era in grado di aiutare gli altri prigionieri, ma quando ciò si dimostrò impossibile, ripartì per il settentrione, che lasciò di nuovo nel 1855 per recarsi a Massawa ed evitare gli eserciti di Kassa. Quando uno dei generali chiese aiuto al governo francese per riavere i suoi territori usurpati da Kassa, Giustino approvò con gran riluttanza il progetto e poté tornare da Massawa a Halai.

Verso la fine del 1859, giunse una missione politica francese, e Giustino ospitò i suoi membri, perciò fu arrestato dalle truppe di Kassa nel 1860 e tenuto prigioniero per alcune settimane finché fu riscattato dal suo clero. Si recò di nuovo a Massawa per mettersi in salvo, ma, convinto della sua morte imminente, partì con la maggior parte dei suoi compagni per ritornare a Halai. Contrasse una febbre e morì nel deserto il 31 luglio 1860. I resoconti sulla sua attività in Etiopia pongono in rilievo la sua umanità e umiltà; come scrisse mons. Massaia: «Dio ha innalzato questo grande modello di perfezione umana su un piedistallo di umiltà, perché fosse una lezione per l’Etiopia, e per gli apostoli che dovrebbero portare avanti il lavoro da lui iniziato» (citato in B.T.A.). La Chiesa che fondò è «la vitale Chiesa etiopica di rito etiopico nell’Etiopia settentrionale. Il fatto che sia una Chiesa di rito etiopico non è fortuito, ma nasce dalla scelta decisiva di un uomo la cui eroica dedizione a tale scelta lo ha messo in grado di stabilire radici apostoliche permanenti e di lasciare un segno indelebile sulla storia etiopica» (O’Mahoney). Giustino de Jacobis fu sepolto nella chiesa di Hebo, e la sua tomba divenne presto meta di pellegrinaggi. Fu beatificato nel 1939 e canonizzato nel 1975 per la sua attività di missionario e il suo lavoro ecumenico.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nella valle di Alighede in Etiopia, san Giustino De Iacobis, vescovo della Congregazione della Missione, che, mite e pieno di carità, si impegnò nelle opere di apostolato e nella formazione del clero locale, patendo poi la fame, la sete, le tribolazioni e il carcere.

Nome: San Giustino De Jacobis
Titolo: Vescovo
Nascita: 9 ottobre 1800, S. Fele
Morte: 31 luglio 1860, Zula, Eritrea
Ricorrenza: 31 luglio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

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