Santa Margherita Clitherow – 25 Marzo

Nome: Santa Margherita Clitherow

Titolo: Martire in Inghilterra

Nascita: 1553 circa, York, Inghilterra

Morte: 25 marzo 1586, Tyburn, York

Ricorrenza: 25 marzo

Tipologia: Commemorazione

Margherita nacque verso il 1553, una dei quattro figli di Giovanna e Tommaso Middleton, cittadini protestanti di York. Tommaso, un candelaio, era benestante e ricoprì cariche amministrative, compresa quella di sceriffo dal 1564 al 1565, poco prima della sua morte. Margherita venne probabilmente educata in casa, dal mo-mento che il monastero di S. Clemente, l’unico che avrebbe potu-to fornire un’educazione alle giovani di York e dei dintorni, era stato soppresso nel 1536, e fu istruita principalmente nelle faccen-de domestiche. Avrebbe dimostrato solo in seguito di possedere un’intelligenza pronta e vivace. 

Nel 1567, poco dopo la morte di Tommaso, la vedova sposò Enri-co May, un uomo di poca importanza che non viene descritto dal biografo di Margherita. Sarebbe diventato sindaco di York e avrebbe avuto parte nella storia del martirio. Margherita, che ave-va quattordici anni quando egli entrò in famiglia e pare aver nutri-to per lui un affetto sincero, quattro anni dopo si sposò. Suo marito, Giovanni Clitherow, era cittadino benestante e proba-bilmente molto più vecchio, un allevatore di bestiame e un macel-laio con un negozio ben avviato c un buon giro d’affari a Sham-bles, il quartiere dei macellai, che ha conservato il suo carattere medievale fino a oggi. Come per il padre di Margherita, la sua ric-chezza lo aveva portato a occupare posti importanti nella città, ri-servati allora ai protestanti. Durante gli anni precedenti il matri-monio venne eletto responsabile dei ponti e nel 1572 ciambellano. Qualsiasi fossero le sue opinioni private, la sua posizione religiosa era chiara: si era conformato alle pretese dello stato e beneficiava di questa conformità. Suo fratello Guglielmo, che era cattolico, venne ordinato nel 1582 e divenne certosino. Sposando una prote-stante, Giovanni intendeva sottolineare la sua posizione. Tuttavia, anche se era un opportunista, non era un intollerante e in seguito avrebbe chiuso un occhio sull’appartenenza cattolica della moglie, pagando le multe per le sue assenze ai servizi religiosi protestanti senza battere ciglio e rimanendo gentile e comprensivo durante la loro vita matrimoniale. 

Erano sposati da circa tre anni quando Margherita si convertì al cattolicesimo. Probabilmente il cognato, Guglielmo, esercitò una certa influenza (Margherita avrebbe in seguito chiamato uno dei suoi figli Guglielmo in suo onore) ma il suo biografo, Giovanni Mush, dice semplicemente che «non trovando alcuna sostanza, verità o conforto cristiano nei ministri del nuovo culto e nemmeno nella loro dottrina, e udendo anche molti preti e laici soffrire per la caduta dell’antica confessione cattolica», fu portata ad abbrac-ciare la vecchia fede. 

All’epoca la testimonianza più decisa della fede cattolica era venu-ta da Tommaso Percy, conte di Northumbria, che nel 1569 guidò le sommosse nel nord e venne giustiziato nel 1572. Questo marti-rio ebbe più effetto su di lei di quanto possano rivelare le poche parole di Giovanni Mush: Margherita iniziò a desiderare il marti-rio e volle visitare Knavesmire, la prigione della città corrispon-dente al Tyburn di York, dove erano stati rinchiusi cinque “preti del seminario”, che vennero giustiziati nel 1582-1583, tra cui an-che il suo confessore, Guglielmo Hart; ella si fermò là a pregare tutta la notte, fino a quando i suoi compagni glielo permisero. Il suo direttore spirituale osservò: «Con lei bisognava usare il freno più che lo sprone». 

Per Margherita partecipare alla Messa era una delle gioie maggio-ri. Fece di casa sua un centro per la celebrazione della Messa e ne organizzò un altro in una locanda vicina: quando era troppo peri-coloso celebrare la Messa in casa, si andava nella locanda, benché non fosse possibile andarvi tutti i giorni. Sapeva che stava corren-do dei grossi rischi: «Non ho paura di servire il Signore e di fare il bene. Questo è un periodo di prova e di guerra per la Chiesa di Dio e perciò non posso compiere il mio dovere senza andare in-contro a dei pericoli, ma con la grazia del Signore non ne rimarrò schiacciata. Finché i sacerdoti si attentano ad avventurarsi fino a casa mia, non li rifiuterò mai». 

Richiese i servizi di un giovane uomo che era stato imprigionato nel castello di York per educare i suoi figli nella fede. Probabil-mente ella lo aveva conosciuto là, perché era solita fare visita ai prigionieri e aiutarli per quanto le era possibile, spiritualmente e materialmente. Ella stessa conosceva i pericoli della prigione per-ché vi era stata rinchiusa per tre volte, una volta per diciotto mesi, per non aver partecipato ai servizi protestanti. Il suo biografo elenca le conseguenze del suo rifiuto: «Fu perseguitata, e imparò la pazienza; la chiusero in una prigione, ed ella imparò a dimenti-care e a disprezzare il mondo; la separarono da casa sua, dal mari-to e dai figli, ed ella si avvicinò sempre di più a Dio; cercarono di spaventarla, ed ella aumentò la sua forza e la sua costanza, tanto che la sua gioia più grande divenne essere perseguitata da loro». Per Margherita la prigione era un’occasione per avvicinarsi a Dio con la preghiera c la penitenza ed era anche un’opportunità per leggere. Imparò il piccolo ufficio di Maria in latino a memoria e lesse i Vangeli, l’Imitazione di Cristo e gli Esercizi di Perrin. Non solo i cattolici ma molti altri erano attratti da lei per la sua simpatia e l’aspetto piacevole, l’allegria e bontà. I suoi servitori, con i quali sapeva anche essere severa, non l’avrebbero cambiata mai, mentre i suoi amici non cattolici la difendevano dai pericoli. Suo marito, più di tutti, ne riconosceva la rettitudine, la purezza e l’attaccamento a lui e ai figli. Poteva accusarla solo dí due cose: di-giunava troppo e non andava alla chiesa protestante con lui. Mar-gherita, da parte sua, poteva solo rimpiangere di non essere riusci-ta a condurre alla fede il marito. Essa non lo tradì mai e lo amò sempre colma di gratitudine per la libertà che le concedeva. Scherzosamente, ma forse con un fondo di verità, diceva riferen-dosi a lui: «Ha troppo, e non può sollevare la testa verso Dio per il peso dei suoi beni». 

Non è chiaro quale fu il ruolo di Giovanni Clitherow, se ne ebbe uno, nella partenza del figlio Guglielmo per il continente per completare la sua educazione. Margherita potrebbe aver mandato il ragazzo senza il consenso del padre, pensando che escludendolo dalla decisione egli non avrebbe potuto essere ritenuto responsa-bile e incorrere nelle punizioni previste dalla legge. Solo lei sareb-be incorsa in esse, e infatti fu questa la causa del suo arresto. All’inizio fu condannata agli arresti domiciliari. Quando il concilio del Nord eresse un tribunale a York, Giovanni Clitherow fu chiamato a presentarsi il 10 marzo 1586: era un tranello per allontanarlo da casa e poterla perquisire. In casa vi era un prete, che venne nascosto nella casa accanto di cui la sua stanza faceva parte, e non fu trovato nulla, fino a che gli ufficiali raggiunsero l’aula di lezione. In quel momento si stava svolgendo una lezione e il professore venne scambiato per un prete. Riuscì a convincerli che non era vero, ma il sospetto rimase. Uno dei bambini, mezzo fiammingo e mezzo inglese di undici anni che stava con la famiglia, fu considerato il più impressionabile, fu preso da parte e fatto spogliare sotto minaccia di frustate. Il bambino, terrorizzato, rivelò quello che gli ufficiali volevano sapere: si dicevano Messe nella casa e poteva mostrare loro l’ingresso per la stanza del prete. Il prete non fu trovato, ma furono trovati il messale, gli abiti e i vasi sacri. Il bambino indicò anche quelli che partecipavano alla Messa. 

Margherita fu arrestata e portata prima davanti al concilio e poi nella prigione del castello; Giovanni Clitherow rimase in prigione per un po’ di tempo, ma non vi era l’intenzione di processarlo; la figlia Anna fu posta sotto la tutela della corte. Rassicurata riguardo alla sua famiglia, il forte spirito di Margherita prese il sopravvento e, a parte alcune ore di angoscia, non si fece mai prendere dall’abbattimento. Fu messa in cella con la sua amica Anna Tesh, identificata dal bambino come una di quelle che partecipavano alle Messe, e le due scherzavano e ridevano insieme così tanto che Margherita disse: «Siamo così felici insieme che temo, se non saremo separate, di perdere i meriti della nostra detenzione!». 

Margherita comparve, tranquilla e sorridente, davanti a due giudici, Mr Clinche e Mr Rhodes, il 14 marzo, non più accusata di aver mandato il figlio a studiare all’estero, ma con l’accusa ben più grave di aver ospitato e mantenuto dei preti e di aver partecipato alle loro Messe. Non si dichiarò colpevole e disse semplicemente: «Non ho nessuna colpa da confessare». Seguirono lunghe dispute perché i giudici volevano istituire un processo, mentre ella lo rifiutava. A lungo la rassicurarono che sarebbe stata trattata con indulgenza, poiché la testimonianza di un bambino di undici anni non era sufficiente per incriminarla, ma ella non si faceva illusioni. Il concilio aveva già deciso la sua morte e l’avrebbe messa in atto con qualsiasi mezzo in suo possesso; ciò che Margherita voleva assolutamente evitare era un processo nel quale i suoi figli e i suoi servitori fossero costretti a testimoniare a suo favore o contro. Nel primo caso li avrebbero costretti a giurare il falso, nel secondo avrebbero dovuto convivere con il pensiero che essi avevano contribuito alla sua morte. 

Pochi avevano compreso i suoi motivi, ed essa stessa li spiegò chiaramente solo dopo che fu pronunciato il verdetto: «Se mi fossi rimessa al volere dello stato (cioè di una giuria), dovevano essere portate delle prove contro di me, che nessun altro poteva fornire se non i miei figli e i miei servitori. E sarebbe stato penoso per me più della morte se avessi visto uno di loro accusarmi. 

Secondariamente, sapevo bene che la corte avrebbe dovuto condannarmi per fare piacere al concilio, che voleva il mio sangue: il loro coinvolgimento non era quindi necessario per la mia morte». 

Il primo giorno d’assise fu impiegato per interrogare la prigioniera fino allo sfinimento, e così il secondo. Margherita continuava a dire: «Non sarò giudicata se non da Dio e dalle vostre coscienze». Clinche non aveva intenzione di emettere un verdetto negativo nei suoi confronti e anche il ministro puritano, che aveva invano tentato di discutere con lei la sera prima, pronunciò un’ammonizione pubblica contro l’ingiustizia di condannare qualcuno dietro l’accusa di un bambino. Tuttavia Rhodes aveva recuperato elementi sufficienti e desiderava ormai condannare quella «donna antipatica e caparbia». Egli non tenne in nessun conto l’opinione del suo collega e la terribile sentenza, che la legge inglese dal 1275 sanciva per chiunque non fosse in grado di rispondere a un’accusa, fu pronunciata: Margherita fu condannata a morire sotto la pressa. Accettò il verdetto serenamente. Ancora una volta le fu chiesto di riflettere, ma essa rispose: «Dio sia ringraziato, tutto ciò che egli mi manda io lo accolgo. Non sono degna di una così bella morte». Giovanni pianse all’udire la condanna. La sua ricchezza gli parve ben poca cosa: «Che prendano tutto quello che possiedo, ma che la salvino, perché è la migliore moglie di tutta l’Inghilterra e la migliore cattolica». Gli fu intimato di lasciare York, mentre essa venne rinchiusa in una prigione privata nell’Ousebridge. 

Diverse persone le fecero visita tentando di scuotere la sua tenacia, tra cui anche il suo patrigno, Enrico May, che all’epoca era sindaco di York e secondo alcuni complice nell’arresto della sua figliastra. Vedendo che non riusciva a dissuaderla, chiese di potersi occupare della nipote, Anna, ma essa non acconsentì. Non le permisero di vedere i suoi figli, e solo una volta poté incontrare il marito, alla presenza del carceriere. Poiché sapeva che i condannati a morte venivano spogliati, si cucì un paio di mutande di lino nella speranza di poterle tenere.

Le comunicarono la data dell’esecuzione due giorni prima e per la prima volta fu sopraffatta dall’angoscia, che scomparve non appena si mise a pregare per avere forza. Trascorse la sua ultima notte in preghiera e il mattino del 25 marzo, Venerdì Santo, alle otto, lo sceriffo andò a prenderla per condurla al patibolo distante poche miglia dalla prigione. Si era già radunata una grande folla, che rimase stupita dalla sua espressione raggiante. Mentre camminava distribuì elemosine, con disappunto dello sceriffo. «Andiamo, signora Clitherow», le diceva. «Buon sceriffo» rispondeva allegramente «lasciatemi donare le mie povere cose prima di morire, perché la mia ora è vicina.» 

Arrivati al patibolo, Margherita si inginocchiò a pregare e quando i ministri e gli ufficiali le proposero di pregare con loro ella rifiutò. 

Quando le ordinarono di pregare per la regina, essa compose una litania personale: dopo aver pregato per il papa, i cardinali, il clero, i principi cristiani, alla fine ricordò anche la sovrana. Lo sceriffo le intimò: «Devi ricordare e confessare che muori per tradimento», ma essa gridò forte: «No, no, sceriffo, io muoio per amore di Gesù, il mío Signore!». 

Fu spogliata da alcune donne, che le fecero indossare il capo di biancheria che aveva preparato. Le fu messa una pietra affilata dietro la schiena e le furono tirate le braccia così che il suo corpo formò una croce. Una porta molto pesante fu quindi collocata su di lei, con carichi di settecento o ottocento chili. 

Come sentì la pressione sopra di lei, Margherita gridò forte: «Gesù, Gesù, abbi pietà di me!». La sua agonia sembra sia durata quindici minuti, ma il corpo venne lasciato sotto la pressa per diverse ore e fu seppellito segretamente dalle autorità. Sei settimane più tardi alcuni cattolici trovarono la tomba e riesumarono il corpo, che fu trovato incorrotto e che fu seppellito in un altro luogo di cui oggi si è persa traccia. Una delle sue mani è conservata in un convento di York. 

Margherita aveva mandato il suo cappello al marito «in segno del suo amore per lui, pari a quello per il suo capo» e le calze e le scarpe alla figlia Anna per indicarle che doveva seguire la sua stessa strada, e così fu. Dopo la morte della madre, fu detto ad Anna che essa avrebbe potuto salvarla se avesse acconsentito a partecipare a una celebrazione protestante. Essa vi andò, ma rifiutò di farlo ancora quando apprese l’inganno. Trascorse quattro anni in prigione e alla fine entrò nelle suore a Lovanio. Due dei figli maschi di Margherita divennero invece sacerdoti. 

Margherita Clitherow fu canonizzata nel 1970 ed è una dei Quaranta Martiri d’Inghilterra e Galles ricordati il 25 ottobre. 

MARTIROLOGIO ROMANO. A York in Inghilterra, santa Margherita Clitherow, martire, che, con il consenso del coniuge, aderì alla fede cattolica, nella quale educò anche i figli e si adoperò per nascondere in casa i sacerdoti ricercati; per questo motivo fu più volte arrestata durante il regno di Elisabetta I e, rifiutandosi di trattare la sua causa davanti al tribunale per non gravare l’animo dei consiglieri del giudice con il fardello di una condanna a morte, fu schiacciata a morte per Cristo sotto un enorme peso.

Santa Caterina di Svezia – 24 Marzo

Nome: Santa Caterina di Svezia
Titolo: Religiosa
Nascita: XIV Secolo, Svezia
Morte: 24 marzo 1381, Vadstena, Svezia
Ricorrenza: 24 marzo
Tipologia: Commemorazione
Protettrice: dall’ aborto, dall’ aborto spontaneo

Nacque sul principio del secolo XIV dalla celebre S. Brigida e dal principe Ulfone di Noricia. Già i loro avi si erano distinti per virtù e in modo particolare per devozione alla passione del Salvatore. Caterina fu il fiore più bello e fragrante che Dio concesse ai due santi coniugi. Bambina fu affidata all’educandato delle religiose del monastero di Rosberg. Il Signore la voleva tutta per sè, e a questo scopo permise che il demonio alcune volte la molestasse e la facesse soffrire. La Santa sempre più andò staccando il cuore dai passatempi e divertimenti della età, andò sempre più confermandosi nella volontà di darsi tutta a Dio nello stato verginale. Però per ubbidire al padre sacrificò il suo alto ideale, per passare a nozze col ricco e nobile cavaliere Edgardo. Seppe tuttavia parlare così eloquentemente dei pregi della verginità, che lo sposo consentì di vivere con lei in perpetua continenza, emettendo entrambi il voto di castità: voto che sempre osservarono. Ebbe a soffrire innumerevoli beffe, rimbrotti e contraddizioni, perfino da parte di un fratello; ma essa altro non amava nè cercava che di piacere a Dio. 

Mortole il padre, raggiunse la madre a Roma, seguendola nei suoi pellegrinaggi e nell’arduo apostolato fra i miseri e gli infermi. In questo frattempo Dio chiamò al premio il pio suo sposo Edgardo. 

Essendo ancora giovane ed avvenente, e rifiutando seconde nozze, innumerevoli furono le insidie e le lusinghe tentate da uomini brutali per recidere il giglio immacolato della sua verginità. Sempre trionfò con l’aiuto di Dio, cui di continuo era unita colla preghiera, aiuto manifestatosi alle volte anche miracolosamente. Passava quattro ore al giorno in preghiera intensa e in contemplazione. Ereditò le virtù e lo spirito di carità e di apostolato di sua madre, colla quale rimase per 25 anni: ne accolse l’ultimo respiro e ne portò le sante reliquie in Svezia. Tornata in patria, si ritirò in un monastero, ove fu superiora. Più tardi si recò nuovamente a Roma, per la canonizzazione della madre. Vi rimase cinque anni, spendendo il tempo che le rimaneva dalle occupazioni più importanti al servizio degli infermi e derelitti. Il Signore volle per suo mezzo compiere innumerevoli miracoli. Tornò infine in patria, nel suo monastero, ove morì il 24 marzo 1381. 

PRATICA. Impariamo da questa Santa la custodia degli occhi. 

PREGHIERA. O Dio, che nella beata Caterina ci desti sì mirabile esempio di purezza illibata, concedici, te ne preghiamo, per sua intercessione, che noi, puri di mente e di cuore, consacriamo tutte le nostre forze al tuo santo servizio.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Vadstena in Svezia, santa Caterina, vergine: figlia di santa Brigida, data alle nozze contro il suo volere, conservò, di comune accordo con il marito, la sua verginità e, dopo la morte di lui, condusse una vita pia; pellegrina a Roma e in Terra Santa, trasferì le reliquie della madre in Svezia e le ripose nel monastero di Vadstena, dove ella stessa vestì l’abito monacale.

San Giovanni Bosco prega per noi – 31 gennaio

Nome: San Giovanni Bosco
Titolo: Sacerdote
Nascita: 16 agosto 1815, Castelnuovo d’Asti
Morte: 31 gennaio 1888, Torino 
Ricorrenza: 31 gennaio
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Podenzano, Lignano Sabbiadoro, Arborea
Protettore: degli editori, degli educatori, giovani, degli scolari, degli studenti

Questo nome popolarissimo e tanto venerato ricorda un’istituzione grandiosa e benefica che da anni assiste ed educa cristianamente la gioventù, raccolta in centinaia di case sparse in tutto il mondo. 

Giovanni Bosco nacque il 16 agosto 1815 ai Becchi, frazione di Murialdo presso Castelnuovo d’Asti, da una povera famiglia di agricoltori. Sua mamma, Margherita, era una santa donna tutta dedita al lavoro ed ai suoi doveri di cristiana: infondere nei suoi figliuoli il santo timore di Dio. Del babbo non potè gustare il sorriso e la carezza, perchè se ne volò al cielo quando Giovanni era ancora in tenerissima età. 

Fin da fanciullo ebbe il dono di attirare a sè le anime dei fanciulli con i suoi giochi di prestigio e con la sua pietà, che gli cattivava l’animo di tutti. 

A prezzo di privazioni di ogni genere, in mezzo alle contrarietà degli stessi familiari, riuscì a compiere gli studi ecclesiastici e nel 1 841 fu ordinato sacerdote. Da questo punto comincia la sua missione speciale: « l’educazione dei giovani ». 

Lo aveva difatti profondamente colpito il fatto di vedere per le vie di Torino tanti giovanetti malvestiti, male educati, abbandonati, esposti ad ogni pericolo per l’anima e per il corpo, molti già precocemente viziosi e destinati alla galera… Il cuore del giovane sacerdote sanguina: prega e pensa: e la Vergine Benedetta, che lo aveva scelto, gli ispira l’istituzione degli Oratori.

Dopo mille difficoltà e persecuzioni, gli riuscì di comperare a Valdocco (allora fuori Torino) un po’ di terreno con una casa ed una tettoia a cui aggiunse una cappella; ebbe così un luogo stabile e sicuro dove poter radunare i suoi « birichini ».

Non aveva un centesimo : unica sua risorsa una fede illimitata nella Divina Provvidenza. 

In pochissimo tempo i poveri giovani ricoverati diventarono più numerosi; l’opera cresceva e bisognava pensare al futuro. La benedizione di Dio era visibile. E Don Bosco fonda una nuova congregazione religiosa, la Pia Società di S. Francesco di Sales, detta comunemente dei Salesiani, composta di sacerdoti e laici, che poco alla volta aprirono oratori festivi, collegi per studenti, ospizi per artigiani, scuole diurne e serali, missioni fra gli infedeli in tutte le parti del mondo. 

Per le fanciulle delle stesse condizioni, D. Bosco istituì le Suore di Maria Ausiliatrice, le quali, come i Salesiani, sono sparse in tutto il mondo, ed affiancano l’opera dei sacerdoti. 

Per il popolo D. Bosco scrisse libretti pieni di sapienza celeste, dal titolo « Letture cattoliche » in contrapposizione a quelle protestanti. 

Fino all’ultimo la sua vita fu spesa a vantaggio del prossimo, con sacrificio continuo, eroico. Il Signore lo chiamò a sè il 31 gennaio 1888 e fu canonizzato da Pio XI nella Pasqua del 1934. 

PRATICA. Aiutiamo in qualche modo le opere per l’educazione della gioventù. 

PREGHIERA. O Dio, che suscitasti il beato confessore Giovanni per l’insegnamento cristiano e per trattenere la gioventù nella via della verità., e per suo mezzo radunasti una nuova famiglia nella Chiesa. concedici che a suo esempio e intercessione, infiammati di zelo per la tua gloria e la salute delle anime, possiamo nel cielo essere partecipi del suo gaudio. 

MARTIROLOGIO ROMANO. A Torino san Giovànni Bosco, Confessore, Fondatore della Società Salesiana e dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, insigne per lo zelo delle anime e la propagazione della fede, ascritto dal Papa Pio undecimo nei fasti dei Santi.

La devozione a Maria

San Giovanni Bosco per tutta la sua vita si è dedicato a coltivare e a diffondere la devozione a Maria e a incoraggiare la recita del Rosario. Ecco cosa scrisse sul Santo Rosario: «Sono innumerevoli i celesti favori che si ottennero con la pratica di questa devozione. Col Rosario furono combattute le eresie, si riformarono i costumi, si allontanarono le pestilenze, si pose fine a molte guerre; Si ravvivi dunque la devozione al santo Rosario in noi e nelle nostre famiglie. Se nelle nostre case, nei nostri laboratori e scuole si farà risuonare il Rosario di Maria, abbiamo fondamento a sperare che cesseranno i flagelli, rifiorirà la fede, ricompariranno tra di noi giorni di pace e di tranquillità. 

Un’intenzione che ci viene consigliata

Tra le altre intenzioni nel recitarlo abbiate anche questa, d’implorare dal Signore, per intercessione di Maria Vergine Immacolata, la grazia che si conservi tra noi la santa fede; ci si tenga lontani dagli errori che presentemente si vanno spandendo tra i cristiani; e sempre più trionfi la Chiesa, Madre e Maestra della vera fede, fuori della quale non vi è salvezza»

San Grigion de Monfort e la Vera Devozione a Maria

Il Trattato della vera devozione a Maria, opera scritta nel 1712 da San Luigi Maria Grignion de Montfort, costituisce un’opera Provvidenziale e rappresenta il fondamento della Devozione cristiana a Maria. Nonostante sia stato scritto secoli fa, risulta molto attuale. Un aspetto che mi ha colpito molto è quello della bellezza interiore della Vergine. Il Montfort afferma che la grandezza della Vergine Maria risiede proprio nella Sua Interiorità. Invita tutti i cristiani a seguire un cammino che possa elevarli spiritualmente.

Io credo che purtroppo al giorno d’oggi si consideri molto più importante l’aspetto esteriore di una persona, in cui è compresa anche la sua fisicità. Non si considera più la bellezza interiore di un essere umano, la sua profondità, i suoi prìncipi e valori, l’Essere in sé stesso.

Molto è improntato al materialismo, è basato sull’avidità e sull’accumulo di ricchezze.

Troppo pochi pensano a realizzare un tesoro nei Cieli, come vorrebbe Gesù. Per riscoprire la bellezza interiore e reintrodurci ad un cammino di fede e di spiritualità, credo che sia molto importante riprendere il contatto con la natura. Esso non solo ci permette di allontanarci dal caos quotidiano, ma ci aiuta a riscoprire Noi Stessi e la nostra Anima. Questo può avvenire anche ascoltando i Suoni della Natura. Ciò ci permetterà di riscoprire e riflettere in profondità su noi stessi, elevando quindi anche il nostro Spirito.

Giovanna Esposito 

Santa Teresa di Calcutta prega per noi – 5 settembre

Nome: Santa Teresa di Calcutta
Titolo: Fondatrice
Nascita: 26 agosto 1910, Skopje, Macedonia del Nord
Morte: 5 settembre 1997, Calcutta, India
Ricorrenza: 5 settembre
Tipologia: Commemorazione
Patrona di: Colli al Metauro

Madre Teresa resterà come l’incarnazione più convincente, nella nostra epoca, del genio della carità evangelica; tutti l’hanno capita, i cristiani delle varie confessioni, i laici di ogni paese, gli indù come i musulmani. Quando, a metà degli anni Settanta, apriva a San Gregorio al Celio la prima casa romana delle sue suore, scelse per loro il pollaio dei monaci camaldolesi, una costruzione bassa, in mattoni bucati e lamiere, con il pavimento in cemento. «Le mie sorelle sono povere e abituate a tutto, vengono dall’India. Il pollaio sarà più che sufficiente», tagliava corto con chi trovava la cosa un po’ scomoda. Povere. Come era povera lei, che aveva scelto di condividere in tutto e per tutto la condizione dei più poveri, dei diseredati, di chi dalla vita non aveva avuto altro che miseria, smacchi e sofferenza. 

Pier Paolo Pasolini, dopo averla incontrata a Calcutta nel 1961, scrisse: «Dove guarda, vede». All’origine della sua genialità nell’amore c’era il vedere, prima di altri, il fratello che era nel bisogno e di soccorrerlo subito, senza giudicare, senza lasciarsi bloccare dalle frontiere. O anche dalla mancanza di mezzi. 

È stata a volte criticata perché nei suoi ospizi non c’erano abbastanza medici e medicine. Ma nelle situazioni disperate nelle quali si è avventurata, non avrebbe concluso granché se avesse dovuto aspettare di avere l’attrezzatura giusta per soccorrere qualcuno. 

Madre Teresa, al secolo Agnes Gonxha Bojaxhiu, era nata il 26 agosto 1910 a Skopje, in Albania. Quando il papà, Nikola, morì improvvisamente, la famiglia visse momenti digrandi difficoltà economiche. Fu brava la mamma, Drane, ad allevare Agnes e i suoi quattro fratelli con fermezza e amore, orientando la loro formazione religiosa. Agnes trovò sostegno anche nella vivacità della parrocchia del Sacro Cuore, gestita dai gesuiti, nella quale era attivamente impegnata. 

A diciott’anni, desiderosa di fare la missionaria, lasciava la casa e il paese, diretta in Irlanda, dove veniva accolta, con il nome di suor Mary Teresa, nell’istituto delle «Suore di Loreto». Qualche mese dopo venne mandata in India, a Calcutta, dove completò la sua formazione alla vita religiosa, facendo prima i voti temporanei, seguiti da quelli perpetui, e inserendosi nelle attività dell’istituto fino a diventare, nel 1944, direttrice di una scuola per ragazze, il St. Mary. 

I primi vent’anni della sua vita religiosa li trascorse così, senza scossoni, insegnando alle ragazze, maturando anche una sua spiritualità forte, che aveva nella preghiera e nell’amore per le consorelle e per le allieve i suoi punti di forza. Ma aveva anche l’occhio attento a ciò che succedeva intorno. E non era granché bello, anzi inquietava non poco. 

Intanto il Signore, con illuminazioni interiori, la andava preparando a quella che sarà la sua straordinaria avventura. Al centro delle rivelazioni proprio quello che inquietava madre Teresa: l’indifferenza assoluta della gente verso i poveri, che in gran numero languivano nelle baraccopoli e lungo le vie della città. 

Durante un viaggio in treno, nel 1946, le parve di sentire più chiara la voce di Gesù che la invitava ad abbandonare tutto per porsi al servizio di quei poveri. Madre Teresa accolse l’invito e segnò quell’episodio che avrebbe cambiato la sua vita, come «il giorno della decisione».

Le ci volle del tempo per ottenere il permesso di lasciare le Suore di Loreto, ma alla fine, era il 1948, fu libera di seguire la propria vocazione e di entrare nel mondo dei poveri. Indossò il sari, la tunica bianca delle donne indiane, con in più le strisce blu che orlavano il velo, e la croce appuntata sulla spalla. Con il nuovo abito, che segnava anche il cambiamento della sua vita, si recò a Patna dalle Suore mediche missionarie per seguire un breve corso di infermeria. Rientrata a Calcutta, si sistemò provvisoriamente presso le Piccole sorelle dei poveri. 

Il 21 dicembre 1948 andò per la prima volta nei sobborghi: visitò famiglie, lavò le ferite di bambini, si prese cura di un anziano malato che giaceva sulla strada. Si imbatté anche in una donna agonizzante, distesa su un marciapiede: era così debole che topi e formiche le stavano rosicchiando il corpo. Da giorni era lì, in attesa della morte, ma nessuno l’aveva soccorsa. Madre Teresa la raccolse e la portò al vicino ospedale, dove le dissero che era troppo malata e troppo povera per essere curata. 

Calcutta era piena di gente che finiva così. Teresa capì che non poteva più restare a guardare, doveva fare qualcosa. Chiese, e le fu concesso, di occupare parte di un ex tempio indù diventato covo di mendicanti e criminali di ogni risma. Madre Teresa lo trasformerà nella prima «Casa dei moribondi». 

Le baraccopoli — con i loro poveri ai quali dare speranza, con i bambini abbandonati da curare e amare, con i moribondi da accompagnare nel passo estremo… — divennero la terra di missione, sua e di altre donne che via via decideranno di condividere la sua vita e il suo impegno. Insieme diedero vita alla Congregazione delle Missionarie della Carità, che il 7 ottobre 1950 veniva riconosciuta ufficialmente nell’arcidiocesi di Calcutta, e nel febbraio del 1965 diventava di diritto pontificio. 

Agli inizi del 1960 cominciò l’emigrazione delle Missionarie della Carità in altre regioni dell’India. Successivamente, incoraggiate in particolare da Paolo VI, aprivano una casa in Venezuela. Ad essa seguirono numerose altre fondazioni in ogni parte del mondo, ovunque ci fossero poveri abbandonati cui portare l’aiuto e il conforto della fraterna solidarietà e la certezza che Dio li amava. Negli anni Ottanta, dopo la caduta delle varie cortine, madre Teresa aprì case di missione anche nei paesi comunisti, inclusa l’ex Unione Sovietica, l’Albania e Cuba. È stata la prima a inserire delle suore negli ospedali sovietici, dopo l’esplosione di Cernobyl, e la prima a mettere piede in Albania, quando il paese era ancora sotto il regime comunista. Persino in Vaticano, nella casa del papa, aprì una mensa per i poveri. 

Madre Teresa affiancò alla prima congregazione altre istituzioni, come i Fratelli Missionari della Carità, le Sorelle e i Fratelli contemplativi, i Padri Missionari della Carità e gruppi di collaboratori laici. 11 tutto per rispondere meglio alle esigenze dei poveri.

Tanto impegno e proliferare di iniziative non potevano passare inosservati. Le immagini di questa donna minuta e con il tempo sempre più curva, avvolta nel bianco sani, china a confortare un moribondo o a curare piaghe infette, ad accarezzare bambini lacerati dall’abbandono e dall’indifferenza… fecero il giro del mondo, sollevando l’ammirazione di tanta gente, che cominciò a interessarsi delle sue opere e della sua vita, ad ascoltare i suoi messaggi, resi con parole semplici che esaltavano la vita, che invitavano al suo rispetto in ogni momento, dal concepimento alla morte. Parole semplici e a volte anche forti che scuotevano e dividevano. 

L’ammirazione si tradusse anche in riconoscimenti importanti come il Premio indiano Padmashri, assegnatole nel 1962, e il Premio Nobel per la Pace, conferitole nel 1979. Ricevette riconoscimenti e attenzioni «per la gloria di Dio e in nome dei poveri». 

Negli ultimi anni, nonostante seri problemi di salute, continuò a guidare la sua congregazione e a rispondere alle necessità dei poveri e della chiesa. Morì a Calcutta il 5 settembre 1997. Il mondo intero, che aveva seguito il suo lento spegnersi, la pianse, mentre il governo indiano le rendeva onore con i funerali di Stato. Sepolta nella Casa Madre delle Missionarie della Carità, la sua tomba fu ben presto luogo di pellegrinaggi e di preghiera. «L’intera vita e l’opera di madre Teresa — ha detto Giovanni Paolo II nel proclamarla beata — offrirono testimonianza della gioia di amare, della grandezza e della dignità di ogni essere umano, del valore delle piccole cose fatte fedelmente e con amore, e dell’incomparabile valore dell’amicizia con Dio». Questa è madre Teresa: il genio femminile sposato alla carità evangelica, che guida la chiesa verso i poveri. 

Il 20 dicembre 2002 il papa Giovanni Paolo II approvò i decreti sulle sue virtù eroiche e sui suoi miracoli, è stata beatificata il 19 ottobre 2003 e canonizzata da Papa Francesco il 4 settembre 2016.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Calcutta in India, beata Teresa (Agnese) Gonhxa Bojaxhiu, vergine, che, nata in Albania, estinse la sete di Cristo abbandonato sulla croce con la sua immensa carità verso i fratelli più poveri e istituì le Congregazioni delle Missionarie e dei Missionari della Carità al pieno servizio dei malati e dei diseredati.

Conosciamo Madre Teresa di Calcutta

Gonxa (Agnese) Bojaxhiu nasce il 26 Agosto a Skopje, nell’ex Jugoslavia. La sua educazione è fortemente cattolica, nonostante la cittadinanza albanese dei suoi genitori. Sin da giovane sente di essere attratta dalla vita religiosa, cosa che successivamente attribuirà ad una Grazia, fattale dalla Madonna.
Viene accolta dalle Suore di Nostra Signora di Loreto, a Dublino, la cui Regola si ispira a Sant’Ignazio di Loyola. Ed è grazie alle meditazioni su questo Santo, che la giovane matura il sentimento di voler aiutare tutti gli uomini.

Il 25 maggio 1931 prende i voti con il nome di Suor Teresa, in onore di Santa Teresa di Lisieux.

È a Calcutta, capitale del Bengala, che nel 1935 intraprende la sua attività missionaria, dedicandosi ai poveri, invito di Dio che lei stessa percepisce durante un momento di preghiera.

Nel 1979 è insignita del Premio Nobel per la Pace. Si spegne a Calcutta il 5 settembre 1997. La sua canonizzazione avviene il 4 settembre 2016, sotto il pontificato di Papa Francesco.

Cosa è veramente importante per Madre Teresa?

Madre Teresa è animata in tutte le sue azioni dall’Amore di Cristo, dalla volontà di fare qualcosa di bello per Dio.

Come lei stessa afferma, il suo essere cattolica ha un’ importanza totale, è il mezzo attraverso il quale attestare la Verità del Vangelo, proclamando la Parola di Dio, senza timore.

Queste le sue parole:” Il lavoro che realizziamo è per noi soltanto un mezzo per concretizzare il nostro Amore per Cristo.
Siamo dedite al servizio dei più poveri dei poveri, cioè di Cristo, di cui i poveri sono l’ immagine dolorosa.
Madre Teresa è l’esempio più significativo di Amore verso il prossimo, inteso in ogni senso e da ogni punto di vista.

Chi amava Madre Teresa?

Amore verso Tutti, ma soprattutto verso i più poveri, i malati, verso coloro che hanno fatto della strada la loro casa, che è la loro unica ricchezza. Amore verso coloro che il Mondo ha dimenticato, emarginato, diseredato e che invece lei, piccola suora dal Grande e Nobile Animo, è pronta a risollevare e confortare, anche con una semplice carezza.

Come si può amare il prossimo?

Madre Teresa ha Donato se stessa, la sua intera esistenza agli altri.

Questo è il vero senso dell’Amore verso il prossimo.

Cioè fare Dono di sé all’altro, in modo gratuito, perché come ci insegna Gesù, dare è più importante che ricevere.
Come dice San Francesco d’Assisi:”È dando che si riceve”.

Infatti proprio nello stesso momento in cui si dona, si riceve uno Spirito colmo di Gioia, Amore, Bontà e Pace, che è la ricchezza più grande in assoluto.

Amare il prossimo non può prescindere dall’Amore verso Dio e verso noi stessi, non in senso egoistico o individualistico, ma inteso come cura del proprio Essere. Significa rinunciare ai nostri egoismi e rendere partecipi dei doni che abbiamo ricevuto da Dio, coloro che ne hanno più bisogno.
Quelli che la società consumistica e globalizzata in cui viviamo considera come vinti dalla Vita”.

Dalla teoria alla pratica

Ognuno di noi potrebbe mettere in pratica l’Amore verso il Prossimo, impegnandosi quotidianamente in qualcosa di concreto.

Il mio suggerimento personale è quello di cercare di avere una maggiore comprensione dell’Altro, senza giudicarlo o condannarlo per i suoi comportamenti. Il nostro impegno deve dunque essere quello di entrare in empatia con l’altro, di spogliarci del nostro io e accogliere quello di coloro che incontriamo.

Un’azione concreta potrebbe essere quella di Ascoltare chi ne ha bisogno, chi cerca il nostro Aiuto, anteponendo la sua necessità alle nostre, che spesso sono insulse e banali. Mettere quindi a disposizione degli altri una parte fondamentale del nostro tempo. Ascoltare gli altri ci aiuterà sicuramente nel nostro percorso di crescita individuale e personale, attraverso cui impareremo ad Ascoltare anche noi stessi, proprio partendo dal nostro Prossimo.

Articolo scritto da Giovanna Esposito.