Beato Giovanni Guarna da Salerno

Giovanni Guarna nacque a Salerno circa nel 1190. Durante gli studi a Bologna conobbe S. Domenico e decise di prendere l’abito del suo nuovo ordine.

Nel 1219 tredici frati vennero mandati a predicare in Toscana e Giovanni, sebbene fosse tra i più giovani, venne eletto superiore. Inizialmente si stabilirono in una casa a Pian di Ripoli e iniziarono a percorrere le città vicine, soprattutto Firenze, dove Giovanni predicava lungo le vie; in seguito si spostarono a S. Pancrazio, vicino alle mura della città.

Giovanni era un confessore molto sensibile e in numerose leggende viene presentato nella parte dell’uomo di Dio tentato dalla donna scaltra, terna largamente diffuso nelle agiografie e nei racconti picareschi e popolari. Le fonti di queste narrazioni sono andate perdute ed esse ci sono più familiari per le rivisitazioni contenute nei racconti di narrativa come Le mille e una notte o il Decameron; nelle versioni sacre il protagonista riesce sempre a resistere alla tentazione, nelle altre solitamente cede. Nel caso di Giovanni, si narra che una donna infatuata di lui si sia finta malata, mettendosi a letto e mandandolo a chiamare per confessarsi. Quand’ella tentò di approfittare della situazione, egli la rimproverò senza ottenere risultati e fu costretto a lasciare la stanza; andò a pregare per lei e ottenne, infine, il pentimento della donna e la richiesta di perdono.

Nome: Beato Giovanni Guarna da Salerno
Titolo: Domenicano
Nome di battesimo: Giovanni Guarna
Nascita: 1190 circa, Salerno
Morte: 1242, Firenze
Ricorrenza: 9 agosto
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

“Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora”.

Vangelo Mt 25 1, 13

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Impegno del giorno: Alimentare l’olio delle nostre lampade attraverso atti di carità

Santa Teresa Benedetta della Croce prega per noi – 9 agosto

Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) nacque il 12 ottobre 1891, è una delle figure più straordinarie, affascinanti e complesse dello scorso secolo. Fu tra le pochissime donne del suo tempo che poté studiare e insegnare filosofia, inoltrandosi nei sentieri di una ricerca esistenziale, da sempre riservata quasi esclusivamente ai maschi. E lo ha fatto con esiti felicissimi, riuscendo a imporsi, accanto a uno dei grandi maestri della filosofia del Novecento, Edmund Husserl.

Come lei stessa ha confessato, «dall’età di tredici anni fui atea perché non riuscivo a credere nell’esistenza di Dio». Ma, protesa in una ricerca incessante e radicale della verità, impegnata nella soluzione dei grandi problemi della vita, non poteva non imbattersi nella verità di Dio, un Dio che in Gesù mette in gioco tutto per gli uomini, che non si arresta neppure di fronte al dolore e alla morte.

La verità di Dio sta proprio nel suo affermarsi attraverso la debolezza della croce e della morte. La scoperta che, in Gesù, Dio ha condiviso con noi tutto, fa nascere quell’abbandono in lui che caratterizza la vita di quanti sanno che, dalla venuta di Gesù in poi, Dio non ha mai abbandonato l’uomo.

Queste certezze hanno illuminato la vita di Edith Stein, nata a Breslavia nel 1891. Ultima di sette fratelli di un’agiata famiglia ebrea, ha percorso con successo il ciclo di studi, occupandosi soprattutto di psicologia e di ricerca filosofica nell’università della sua città natale e poi in quelle di Gottinga e di Friburgo, come allieva prima e assistente poi del celebre filosofo Edmund Husserl. Quando nel 1917 si laureò, aveva già al suo attivo una serie di studi importanti che le avrebbero aperto le porte della carriera accademica. Ma successero alcuni fatti che diedero alla sua vita una svolta radicale.

Il pensiero di Dio, che un tempo neppure la sfiorava, cominciò a insinuarsi prepotentemente nella sua vita, sulla spinta anche di alcuni avvenimenti. Nella prima guerra mondiale moriva un professore che lei stimava molto. Fu un grande dolore per tutti, soprattutto per la moglie, la quale, anziché crollare sotto il peso di quel dramma, trovò nel rapporto con Dio la forza di iniziare una nuova vita. Edith ne fu profondamente colpita. «Fu il mio primo incontro con la croce — scriverà ricordando il fatto — e con la forza che essa comunica in chi la porta».

La ricerca della verità la condusse verso la verità di Dio. Nel 1921 il cammino di avvicinamento giungeva alla conclusione. Ospite di un’amica, fu da questa invitata a scegliersi un libro tra i molti di cui era fornita la sua biblioteca. Edith allungò la mano a caso e ne estrasse uno alquanto voluminoso: era l’autobiografia di santa Teresa d’Avila. Lo lesse d’un fiato. «Chiudendolo —ha poi scritto — mi sono detta: questa è la verità».

Santa. Teresa aveva sintetizzato in un motto la sua fede: «Dio basta». Edith lo fece suo. L’approdo al cattolicesimo avvenne il giorno di capodanno del 1922, quando ricevette il battesimo. La sua scelta di farsi cattolica la mise in vivace contrasto con la madre, che era molto legata alla religione ebraica. Dopo la conversione, Edith insegnò nel collegio delle domenicane di Speyer e viaggiò molto in Germania e all’estero. Nel 1932 insegnò pedagogia a Miinster. Ma il regime nazista aveva già cominciato a discriminare gli ebrei, costringendoli a lasciare insegnamento. Gli eventi infausti accelerarono un proposito che la Stein aveva già maturato, quello di dedicarsi alla vita contemplativa. E così, lasciandosi alle spalle una prestigiosa carriera, si annullava nell’anonimato nel Carmelo di Colonia, con il nome di Teresa Benedicta a Cruce.

Il Carmelo è una grande scuola di umiltà. Edith dovette mettere da parte i suoi libri per dedicarsi come le altre sorelle alle faccende domestiche: si adeguò alle esigenze della vita comune con gioia, per seguire Gesù anche nelle quotidiane umili cose. Nel 1938 con la professione perpetua decideva di essere per sempre carmelitana.

L’odio contro gli ebrei intanto divampava in Germania. La presenza di Edith, pur sempre ebrea nonostante la conversione al cristianesimo, nel Carmelo di Colonia costituiva un pericolo per le sue consorelle. Si trasferì allora in Olanda, nel Carmelo di Echt, dove si dedicò allo studio della figura e dell’opera di san Giovanni della Croce, grande riformatore, assieme a santa Teresa d’Avila, della vita carmelitana.

Nel 1940 i tedeschi invasero l’Olanda, l’odio contro gli ebrei cominciò a mietere vittime anche lì. Edith dovette appuntare sull’abito monastico la stella gialla che la segnalava come ebrea. E non fu la sola delle umiliazioni. I tempi s’erano fatti duri. «Sono contenta di tutto — scriveva —; solo se si è costretti a portare la croce in tutto il suo peso, si può conquistare la saggezza della croce».

Il 2 agosto 1942 i tedeschi irruppero nel Carmelo, prelevarono Edith, assieme alla sorella Rosa, fattasi anche lei carmelitana, e le avviarono al campo di raccolta di Westerbork, da dove il 7 agosto venne deportata ad Auschwitz: lì, in uno dei lager più tristemente noti per l’insana crudeltà dell’uomo, forse un paio di giorni dopo, finiva assieme alle altre compagne di sventura nelle camere a gas e poi nel forno crematorio.

Un ebreo scampato allo sterminio, che fu testimone delle ultime ore di Edith, ha descritto la sua serenità, la calma, l’incessante prodigarsi per gli altri, preda della disperazione e dello sconforto. Si occupava soprattutto delle donne: le consolava, cercava di calmarle, le aiutava; si prendeva cura dei figli di quelle mamme che, impazzite dal dolore, li abbandonavano. «Vivendo nel lager in un continuo atteggiamento di disponibilità e di servizio — scrive il testimone — rivelò il suo grande amore per il prossimo».

Ebrea per nascita, cristiana per scelta, dopo un lungo cammino di ricerca e di approfondimento dei vari aspetti della conoscenza, portando ai più alti livelli le istanze spirituali delle due religioni, ha poi volato alto nei cieli della mistica, ed è diventata esempio affascinante e trascinante per quanti, laici e credenti di varie religioni, cercano la verità con amore tenace e coraggioso.

Papa Giovanni Paolo II l’ha proclamata beata nel duomo di Colonia 1’1 maggio 1987 e santa 1’11 ottobre 1998, nella basilica di San Pietro a Roma, e poi l’ha anche dichiarata patrona d’Europa.

MARTIROLOGIO ROMANO. Santa Teresa Benedetta della Croce (Edith) Stein, vergine dell’Ordine delle Carmelitane Scalze e martire, che, nata ed educata nella religione ebraica, dopo avere per alcuni anni tra grandi difficoltà insegnato filosofia, intraprese con il battesimo una vita nuova in Cristo, proseguendola sotto il velo delle vergini consacrate, finché sotto un empio regime contrario alla dignità umana e cristiana fu gettata in carcere lontana dalla sua terra e nel campo di sterminio di Auschwitz vicino a Cracovia in Polonia fu uccisa in una camera a gas.

Nome: Santa Teresa Benedetta della Croce
Titolo: Martire
Nascita: 12 ottobre 1891, Wroclaw, Polonia
Morte: 9 agosto 1942, Campo di concentramento di Auschwitz, O?wi?cim, Polonia
Ricorrenza: 9 agosto
Tipologia: Festa
Protettrice :degli ebrei convertiti, della gioventù

Vangelo Mt 25, 1-13:«Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Vangelo Mt 25,1-13 (Novus Ordo)
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:
«Il regno dei cieli sarà simile a dieci vergini che presero le loro lampade e uscirono incontro allo sposo. Cinque di esse erano stolte e cinque sagge; le stolte presero le loro lampade, ma non presero con sé l’olio; le sagge invece, insieme alle loro lampade, presero anche l’olio in piccoli vasi. Poiché lo sposo tardava, si assopirono tutte e si addormentarono.
A mezzanotte si alzò un grido: “Ecco lo sposo! Andategli incontro!”. Allora tutte quelle vergini si destarono e prepararono le loro lampade. Le stolte dissero alle sagge: “Dateci un po’ del vostro olio, perché le nostre lampade si spengono”. Le sagge risposero: “No, perché non venga a mancare a noi e a voi; andate piuttosto dai venditori e compratevene”.
Ora, mentre quelle andavano a comprare l’olio, arrivò lo sposo e le vergini che erano pronte entrarono con lui alle nozze, e la porta fu chiusa. Più tardi arrivarono anche le altre vergini e incominciarono a dire: “Signore, signore, aprici!”. Ma egli rispose: “In verità io vi dico: non vi conosco”.
Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Vetus Ordo 

   Cap. CCCXLVI. Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.

   30 Novembre 1945

 1 Gesù deve aver lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo giorno intorno a Gesù, che si dirige verso il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupore a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luoghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i Rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio.
   Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non dà ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuemente rosei, o rosa deciso, o rosa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando presso le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case.
   «I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore», osserva Simone Zelote.
   «Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albero in fiore e non ci metti invece le prime rose?”; e Lei rispondeva: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi venne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi Giuda?», chiede Giacomo d’Alfeo al fratello.
   «Si. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attendevo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…»

 2 «Oh! andiamoci presto a vederla, Signore! Che veda anche io tutto questo!», supplica Tommaso.
   «Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo», risponde Gesù.
   «Mi accontenti proprio, Signore?».
   «Si, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito».  
   «Si. E noi andiamo a dire alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”». 
   «E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!», dice Pietro.
   «Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso».
   «Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?», dice Tommaso.
   «Io credo che siamo tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea della sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come quando si guarda un fiore… Maria, la bellezza della Terra e, credo, la bellezza del Cielo…», dice Matteo.
   «È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…», dice Filippo.
   «La si ama perché è “Maria”. Ecco!», sentenzia Pietro.

 3 Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene. Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il figlio di Dio e il Figlio dell’Uomo”. Ma ora anche vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Figlio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli».
   «Quando?», chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli.
   «Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette», risponde Gesù evasivamente.
   Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle rive del ruscello, e Giovanni dice: «E’ un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis.
   «Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore», lo consola Giacomo suo fratello.
   Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare allegramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apostoli.

 4 Il pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i discepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre.
   «Si. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un Profeta. Eppure la madre è ricordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissime, lo sarebbe Maria per aver dato al mondo Gesù il Salvatore. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacrificio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà concesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli».
   «Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?», chiede l’Iscariota.
   «Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra».
   «Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, perché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai dolore a tua Madre».
   «No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente o che vivrà, costa lacrime a Maria».
   «Ma perché?», chiede stupito Giacomo di Zebedeo.
   «Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo».
   «Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sadducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità. Ma non più di così», asserisce sicuro Bartolomeo.    
   «Giovanni Battista fu anche ucciso… e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti di Dio».
   «Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si alzerà su di Te», dice Giuda Taddeo.
   «Lo credi fratello? Sei in errore», gli risponde Gesù.
   «No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permetterà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi.
   Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse.

 5 Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui – una corona di visi addolorati ma più ancora increduli – e mormorii vanno per il gruppo:
   «Certo… se così fosse… il Taddeo avrebbe ragione».
   «Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo».
   «Cristo può essere perseguitato ma non avvilito».
   «L’unzione di Dio è su di Lui».
   «Chi ti potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?».
   «Noi non lo permetteremo».
   L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. Suo fratello lo investe: «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si scosta alquanto, piangendo.
   «E’ uno stolto!», sentenzia suo fratello.
   «Forse meno di quanto lo credi», gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resuscita. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto».
   «Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!», ribatte il Taddeo e molti gli dànno ragione.
   «Si, ma allora non sarebbe un segno dato a questa generazione che è molto più vecchia di Lui», osserva Simone Zelote.
   «Già. Ma non è detto che parli di Se stesso», ribatte il Taddeo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto.
   «Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risuscitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può essere nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale», dice Isacco con sicura testimonianza.
   Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guardandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passioni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Completa sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei sommi sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre persone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzogna e dall’Odio».

 6 Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera.
   Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, prende Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concetto. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospettarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici. Ma mai avvilirti a renderti uguale a un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amorevolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza.
   Gesù che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pietro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruccio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva a tutti: «Và lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Và! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è apparire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo».
   Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange… E non è il pianto gioioso di pochi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama.
   E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano consolato da Isacco e dallo Zelote.

 7 Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avanti. Raggiunge Gesù . chiama piano, con apparente tremore: « Maestro! Maestro!…».
   Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?».
   «Maestro, mio fratello è afflitto… piange…».
   «Se lo è meritato».
   «E’ vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo… Non può sempre parlare bene».
   «Infatti oggi ha parlato molto male», risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino.
   Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece errare…».
   «L’amore deve essere la luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tenebre e se ne è fasciato lo spirito».
   «E’ vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si voglia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo. L’interno di mio fratello è buono».
   «Si levi allora le fasce che vi ha messo».
   «Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?».
   «Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare…».
   «Oh! Signore! È vero, si. Ma non ti ricordi di Maria di Lazzaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato… ed essi non ti avevano dato ancora che l’intenzione di redimersi… Signore!… Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae… Non mi scolteresti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?».
   Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosa-mente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Và a chiamarmi tuo fratello», dice «e portamelo qui».
   «Oh! grazie, mio Signore! Vado…», e corre via, lesto come una rondine.

 8 «Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vieni, che te lo vuole dire».
   «No, no. Io mi vergogno… Da troppo poco tempo mi ha rimproverato… Deve volermi per rimproverarmi ancora…».
   «Come lo conosci male! Su vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni».
   «Ma che gli dirò mai?», dice Pietro avviandosi un poco recalcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?», continua a chiedere.
   «Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà», lo rincuora il fratello.
   Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guardano i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene.
   Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla  al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma… Pietro alza il viso… Gesù abbassa il viso… Si guardano… Due lacrimosi rotolano giù per le guance arrossate di  Pietro…
   «Qui, grande bambino riflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto», dice Gesù e alza la mano, sulla quale è ancora ben visibile il segno della sassata di Giocala, e asciuga con le sue dita quelle lacrime.
   «Oh! Signore! Mi hai perdonato?», chiede Pietro tremebondo, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto.
   «Non ti ho mai colpito di condanna…».
   «Ma prima…».
   «Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il primo in tutto, Simon Pietro».
   «Allora… allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi ancora? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ultimo, ma essere con Te, al tuo servizio… e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!».
   Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco.
   Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci… felice. E mormora: «Quanto ho sofferto!… Grazie, Gesù».
   «Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo.

 9 Attendiamo gli altri. Dove sono?».
   Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortificato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli.
   Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro dice:
   «Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona. 
   Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi do la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, , ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la do con la mia Morte. E ricordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve essere pronto a morire per dare agli altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso.
   Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della Terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali. Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguitemi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mutazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla Terra la perderà, mentre colui che perderà la vita sulla Terra per causa mia e per amore al mio Vangelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde la sua anima?

10 E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mezzo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho parlato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rinnegando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi (il Regno di Dio ebbe inizio il Venerdì Santo, per i meriti del Cristo, e si affermò poi con la Chiesa costituita. Ma non tutti videro questo affermarsi sempre più), col suo Re incoronato e unto».
   Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo…


Paralleli Novus Ordo

   Cap. CCVI. Con due parabole sul regno dei Cieli termina la sosta a Betania.

  1 luglio 1945.

 1 Alla presenza dei contadini di Giocana, di Isacco e molti discepoli, delle donne fra cui è Maria Ss. e Marta, e molti di Betania, Gesù parla. Tutti gli apostoli sono presenti. Il bambino, seduto di fronte a Gesù, non perde una parola. Il discorso deve essere iniziato da poco perché ancora viene della gente…
   Dice Gesù:
   «…è per questo timore, che sento così vivo in molti, che voglio oggi proporvi una dolce parabola. Dolce per gli uomini di buona volontà, amara per gli altri. Ma costoro hanno il modo di abolire questo amaro. Divengano loro pure di buona volontà, e il rimprovero, suscitato dalla parabola nella coscienza, cesserà di essere.

 2 Il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti tra Dio e le anime. Il momento dell’entrata in esso, il giorno degli sponsali.
   Or dunque udite. Da noi è costume che le vergini facciano scorta allo sposo che giunge, per condurlo fra lumi e canti alla casa nuziale insieme alla sua dolce sposa. Quando il corteo lascia la casa della sposa, che velata e commossa si dirige al suo posto di regina, in una casa non sua ma che, dal momento in cui ella diviene una carne con lo sposo, sua diventa, il corteo delle vergini, amiche per lo più della sposa, corre incontro a questi due felici per circondarli di un anello di luci.
   Ora avvenne che in un paese si fece uno sponsale. Mentre gli sposi coi parenti e amici tripudiavano nella casa della sposa, dieci vergini andarono al loro posto, nel vestibolo della casa dello sposo, pronte ad uscire a lui incontro quando un lontano suono di cembali e di canti avesse ad avvertire che gli sposi avevano lasciato la casa della sposa per venire a quella dello sposo. Ma il convito nella casa degli sponsali si prolungava, e scese così la notte.
   Le vergini, voi lo sapete, tengono sempre le lampade accese per non perdere tempo al momento buono. Ora fra queste dieci vergini dalle lampade accese e ben lucenti, ve ne erano cinque savie e cinque stolte. Le savie, piene di prudenza, si erano provviste di piccoli vasi pieni d’olio, per potere alimentare le lampade se la durata dell’attesa fosse stata più lunga del prevedibile, mentre le stolte si erano limitate ad empire per bene le lampadette.
   Un’ora passò dopo l’altra. Gai discorsi, racconti, facezie rallegrarono l’attesa. Ma poi non seppero più che dire, né che fare. E, annoiate o anche semplicemente stanche, le dieci fanciulle si sedettero più comodamente, con le loro lampade accese e ben vicine, e piano piano si addormentarono.

 3 Venne la mezzanotte e si udì un grido: “Ecco lo sposo, andategli incontro!”. Le dieci fanciulle sorsero al comando, presero i veli e le ghirlande e si acconciarono, e corsero alla mensola dove erano le lampade. Cinque di esse languivano ormai… Il lucignolo, non più nutrito dall’olio, tutto consumato, fumigava con sprazzi sempre più deboli, pronto a spegnersi al minimo soffio d’aria; mentre le altre cinque lampade, alimentate prima del sonno dalle prudenti, avevano fiamme ancor vive che si fecero ancora più vive per il nuovo olio aggiunto al vasello del lume.
   “Oh! “pregarono le stolte” dateci un poco del vostro olio, perché altrimenti le lampade si spegneranno al solo muoverle. Le vostre sono già belle!…”. Ma le prudenti risposero: “Fuori è il vento della notte e cade la guazza a grosse gocce. Mai non basta l’olio per fare una robusta fiamma che possa resistere ai venti e all’umidore. Se ve ne diamo, accadrà che a noi pure vacillerà la luce. E ben triste sarebbe il corteo delle vergini senza il palpitare delle fiammelle! Andate, correte dal venditore più vicino, pregate, bussate, fatelo alzare perché vi dia olio”. E quelle, affannate, sgualcendo i veli, macchiandosi le vesti, perdendo le ghirlande nell’urtarsi e nel correre, seguirono il consiglio delle compagne.
   Ma, mentre andavano a comprare l’olio, ecco spuntare dal fondo della via lo sposo con la sposa. Le cinque vergini, munite di lampade accese, gli corsero incontro, e in mezzo a loro gli sposi entrarono in casa per la fine della cerimonia, quando le vergini avrebbero scortato per ultimo la sposa fino alla camera nuziale. L’uscio venne chiuso dopo l’entrata degli sposi, e chi fuori era fuori rimase. E così fu per le cinque stolte che, giunte infine con l’olio, trovarono la porta serrata e inutilmente vi picchiarono contro, ferendosi le mani e gemendo: “Signore, signore, aprici! Siamo del corteo delle nozze. Siamo le vergini propiziatorie, scelte per portare onore e fortuna al tuo talamo”.
   Ma lo sposo, dall’alto della casa, lasciando per un momento gli invitati più intimi da cui si accomiatava mentre la sposa entrava nella stanza nuziale, disse: “In verità vi dico che non vi conosco. Non so chi siate. I vostri visi non erano festanti intorno alla mia amata. Usurpatrici siete. Siate perciò lasciate fuori dalla casa delle nozze”. E le cinque stolte, piangendo, se ne andarono per le strade buie, con l’ormai inutile lume, con le vesti sgualcite, i veli strappati, le ghirlande disfatte o perdute…

 4 Ed ora sentite il sermone chiuso nella parabola.
   Vi ho detto al principio che il Regno dei Cieli è la casa degli sponsali compiuti fra Dio e le anime. Alle nozze celesti sono chiamati tutti i fedeli, perché Dio ama tutti i suoi figli. Chi prima, chi poi, si trova al momento degli sponsali, e l’esservi arrivati è gran sorte. Ma ora udite ancora. Voi sapete come le fanciulle reputino onore e fortuna esser chiamate ad ancelle intorno alla sposa. Applichiamo al nostro caso i personaggi e capirete meglio.
   Lo sposo è Dio. La sposa, l’anima di un giusto che, superato il periodo del fidanzamento nella casa del Padre, ossia nella tutela e ubbidienza della e alla dottrina di Dio, vivendo secondo giustizia, viene portata nella casa dello Sposo per le nozze. Le ancelle-vergini sono le anime dei fedeli che, per l’esempio lasciato dalla sposa – essere stata scelta dallo Sposo per le sue virtù è segno che costei era un esempio vivo di santità – cercano di giungere allo stesso onore, santificandosi.

 5 Sono in veste bianca, netta e fresca, in bianchi veli, coronate di fiori. Hanno lampade accese in mano. Le lampade sono ben pulite, dal lucignolo nutrito di olio del più puro perché non sia maleodorante.
   In veste bianca. La giustizia fermamente praticata dà candida veste e presto verrà il giorno che candidissima sarà, senza neppur più il lontano ricordo di macchia, di un candore supernaturale, di un candore angelico.
   In veste netta. Occorre con l’umiltà tenere sempre netta la veste. Tanto facile è offuscare la purezza del cuore. E chi non è mondo di cuore non può vedere Dio. L’umiltà è come acqua che lava. L’umile si accorge subito, perché ha occhio non offuscato da fumi di orgoglio, di essersi offuscata la veste e corre dal suo Signore e dice: “Ho levato la nettezza a questo mio cuore. Io piango per mondarmi, ai tuoi piedi piango. E tu, mio Sole, imbianca dei tuoi benigni perdoni, dei tuoi paterni amori, la veste mia!
   In veste fresca. Oh! la freschezza del cuore! I bambini l’hanno per dono di Dio. I giusti l’hanno per dono di Dio e volontà propria. I santi l’hanno per dono di Dio e per volontà portata all’eroismo. Ma i peccatori, dall’anima lacerata, bruciata, avvelenata, insozzata, non potranno allora mai più avere una veste fresca? Oh! si che la possono avere. Cominciano ad averla dal momento che si guardano con ribrezzo, l’aumentano quando decidono di cambiare vita, la perfezionano quando con la penitenza si lavano, si disintossicano, si medicano, si ricompongono la loro povera anima; e con l’aiuto di Dio, che non nega soccorso a chi gli chiede santo aiuto, e con la volontà propria, portata al supereroismo – perché in loro non necessita di tutelare ciò che hanno, ma di ricostruire ciò che loro hanno abbattuto, perciò doppia e tripla e settupla fatica – e infine con una penitenza instancabile, implacabile verso l’io che fu peccatore, riportano la loro anima ad una nuova freschezza d’infanzia, fatta preziosa dall’esperienza che li fa maestri di altri che sono come erano loro un tempo, ossia peccatori.
   In bianchi veli. L’umiltà! Io ho detto: “Quando pregate o fate penitenza, fate che il mondo non se ne avveda”. Nei libri sapienziali è detto: “Non è bene svelare il segreto del Re”. L’umiltà è il velo candido messo a difesa sul bene che si fa e sul bene che Dio ci concede. Non gloria per l’amore di privilegio che Dio concede, non stolta gloria umana. Il dono verrebbe subito ritolto. Ma interno canto del cuore al suo Dio: “L’anima mia ti magnifica, o Signore… perché Tu hai rivolto il tuo sguardo alla bassezza della tua serva”».
   Gesù ha una breve sosta e getta uno sguardo verso sua Madre, che avvampa sotto il suo velo e si china tutta, come per ravviare i capelli del bambino che è seduto ai suoi piedi, ma in realtà per celare il suo commosso ricordo…
   «Coronata di fiori. L’anima deve intessersi la sua quotidiana ghirlanda di atti virtuosi, perché al cospetto dell’Altissimo non devono stare cose vizze, né si deve stare in aspetto sciatto. Quotidiana, ho detto. Perché l’anima non sa quando Dio-Sposo può apparire per dire: “Vieni”. Perciò non stancarsi mai di rinnovare la corona. Non abbiate paura. I fiori avvizziscono. Ma i fiori delle corone virtuose non avvizziscono. L’angelo di Dio, che ogni uomo ha al suo fianco, le raccoglie queste ghirlande quotidiane e le porta in Cielo. E là faranno da trono al novello beato quando entrerà come sposa nella casa nuziale.

 6 Hanno le lampade accese. E’ per onorare lo Sposo e per guidarsi nella via. Come è fulgida la fede, e che dolce amica ella è! Fa una fiamma raggiante come una stella, una fiamma che ride perché è sicura nella sua certezza, una fiamma che rende luminoso anche lo strumento che la regge. Anche la carne dell’uomo nutrito di fede pare, fin da questa terra, farsi più luminosa e spirituale, immune da precoce appassimento. Perché chi crede si regge sulle parole e sui comandi di Dio per giungere a possedere Dio, suo fine, e perciò fugge ogni corruzione, non ha turbamenti, paure, rimorsi, non è obbligato ad uno sforzo per ricordarsi le sue menzogne o per nascondere le sue male azioni, e si conserva bello e giovane della bella incorruzione del santo. Una carne e un sangue, una mente e un cuore puliti da ogni lussuria per contenere l’olio della fede, per dare luce senza fumo. Una costante volontà per nutrire sempre questa luce.
   La vita di ogni giorno, con le sue delusioni, constatazioni, contatti, tentazioni, attriti, tende a sminuire la fede. No! Non deve avvenire. Andate giornalmente alle fonti dell’olio soave, dell’olio sapienziale, dell’olio di Dio. Lampada poco nutrita può essere spenta dal minimo vento, può essere spenta dalla pesante guazza della notte. La notte… L’ora delle tenebre, del peccato, della tentazione viene per tutti. E la notte per l’anima. Ma se questa ha se stessa colma di fede, non può la fiamma essere spenta dal vento del mondo, dal caligo delle sensualità.
   Infine vigilanza, vigilanza, vigilanza. Chi imprudente si fida dicendo: “Oh! Dio verrà in tempo, mentre ho ancora luce in me”, chi si induce a dormire in luogo di vegliare, e dormire sprovvisto di quanto necessita per sorgere sollecito alla prima chiamata, chi si riduce all’ultimo momento per procurarsi l’olio della fede o il lucignolo robusto della buona volontà, incorre nel pericolo di rimanere fuori quando giunge lo Sposo. Vegliate dunque con prudenza, con costanza, con purezza, con fiducia per essere sempre pronti alla chiamata di Dio, perché in realtà non sapete quando Esso verrà.

 7 Miei cari discepoli, Io non voglio indurvi a tremare di Dio, ma anzi ad avere fede nella sua bontà. Sia voi che restate, come voi che andate, pensate che, se farete ciò che fecero le vergini savie, sarete chiamati non solo a fare corteggio allo Sposo, ma, come per la fanciulla Ester, divenuta regina al posto di Vasti, sarete scelti ed eletti a spose, avendo lo Sposo “trovato in voi ogni grazia e favore sopra ogni altro”. Io vi benedico, voi che andate. Portate in voi e ai compagni questa mia parola. La pace del Signore sia sempre con voi».
   Gesù si avvicina ai contadini per salutarli ancora, ma Giovanni di Endor gli sùssurra: «Maestro, ormai c’è Giuda…».
   «Non importa. Accompagnali al carro e fa’ ciò che ti ho detto di fare».
   L’assemblea si scioglie lentamente. Molti parlano a Lazzaro… E questo si volge a Gesù che, lasciati i contadini, viene in quel senso e dice: «Maestro, prima che Tu ci lasci, parlaci ancora… Questo vogliono i cuori di Betania».
   «La sera scende. Ma è placida e serena. Se volete riunirvi sui fieni falciati, Io vi parlerò prima di lasciare questo paese amico. Oppure domani, all’aurora. Perché è giunta l’ora del commiato».
   «Più tardi! Questa sera!» urlano tutti.
   «Come voi volete. Andate ora. Alla metà della prima vigilia vi parlerò»…

 8 …e instancabile infatti – mentre il sole scompare anche col ricordo del suo rosso, in un primo stridere di grilli, incerto, solitario – Gesù si avvia in mezzo ad un prato falciato da poco e su cui l’erbe morenti fanno un tappeto di acuta e morbida fragranza. Lo seguono gli apostoli, le Marie, Marta e Lazzaro con quelli della sua casa, Isacco coi discepoli, e direi tutta Betania. Fra i servi è il vecchione con la donna, i due che sul monte delle Beatitudini hanno trovato un conforto anche per i loro giorni.
   Gesù si ferma a benedire il patriarca, che gli bacia piangendo la mano e che accarezza il bambino, che cammina a fianco di Gesù, dicendogli: «Te beato che lo puoi sempre seguire! Sii buono, sta’ attento, figlio. La tua è una gran ventura! Una gran ventura! Sul tuo capo è sospesa una corona… Oh! te beato!».

 9 Quando tutti sono a posto Gesù inizia a parlare.
   «Partiti i poveri amici che avevano bisogno di essere molto confortati nella speranza, nella certezza, anzi, che basta poco sapere per essere ammessi nel Regno, che basta un minimo di verità su cui la buona volontà lavora, parlo ora a voi, molto meno infelici perché in condizioni materiali molto migliori e con maggiori aiuti dal Verbo. Il mio amore va a loro solo col pensiero. Qui, a voi, il mio amore viene anche con la parola. Perciò voi andate trattati, in terra come in Cielo, con maggiore fortezza, perché a chi più è stato dato più sarà chiesto. Essi, i poveri amici che stanno tornando alla loro galera, non possono che avere un minimo di bene, ed hanno, in compenso, un massimo di dolore. Perciò a loro solo le promesse della benignità, perché ogni altra cosa sarebbe superflua. In verità vi dico che la loro vita è penitenza e santità, e non deve essere imposto loro altro. E in verità anche vi dico che, pari a vergini savie, essi non lasceranno spegnere la loro lampada fino all’ora della chiamata. Lasciarla spegnere? No. E tutto il loro bene questa luce. Non possono lasciarla spegnere.

 10 In verità vi dico che, come Io sono nel Padre, così i poveri sono in Dio. E per questo che Io, Verbo del Padre, ho voluto nascere povero, e povero rimanere. Perché fra i poveri mi sento più prossimo al Padre, che ama i minimi ed è amato da essi con tutta la loro forza. I ricchi hanno tante cose. I poveri hanno solo Dio. I ricchi hanno amici. I poveri sono soli. I ricchi hanno molte consolazioni. I poveri non hanno consolazioni. I ricchi hanno distrazioni. I poveri hanno solo il lavoro. I ricchi hanno tutto reso facile per il denaro. I poveri hanno anche la croce di dover temere malattie e carestie perché sarebbe la fame e la morte per loro. Ma hanno Dio, i poveri. Il loro Amico. Il loro Consolatore. Colui che li distrae dal loro penoso presente con speranze celesti. Colui a cui si può dire – e loro lo sanno dire, lo dicono perché appunto sono poveri, umili, soli -: “Padre, sovvienici della tua misericordia.
   Quanto Io dico in questa terra di Lazzaro, amico mio e amico di Dio sebbene tanto ricco, può parere strano. Ma Lazzaro è l’eccezione fra i ricchi. Lazzaro è giunto a quella virtù difficilissima a trovarsi sulla terra, e ancor più difficile a mettersi in pratica per insegnamento altrui: la virtù della libertà dalle ricchezze. Lazzaro è giusto. Non si offende. Non si può offendere, perché sa che egli è il ricco-povero e perciò non lo tocca il mio celato rimprovero. Lazzaro è giusto. E riconosce che nel mondo dei grandi è così come Io dico. Perciò Io parlo e dico: in verità, in verità vi dico che è molto più facile che sia in Dio un povero che un ricco; e nel Cielo del Padre mio e vostro, molti seggi saranno occupati da coloro che sulla terra furono spregiati perché minimi come polvere che si calpesta.
   I poveri serbano in cuore le perle delle parole di Dio. Sono il loro unico tesoro. Chi ha una sola ricchezza veglia su essa. Chi ne ha molte è annoiato e distratto, ed è superbo, ed è sensuale. Per tutto questo non ammira con occhi umili e innamorati il tesoro che Dio ha dato, e lo confonde con altri tesori, solo in apparenza preziosi, tesori che sono le ricchezze della terra, e pensa: “Degnazione mia se accolgo le parole di uno, pari a me nella carne!”, e ottunde la sua capacità di gustare ciò che è soprannaturale con i sapori forti della sensualità. Sapori forti!… Si, molto speziati per confondere il loro lezzo e il loro sapore di putredine…

 11 Ma udite. E capirete meglio come le sollecitudini, le ricchezze e le crapule impediscono l’entrata nel Regno dei Cieli.
   Una volta un re fece le nozze di suo figlio. Potete immaginare che festa fosse nella reggia. Era il suo unico figlio e, giunto all’età perfetta, si sposava con la sua diletta. Il padre e re volle che tutto fosse gioia intorno alla gioia del suo diletto, finalmente sposo con la beneamata. Fra le molte feste nuziali fece anche un grande pranzo. E lo preparò per tempo, vegliando su ogni particolare dello stesso, perché riuscisse splendido e degno delle nozze del figlio del re.
   Mandò per tempo i suoi servi a dire agli amici e agli alleati, e anche ai più grandi nel suo regno, che le nozze erano stabilite per quella data sera e che loro erano invitati, e che venissero per fare degna cornice al figlio del re. Ma amici, alleati e grandi del regno non accettarono l’invito.
   Allora il re, dubitando che i primi servi non avessero parlato a dovere, ne mandò altri ancora, perché insistessero dicendo: “Ma venite! Ve ne preghiamo. Ormai tutto è pronto. La sala è apparecchiata, i vini preziosi sono stati portati da ogni dove, e già nelle cucine sono ammucchiati i buoi e gli animali ingrassati per essere cotti, e le schiave intridono le farine a far dolciumi, ed altre pestano le mandorle nei mortai per fare leccornie finissime a cui mescolano aromi fra i più rari. Le danzatrici e i suonatori più bravi sono stati scritturati per la festa. Venite dunque acciò non sia inutile tanto apparato”.
   Ma amici, alleati e grandi del regno o rifiutarono, o dissero: “Abbiamo altro da fare”, o finsero di accettare l’invito, ma poi andarono ai loro affari, chi al campo, chi ai negozi, chi ad altre cose ancor meno nobili. E infine ci fu chi, seccato da tanta insistenza, prese il servo del re e l’uccise per farlo tacere, posto che insisteva: “Non negare al re questa cosa perché te ne potrebbe venire male.
   I servi tornarono al re e riferirono ogni cosa, e il re avvampò di sdegno mandando le sue milizie a punire gli uccisori dei suoi servi e a castigare quelli che avevano sprezzato il suo invito, riservandosi di beneficare quelli che avevano promesso di venire. Ma la sera della festa, all’ora fissata, non venne nessuno.

 12 Il re, sdegnato, chiamò i servi e disse: “Non sia mai che mio figlio resti senza chi lo festeggi in questa sua sera nuziale. Il banchetto è pronto, ma gli invitati non ne sono degni. Eppure il banchetto nuziale del figlio mio deve avere luogo. Andate dunque sulle piazze e sulle strade, mettetevi ai crocicchi, fermate chi passa, adunate chi sosta, e portateli qui. Che la sala sia piena di gente festante.
   I servi andarono. Usciti per le vie, sparsisi sulle piazze, messisi ai crocicchi, radunarono quanti trovarono, buoni o cattivi, ricchi o poveri, e li portarono nella dimora regale, dando loro i mezzi per apparire degni di entrare nella sala del banchetto di nozze. Poi li condussero in quella, ed essa fu piena, come il re voleva, di popolo festante.
   Ma, entrato il re nella sala per vedere se potevano aver inizio le feste, vide uno che, nonostante gli aiuti dati dai servi, non era in veste di nozze. Gli chiese: “Come mai sei entrato qui senza la veste di nozze?”. E colui non seppe che rispondere, perché infatti non aveva scusanti. Allora il re chiamò i servi e disse loro: “Prendete costui, legatelo nelle mani e nei piedi e gettatelo fuori della mia dimora, nel buio e nel fango gelido. Ivi starà nel pianto e con stridor di denti come ha meritato per la sua ingratitudine e per l’offesa che mi ha fatta, e più che a me al figlio mio, entrando con veste povera e non monda nella sala del banchetto, dove non deve entrare che ciò che è degno di essa e del figlio mio”.

 13 Come voi vedete, le sollecitudini del mondo, le avarizie, le sensualità, le crudeltà attirano l’ira del re, fanno si che mai più questi figli delle sollecitudini entrino nella casa del Re. E vedete anche come anche fra i chiamati, per benignità verso suo figlio, vi sono i puniti.
   Quanti al giorno d’oggi, in questa terra alla quale Dio ha mandato il suo Verbo!
   Gli alleati, gli amici, i grandi del suo popolo, Dio veramente li ha invitati attraverso i suoi servi, e più li farà invitare, con invito pressante, man mano che l’ora delle mie nozze si farà vicina. Ma non accetteranno l’invito perché sono falsi alleati, falsi amici, e non sono grandi che di nome perché la bassezza è in loro».
   Gesù va elevando sempre più la voce, e i suoi occhi, alla luce di fuoco che è stato acceso fra Lui e gli ascoltatori per illuminare la sera, nella quale manca ancora la luna che è nella fase decrescente e si alza più tardi, gettano sprazzi di luce come fossero due gemme.
   «Si, la bassezza è in loro. Per tutto questo essi non comprendono che è dovere e onore per loro aderire all’invito del Re. Superbia, durezza, libidine fanno baluardo nel loro cuore.
   E – sciagurati che sono! – e hanno odio a Me, a Me, per cui non vogliono venire alle mìe nozze. Non vogliono venire. Preferiscono alle nozze i connubi con la politica sozza, con il più sozzo denaro, con il sozzissimo senso. Preferiscono il calcolo astuto, la congiura, la subdola congiura, il tranello, il delitto.
   Io tutto questo lo condanno in nome di Dio. Si odia perciò la voce che parla e le feste a cui invita. In questo popolo vanno cercati coloro che uccidono i servi di Dio: i profeti che sono i servi fino ad oggi, i miei discepoli che sono i servi da ora in poi. In questo popolo vanno scelti i turlupinatori di Dio che dicono: “Sì, veniamo”, mentre dentro di sé pensano: “Neanche per idea!”. Tutto questo è in Israele.
   E il Re del Cielo, perché il Figlio abbia un degno apparato di nozze, manderà a raccogliere sui crocicchi coloro che sono non amici, non grandi, non alleati, ma sono semplicemente popolo che passa. Già – e per mia mano, per la mia mano di Figlio e di servo di Dio – la raccolta si è iniziata. Quali che siano, verranno… E sono già venuti. Ed Io li aiuto a farsi mondi e belli per la festa di nozze.
   Ma ci sarà, oh! per sua sventura ci sarà chi anche della magnificenza di Dio, che gli dà profumi e vesti regali per farlo apparire quale non è – un ricco e degno – vi sarà chi di tutta questa bontà se ne farà un approfitto indegno per sedurre, per guadagnare… Individuo di bieco animo, abbracciato dal polipo ripugnante di tutti i vizi… e sottrarrà profumi e vesti per trarne guadagno illecito, usandoli non per le nozze del Figlio, ma per le sue nozze con Satana.
   Ebbene, questo avverrà. Perché molti sono i chiamati, ma pochi coloro che, per saper perseverare nella chiamata, giungono ad essere eletti. Ma anche avverrà che a queste iene, che preferiscono le putrefazioni al nutrimento vivo, sarà inflitto il castigo di essere gettati fuori della sala del Banchetto, nelle tenebre e nel fango di uno stagno eterno in cui stride Satana il suo orrido riso per ogni trionfo su un’anima, e dove suona eterno il pianto disperato dei mentecatti che seguirono il Delitto invece di seguire la Bontà che li aveva chiamati.

 14 Alzatevi e andiamo al riposo. Io vi benedico, o cittadini di Betania, tutti. Io vi benedico e vi do la mia pace. E benedico te in particolare, Lazzaro, amico mio, e te, Marta. Benedico i miei discepoli antichi e nuovi che mando per il mondo a chiamare, a chiamare alle nozze del Re. Inginocchiatevi ché Io vi benedica tutti. Pietro, di’ l’orazione che vi ho insegnata, e dilla stando qui al mio fianco, in piedi, perché così va detta da chi a ciò è destinato da Dio».
   L’assemblea si inginocchia tutta sul fieno, rimanendo in piedi solo Gesù nel suo abito di lino, alto e bellissimo, e Pietro nella sua veste marrone scuro, acceso di emozione, quasi tremante, che prega, con la sua voce non bella ma virile, andando adagio, per paura di sbagliare: «Padre nostro…».
   Si sente qualche singhiozzo… di uomo, di donna…
   Marjziam, inginocchiato proprio davanti a Maria che gli tiene le manine congiunte, guarda con un sorriso d’angelo Gesù e dice piano: «Guarda, Madre, come è bello! E come è bello anche il padre mio! Sembra d’essere in Cielo… Ci sarà la mia mamma, qui, a vedere?».
   E Maria, in un sussurro che finisce in un bacio, risponde: «Sì, caro. Ella è qui. E impara la preghiera».
   «E io? L’imparerò?».
   «Ella la sussurrerà all’anima tua mentre tu dormi, ed io te la ripeterò di giorno».
   Il bambino piega indietro la testolina bruna, sul petto di Maria, e sta così mentre Gesù benedice con la sempre solenne benedizione mosaica.
   Poi tutti si alzano, andando ognuno alle proprie case; solo Lazzaro segue ancora Gesù, entrando con Lui nella casa di Simone per stare ancora con Lui. Entrano anche tutti gli altri. L’Iscariota si mette in un angolo semibuio, mortificato. Non osa stringersi a Gesù come fanno gli altri…

 15 Lazzaro si felicita con Gesù. Dice: «Oh! mi duole di vederti partire. Ma sono più contento che se ti avessi visto andare via ieri l’altro!».
   «Perché, Lazzaro?».
   «Perché mi parevi tanto triste e stanco… Non parlavi, poco sorridevi… Ieri e oggi sei tornato il mio santo e dolce Maestro, e ciò mi dà tanta gioia…».
   «Lo ero anche se tacevo…».
   «Lo eri. Ma Tu sei serenità e parola. Noi vogliamo questo da Te. Beviamo a queste fonti la nostra forza. Ed ora queste fonti parevano disseccate. Era penosa la nostra sete… Tu vedi che anche i gentili se ne sono stupiti, e sono venuti a cercarle…».
   L’Iscariota, a cui si era accostato Giovanni di Zebedeo, osa parlare: «Già, avevano domandato anche a me… Perché io stavo molto presso l’Antonia, sperando di vederti».
   «Sapevi dove ero» risponde Gesù brevemente.
   «Lo sapevo. Ma speravo che non avresti deluso chi ti attendeva. Anche i romani furono delusi. Non so perché hai agito così…»
   «E sei tu che me lo chiedi? Non sei al corrente degli umori del Sinedrio, dei farisei, degli altri ancora, per Me?».
   «Che? Avresti avuto paura?».
   «No. Nausea.

 16 Lo scorso anno, quando ero solo – uno solo contro tutto un mondo che neppur sapeva se ero profeta – ho mostrato di non avere paura. E tu sei un acquisto di quella mia audacia. Ho fatto sentire la mia voce contro tutto un mondo di urlatori; ho fatto sentire la voce di Dio ad un popolo che se l’era dimenticata; ho purificato la Casa di Dio dalle sozzure materiali che erano in essa, non sperando di ripulirla delle ben più gravi sozzure morali che in essa hanno nido, perché non ignoro il futuro degli uomini, ma per fare il mio dovere, per lo zelo della Casa del Signore eterno tramutata in una piazza vociante di barattieri, usurai e di ladri, e per scuotere dal torpore quelli che secoli di trascuratezza sacerdotale avevano fatto cadere in letargo spirituale. E’ stato lo squillo di raccolta al mio popolo per portarlo a Dio… Quest’anno sono tornato… E ho visto che il Tempio è sempre lo stesso… Che è peggio ancora. Non più spelonca di ladri, ma posto di congiura, e poi diverrà sede del Delitto, e poi lupanare, e poi, finalmente, sarà distrutto da una forza più potente di quella di Sansone, schiacciando una casta indegna di chiamarsi santa. Inutile parlare in quel luogo, nel quale, te lo ricordo, mi fu proibito di parlare. Popolo fedifrago! Popolo avvelenato nei suoi capi, che osa interdire che la Parola di Dio parli nella sua Casa! Mi fu proibito. Ho taciuto per amore dei minimi. Non è ancora l’ora di uccidermi. Troppi hanno bisogno di Me, e i miei apostoli non sono ancora forti per ricevere sulle loro braccia la mia prole: il Mondo. Non piangere, Madre; perdona, tu buona, al bisogno di tuo Figlio di dire, a chi vuole o può illudersi, la verità che Io so… Taccio… Ma guai a coloro per i quali Dio tace!… Madre, Marjziam, non piangete!… Ve ne prego. Nessuno pianga».
   Ma in realtà piangono tutti più o meno dolorosamente.
   Giuda, pallido come un morto nella sua veste gialla e rossa a righe, osa ancora parlare, con una voce piagnucolosa e ridicola: «Credi, Maestro, che io sono stupito e addolorato… Non so che vuoi dire… Io non so nulla… É vero che io non ho visto nessuno del Tempio. Ho rotto i contatti con tutti… Ma se Tu lo dici sarà vero… ».
   «Giuda!… Anche Sadoc non hai visto?».
   Giuda china il capo borbottando: «E’ un amico… Come tale l’ho visto. Non come uno del Tempio… ».

 17 Gesù non gli risponde. Si volge a Isacco e a Giovanni di Endor, a cui fa ancora raccomandazioni inerenti al loro lavoro. Intanto le donne confortano Maria che piange e il bambino che piange nel vedere piangere Maria. Anche Lazzaro e gli apostoli sono rattristati.
   Ma Gesù viene a loro. Ha ripreso il suo dolce sorriso e, mentre abbraccia la Madre e carezza il bambino, dice: «Ed ora vi saluto, voi che restate. Perché domani all’alba noi partiremo. Addio, Lazzaro. Addio, Massimino. Giuseppe, Io ti ringrazio per ogni cortesia fatta a mia Madre e alle discepole nella attesa mia. Grazie di tutto. Tu, Lazzaro, benedici ancora Marta in mio nome. Presto ritornerò. Vieni, Madre, al riposo. Anche tu, Maria e Salome, se proprio volete venire voi pure».
   «Certo che veniamo! » dicono le due Marie.
   «Allora a letto. La pace a tutti. Dio sia con voi». Fa un gesto di benedizione ed esce tenendo per mano il bambino e abbracciata la Madre…
   La sosta a Betania è finita.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo per sempre a Te!