Sant’ Antonio Maria Gianelli – 7 giugno

Carro è un grazioso paese ligure, adagiato sui contrafforti dell’Appennino. Offre un aspetto delizioso e gaio, grazie al suo cielo purissimo, alle sue colline lussureggianti, alla freschezza del suo clima. È capoluogo di comune, ed è attorniato da varie frazioncelle: in una di queste, Cereta, nacque Antonio Gianelli, il 12 aprile 1789. I suoi genitori erano poveri, ma onesti campagnoli. La madre, donna semplice e di profonda religiosità, era tutta sollecitudine per il marito e la famigliola. Il padre eccelleva per l’onestà e soprattutto per la carità verso i poveri.

La madre, nell’imminenza del parto, era stata presa da una febbre così violenta, da far temere della sua vita. Allora la buona donna, preoccupata più della prole che di se stessa, chiese che fosse celebrata per lei una Messa nella cappella locale. Appena il sacerdote ebbe intonato il « Gloria in excelsis », venne felicemente alla luce l’atteso figlio, non malaticcio, come si temeva, ma vegeto e sano.

Nell’infanzia il piccolo Antonio diede sicuri indizi della santità cui sarebbe arrivato. Verso i genitori praticò un’obbedienza docile e pronta. Imparò assai per tempo a recitare il Rosario. Amava grandemente ascoltare la parola di Dio. A cinque anni, durante la sagra paesana, un contadino, presolo sulle braccia, lo pose su un muricciolo, esortandolo a tessere le lodi del titolare S. Giovanni Battista. Il piccino non si impaurì, ma parlò con franchezza e a voce alta, esortando i presenti all’imitazione delle virtù del Precursore.

Dotato di ingegno vivace, sentiva una forte inclinazione allo studio. Furono anni duri. Doveva ogni giorno compiere un buon tratto di strada: il che diveniva penoso durante il gelido inverno. Ma la sua volontà non venne mai meno, ed egli ogni giorno si perfezionava nel sapere e nella pietà. Ebbe per maestro il Prevosto di un paese vicino, alla cui scuola rimase fino ai diciotto anni. Sentendo una forte propensione alla carriera ecclesiastica, potè presto recarsi, con l’aiuto di una buona benefattrice, nel Seminario di Genova, per compiervi gli studi necessari. Fu un seminarista modello: godeva la massima fiducia dei superiori. Il 23 maggio 1812 ricevette gli Ordini Sacri, nonostante fosse solamente nel secondo anno di teologia. Il nostro Santo poi terminò gli studi teologici da solo, con l’usuale applicazione. I suoi primi anni di sacerdozio furono contrassegnati dall’umiltà, dalla dedizione al dovere e dalla carità verso gli indigenti.

Nel 1813 gli fu offerta la Cattedra di Rettorica nel Collegio di Carcare. Dietro approvazione del Vescovo, acconsenti. La sua valentia subito rifulse, tanto che solo un anno dopo fu chiamato alla medesima Cattedra nel Seminario di Genova. E tale ufficio disimpegnò per dieci anni, sempre distinguendosi per elevatezza d’ingegno e singolare pietà. Animato da fervido zelo, trovò il tempo di predicare varie missioni. La sua parola calda, eloquente, penetrava nell’animo di tutti e commuoveva i cuori più induriti.

Ma il Signore gli riserbava altri compiti. E così nel 1826 divenne Arciprete di Chiavari, con grande compiacimento di quella brava gente. La predicazione fu l’apostolato preferito e principale. Tutti volevano udirlo. Ricevette anche l’ufficio di Vicario Arcivescovile. Fra tutte le occupazioni, trovava il tempo di collaborare a molte Missioni. Da arciprete, fondò l’Istituto delle Figlie di Nostra Signora dell’Orto, oggi diffuso un po’ dappertutto, e che ha per scopo il soccorso e l’assistenza del prossimo.

Nel 1838 venne eletto Vescovo di Bobbio. Nella pienezza del sacerdozio, esplicò in un campo più vasto quelle iniziative apostoliche alle quali aveva atteso fino allora con tanto fervore. Tre cose principalmente curò: il miglioramento cristiano del popolo, la riforma del clero, il riordinamento del Seminario. Però la diffusione della Verità tramite la predicazione rimase sempre la sua preoccupazione suprema.

Fondò gli Oblati di S. Alfonso per la predicazione. Si distinse soprattutto per eroismo di virtù, devozione alla Madonna, carità verso il prossimo, purezza angelica. Si spense nel bacio del Signore il 7 giugno 1846, festa della SS. Trinità. I suoi funerali furono un’apoteosi.

PRATICA. Impariamo ad apprezzare e valorizzare la parola di Dio.

PREGHIERA. O Signore Onnipotente, che ti sei degnato di manifestare nel Santo Antonio Gianelli una traccia della tua misericordia e bontà, fa’ che egli ci ottenga la grazia di imitarlo in vita, per poterlo un giorno raggiungere nella patria celeste.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Piacenza, transito di sant’Antonio Maria Gianelli, vescovo di Bobbio, che fondò la Congregazione delle Figlie di Maria Santissima dell’Orto e rifulse per l’impegno e il luminoso esempio di dedizione ai bisogni dei poveri e alla salvezza delle anime e nel promuovere la santità del clero.

Nome: Sant’ Antonio Maria Gianelli
Titolo: Vescovo
Nome di battesimo: Antonio Gianelli
Nascita: 12 aprile 1789, Cereta
Morte: 7 giugno 1846, Piacenza
Ricorrenza: 7 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo – 7 Giugno 2022

Qual è lo scopo del nostro “esserci” come cristiani? Qual è lo scopo del nostro “esserci” in politica? O a scuola? O in un ospedale? O in un quartiere? Gesù lo spiega nel Vangelo di oggi: “Voi siete il sale della terra (…) Voi siete la luce del mondo”.

Il nostro scopo è quello di dare sapore, gusto senso alle cose. Il nostro scopo è tenere accesa la luce quando invece il buio vuole fare da padrone. Un cristiano si occupa di insaporire le cose, di illuminarle, e non di comportarsi come una qualsiasi altra persona o lobby di potere. Il nostro “esserci” deve far cambiare le cose in termini di qualità non di quantità. Un ospedale non deve essere convertito deve diventare un ottimo ospedale proprio perché ci lavorano dei cristiani.

Una scuola non deve essere travestita da aula di catechismo ma deve diventare una scuola dove si educa all’umano e non dove si indottrina (cosa che capita molto spesso proprio in nome della laicità). Una politica deve diventare “la più alta forma di carità” e non lo sbarco del lunario dove si fa incetta di privilegi e vantaggi.

Se noi smettiamo di essere “sale e luce” non serviamo a nulla se non ad essere buttati via. Un cristiano che non fa questo è teologicamente spazzatura. E non spazzatura qualunque, ma spazzatura che inquina. E il mondo è già pieno di discariche così. Invece “vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. Perché questa è un’altra faccenda molto seria: la visibilità dell’amore. Le cose che contano non vanno ostentate, ma non le si può nemmeno tenere nascoste. Non si può vivere in vetrina, ma non si può neppure credere che il bene debba essere trasparente, invisibile.

La differenza è molto semplice: il bene non buono è seduttivo, conduce a se stesso. Il bene buono invece è indicativo, segnala sempre Qualcun altro. Un cristiano è chiamato a mostrare un bene che indica molto di più di ciò che sembra. Un cristiano è chiamato a rendere visibile la profondità delle cose, la preziosità del creato, la dignità della vita.