San Donato di Besançon prega per noi – 7 agosto

Donato fu vescovo di Besançon in Francia. Compose una regola per monache ispirata a quella dei santi Benedetto (11 lug.), Colombano (23 nov.) e in particolare Cesario di Arles (27 ago.), che ne aveva redatta una per un monastero femminile.

Non bisogna confonderlo con il Donato, probabilmente secondo vescovo di Arezzo, in passato ritenuto a torto martire e ricordato lo stesso giorno (dal 1969 solo in calendari locali, anche se è ancora citato nella nuova edizione del Martirologio Romano), né con il Donato, vescovo di Evorea nell’Epiro.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Besançon in Burgundia, nell’odierna Francia, san Donato, vescovo, che compose una regola per le vergini secondo gli insegnamenti dei santi Benedetto, Colombano e Cesario.

Nome: San Donato di Besançon
Titolo: Vescovo
Nascita: 590 circa, Sconosciuto
Morte: 660 circa, Besançon, Francia
Ricorrenza: 7 agosto
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

San Gaetano Thiene prega per noi – 7 agosto

Gaetano nacque a Vicenza nell’anno 1480 da pii genitori. La madre sua, Maria Porta, fin dai primi istanti di sua vita lo consacrò alla B. Vergine, e fatto più grandicello gli impartì una sana istruzione religiosa.

Ad esempio di Gesù adolescente, Gaetano, mentre cresceva nello spirito, faceva pure gran profitto nello studio. Mandato a studiare a Padova, si distinse specie nella teologia ed ottenne la laurea dottorale. Il suo desiderio però era di vivere nell’umiltà e nel nascondimento, e desiderando entrare in religione si recò a Roma ove si diede ad una vita ritirata e devota. Anche nella sua elezione a protonotario apostolico, accettata unicamente per ubbidienza al Papa, risplendette la sua umiltà, dimodochè appena ne fu libero, volle tornare nuovamente nella sua patria e quivi darsi al servizio dei poveri e degli ammalati.

In seguito, ispirato dal Signore a riformare i costumi sia del popolo che del clero, si recò nuovamente a Roma e lì iniziò la sua opera. Unitosi ad alcuni suoi ferventi compagni, compose alcune regole per presentarle al Papa.

Nel 1524 ne ottenne l’approvazione, e Pietro Caraffa, che salì poscia al trono pontificio col nome di Paolo III, fu il primo superiore della Congregazione teste fondata. Le basi della riforma erano poste: molti sacerdoti entrarono a far parte dei Chierici Regolari Teatini ed operarono un gran bene in tutta la città. Poco tempo dopo, costretto a fuggire da Roma a cagione di una guerra, passò a Venezia dove fondò un suo convento. Napoli fu il campo delle sue ultime fatiche apostoliche: questa città ha pure la gloria di possedere il suo corpo ed il principale convento da lui fondato.

Già vicino a ricevere il premio, ai medici che lo consigliavano di lasciar le penitenze, almeno nell’ultima ora, egli rispondeva: « Il mio Signore e Salvatore è morto sulla croce: lasciatemi almeno morire sulla cenere », e dalla cenere passò alla gloria dei Beati il 7 agosto 1547.

PRATICA. L’esempio di questo Santo ci ricorda l’insegnamento di Gesù Cristo: «Beati i poveri di spirito, perchè di essi è il regno dei cieli ».

PREGHIERA. O glorioso S. Gaetano, che hai amato il Signore con cuore puro ed ammirabile distacco dal mondo, intercedi presso Dio, affinchè noi pure, imitando le tue virtù, possiamo raggiungere la gloria.

MARTIROLOGIO ROMANO. San Gaetano da Thiene, sacerdote, che a Napoli si dedicò a pie opere di carità, in particolare adoperandosi per i malati incurabili, promosse associazioni per la formazione religiosa dei laici e istituì i Chierici regolari per il rinnovamento della Chiesa, rimettendo ai suoi discepoli il dovere di osservare l’antico stile di vita degli Apostoli.

Nome: San Gaetano Thiene
Titolo: Sacerdote
Nascita: 1 ottobre 1480
Morte: 7 agosto 1547
Ricorrenza: 7 agosto
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Napoli, Ponzano Veneto, Trezzo sull’Adda, Lizzano, Poggio Mirteto, Montemiletto, Ariano nel Polesine, Campo nell’Elba, Portopalo di Capo Passero, Serrastretta >>> altri comuni
Protettore: disoccupati

Vangelo Mt 17, 14-19:« In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile».

Vangelo Mt 17, 14-19 (Novus Ordo)
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, si avvicinò a Gesù un uomo che gli si gettò in ginocchio e disse: «Signore, abbi pietà di mio figlio! È epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e sovente nell’acqua. L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non sono riusciti a guarirlo».
E Gesù rispose: «O generazione incredula e perversa! Fino a quando sarò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo qui da me». Gesù lo minacciò e il demonio uscì da lui, e da quel momento il ragazzo fu guarito.
Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: «Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?». Ed egli rispose loro: «Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

Vetus Ordo

   Cap. CLXXIII. Quinto discorso della Montagna: l’uso delle ricchezze, l’elemosina, la fiducia in Dio.

  27 maggio 1945

 1 Lo stesso discorso della Montagna.
   La folla aumenta sempre, più i giorni passano. Vi sono uomini, donne, vecchi, bambini, ricchi, poveri. E sempre presente la coppia Stefano-Erma, per quanto ancora non aggregata e fusa ai vecchi discepoli capitanati da Isacco. E ancora vi è la nuova coppia, costituita ieri, del vecchione e della donna. Sono ben davanti, vicino al loro Consolatore, e i loro aspetti sono molto più sollevati di ieri. Il vecchio, quasi per rifarsi dei molti mesi o anni che fu trascurato dalla figlia, ha messo la sua mano rugosa sulle ginocchia della donna, e questa gliela carezza per quel bisogno innato della donna, moralmente sana, di essere materna.
   Gesù passa loro vicino per salire al suo rustico pulpito e nel passare carezza la testa del vecchione, che lo guarda come lo vedesse già in veste di Dio. Pietro dice qualcosa a Gesù, che gli fa un cenno come dire: «Non importa». Ma non capisco quello che dice l’apostolo, che però resta vicino a Gesù e al quale si uniscono poi Giuda Taddeo e Matteo. Gli altri si perdono fra la moltitudine.

 2 «La pace sia con tutti voi!
   Ieri ho parlato della preghiera, del giuramento, del digiuno. Oggi vi voglio istruire su altre perfezioni. Sono anche esse preghiera, fiducia, sincerità, amore, religione.
   La prima di cui parlo è il giusto uso delle ricchezze, mutate, per buona volontà del servo fedele, in altrettanti tesori del Cielo. I tesori della terra non durano. Ma i tesori del Cielo sono eterni. Avete in voi l’amore a ciò che è vostro? Vi fa pena il morire perché non potete più curare i vostri beni e li dovete lasciare? E allora trasponeteli in Cielo! Voi dite: “Nel Cielo non entra ciò che è della terra e Tu insegni che il denaro è la cosa più lurida della terra. Come possiamo allora trasportarlo in Cielo? “. No. Non potete portare le monete, materiali quali sono, nel Regno dove tutto è spirito. Ma potete portare il frutto delle monete.
   Quando voi date ad un banchiere il vostro oro, perché lo date? Perché lo faccia fruttare. Non ve ne private certo, sebbene momentaneamente, perché egli ve lo renda tal quale. Ma volete che su dieci talenti egli ve ne renda dieci più uno, o più ancora. Allora siete felici e lodate il banchiere. Altrimenti dite: “Costui è un onesto, ma è uno sciocco”. E se poi, invece dei dieci più uno, ve ne dà nove dicendo: “Ho perduto il resto”, voi lo denunciate e lo gettate in prigione. Cosa è il frutto del denaro? Semina forse il banchiere i vostri denari e li annaffia per farli crescere? No. Il frutto è dato da un accorto maneggio di affari, di modo che, e con ipoteche e con prestiti a interesse, il denaro si aumenti dell’aggio giustamente richiesto per il favore dell’oro prestato. Non è così?
   Ora dunque udite. Dio vi dà le ricchezze terrene. A quali molte, a quali appena quante necessitano al vivere, e vi dice: “Ora a te. Io te le ho date. Fai di questi mezzi un fine quale il mio amore lo desidera per tuo bene. Io te le affido. Ma non perché tu te ne faccia un male. Per la stima che ho in te, per riconoscenza dei miei doni, tu fa’ fruttare, e per questa vera Patria, i tuoi beni.

 3 Ed ecco il metodo per giungere a questo fine.
   Non vogliate accumulare i vostri tesori sulla terra, vivendo per essi, essendo crudeli per essi, essendo maledetti dal prossimo e da Dio per essi. Non merita. Sono sempre insicuri quaggiù. I ladri possono sempre derubarvi. Il fuoco può distruggervi le case. Le malattie delle piante o delle mandre sterminarvi greggi e frutteti. Quante cose insidiano i beni! Siano essi immobili e inattaccabili, come le case e l’oro; o siano soggetti ad essere lesi nella loro natura, come tutto quanto vive, come sono i vegetali e gli animali; e persino siano le stoffe preziose, possono essere soggetti a menomazione. Il fulmine sulle case, e le fiamme e le acque; e i ladri, la ruggine, la siccità, i roditori, gli insetti sui campi; il capostorno, le febbri, le scosciature, le morve negli animali; le tignole e i topi nelle stoffe preziose e nei mobili pregiati; l’erosione delle ossidazioni nei vasellami, e lumiere, e cancelli artistici; tutto, tutto è soggetto a menomazione.
   Ma se voi di tutto questo bene terreno fate un bene soprannaturale, ecco che esso è salvo da ogni lesione del tempo, degli uomini e delle intemperie. Fatevi delle borse in Cielo, là dove non entrano ladri e dove non accadono sventure. Lavorate con l’amore misericordioso verso tutte le miserie della terra. Accarezzate, sì, le vostre monete, baciatele anche, se volete, giubilate per le messi che prosperano, per i vigneti carichi di grappoli, per gli ulivi che si piegano sotto il peso di infinite ulive, per le pecore dal fecondo seno e dalle turgide mammelle. Fate tutto ciò. Ma non sterilmente. Non umanamente. Fatelo con amore e ammirazione, con godimento e calcolo soprannaturale.
   “Grazie, mio Dio, di questa moneta, di queste messi, di queste piante, di queste pecore, di questi commerci! Grazie, pecore, piante, prati, commerci, che mi servite così bene. Siate benedetti tutti, perché per tua bontà, o Eterno, e per vostra bontà, o cose, ecco che io posso fare tanto bene a chi ha fame, a chi è ignudo, senza tetto, malato, solo… Lo scorso anno feci per dieci. Quest’anno – poiché, per quanto io abbia dato molto in elemosina, ho maggior denaro e più pingui sono i raccolti e numerosi i greggi – ecco che io darò due, tre volte, quanto diedi lo scorso anno. Perché tutti, anche i derelitti di ogni bene loro proprio, godano della mia gioia e benedicano, con me, Te, Signore eterno”. Ecco la preghiera del giusto. Quella preghiera che, unita all’azione, trasporta i vostri beni in Cielo, e non solo ve li conserva eternamente, ma ve li fa trovare aumentati dei frutti santi dell’amore.
   Abbiate il vostro tesoro in Cielo per avere là il vostro cuore al disopra e al di là del pericolo che non solo l’oro, le case, i campi, le greggi possano subire sventura, ma che sia insidiato il vostro stesso cuore e derubato, corroso, bruciato, ucciso dallo spirito del mondo. Se così farete avrete il vostro tesoro nel vostro cuore perché avrete Dio in voi fino al giorno beato in cui voi sarete in Lui.

 4 Però, per non diminuire il frutto della carità, badate di essere caritatevoli con spirito soprannaturale. Come ho detto per la preghiera e il digiuno, così dico per la beneficenza e di ogni altra opera buona che possiate fare. Conservate il bene che fate dalla violazione del senso del mondo, conservatelo vergine da umana lode.
   Non profanate la rosa profumata, vero incensiere di profumi grati al Signore, della vostra carità e del vostro agire buono. Profana il bene lo spirito di superbia, il desiderio di esser notati nel fare il bene e la ricerca della lode. La rosa della carità allora viene sbavata e corrosa dai lumaconi viscidi dell’orgoglio soddisfatto, e nell’incensiere cadono fetide paglie della lettiera su cui il superbo si crogiola come bestia ben pasciuta.
   Oh! quelle beneficenze fatte per esser citati! Ma meglio, meglio non farle affatto! Chi non fa pecca di durezza. Chi fa, facendo conoscere e la somma data e il nome di chi l’ha avuta, e mendicando la lode, pecca di superbia col rendere nota l’offerta, ossia dice: “Vedete quanto io posso?”, pecca di anticarità perché mortifica il beneficato col rendere noto il suo nome, pecca di avarizia spirituale volendo accumulare lodi umane… Paglie, paglie, non di più che paglie. Fate che vi lodi Dio coi suoi angeli.
   Voi, quando fate elemosina, non suonate la tromba davanti a voi per attirare l’attenzione del passante ed essere onorato come gli ipocriti, che vogliono l’applauso degli uomini e perciò fanno elemosina solo là dove possono essere visti da molti. Anche questi hanno già avuto la loro mercede e non ne avranno altra da Dio. Voi non incorrete nella stessa colpa e nella stessa presunzione. Ma quando fate elemosina non sappia la vostra sinistra quel che fa la destra, tanto nascosta e pudica è la vostra elemosina, e poi dimenticatevene. Non state a rimirarvi l’atto compiuto, gonfiandovi di esso come fa il rospo, che si rimira coi suoi occhi velati nello stagno e che, posto che vede riflessi nell’acqua ferma le nuvole, gli alberi, il carro fermo presso la riva, e vede lui così piccino rispetto a quelli così grossi, si empie d’aria fino a scoppiare. Anche la vostra carità è un nulla rispetto all’Infinito che è la Carità di Dio, e se voleste divenire simili a Lui e rendere la vostra carità piccina, grossa, grossa, grossa per uguagliare la sua, vi empireste di vento d’orgoglio e finireste per perire.   
 Dimenticatevene. Dell’atto in se stesso dimenticatevene. Vi resterà sempre presente una luce, una voce, un miele, e vi farà luminoso il giorno, dolce il giorno, beato il giorno. Perché quella luce sarà il sorriso di Dio, quel miele la pace spirituale che è ancora Dio, quella voce la voce del Padre-Dio che vi dirà: “Grazie”. Egli vede il male occulto e vede il bene nascosto, e ve ne darà ricompensa. Io ve lo… »

 5 «Maestro, Tu menti alle tue parole!».
   L’insulto, astioso e improvviso, viene dal centro della folla. Tutti si volgono in direzione della voce. Vi è della confusione.
   Pietro dice: «Te lo avevo detto! Eh! quando c’è uno di quelli lì… non va più bene niente!». 
   Fra la folla partono fischi e mormorii verso l’insultatore. Gesù è il solo che resti calmo. Ha incrociato le braccia sul petto e sta alto, col sole in fronte, ritto sul suo masso, nel suo abito azzurro cupo. L’insultatore continua, incurante della reazione della folla: «Sei un cattivo maestro perché insegni ciò che non fai e…». 
   «Taci! Va’ via! Vergognati!» urla la folla. E ancora: «Vai dai tuoi scribi! A noi ci basta il Maestro. Gli ipocriti con gli ipocriti! Falsi maestri! Strozzini!…» e continuerebbero, ma Gesù tuona: «Silenzio! Lasciatelo parlare» e la gente non urla più, ma bisbiglia i suoi improperi conditi da occhiate feroci. 
   «Sì. Tu insegni ciò che non fai. Dici che si deve fare elemosina senza essere visti e ieri, alla presenza di tutto un popolo, hai detto a due poveri: “Rimanete e vi sfamerò»
   «Ho detto: “Rimangano i due poverelli. Saranno gli ospiti benedetti e daranno sapore al nostro pane”. Non di più. Non ho significato di volerli sfamare. Quale è quel povero che almeno non ha un pane? La gioia era dì dar loro amicizia buona». 
   «Eh! già! Sei astuto e sai fare l’agnello!…». 
   Il vecchione si alza, si volta e alzando il suo bastone grida: «Lingua infernale che accusi il Santo, credi forse di sapere tutto e di potere accusare per ciò che sai? Come ignori chi è Dio e chi è Colui che tu insulti, così ignori le sue azioni. Solo gli angeli e il mio cuore giubilante lo sanno. Udite, uomini, udite tutti, e sappiate se Gesù è il mentitore e il superbo che questo avanzo del Tempio vuol dire. Egli…»
   «Taci, Ismaele! Taci per amor mio! Se ti ho fatto felice, fammi felice tacendo» lo prega Gesù.
   «Ti ubbidisco, Figlio santo. Ma lasciami dire questo solo: la benedizione del vecchio israelita fedele è su di Lui che mi ha beneficato da Dio, e Dio l’ha messa sulle mie labbra per me e per Sara, mia figlia novella. Ma sul tuo capo non sarà benedizione. Io non ti maledico. Non sporco la mia bocca, che deve dire a Dio: “Accoglimi”, con una maledizione. Non l’ho avuta neppure per chi mi ha rinnegato, e già ne ho ricompensa divina. Ma ci sarà chi fa le veci dell’Innocente accusato e di Ismaele, amico di Dio che lo benefica».
   Un coro di urli fa chiusa al discorso del vecchio che si siede di nuovo, e un uomo se la svigna e se ne va, inseguito da improperi. E poi la folla grida a Gesù: «Continua, continua, Maestro santo! Noi non ascoltiamo che Te, e Tu ascolta noi. Non quei corvi maledetti! E’ gelosia la loro. Perché ti amiamo più di loro! Ma in Te è santità, in loro cattiveria. Parla, parla! Vedi che non ci punge più altro desiderio che la tua parola. Case, commerci? Nulla per udire Te!». 
   «Sì, parlo. Ma non ve la prendete. Pregate per quegl’infelici. Perdonate come Io perdono. Perché se perdonerete agli uomini i loro falli, anche il vostro Padre dei Cieli vi perdonerà i vostri peccati. Ma se avrete rancore e non perdonerete agli uomini, nemmeno il Padre vostro vi perdonerà le vostre mancanze. E tutti hanno bisogno di perdono.

 6 Vi dicevo che Dio vi darà ricompensa anche se voi non gli chiedete premio per il bene fatto. Ma voi non fate il bene per avere ricompensa, per avere una mallevadoria per il domani. Non fate il bene misurato e trattenuto dalla tema: “E poi, per me, ne avrò ancora? E se non avrò più nulla chi mi aiuterà? Troverò chi mi fa ciò che ho fatto? E quando non potrò più dare, sarò ancora amato? “.
   Guardate: Io ho amici potenti fra i ricchi e amici fra i miseri della terra. E in verità vi dico che non sono gli amici potenti i più amati. Vado da quelli non per amore di Me e per mio utile. Ma perché da essi posso avere molto per chi non ha nulla. Io sono povero. Non ho nulla. Vorrei avere tutti i tesori del mondo e mutarli in pane per chi ha fame, in tetto per chi è senza tetto, in vesti per chi è ignudo, in medicine per chi è malato. Voi direte: “Tu puoi guarire”. Sì. Questo ed altro posso. Ma non sempre è la fede negli altri, ed Io non posso fare ciò che farei e che vorrei fare se trovassi della fede nei cuori per Me. Io vorrei beneficare anche questi che non hanno fede. E posto che non chiedono il miracolo al Figlio dell’uomo vorrei, da uomo ad uomo, dar loro soccorso. Ma non ho nulla. Per questo Io tendo la mano a chi ha e chiedo: “Fammi la carità, in nome di Dio”. Ecco perché Io ho amicizie in alto. Domani, quando Io non sarò più sulla terra, ancora vi saranno i poveri, ed Io non ci sarò né a compiere miracolo per chi ha fede, né a fare elemosina per portare alla fede. Ma allora i miei amici ricchi avranno imparato, al mio contatto, come si fa a beneficare, e i miei apostoli avranno, pure dal mio contatto, imparato a elemosinare per amore dei fratelli. E i poveri avranno sempre un soccorso.
   Ebbene, ieri Io, da uno che non ha nulla, ho avuto più di quanto mi hanno dato tutti coloro che hanno. E un amico povero quanto Me. Ma mi ha dato una cosa che non si compera con nessuna moneta e che mi ha fatto felice, riportandomi tante ore serene della mia fanciullezza e giovinezza, quando ogni sera sul mio capo si imponevano le mani del Giusto ed Io andavo al riposo con la sua benedizione per custode del mio sonno. Ieri questo mio amico povero mi ha fatto re con la sua benedizione. Vedete che ciò che lui mi ha dato nessuno dei miei amici ricchi me l’ha mai dato. Perciò non temete. Anche se non avrete più potenza di denaro, solo che abbiate amore e santità, potrete beneficare chi è povero, stanco o afflitto.

 7 E perciò vi dico: non siate troppo solleciti per tema di avere poco. Avrete sempre il necessario. Non siate troppo preoccupati pensando al futuro. Nessuno sa quanto futuro ha ancora davanti. Non siate in pensiero per quello che mangerete per sostenervi nella vita, né di che vi vestirete per tenere caldo il vostro corpo. La vita del vostro spirito è ben più preziosa del ventre e delle membra, vale molto più del cibo e del vestito, così come la vita materiale è più del cibo e il corpo più della veste. E il Padre vostro lo sa. Sappiatelo dunque anche voi. Guardate gli uccelli dell’aria: non seminano, non mietono, non raccolgono in granai, eppure non muoiono di fame perché il Padre celeste li nutre. Voi uomini, creature predilette del Padre, valete molto più di loro.
   Chi di voi, con tutto il suo ingegno, può aggiungere alla sua statura un sol cubito? Se non riuscite ad alzare la vostra statura neppure di un palmo, come potete pensare di mutare le vostre condizioni future, aumentando le vostre ricchezze per garantirvi una lunga e prospera vecchiaia? Potete dire alla morte: “Tu mi verrai a prendere quando io vorrò”? Non potete. A che, allora, preoccuparvi del domani? E perché avere tanta pena per tema dì rimanere senza vesti? Guardate come crescono i gigli del campo: non faticano, non filano, non vanno dai venditori di panni a fare acquisti. Eppure vi assicuro che nemmeno Salomone con tutta la sua gloria fu mai vestito come uno di loro. Ora se Dio riveste così l’erba del campo, che oggi è e domani serve a scaldare il forno o a pasturare il gregge e finisce in cenere o in sterco, quanto più provvederà voi, figli suoi.
   Non siate gente di poca fede. Non vi angosciate per un futuro incerto, dicendo: “Quando sarò vecchio come mangerò? Che berrò? Come mi vestirò?”. Queste preoccupazioni lasciatele ai gentili che non hanno l’alata certezza della paternità divina. Voi l’avete e sapete che il Padre sa i vostri bisogni e che vi ama. Fidate dunque in Lui. Cercate prima le cose veramente necessarie: la fede, la bontà, la carità, l’umiltà, la misericordia, la purezza, la giustizia, la mansuetudine, le tre e le quattro virtù principali, e tutte, tutte le altre ancora, dì modo da essere amici di Dio e di avere diritto al suo Regno. E vi assicuro che tutto il resto vi sarà dato per giunta senza che neppure lo chiedìate. Non vi è ricco più ricco del santo, e sicuro più sicuro di esso. Dio è col santo. Il santo è con Dio. Per il suo corpo non chiede, e Dio lo provvede del necessario. Ma lavora per il suo spirito, ed a questo Dio dà Se stesso, qui, e il Paradiso oltre la vita.
   Non mettetevi dunque in pena per ciò che non merita la vostra pena. Affliggetevi di essere imperfetti, non di essere scarsi di beni terreni. Non crucciatevi per il domani. Il domani penserà a se stesso, e voi ad esso penserete quando lo vivrete. Perché pensarvi da oggi? Non è già abbastanza piena dei ricordi penosi di ieri, e dei pensieri crucciosi di oggi, la vita, per sentire bisogno di mettervi anche gli incubi dei “che sarà?” del domani? Lasciate ad ogni giorno il suo affanno! Ve ne saranno sempre più di quante ne vorremmo di pene nella vita, senza aggiungere pene presenti a pene future! Dite sempre la grande parola di Dio: “Oggi”. Siete suoi figli, creati secondo la sua somiglianza. Dite dunque con Lui: “Oggi”.
   E oggi Io vi do la mia benedizione. Vi accompagni fino all’inizio del nuovo oggi, di domani, ossia di quando vi darò nuovamente la pace in nome di Dio».

   Cap. CLXXIV. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.

  29 maggio 1945

 1 In una mattinata splendida, di un nitore d’aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro. Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l’aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall’alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d’onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno riti nella loro veste dì petali – e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo – gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
   L’Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall’alabastro scendono due fili di diamante – da qui sembrano fili – dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d’acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell’altro mare del cielo.
   Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest’ora mattutina.

 2 E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.
   Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!». 
   Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
   Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l’aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
   Lo imita l’Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all’obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l’occhio del Maestro legge nei cuori». 
   La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.

 3 Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
   Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina dì frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l’antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l’imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
   Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli. La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
   «Vorrei parlare col Maestro…»
   «Hai del male? Povera non sei…»
   «Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui… perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia… e la mia…» e piange.
   «Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
   Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere…». La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere… Giovanni, fa’ di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
   E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l’uno che l’altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.

 4 Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. 
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto…».
   «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va’ a dire loro che abbiano fede».
   Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: «Come ti chiami?» le chiede Gesù.
   «Maria».
   «Ed Io come mi chiamo?».
   «Gesù» risponde la bambina.
   «E chi sono?».
   «Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
   «Chi te lo ha detto?».
   «La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
   «Vivi e sii buona». 
   La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche – si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle – sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
   I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».

 5 Gesù va verso la tettoia.
   Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
   Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
   «Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
   «Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l’ultimo ha due anni… Il mio dolore è grande… e penso ai figli… Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo almeno, lo vorrà… Ed io che l’ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro…»
   «Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
   «Ma… non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
   Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
   La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.

 6 Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco… e poi… Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà… Io… solo le tue parole, che ho udito l’inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l’ha già maledetta».
   «No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
   «Che Tu la ravveda».
   «Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
   «Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili… Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede”. Ce l’ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
   «Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
   «Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene… ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro… Ma ho tanta paura… La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
   Gesù sorride e crolla il capo… ma accontenta l’uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo.
   Ma credi che quando Dio dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.

 7 Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c’era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l’hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
   Gesù lo guarda ben fisso e sorride. «Perché sorridi, Maestro?».
   «Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.»
   «Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
   «Lo so. Ma era molto vecchio… Sono le malattie dei vecchi… Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l’ha fatta vibrare e l’hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
   «No, Signore, neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
   «E se ti levano del denaro».
   «Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto… non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro… Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
   «Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
   E anche questo se ne va contento.

 8 Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
   «La pace sia con voi.
   Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l’altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l’altro nell’altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l’uno dall’altro, l’uno andando verso Cafarnao, l’altro verso Tolemaide.
   La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
   Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
   Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
   Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
   Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
   Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odìerà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.

 9 Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
   Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
   Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
   Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro – perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto – tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.

 10 Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore.
   Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
   Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno.
   Onde Io vi dico…»

   (E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

__________________________________________________________________________

  12 agosto 1944

 11 Dice Gesù: 

   «Guarda e scrivi. É Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».

   Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
   La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade – perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche dìamante rugiadoso sperso fra i suoi steli – paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
   La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
   Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordìoso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…».

 12 Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. E serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle. 
   «Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d’uomo. «Fate largo alla bellezza che passa»… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedìle Maria dì Magdala, gran peccatrice ancora.
   E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo.
   Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla. 
   «Ecco accontentata la dea» dice il romano. «Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
   Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
   E’ bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
   Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
   Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.

 13 Gesù riprende: «Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
   Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno – il cuore – l’impurità.
   Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
   Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
   Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda? Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
   Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…»

 14 Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.

   Non vedo altro. Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».

  (29 maggio 1945.)

 15 Gesù riprende: «Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
   La folla grida: «Sì, si. Con Te » e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
   Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
   «Ma… ce ne andiamo proprio?».
   «Sì».
   «Perché è venuta lei?… »
   «Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani… »
   «Capisco, capisco…»
   «Allora però capisci anche un’altra cosa ».
   «Quale, Maestro?».
   «La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
   «Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…»
   «E per altri ancora».
   «Pensi che ce ne saranno oggi?».
   «Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
   Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.

 16 L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
   «Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
   «Non ho fame. E neppure Tu».
   «Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
   «No, Maestro. Stanco…»
   «Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…».
   Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
   «Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
   «Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E’ peccato aver bisogno di dormire?».
   «No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
   «Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
   «Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
   Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
   Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.

 17 «Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te”.»
   «Ma Pietro!».
   «No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
   Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
   «Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
   «A chi?».
   «A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
   «Ma benissimo!».
   «Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
   Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
   «Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
   «E’ vero! E’ venerdì!» dicono in diversi.
   «Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro». Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
   «Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
   Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.

 18 Gesù sorride e comincia a parlare.
   «Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato. Cosa è l’adulterio? É il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
   Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo cavatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. E’ vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.

 19 Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio” Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
   Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
   Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio “. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
   Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.

 20 Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente.. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
   La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
   Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli iguari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.

 21 Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!

 22 Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».
   Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
   E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita. 

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani…»).

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

Novus Ordo

   Cap. CCCXLIX. La Trasfigurazione sul monte Tabor e l’epilettico guarito ai piedi del monte. Un commento per i prediletti.

   3 Dicembre 1945

 1 Chi mai fra gli uomini non ha visto, almeno per una volta, un’alba serena di marzo? Se quest’uno c’è, è un grande infelice, perché ignora una delle grazie più belle della natura risvegliata da primavera, tornata vergine, fanciulla, quale doveva esserlo nel primo giorno.
   In questa grazia, che è pura in ogni suo aspetto e cosa – dalle erbe novelle e rugiadose ai fioretti che si dischiudono, come bimbi che nascono, al primo ridere della luce del giorno; agli uccelli che si destano con un frullo d’ali e dicono il primo cip? interrogativo, preludio a tutti i loro canori discorsi della giornata; all’odore stesso dell’aria che ha perduto nella notte, per il lavacro delle rugiade e l’assenza dell’uomo, ogni corruzione di polvere, fumo e sentore di corpi umani – vanno Gesù, gli apostoli e i discepoli. È con essi anche Simone d’Alfeo.
   Vanno in direzione sud-est, valicando i colli che fanno corona a Nazaret, superando un torrente, traversando una pianura stretta fra i colli nazareni e un gruppo di monti verso est.

 2 Questi monti sono preceduti dal cono semimonco del Tabor che mi ricorda stranamente, nella sua vetta, la lucerna dei nostri carabinieri vista di profilo.

   Lo raggiungono.
   Gesù si ferma e dice: «Pietro, Giovanni e Giacomo di Zebedeo vengano con Me sul monte. Voi spargetevi alla sua base, dividendovi verso le strade che la costeggiano, e predicate il Signore. Verso sera voglio essere di nuovo a Nazaret. Non allontanatevi dunque molto. La pace sia con voi». E volgendosi ai tre chiamati dice: «Andiamo».
   E prende la salita senza più volgersi indietro e con un passo così sollecito che fa faticare Pietro a stargli dietro.
   In un momento di sosta Pietro, rosso e sudato, gli chiede col fiato grosso: «Ma dove andiamo? Non ci sono case sul monte. Sulla cima quella vecchia fortezza. Vuoi andare a predicare la?».
   «Avrei preso l’altro versante. Ma tu vedi che gli volgo le spalle. Non andremo alla fortezza, e chi è in essa non ci vedrà neppure. Vado ad unirmi col Padre mio, e vi ho voluti con Me perché vi amo. Su, lesti!».
   «Oh! mio Signore! Non potremo andare un poco più adagio, invece, e parlare di quanto abbiamo sentito e visto ieri, che ci ha tenuti desti tutta la notte per parlarne?».
   «Agli appuntamenti di Dio si va sempre veloci. Forza Simon Pietro! Lassù vi farò riposare». E riprende a salire…


 3 
Dice Gesù: 
   
«Qui innestate la Trasfigurazione avuta il 5 agosto 1944, ma senza il dettato unito alla stessa. Finito di copiare la Trasfigurazione dello scorso anno, P.M. copierà ciò che ti mostro ora».

   5 Agosto 1944

 4 Sono col mio Gesù su un alto monte. Con Gesù sono Pietro, Giacomo e Giovanni. Salgono ancor più in alto e l’occhio spazia per aperti orizzonti che un bel giorno sereno rende netti nei particolari fin nelle lontananze.
   Il monte non fa parte di un sistema montano come è quello della Giudea; sorge isolato avendo, rispetto al luogo dove ci troviamo, l’oriente in faccia, il nord alla sinistra, il sud a destra e dietro, a ovest, la vetta che si alza di ancora qualche centinaio di passi.
   È molto elevato e l’occhio è libero di vedere per un largo raggio. Il lago di Genezaret pare un lembo di cielo sceso a incastonarsi fra il verde della terra, una turchese ovale chiusa da smeraldi di diverse gradazioni, uno specchio che tremula e si increspa a un vento lieve e sul quale scivolano, con agilità di gabbiani, le barche dalle vele spiegate, leggermente curvate verso l’onda azzurrina, proprio con la grazia del volo candido di un alcione, scorrente l’onda in cerca di preda. Poi ecco che dalla vasta turchese esce una vena, di azzurro più pallido là dove il greto è più ampio, e più scuro là dove le rive si stringono e l’acqua è più profonda e cupa per l’ombra che vi gettano gli alberi che crescono vigorosi presso il fiume, nutriti dal suo umore. Il Giordano pare una pennellata quasi rettilinea nel verde della pianura.
   Dei paeselli sono sparsi per la pianura al di qua e al di là del fiume. Alcuni sono proprio un pugno di case, altri sono più vasti, già arieggianti a cittadine. Le vie maestre sono rughe giallognole fra il verde. Ma qua, dalla parte del monte, la pianura è molto più coltivata e fertile, molto bella. Si vedono le diverse colture coi loro diversi colori ridere al bel sole che scende dal cielo sereno.
   Deve essere primavera, forse marzo, se calcolo la latitudine della Palestina, perché vedo i grani già alti, ma ancora verdi, ondulare come un mare glauco, e vedo i pennacchi dei più precoci fra gli alberi da frutto mettere come delle nuvolette bianche e rosee su questo piccolo mare vegetale, poi prati tutti in fiore per gli alti fieni sui quali pecorelle pascolanti paiono mucchietti di neve ammucchiata qua e là sul verde.
   Proprio vicino al monte, sulle colline che ne sono la base, basse e brevi colline, sono due cittadine, una verso sud, una verso nord. La pianura fertilissima si estende specialmente e più ampiamente verso il sud.

 5 Gesù, dopo una breve sosta al fresco di un ciuffo di alberi, certo concessa per pietà di Pietro che nelle salite fatica palesemente, riprende a salire. Va fin quasi sulla vetta, là dove è un pianoro erboso che ha un semicerchio di alberi verso la costa. 
   «Riposate, amici. Io vado là a pregare». E accenna con la mano ad un ampio sasso, una roccia che affiora dal monte e che si trova perciò non verso la costa ma verso l’interno, la vetta.
   Gesù si inginocchia sulla terra erbosa e appoggia le mani e il capo al masso, nella posa che prenderà anche nella preghiera al Getsemani. Il sole non lo colpisce perché la vetta lo ripara. Ma il resto dello spiazzo erboso è tutto lieto di sole, sino al limite d’ombra dello scrimolo alberato sotto il quale si sono seduti gli apostoli.
   Pietro si leva i sandali e se ne scuote via polvere e sassolini e sta così, scalzo, coi piedi stanchi fra l’erba fresca, quasi steso, col capo su un ciuffo smeraldino che sporge più degli altri sulla sua zolla come un guanciale. Giacomo lo imita, ma per stare comodo cerca un tronco d’albero al quale appoggia il suo mantello e su questo le spalle. Giovanni resta seduto e osserva il Maestro. Ma la calma del luogo, il venticello fresco, il silenzio e la stanchezza vincono anche lui, e la testa gli si abbassa sul petto e così le palpebre sugli occhi. Non dormono profondamente nessuno dei tre, ma sono in quella sonnolenza estiva che intontisce.

 6 Li scuote una luminosità così viva che annulla quella del sole e dilaga e penetra fin sotto il verde dei cespugli e alberi sotto cui si sono messi.
   Aprono gli occhi stupiti e vedono Gesù Trasfigurato. Egli è ora tale e quale come lo vedo nelle visioni del Paradiso. Naturalmente senza le Piaghe e senza il vessillo della Croce. Ma la Maestà del volto e del corpo è uguale, uguale ne è la luminosità, e uguale la veste che da un rosso cupo si è mutata nel diamantifero e perlifero tessuto immateriale che lo veste in Cielo. Il suo viso è un sole dalla luce siderale ma intensissima, nel quale raggiano gli occhi di zaffiro. Sembra più alto ancora, come la sua glorificazione ne avesse aumentato la statura. Non saprei dire se la luminosità, che rende perfino fosforescente il pianoro, provenga tutta da Lui o se alla sua propria si mesca quella che ha concentrata sul suo Signore tutta la luce che è nell’universo e nei cieli. So che è qualche cosa di indescrivibile.  
   Gesù è ora in piedi, direi anzi che è alzato da terra, perché fra lui e il verde del prato vi è come un vaporare di luce, uno spazio dato unicamente da una luce sul quale pare Egli si erga. Ma è tanto viva che potrei anche ingannarmi, e il non vedere più il verde dell’erba sotto le piante di Gesù potrebbe esser provocato da questa luce immensa che vibra e fa onde come si vede talora nei grandi fuochi. Onde, qui, di un colore bianco,incandescente. Gesù sta col Volto alzato verso il cielo e sorride ad una sua visione che lo sublima.
   Gli apostoli ne hanno quasi paura e lo chiamano, perché non pare più a loro che sia il loro Maestro tanto è trasfigurato. «Maestro, Maestro», chiamano piano ma con ansia.
   Egli non sente. 
   «È in estasi», dice Pietro tremante. «Che vedrà mai?».
   I tre si sono alzati in piedi. Vorrebbero accostarsi a Gesù, ma non osano.

 7 La luce aumenta ancora per due fiamme che scendono dal cielo e si collocano ai lati di Gesù. Quando sono stabilite sul pianoro, il loro velo si apre e ne appaiono due maestosi e luminosi personaggi. L’uno più anziano, dallo sguardo acuto e severo e da una lunga barba bipartita. Dalla sua fronte partono corni di luce che me lo indicano per Mosè. L’altro è più giovane, scarno, barbuto e peloso, su per giù come il Battista, al quale direi assomiglia per statura, magrezza, conformazione e severità. Mentre la luce di Mosè è candida come è quella di Gesù, specie nei raggi della fronte, quella che emana Elia è solare, di fiamma viva.
   I due Profeti prendono una posa di riverenza davanti al loro Dio Incarnato e, sebbene Questi parli loro con famigliarità, essi non abbandonano la loro posa riverente. Non comprendo neppure una delle parole dette.
   I tre apostoli cadono a ginocchio tremanti, col volto fra le mani. Vorrebbero vedere ma hanno paura.
   Finalmente Pietro parla: «Maestro, Maestro. Odimi». Gesù gira lo sguardo con un sorriso verso il suo Pietro, che si rinfranca e dice: «E’ bello stare qui con Te, Mosè e Elia. Se vuoi facciamo tre tende per Te, per Mosè e per Elia, e noi stiamo qui a servirti… ».
   Gesù lo guarda ancora e sorride più vivamente. Guarda anche Giovanni e Giacomo. Uno sguardo che li abbraccia con amore. Anche Mosè e Elia guardano i tre fissamente. I loro occhi balenano. Devono essere come raggi che penetrano i cuori. 
   Gli apostoli non osano dire altro. Intimoriti, tacciono. Sembrano un poco ebbri come chi è sbalordito. Ma quando un velo che non è nebbia, che non è nuvola, che non è raggio, avvolge e separa i Tre gloriosi dietro uno schermo ancor più lucido di quello che già li circondava e li nasconde alla vista dei tre, e una Voce
potente e armonica vibra ed empie di sé lo spazio, i tre cadono col volto contro l’erba.
   «Questo è il mio Figliuolo diletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo».
   Pietro nel gettarsi bocconi esclama: «Misericordia di me, peccatore! È la Gloria di Dio che scende!». Giacomo non fiata. Giovanni mormora con un sospiro, come fosse prossimo a svenire: «Il Signore parla!».

 8 Nessuno osa alzare la testa anche quando il silenzio si è rifatto assoluto. Non vedono perciò neppure il tornare della luce alla sua naturalezza di luce solare e mostrare Gesù rimasto solo e tornato il Gesù solito nella sua veste rossa.
   Egli cammina verso loro sorridendo e li scuote e tocca e chiama per nome.
   «Alzatevi. Sono Io. Non temete», dice, perché i tre non osano alzare il volto e invocano misericordia sui loro peccati, temendo che sia l’Angelo di Dio che vuol mostrarli all’Altissimo. 
   «Levatevi, dunque. Ve lo comando», ripete Gesù con imperio. Essi alzano il volto e vedono Gesù che sorride.
   «Oh! Maestro, Dio mio!», esclama Pietro. «Come faremo a viverti accanto ora che abbiamo visto la tua glo-ria? Come faremo a vivere fra gli uomini, e noi, uomini peccatori, ora che abbiamo udito la voce di Dio?».
   «Dovrete vivermi accanto e vedere la mia gloria sino alla fine. Siatene degni perché il tempo è vicino. Ubbidite al Padre mio e vostro. Torniamo ora fra gli uomini, perché sono venuto per stare fra essi e per portare a essi Dio. Andiamo. Siate santi per ricordo di quest’ora, forti, fedeli. Avrete parte alla mia più completa gloria. Ma non parlate ora di questo che avete visto ad alcuno. Neppure ai compagni. Quando il Figlio dell’uomo sarà risuscitato dai morti e tornato nella gloria del Padre, allora parlerete. Perché allora occorrerà credere per aver parte nel mio Regno».
   «Ma non deve venire Elia per preparare al tuo Regno? I rabbi dicono così».
   «Elia è già venuto ed ha preparato le vie al Signore. Tutto avviene come è stato rivelato. Ma coloro che insegnano la rivelazione non la conoscono e non la comprendono, e non vedono e riconoscono i segni dei tempi e i messi di Dio. Elia è tornato una volta. La seconda verrà quando il tempo ultimo sarà vicino per preparare gli ultimi a Dio. Ma ora è venuto per preparare i primi al Cristo, e gli uomini non lo hanno voluto riconoscere e lo hanno tormentato e messo a morte. Lo stesso faranno col Figlio dell’uomo, perché gli uomini non vogliono riconoscere ciò che è loro bene».
   I tre chinano la testa pensosi e tristi, e scendono per la via dalla quale sono saliti insieme a Gesù.

   [3 Dicembre 1945]

 9 … Ed è ancora Pietro che dice, in una sosta a mezza via: «Ah! Signore! Dico anche io come tua Madre ieri: “Perché ci hai fatto questo?”; e anche dico: “Perché ci hai detto questo?”. Le tue ultime parole hanno cancellato la gioia della gloriosa vista dai nostri cuori! Gran giorno di paure questo! Prima ci ha fatto paura la grande luce che ci ha destati, più forte che se il monte ardesse o che se la luna fosse scesa a raggiare sul ripiano, sotto i nostri occhi; poi il tuo aspetto e il tuo staccarti dal suolo come fossi per volare via. Ho avuto paura che Tu, disgustato dalle nequizie di Israele, te ne tornassi ai Cieli, magari per ordine dell’Altissimo. Poi ho avuto paura di vedere apparire Mosè, che i suoi del suo tempo non potevano più vedere senza velo tanto splendeva sul suo volto il riflesso di Dio, e ancora era uomo, mentre ora è spirito beato e acceso di Dio, e Elia… Misericordia divina! Ho creduto essere giunto al mio ultimo momento, e tutti i peccati della mia vita, da quando rubavo le frutta nella dispensa da piccino, all’ultimo di averti mal consigliato giorni or sono, mi sono venuti alla mente. Con che tremore me ne sono pentito! Poi mi parve che mi amassero quei due giusti… e ho osato parlare. Ma anche il loro amore mi faceva paura, perché io non merito l’amore di simili spiriti. E dopo… e dopo!… La paura delle paure! La voce di Dio!… Geové che ha parlato! A noi! Ci ha detto: “Ascoltatelo!”. Tu. E ti ha proclamato “suo Figlio diletto nel quale Egli si compiace”. Che paura! Geové!… a noi!… Certo solo la tua forza ci ha tenuti in vita!… Quando Tu ci hai toccato, e le tue dita ardevano come punte di fuoco, io ho avuto l’ultimo spavento. Ho creduto che fosse l’ora di essere giudicato e che l’Angelo mi toccasse per prendermi l’anima e portarla all’Altissimo… Ma come ha fatto tua madre a vedere… a sentire… a vivere, insomma, quell’ora che Tu hai detto ieri, senza morire, Lei che era sola, giovanetta, senza di Te?»
   «Maria, la Senza Macchia, non poteva avere paura di Dio. Eva non ne aveva paura finché fu innocente. Ed Io c’ero. Io, il Padre e lo Spirito, Noi che siamo in Cielo e in Terra e in ogni luogo, e che avevamo il nostro Tabernacolo nel cuore di Maria», dice dolcemente Gesù.
   «Che cosa! Che cosa!… Ma dopo che Tu hai parlato di morte… E ogni gioia è finita… Ma perché proprio a noi tre tutto questo? Non era bene darla a tutti questa visione della tua gloria?».
   «Appunto perché tramortite udendo parlare di morte, e morte per supplizio, del Figlio dell’uomo, l’Uomo-Dio vi ha voluto fortificare per quell’ora e per sempre con la precognizione di ciò che Io sarò dopo la Morte. Ricordatevi tutto questo, per dirlo a suo tempo… Avete capito?».
   «Oh! si, Signore. Non è possibile dimenticare. E sarebbe inutile raccontare. Ci direbbero “ebbri”».

10 Tornano ad andare verso la valle. Ma, giunti ad un punto, Gesù piega per un viottolo ripido in direzione di Endor, ossia dal lato opposto di quello nel quale ha lasciato i discepoli.
   «Non li troveremo», dice Giacomo. «Il sole inizia la discesa. Si staranno radunando in tua attesa nel luogo dove li lasciasti».
   «Vieni e non crearti stolti pensieri».
   Infatti, come la boscaglia si apre in una prateria che scende mollemente a toccare la via maestra, vedono tutta la massa dei discepoli, accresciuta da viandanti curiosi, da scribi venuti da non so dove, agitarsi alla base del monte.
   «Ohimè! Scribi!… E disputano già!», dice Pietro accennandoli. E scende gli ultimi metri a malincuore.
   Ma anche quelli giù in basso li hanno visti e se li accennano e poi si danno a correre verso Gesù, gridando: «Come mai, Maestro, da questa parte? Stavamo per venire al posto detto. Ma ci hanno trattenuto in dispute gli scribi e in suppliche un padre affannato».
   «Di che disputavate fra voi?».
   «Per un indemoniato. Gli scribi ci hanno scherniti perché non abbiamo potuto liberarlo. Ci si è meso Giuda di Keriot da capo, di puntiglio. Ma fu inutile. Allora abbiamo detto: “Mettetevici voi”. Hanno risposto: “Non siamo esorcisti”. Per caso sono passati alcuni venienti da Caslot-Tabor, fra i quali erano due esorcisti. Ma anche loro niente. Ecco il padre che viene a pregarti. Ascoltalo».

11 Un uomo, infatti, viene avanti supplichevole e si inginocchia davanti a Gesù rimasto sul prato in pendenza, di modo che è più alto della via di almeno tre metri e ben visibile a tutti, perciò.
   «Maestro», gli dice l’uomo, «io venivo a Cafarnao con il figlio mio per cercare Te. Te lo portavo, l’infelice figlio mio, perché tu lo liberassi, Tu che cacci i demoni e guarisci ogni malattia. Egli è preso spesso da uno spirito muto. Quando lo prende, egli non può più che fare gridi rochi, come una bestia che si strozza. Lo spirito lo butta a terra ed egli la si rotola digrignando i denti, spumando come un cavallo che morda il morso, e si ferisce o rischia di morire affogato o bruciato, oppure sfracellato, perché lo spirito più di una volta lo ha buttato nell’acqua, nel fuoco, o giù dalle scale. I tuoi discepoli ci si sono provati, ma non hanno potuto. Oh! Signore buono! Pietà di me e del mio fanciullo».
   Gesù fiammeggia di potenza mentre grida: «O generazione perversa, o turba satanica, legione ribelle, popolo dell’inferno incredulo e crudele, fino a quando dovrò stare a contatto con te? Fino a quando ti dovrò sopportare?». È imponente, tanto che si fa un silenzio assoluto e cessano i sogghigni degli scribi.

12 Gesù dice al padre: «Alzati e portami qui tuo figlio».
   L’uomo va e torna con altri uomini, al centro dei quali è un ragazzo sui dodici-quattordici anni. Un bel fanciullo, ma dallo sguardo un poco ebete, come fosse sbalordito. Sulla fronte rosseggia una lunga ferita e più sotto biancheggia una cicatrice antica. Non appena vede Gesù che lo fissa coi suoi occhi magnetici, ha un grido roco e un contorcimento convulsivo di tutto il corpo, mentre cade a terra spumando e rotando gli occhi, di modo che appare solo il bulbo bianco, mentre si rotola per terra nella caratteristica convulsione epilettica.
   Gesù viene avanti qualche passo per giungergli vicino e dice: «Da quando gli avviene ciò? Parla forte, che tutti sentano».
   E l’uomo, urlando, mentre il cerchio della folla si stringe e gli scribi si mettono più in alto di Gesù per dominare la scena, dice: «Fin da bambino. Te l’ho detto: spesso cade nel fuoco, nell’acqua o giù dalle scale e dagli alberi, perché lo spirito lo assale all’improvviso e lo scaraventa così per finirlo. È tutto pieno di cicatrici e di bruciature. Molto è se non è rimasto accecato dalle fiamme del focolare. Nessun medico, nessun esorcista, neppure i tuoi discepoli lo hanno potuto guarire. Ma Tu, se, come credo fermamente, puoi qualche cosa, abbi pietà di noi e soccorrici».
   «Se puoi credere così, tutto mi è possibile, perché tutto è concesso a chi crede».
   «Oh! Signore, se io credo! Ma se ancora non credo a sufficienza, aumenta Tu la mia fede, perché sia completa e ottenga il miracolo», dice l’uomo piangendo, inginocchiato presso il figlio più che mai in convulsione.

13 Gesù si raddrizza, si tira in dietro due passi e, mentre la folla più che mai stringe il suo cerchio, grida forte: «Spirito maledetto, che fai sordo e muto il fanciullo e lo tormenti, Io te lo comando: esci da lui e non entrarvi mai più!».
   Il fanciullo, pur stando coricato al suolo, fa dei balzi paurosi, puntando testa e piedi ad arco, e ha gridi disumani; poi, dopo un ultimo balzo, nel quale si rivolta bocconi battendo la fronte e la bocca su un masso emergente dall’erba, che si fa rossa di sangue, resta immoto.
   «È morto!», gridano in molti. «Povero fanciullo!», «Povero padre!», compiangono i migliori.
   E gli scribi, ghignando: «Ti ha servito bene il Nazareno!», oppure: «Maestro, come è? Questa volta belzebù ti ha fatto fare brutta figura…», e ridono velenosamente.
   Gesù non risponde a nessuno. Neppure al padre, che ha rivoltato il figlio e gli asciuga il sangue della fronte e delle labbra ferite, gemendo, invocando Gesù. Ma si china, il Maestro, e prende per mano il fanciullo. E questo apre gli occhi con un sospirone, come si destasse da un sonno, si siede e sorride. Gesù lo attira a Sé, lo fa alzare in piedi e lo consegna al padre, mentre la folla grida di entusiasmo e gli scribi fuggono, inseguiti dalle beffe della folla…
   «E ora andiamo», dice Gesù ai suoi discepoli. E, congedata la folla, gira il fianco del monte portandosi sulla via fatta al mattino.

14 Dice Gesù:

«E ora qui P.M. può mettere il commento alla visione del 5 agosto 1944 cominciando dalle parole: “Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gloria”. E tu riposa, fedele, piccolo Giovanni, ché il tuo riposo è ben meritato. La mia pace sia gioia in te».

   [5 Agosto 1944]

15 Dice Gesù:
   
   «Ti ho preparata a meditare la mia Gloria. Domani la chiesa la celebra. Ma Io voglio che il mio piccolo Giovanni la veda nella sua verità per comprenderla meglio. Non ti eleggo soltanto a conoscere le tristezze del tuo Maestro e i suoi dolori. Chi sa stare meco nel dolore deve avere parte meco nella gioia. 
   Voglio che tu, davanti al tuo Gesù che ti si mostra, abbia gli stessi sentimenti di umiltà e pentimento dei miei apostoli.
   Mai superbia. Saresti punita perdendomi.
   Continuo ricordo di Chi sono Io e di chi sei tu.
   Continuo pensiero alle tue manchevolezze e alla mia perfezione per avere un cuore lavato dalla contrizione. Ma insieme anche tanta fiducia in Me.
   Io ho detto: “Non temete. Alzatevi. Andiamo. Andiamo fra gli uomini perché sono venuto per stare con essi. Siate santi, forti e fedeli per ricordo di quest’ora”. Lo dico anche a te e a tutti i miei prediletti fra gli uomini, a quelli che mi hanno in maniera speciale.
   Non temete di Me. Mi mostro per elevarvi, non per incenerirvi.
   Alzatevi: la gioia del dono vi dia vigoria e non vi ottunda nel sopore del quietismo, credendovi già salvi perché vi ho mostrato il Cielo.
   Andiamo insieme fra gli uomini. Vi ho inviati a sovrumane opere con sovrumane visioni e lezioni perché possiate essermi di maggiore aiuto. Vi associo alla mia opera. Ma Io non ho conosciuto e non conosco riposo. Perché il male non riposa mai e il bene deve essere sempre attivo per annullare il più che si può l’opera del nemico. Riposeremo quando il Tempo sarà compiuto. Ora occorre andare instancabilmente, operare continuamente, consumarsi indefessamente per la messe di Dio. Il mio contatto continuo vi santifichi, la mia lezione continua vi fortifichi, il mio amore di predilezione vi faccia fedeli contro ogni insidia.
   Non siate come gli antichi rabbini che insegnavano la rivelazione e poi non le credevano al punto da non riconoscere il segno dei tempi e i messi di Dio. Riconoscete i precursori del Cristo nel suo secondo avvento, poiché le forze dell’anticristo sono in marcia e, facendo eccezione alla misura che mi sono imposta, perché conosco che bevete a certe verità non per spirito soprannaturale ma per sete di curiosità umana, vi dico in verità che quello che molti crederanno vittoria sull’anticristo, la pace ormai prossima, non sarà che sosta per dare tempo al nemico del Cristo di ritemprarsi, medicarsi le ferite, riunire il suo esercito per una più crudele lotta.
   Riconoscete, voi che siete le “voci” di questo nostro Gesù, del Re dei re, del Fedele e Verace che giudica e combatte con giustizia e sarà il Vincitore della bestia e dei suoi servi e profeti, riconoscete il vostro Bene e seguitelo sempre. Nessun bugiardo aspetto vi seduca e nessuna persecuzione vi atterri. La vostra “voce” dica le mie parole. La vostra vita sia per quest’opera. E se avrete sorte, sulla Terra, comune al Cristo, al suo precursore e ad Elia, sorte cruenta o sorte tormentata da sevizie morali, sorridete alla vostra sorte futura e sicura che avrete comune con Cristo, con il suo Precursore, col suo Profeta.
   Pari nel lavoro, nel dolore e nella gloria. Qui Io Maestro ed Esempio. Là Io Premio e Re. Avermi sarà la vostra beatitudine. Sarà dimenticare il dolore. Sarà quanto ogni rivelazione e ancora insufficiente a farvi capire, perché troppo superiore è la gioia della vita futura alla possibilità di immaginare della creatura ancora unita alla carne». 

   Cap. CCCL. Lezione ai discepoli sul potere di vincere i demoni.

   4 Dicembre 1945

 1 Sono ora nella casa di Nazaret, nuovamente. Anzi, per essere più precisi, sono sparsi sul balzo degli ulivi in attesa di separarsi per il riposo. E hanno acceso un piccolo falò per rischiarare la notte, perché è già sera e la luna si alza tardi. Ma la sera è tiepida «fin troppo», sentenziano i pescatori prevedendo prossime pioggie, ed è bello stare lì, tutti uniti, le donne nell’orto fiorito intorno a Maria, gli uomini quassù; e sullo scrimolo del balzo, di modo da essere ugualmente di questi e di quelle, Gesù, che risponde a questo o a quello, mentre le discepole ascoltano attente. Deve essere stato raccontato del lunatico guarito ai piedi del monte e ancora ne durano i commenti.
   «Ci sei voluto proprio Tu!», esclama il cugino Simone.
   «Oh! ma neppure vedendo che anche i loro esorcisti non potevano nulla, pure confessando di avere usato le formule più forti, li ha persuasi quei gheppi!», dice crollando il capo il traghettatore Salomon.
   «E neppure dicendo agli scribi le loro conclusioni, li persuaderanno».
   «Già! Mi pareva che parlassero bene, non è vero?», domanda uno che non conosco.
   «Molto bene. Hanno escluso ogni sortilegio demoniaco nel potere di Gesù, dicendo che essi si sono sentiti invasi da pace profonda quando il Maestro fece il miracolo, mentre, dicevano, quando esce, da uno, potere malvagio essi lo sentono come una sofferenza», risponde Erma.

 2 «Però, eh? Che spirito forte! Non se ne voleva andare! Ma come mai, poi, non lo teneva sempre? Era uno spirito scacciato, sperduto, oppure è tanto santo il fanciullo che di suo lo cacciava?», chiede un altro discepolo del quale non so il nome.
   Gesù risponde di spontanea volontà: «Ho più volte spiegato che ogni malattia, essendo un tormento e un disordine, può celare satana, e satana può celarsi in una malattia, usarla, crearla per tormentare e fare bestemmiare Dio. Il fanciullo era un malato, non un posseduto. Un’anima pura. Per questo tanto con gioia l’ho liberata dall’astutissimo demonio, che voleva dominarla tanto da renderla impura».

 3 «E perché, allora, se era una semplice malattia, noi non ci siamo riusciti?», chiede Giuda di Keriot.
   «Già! Gli esorcisti si capisce che non potessero nulla se non era un indemoniato! Ma noi…», osserva Tommaso.
   E Giuda di Keriot, al quale non va giù lo scacco di aver provato molte volte sul fanciullo, ottenendo soltanto di farlo cadere in smanie se non in convulsioni, dice: «Ma noi, anzi, sembrava gli si facesse peggio. Ti ricordi, Filippo? Tu che mi aiutavi hai sentito e visto i lazzi che egli mi faceva. Mi ha persino detto: “Và via! Fra me e te il più demonio sei tu”. Il che ha fatto ridere alle mie spalle gli scribi».
   «E te ne sei dispiaciuto?», chiede Gesù come con non curanza.
   «Certo! Non è bello essere beffati. E non è utile quando si è tuoi apostoli. Ci si perde di autorità ».
   «Quando si ha Dio con se, si è autorevoli anche se tutto il mondo beffa, Giuda di Simone».
   «Va bene. Ma però Tu aumenta, almeno in noi apostoli il potere. Perché certe disfatte non ci succedano più».
   «Che Io aumenti il potere non è giusto e non servirebbe. Voi lo dovete fare di vostro, per riuscire. È per vostra insufficienza che non siete riusciti, e anche per aver sminuito quanto vi avevo dato con elementi non santi, che avete voluto aggiungere sperando maggiori trionfi».
   «Lo dici per me, Signore?», chiede l’Iscariota.
   «Tu saprai se lo meriti. Io parlo a tutti».
   Bartolomeo chiede: «Ma allora cosa è necessario avere per vincere questi demoni?».
   «La preghiera e il digiuno. Non necessita altra cosa. Orate e digiunate. E non solo nella carne. Perciò bene è che il vostro orgoglio sia rimasto digiuno di soddisfazione. L’orgoglio sazio rende apatica la mente e l’anima, e diviene tiepida, inerte l’orazione, così come il corpo troppo sazio è sonnolento e pesante.

 4 E ora andiamo pure noi al giusto riposo. Domani all’alba tutti, meno Mannaen e i discepoli pastori, siano sulla via di Cana. Andate. La pace sia con voi».
   Ma poi trattiene Isacco e Mannaen e dà particolari istruzioni per il domani, giorno di partenza per le discepole e Maria, che insieme a Simone d’Alfeo e Alfeo di Sara iniziano il pellegrinaggio pasquale.
   «Passerete da Esdrelon perché Marziam veda il vecchio. Darete ai contadini la borsa che vi ho fatto dare da Giuda di Keriot. E per il viaggio soccorrerete con l’altra, che Io vi ho dato poco fa, quanti poveri incontrate. Giunti a Gerusalemme, andate a Betania e dite di attendermi per la neomenia di nisam. Potrò tardare ben poco da quel giorno. Vi affido la persona a Me più cara e le discepole. Ma sto tranquillo che esse saranno sicure. Andate. Ci rivedremo a Betania e staremo a lungo insieme».
   Li benedice e, mentre essi si allontanano nella notte, Egli balza giù, nell’orto, ed entra in casa dove già sono le discepole e la Madre, che con Marziam stanno stringendo i cordoni delle sacche da viaggio e disponendo ogni cosa per l’assenza la cui durata non è nota. 

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo per sempre a Te!