San Claudio di Condat – 6 giugno

Si dice che Claudio sia nato in Franca Contea, figlio di un nobile del luogo; certamente portò le armi come ogni giovane dell’epoca, ma all’età di vent’anni rinunciò alla carriera mondana. Visse una vita molto semplice, digiunando spesso e negandosi il sonno. Fu ordinato prete e per dodici anni fece parte del clero diocesano di Besangon. Dopo questo periodo ci sono due tradizioni: una sostiene che sia rimasto sacerdote secolare fino all’elevazione all’episcopato avvenuta nel 685; l’altra invece che si sia ritirato nel monastero di Condat, l’odierno S. Claudio, dove, eletto abate all’età di trentasette anni, introdusse la Regula benedettina e restaurò gli edifici monastici.

Quando divenne vescovo di Besangon era già avanti negli anni e fu riluttante ad accettare la responsabilità dell’amministrazione di una diocesi, ma una volta accettata operò bene. Era assiduo all’Ufficio divino, ascoltava pazientemente le cause ecclesiastiche, seguiva con cura il suo clero e il suo gregge, e diede vita a molte opere caritative. A ottantasei anni finalmente poté deporre questo fardello e si ritirò (o tornò) a Condat, dove morì in età molto avanzata e dove fu sepolto, senza fasto, nella chiesa abbaziale. Tra la gente della zona correva voce che i demoni soggiornassero nelle valli oscure dei monti del Giura, e spesso s’invocava la protezione di Claudio; il suo culto ebbe grande diffusione nel

MARTIROLOGIO ROMANO. Sul massiccio del Giura, san Claudio, che si ritiene sia stato vescovo e abate del monastero di Condat.

Nome: San Claudio di Condat
Titolo: Abate-vescovo
Nascita: 607 circa, Franca Contea, Francia
Morte: 696 circa, Francia
Ricorrenza: 6 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Castiglione Torinese, Ostana
Protettore: dei conciatori, dei fabbricanti di chiodi, dei fabbricanti e commercianti di giocattoli, dai foruncoli, dei tornitori

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo- 6 Giugno 2022

Vangelo Gv 19, 25-34

“Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”.

Maria ci viene data non come una tra le tante, ma come l’eredità preziosa che Gesù consegna all’umanità attraverso Giovanni, perché non solo la custodisca ma si lasci amare da Lei così come Lei ha amato Gesù. Sotto la croce diventiamo tutti figli di Maria e questo per espressa volontà di Gesù.

Dovremmo domandarci se ci è chiaro che un cristianesimo senza Maria non è solo un cristianesimo più povero, ma è un cristianesimo incompleto. Maria fa parte del minimo sindacale per dirci cristiani. Senza la Sua maternità è difficile riuscire a vivere fino in fondo il Vangelo. La seconda cosa importante di questa pagina nel Vangelo è tutta racchiusa nella sete di Gesù:

“Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito”.

La posizione che Gesù assume davanti all’umanità non è una posizione di autosufficienza. Gesù, il Figlio di Dio si fa bisognoso di ognuno. La Sua sete è sete che può essere estinta solo dal nostro amore. Ma non dobbiamo dimenticare che molto spesso noi corrispondiamo a questa sete con un amore che sa di aceto e non di acqua. Un amore che mortifica e non disseta.

È una domanda seria che ci pone il Vangelo: con che amore amiamo Cristo? Non basta parlare di Lui, fare delle cose per Lui, vestirci di Lui per poter anche dire che lo amiamo. È la tenerezza con cui viviamo che dice che non siamo aceto, ma acqua che disseta. Il nostro pensiero, i nostri sentimenti, i nostri stessi atteggiamenti dovrebbero essere tali da poter offrire agli altri un’esperienza viva di Cristo. Noi possiamo dissetare Cristo solo negli altri.