Beata Chiara Luce Badano prega per noi – 29 ottobre

La beatificazione di Chiara Luce Badano, avvenuta il 25 settembre 2010, è stata accompagnata da una corrente di gioia ed entusiasmo giovanile.

Chiara nasce a Sassello il 29 ottobre 1971. l genitori sono di origini modeste, Chiara è bella di aspetto e radiosa nello spirito. Le piace vestir bene, ama lo sport, stringe amicizie, entra a far parte del movimento dei Focolari. Nel 1985, per poter frequentare il liceo classico, si trasferisce con la famiglia a Savona. Qui succede l’imprevedibile: durante una partita a tennis, avverte un forte, persistente dolore alla spalla. Gli accertamenti danno un responso impietoso: sarcoma osseo, senza grandi possibilità di guarigione. Cominciano le visite e i ricoveri in ospedale, ma nulla sembra poter togliere il sorriso dal volto di Chiara. La sua cameretta diventa una piccola chiesa, luogo di incontro e di preghiera.

Dice Chiara: «l ‘importante è fare la volontà di Dio». E la sua omonima, la fondatrice dei Focolari, le attribuisce un secondo nome: Luce, perché dai suoi grandi occhi promana una luce di gioia. Si avvicina ormai il momento del distacco e la giovane ne è più che mai cosciente. È il suo incontro con lo sposo Gesù e Lei vuole presentarsi bella ed elegante. Si sceglie l’abito bianco, i canti per la cerimonia, raccomanda a tutti di non piangere. Alla mamma lascia le sue ultime parole: «Mamma sii felice, perché io lo sono già», È l’alba di domenica 7 ottobre 1990. Chiara è una giovane del nostro tempo. Per questo la Chiesa l’ha posta sul moggio della santità come segno di speranza soprattutto per i suoi coetanei.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sassello (Italia), Beata Chiara Badano, laica, membro del movimento dei Focolari o Opera di Maria.

Nome: Beata Chiara Luce Badano
Titolo: Giovane focolarina
Nascita: 29 ottobre 1971, Sassello
Morte: 7 ottobre 1990, Sassello
Ricorrenza: 29 ottobre
Tipologia: Commemorazione
Sito ufficiale: www.chiarabadano.org

Vangelo Lc 14, 1-6: «È lecito o no guarire di sabato?».

Vangelo Novus Ordo Lc 14, 1-6
Dal Vangelo secondo Luca

Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXXXV. La falsa amicizia di Ismael Ben Fabi e l’idropico guarito in giorno di sabato.

   11 Settembre 1944

 1 Vedo Gesù camminare rapidamente per una via maestra che il vento freddo di un mattino d’inverno spazza ed indurisce. I campi, al di qua e al di là della strada, hanno appena una timida peluria di messi che spuntano, una velatura di verde in cui è una promessa di futuro pane, ma una promessa appena appena pensata.Vi sono i solchi ombrosi ancora privi di questo verde benedetto, e solo quelli nei posti più solatii hanno quel verzicare così lieve e già così festoso perché parla di prossima primavera. Gli alberi da frutto sono ancora nudi, neppure una gemma si gonfia sui loro rami scuri. Solo gli ulivi hanno il loro eterno bigio verde, triste tanto sotto al sole d’agosto come sotto questo chiarore di prima mattina invernale. E con loro hanno verde, un verde pastoso di ceramiche appena tinte, le grasse foglie delle cactee.
   Gesù cammina, come sovente, di due o tre passi avanti i discepoli. Sono tutti ben coperti nei loro mantelli di lana.
   Ad un punto Gesù si ferma e si volge interpellando i discepoli: «Siete pratici della via?».
   «La via è questa, ma poi la casa dove sia non lo si sa, perché è nell’interno… Forse là dove è quel folto di ulivi…».
   «No. Deve essere là in fondo, invece, dove sono quei grossi alberi spogli…».
   «Ci dovrebbe essere una via per i carri…».
   Insomma non sanno niente di preciso. Persone per la via e per i campi non se ne vedono. Vanno a caso, in avanti, cercando la via.
   Trovano una piccola casetta di poveri, con due o tre campicelli intorno. Una fanciulla sta attingendo l’acqua da un pozzo.
   «Pace a te, bambina» dice Gesù fermandosi sul limitare della siepe, che ha un varco per chi va e viene.
   «Pace a te, che vuoi?».
   «Una indicazione. Dove è la casa di Ismaele il fariseo?».
   «Sei fuori strada, Signore. Devi tornare al bivio e prendere quella che va dove tramonta il sole. Ma devi camminare molto molto, perché devi tornare là, al bivio, poi andare, andare. Hai mangiato? Fa freddo e lo stomaco vuoto lo fa sentire di più. Entra, se vuoi. Siamo poveri. Ma anche Tu non sei ricco. Ti puoi adattare. Vieni». E chiama con voce acuta: «Mamma!».

 2 Si fa sulla soglia una donna sui trentacinque, quarant’anni. Ha un volto onesto, ma un poco triste. Fra le braccia ha un bambino di circa tre anni, mezzo svestito.
   «Entra. Il fuoco è acceso. Ti darò latte e pane».
   «Non sono solo. Ho questi amici».
   «Entrino tutti e la benedizione di Dio coi pellegrini che ospito».
   Entrano in una cucina bassa e scura che rallegra un fuoco vivo. Si siedono qua e là su rozze cassapanche.
   «Ora vi preparo… È mattina… Non ho ancora ordinato nulla… Scusate».
   «Sei sola?». È Gesù che parla.
   «Ho marito e figli. Sette. I due più grandi sono ancora al mercato di Naim. Vi devono andare loro perché il marito è malato. Un gran dolore!… Le bambine mi aiutano. Questo è il più piccino. Ma ne ho un altro appena di poco più grande».
   Il piccino, ormai vestito della sua tunichella, corre a piedi scalzi verso Gesù e lo guarda curiosamente. Gesù gli sorride. L’amicizia è fatta. 
   «Chi sei?» chiede il bambino con confidenza.
   «Sono Gesù».
   La donna si volge a guardarlo attentamente. È rimasta con un pane tra le mani, fra focolare e tavolo. Apre la bocca per parlare, ma poi tace.
   Il bambino continua: «Dove vai?».
   «Per le vie del mondo».
   «A far che?».
   «A benedire i bambini buoni e le loro case dove si è fedeli alla Legge».

 3 La donna torna a fare un gesto. Poi fa un cenno a Giuda Iscariota, che è quello a lei più vicino. Egli si curva verso la donna che chiede: «Ma chi è il tuo amico?».
   E Giuda, tronfio, (pare che il Messia sia tale per suo merito e bontà): «È il Rabbi di Galilea, Gesù di Nazaret. Non lo sai, donna?».
   «Questa è via fuori di mano ed io ho tanti dolori!… Ma… potrei dirli a Lui?».
   «Puoi» dice con sussiego Giuda. Mi sembra un pezzo grosso del mondo che conceda udienza…
   Gesù continua a parlare col bambino che gli chiede se ha anche Lui bambini.
   Mentre la fanciulla già vista e un’altra volta più grandicella portano latte e stoviglie, la donna va vicino a Gesù. Resta un poco in sospeso, poi ha un grido soffocato: «Gesù, pietà di mio marito!».
   Gesù si alza. La signoreggia colla sua statura, ma la guarda con tanta bontà che elle si rinfranca. «Che vuoi che Io faccia?».
   «È molto malato. Gonfio come un otre, non può piegarsi a lavorare. Non trova riposo perché affoga, e smania… E abbiamo bambini ancora piccini…».   
   «Vuoi che Io lo guarisca? Ma perché lo vuoi da Me?».   
   «Perché Tu sei Tu. Io non ti conoscevo, ma ho sentito parlare di Te. La sorte ti ha condotto alla mia casa dopo che per tre volte ti ho cercato a Naim e a Cana. Due volte c’era anche mio marito. Cercava Te, per quanto l’andare sul carro lo faccia tanto soffrire… Anche ora è via con suo fratello… Ci hanno riportato che il Rabbi, lasciata Tiberiade, andava verso Cesarea di Filippo. È andato là ad aspettarti…».
   «Non sono andato a Cesarea.

 4 Vado dal fariseo Ismaele e poi andrò verso il Giordano…».
   «Tu, buono, da Ismaele?».
   «Sì. Perché?».
   «Perché… perché… Signore, io so che Tu dici di non giudicare, di perdonare e di amarsi. Non ti ho mai visto. Ma ho cercato di sapere di Te il più che potevo e pregavo l’Eterno di poterti udire almeno una volta. Non voglio far cosa che ti dispiaccia… Ma come poter non giudicare Ismaele e amarlo? Io nulla ho di comune con lui e perciò non ho niente da perdonargli. Le insolenze che ci getta quando incontra la nostra povertà sul suo cammino le scuotiamo da noi, con la stessa pazienza con cui scuotiamo fango e polvere che egli ci getta quando passa veloce coi suoi cocchi. Ma amarlo e non giudicarlo è troppo difficile… È tanto cattivo!».
   «È tanto cattivo? Con chi?».
   «Con tutti. Opprime i servi, dà ad usura e crudelmente esige. Non ama che sé. È il più crudele della contrada. Non merita, Signore».
   «Lo so. Dici il vero».
   «E Tu vai là?».
   «Mi ha invitato».
   «Diffida, Signore. Non lo avrà fatto per amore. Non ti può amare. E Tu…  non lo puoi amare».
   «Io amo anche i peccatori, donna. Sono venuto per salvare chi è perduto…».
   «Ma questo non lo salverai. Oh! perdono di aver giudicato! Tu sai… Tutto è bene ciò che fai! Perdona alla mia lingua stolta e non mi punire».
   «Non ti punisco. Ma non lo fare più. Ama anche i malvagi. Non per la loro malvagità, ma perché è con l’amore che si ottiene loro la misericordia che converte. Tu sei buona e vogliosa di esserlo più ancora. Tu ami la verità, e la Verità che ti parla ti dice che ti ama perché sei pietosa secondo la Legge all’ospite e al pellegrino e così hai allevato o tuoi figli. Dio sarà il tuo compenso. 

 5 Io devo andare da Ismaele che mi ha invitato per mostrarmi a molti suoi amici che mi vogliono conoscere. Non posso attendere oltre tuo marito che, sappilo, è sulla via del ritorno. Ma di’ a lui di soffrire ancora un poco e di venire subito da Ismaele. Vieni tu pure. Io lo guarirò».
   «Oh! Signore!…». la donna è a ginocchi ai piedi di Gesù e lo guarda con riso e pianto. Poi dice: «Ma è sabato, oggi!…».
   «Lo so. Ho bisogno che sia sabato per dire qualcosa in merito ad Ismaele. Tutto quanto Io faccio, lo faccio con uno scopo chiaro e senza errore. Sappiatelo tutti, anche voi, amici miei che avete paura e vorreste Io seguissi una condotta secondo le convenienze umane per non averne danno. È l’amore che vi guida. Lo so. Ma dovete sapere amare meglio chi amate. Non posponendo mai l’interesse divino all’interesse dell’amato vostro. Donna, Io vado e ti attendo. La pace sia perenne in questa casa, dove si ama Dio e la sua Legge ed è rispettato il coniugio e allevata santamente la prole, amato il prossimo e cercata la Verità. Addio».
   Gesù posa la mano sul capo della donna e delle due giovinettine e poi si curva a baciare i bambini più piccoli ed esce.
   Ora un solicello d’inverno tempera l’aria cruda. Un ragazzo di un quindici anni attende con un rustico carro molto sconquassato.
   «Non ho che questo, Signore. Ma farai sempre più presto e con più comodo».
   «No, donna. Serbati fresco il cavallo per venire da Ismaele. Mostrami solo la strada più breve».
   Il ragazzo si pone al suo fianco e, per campi e prati, vanno verso una ondulazione del suolo, oltre la quale vi è un’ampia conca di qualche ettaro, ben coltivata, al centro della quale è una bella casa larga e bassa, stretta da una fascia di giardino ben coltivato.
   «La casa è quella, Signore» dice il ragazzo.
   «Se non ti occorro più, torno a casa per aiutare la mamma”.
   «Vai e sii sempre un figlio buono. Dio è con te»…

 6 …Gesù entra nella sontuosa casa di campagna di Ismaele. Servi in gran numero corrono incontro all’Ospite, certo atteso. Altri vanno ad avvisare il padrone, il quale esce con grandi inchini incontro a Gesù.
   «Bene vieni, Maestro, alla mia casa!».
   «Pace a te, Ismael ben Fabi. Mi hai desiderato. Vengo. Perché mi hai voluto?».
   «Per esser onorato di averti e per presentarti ai miei amici. Voglio siano anche i tuoi. Come voglio Tu sia mio amico».
   «Io sono amico di tutti, Ismaele».
   «Lo so. Ma sai! È bene avere amicizie in alto! E la mia e quelle dei miei amici sono tali. Tu, perdona se te lo dico, trascuri troppo coloro che ti possono appoggiare…».
   «E tu sei di questi? Perché?».
   «Io sono di questi. Perché? Perché ti ammiro e voglio che Tu mi sia amico».
   «Amico! Ma tu sai, Ismaele, il significato che Io do a questa parola? Per molti amico vuol dire conoscente, per altri complice, per altri servo. Per Me vuol dire: fedele alla Parola del Padre. Chi non è tale non può essermi amico, né Io di lui».
   «Ma è appunto perché voglio essere fedele che voglio la tua amicizia, Maestro. Non lo credi?

 7 Guarda: ecco Eleazar che giunge. Domanda a lui come ti ho difeso presso gli Anziani. Eleazar, io ti saluto. Vieni, che il Rabbi ti vuole chiedere una cosa».
   Grandi saluti e reciproche occhiate indagatrici.
   «Di’ tu, Eleazar, quanto dissi del Maestro l’ultima volta che fummo riuniti» dice Ismaele. Poi se ne va, lasciando l’amico presso Gesù.
   «Oh! Un vero elogio! Una difesa appassionata! Vaghezza di sentirti mi venne allora, tanto Ismaele parlò di Te, Maestro, come del Profeta più grande venuto al popolo d’Israele. Mi ricordo che disse che nessuno aveva parola più profonda della tua, fascino più grande e che, se come sai parlare saprai reggere la spada, non vi sarà re più grande di Te in Israele».
   «Il mio Regno!… Non è umano, Eleazar, questo Regno».
   «Ma il Re d’Israele?!».
   «Si aprano le vostre menti a comprendere il senso delle a prole arcane. Verrà il Regno del Re dei re. Ma non nella misura umana. Non per quanto perisce, ma per ciò che è eterno. Ad esso si accede non per fiorita via di trionfi né su purpureo tappeto di sangue nemico. Ma per erto sentiero di sacrificio e per mite scala di perdono e d’amore. Le vittorie contro noi stessi ci daranno questo Regno. E voglia Iddio che il più gran numero d’Israele possa capirmi. Ma non sarà così. Voi pensate che ciò non è. Nella mia mano sarà uno scettro, e il popolo d’Israele lo avrà messo. Regale ed eterno. Nessun re potrà più levarlo alla mia Casa. Ma molti in Israele non potranno vederlo senza fremere di orrore, perché avrà un nome per loro atroce».
   «Tu non ci credi capaci di seguirti?».
   «Se lo voleste, potreste. Ma non volete. Perché non volete? Siete anziani, ormai. L’età dovrebbe darvi comprensione e giustizia. Giustizia anche per voi stessi. I giovani… essi potranno errare e poi pentirsi. Ma voi! La morte è sempre prossima agli anziani. Eleazar, tu sei meno avviluppato nelle teorie di molti tuoi simili. Apri il tuo cuore alla Luce…».

 8 Torna Ismaele con altri cinque pomposi farisei. 
   «Venite dunque nella casa» dice il padrone di essa. E, lasciato l’atrio, ricco di sedili e tappeti, entrano in una stanza dove vengono portate anfore e catini per le abluzioni. Poi passano nella sala da pranzo, molto riccamente preparata.
   «Gesù al mio fianco. Fra me e Eleazar» ordina il padrone.
   E Gesù, che si era tenuto nel fondo della sala presso i discepoli un poco intimoriti e trascurati, deve sedersi al posto d’onore.
   Il convito ha inizio con numerose portate di carni e pesci arrostiti. Vini e, mi sembra, sciroppi, o per lo meno acque con miele, passano e ripassano.

 9 Tutti cercano di far parlare Gesù: Uno, un vecchio tutto tremolante, chiede con voce chioccia di decrepito: «Maestro. È vero quel che si dice, che Tu intendi modificare la Legge?».
   «Io non muterò uno iota alla Legge, Anzi (e Gesù calca sulle parole) sono  proprio venuto per renderla di nuovo integra come quando fu data a Mosè».
   «Vorresti dire che fu modificata?».
   «Non mai. Unicamente subì la sorte di tutte le cose eccelse poste in mano all’uomo».
   «Vorresti dire? Specifica”.
   «Voglio dire che l’uomo, per l’antica superbia o per l’antico fomite della triplice lussuria, volle ritoccare la lineare parola e ne fece qualcosa che opprime i fedeli, mentre per i ritoccatori non è che un cumulo di frasi che… vanno lasciate agli altri».
   «Ma, Maestro! I nostri rabbini…».
   «Questa è un’accusa!».
   «Non ci deludere nel nostro desiderio di giovarti!…».
   «Eh! Eh! Hanno ragione a dirti ribelle!».
   «Silenzio! Gesù è mio ospite. Parli liberamente».
   «I nostri rabbini iniziarono la loro fatica con lo scopo santo di rendere più facile l’applicazione della Legge. Lo stesso Iddio iniziò questa scuola quando alle parole dei dieci Comandi aggiunse più minute spiegazioni. Ciò perché l’uomo non avesse a sua scusa il non aver saputo capire. Opera santa, dunque, quella dei maestri che spezzano in briciole ai piccoli di Dio il pane dato da Dio allo spirito. Ma santa se segue retto fine. Ciò non fu sempre. Ed ora lo è meno che mai. Ma perché mi volete far dire, voi che vi offendete se Io vi enumero le colpe dei potenti?».
   «Colpe! Colpe! Non abbiamo che colpe noi?».
   «Io vorrei aveste solo meriti!».
   «Ma non li abbiamo. Tu lo pensi e il tuo occhio lo dice.

10 Gesù, non è criticando che si fanno amici i potenti. Tu non regnerai. Non ne sai l’arte».
   «Io non chiedo di regnare come voi credete e non mendico amicizie. Voglio amore. Ma onesto e santo. Un amore che da Me vada a quelli che amo, e che si dimostri usando verso i poveri quello che Io prèdico di usare: misericordia».
   «Io, da quando ti ho udito, non ho più dato ad usura» dice uno.
   «E Dio te ne darà compenso».
   «Il Signore mi è testimonio se ho più percosso i servi che meriterebbero frustate, da quando mi fu detta una tua parabola» dice un altro.
   «Ed io? Più di dieci moggia di orzo ho lasciato nei campi per i poveri!» fa un altro ancora.
   I farisei si lodano egregiamente.
   Ismaele non ha parlato. Gesù l’interpella: «E tu, Ismaele?».
   «Oh! io ho sempre usato misericordia. Non ho che da continuare come sempre ho agito».
   «Buon per te! Se così è realmente tu sei l’uomo che non conosce rimorsi».
   «Oh! no davvero!».
   Gesù lo trapana col suo occhio di zaffiro. 

11 Eleazar lo tocca sul braccio: «Maestro, ascoltami. Io ho un caso speciale da sotorti. Ho acquistato di recente una proprietà da un disgraziato che si è rovinato per una donna. Questo me l’ha venduta, ma senza dirmi che in essa vi è una vecchia serva, la sua nutrice, ormai cieca e semi-ebete. Il venditore non la vuole. Io… non la vorrei. Ma gettarla in mezzo alla via… Che faresti Tu, Maestro?».
   «Tu che faresti se dovessi dare ad altro un consiglio?».
   «Direi: “Tienila. Non sarà un pane che ti rovina”».
   «E perché diresti così?».
   «Mah!… perché penso che io farei così e vorrei che così mi venisse fatto…».
   «Tu sei molto prossimo alla Giustizia, Eleazar. Fà come consiglieresti e il Dio di Giacobbe sarà sempre con te».
   «Grazie, Maestro».
   Gli altri brontolano fra loro.
   «Che avete da mormorare?» chiede Gesù. «Non ho detto giusto? E costui non ha giustamente parlato? Ismaele, difendi i tuoi ospiti, tu che hai sempre usato misericordia».
   «Maestro, Tu parli bene, ma… se si facesse sempre così!… Si sarebbe vittime degli altri».
   «Ed è meglio, secondo te, che siano gli altri vittime nostre, non è vero?».
   «Non dico questo. Ma vi sono casi…».
   «La Legge dice di avere misericordia…».
   «Sì, per il fratello povero, per il forestiero, il pellegrino, la vedova e l’orfano. Ma questa vecchia, che è capitata fra le braccia di Eleazar, non è sua sorella, né pellegrina, forestiera, orfana o vedova. Nulla è per lui. Né più né meno che un vecchio arredo, non suo, dimenticato dal vero padrone nella tenuta venduta. Perciò Eleazar la potrebbe anche cacciare senza scrupoli di sorta. Infine la colpa della morte della vecchia non sarebbe sua. Ma del suo vero padrone…».
   «…il quale non la può più mantenere essendo povero lui pure, e perciò anche lui è esente da obblighi. Di modo che, se la vecchia muore di fame, la colpa è della vecchia. Non è così?».
   «Così, Maestro. È la sorte di coloro che… non servono più. Malati, vecchi inabili, sono condannati alla miseria, alla mendicità. E la morte è la cosa migliore per essi… Così è da quando è il mondo, e così sarà…».

12 «Gesù, abbi pietà di me!». Un lamento entra dalle finestre sbarrate, perché la sala è chiusa e coi lampadari accesi. Forse per il freddo.
   «Chi mi chiama?».
   «Qualche importuno. Lo farò cacciare. O qualche mendico. Farò dare un pane».
   «Gesù son malato. Salvami!».
   «L’ho detto. Un importuno. Punirò i servi per averlo fatto passare». E Ismaele si alza.
   Ma Gesù, più giovane di almeno venti anni e più alto di tutto il collo e il capo, lo ripone a sedere ponendogli la mano sulla spalla e ordinando: «Resta, Ismaele. Voglio vedere chi è costui che mi cerca. Fate entrare».
   Entra un uomo coi capelli ancora neri: Può avere una quarantina d’anni. Ma è gonfio come una botte e giallo come un limone, con le labbra violacee semiaperte nella bocca anelante. Lo accompagna la donna della prima parte della visione.
   L’uomo avanza a fatica per malattia e per timore. Si vede guardato così malamente! Ma Gesù ha lasciato il suo posto ed è andato presso all’infelice prendendolo per mano e portandolo al centro
della sala, nello spazio vuoto fra le tavole messe a “u”. Proprio sotto al lampadario.
   «Che vuoi da Me?».
   «Maestro… ti ho tanto cercato… da tanto… Nulla voglio fuorché salute… per i miei bambini e la mia donna… Tu puoi tutto… Vedi come sono ridotto…».
   «E credi che Io ti possa guarire?».
   «Se lo credo!… Ogni passo m’è dolore… ogni scossa pena… ma pure ho fatto chilometri per cercarti… e poi col carro ti sono venuto ancora dietro… ma non ti raggiungevo mai… Se lo credo!… Mi fa stupore di non esser già guarito da quando la mia mano è nella tua, poiché tutto di Te è santo, o Santo di Dio!».
   Il poveretto soffia come un mantice per lo sforzo di tante parole. La moglie guarda il marito e Gesù, e piange.

13 Gesù li guarda e sorride. Poi si volge e chiede: «Tu, vecchio scriba (parla al vecchio tremolante che ha parlato per primo) rispondi a Me: è lecito guarire in sabato?».
   «In sabato non è lecito fare opera alcuna».
   «Neppure salvare uno dalla disperazione? Non è lavoro manuale».
   «Il sabato è sacro al Signore».
   «Quale opera più degna di un giorno sacro di quella di far sì che un altro figlio di Dio dica al Padre: “Io ti amo e ti lodo perché m’hai guarito”?!».
   «Deve farlo anche se è infelice».
   «Chanania, lo sai che in questo momento il tuo bosco più bello sta ardendo e tutta la pendice dell’Hermon splende nella porpora delle fiamme?».
   Il vecchietto schizza come l’avesse morso un aspide: «Maestro, dici il vero o scherzi?».
   «Dico il vero. Io vedo e so».
   «Oh! me misero! Il mio bosco più bello! Migliaia di scicli in cenere. Maledizione! Siano maledetti i cani che me l’hanno messo a fuoco! Ardano nelle viscere come il mio legno!». Il vecchietto è disperato.
   «Non è che un bosco, Chanania, e ti lamenti! Perché non dai lode al Signore in questa sventura? Costui perde non del legno, che rinasce, ma la vita e il pane per i figli, e dovrebbe dar la lode che tu non dai. Dunque, scriba, non m’è lecito guarire in sabato costui?».
   «Maledetto Te, lui e il sabato! Ho ben altro da pensare, io…»; e, dato uno spintone a Gesù che gli aveva posto una mano sul braccio, esce furente e si ode che sbraita con la sua voce chioccia per avere il suo carro.
   «E ora?». Gesù chiede girando lo sguardo sugli altri. «E ora ditemi voi. È lecito o meno?».
   Nessuna risposta. Eleazar china il capo dopo aver socchiuso le labbra, che però richiude, colpito dal gelo che si è fatto nella sala.
   «Ebbene Io parlerò» dice Gesù. Ed è imponente e tonante nell’aspetto e nella voce, come sempre quando sta per operare miracolo. «Io parlerò. Parlo. Dico: uomo, ti sia fatto secondo che credi. Tu sei sanato. Loda l’Eterno. Va’ in pace».
   L’uomo resta interdetto. Forse pensava di tornare di colpo snello come un tempo. E gli pare non esser guarito. Ma chissà cosa sente… Ha un grido di gioia e si getta ai piedi di Gesù e li bacia.
   «Vai, vai! Sii sempre buono. Addio!».
   L’uomo esce, seguito dalla donna, che sino all’ultimo si volge a salutare Gesù.

14 «Però, Maestro… In casa mia… Di sabato…».
   «Tu non approvi? Lo so. E per questo sono venuto. Amico tu? No. Nemico mio. Non sei sincero con Me e non con Dio».
   «Offendi ora?».
   «No. Dico la verità. Tu hai detto che Eleazar non è tenuto a soccorrere quella vecchia perché non è di sua proprietà. Ma tu avevi due orfani nella tua proprietà. (Cioè Maria e Mattia Vedi Cap 298-299) Erano figli di due tuoi servi fedeli che ti sono morti sul lavoro, uno con una falce in pugno, l’altra uccisa da troppa fatica per averti dovuto servire, come esigevi da lei per tenerla, per lei e per il marito. Tu dicevi: “Io ho fatto patto per due persone di lavoro e per tenerti voglio il lavoro tuo e del morto”. E lei te lo dato ed è morta col suo concepimento. Perché quella donna era madre. E non vi fu per essa la pietà che si ha per bestia che genera. Dove sono ora quei due bambini?».
   «Non so… Sono scomparsi, un giorno».
   «Non mentire ora. Basta l’esser stato crudele. Non occorre aggiungere menzogna per rendere odiosi a Dio i tuoi sabati, anche se scevri da opera servile. Dove sono quei bambini?».
   «Non lo so. Non lo so più, credilo».
   «Io lo so. Li ho trovati una sera di novembre, fredda, piovosa, buia. Li ho trovati affamati e tremanti, presso una casa, come due cagnoli in cerca di un boccone di pane… Maledetti e cacciati da chi aveva viscere di cane più di un cane vero. Perché un cane avrebbe avuto pietà di quei due orfanelli. E tu e quell’uomo non ne avete avuta. Non ti servivano più i loro genitori, vero? Erano morti. I morti piangono solo, nei loro sepolcri, udendo i singhiozzi dei figli infelici che gli altri trascurano. I morti però, col loro spirito, portano i loro pianti, e quelli degli orfani loro, a Dio e dicono: “Signore, fai Tu le nostre vendette, poiché il mondo opprime quando non ci può più sfruttare”. Non ti servivano ancora i due piccini, vero? Sì e no se la bambina poteva servire a spigolare… E tu li hai cacciati negando loro anche quel poco bene che era del padre e della madre. Potevano morire di fame e freddo come due cani su una carraia. Potevano vivere divenendo uno ladro e una prostituta. Perché la fame porta al peccato. Ma che te ne importava?
   Poco fa tu citavi la Legge a puntello delle tue teorie. E la Legge non dice allora: “Non danneggiate la vedova e l’orfano, che, se li danneggerete ed essi alzeranno la voce a Me, Io ascolterò il loro grido e il mio furore divamperà e vi sterminerò con la spada, e le vostre mogli resteranno vedove e i vostri figli orfani”? Non dice così la Legge? E allora perché tu non l’osservi? Tu mi difendi presso gli altri? E allora perché non difendi la mia dottrina in te stesso? Tu mi vuoi essere amico? E allora perché fai l’opposto di quello che Io dico? Uno di voi sta correndo a perdifiato, strappandosi i capelli per la rovina del suo bosco. E non se li strappa sulle rovine del suo cuore! E tu che aspetti a farlo? 

15 Perché volete sempre credervi perfetti, voi che la sorte ha messo in alto? E se anche lo foste in qualcosa, perché non cercate di esserlo in tutto? Perché mi odiate perché Io vi scopro le piaghe? Io sono il Medico del vostro spirito. Può un medico guarire se non scopre e netta le piaghe? Ma non sapete che molti, e quella donna che è uscita ne è una, meritano il primo posto nel convito di Dio pur essendo in apparenza meschini? Non è l’esterno, è il cuore, è lo spirito quello che vale. Dio vi vede dall’alto del suo trono. E vi giudica. Quanti ne vede migliori di voi! Perciò udite. Per regola agite così, sempre. Quando vi invitano ad un convito di nozze, scegliete sempre l’ultimo posto. Doppio onore ve ne verrà quando il padrone vi dirà: “Amico, vieni avanti”. Onore di meriti ed onore di umiltà. Mentre… O triste ora per un superbo esser svergognato e sentirsi dire: “Va’ là, in fondo, ché qui vi è uno che è più di te”. E lo stesso fate nel convito segreto del vostro spirito a nozze con Dio. Chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.

16 Ismaele, non mi odiare poiché ti curo. Io non ti odio. Sono venuto per guarirti. Sei più malato di quell’uomo. Tu mi hai invitato per dar lustro a te stesso e soddisfazione agli amici. Spesso inviti, ma per superbia e gioia. Non lo fare. Non invitare ricchi, parenti e amici. Ma apri la casa, apri il cuore ai poveri, ai mendichi, agli storpi, agli zoppi, agli orfani e le vedove. Non ti daranno che ricambio di benedizione. Ma Dio te le muterà in grazie. E alla fine… oh! alla fine, che sorte beata a tutti i misericordiosi che saranno retribuiti da Dio alla resurrezione dei morti! Guai a quelli che blandiscono soltanto una speranza di utile e poi chiudono il loro cuore al fratello che non può più servire. Guai a loro! Io farò le vendette degli abbandonati».
   «Maestro… io… io ti voglio far contento. Prenderò ancora quei bambini».
   «No».
   «Perché?».  
   «Ismaele?!…».
   Ismaele abbassa il capo. Vuole fare l’umile. Ma è una vipera a cui è stato spremuto il veleno e non morde perché sa che ne è priva, aspetta di mordere però…

17 Eleazaro cerca di riportare pace dicendo: «Beati quelli che banchettano con Dio, nel loro spirito e nel Regno eterno. Ma, credi, Maestro. Delle volte è la vita che ce ne fa ostacolo. Le cariche… le occupazioni…».
   Gesù dice qui la parabola del convito e termina: «Le cariche… le occupazioni, hai detto. È vero. Ma per questo ti ho detto, al principio di questo convito, che il Regno mio si conquista con vittorie su se stessi e non con vittorie d’armi sul campo. Il posto alla gran Cena è per questi umili di cuore che sanno esser grandi col loro fedele amore, che non misura sacrificio e tutto supera per venire a Me. Anche un’ora basta per mutare un cuore. Purché quel cuore voglia. E basta una parola. Io ve ne ho dette tante. E guardo… In un cuore sta nascendo una pianta santa. Negli altri triboli per Me e dentro ai triboli sono aspidi e scorpioni. Non importa. Io vado sulla mia via diritta. Chi mi ama mi segua. Io vado chiamando. I retti vengano a Me. Io vado istruendo. I cercatori di giustizia si accostino alla Fonte. Per gli altri… per gli altri giudicherà il Padre santo. Ismaele, Io ti saluto. Non mi odiare. Medita. E senti che fui severo per amore, non per odio. Pace a questa casa e ai suoi abitatori, pace a tutti se pace meritate».

   Cap. CCCXXXVII. Il sabato a Corozim. Parabola sui cuori inlavorabili e guarigione di una donna curva.

   21 Novembre 1945

 1 Gesù è nella sinagoga di Corozim che si affolla lentamente di popolo. I maggiorenti del luogo devono avere insistito perché Gesù ammaestrasse lì dentro in questo sabato. Lo capisco dalle loro ragioni e dalle loro risposte di Gesù.
   «Non siamo più protervi dei giudei o di quelli della Decapoli» dicono, «eppure Tu ci vai e ci ritorni più e più volte».
   «Anche qui è la stessa cosa. Con le parole e con le opere, col silenzio e l’azione vi ho ammaestrato».
   «Ma se noi siamo più duri degli altri, ragione di più per insistere…».
   «Va bene, va bene».
   «Certo che sì, che va bene! Noi ti concediamo di usare della nostra sinagoga come tuo luogo di ammaestramento appunto perché giudichiamo che va bene fare così. Gradisci dunque l’invito e parla».

 2 Gesù apre le braccia, segno di silenzio per i presenti, e dà inizio al discorso e dice, con tono di salmo, una recitazione lenta, cantante ed enfatica: «“Areuna rispose a Davide: ‘Il re mio signore prenda e offerisca come a lui piace. Ecco i buoi per l’olocausto, il carro e i gioghi dei buoi per il legno; tutto, o re, dona Areuna al re’. Ed aggiunse: ‘Il Signore Dio tuo gradisca il tuo voto’. Ma il re rispose e disse: ‘Non sarà come vorresti tu. No. Io voglio comperare in contanti e non voglio offrire al Signore Dio mio olocausti datimi in dono’ ”».
   Gesù abbassa lo sguardo, perché parlava col volto quasi riverso verso il soffitto, e fissa acutamente il sinagogo e i quattro maggiorenti che erano con Lui e chiede: «Avete capito il significato?».
   «Questo è nel secondo dei Re, quando il re santo comprò l’aia di Areuna… Ma non comprendiamo perché ce l’hai detto. Qui non c’è pestilenza e non c’è da offrire sacrificio. Tu re non sei… Vogliamo dire: non lo sei ancora».
   «In verità il vostro pensiero è tardo nel comprendere i simboli e incerta è la vostra fede. Se certa fosse,
vedreste che già sono Re come Io ho detto, e se aveste pronta l’intuizione comprendereste che qui è una pestilenza ben grave, più di quella che crucciava Davide. Avete quella della incredulità che vi fa perire».
   «Ebbene! Se siamo tardi ed increduli, dàcci intelligenza e fede e spiegaci ciò che hai voluto dire».
   «Dico: non offro a Dio olocausti forzati, quelli che vengono offerti per interesse meschino. Non accetto di parlare solo se lo si concede a Colui che è venuto per parlare. Questo è mio diritto e me lo prendo. Sotto il sole o fra chiuse pareti, in alto dei monti o nel fondo delle valli, sul mare o seduto sulle sponde del Giordano, ovunque ho diritto e dovere di ammaestrare e di comperare con la mia fatica gli unici olocausti che siano graditi a Dio: cuori convertiti e resi fedeli dalla mia parola. Qui, voi di Corozim, avete concesso al Verbo la parola non per rispetto e fede, ma perché avete nel cuore una voce che vi tortura come tarlo che rode il legno: “Questa punizione del gelo è per la nostra durezza di cuore”. E volete riparare. Per la borsa, non per l’anima. Oh! Corozim pagana e testarda! Ma non tutta Corozim è tale. Per quelli che tali non sono, Io parlerò. Con una parabola.

 3 Udite. Ad un artefice venne portato da un ricco stolto un grosso blocco di una sostanza bionda come il miele del più fino e gli venne ordinato di lavorarlo riducendolo ad ornata ampolla.
   “Non è sostanza buona al lavoro, questa” disse l’artefice al riccone. “Vedi? È molliccia, elastica. Come posso scolpirla e modellarla?”.
   “Come? Non è buona? È una resina pregiata, e un mio amico ne ha una piccola anfora nella quale il suo vino acquista un prezioso sapore. L’ho pagata a peso d’oro per avere un’anfora più grande e mortificare così il mio amico, che se ne vanta. Fàmmela. E subito. O dirò che sei un artefice incapace”.
   “Ma quella del tuo amico sarà di biondo alabastro”.
   “No. È di questa sostanza”.
   “Sarà d’ambra fina”.
   “No. È di questa sostanza”.
   “Sarà, mettiamolo, di questa sostanza, ma resa compatta, dura da secoli di antichità o da mescolanze con altre sostanze solidificanti. Chiediglielo e torna a dirmi come fu fatta la sua”.
   “No. Me l’ha venduta lui stesso, assicurandomi che va usata così”.
   “E allora ti ha truffato per punirti della tua invidia sulla sua bell’anfora”.
   “Guarda come parli! Lavora, o ti punirò levandoti la bottega, che tanto non vale tutto quanto hai per quello che  mi costa questa resina stupenda”.
   L’artefice, desolato, si mise all’opera. Impastava… ma la pasta gli si appiccicava alle mai. Cercava di solidificarne un briciolo con mastici e polveri… Ma la resina perdeva la sua trasparenza d’oro. La portava presso il forno fusorio sperando che il calore la indurisse, e con le mani nei capelli doveva levarla perché si faceva liquida. Mandò sull’alto Ermon a prendere neve gelata e ve la immerse… Induriva, era bella. Ma non si modellava più. “La modellerò con lo scalpello” disse. Al primo colpo di scalpello la resina andò in pezzi.
   L’artefice, disperato del tutto, già convinto che nulla poteva rendere lavorabile quella sostanza, tentò un’ultima prova. Riunì i pezzi, li fece di nuovo fluidi nel calore del forno, li ricongelò, ma non troppo, con la neve e nella massa, molliccia appena, provò a lavorare di scalpello e di spatola. Si modellava, oh! sì! Ma appena levato scalpello e spatola, tornava alla forma di prima, quasi fosse la pasta del pane gonfiante nella madia.
   L’uomo si dette vinto. E, per sfuggire alle rappresaglie del ricco e alla rovina, nella notte caricò su un carro la moglie, il figli, le suppellettili e gli arnesi di lavoro, lasciando al centro della stanza da lavoro, vuota di ogni cosa, la massa bionda della resina con sopra un cartiglio e la parola “Inlavorabile”, e fuggì oltre i confini…

 4 Sono stato mandato a lavorare i cuori alla Verità e alla Salute. Mi sono venuti nelle mani cuori di ferro, di piombo, di stagno, di alabastro, di marmo, d’argento, d’oro, di diaspro, di gemme. Cuori duri, cuori selvaggi, cuori troppo teneri, cuori volubili, cuori induriti dai dolori, cuori preziosi, ogni genere di cuori. Li ho lavorati tutti. E molti li ho modellati secondo il desiderio di Chi mi ha mandato. Taluni mi hanno ferito mentre li lavoravo, altri hanno preferito rompersi anziché lasciarsi lavorare fino in fondo. Ma, magari con odio, serberanno per sempre un ricordo di Me.
   Voi siete inlavorabili. Caldo di amore, pazienza di istruzione, freddo di rimproveri, fatica di scalpello, nulla serve su voi. Appena levo le mani, voi tornate quali eravate. Dovreste fare una cosa sola per essere mutati: abbandonarvi totalmente a Me. Non lo fate. Non lo farete mai. Il Lavorante, desolato, vi abbandona al vostro destino. Ma, poiché è giusto, non vi abbandona tutti ad un modo. Nella sua desolazione sa scegliere ancora i meritevoli del suo amore e li conforta e li benedice.

 5 Donna, vieni qui!», dice accennando ad una donna che se ne sta presso la parete, così curva da parere un punto interrogativo. La gente vede dove Gesù indica, mentre non vede la donna che, per la sua posizione, non può vedere Gesù e la sua mano.
   «Vai dunque, Marta! Egli ti chiama» le dicono in diversi.
   E la poveretta se ne va arrancando col suo bastone, all’altezza del quale è il suo capo. È ormai davanti a Gesù che le dice: «Donna, abbi un ricordo del mio passaggio e un premio alla tua fede silenziosa e umile. Sii liberata dalla tua infermità» grida in ultimo, posandole le mani sulle spalle. E subito la donna si alza e, dritta come una palma, alza le braccia e grida: «Osanna! Egli mi ha guarita! Ha visto la sua serva fedele e l’ha beneficata. Sia lode al Salvatore e Re d’Israele! Osanna al Figlio di Davide!».
   La gente risponde coi suoi agli «osanna» della donna, che ora è in ginocchio ai piedi di Gesù e che gli bacia l’orlo della veste, mentre Egli le dice: «Va’ in pace e persevera nella fede».

 6 Il sinagogo, al quale devono ancora bruciare le parole dette da Gesù prima della parabola, vuole rendere veleno a rimprovero e grida indignato, mentre la folla si apre per lasciare passare la miracolata: «Ci sono sei giorni per lavorare, sei giorni per chiedere e per dare. Venite dunque in quelli, tanto a chiedere come a dare. Venite a guarire in quelli, senza violare il sabato, peccatori e miscredenti, corrotti e corruttori della Legge!», e cerca di spingere fuori dalla sinagoga tutti, come per scacciare profanazione dal luogo di preghiera.
   Ma Gesù, che lo vede aiutato nell’atto dai quattro maggiorenti di prima e da altri sparsi fra la folla, i quali danno i segni più manifesti di essere scandalizzati, torturati dal… delitto di Gesù, grida a sua volta, mentre con le braccia conserte sul petto, severo, imponente, lo guarda: «Ipocriti! Chi di voi in questo giorno non ha slegato il bue o l’asino dalla mangiatoia e non lo ha condotto a bere? E chi non ha portato fasci di erba alle pecore del gregge e munto il latte dalle mammelle piene? Perché mai, se avete sei giorni per farlo, lo avete fatto anche oggi, per pochi denari di latte, o per paura di perdere per sete il bue e l’asino? E non dovevo Io sciogliere costei dalle sue catene dopo che Satana ve l’ha tenuta avvinta per diciotto anni, solo perché è sabato? Andate. Io ho potuto sciogliere costei dalla sua sventura non voluta. Ma non potrò mai sciogliere voi dalle vostre che sono volontarie, o nemici della Sapienza e della Verità!».
   La gente buona, fra i molti non buoni di Corozim, approva e loda, mentre l’altra parte, livida di rabbia, fugge via, lasciando in asso il livido sinagogo.
   Anche Gesù lo lascia in asso ed esce dalla sinagoga, attorniato dai buoni che lo continuano a circondare finché Egli ha raggiunto la campagna, luogo nel quale Egli li benedice un’ultima volta, prendendo poi la via maestra insieme ai cugini, Pietro e Tommaso…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!