Santi Simone e Giuda pregate per noi – 28 ottobre

S. Simone fu soprannominato Cananeo o Zelote per distinguerlo da S. Pietro e da S. Simone, che succedette a S. Giacomo il Minore nella sede vescovile di Gerusalemme. 

San Simone fu soprannominato Cananeo o Zelote per distinguerlo da S. Pietro e da S. Simone, che succedette a S. Giacomo il Minore nella sede vescovile di Gerusalemme. Dopo la sua chiamata fu zelantissimo per la gloria del Maestro. Egli mostrò una santa indignazione contro quelli che disonoravano colla loro condotta la fede che professavano. Il Vangelo parla poco di questo santo Apostolo; tutto quello che riferisce di lui è che il Divin Maestro lo ammise nel numero dei suoi Apostoli.

Egli ricevette insieme agli altri lo Spirito Santo nel gran giorno della Pentecoste e fu sempre fedelissimo alla sua vocazione. Predicò la divina parola ai popoli dell’Egitto e della Mauritania. Recatosi nella Persia insieme a San Giuda Taddeo furono assaliti da sacerdoti idolatri e da quelli Simone fu crocifisso dopo aver sofferto i più atroci tormenti per il santo nome di Gesù Cristo. Si ritiene che gran parte delle sue reliquie si trovino nella chiesa di S. Pietro a Roma e nella cattedrale di Tolosa.

S. Giuda, soprannominato Taddeo per non confonderlo col traditore del Signore, era figlio di Cleofa e di Maria, cugina della Beatissima Vergine.

S. Giuda, soprannominato Taddeo per non confonderlo col traditore del Signore, era figlio di Cleofa e di Maria, cugina della Beatissima Vergine; parente quindi del Divin Redentore, al quale fu caro non tanto per i vincoli del sangue, quanto piuttosto per il disprezzo del mondo e per l’ardore del suo zelo. Dopo la discesa dello Spirito Santo, predicò nelle Indie, nella Samaria, nella Siria; ma soprattutto nella Mesopotamia. Nell’anno 62, il santo Apostolo fece ritorno a Gerusalemme.

Passato nella Persia, operò gran bene colla sua parola ispirata. Tra le conversioni quivi operate va ricordata quella di tutta la famiglia reale e di molti dignitari della corte, che ricevettero il battesimo dalle sue mani. Aprì chiese e fondò una comunità di fedeli, in Babilonia. In Persia subì il martirio suggellando col sangue i suoi insegnamenti.

Ci lasciò una bellissima lettera indirizzata a tutte Ie chiese dell’Oriente, in particolare ai Giudei convertiti che furono l’oggetto principale delle sue apostoliche fatiche. In essa si rivela il suo grande zelo per tener lontano dalla Chiesa ogni errore, poichè in quei tempi si erano già manifestate tre sorti di eresie: il Simonianismo, il Nicolaitismo e lo Gnosticismo. Egli si serve, descrivendo gli eretici, di forti epiteti e di similitudini molto espressive. Li chiama meteore erranti, che dopo un effimero bagliore vanno a perdersi nella notte eterna. La loro caduta deriva dall’essere mormoratori, dall’abbandonarsi all’orgoglio, all’invidia, all’amore dei piaceri sensuali, e dalla negligenza nel mortificare le proprie passioni.

L’Apostolo esorta i fedeli a trattar con molta compassione quelli che hanno errato; a distinguere i falli che derivano da malizia da quelli che nascono da debolezza; ad allontanare gli uomini dalle eresie e dai vizi. Egli vuole che ci stia sempre innanzi agli occhi l’obbligo che abbiamo di erigere l’edificio spirituale della carità, crescendo nell’amor di Dio, ed implorando la sua misericordia per i meriti infiniti di N. S. Gesù Cristo.

Un giorno Taddeo incontrò in Persia l’apostolo Simone Zelota, insieme al quale evangelizzò quel regno; la predicazione dei due Apostoli ottenne risultati eccezionali, e nel giro di quindici mesi essi battezzarono a Babilonia 60.000 uomini, senza contare le donne e i fanciulli, e in tredici anni percorsero le dodici province dell’impero persiano.

Giunti nella città di Suanir (nella Colchide), ai due Apostoli fu ordinato di sacrificare nel Tempio del Sole al sole e alla luna, ma essi risposero che il sole e la luna erano solamente creature del Dio che essi annunziavano; allora i sacerdoti e il popolo si precipitarono sui due Apostoli; i due furono uccisi lapidati, linciati e colpiti con una mazza. In particolare, dopo essere stato trafitto da lance e mazze, Giuda Taddeo sarebbe stato finito con un colpo d’ascia sulla testa.

PRATICA. A imitazione dei due Apostoli, professiamo e difendiamo la fede cattolica senza rispetto umano.

PREGHIERA. O Dio, che per mezzo dei tuoi beati Apostoli Simone e Giuda ci hai concesso di giungere alla conoscenza del tuo nome, concedici di celebrare con frutto la loro gloria eterna e di trarne profitto.

MARTIROLOGIO ROMANO. Festa dei santi Simone e Giuda, Apostoli: il primo era soprannominato Cananeo o Zelota, e l’altro, chiamato anche Taddeo, figlio di Giacomo, nell’ultima Cena interrogò il Signore sulla sua manifestazione ed egli gli rispose: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui».

Nome: Santi Simone e Giuda
Titolo: Apostoli
Ricorrenza: 28 ottobre
Tipologia: Festa
Patroni di: Marostica, Sovico, Cartigliano, Nibionno, Cornegliano Laudense, Rodero, Nogarole Vicentino, Corna Imagna, Radicondoli, Ricaldone.

Vangelo Lc 6, 12-16: “In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio” .

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 12-16
Dal Vangelo secondo Luca

In quei giorni, Gesù se ne andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli: Simone, al quale diede anche il nome di Pietro; Andrea, suo fratello; Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso; Giacomo, figlio di Alfeo; Simone, detto Zelota; Giuda, figlio di Giacomo; e Giuda Iscariota, che divenne il traditore.
Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C’era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidòne, che erano venuti per ascoltarlo ed essere guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti impuri venivano guariti. Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che guariva tutti.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
” Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede anche il nome di apostoli “.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXV. L’elezione dei dodici ad apostoli.

   16 maggio 1945. 

   165.1 Vi è un’alba che imbianca i monti e sembra ammorbidire questa selvaggia costa in cui ha voce solo il torrentello che spuma nel fondo, una voce che ripercossa dai monti, pieni di caverne, acquista un singolare rumore. Lì, nel posto dove hanno sostato i discepoli, non c’è che qualche cauto fruscio fra le fronde e le erbe: dei primi uccelli che si destano, degli ultimi animali notturni che si rintanano.
   Un gruppo di lepri o di conigli selvatici, che sta rodendo un basso cespuglio di more, fugge spaurito per il precipitare di un sasso. Poi tornano cauti, muovendo le orecchie per raccogliere ogni suono e, visto che tutto è pace, tornano al loro cespuglio. La guazza lava tutte le fronde, tutte le pietre, e il bosco odora forte di musco, di mentucce e maggiorane.
   Un pettirosso scende fin sullo scrimolo di una caverna a cui fa da tetto uno scheggione sporgente e, muovendo il capino, ben ritto sulle zampine di seta, pronto a fuggire, guarda dentro, guarda per terra, mormora i suoi cip cip d’interrogazione e di… golosità per delle briciole di pane che sono al suolo, ma non si decide a scendere altro che quando si vede preceduto da un grosso merlo che avanza saltellando di sbieco, buffo nel suo fare da monello e nel suo profilo di vecchio notaio al quale mancano solo gli occhiali per essere compito. Allora scende anche il pettirosso e si mette in coda all’ardito messere, che ogni tanto ficca il becco giallo nella terra umida in ricerche di… archeologia cibareccia e poi va oltre dopo un ciop o dopo un fischio breve, proprio da monellaccio. Il pettirosso si ingozza delle mollichine e resta stupito quando vede che il merlo, penetrato sicuro nella caverna silenziosa, ne esce con una crosta di formaggio, che sbatte e risbatte su una pietra per sminuzzarla facendosene un lauto pasto. Poi torna dentro, sbircia e, non trovando più nulla, fa una bella fischiata di beffa e vola via per finire la cantata in cima ad un rovere, che tuffa la sua vetta nell’azzurro mattutino. Anche il pettirosso vola via, per un rumore che sente venire dall’interno della caverna… e resta su un rametto sottile che spenzola nel vuoto.

   165.2 Gesù si avanza sul limitare e sbriciola del pane chiamando piano piano gli uccellini, con un fischio modulato che ben imita il cinguettio di molti piccoli pennuti. Poi si scosta e va più su, immobilizzandosi contro una parete rocciosa per non spaventare i suoi amici che presto scendono: primo il pettirosso e poi molti altri di varie specie. L’immobilità di Gesù o anche il suo sguardo – io amo pensare così, perché ho l’esperienza che le bestie anche più diffidenti si avvicinano a coloro che per istinto sentono non nemici ma protettori – fanno sì che dopo poco, a pochi centimetri da Gesù, saltellano gli uccellini, e il pettirosso, ormai sazio, vola in alto del masso a cui è appoggiato Gesù e si aggrappa ad un esilissimo rametto di vitalba e si altalena sul capo di Gesù con una voglia di scendere sulla testa bionda o sulla spalla.
   Il pasto è finito. Il sole indora la cima del monte e poi i più alti rami della boscaglia, mentre a valle ancora tutto è nella luce pallida dell’alba. Gli uccellini volano, soddisfatti e sazi, al sole e cantano con tutte le loro piccole gole.

   162.3 «Ed ora andiamo a svegliare questi altri miei figli», dice Gesù e scende, perché la sua caverna è la più alta, entrando di volta in volta nelle grotte e chiamando a nome i dodici dormenti.
   Simone, Bartolomeo, Filippo, Giacomo, Andrea rispondono subito. Matteo, Pietro e Tommaso sono più tardi a rispondere. E mentre Giuda Taddeo si fa incontro a Gesù non appena lo vede farsi sulla soglia, già pronto e ben desto, l’altro cugino, e con lui l’Iscariota e Giovanni, dormono sodo, tanto che Gesù deve scuoterli sul loro letto di foglie perché si destino.
   Giovanni, ultimo chiamato, dorme così profondamente che non si raccapezza di chi lo chiama, e nelle nebbie del sonno per metà interrotto dice fra le labbra: «Sì, mamma. Vengo subito…». Ma poi si gira di là.
   Gesù sorride, si siede sul silvestre pagliericcio di fogliame raccolto nel bosco, si china e bacia sulla guancia il suo Giovanni, che apre gli occhi e resta di stucco nel vedere lì Gesù. Si siede di scatto e dice: «Hai bisogno di me? Eccomi».
   «No. Ti ho svegliato come tutti. Ma tu mi hai creduto tua mamma. E allora ti ho baciato, per fare quello che fanno le mamme».
   Giovanni, seminudo nella sottoveste, perché si è messo il vestito e il mantello come coperta, si attacca al collo di Gesù e ci si rifugia col capo fra la spalla e la guancia dicendo: «Oh! sei ben più della mamma Tu! Lei l’ho lasciata per Te. Ma Tu, non ti lascerei per essa! Lei mi ha partorito alla Terra. Ma Tu mi partorisci al Cielo. Oh! lo so!».

   165.4 «Che sai di più degli altri?».
   «Quello che mi ha detto il Signore in questo speco. Vedi, io non sono mai venuto da Te e penso che i compagni abbiano detto che ciò era indifferenza e superbia. Ma di ciò che pensano non mi importa. So che Tu sai la verità. Io non venivo da Gesù Cristo, Figlio di Dio incarnato; ma ciò che Tu sei in seno del Fuoco che è l’Amore eterno della Trinità Ss., la sua Natura, la sua Essenza, la sua vera Essenza – oh! che non so dire tutto quanto ho pure capito in questa tetra grotta oscura che mi è divenuta così piena di luci, in questa fredda caverna in cui sono stato arso da un fuoco senza aspetto ma che mi è sceso nel profondo e lo ha acceso di un dolce martirio, in questo antro senza voce ma che mi ha cantato delle verità celesti[3] – ma ciò che Tu sei, Seconda Persona dell’ineffabile Mistero che è Dio e che io penetro perché Dio a Sé mi ha aspirato, io l’ho avuto sempre con me. E tutti i miei desideri, tutti i miei pianti, tutte le mie domande, le ho versate sul tuo seno divino, Verbo di Dio. Né ci fu mai parola, fra le tante che da Te ho udite, vasta così come quella che mi dicesti qui, Tu, Dio Figlio; Tu, Dio come il Padre; Tu, Dio come lo Spirito Santo; Tu, Tu che sei il perno della Triade… oh! forse bestemmio! ma così mi pare perché se Tu non fossi, amore del Padre e amore al Padre, ecco che mancherebbe l’Amore, il divino Amore, e la Divinità più non sarebbe Trina, e mancherebbe ad Essa il più confacente attributo di Dio: il suo amore! Oh! ho tanto qui, ma è come dell’acqua che gorgoglia contro una chiusa e non può uscire… mi sembra di morirne tanto è violento e sublime il tumulto che mi è sceso in cuore da quando ti ho capito… ma per nulla al mondo vorrei esserne liberato… Fammi morire di questo amore, mio dolce Iddio!».
   Giovanni sorride e piange, affannato, acceso dal suo amore, abbandonato sul petto di Gesù, come se la fiamma lo spossasse. E Gesù se lo carezza, ardendo di amore a sua volta.
   Giovanni si riprende sotto un’onda di umiltà che lo fa supplicare: «Non dire agli altri quanto io ti ho detto. Certo essi pure hanno saputo vivere di Dio come io vissi in questi giorni.
   Ma lascia sul mio segreto la pietra del silenzio».
   «Sta’ sicuro, Giovanni. Nessuno saprà le tue nozze con l’Amore. Vestiti, vieni. Dobbiamo partire» 

   165.5 Gesù esce sul sentiero dove già sono gli altri. I volti hanno un aspetto più venerabile, più raccolto. Gli anziani sembrano patriarchi, i giovani hanno un che di maturo, di dignitoso, che prima la gioventù nascondeva. L’Iscariota guarda Gesù con un timido sorriso sul volto segnato di pianto. Gesù lo carezza nel passare. Pietro… non parla. Ed è così strano in lui che stupisce più di ogni altro mutamento. Guarda attentamente Gesù, ma con una dignità nuova che pare fargli più spaziosa la fronte un poco stempiata e più severo l’occhio fino allora tutto un brillio d’arguzie. Gesù se lo chiama vicino e se lo tiene vicino in attesa di Giovanni, che finalmente esce col volto non so se dire più pallido o più rosso, ma certo acceso da una fiamma che non muta il colore ma pure è palese. Tutti lo guardano.
   «Vieni qui, Giovanni, presso a Me. E anche tu, Andrea, e tu Giacomo di Zebedeo. Poi tu Simone e tu Bartolomeo, Filippo e voi, fratelli miei, e Matteo. Giuda di Simone qui, di fronte a Me. Tommaso, vieni qui. Sedete. Vi devo parlare».
   Si siedono quieti come bambini, tutti un poco assorti nel loro mondo interiore e pure attenti a Gesù come non furono mai 

   165.6 «Sapete che vi ho fatto? Tutti lo sapete. L’anima lo ha detto alla ragione. Ma l’anima, che in questi giorni fu regina, ha insegnato alla ragione due grandi virtù: l’umiltà e il silenzio, figlio dell’umiltà e della prudenza, le quali sono le figlie della carità. Solo otto giorni or sono sareste venuti a proclamare, come bravi bambini che vogliono stupire e superare il rivale, le vostre bravure, le vostre nuove cognizioni. Ora tacete. Vi siete mutati da bambini in adolescenti e già sapete che questa proclamazione potrebbe mortificare il compagno forse meno beneficato da Dio, e non parlate.
   Siete inoltre come fanciulle non più impuberi. È nato in voi il santo pudore sulla metamorfosi che vi ha rivelato il mistero nuziale delle anime con Dio. Queste caverne il primo giorno vi parvero fredde, ostili, repellenti… ora le guardate come profumate e luminose camere nuziali. In esse avete conosciuto Dio. Prima sapevate di Lui. Ma non lo conoscevate nell’intimità che fa di due uno. Fra voi sono uomini che da anni sono sposati, altri che non ebbero che fallaci rapporti con donne, alcuni che per cause diverse sono casti. Ma i casti sanno ora cosa è l’amore perfetto così come lo sanno gli sposati. Anzi posso dire che nessuno come l’ignaro di ogni carnale appetito sa cosa è l’amore perfetto. Perché Dio si rivela ai vergini in tutta la sua pienezza, e per sua delizia di darsi a chi è puro, ritrovando parte di Sé, Purissimo, nella creatura monda di lussuria, e per compensarla di quanto essa si nega per amore di Lui.

   165.7 In verità vi dico che per l’amore che ho per voi e per la sapienza che posseggo, se non avessi il dovere di compiere l’opera del Padre, Io vorrei tenervi qui e stare con voi, isolati, certo che così farei di voi, e sollecitamente, dei grandi santi, senza più smarrimenti, senza defezioni, cadute, rallentamenti, ritorni. Ma non posso. Io devo andare. E voi dovete andare. Il mondo ci aspetta. Il profanato e profanatore mondo che ha bisogno di maestri e redentori. Io vi ho voluto fare conoscere Dio perché lo amaste ben più del mondo, che con tutti i suoi affetti non vale un solo sorriso di Dio. Ho voluto che poteste meditare su ciò che è il mondo e su ciò che è Dio per farvi anelanti del migliore. In questo momento voi non siete anelanti che di Dio. Oh! potessi fissarvi in quest’ora, in questo anelito! Ma il mondo ci aspetta. E noi andremo al mondo che aspetta. Per la santa Carità che, come ha mandato Me al mondo, così manda voi, per mio ordine, al mondo. Ma ve ne scongiuro! Come perla nello scrigno chiudetevi il tesoro di questi giorni – in cui vi siete guardati, curati, alzati, rivestiti, disposati a Dio – nel vostro cuore e, come le pietre della testimonianza elevate dai Patriarchi a ricordo delle alleanze con Dio, conservate e guardate questi preziosi ricordi nel vostro cuore.

   165.8 Da oggi non siete più i prediletti discepoli, ma gli apostoli, i capi della mia Chiesa. Da voi verranno, nei secoli dei secoli, tutte le gerarchie della stessa e maestri sarete detti, avendo a Maestro vostro Dio nella sua triplice potenza, sapienza, carità.
   Non ho scelto voi perché siete i più meritevoli. Ma per un complesso di cause che non necessita voi conosciate ora. Vi ho scelti al posto dei pastori che sono i miei discepoli da quando vagivo. Perché l’ho fatto? Perché così era bene di fare. Fra di voi sono galilei e giudei, dotti e indotti, ricchi e poveri. Questo per il mondo. Acciò non dica che ho preferito una sola categoria. Ma voi non bastereste a tutto quanto c’è da fare. Né ora, né poi.
   Non tutti avrete presente un punto del Libro. Ve lo ricordo.
   Nel II° dei Paralipomeni, al 29° capitolo, è narrato[4] come Ezechia, re di Giuda, fece purificare il Tempio e, dopo che fu purificato, fece sacrificare per il peccato, per il regno, per il santuario e per Giuda, e poscia ebbe inizio l’offerta dei singoli. Ma non bastando alle immolazioni i sacerdoti, furono chiamati in aiuto i leviti, consacrati con rito più breve che i sacerdoti.
   Questo è quello che Io farò. Voi siete i sacerdoti, preparati con lunga cura da Me, Pontefice eterno. Ma non bastate al lavoro sempre più vasto di immolazione dei singoli al Signore Iddio loro. Onde Io vi associo i discepoli che tali restano, quelli che ci attendono ai piedi del monte, quelli che già stanno più su, quelli che sparsi sono per la terra d’Israele e che saranno poi sparsi per ogni punto della Terra. A loro verranno dati compiti uguali, perché unica è la missione, ma diversa sarà la loro classifica agli occhi del mondo. Non agli occhi di Dio presso il quale è giustizia, di modo che l’oscuro discepolo, ignorato da apostoli e confratelli, che vivrà santamente portando a Dio anime, sarà più grande del conosciuto apostolo che di apostolo non ha che il nome e che abbassa la sua dignità di apostolo a scopi umani.
   Compito di apostoli e di discepoli sarà sempre quello dei sacerdoti e leviti di Ezechia: praticare il culto, abbattere le idolatrie, purificare i cuori e i luoghi, predicare il Signore e la sua Parola. Compito più santo non c’è sulla Terra. Dignità più alta della vostra neppure. Ma è per questo che vi ho detto: “Ascoltatevi, esaminatevi”.

   165.9 Guai all’apostolo che cade! Seco trascina molti discepoli, ed essi trascinano un ancor più grande numero di fedeli, e la rovina sempre più cresce come valanga che cade o come cerchio che si estende sul lago per un susseguirsi di pietre lanciate nello stesso punto.
   Sarete tutti perfetti? No. Lo spirito di ora durerà? No. Il mondo lancerà i suoi tentacoli per strozzare la vostra anima. Vittoria del mondo, figlio di Satana per cinque parti, servo di Satana per altre tre, apatico verso Dio nelle altre due, quella di spegnere le luci dei cuori dei santi. Difendete voi stessi da voi stessi contro di voi, contro il mondo, la carne, il demonio. Ma soprattutto difendetevi da voi stessi. Sulle difese, o figli, contro la superbia, la sensualità, la doppiezza, la tiepidezza, il sopore spirituale, contro l’avarizia! Quando l’io inferiore parla e piagnucola sopra pretese crudeltà a suo danno, mettetelo a tacere dicendo: “Per un attimo di privazione che ti do, ti procuro, ed eternamente, il banchetto d’estasi avuto nella caverna montana al finire della luna di scebat”.

   165.10 Andiamo. Andiamo incontro agli altri che in gran numero attendono la mia venuta. E poi Io andrò per poche ore a Tiberiade e voi, predicando di Me, mi andrete ad attendere ai piedi del monte che è sulla strada diretta da Tiberiade al mare. Io verrò là e salirò a predicare. Prendete borse e mantelli. La sosta è finita e l’elezione è avvenuta» 

   17 maggio 1945.

   165.11 Dice Gesù:
   «Stai male e ti lascio quieta. Solo ti faccio osservare come può cambiare tutto una sola frase omessa o una parola male trascritta. E tu, scrivente, sei viva e puoi riparare subito. Pensa dunque e comprendi come venti secoli abbiano potuto privare di parti, non deleterie alla dottrina ma alla facilità di comprendere il Vangelo, il Vangelo apostolico. Questo, opera che se risaliamo alle origini scopriamo ancora fatica del Disordine, spiega tante cose e si presta ai figli del Disordine per tante altre cose. E tu vedi come è facile cadere in errore di trascrizione… Piccolo Giovanni, sta’ buono oggi. Sei un fiore spezzato. Passerò poi Io a ristorare il tuo stelo. Per oggi mi occorrono le lacrime della tua ferita. Dio è con te».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!