Santi Anna e Gioacchino pregate per noi – 26 luglio

S. Anna nacque a Betlemme in umile dimora, e fu predestinata da Dio ad andare sposa a Gioachino. Entrambi erano della stirpe di David. I due sposi scelti dal Cielo a darci l’Immacolata da tanti anni sospiravano un figlio e pregavano con lacrime l’Onnipotente affinché esaudisse i loro desideri. Come l’antica Anna, madre di Samuele, effondeva presso il Signore le sue preci e faceva voto di consacrargli interamente il figlio che le avrebbe mandato, così la madre di Maria prometteva di consacrare a Dio la prole che le avrebbe concesso.

Avanzata ormai d’età e sterile, il suo stato era allora considerato come un castigo del cielo, come un’esclusione dal partecipare alla nascita del Messia. Anna però seppe pazientare e soffrire la ignominia e il compatimento delle donne nazaretane e Iddio le preparò la più grande consolazione, eleggendola a genitrice della Madre del Salvatore.

I due si ritirarono in disparte per pregare e ottenere da Dio la grazia che arrivò con l’annuncio di un angelo: « Anna, il Signore ha ascoltato la tua preghiera e tu concepirai e partorirai e si parlerà della tua prole in tutto il mondo »

« Veramente beata, e mille volte beata sei tu, o Anna, esclama il Damasceno, che hai messo al mondo quella bambina che Dio ricolmò di beatitudine, Maria, che il suo nome stesso rende singolarmente veneranda; la quale ha prodotto Cristo, il fiore di vita: la Vergine, la cui nascita fu gloriosa, e il suo parto sarà ancor più sublime. Noi pure, o beatissima donna, ci felicitiamo con te d’aver avuto il privilegio di darci la speranza di tutti i cuori, la prole cioè della promessa. Sì, sei beata, e beato è il frutto del tuo seno. Le anime pie glorificano il tuo germe, ed ogni lingua celebra con gioia la tua maternità. E certo, è degno, sommamente degno, lodare colei che Dio favorì di un oracolo e diede a noi il meraviglioso frutto, donde è uscito il grazioso Gesù ».

La santità di Anna fu certamente in rapporto con la sua dignità. La fede, l’amore vivissimo a Dio, l’intima unione con Lui, l’esattissima osservanza della legge divina, la purità, la carità, la prudenza, la fortezza, tutte le virtù si intrecciarono in lei. La santità eccelsa della figlia doveva pure esser per lei un continuo stimolo per crescere ogni giorno nella virtù. E se la Vergine, col visitare S. Elisabetta e col trattenersi con lei per tre mesi, riempì di benedizioni quella casa, chi può mai dire quanto abbondantemente fosse ricolma di grazia Anna, che per più anni visse con la Vergine e l’ebbe soggetta ed ubbidiente?

Maria contava tre anni ed allora Anna con Gioachino, suo santo sposo, condusse la figliuola al Tempio e l’abbandonò nelle mani di Dio.

Fu grande dolore per lei, ma lo seppe sopportare con la serenità dei giusti che vedono in tutti gli eventi un disegno della Provvidenza per il bene delle anime.

La missione a lei assegnata era ormai compiuta ed ella spirava in Gerusalemme tra le braccia della figlia benedetta. Pare che morisse all’età di 69 anni.

PREGHIERA Doloroso fu per Anna il distacco dall’eletta figliuola, ma seppe compierlo prontamente. Sappiamo anche noi lasciar liberi i figli di seguire la via per cui Dio li chiama.

PREGHIERA. Dio, che ti sei degnato di conferire alla beata Anna la grazia di diventare madre della Genitrice dell’Unigenito Figlio tuo, concedici propizio, che mentre ne celebriamo la festa, siamo soccorsi dal suo patrocinio.

MARTIROLOGIO ROMANO Memoria dei santi Gioacchino e Anna, genitori dell’immacolata Vergine Maria Madre di Dio, i cui nomi sono conservati da antica tradizione cristiana.

Nome: Santi Anna e Gioacchino
Titolo: Genitori della Vergine Maria
Ricorrenza: 26 luglio
Tipologia: Commemorazione
Patroni di: Villongo, Garzigliana

Vangelo Mt 13, 18-23: « Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore ».

Vangelo Mt 13,18-23
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Voi dunque ascoltate la parabola del seminatore. Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende, viene il Maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada. Quello che è stato seminato sul terreno sassoso è colui che ascolta la Parola e l’accoglie subito con gioia, ma non ha in sé radici ed è incostante, sicché, appena giunge una tribolazione o una persecuzione a causa della Parola, egli subito viene meno. Quello seminato tra i rovi è colui che ascolta la Parola, ma la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

   Cap. CLXXX. Disputa nella cucina di Pietro a Betsaida. Spiegazione della parabola del seminatore. La notizia della seconda cattura del Battista.

  7 giugno 1945

 1 Eccoci di nuovo nella cucina di Pietro. La cena deve essere stata abbondante, perché i piatti coi resti di pesce e di carne, di formaggi, di frutta secche o per lo meno avvizzite, di focacce di miele, si ammucchiano su una specie di credenza che ricorda un poco le nostre madie toscane, e anfore con calici sono ancora sparsi sulla tavola.
   La moglie di Pietro deve aver fatto miracoli per fare contento il marito e deve avere lavorato tutta la giornata. Ora, stanca ma contenta, sta nel suo angolino e ascolta ciò che dice il suo uomo e ciò che dicono gli altri. Lo guarda, il suo Simone, che per lei deve essere un grande uomo anche se un poco esigente, e quando lo sente parlare con parole nuove su quella bocca che prima parlava solo di barche, di reti, di pesci e di denaro, ha persino uno sbattimento di palpebre come fosse abbagliata da troppa luce. Pietro, sia per la gioia di avere alla sua tavola Gesù, sia per la gioia dell’abbondante pasto consumato, è proprio in vena questa sera, e si rivela in lui il futuro Pietro che predica alle folle.
   Non so quale osservazione di un compagno abbia originato la risposta scultorea di Pietro che dice: «Avverrà loro come ai fondatori della torre di Babele. La loro stessa superbia provocherà il crollo delle loro teorie e rimarranno schiacciati».
   Al fratello obbietta Andrea: «Ma Dio è Misericordia. Impedirà il crollo per dare loro tempo di ravvedersi».
   «Non te lo pensare. A coronamento della loro superbia metteranno calunnia e persecuzione. Oh! io già me lo sento. Persecuzioni su noi per disperderci come testimoni odiosi. E, posto che attaccheranno con insidia. Avremo noi forza di resistenza?» chiede Tommaso.
   «Ecco… per me non l’avrei. Ma fido in Lui» e Pietro accenna il Maestro, che ascolta e tace stando un poco a capo chino come per tenere nascosto il suo viso espressivo.
   «Io penso che Dio non ci darà prove superiori alle nostre forze» dice Matteo.
   «O per lo meno aumenterà le forze in proporzione delle prove» termina Giacomo d’Alfeo.

 2 «Egli lo fa già. Ero ricco e potente. Se Dio non mi avesse voluto conservare per un suo fine, io sarei perito nella disperazione quando fui perseguitato e lebbroso. Avrei infierito su me stesso… Invece nel mio crollo completo scese una ricchezza nuova che non avevo mai posseduta prima, la ricchezza di una persuasione: “Dio c’è”. Prima.. – Dio.. – Sì, ero credente, ero un fedele israelita. Ma era una fede di formalismi. E mi pareva che il premio della stessa fosse sempre inferiore alle mie virtù. Mi permettevo di discutere con Dio perché mi sentivo ancora qualcosa sulla terra. Simon Pietro ha ragione. Io pure costruivo una torre di Babele con le autolodi e le soddisfazioni del mio io. Quando tutto mi crollò addosso, e fui un verme schiacciato dal peso di tutto questo inutile umano, allora non discussi più con Dio, ma con me stesso, col mio pazzo me stesso, e finii di demolirlo. E più lo facevo, facendo strada a ciò che io penso sia il Dio immanente sul nostro essere di terrestri, ecco che raggiungevo una forza, una ricchezza nuova. La certezza che non ero solo e che Dio vegliava sull’uomo vinto dall’uomo e dal male».
   «Secondo te, che pensi che sia Dio, questo che tu hai detto il Dio immanente sul nostro essere di terrestri”? Che vuoi dire? Non ti comprendo e mi pare un’eresia. Dio è quello che conosciamo attraverso la Legge ed i Profeti. Non ve ne è altro» dice un poco severo Giuda Iscariota.
   «Se ci fosse Giovanni te lo direbbe meglio di me. Ma io te lo dico come so. Dio è quello che conosciamo attraverso la Legge e i Profeti. E vero. Ma in che lo conosciamo? Come?».
   Giuda d’Alfeo scatta: «Poco e male. Ancora lo conoscevano essi, i Profeti che ce lo hanno descritto. Noi ne abbiamo l’idea confusa che trapela dall’ingombro di tutta una catasta accumulata dalle sètte…»
   «Sètte? Ma come parli? Noi non abbiamo sètte. Noi siamo i figli della Legge. Tutti» dice l’Iscariota sdegnato, aggressivo.
   «I figli delle leggi. Non della Legge. E’ una lieve differenza. Dal singolare al plurale. Ma nella sua realtà ciò è: che siamo figli di ciò che abbiamo creato, e non più di ciò che Dio ci ha dato» ribatte il Taddeo.
   «Le leggi sono nate dalla Legge» dice l’Iscariota.
   «Anche le malattie nascono dal nostro corpo, e non mi vorrai dire che sono cose buone» replica il Taddeo.
   «Ma lasciatemi sapere cosa è il Dio immanente di Simone Zelote». L’Iscariota, che non può ribattere alla osservazione di Giuda d’Alfeo, cerca di ricondurre la questione al punto di partenza.

 3 Simone Zelote dice: «Ai nostri sensi occorre sempre un termine per afferrare un idea. Ognuno di noi, parlo di noi credenti, crede per forza di fede all’Altissimo, Signore e Creatore, eterno Iddio che sta nel Cielo. Ma anche ogni essere ha bisogno di più di questa nuda fede, vergine, incorporea, atta e sufficiente agli angeli che vedono e amano Dio spiritualmente, condividendo con Lui la natura spirituale e avendo capacità di vedere Dio. Noi abbiamo bisogno di crearci una “figura” di Dio, la quale figura è fatta delle qualità essenziali che doniamo a Dio per dare un nome alla sua perfezione assoluta, infinita. Più l’anima si concentra e più riesce a raggiungere l’esattezza nella cognizione di Dio. Ecco ciò che io dico: il Dio immanente. Io non sono un filosofo. Forse avrò applicato male la parola. Ma insomma per me il Dio immanente è il sentire, il percepire Dio sul nostro spirito, e sentirlo e percepirlo non più come idea astratta ma come reale presenza datrice di una fortezza e di una pace nuova».
   «Va bene. Ma insomma come lo sentivi? Quale differenza c’è fra il sentire per fede e sentire per immanenza?» chiede un poco ironico l’Iscariota.
   «Dio è sicurezza, ragazzo. Quando tu lo senti come dice Simone, con quella parola che io non capisco alla lettera ma della quale capisco lo spirito – e credi che il nostro male è di capire solo la lettera e non lo spirito delle parole di Dio – vuol dire che riesci ad afferrare non solo il concetto della maestà terribile, ma della paternità dolcissima di Dio. Vuol dire che senti che, quando tutto il mondo ti giudicasse e condannasse con ingiustizia, Uno solo, Lui, l’Eterno che ti è padre, non ti giudica ma ti assolve e consola. Vuol dire che senti che quando tutto il mondo ti odiasse tu sentiresti su te un amore più grande di tutto il mondo. Vuol dire che segregato in una carcere o in un deserto tu sentiresti sempre che Uno ti parla e dice: “Sii santo per essere come il Padre tuo”. Vuol dire che per l’amore vero a questo Padre Dio, che finalmente si arriva a sentire tale, si accetta, si opera, si prende o si lascia senza misure umane, pensando solo a rendere amore per amore, a copiare il più possibile Dio nelle proprie azioni» dice Pietro.
   «Sei superbo! Copiare Dio! Non ti è concesso» giudica l’Iscariota.
   «Non è superbia. L’amore porta all’ubbidienza. Copiare Dio mi sembra ancora una forma di ubbidienza, perché Dio dice di averci fatto a sua immagine e somiglianza» replica Pietro.
   «Ci ha fatto. Noi non dobbiamo andare più su».
   «Ma sei un disgraziato se pensi così, caro ragazzo! Tu dimentichi che noi siamo decaduti e che Dio ci vuole riportare a ciò che eravamo».

 4 Gesù prende la parola: «Più ancora, Pietro, Giuda e voi tutti. Più ancora. La perfezione di Adamo era ancora suscettibile di aumento mediante l’amore che lo avrebbe portato ad una immagine sempre più esatta del suo Creatore. Adamo senza la macchia del peccato sarebbe stato un tersissimo specchio di Dio. Per questo Io dico: “Siate perfetti come è perfetto il Padre che è nei Cieli”. Come il Padre. Perciò come Dio. Pietro ha detto molto bene. E molto bene Simone. Vi prego ricordare le loro parole e applicarle alle vostre anime».
   La moglie di Pietro per poco si sviene nella gioia di sentire lodare così suo marito. Piange dentro il suo velo, quieta e beata. Pietro sembra gli venga un colpo apoplettico tanto diventa rosso. Resta muto per qualche momento e poi dice: «Ebbene, allora dammi il premio. La parabola di stamane…»
   Anche gli altri si uniscono a Pietro dicendo: «Si. Lo hai promesso. Le parabole servono bene a fare comprendere il paragone. Ma noi comprendiamo che esse hanno uno spirito superiore al paragone.

 5 Perché parli ad essi in parabole?».
   «Perché a loro non è concesso di intendere più di ciò che spiego. A voi va dato molto di più perché voi, miei apostoli, dovete conoscere il mistero; e vi è perciò dato di intendere i misteri del Regno dei Cieli. Per questo vi dico: “Domandate se non comprendete lo spirito della parabola”. Voi date tutto, e tutto vi va dato perché a vostra volta tutto voi possiate dare. Voi tutto date a Dio: affetti, tempo, interessi, libertà, vita. E tutto Dio vi dà per compensarvi e per farvi capaci di tutto dare in nome di Dio a chi è dopo di voi. Così a chi ha dato sarà dato e con abbondanza. Ma a chi non ha dato che parzialmente o non ha dato affatto, sarà tolto anche quello che ha.
   Parlo loro in parabole perché vedendo vedano solo quello che la loro volontà di aderire a Dio illumina, perché udendo, sempre per la stessa loro volontà di adesione, odano e comprendano. Voi vedete! Molti odono la mia parola, pochi aderiscono a Dio. I loro spiriti sono monchi della buona volontà. In loro si adempie la profezia di Isaia: “Udirete con le orecchie e non intenderete, guarderete con gli occhi e non vedrete”. Perché questo popolo ha un cuore insensibile; sono duri gli orecchi e hanno chiusi gli occhi per non vedere e per non sentire, per non intendere col cuore e non convertirsi acciò Io li guarisca. Ma voi beati per i vostri occhi che vedono e i vostri orecchi che odono, per la vostra buona volontà! In verità vi dico che molti profeti e molti giusti desiderarono vedere ciò che voi vedete e non lo videro, e udire ciò che voi udite e non l’udirono. Si consumarono nel desiderio di comprendere il mistero delle parole, ma spenta la luce della profezia ecco le parole rimanere come carboni spenti, anche per il santo che le aveva avute.
   Solo Dio disvela Se stesso. Quando la sua luce si ritrae, terminato il suo scopo di illuminare il mistero, l’incapacità di intendere fascia, come le bende di una mummia, la regale verità della parola ricevuta. Per questo Io ti ho detto stamane: “Verrà un giorno che ritroverai tutto quanto ti ho dato”. Ora non puoi ritenere. Ma dopo la luce verrà su te, e non per un attimo ma per un inseparabile connubio dello Spirito eterno col tuo, onde infallibile sarà il tuo ammaestramento in ciò che è cosa del Regno di Dio. E così come in te, nei tuoi successori, se vivranno di Dio come di unico pane.

 6 Ora sentite lo spirito della parabola.
   Abbiamo quattro generi di campi: quelli fertili, quelli spinosi, quelli sassosi, quelli pieni di sentieri. Abbiamo anche quattro generi di spiriti.
   Abbiamo gli spiriti onesti, gli spiriti di buona volontà, preparati dalla stessa e dalla buona opera di un apostolo, di un “vero” apostolo; perché ci sono apostoli che hanno il nome ma non lo spirito di apostoli, i quali sono più micidiali sulle volontà in formazione degli stessi uccelli, spini e sassi. Sconvolgono in modo tale, con le loro intransigenze, con le loro frette, con i loro rimproveri, con le loro minacce, che allontanano per sempre da Dio. Altri ve ne sono che, all’opposto, con un innaffiamento continuo di benignità fuori posto, fanno marcire il seme in un terreno troppo molle. Devirilizzano con la loro devirilizzazione gli animi che curano. Ma stiamo ai veri apostoli, ossia agli specchi tersi di Dio. Essi sono paterni, misericordiosi, pazienti, e nello stesso tempo forti come è il loro Signore. Or bene, gli spiriti preparati da questi e dalla loro propria volontà sono paragonabili ai campi fertili, mondi di pietre e di rovi, netti da gramigne e da logli, in cui prospera la parola di Dio, e ogni parola – un seme – fa cespo e spighe, dando dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta per cento. In questi che mi seguono ce ne sono? Certo. E santi saranno. Fra essi ce ne sono di tutte le caste e di tutti i paesi, anche gentili ci sono, e che pure daranno il cento per cento per la loro buona volontà, unicamente per essa, oppure per la loro e quella di un apostolo o discepolo che me li prepara.
   I campi spinosi sono quelli in cui l’incuria ha lasciato penetrare spinosi grovigli di interessi personali che soffocano il buon seme. Occorre sorvegliarsi sempre, sempre, sempre. Non dire mai: “Oh! ormai io sono formato, seminato, posso stare tranquillo che darò seme di vita eterna”. Occorre sorvegliarsi: la lotta fra il Bene e Male è continua. Avete mai osservato una tribù di formiche che si insedia in una casa? Eccole sul focolare. La donna non lascia più cibarie lì e le mette sul tavolo; e loro fiutano l’aria e danno l’assalto al tavolo. La donna le mette nella credenza e loro passano dalla serratura nella credenza. La donna appende al soffitto le sue provviste e loro fanno un lungo cammino lungo le pareti e i travicelli, si calano per la fune e mangiano. La donna le brucia, le scotta, le avvelena. E poi sta tranquilla credendo di averle distrutte. Oh! se non vigila, che sorpresa! Ecco le nuove nate che escono, e siamo da capo. Così finché si vive; bisogua sorvegliarsi per estirpare le male piante non appena spuntano. In caso contrario esse fanno un soffitto di rovi e soffocano il grano. Le cure mondane, l’inganno delle ricchezze creano il groviglio, affogano la pianta del seme di Dio e non le fanno fare spiga.
   Ecco ora i campi pieni di sassi.
   Quanti in Israele! Sono quelli che appartengono ai “figli delle leggi” come ha detto mio fratello Giuda molto giustamente. In loro non è la pietra unica della Testimonianza, non vi è la pietra della Legge. Vi è la sassaia delle piccole, povere, umane leggi create dagli uomini. Tante e tante che col loro peso hanno fatto a scaglie anche la pietra della Legge. Una rovina che impedisce ogni attecchimento di seme. Non è più nutrita la radice. Non c’è terra, non c’è succo. L’acqua fa marcire perché stagna sul pavimento di selci, il sole si arroventa su quelle selci e brucia le pianticine. Sono gli spiriti dei sostitutori delle complicate dottrine umane alla semplice dottrina di Dio. La ricevono anche con gioia, la mia parola. Al momento ne sono scossi e sedotti. Ma poi… Occorrerebbe l’eroismo di sgobbare a mondare il campo, l’animo e la mente da tutta la sassaia dei retori. Allora il seme farebbe radica e sarebbe un forte cespo. Così… è nulla. Basta un timore di rappresaglie umane. Basta una riflessione: “Ma e poi? Che me ne verrà dagli uomini potenti?” e il povero seme non nutrito langue. Basta che tutta la sassaia si agiti col suono vano dei cento e cento precetti che si sono sostituiti al Precetto, che ecco che l’uomo perisce col seme ricevuto… – Israele ne è pieno. Questo spiega come il venire a Dio vada in ragione inversa della potenza umana. Ultimi i campi pieni di strade, polverosi, nudi.
   Quelli dei mondani, degli egoisti. Il loro comodo è la loro legge, il godimento il loro fine. Non fare fatica, sonnecchiare, ridere, mangiare… – Lo spirito del mondo è re in questi. La polvere della mondanità ricopre il terreno che diviene terriccio. Gli uccelli, ossia le dissipazioni, si precipitano sui mille sentieri aperti per rendere più facile la vita. Lo spirito del mondo, ossia del Maligilo, becca e distrugge ogni seme che cade su questo terreno aperto a tutte le sensualità e le leggerezze.

 7 Avete inteso? Avete altro da chiedere? No? Allora possiamo andare a prendere riposo per partire domani per Cafarnao. Devo andare ancora in un posto prima di incominciare il viaggio verso Gerusalemme per la Pasqua».
   «Passeremo ancora per Arimatea?» chiede l’Iscariota.
   «Non è sicuro. A seconda dei…»
   Alla porta viene bussato violentemente.
   «Ma chi può essere a quest’ora?» dice Pietro alzandosi per aprire.
   Si presenta Giovanni. Stravolto, impolverato, con chiari segni di pianto sul viso.
   «Tu qui?» gridano tutti.
   «Ma che è accaduto?».
   Gesù, che si è alzato, dice solo: «La Madre dove è?».
   E Giovanni, venendo avanti e andando a inginocchiarsi ai piedi del suo Maestro, tendendo le braccia come per avere soccorso, dice: «La Madre sta bene, ma è in pianto come me, come tanti, e ti prega di non venire seguendo il Giordano dalla parte nostra. Mi ha mandato indietro per questo, perché… perché Giovanni tuo cugino è stato preso e imprigionato». E Giovanni piange mentre molto subbuglio si solleva fra i presenti.
   Gesù impallidisce profondamente ma non si agita. Solamente dice: «Alzati e racconta».
   «Andavo in giù con la Madre e le donne. Anche Isacco e Timoneo erano con noi. Tre donne e tre uomini. Ho ubbidito al tuo ordine di condurre Maria da Giovanni… ah! Tu lo sapevi che era l’ultimo addio!… Che doveva essere l’ultimo addio… Il temporale di giorni sono ci ha fatto sostare di poche ore. Ma sono bastate perché Giovanni non potesse più vedere Maria… Noi siamo arrivati all’ora di sesta e lui era stato catturato al gallicinio… »
   «Ma dove? Ma come? Da chi? Nel suo antro?» tutti chiedono, tutti vogliono sapere.
   «E’ stato tradito!… Si è usato il tuo Nome per tradirlo!».
   «Che orrore! Ma chi è stato?» urlano tutti.
   E Giovanni rabbrividendo, dicendolo piano questo orrore che neppur l’aria dovrebbe udire, confessa: «Da un suo discepolo…».
   Il subbuglio è al colmo. Chi maledice, chi piange, chi sbalordito resta in posa di statua.

 8 Giovanni si attacca al collo di Gesù e grida: «Io ho paura per Te! per Te! per Te! I santi hanno i traditori che per l’oro si vendono, per l’oro e la paura dei grandi, per sete di premio, per… per ubbidienza a Satana. Per mille, mille cose! Oh! Gesù, Gesù, Gesù! Che dolore! Il mio primo maestro! Il mio Giovanni che mi ha dato Te!».
   «Buono! Buono! Non mi accadrà nulla per ora».
   «Ma poi? Ma poi? Mi guardo… guardo questi… ho paura di tutti, anche di me. Ci sarà fra noi il tuo traditore…»
   «Ma sei pazzo? E credi che non lo faremo a pezzi?» urla Pietro.
   E l’Iscariota: «Oh! pazzo per davvero! Io non lo sarò mai. Ma, se mi sentissi indebolito al punto di poterlo diventare, mi ucciderei. Meglio così che uccisore di Dio».
   Gesù si libera dalla stretta di Giovanni e scuote rudemente l’Iscariota dicendo: «Non bestemmiare! Nulla ti potrà indebolire, se non vuoi. E se ciò fosse, fa’ di piangere, e non avere un delitto oltre al deicidio. Debole diviene chi da sé si svena di Dio».

 9 Poi torna da Giovanni, che piange col capo sul tavolo, e dice: «Parla, con ordine. Io pure soffro. Era il mio sangue ed il mio Precursore».
   «Non ho visto che i discepoli, parte di essi, costernati e furenti contro il traditore. Gli altri hanno accompagnato Giovanni verso la sua prigione per essergli vicino nella morte».
   «Ma non è ancora morto… l’altra volta poté fuggire » cerca di confortare lo Zelote che vuole molto bene a Giovanni.
   «Non è ancora morto. Ma morirà» risponde Giovanni. «Si. Morirà. Egli lo sa come Io lo so. Nulla e nessuno lo salverà questa volta. Quando? Non so. So che vivo non uscirà dalle mani di Erode».
   «Sì, di Erode. Senti. Egli è andato verso quella gola da cui noi pure passammo al ritorno in Galilea, fra l’Ebal e il Garizim, perché gli fu detto dal traditore: “Il Messia è morente per un assalto di nemici. Ti vuole vedere per affidarti un segreto”. E lui è andato col traditore e con qualche altro. Nell’ombra del vallone erano gli armati di Erode e lo hanno preso. Gli altri sono fuggiti portando la notizia ai discepoli rimasti presso Ennon. Erano appena venuti quando giunsi io con la Madre. E quello che è orribile è che era uno delle nostre città… e che sono stati i farisei di Cafarnao alla testa del complotto per prenderlo. Erano stati da lui dicendo che Tu eri stato loro ospite e che da lì partivi per la Giudea… Non sarebbe uscito dal suo rifugio altro che per Te…»

 10 Un silenzio di tomba succede alla narrazione di Giovanni. Gesù sembra svenato, cogli occhi di un azzurro cupissimo e come appannati. Sta a capo chino, la mano ancora sulla spalla di Giovanni, e la mano è scossa da un lieve tremito. Nessuno osa parlare. Gesù rompe il silenzio: «Andremo in Giudea da altra via. Ma domani devo andare a Cafarnao. Al più presto. Riposate. Io salgo fra gli ulivi. Ho bisogno di essere solo». Ed esce senza aggiungere altro.
   «Va certo a piangere» mormora Giacomo d’Alfeo.
   «Seguiamolo, fratello» dice Giuda Taddeo.
   «No. Lasciatelo piangere. Solo usciamo piano, in ascolto. Temo insidia da per tutto» risponde lo Zelote.
   «Si. Andiamo. Noi pescatori sulla riva. Se qualcuno viene dal lago lo vedremo. Voi per gli ulivi. E’ certo al suo solito posto, presso il noce. All’alba prepareremo le barche per andare presto. Quei serpenti! Eh! l’ho detto io! Di’, ragazzo? Ma… la Madre è proprio in sicuro?».
   «Oh, sì! Anche i pastori discepoli di Giovanni sono andati con Lei. Andrea… non lo vedremo più il nostro Giovanni!».
   «Taci! Taci! Mi sembra il canto del cuculo… Uno precede l’altro e… e…».
   «Per l’Arca santa! Tacete! Se parlate ancora di sventura al Maestro, comincio da voi a farvi assaggiare il sapore del mio remo sulle reni! » urla Pietro inferocito.
   «Voi» dice poi a quelli che restano per gli ulivi «prendete dei bastoni, dei grossi rami, là nella legnaia ce ne sono, e spargetevi armati. Il primo che si accosta a Gesù per nuocergli sia morto».
   «Discepoli! Discepoli! Bisogna essere cauti coi nuovi!» esclama Filippo.
   Il nuovo discepolo si sente ferito e chiede: «Dubiti di me? Egli mi ha scelto e voluto».
   «Non di te. Ma di quelli che sono scribi e farisei e dei loro adoratori. Da lì verrà la rovina, credetelo».
   Escono e si spargono chi per le barche, chi fra gli ulivi delle colline, e tutto ha termine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!