Messaggio di Medjugorje – 25 Settembre 2022

“Cari figli!

Pregate perché lo Spirito Santo vi illumini affinché siate gioiosi cercatori di Dio e testimoni di un amore senza limiti.

Io sono con voi, figlioli, e vi invito tutti di nuovo: incoraggiatevi e testimoniate le opere buone che Dio fa in voi e attraverso di voi.

Siate gioiosi in Dio.

Fate del bene al prossimo per stare bene sulla terra e pregate per la pace che è minacciata

perché satana vuole la guerra e l’inquietudine.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

San Sergio di Radonez prega per noi – 25 settembre

Nel 1940 la Santa Sede autorizzò un calendario liturgico per i cristiani cattolici in comunione con Roma, che includeva le feste di circa trenta santi russi, ventuno dei quali mai comparsi in un calendario latino, come il monaco S. Sergio di Radonezh, il più famoso e il più importante dei pustinniky, ovvero uomini della solitudine, che contribuirono a far respirare una nuova aria in Russia dopo le invasioni dei tartari nel XIII secolo, che avevano distrutto la cultura urbana nel meridione, indebolito i monasteri e lasciato il popolo demoralizzato e in disgrazia.

Questo santo, battezzato con il nome Bartolomeo, nacque nel 1315 circa in una ricca famiglia vicino a Rostov, sotto l’ultimo governante indipendente, di cui suo padre era segretario personale. Non sembra sia stato dotato intellettualmente; il fatto d’essere meno brillante dei due fratelli lo preoccupò per un periodo ma, anche se non aveva un vero entusiasmo per lo studio, riuscì a raggiungere la sua sola ambizione, apprendendo quel tanto che era necessario per studiare la Bibbia. I genitori, Kiril e Marya, furono vittime della politica espansionistica del principato di Mosca che includeva la distruzione del potere e l’influenza di Rostov. Quando Bartolomeo aveva di quindici anni circa, l’intera famiglia fu costretta a fuggire dalla zona, e a sistemarsi alla fine in un piccolo paese chiamato Radonezh, a circa ottanta chilometri a nord est di Mosca, dove vissero lavorando la terra. Nel 1335, alla morte dei genitori e all’età di vent’anni, Bartolomeo partì assieme a suo fratello vedovo Istvan, che era già monaco a Khotkhovo, per diventare eremita e realizzare l’ambizione che aveva da tempo.

Scelsero come eremo un luogo chiamato Makovka, attualmente noto come Troike-Sergievskaya Lavra, un tratto di terra collinare in una foresta, a diversi chilometri dal più vicino insediamento umano, dove predisposero il terreno e si accinsero subito alla costruzione di una capanna di legno e di una cappella. Al termine dei lavori, il vescovo metropolitano di Kiev, soddisfacendo la loro richiesta, inviò un sacerdote che dedicasse la cappella alla SS. Trinità (Svjataja Troica) una dedicazione insolita in Russia in quegli anni.

La vita eremitica non fu facile, tra le tentazioni, e in mezzo a branchi di lupi ed orsi. Un giorno l’anacoreta (l’eremita) nutrì un grande orso ponendo un pezzo di pane sul ceppo di un albero. L’orso ne mangiò, e da quel momento si affezionò a Sergio e visse nei pressi del suo rifugio.

Dopo non molto tempo, Istvan, dopo essersi accorto che probabilmente la vita d’eremita non cra ciò che desiderava, entrò in un monastero a Mosca, mentre Bartolomeo restò a vivere nell’eremo, e per un breve periodo, non si seppe più nulla di lui. Il suo biografo parla di tentazioni demoniache, di notti trascorse in preghiera, della minaccia delle bestie feroci, e di altri fenomeni che ricordano il Padri del Deserto, con un’ovvia differenza: Sergio, che aveva ricevuto l’abito e il nome religioso da Metrofano di Khotkhovo, probabilmente nell’ottobre 1337, non dovette affrontare le condizioni del deserto egiziano, ma quelle di un ambiente difficile caratterizzato principalmente da vento, pioggia e freddo.

Inevitabilmente, quando si diffuse la fama di Sergio, cominciarono a raccogliersi intorno a lui dei discepoli, che si costruivano ognuno la sua capanna, dando così origine al monastero della SS. Trinità: quando vi furono dodici membri, Sergio accettò di essere il loro abate e ricevette l’ordinazione sacerdotale a Pereyaslav Zalesky.

«Pregate per me,» disse loro «sono totalmente ignorante, e ho ricevuto un talento dall’alto di cui dover rendere conto, oltre al gregge che mi è stato affidato.» Con l’aumento del numero dei monaci, si cominciò a discutere che forma di vita monastica avrebbe condotto il monastero della SS. Trinità. In Oriente esistevano due correnti: quella eremitica e “idioritmica”, in base a cui ogni monaco possedeva la sua cella distinta sul suo lotto di terra ed era interamente responsabile della propria vita spirituale, e quella cenobitica, che prevedeva che la vita dei monaci fosse comunitaria.

Sergio preferì seguire la seconda, per motivi pratici oltre che religiosi. Il monastero aveva attratto molti contadini, e poiché presto si sviluppò una città, le provviste alimentari erano diventate scarse. Nel 1354, incoraggiato dal patriarca ecumenico di Costantinopoli, Sergio indirizzò il monastero definitivamente in q uest’ ultima direzione, scegliendo di osservare la Regola di S. Teodoro Studita (11 nov.).

Sfortunatamente ciò causò dei problemi, come spesso avviene in seguito ai cambiamenti, poiché alcuni monaci, risentiti di ciò che stava accadendo, desideravano che la direzione del convento passasse al fratello Istvan, che aveva fatto ritorno portando con sé l’altro fratello. La questione terminò nel 1358, con un incidente che coinvolse i due gruppi, un sabato dopo i Vespri. Sergio, preferendo non litigare con i suoi fratelli, si allontanò tacitamente, e si stabilì da solo lungo il fiume Kerzhach, vicino al monastero di Makrish. Alcuni suoi seguaci della SS. Trinità lo raggiunsero presto, causando il conseguente declino del monastero, perciò il vescovo metropolitano Alessio di Mosca, temendo la chiusura totale, inviò un messaggio a Sergio, assente già da quattro anni, chiedendogli di ritornare. Sergio accettò immediatamente, nominò un nuovo abate per il convento di Kerzhach e ritornò alla SS. Trinità, dove i monaci furono «così felici che alcuni baciarono le mani del padre, altri i piedi, altri ancora i lembi del suo abito».

Come nel caso di S. Bernardo di Clairvaux (20 ago.), S. Ugo di Lin coln (17 nov.), e di molti altri monaci santi prima e dopo di lui, Sergio era consultato da autorità ecclesiastiche e politiche. Fu fatto più di un tentativo di convincerlo a diventare patriarca di Mosca, ma rifiutò, preferendo svolgere il suo compito di mediatore e riconciliatore alla SS. Trinità.

Compì uno dei suoi interventi più famosi nelle fasi finali della disputa tra il principe di Mosca, Dmitri Ivanovich Donskoy, e il capo dei tartari, khan Mamai. Il primo, dovendo decidere se ritirarsi o sferrare un’offensiva, che in caso di fallimento avrebbe avuto conseguenze disastrose per la Russia, chiese consiglio a Sergio, che gli ricordò il dovere di difendere il popolo che Dio gli aveva affidato e lo congedò, facendolo accompagnare da due dei monaci che in precedenza erano stati soldati, con le parole «Dio sia con te». I tartari furono cacciati l’8 settembre 1380 nella battaglia di Kulikovo Pole, e Sergio che in quel momento stava pregando, si dice abbia comunicato alla congregazione la vittoria un’ora dopo che era stata conseguita («poiché era un veggente»).

Il suo incarico di mediatore lo costrinse ad allontanarsi frequentemente dal monastero, e si afferma che abbia sempre viaggiato a piedi nonostante dovesse percorrere lunghe distanze, senza curarsi della fatica.

Nel 1685 intervenne per l’ultima volta nel campo della politica, recandosi a Riazan per far riconciliare il principe Oleg di Riazan con Dmitri Donskoy. Al ritorno da questo viaggio, rinunciò al suo incarico d’abate in favore del successore prescelto, S. Nikon. Alcuni dei suoi discepoli sono tra i personaggi più venerati della Chiesa russa: S. Sava, S. Metodio di Pesnoche, S. Sergio di La Nouroma, S. Silvestro di Obnorsk e S. Abramo di Galitch.

I biografi di Sergio parlano dei suoi «diversi miracoli incomprensibili» e di una visione della Madre di Dio, la prima annotata dall’agiografia russa, ma danno poche informazioni sui fenomeni estatici e altri stati soprannaturali insoliti.

Sotto alcuni aspetti, deve essere sembrato una persona piuttosto normale: era appassionato e abile nel campo della carpenteria e del giardinaggio e, anche se non si opponeva per niente all’attività intellettuale, pensava che il lavoro manuale fosse necessario a creare l’equilibrio dell’individuo. Non era certamente erudito e la sua predicazione non era particolarmente eloquente, e sebbene qualcuno sostenesse di essere stato guarito dalle sue preghiere, non era un “guaritore”.

Il popolo era attratto da lui e lo cercava per qualcos’altro: per la presenza in lui dello Spirito Santo, che ardeva con un calore speciale, come modo di fissare tutta la sua attenzione sul suo interlocutore.

Nell’aprile 1392, sentendo prossima la fine, Sergio rinunciò all’incarico d’abate e nominò un successore, poi si ammalò per la prima volta nella sua vita. Circondato dai confratelli, ricevette gli ultimi sacramenti e morì in pace il 25 settembre. Fu seppellito nella chiesa principale del monastero (ora attrazione caratteristica della città di Sergicv Posad, precedentemente chiamata Zagorsk), che divenne importante nella storia della Russia, poiché vi fu battezzato l’erede dello zar, e che, subito dopo la morte di Sergio, diventò meta di pellegrinaggio popolare fino ai giorni nostri.

Alla chiusura forzata del monastero durante la rivoluzione nel 1917, le reliquie furono collocate nel “museo antireligioso” locale, ma riportate nel 1945, quando al monastero fu concessa la riapertura. Sergio, canonizzato prima del 1449, resta il santo russo più popolare, ed è menzionato durante la preparazione degli oggetti sacri nella liturgia ortodossa russa.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero della Santissima Trinità a Mosca in Russia, san Sergio di Radonez, che, dopo aver condotto vita eremitica in foreste selvagge, abbracciò la vita cenobitica e, eletto egúmeno, la propagò, mostrandosi uomo mite, consigliere di príncipi e consolatore dei fedeli.

Nome: San Sergio di Radonez
Titolo: Religioso ed eremita
Nome di battesimo: Sergij Radonežskij
Nascita: 1315 circa, Rostov, Russia
Morte: 25 settembre 1392, Sergiev Posad, Russia
Ricorrenza: 25 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

“Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Vangelo Lc 16, 19-31

In quel tempo, Gesù disse ai farisei:
«C’era un uomo ricco, che indossava vestiti di porpora e di lino finissimo, e ogni giorno si dava a lauti banchetti. Un povero, di nome Lazzaro, stava alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi con quello che cadeva dalla tavola del ricco; ma erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe.
Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli accanto ad Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando negli inferi fra i tormenti, alzò gli occhi e vide di lontano Abramo, e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: “Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma”.
Ma Abramo rispose: “Figlio, ricòrdati che, nella vita, tu hai ricevuto i tuoi beni, e Lazzaro i suoi mali; ma ora in questo modo lui è consolato, tu invece sei in mezzo ai tormenti. Per di più, tra noi e voi è stato fissato un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi, non possono, né di lì possono giungere fino a noi”.
E quello replicò: “Allora, padre, ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca severamente, perché non vengano anch’essi in questo luogo di tormento”. Ma Abramo rispose: “Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro”. E lui replicò: “No, padre Abramo, ma se dai morti qualcuno andrà da loro, si convertiranno”. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti”».

Impegno del giorno: vedere nei poveri Gesù stesso.

San Cleofa prega per noi – 25 settembre

San Cleofa fu un discepolo di Gesù. Durante il giorno della Resurrezione, a seguito delle celebrazioni pasquali, stava tornando insieme ad un altro discepolo, di nome Alfeo, verso le terre di Emmaus. Entrambi furono accompagnati presso il Risorto ma riuscirono a riconoscerlo solamente dopo aver offerto lui una generosa ospitalità presso la loro dimora.

“Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, uno di loro, di nome Cleofa, gli disse: < Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute>

Furono queste le parole con le quali Cleofa si rivolse allo sconosciuto parlando con tono profondamente dispiaciuto e facendo chiaramente trasparire la sua delusione e poco dopo aggiunse: “Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”.

Udite queste parole e riconosciuta l’ancora viva speranza lo sconosciuto iniziò a spiegare loro le Scritture dicendo “Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. Ma essi insistettero: Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino. Egli entrò per rimanere con loro. Quando fu al tavolo con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.

Fu attraverso queste parole che compresero di chi si trattasse, ma nel momento in cui lo riconobbero lui sparì dalla loro vista.

PRATICA. Facciamo sempre che la fede, la perseveranza e la speranza colmino i nostri giorni

PREGHIERA. O Dio che hai lasciato viva la speranza e la fede nei discepoli fa che noi possiamo vivere di speranza

MARTIROLOGIO ROMANO. Commemorazione di san Cleofa, discepolo del Signore, al quale ardeva il cuore, quando, mentre era in viaggio con un altro discepolo, Cristo apparve la sera di Pasqua e spiegò loro lungo la via le Scritture; fu anche colui che nel villaggio di Emmaus riconobbe il Signore nell’atto di spezzare il pane.

Nome: San Cleofa
Titolo: Discepolo di Gesù
Nascita: I secolo , Sconosciuto
Morte: I secolo, Emmaus
Ricorrenza: 25 settembre
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Lc 9, 43-45: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Vangelo Novus Ordo Lc 9, 43-45
Dal Vangelo secondo Luca

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.


Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCLV. Il nuovo discepolo Nicolai di Antiochia e il secondo annuncio della Passione.

   9 Dicembre 1945

 1 Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. Il paese ozia nel sabato, già molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non possono fare marce lunghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così manca, nella giornata già di suo un pò nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.
   Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appoggia la fronte sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.

 2 E’ interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per Gerusalemme. «Gesù! Gesù! », chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perchè il muretto lo nasconde alla vista di chi è in basso. E Gesù è così concentrato che non sente la vocetta leggera e il passo da colombino… di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si mette un ditino fra le labbra e pensa… poi decide e lentamente viene avanti… ormai è quasi alle spalle di Gesù… si china per vedere ciò che fa… e dice: «No, bello! Non piangere! Perché? Per quei brutti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono indegni di Te. Ma Tu non devi piangere. Io ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più…», e gli si stringe al collo, carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre, per tutto il viaggio…».
   «No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».
   «Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. Il padre mio ti vuole bene, sai?».
   «Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini… Io ti ringrazio di essere venuto a salutarmi e ti benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei qui?… ».
   «No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi discepoli e ho pensato che piangevi».
   «Non piango più. Lo vedi. Và, và dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Stà attento agli asini delle carovane. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».
   «Ma non piangi proprio più?».
   «No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie bambino».
   Il bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella penosa meditazione di prima.

 3 Passa del tempo. Il sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa. Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta. Ne è salutato con rispetto.
   «Come mai qui, Giairo?».
   «Signore! Io forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era malanimo. Io non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto ti ho visto soffrire che… non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”… Ma poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bambino ti ha visto piangere. Ha detto che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».
   «Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. Io verrò come semplice fedele…».
   «Nè vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».
   «No, Giairo. Sto qui col mio spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me». Gesù ha un brillìo di lacrime nell’occhio mesto.
   «Io pure non trovo colpe in Te… Addio, Signore».
   «Addio, Giairo». E Gesù si siede di nuovo, sempre meditabondo.

 4 Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda… Chiama piano: «Salvatore mio!».
Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».
   «Si, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perchè deve essere muta la sinagoga, oggi?».
   «Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».
   «Ma sono parole… La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».
   «Figlia, tu la meritavi; essi… Nessuna parola può dare vita ad uno che per sè elegge la morte».
   «Si, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sempre più, sentendoti… Vieni. Metti la tua mano nella mia e andiamo. Io sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io…». La fanciulla, una bella fanciulla già donnina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.
   «Perché piangi, ora?», chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.
   «Perchè… mi è stato detto che Tu dici che morrai…».
   «Tutti si muore, fanciulla».
   «Ma non così come Tu dici! Io… oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò, per non esserci quando… questo orrore sarà…».
   «Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consolazione che mi dài ora. Non sai che la parola, anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».
   «Si? Oh! allora Tu non ne devi più avere perchè io ti amo più del padre, della madre e della mia vita!».
   «Così è».
   «Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per quelli che ti amano, insomma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene malinconia», e materna d’istinto come ogni donna onesta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno ti farà del male. Ed io, del resto, ti difenderò».
   Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una porta laterale.

 5 Giairo, che stà leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi profondamente: «Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua santa parola».
   «Stai leggendo dei Re, non è vero?».
   «Si, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal Dio vero cade in idolatria di vitelli d’oro».
   «Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».
   Si alza un brusio dalla folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla: «Abbiamo fretta. Si dicano le preghiere e si cessi l’adunanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.
   Gesù li guarda con somma mestizia e dice: «Avete fretta. E’ vero. Anche Dio ha fretta di giudicarvi. Andate pure». Poi, volgendosi a quelli che li rimproverano dice: « Non li sgridate. Ogni pianta dà il suo frutto».
   «Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! (Neemia 5, 13) Tu, Sacerdote supremo!», grida sdegnato Giairo, e gli fanno coro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao.
   Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida: «Ricordati di Me, o mio Dio! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! Io li perdono!». (Neemia 5, 19)

 6 La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù…
   E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nessuno osserva, al quale nessuno parla. Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chiede a Giairo chi sia.
   «Non so. Uno di passaggio certo».
   Gesù lo interpella: «Chi sei?».
   «Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».
   «Chi cerchi?».
   «Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».
   «Vieni». E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sinagoga per ascoltarlo.
   «Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Felice. Ho ardentemente desiderato di conoscerti. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E anche che vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri… E ti ero presso stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte… Ti amo, Signore. Perchè sei santo e mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti abbandona! Vengo a Te con tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto». Si è inginocchiato dicendo le ultime parole.
   Gesù lo guarda fissamente… poi dice: «Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».
   Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei discepoli e degli apostoli con Giairo.
   «Ecco un nuovo discepolo. Il Padre mi consola. Amatelo come un fratello. Andiamo con lui a dividere il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi colle barche andremo a Ippo… E non dite la mia strada a nessuno, onde Io non sia trattenuto».

 7 Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono in folla sulla spiaggia, per contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nella notte di Gesù coi i dodici.
   «Io vado ad aiutarlo!», dice Pietro che è irritato.
   Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo: «Andiamo tutti, non tu solo».
   E vanno… E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù… e sentono anche qualche epiteto spregevole e consigli acri ai fedeli discepoli…
   Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo: «Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».
   «Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”. Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito perchè parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perchè nelle tue parole e nella tua bontà vedo il promesso Messia».
   «In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico. Chi spera in Me un re terreno si ritiri. Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ritiri. Chi si scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ritiri. Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza essere compromessi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite di condividere la mia sorte nell’obbrobrio per poterla condividere poi nella gloria. Perchè questo sta per avvenire: il Figlio dell’uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i quali lo uccideranno come un malfattore e crederanno di averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto il loro delitto. Perchè Io risorgerò dopo tre giorni e trionferò. Beati quelli che sapranno essere meco fino alla fine!».

 8 Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima. Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando.
   Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.
   «Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».
   «Dille».
   «Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoriamo il passato. Già tante noie abbiamo avuto… e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamente dice che potrebbe essere una spia mandata dai nemici».
  «Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? Io l’ho interrogato, ma dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. Io ho fieri sospetti».
   «Ti ricordo che egli viene perchè mi vede tradito».
   «Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».
   «Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perchè si misura sul proprio modello», dice serio Gesù.
   «Signore, Tu mi offendi!», grida Giuda sdegnato.
   «Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».
   Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.
   «Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti… E poi non vorrei che… quell’uomo dicesse di Giovanni. Non può essere che l’uomo di Endor il Felice che ti manda questo…».
   «Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Stà tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perchè sente che la mia causa umana è già persa, non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito, e che è venuto a Me perchè sperava di essere il principe di un re potente… e non si persuade che Io sono re solo per lo spirito…».
   «Sospetti di lui, Signore?».
   «Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».
   «Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su… Giovanni».
  «Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perchè è prudente. Non essere tu l’imprudente».
   «No, Signore. Te lo chiedevo soltanto…».
   «Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo… Simone… mi ami tu?».
   «Oh! Maestro! Ma che dici?».
   «Simone, il mio cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come quello…».
   «Oh! Maestro mio!… Che ti devo dire, se io sono ancor più… scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».
   Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e robusto e poi si alza e scende, con Pietro.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!