Messaggio di Medjugorje – 25 maggio 2022

”Cari figli!

Vi guardo e ringrazio Dio per ciascuno di voi, perché Lui mi ha permesso di essere ancora con voi per esortarvi alla santità.

Figlioli, la pace è deturpata e satana vuole la discordia.

Perciò la vostra preghiera sia ancora più forte affinché ogni spirito impuro di divisione e di guerra sia silenziato.

Siate costruttori di pace e portatori della gioia del Risorto in voi ed attorno a voi affinché il bene vinca in ogni uomo.

Grazie per aver risposto alla mia chiamata.”

Anniversario della nascita di Padre Pio – 25 maggio 1887

Preghiera per il giorno della nascita di Padre Pio

Padre Pio insegnaci ad essere collaboratori di Dio.
Prega perché anche noi, sul tuo esempio, avvertiamo la gioia di sentirci amati, desiderati e cercati, e custoditi da Dio.
Padre Pio aiutaci a pregare senza mai stancarci e perdere la speranza.
Ti ringraziamo Signore per averci donato Padre Pio, fà che possiamo imitarlo e fare della nostra vita una vita donata alla carità, ala missione, al prossimo, ma soprattutto aiutaci a non arrenderci mai e a non farci prendere dal pessimismo che ci svilisce.
Amen.

Santa Maria Maddalena de’ Pazzi – 25 maggio

Nacque nel 1566 da nobilissima famiglia fiorentina. Crebbe nella pietà, nell’amore alla ritiratezza, alla meditazione ed alla mortificazione.

Fin da piccola radunava le fanciulle e con lo zelo di apostolina insegnava loro le preghiere e il catechismo. La sua meditazione prediletta era la Passione del Signore, che la infiammava del desiderio d’amare tanto Gesù, e di patire con lui. La SS. Eucarestia attirava in modo singolarissimo questa fanciulla. Il suo cuore era infiammato del suo Gesù e godeva sensibilmente nello stare accanto a chi aveva appena fatto la S. Comunione. A dieci anni ricevette la Prima Comunione. A dodici anni offrì il suo cuore verginale all’Amante Divino.

Quando suo padre le propose un vistoso matrimonio, ella rispose che non vi poteva più pensare: Gesù la chiamava alla vita religiosa. Dopo varie contrarietà ottenne l’assenso desiderato, ed entrò nel monastero delle Carmelitane di Firenze, ove vestì l’abito religioso (a 15 anni). Durante il noviziato fu l’esempio e la ammirazione di tutte le consorelle, per la sua infiammata carità e per il suo gran desiderio di patire.

Nel maggio del 1584 fece la sua professione religiosa, mutando il nome di Caterina in quello di Maria Maddalena. Da quel punto incominciarono quelle estasi meravigliose che resero celebre la Santa. Era rapita fuori dei sensi dopo la S. Comunione, durante la comune preghiera od anche mentre attendeva alle ordinarie occupazioni.

Sempre assetata di patire, il Signore la visitò colla sua croce. Permise che il demonio la tormentasse orribilmente con ogni sorta di tentazioni, ed ella, angosciata, pregava e martoriava il suo corpo con cilici, discipline, veglie e digiuni. Ma a nulla pareva giovassero queste penitenze, anzi sembrava crescesse la forza del maligno. In questo stato d’animo, tutto le spirava orrore: non aveva un momento di pace, onde qualche volta pregava le consorelle che avessero pietà e pregassero per lei. Tutto le era insopportabile ed anche la comunità ora la disprezzava, tacciandola di ipocrita e di illusa. Gesù volle farle sorbire fino all’ultimo sorso il suo amaro calice. Passarono così cinque lunghi anni. Finalmente la tempesta cessò ed insieme alla pace e alle consolazioni ebbe il dono della profezia. La sua unione con Dio divenne ancor più perfetta. Fu eletta maestra delle novizie, poi vice priora, e lo fu fino alla morte. Nessuna di tali occupazioni disturbava la sua intima unione con Dio. Divorata dalla fiamma dello zelo, faceva di tutto per guadagnare anime al suo Sposo. La sua umiltà era prodigiosa: riguardava se stessa come l’obbrobrio del monastero, la più miserabile di tutte le creature: godeva di essere dimenticata, disprezzata e di fare i servizi più bassi. Patire e non morire, ecco la sua eroica espressione!

Dolorose infermità e forti aridità spirituali la colpirono negli ultimi anni; croci da lei bramate e sopportate pel suo celeste Sposo, finché andò ad unirsi a lui il 25 maggio del 1607, in età di anni 41.

PRATICA. L’uomo rifugge per istinto naturale dalle croci e dalla sofferenza e spesso si lagna dei suoi patimenti, senza pensare che il dolore è il crogiuolo attraverso al quale l’anima si purifica e diventa degna di veder Dio.

PREGHIERA. O Signore, amante della verginità, che hai favorito di celesti doni la beata Maria Maddalena vergine, accesa dal tuo santo amore, fa’ che mentre la veneriamo celebrandone la festa, la imitiamo nella purità e nella carità.

MARTIROLOGIO ROMANO. Santa Maria Maddalena de’ Pazzi, vergine dell’Ordine delle Carmelitane, che a Firenze in Cristo condusse una vita nascosta di preghiera e di abnegazione, pregò ardentemente per la riforma della Chiesa e, arricchita da Dio di doni straordinari, fu per le consorelle insigne guida verso la perfezione.

Nome: Santa Maria Maddalena de’ Pazzi
Titolo: Vergine
Nome di battesimo: Caterina de’ Pazzi
Nascita: 2 aprile 1566, Firenze
Morte: 25 maggio 1607, Firenze
Ricorrenza: 25 maggio
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Napoli

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo del 25 Maggio 2022

Vangelo Gv 16, 12-15

C’è una cosa che molte volte dimentichiamo nella nostra vita spirituale, ed è la gradualità:

“Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”.

Non esiste un momento in cui capiamo tutto e sappiamo tutto perché l’amore è sempre qualcosa di inesauribile che man mano ci allarga il cuore e la mente. Gesù è venuto a rivelarci già tutta la verità, e non c’è  null’altro da aggiungere, ma questa verità ha bisogno di essere compresa sempre e nuovamente. È questo il ruolo dello Spirito: condurci sempre in maniera nuova a capire ciò che Gesù ci ha già detto una volta per tutte:

“Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”.

Questo percorso di approfondimento che ci porta a consapevolizzare sempre più la verità che ci ha dato Gesù non ha a che fare con la previsione del futuro, ma con la scoperta che c’è sempre una novità che germoglia dal passato. Un cristiano sa rileggere costantemente la vicenda di Gesù e sa ritrovare la propria vita a partire proprio da essa. E nel guardarsi riflesso nella vicenda di Gesù scopre anche il proprio destino. E il nostro destino è quello di avere la stessa gloria di Cristo:

“Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà”.

Per poter comprendere fino in fondo queste parole però dobbiamo per un istante dimenticare la gloria del mondo. La gloria di Cristo è il Suo essere Figlio. È questo il segreto di Gesù. Egli si sente amato dal Padre ed è questo che sprigiona in Lui il suo essere Figlio. Anche noi siamo chiamati allo stesso modo a lasciarci amare da Lui, e questo amore avrà come effetto quello di renderci come Gesù. Può sembrare complicato ma basta pensare a tutte le volte che ci siamo sentiti amati, in quel momento sentivamo di poter fare tutto. Bisogna pensare questo ed elevarlo ad eternità.

San Beda il Venerabile prega per noi – 25 maggio

Beda significa uomo che prega. Nacque l’anno 672 sui confini della Scozia.

A sette anni i genitori lo affidarono a S. Benedetto Biscopio, il quale ammirando le belle disposizioni del fanciullo, lo predilesse e lo formò nella pietà e nella scienza. A 12 anni fu vestito dell’abito benedettino. Nel 691 fu ordinato diacono ed alcuni anni dopo sacerdote.

La vita di questo grande fu tutta nascosta: la spese nell’osservanza monastica, nella preghiera, negli studi sacri, nell’insegnamento e nello scrivere libri. Dalla sua scuola uscirono uomini grandi, e dalla sua penna una cinquantina di opere in cui tratta di quasi tutto lo scibile umano sacro e profano.

Interpreta in modo ammirabile la Sacra Bibbia alla luce delle opere dei Padri della Chiesa che egli conosceva profondamente. I suoi scritti eran sì sodi, sì sapienti e di tanta autorità, che lui vivente, venivano letti pubblicamente nelle chiese. Il sapere di quest’uomo desta meraviglia!

Vi fu uno che geloso di tanta scienza lo accusò di eresia. Beda, amante della verità, compose uno scritto in sua difesa, mostrandosi però pronto ad abbandonare le sue idee, qualora apparissero erronee.

La moderazione, la dolcezza, l’umiltà e la chiarezza che traspaiono da quell’apologia dissiparono come per incanto la calunnia, e il Santo ebbe nuovi e più entusiasti ammiratori.

Gran numero di persone ricorrevano ai lumi dei suoi consigli, ed egli accoglieva tutti amorevolmente e soddisfaceva con somma carità tutti, dal più umile e rozzo al Più alto dignitario.

Praticando in tutta l’estensione il motto: ora et labora del suo padre, S. Benedetto, ravvivò lo studio col soffio della pietà più profonda e studiò non per sfoggio di erudizione, ma per conoscere e far conoscere sempre meglio le meraviglie di Dio, per sentire più profondamente nel cuore le verità della fede e per metterle in pratica con l’esercizio delle più sublimi virtù.

Fu perfetto monaco e perfetto studioso!

Anche nell’ultima sua dolorosa infermità, non diminuì punto la sua grande attività di scrittore.

Godeva tal fama di santità, che, ancora vivente, fu soprannominato Venerabile, soprannome che ancor oggi gli rimane.

Mentre colla faccia rivolta alla chiesa recitava con fervore e ad alta voce il Gloria Patri, il divino programma della sua vita, gli Angeli si presero la sua bell’anima e la portarono in Paradiso (a. 735), poichè: Qui fecerit et docuerit, magnus vocabitur in regno coelorum: «chi avrà praticato e insegnato, sarà grande nel regno dei cieli ».

PRATICA. — Aiutare e pregare per il più grande apostolato dei nostri tempi: l’Apostolato della Stampa.

PREGHIERA. O Signore, che illustri la tua Chiesa coll’erudizione del tuo beato confessore e dottore Beda, concedi propizio ai tuoi servi d’essere sempre illuminati dalla sua sapienza e aiutati dai suoi meriti.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Jarrow, in Inghiltérra, San Beda Venerabile, Prete, Confessore e Dottore della Chiesa, celeberrimo per santità e per dottrina.

Nome: San Beda il Venerabile
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 672, Scozia
Morte: 25 maggio 735, Jarrow, Inghiltérra
Ricorrenza: 25maggio
Tipologia: Commemorazione
Protettore: degli studiosi

Vangelo Mc 10,28-31 : «In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».

Vangelo Mc 10, 28-31
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Pietro prese a dire a Gesù: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito».
Gesù gli rispose: «In verità io vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi per causa mia e per causa del Vangelo, che non riceva già ora, in questo tempo, cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e la vita eterna nel tempo che verrà. Molti dei primi saranno ultimi e gli ultimi saranno primi».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. DLXXVI. Verso Doco l’incontro con il giovane ricco.

7 marzo 1947

 1 È un’altra mattina bellissima d’aprile. La terra e il firmamento spiegano tutte le loro primaverili bellezze. Si respira luce, canto, profumo, tanto l’aria è satura di luminosità, di voci di festa e d’amore, di fragranze. Deve esser scesa nella notte una breve pioggia che ha reso scure e senza polvere le strade, senza con ciò farle fangose, ed ha pulito steli e foglie che ora tremolano, tutte scintillanti e monde, ad una dolce brezza che scende dai monti verso questa fertile piana, che preannuncia Gerico. 
   Dalle rive del Giordano salgono continuamente persone che hanno traghettato dall’altra sponda, oppure hanno seguito la strada che costeggia il fiume, venendo su questa che punta direttamente su Gerico e su Doco, come indicano i segnali stradali. E ai molti ebrei, che si dirigono da ogni parte a Gerusalemme per il rito, si mescolano mercanti di altri luoghi, e pastori e pastori con gli agnelli dei sacrifici, belanti ignari. Molti riconoscono e salutano Gesù. Sono, questi, ebrei della Perea e Decapoli e di luoghi anche più lontani. Ve ne è un gruppo di Cesarea Paneade. E sono pastori che, per essere piuttosto nomadi dietro i greggi, hanno conoscenza del Maestro, incontrato o annunciato a loro dai discepoli. 

 2 Uno si prostra e gli dice: «Posso offrirti l’agnello?». 
   «Non te lo levare, uomo. È il tuo guadagno questo». 
   «Oh! è la mia riconoscenza. Tu non ti ricordi di me. Io sì. Sono uno che Tu hai guarito guarendo tanti. Mi hai rinsaldato l’osso della coscia che nessuno guariva e mi teneva infermo. Te lo do volentieri l’agnello. Il più bello. Questo. Per il banchetto di letizia. Lo so che per l’olocausto sei tenuto alla spesa. Ma per la letizia! Tanta ne hai data a me. Prendilo, Maestro». 
   «Ma sì, prendilo. Saranno denari che risparmieremo. O meglio, sarà possibilità di mangiare, perché con tutte le prodigalità che si fanno io non ho più denaro», dice l’Iscariota. 
   «Prodigalità? Ma se da Sichem non si è più speso uno spicciolo!», dice Matteo. 
   «Insomma, io non ho più denaro. Gli ultimi li detti a Merode». 
   «Uomo, ascolta», dice Gesù al pastore per porre fine alle parole di Giuda. «Io non vado per ora a Gerusa-
lemme e non posso portare con Me l’agnello. Altrimenti lo accetterei per mostrarti che gradisco il tuo dono». 
   «Ma poi andrai in città. Ti fermerai per le feste. Avrai un ricovero. Dimmi dove ed io consegnerò ai tuoi amici…». 
   «Non ho nulla di questo… Ma a Nobe ho un vecchio e povero amico. Ascoltami bene: il dì dopo il sabato pasquale tu andrai all’alba a Nobe e dirai a Giovanni, l’anziano di Nobe (tutti te lo indicheranno): “Questo agnello te lo manda Gesù di Nazaret, tuo amico, perché tu festeggi questo giorno con banchetto di letizia, perché più grande letizia di oggi non c’è per i veri amici del Cristo”. Lo farai?». 
   «Se così vuoi, lo farò». 
   «E mi farai felice. Non prima del dì dopo il sabato. Ricorda bene. E ricorda le parole che ti ho detto. Ora va’ e la pace sia con te. E serba il tuo cuore stabile in essa pace nei giorni futuri. Ricorda anche questo e continua a credere nella mia Verità. Addio» . 

 3 Della gente si è accostata ad ascoltare il dialogo e si dirada solo quando il pastore, rimettendo in moto il suo gregge, la obbliga a sparpagliarsi. Gesù segue il gregge, approfittando della scia aperta da esso. 
   La gente bisbiglia: «Ma allora va proprio a Gerusalemme? Ma non sa che c’è il bando per Lui?». 
   «Eh! ma nessuno può vietare ad un figlio della Legge di presentarsi al Signore per la Pasqua. È colpevole forse di pubblico reato? No. Perché, se lo fosse, il Preside lo avrebbe fatto imprigionare come Barabba». 
E altri: «Hai sentito? Non ha ricovero né amici a Gerusalemme. Che tutti lo abbiano abbandonato? Anche il risorto? Bella riconoscenza!». 
   «Taci là! Quelle due sono le sorelle di Lazzaro. Io sono delle campagne di Magdala e le conosco bene. Se le sorelle sono con Lui, segno è che la famiglia di Lazzaro gli è fedele». 
   «Forse non osa entrare in città». 
   «Ha ragione». 
   «Dio lo perdonerà se sta fuori di essa». 
   «Non è colpa sua se non può salire al Tempio». 
   «La sua prudenza è saggia. Se venisse preso, tutto sarebbe finito prima della sua ora». 
   «Certo non è ancor pronto per la sua proclamazione a re nostro, ed Egli non vuole essere preso». 
   «Si dice che, mentre lo si sapeva ad Efraim, Egli sia andato in ogni luogo, sin presso le tribù nomadi, per prepararsi i seguaci e le milizie e cercare protezioni». 
   «Chi te lo ha detto?». 
   «Sono le solite menzogne. Egli è il Re santo e non il re da milizie». 
   «Forse farà la Pasqua supplementare. Allora è più facile passare inosservato. Il Sinedrio è sciolto dopo le feste, e tutti i sinedristi vanno alle loro case per la mietitura. Sino a Pentecoste non si raduna di nuovo». 
   «E, via che siano i sinedristi, chi volete che gli faccia del male? Sono loro gli sciacalli!». 
   «Uhm! che Egli si usi tanta prudenza? Cosa troppo da uomo! Egli è da più che un uomo e non avrà prudenza vile». 
   «Vile? Perché? Nessuno può dir vile chi si risparmia per la sua missione». 
   «Vile sempre, perché ogni missione è sempre inferiore a Dio. Perciò il culto a Dio deve avere la precedenza su ogni altra cosa». 
   Queste le parole che vanno da bocca a bocca. Gesù mostra di non sentire. 

 4 Giuda d’Alfeo si ferma per attendere le donne e, sopraggiunte che siano – esse erano col ragazzo, indietro una trentina di passi – dice a Elisa: «Avete dato molto a Sichem dopo che partimmo!». 
   «Perché?». 
   «Perché Giuda non ha più un picciolo. I tuoi sandali, o Beniamino, non verranno. È destino così. A Tersa non si poté entrare e, anche avessimo potuto, il non aver denaro avrebbe impedito ogni acquisto… Dovrai entrare a Gerusalemme così…». 
   «Prima c’è Betania», dice Marta con un sorriso. 
   «E prima c’è Gerico e la mia casa», dice Niche pure sorridendo. 
   «E prima di tutto ci sono io. Io ho promesso e io farò. Viaggio di esperienze questo! Ho provato cosa è non avere una didramma. E ora proverò cosa è dover vendere un oggetto per bisogno», dice Maria di Magdala. 
   «E che vuoi vendere, Maria, se non porti più gioielli?», chiede Marta alla sorella. 
   «Le mie grosse forcine d’argento. Sono tante. Ma per tenere a posto questo inutile peso possono bastare quelle di ferro. Le venderò. Gerico è piena di gente che compra queste cose. E oggi è giorno di mercato, e così domani e sempre per queste ricorrenze». 
   «Ma sorella!».
   «Che? Ti scandalizzi pensando che mi si possa credere povera tanto da dover vendere le forcine d’argento? Oh! vorrei averti dato sempre di questi scandali! Peggio era quando, senza bisogno, vendevo me stessa al vizio altrui e mio». 
   «Ma taci! C’è il ragazzo, che non sa!». 
   «Non sa ancora. Forse non sa ancora che io ero la peccatrice. Domani lo saprebbe da chi mi odia perché non sono più tale, e certo con particolari quali il mio peccato non ebbe pur essendo tanto grande. Meglio dunque che lo sappia da me e veda quanto può il Signore che lo ha accolto: fare di una peccatrice una pentita, di un morto un risorto, di me morta nello spirito, di Lazzaro morto nel corpo, due viventi. Perché questo ha fatto a noi il Rabbi, o Beniamino. Ricordalo sempre e amalo con tutto il tuo cuore, perché Egli è veramente il Figlio di Dio». 

 5 Un intoppo lungo la via ha fermato Gesù e gli apostoli, e le donne li raggiungono. Gesù dice: «Andate avanti voi, verso Gerico, ed anche entrateci, se volete. Io vado a Doco con questi. Al tramonto sarò con voi». 
   «Oh! perché ci allontani? Non siamo stanche», protestano tutte. 
   «Perché vorrei che voi intanto, almeno alcune, avvisaste i discepoli che Io sarò da Niche domani». 
   «Se è così, Signore, noi andiamo. Vieni Elisa, e tu Giovanna, e tu Susanna e Marta. Prepareremo ogni cosa», dice Niche. 
   «E io e il ragazzo. Faremo i nostri acquisti. Benedicici, Maestro. E vieni presto. Tu, Madre, resti?», dice Maria di Magdala. 
   «Sì. Col Figlio mio». 
   Si separano. Con Gesù restano soltanto le tre Marie: la Madre, sua cognata Maria Cleofe e Maria Salome. E Gesù lascia la via di Gerico per una via secondaria che va a Doco.

 6 E da poco è per essa quando, da una carovana che viene non so da dove – una ricca carovana che certo viene da lontano perché ha le donne montate sui cammelli, chiuse nelle tremolanti berline o palanchini legati sulle schiene gibbute, e gli uomini a cavallo di focosi cavalli o di altri cammelli – si stacca un giovane e facendo inginocchiare il suo cammello scivola giù di sella, andando verso Gesù. Un servo, accorso, gli tiene la bestia per le briglie.
   Il giovane si prostra davanti a Gesù e, dopo il profondo saluto, gli dice: «Filippo di Canata, figlio di veri israeliti e rimasto tale, io sono. Discepolo di Gamaliele sinché la morte del padre mio non mi fece capo dei suoi commerci. Ti ho sentito più di una volta. So le tue azioni. Aspiro ad una vita migliore per avere quella vita eterna che Tu assicuri possesso di chi crea il tuo Regno in sé. Dimmi dunque, Maestro buono, che dovrò fare per avere la vita eterna?». 
   «Perché mi chiami buono? Solo Dio è buono». 
   «Tu sei il Figlio di Dio, buono come il Padre tuo. Oh! dimmi, che devo fare?». 
   «Per entrare nella vita eterna osserva i comandamenti». 
   «Quali, mio Signore? Gli antichi o i tuoi?». 
   «Negli antichi sono già i miei, i miei non mutano gli antichi. Essi sono sempre: adorare di amor vero l’unico vero Dio e rispettare le leggi del culto, non uccidere, non rubare, non commettere adulterio, non attestare il falso, onorare padre e madre, non danneggiare il prossimo ma anzi  amarlo  come  ami  te  stesso.  Facendo  così, avrai la vita eterna». 
   «Maestro, tutte queste cose le ho osservate dalla mia fanciullezza». 
   Gesù lo guarda con occhio d’amore e dolcemente gli chiede: «E non ti paiono sufficienti ancora?». 
   «No, Maestro. Cosa grande è il Regno di Dio in noi e nell’altra vita. Infinito dono è Dio che a noi si dona. Io sento che tutto è poco, di ciò che è dovere, rispetto al Tutto, all’Infinito perfetto che si dona e che penso si debba ottenere con cose più grandi di quelle che sono comandate per non dannarsi ed essergli graditi». 
   «Tu dici bene. Per essere perfetto ti manca ancora una cosa. Se vuoi essere perfetto come vuole il Padre nostro dei Cieli, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in Cielo che ti farà diletto al Padre, che ha dato il suo Tesoro per i poveri della Terra. Poi vieni e seguimi». 
   Il giovane si rattrista, si fa pensieroso. Poi si alza in piedi dicendo: «Ricorderò il tuo consiglio…», e si allontana tristemente. 

 7 Giuda ha un sorrisetto ironico e mormora: «Non sono io solo ad amare il denaro!». 
   Gesù si volge e lo guarda… e poi guarda gli altri undici visi che gli sono intorno, poi sospira: «Come difficilmente un ricco entrerà nel Regno dei Cieli, la cui porta è stretta, ed erta è la via, e non possono percorrerla ed entrare coloro che sono caricati dei pesi voluminosi delle ricchezze! Per entrare lassù non ci vogliono che tesori di virtù, immateriali, e sapersi separare da tutto quanto è attaccamento alle cose del mondo e vanità». Gesù è molto triste… 
   Gli apostoli si sogguardano fra loro… 
   Gesù riprende, guardando la carovana del giovane ricco che si allontana: «In verità vi dico che è più facile che un cammello passi per una cruna d’ago che non per un ricco di entrare nel Regno di Dio». 
«Ma allora chi mai potrà salvarsi? La miseria fa sovente peccatori, per invidie e poco rispetto a ciò che è d’altri, e per sfiducia verso la Provvidenza… La ricchezza è di ostacolo alla perfezione… E allora? Chi potrà
salvarsi?». 
   Gesù li guarda e dice loro: «Quello che è impossibile agli uomini è possibile a Dio, perché a Dio tutto è possibile.    Basta che l’uomo lo aiuti, il suo Signore, con la sua buona volontà. È buona volontà accettare il consiglio avuto e sforzarsi di giungere alla libertà dalle ricchezze. Ad ogni libertà, per seguire Dio. Perché la vera libertà dell’uomo è questa: seguire le voci che Dio gli sussurra al cuore e i suoi comandi, non essere schiavo né di se stesso, né del mondo, né del rispetto umano, e perciò non schiavi di Satana. Usare della splendida libertà di arbitrio che Dio ha dato all’uomo per volere liberamente e solamente il Bene, e conseguire così la vita eterna luminosissima, libera, beata. Neppur della propria vita bisogna essere schiavi, se per secondare la stessa noi si deve fare resistenza a Dio. Ve l’ho detto: (Vedi Vol 4 Cap 265) “Colui che perderà la sua vita per amor mio e per servire Iddio, costui la salverà in eterno”». 

 8 «Ecco! Noi abbiamo lasciato ogni cosa per seguirti, anche le più lecite. Che ce ne verrà dunque? Entreremo allora nel tuo Regno?», chiede Pietro. 
   «In verità, in verità vi dico che coloro che mi avranno seguito in tal modo e che mi seguiranno – perché c’è sempre tempo a riparare alle accidie e alle colpe sin qui fatte, sempre tempo sinché si è sulla Terra e si hanno davanti dei giorni nei quali poter riparare al mal fatto – costoro saranno con Me nel Regno mio. In verità vi dico che voi, che mi avete seguito nella rigenerazione, siederete sopra i troni a giudicare le tribù della Terra insieme al Figlio dell’uomo seduto sul trono della sua gloria. In verità ancora vi dico che non vi sarà nessuno che, avendo per amor del mio Nome lasciato casa, campi, padre, madre, fratelli, sposa, figli e sorelle, per spargere la Buona Novella e continuarmi, non riceva il centuplo in questo tempo e la vita eterna nel secolo futuro». 
   «Ma se perdiamo tutto, come possiamo centuplicare il nostro avere?», chiede Giuda di Keriot. 
   «Torno a dire: ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio. E Dio darà il centuplo di gaudio spirituale a coloro che da uomini del mondo seppero farsi figli di Dio, ossia uomini spirituali. Essi godranno il vero gaudio, qui e oltre la Terra. E ancor vi dico che non tutti quelli che sembrano i primi, e primi dovrebbero essere avendo più di tutti ricevuto, saranno tali. E non tutti quelli che sembrano ultimi, e men che ultimi, non essendo in apparenza miei discepoli e neppur del Popolo eletto, saranno gli ultimi. In verità molti da primi diverranno ultimi, e molti ultimi, infimi, diverranno primi…

 9 Ma ecco là Doco. Andate avanti tutti, meno Giuda di Keriot e Simone Zelote. Andate ad annunciarmi a quelli che possono aver bisogno di Me». 
   E Gesù attende con i due trattenuti di unirsi alle tre Marie, che li seguono a qualche metro di distanza.

Facoltativo (e dello stesso periodo della Vita di Gesù Cristo)

   Cap. DLXXIV. Andando da Enon a Tersa, Gesù riscatta e accoglie un pastorello dopo aver dato la cecità ad un crudele e la vista ad un cieco.

   4 marzo 1947.

 1 Enon, un pugno di case, è più su, verso nord. Qui è il luogo dove era il Battista: una grotta fra un rigoglio di vegetazione. Poco lungi, delle sorgive chioccolano, formando poi un rio ben nutrito d’acque che vanno verso il Giordano.
   Gesù è seduto fuor della grotta. Là dove era quando salutò il cugino. È solo. L’aurora tinge appena di roseo l’oriente e le selve si ridestano con i cinguettii degli uccelli che si svegliano. Dei belati vengono dagli ovili di Enon. Un raglio squarcia l’aria cheta. 
   Un trepestio di passetti sul sentiero. Passa un gregge di capre guidate da un adolescente, che si ferma per un attimo, incerto, a guardare Gesù. Poi se ne va. Ma dopo poco ritorna, perché una capretta si è impuntata di stare lì, ad osservare l’uomo che non era solita a vedere in quel luogo e che stende la sua lunga mano per offrirle uno stelo di maggiorana e la carezza sulla testa intelligente. Il pastorello resta interdetto. Non sa se allontanare la bestia o lasciare che Gesù la carezzi sorridendo, come fosse contento che essa senza timore venga ad accosciarsi ai suoi piedi, posandogli la testa sui ginocchi. Anche le altre capre tornano indietro, brucando l’erba sparsa di fioretti. 
   Il pastorello chiede: «Vuoi del latte? Non ho ancora munto due capre restie, che se non sono satolle cozzano chi le preme nel petto. Uguali al loro padrone, che se non è satollo di guadagno ci bastona». 
   «Sei servo pastore?». 
   «Sono orfano. Solo sono. E sono servo. Egli mi è parente, perché è marito della sorella della madre di mia madre. E sinché ci fu Rachele… Ma è morta da molti mesi… Ed io sono molto infelice… Prendimi con Te! Sono abituato a vivere di nulla… Ti sarò servo… un poco di pane mi basta per paga. Anche qui non ho nulla… Se mi pagasse, me ne andrei. Ma dice: “Questi i denari tuoi? Me li tengo perché ti vesto e sfamo”. Mi veste!… Lo vedi? Mi sfama!… Guardami… E queste sono percosse… Il mio pane di ieri, questo…». Mostra delle lividure sulle braccia e spalle magrissime. 
   «Che avevi fatto?». 
   «Nulla. I tuoi compagni, i discepoli voglio dire, parlavano del Regno dei Cieli e io li ascoltavo… Era sabato. Anche se non lavoravo, non ero ozioso perché era sabato… Mi picchiò forte, tanto che… che io non voglio più stare con lui. Prendimi. O io fuggirò… Sono venuto apposta qui, questa mattina. Avevo paura a parlare. Ma sei buono. Parlo». 
   «E il gregge? Non vorrai certo fuggire con esso…». 
   «…Lo riporterò all’ovile… L’uomo fra poco andrà al bosco per segare legna… Io riporterò il gregge e fuggirò. Oh! Prendimi!». 

 2 «Ma tu sai chi sono?». 
   «Sei il Cristo! Il Re del Regno dei Cieli. Chi ti segue è beato nell’altra vita. Non ho mai avuto gioia qui… ma, non mi respingere… che io l’abbia di là…». Piange gettato ai piedi di Gesù, vicino alla capretta. 
   «Come mi conosci così bene? Mi hai forse sentito parlare?». 
   «No. So da ieri che qui, dove era il Battista, sei Tu. Ma da Enon qualche volta passavano dei tuoi discepoli. Ho sentito loro. Si chiamano Mattia, Giovanni, Simeone, ed erano spesso qui, perché il Battista era il loro maestro prima di Te. E poi Isacco… In Isacco io ritrovavo padre e madre. Isacco mi voleva anche levare al padrone e dette denaro. Ma lui! Lo prese, sì, il denaro, ma poi non mi dette, schernendo il tuo discepolo». 
   «Tu sai molto. Ma sai dove Io vado?». 
   «A Gerusalemme. Ma non porto scritto sul volto che sono di Enon».  
   «Vado più lontano. Presto me ne vado. Non ti posso prendere». 
   «Prendimi per questo poco che puoi». 
   «E poi?». 
   «E poi… Piangerò, ma andrò con quelli di Giovanni, che per primi hanno detto al povero fanciullo che la gioia che gli uomini non danno in Terra, la dà Dio nel Cielo a chi ha avuto buona volontà. Io, per averla, ho preso tante percosse e fatta tanta fame, chiedendo a Dio di darmi questa pace. Vedi che ho avuto buona volontà… Ma ora, se mi respingi, io… non potrò più sperare…». Piange chetamente, supplicando Gesù con gli occhi piangenti più che con le labbra. 

 3 «Non ho denaro per il tuo riscatto. Né so se il tuo padrone consentirebbe, anche, ad esso». 
   «Ma io sono già stato pagato. Ho testimoni. Eli, Levi e Giona hanno visto e rimproverato l’uomo. E sono i più grandi di Enon, sai, loro!». 
   «Se è così… Andiamo. Alzati e vieni». 
   «Dove?». 
   «Dal tuo padrone». 
   «Ho paura! Va’ solo. È la su quel monte, fra le piante che sega. Io aspetto qui». 
   «Non temere. Guarda, vengono qui i miei discepoli. Saremo in tanti contro di lui. Non ti farà male. Alzati. Andremo a Enon a cercare dei tre testimoni e andremo dal tuo padrone. Dammi la mano. Dopo ti consegnerò ai discepoli che conosci. Come ti chiami?». 
   «Beniamino». 
   «Ho due altri piccoli amici di questo nome. Tu sarai il terzo». 
   «Amico? Troppo! Servo sono». 
   «Del Signore altissimo. Di Gesù di Nazaret tu sei l’amico. Vieni. Raccogli il gregge e andiamo». 

 4 Gesù si alza e, mentre il pastorello raduna e spinge le capre restie sulla via del ritorno, Gesù fa cenno agli apostoli, che avanzano sul sentiero e guardano verso Gesù, di venire presto. Quelli affrettano il passo. Ma il gregge è ormai in cammino e Gesù col pastorello per mano va verso di loro… 
   «Signore! Pastore di capretti ti sei fatto? Veramente la Samaria può essere chiamata la capra… Ma Tu…». 
   «Ma Io sono il Buon Pastore e muto anche i capretti in agnelli. I fanciulli poi sono tutti agnelli, e costui poco più che fanciullo è». 
   «Non è forse il fanciullo che ieri quell’uomo portò via con così mal modo?», dice Matteo osservandolo. 
   «Io credo che sia lui. Sei quello?». 
   «Lo sono». 
   «Oh! povero ragazzo! Tuo padre non ti ama certo!», dice Pietro. 
   «Il mio padrone. Non ho altro padre che Dio». 
   «Sì. I discepoli di Giovanni istruirono la sua ignoranza e confortarono il suo cuore, e all’ora giusta il Padre di tutti ci fece incontrare. Andiamo ad Enon per prendere con noi tre testimoni e poi andiamo dal suo padrone…», dice Gesù. 
   «Per farsi dare il fanciullo? E dove sono i denari? Maria ha distribuito gli ultimi che aveva…», osserva Pietro. 
   «Non c’è bisogno di denaro. Non è schiavo ed è già stato dato denaro per averlo dal padrone. Lo ha dato
Isacco, al quale il fanciullo fece pena». 
   «E perché non l’ebbe?». 
   «Perché molti sono gli schernitori di Dio e del prossimo. Ecco mia Madre con le donne. Andate a dir loro che non vengano oltre». 
   Giacomo di Zebedeo e Andrea corrono via svelti come gazzelle. Gesù si affretta verso la Madre e le discepole, e le raggiunge quando già sanno e osservano impietosite il giovinetto. 

 5 Ritornano svelti verso Enon. Vi entrano. Vanno, guidati dal ragazzo, alla casa di Eli, che è un vecchione dagli occhi appannati dagli anni ma ancor vigoroso. Da giovane deve essere stato robusto come una quercia di questi luoghi. 
   «Eli, il Rabbi di Nazaret mi prende se…».
   «Ti prende? Bontà più grande non potrebbe fare. Tu finiresti a divenir malvagio stando qui. Il cuore si indura quando l’ingiustizia troppo dura. E troppo è dura. Lo hai trovato? L’Altissimo ascolta dunque il tuo pianto, anche se è di fanciullo samaritano. Te felice, allora, che per l’età sei spoglio di ogni catena e puoi seguire la Verità senza che nulla ti trattenga dal seguirla, neppur il volere di un padre o d’una madre. Provvidenza appare ora ciò che per tanti anni sembrò castigo. Dio è buono. Ma che vuoi da me che sei qui venuto? La mia benedizione? Te la do come l’Anziano del luogo». 
   «La tua benedizione voglio. Perché sei buono. E poi sono venuto perché tu con Levi e Giona andaste, insieme al Rabbi, dal mio padrone perché non richieda altro denaro». 
   «Ma dove è il Rabbi? Io son vecchio e non vedo che poco, e non riconosco che coloro che molto conosco. Io non conosco il Rabbi». 
   «Qui è. Ti è davanti». 
   «Qui? Potenza eterna!». Il vecchio si alza e si inchina a Gesù dicendo: «Perdona al vecchio dagli occhi ottenebrati. Io ti saluto, perché uno solo è giusto in tutto Israele. E Tu sei quello. 

 6 Andiamo. Levi è nel suo orto intorno a un tino, e Giona è ai suoi formaggi». Il vecchione si rialza – è alto come Gesù, nonostante che l’età lo curvi – e si avvia costeggiando il muro, schivando con l’aiuto del suo bastone gli inciampi della via. 
   Gesù, che lo ha salutato con la sua pace, lo soccorre in un punto in cui tre rudimentali scalini rendono pericoloso ad un semicieco l’andare. Prima di mettersi in cammino, Gesù aveva detto alle discepole di attenderlo in quel luogo. Beniamino intanto va al suo ovile. 
   Il vecchione dice: «Tu sei buono. Ma Alessandro è una belva. Un lupo è. Non so se… Ma io sono ricco quel tanto che basti a darti denaro per Beniamino, se Alessandro ne vorrà ancora. I miei figli non hanno bisogno dei denari miei. Io sono vicino al secolo, e il denaro non serve per l’altra vita. Un’azione di umanità sì, ha valore…». 
   «Perché non l’hai fatto prima?». 
   «Non mi rimproverare, Rabbi. Io sfamavo il fanciullo e lo confortavo perché non divenisse malfattore. Alessandro è tale da far diventare feroce una tortorina. Ma non potevo, nessuno poteva levargli il fanciullo. Tu… te ne vai lontano. Ma noi… qui si resta, e le sue vendette sono temute. Un giorno uno di Enon si interpose perché, ubriaco, batteva a morte il fanciullo, ed egli, non so come fece, riuscì ad avvelenargli il gregge». 
   «Non è mal pensiero?». 
   «No. Attese molti mesi. L’inverno. Quando le pecore stanno nel chiuso, e avvelenò le acque della vasca. Bevvero. Gonfiarono. Morirono. Tutte. Siamo tutti pastori qui, e si comprese… Per sicurezza fu fatto mangiare di quelle carni ad un cane, e il cane morì. E ci fu chi vide Alessandro entrar furtivo nel chiuso… Oh! egli è un malfattore! Noi lo temiamo… Crudele, sempre ebbro la sera. Spietato con tutti i suoi. Ora, morti tutti, tortura il ragazzo». 
   «E allora non venire se…». 
   «Oh! no. Io vengo. La verità va detta.

 7 Ecco. Sento battere il martello. Questo è Levi». E chiama forte presso una siepe: «Levi! Levi!». 
   Viene fuori un vecchio meno vecchio del primo, in veste succinta, un mazzuolo in mano. Saluta Eli e gli chiede: «Che vuoi, amico?». 
   «Al mio fianco è il Rabbi di Galilea. È venuto a prendere Beniamino. Vieni, ché nel bosco c’è Alessandro. A testimoniare che già per lui egli ebbe, da quel discepolo, quei denari». 
   «Vengo. Mi dissero sempre che il Rabbi era buono. Ora lo credo. La pace a Te!». Depone il mazzuolo, grida a non so chi di attenderlo e se ne va con Eli e Gesù. 
   Presto arrivano all’ovile di Giona. Lo chiamano, spiegano… 
   «Vengo. Tu», ordina ad un garzone, «va’ avanti col lavoro». Si asciuga le mani in un panno, che getta poi su un piolo, e segue Gesù, dopo averlo salutato, insieme a Levi ed Eli. 
   Gesù parla intanto col vecchione. Gli dice: «Sei un giusto. Dio ti darà pace». 
   «Lo spero. È giusto il Signore! Io non ne ho colpa d’esser nato in Samaria…». 
   «Non ne hai colpa. Nell’altra vita non ci sono confini per i giusti. Solo la colpa drizza confine fra il Cielo e l’Abisso». 
   «È vero. Come ti vedrei volentieri! La tua voce è dolce, e dolce è la tua mano nel guidare il vecchio cieco. Dolce e forte. Sembra quella del figlio mio prediletto, Eli come me, figlio di Giuseppe mio figlio. Se il tuo aspetto è come la tua mano, beato chi ti vede». 
   «Meglio è sentirmi che vedermi. Fa più santo lo spirito». 
   «È vero. Io ascolto quelli che parlano di Te. Ma passano di rado… 

 8 Ma non è rumore di scure su dei tronchi questo?». 
   «Lo è». 
   «Allora… Qui vicino è Alessandro… Chiamalo». 
   «Sì. Voi rimanete qui. Se potrò fare da Me non vi chiamerò: Non vi mostrate se non vi chiamo». Va avanti e chiama forte. 
   «Chi mi vuole? Chi sei?», dice un uomo anziano, robustissimo, dal profilo duro e dal torace e le membra di lottatore. Un colpo di quelle mani deve essere come un colpo di clava: brutale. 
   «Sono Io. Uno sconosciuto che ti conosce. Vengo a prendere ciò che è mio». 
   «Tuo? Ah! Ah! Cosa è tuo in questo bosco mio?». 
   «Nel bosco nulla. Nella tua casa, mio è Beniamino». 
   «Tu sei pazzo! Beniamino è il mio servo». 
   «E parente. E tu sei il suo aguzzino. E un mio messo ti dette il denaro che chiedevi per avere il fanciullo. E tu prendesti il denaro e negasti il fanciullo. Il mio messo, uomo di pace, non reagì. Io vengo per la giustizia». 
   «Il tuo messo si sarà bevuto il denaro. Io non ho avuto nulla. E mi tengo Beniamino. Gli voglio bene». 
   «No. Lo odi. Vuoi bene alla mercede che non gli dài. Non mentire. Dio punisce i mentitori». 
   «Io non ho avuto denaro. Se Tu hai parlato con il mio servo, sappi che egli è un astuto mentitore. E io lo percuoterò perché mi calunnia. Addio!», gli volta le spalle e fa per andarsene. 
   «Bada, Alessandro, che Dio è presente. Non sfidare la sua bontà». 
   «Dio! Ha forse da tutelare i miei interessi Dio? Io solo li devo tutelare e li tutelo». 
   «Bada!». 

 9 «Ma chi sei, miserabile galileo? Come ti permetti di rimproverarmi? Io non ti conosco». 
   «Tu mi conosci. Sono il Rabbi di Galilea e…». 
   «Ah! sì! E credi di farmi paura. Non temo né Dio né Belzebù, io. E vuoi che io tema Te? Un pazzo? Va’, va’! Lasciami al lavoro. Va’, ti dico. Non mi guardare. Credi che i tuoi occhi mi possano far paura? Cosa vuoi vedere?». 
   «I tuoi delitti no, perché li conosco tutti. Tutti. Anche quelli che nessuno conosce. Ma voglio vedere se neppur comprendi che questa è l’ultima ora di misericordia che Dio ti dà per pentirti. Voglio vedere se il rimorso non sorge a fenderti il cuore di pietra, se…». 
   L’uomo, che ha in mano la scure, la lancia verso Gesù, che si china rapido. La scure fa un arco sopra il suo capo e va a percuotere un giovane leccio, che viene spezzato di netto e che cade con gran fruscio di fogliame e frullo di uccelli spaventati. 

10 I tre, nascosti poco lontano, balzano fuori urlando, paurosi che anche Gesù sia stato colpito, e colui che non vede grida: «Oh! vedere! Vedere se Egli è realmente senza ferita! Per questo solo la vista, o Dio eterno!». E, sordo a tutte le assicurazioni altrui, si avanza brancolando, perché ha perso il bastone e vuole toccare Gesù per sentire se non sanguina in alcun posto del corpo, e geme: «Un raggio di luce chiara, e poi le tenebre. Ma vedere, vedere, senza questo velo che appena mi concede di indovinare gli ostacoli…». 
   «Non ho nulla, padre, sentimi», dice Gesù toccandolo e facendosi toccare. 
   Intanto gli altri due hanno parole dure per il violento e gli rinfacciano colpe e menzogne, ed egli, privo della sua scure, trae fuori un coltello e si avventa per colpire, bestemmiando Dio, schernendo il cieco, minacciando gli altri, veramente simile ad una belva infuriata. Ma barcolla, si arresta, lascia cadere il pugnale, si strofina gli occhi, li apre, li chiude, poi ha un urlo tremendo: «Non ci vedo più! Aiuto! I miei occhi… Le tenebre… Chi mi salva?». 
   Gridano anche gli altri. Di stupore. E anche lo irridono dicendo: «Dio ti ha ascoltato».
   Infatti, fra le sue bestemmie, erano queste: «Che Dio mi acciechi se mento e se ho peccato. E che io mi acciechi piuttosto di adorare un pazzo nazareno! Riguardo a voi, farò le vendette e spezzerò Beniamino come quella pianta…».    
   E lo irridono anche, dicendo: «Or fa le vendette…». 
   «Non siate come lui. Non odiate», consiglia Gesù e carezza il vecchione, che non si preoccupa di nulla che non sia la incolumità di Gesù, e per rassicurarlo dice: «Alza il volto! Guarda!». 
   Il miracolo si compie. Come là, al violento, le tenebre, così qui al giusto la luce. Ed è un grido, diverso,
beato, che si alza sotto le piante robuste: «Io vedo! I miei occhi! La luce! Te benedetto!», e il vecchio fissa Gesù con occhi ben lucenti di nuova vita, e poi si prostra a baciarne i piedi. 
   «Andiamo noi due. Voi ricondurrete in Enon quel disgraziato. E siate pietosi, perché già Dio lo ha punito. E basta Dio. L’uomo sia buono con ogni sciagura». 
   «Prenditi il fanciullo, le pecore, il bosco, la casa, i denari. Ma rendimi la vista. Non posso rimanere così». 
   «Non posso. Ti lascio tutto ciò per cui divenisti peccatore. Mi prendo l’innocente perché ha già patito il martirio. Nelle tenebre possa la tua anima aprirsi alla Luce». 

11 Gesù saluta Levi e Giona e scende svelto col vecchione, che pare ringiovanito e che, giunto alle prime case, grida la sua gioia… Tutta Enon si sommuove… 
   Gesù si fa largo, va dal pastorello che è presso gli apostoli e, dice: «Vieni! Andiamo, ché a Tersa ci attendono». 
   «Libero? Libero? Con Te? Oh! Non credevo! Saluto Eli. E gli altri?». Il ragazzo è agitato… 
   Eli lo bacia e benedice e gli dice: «E perdona all’infelice». 
   «Perché? Perdonare sì. Ma perché infelice?». 
   «Perché bestemmiò il Signore e la luce si spense nei suoi occhi. Nessuno di noi lo potrà più temere. Egli è nelle tenebre e nell’infermità. Tremenda potenza di Dio!…». Il vecchio pare un profeta ispirato, così a braccia alte, volto al cielo, meditabondo su ciò che ha visto. 
   Gesù lo saluta e fende la piccola folla agitata; se ne va, e dietro Lui se ne vanno apostoli e discepole, e se ne va Beniamino, salutato dalle donne, le quali vogliono dare un pegno al prediletto dal Signore: un frutto, una borsa, un pane, una veste, ciò che trovano lì per lì. Ed egli, felice, le saluta, le ringrazia, dice: «Sempre buone con me! Lo ricorderò. Pregherò per voi. Mandate i vostri figli al Signore. È bello stare con Lui. È la Vita. Addio! Addio!…». 

12 E non è superata. Scendono verso il Giordano, verso la pianura della valle giordanica, verso i nuovi avvenimenti, sconosciuti ancora… 
   Ma il fanciullo non si volge a guardare. Non commenta. Non pensa. Non sospira. Sorride. Guarda Gesù, là, avanti a tutti, vero Pastore seguito dal suo gregge. Dal gregge nel quale ora è anche lui, il povero fanciullo… e d’improvviso canta. A voce spiegata… 
   Sorridono gli apostoli dicendo: «Il ragazzo è felice». 
   Sorridono le donne dicendo: «L’uccello prigioniero ha ritrovato libertà e nido». 
   Sorride Gesù, volgendosi a guardarlo, e il suo sorriso, come sempre, pare far più luminoso tutto, e lo chiama dicendo: «Vieni qui, agnellino di Dio. Ti voglio insegnare un bel canto». E intona, seguito dagli altri, il salmo: «Il Signore è il mio Pastore. Non mi mancherà di nulla. Egli mi ha posto in luogo di abbondanti pascoli», ecc. (23° salmo)… La bellissima voce di Gesù si sparge per la campagna ubertosa, primeggia sulle altre, anche sulle migliori, tanto è potente nella sua gioia. 

13 «È felice tuo Figlio, Maria», dice Maria d’Alfeo. 
   «Sì. È felice. Ha ancora qualche cosa di gioia…». 
   «Nessun viaggio è senza frutto. Egli passa spargendo le grazie, e sempre vi è qualcuno che veramente incontra il Salvatore. Ti ricordi di quella sera a Betlemme di Galilea?», chiede Maria di Magdala. 
   «Sì. Ma non vorrei ricordare quei lebbrosi e questo cieco…». 
   «Tu perdoneresti sempre. Sei tanto buona! Ma è anche necessaria la giustizia», osserva Maria Salome. 
   «È necessaria. Ma buon per noi che è più grande la misericordia», dice ancora Maria Maddalena. 
   «Tu lo puoi dire. Ma Maria…», risponde Giovanna. 
   «Maria non vuole che perdono, anche se Essa di perdono non ha bisogno. Non è vero, Maria?», dice Susanna. 
   «Non vorrei che perdono. Sì. Quello solo. Esser cattivi deve essere già un terribile soffrire…». Sospira nel dirlo. 
   «Tu perdoneresti a tutti, proprio a tutti? Sarebbe giusto, poi, farlo? Vi sono gli ostinati nel male, che sciupano ogni perdono col deriderlo come debolezza», dice Marta.  
   «Io perdonerei. Per me perdonerei. Non per stoltezza. Ma perché vedo ogni anima come un pargolo più o meno buono. Come un figlio… Una madre sempre perdona… anche se dice: “Giustizia vuole un giusto castigo”. Oh! se una madre potesse morire per generare un cuor nuovo, buono, al figlio malvagio, credete voi che non lo farebbe? Ma non si può. Vi sono cuori che respingono ogni aiuto… E io penso che anche ad essi la pietà deve dare perdono. Perché già tanto è il peso che hanno sul cuore: delle loro colpe, del rigore di Dio… Oh! perdoniamo, perdoniamo ai colpevoli… E volesse Iddio accogliere il nostro assoluto perdono per diminuire il loro debito…». 
   «Ma perché sempre piangi, Maria? Anche ora che tuo Figlio ebbe un’ora di gioia!», si lamenta Maria d’Alfeo. 
   «Non fu tutta gioia, poiché il colpevole non si pentì. Gesù è in completa gioia quando può redimere…». 
   Chissà perché Niche, che non ha mai parlato, dice all’improvviso: «Fra poco saremo di nuovo con Giuda di Keriot». 
   Le donne si guardano, come se la semplice frase fosse una cosa straordinaria, come dietro essa si celasse chissà quale grande cosa. Ma nessuna risponde parola. 

14 Gesù si è fermato in un uliveto bellissimo. Si fermano tutti. Gesù benedice e spezza il cibo e lo spartisce. 
   Beniamino guarda e ordina ciò che gli hanno dato: vesti troppo lunghe o troppo larghe, sandali non adatti al suo piede, mandorle ancora nel mallo, le ultime noci, una formaggella, qualche mela rugosa, un coltelluccio. È felice dei suoi tesori. Vuole offrire le cibarie. E piega le vesti dicendo: «Metterò la più bella per Pasqua». 
   Maria d’Alfeo promette: «A Betania te la riordinerò tutta. Lascia intanto fuori questa. A Tersa ci sarà acqua per rinfrescarla, e più là ci sarà filo per aggiustarla. Per i sandali poi… non so come fare». 
   «Si danno questi al primo povero che si incontra e che abbia sì capace piede, e se ne compra a Tersa un paio di nuovi», dice Maria di Magdala tranquillamente. 
   «Con che denari, sorella?», le chiede Marta. 
   «Ah! è vero! Non abbiamo più un picciolo… Ma Giuda ha denaro… Così Beniamino non può far lunga strada. E poi, povero fanciullo! La sua anima ha avuto la grande gioia, ma anche la sua umanità deve avere un sorriso… Fanno piacere certe cose». 
   Susanna, giovane e allegra, ride dicendo: «Parli come se tu conoscessi per esperienza che un paio di sandali nuovi fanno la gioia di chi non ne ha mai posseduti di tali!». 
   «È vero. Ma è perché infatti so come può far piacere una veste asciutta quando si è bagnati ed una fresca quando non se ne ha che una. Io ricordo…». E curva la sua testa sulla spalla di Maria Ss. dicendo: «Ti ricordi, o Madre?», e la bacia con tenerezza. 

15 Gesù dà l’ordine di andare, per essere a Tersa prima di sera: «Saranno in pensiero quei due che non sanno…». 
   «Vuoi che si vada avanti, a dir loro che Tu stai per venire?», propone Giacomo d’Alfeo. 
   «Sì. Andate tutti, meno Giovanni e Giacomo e mio fratello Giuda. Tersa non è lontana, ormai… Andate, dunque. Cercate di Giuda e di Elisa e preparate intanto i posti per noi perché, avendo tardato tanto e avendo con noi le donne, bene è sostare nella notte… Noi vi seguiremo intanto. Fatevi trovare presso le prime case…». 
   Gli otto apostoli se ne vanno svelti, e Gesù più lentamente li segue.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!