San Fedele da Sigmaringen prega per noi – 24 aprile

Nacque nel 1577 nella città di Sigmaringa. Il nome di nascita era Marco, cambiato poi in Fedele nella professione religiosa. Nel dargli questo nome, il maestro dei novizi gli disse queste parole dell’Apocalisse: « Sii fedele sino alla morte e ti darò la corona della vita ».

La natura e la grazia lo favorirono dei loro doni e il nostro giovane fece in breve tempo sì ammirabili progressi nella scienza, da essere indicato come esempio ai suoi condiscepoli, ed insieme fiorì meravigliosamente in lui il fiore d’ogni virtù, così da giungere presto all’apice della santità.

Studiò filosofia nell’università di Friburgo, e ottenne con brillante esito la laurea dottorale a Villigen, ove esercitò poi l’avvocatura.

Ma questa carica, occasione continua di peccato, fu presto abbandonata da quell’anima assetata di giustizia, la quale scelse una via più sicura per la sua eterna salvezza, passando nella famiglia del serafico S. Francesco: si fece religioso cappuccino.

In religione fu luminoso esempio a tutti i confratelli nell’osservanza delle regole, nello spirito d’orazione e nell’unione con Dio. Elevato alle più alte cariche del convento, tutte le disimpegnò con prudenza, giustizia, mansuetudine e umiltà ammirabili.

Distinguendosi nel ministero della predicazione e ardendogli in cuore il desiderio di dare il suo sangue per la fede, fu scelto a capo di una missione, la quale si portava nella Rezia per’ la conversione degli eretici.

Predicò a Sevis, ove con zelo apostolico e con accento paterno, esortava i Cattolici a serbare immacolata la loro fede, a non dare ascolto ai violatori del sacro patrimonio, ai lupi rapaci, seminatori della zizzania calvinista.

Ogni giorno più, particolarmente nel celebrare la S. Messa, il desiderio del martirio si accendeva in lui; ogni giorno ripeteva al Signore la sua supplica, e Gesù infine lo appagò.

Un giorno, mentre celebrava, un eretico sacrilegamente gli sparò contro; ciò visto, i fedeli lo pregarono a porsi in salvo, ma egli protestò di non temere la morte, e di essere pronto a sacrificare la sua vita per Gesù e la Chiesa.

Invitato con inganno dagli eretici a predicare loro la verità, simulandosi desiderosi di conversione, S. Fedele, il 21 aprile del 1622 si portava a Cruch, quando fu assalito dai suoi nemici, i quali barbaramente lo trucidarono, abbandonandolo in una pozza di sangue.

S. Fedele consacrò le primizie dei Martiri del suo ordine. Da quel giorno prodigi e miracoli lo resero illustre, specie a Coira e a Veldkrich, dove si conservano le sue reliquie e dove è tenuto in somma venerazione dal popolo. Fu canonizzato dal Papa Benedetto XIV.

PRATICA. S. Fedele ci dà esempio di costanza e fedeltà nel servizio del Signore: siamo anche noi fedeli, e costanti, qualunque sia la nostra missione.

PREGHIERA. Dio, che nella propagazione della fede ti sei degnato decorare della palma del martirio e di gloriosi miracoli il beato Fedele, deh! per i suoi meriti ed intercessione, confermaci così nella fede e nella carità, che meritiamo d’essere trovati fedeli nel tuo servizio fino alla morte.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sèvis, nella Svizzera, san Fedéle da Sigmaringa, Sacerdote dell’Ordine dei Minori Cappuccini e Martire, il quale, mandato là a predicare la fede cattolica, nello stesso luogo, ucciso dagli eretici, compì il martirio, e dal Papa Benedétto decimoquarto fu annoverato fra i santi Martiri.

Nome: San Fedele da Sigmaringen
Titolo: Sacerdote e martire
Nascita: 1577, Sigmaringa, Germania
Morte: 21 aprile 1622, Seewis, Svizzera
Ricorrenza: 24 aprile
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Castelnuovo Magra, Portalbera, Montenerodomo, Monchiero

Vangelo Gv 6, 60-69:« È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita».

Vangelo Gv 6, 60-69
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».


Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CCCLIV. Il discorso sul Pane del Cielo, nella sinagoga di Cafarnao, e la defezione di molti discepoli.

 1 Prima della visione del 7-12 va messa quella della seconda moltiplicazione dei pani, avuta il 28 maggio 44, col relativo dettato.

   7 Dicembre 1945

 2 La spiaggia di Cafarnao formicola di gente che sbarca da una vera flottiglia di barche di tutte le dimensioni. E i primi che sbarcano vanno cercando fra la gente se vedono il Maestro, un apostolo o almeno un discepolo. E vanno chiedendo…
   Un uomo, finalmente, risponde: «Maestro? Apostoli? No. Sono andati via subito dopo il sabato e non sono tornati. Ma torneranno perché ci sono dei discepoli. Ho parlato adesso con uno di loro. Deve essere un grande discepolo. Parla come Giairo! È andato verso quella casa fra i campi, seguendo il mare».
   L’uomo che ha interrogato fa correre la voce e tutti si precipitano verso il luogo indicato. Ma, fatto un duecento metri sulla riva, incontrano tutto il gruppo di discepoli che vengono verso Cafarnao gestendo animatamente. Li salutano e chiedono: «Il Maestro dove è?».
   I discepoli rispondono: «Nella notte, dopo il miracolo, se ne è andato coi suoi, colle barche, al di là del mare. Vedemmo le vele, al candore della luna, andare verso Dalmanuta».
   «Ah! Ecco! Noi lo cercavamo a Magdala presso la casa di Maria e non c’era! Però… potevano dircelo i pescatori di Magdala!».
   «Non lo avranno saputo. Sarà forse andato sui monti d’Arbela in preghiera. Ci fu già un’altra volta, lo scorso anno avanti la Pasqua. Io l’ho incontrato allora, per somma grazia del Signore al suo povero servo», dice Stefano.
   «Ma non torna qui?».
   «Certamente tornerà. Ci deve dare il commiato e gli ordini. Ma che volete?».
   «Sentirlo ancora. Seguirlo. Farci suoi».
   «Adesso va a Gerusalemme. Lo ritroverete là. È la, nella casa di Dio, il Signore vi parlerà se per voi è utile il seguirlo.

 3 Perché è bene che sappiate che, se Egli non respinge alcuno, noi abbiamo in noi elementi che sono respingenti la Luce. Ora, chi ne ha tanti da essere non solo saturi di essi – che poco male sarebbe, perché Egli è luce e nel divenire lealmente suoi con volontà decisa la sua Luce ci penetra e vince le tenebre – ma da esserne composto e affezionato ad essi come alla carne della nostra persona, allora è bene che costui si astenga dal venire, a meno che non si distrugga per ricrearsi novello. Meditate, dunque, se avete in voi la forza di assumere un nuovo spirito, un nuovo modo di pensare, un nuovo modo di volere. Pregate per poter vedere la verità sulla vostra vocazione. E poi venite, se credete. E voglia l’Altissimo, che ha guidato Israele nel “passaggio”, guidare voi, in questo “pèsac”, a venire sulla scia dell’Agnello, fuori dai deserti, alla Terra eterna, al Regno di Dio », dice Stefano parlando per tutti i compagni.
   «No, no! Subito! Subito! Nessuno fa ciò che Egli fa. Lo vogliamo seguire», dice la folla in tumulto.
   Stefano ha un sorriso di molte espressioni. Apre le braccia e dice: «Perché vi ha dato il buono e abbondante pane volete venire? Credete che vi dia in futuro solo questo? Egli promette ai suoi seguaci ciò che è sua dote: il dolore, la persecuzione, il martirio. Non rose ma spine, non carezze ma schiaffi, non pane ma pietre sono pronte per i “cristi”. E così dico senza essere bestemmiatore, perché i suoi veri fedeli saranno unti coll’olio santo fatto della sua Grazia e del suo patire; e “unti” noi saremo per essere le vittime sull’altare e i re nel Cielo».
   «Ebbene? Ne sei geloso forse? Ci sei tu. Ci vogliamo essere noi pure. Il Maestro è di tutti».
   «Sta bene. Ve lo dicevo perché vi amo e voglio che sappiate ciò che è essere “discepoli”, onde non essere poi dei disertori. Andiamo allora tutti insieme ad attenderlo alla sua casa. Il tramonto ha inizio ed ha principio il sabato. Egli verrà per passarlo qui avanti la partenza».

 4 E vanno verso la città, parlando. E molti interrogano Stefano ed Erma, che li ha raggiunti, i quali, agli occhi degli israeliti, hanno una luce speciale perché allievi prediletti di Gamaliele.
   Molti chiedono: «Ma che dice Gamaliele di Lui?», altri: «Vi ci ha mandati lui?», e altri ancora: «Non si è doluto di perdervi?», oppure: «E il Maestro che dice del grande rabbi?».
   I due rispondono pazienti: «Gamaliele parla di Gesù di Nazaret come del più grande uomo d’Israele».
   «Oh! più grande di Mosè?», dicono quasi scandalizzati.
   «Egli dice che Mosè è uno dei tanti precursori del Cristo. Ma non è che il servo del Cristo».
   «Allora per Gamaliele questo è il Cristo? Dice così? Se così dice rabbi Gamaliel, la cosa è decisa. Egli è il Cristo!».
   «Non dice ciò. Non riesce ancora a credere questo, per sua sventura. Ma di ce che il Cristo è sulla Terra perché egli gli ha parlato molti anni fa. Egli e il saggio Illele. E attende il segno che quel Cristo gli ha promesso per riconoscerlo», dice Erma. 
   «Ma come ha fatto a credere che quello era il Cristo? Che faceva quello? Io sono vecchio quanto Gamaliele, ma non ho mai sentito che da noi fossero fatte le cose che il Maestro fa. Se non si persuade di questi miracoli, che vide mai di miracoloso in quel Cristo per potergli credere?».
   «Lo vide unto della Sapienza di Dio. Egli dice così», risponde ancora Erma.
   «E allora cosa è per Gamaliele questo?».
   «Il più grande uomo, Maestro e precursore di Israele. Quando potesse dire: “E’ il Cristo”, sarebbe salva l’anima sapiente e giusta del mio primo maestro», dice Stefano e termina: «Ed io prego perché ciò sia, a qualunque costo».
   «E se non lo crede il Cristo, perché vi ci ha mandati?».
   «Noi volevamo venirci. Egli ci ha lasciati venire dicendo che era bene».
   «Forse per poter sapere e riferire al Sinedrio…», dice insinuando uno.
   «Uomo, come parli? Gamaliele è un onesto. Non fa la spia a nessuno, e specie ai nemici di un innocente!», scatta Stefano e pare un arcangelo tanto è sdegnato e quasi raggiante nel suo sdegno santo.
   «Gli sarà spiaciuto perdervi, però», dice un altro
   «Si e no. Come uomo che ci voleva bene, si. Come spirito molto retto, no. Perché ha detto: “Egli è da più di
me e di me più giovane. Perciò io potrò chiudere gli occhi in pace sul vostro futuro sapendovi del ‘Maestro dei maestri’”».
   «E Gesù di Nazaret che dice del grande rabbi?».
   «Oh! non ha che parole elette per lui!».
   «Non ne è invidioso?».
   «Dio non invidia», dice severo Erma. «Non fare supposizioni sacrileghe».
   «Ma per voi allora è Dio? Ne siete certi?».
   E i due ad una voce: «Come di essere vivi in questo momento». E Stefano termina: «E vogliate crederlo pure voi per possedere la vera Vita».

 5 Sono da capo sulla spiaggia che si muta in piazza e la traversano per andare a casa. Solla soglia è Gesù che carezza dei bambini.
   Discepoli e curiosi si affollano chiedendo: «Maestro, quando sei venuto?».
   «Da pochi momenti». il viso di Gesù ha ancora la maestà solenne, un poco estatica, di quando ha molto pregato.
   «Sei stato in orazione, Maestro?», chiede Stefano a voce bassa per riverenza, così come ha curva la persona per lo stesso motivo.
   «Si. Da che lo comprendi, figlio mio?», dice Gesù posandogli la mano sui capelli scuri con una dolce carezza.
   «Dal tuo volto d’angelo. Sono un povero uomo, ma è tanto limpido il tuo aspetto che su esso si leggono i palpiti e le azioni del tuo spirito».
   «Anche il tuo è limpido. Tu sei uno di quelli che fanciulli restano…».
   «E che c’è sul mio viso, Signore?».
   «Vieni in disparte e te lo dirò», e lo prende per il polso portandolo in un corridoio oscuro. «Carità, fede, purezza, generosità, sapienza; e queste Dio te le ha date, e tu le hai coltivate e più lo farai. Infine, secondo il tuo nome, hai la corona: d’oro puro, e con una grande gemma che splende sulla fronte. Sull’oro e sulla gemma sono incise due parole: “Predestinazione” e “Primizia”. Sii degno della tua sorte, Stefano. Và in pace con la mia benedizione». E gli posa nuovamente la mano sui capelli, mentre Stefano si inginocchia per poi curvarsi e baciargli i piedi.

 6 Tornano dagli altri.
   «Questa gente è venuta per sentirti…», dice Filippo.
   «Qui non si può parlare. Andiamo alla sinagoga. Giairo ne sarà contento».
   Gesù davanti, dietro il corteo degli altri, vanno alla bella sinagoga di Cafarnao; e Gesù, salutato da Giairo, vi entra, ordinando che tutte le porte restino aperte perché chi non riesce ad entrare possa sentirlo dalla via e dalla piazza che sono a fianco della Sinagoga.
   Gesù va al suo posto, in quella sinagoga amica, dalla quale oggi, per buona sorte, sono assenti i farisei, forse già partiti Pomposamente per Gerusalemme. E inizia a parlare.
   «In verità vi dico: voi cercate di Me non per sentirmi e per i miracoli che avete veduto, ma per quel pane che vi ho dato da mangiare a sazietà e senza spesa. I tre quarti di voi per questo mi cercava e per curiosità, venendo da ogni parte della Patria nostra. Manca perciò nella ricerca lo spirito soprannaturale, e resta dominante lo spirito umano con le sue curiosità malsane, o per lo meno di una imperfezione infantile, non perché semplice come quella dei pargoli, ma perché menomata come l’intelligenza di un ottuso di mente. E con la curiosità resta la sensualità e il sentimento viziato. La sensualità che si nasconde, sottile come il demonio di cui è figlia, dietro apparenze e in atti apparentemente buoni, e il sentimento viziato che è semplicemente una deviazione morbosa del sentimento e che, come tutto ciò che è “malattia”, abbisogna e appetisce a droghe che non sono il cibo semplice, il buon pane, la buona acqua, lo schietto olio, il puro latte, sufficienti a vivere e a vivere bene. Il sentimento viziato vuole le cose straordinarie per essere scosso e per provare il brivido che piace, il brivido malato dei paralizzati, che hanno bisogno di droghe per provare sensazioni che li illudano di essere ancora integri e virili. La sensualità che vuole soddisfare senza fatica la gola, in questo caso, col pane non sudato, avuto per bontà di Dio. 

 7 I doni di Dio non sono consuetudine, sono lo straordinario. Non si possono pretenderli, né impigrirsi dicendo: “Dio me li darà”. È detto: “Mangerai il pane bagnato col sudore della tua fronte”, ossia il pane guadagnato col lavoro. Che se Colui che è Misericordia ha detto: “Ho compassione di queste turbe, che mi seguono da tre giorni e non hanno più da mangiare e potrebbero venire meno per via prima di avere raggiunto Ippo sul lago, o Gamala, o altre città”, e ha provveduto, non è però detto che Egli debba essere seguito per questo. Per molto di più di un pò di pane, destinato a divenire sterco dopo la digestione, Io vado seguito. Non per cibo che empie il ventre, ma per quello che nutre l’anima. Perché non siete soltanto animali che devono brucare e ruminare, o grufolare e ingrassare. Ma anime siete! Questo siete! La carne è la veste, l’essere è l’anima. È lei che è duratura. La carne, come ogni veste, si logora e finisce, e non merita curarla come fosse una perfezione alla quale va data ogni cura.
   Cercate dunque ciò che è giusto procurarsi, non ciò che è ingiusto. Cercate di procurarvi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna. Questo, il Figlio dell’uomo ve lo darà sempre, quando voi lo vogliate. Perché il Figlio dell’uomo ha a sua disposizione tutto quanto viene da Dio, e può darlo, Egli padrone, e magnanimo padrone, dei tesori del Padre Dio, che ha impresso su di Lui il suo sigillo perché gli occhi onesti non siano confusi. E voi avete in voi il cibo che non perisce, potrete fare opere di Dio essendo nutriti del cibo di Dio».

 8 «Che dobbiamo fare per fare le opere di Dio? Noi osserviamo le legge e i profeti. Perciò già siamo nutriti di Dio e facciamo opere di Dio ».
   «E’ vero. Voi osservate la Legge. Meglio ancora: voi “conoscete” la Legge. Ma conoscere non è praticare. Noi conosciamo, ad esempio, le leggi di Roma, eppure un fedele israelita non le pratica altro che in quelle formule che sono imposte dalla sua condizione di suddito. Per il resto noi, parlo dei fedeli israeliti, non pratichiamo le usanze pagane dei romani pur conoscendole. La legge che voi conoscete ed i Profeti dovrebbero, infatti, nutrirvi di Dio e darvi perciò capacità di fare opere di Dio. Ma per fare questo dovrebbero essere divenute un tutt’uno con voi, così come è l’aria che respirate e il cibo che assimilate, che si mutano entrambi in vita e sangue. Mentre essi rimangono estranei, pure essendo di casa vostra, così come può esserlo un oggetto della casa, che vi è noto e utile, ma che, se venisse a mancare, non vi leva l’esistenza. Mentre… oh! provate un poco a non respirare per qualche minuto, provate a stare senza cibo per giorni e giorni… e vedrete che non potete vivere. Così dovrebbe sentirsi il vostro io nella denutrizione e nell’asfissia della Legge e dei Profeti, conosciuti ma non assimilati e fatti tutt’uno con voi. Questo Io sono venuto ad insegnare e a dare: il succo, l’aria della Legge e dei Profeti, per ridare sangue e respiro alle vostre anime morenti di inedia e di asfissia. Voi siete simili a bambini che una malattia rende incapaci di conoscere ciò che è atto a nutrirli. Avete davanti dovizie di cibi, ma non sapete che vanno mangiati per mutarsi in cosa vitale, ossia che vanno veramente fatti vostri, con una fedeltà pura e generosa alla Legge del Signore che ha parlato a Mosè e ai Profeti per voi tutti. Venite dunque a Me per avere aria e succo di Vita eterna, è dovere. Ma questo dovere presuppone una fede in voi. Perché se uno non ha fede, non può credere alle parole mie, e se non crede non viene a dirmi: “Dammi il vero pane”. E se non ha il vero pane non può fare opere di Dio, non avendo capacità di farle. Perciò per essere nutriti di Dio e fare opere di Dio è necessario che voi facciate l’opera-base, che è questa: credere in Colui che Dio ha mandato ».

 9 «Ma che miracoli fai Tu dunque perché noi si possa credere in Te il sigillo di Dio? Che fai tu che già, sebbene in forma minore, non abbiano fatto i Profeti? Mosè ti ha superato, anzi, perché, non per una volta tanto, ma per quarant’anni, nutrì di meraviglioso cibo i nostri padri. Così è scritto: che i nostri padri per quarant’anni mangiarono la manna del deserto, ed è detto che perciò Mosè diede loro da mangiare pane venuto dal cielo, egli che poteva ».
   «Siete in errore. Non Mosè ma il Signore potè fare questo. E nell’esodo si legge: “Ecco Io farò piovere del pane dal cielo. Esca il popolo e ne raccolga quanto basta giorno per giorno, e così Io provi se il popolo cammina secondo la mia legge. E il sesto giorno ne raccolga il doppio per rispetto al settimo dì che è il sabato”. E gli ebrei videro il deserto ricoprirsi, mattina per mattina, di quella “cosa minuta come ciò che è pestato nel mortaio e simile alla brina della terra, simile al seme di coriandolo, e dal buon sapore di fior di farina incorporata col miele”. Dunque non Mosè, ma Dio provvide alla manna. Dio che tutto può. Tutto. Punire e benedire. Privare e concedere. Ed Io ve lo dico, delle due cose preferisce sempre benedire e conce-dere a punire e privare.
   Dio, come dice la Sapienza, per amore di Mosè – detto dall’Ecclesiastico “caro a Dio e agli uomini, di bene-detta memoria, fatto da Dio simile ai santi nella gloria, grande e terribile per i nemici, capace di suscitare e por fine ai prodigi, glorificato nel cospetto dei re, suo ministro al cospetto del popolo, conoscitore della gloria di Dio e della voce dell’Altissimo, custode dei precetti e della Legge di vita e di scienza” – Dio, dice-vo, per amore di questo Mosè, nutrì il suo popolo col pane degli angeli, e dal cielo gli donò un pane bell’e fatto, senza fatica, contenente in se ogni delizia ed ogni soavità di sapore. E – ricordate bene ciò che dice la Sapienza – e poiché veniva dal Cielo, da Dio, e mostrava la sua dolcezza verso i figli, aveva per ognuno il sapore che ognuno voleva, e dava ad ognuno gli effetti desiderati, essendo utile tanto al pargolo, dallo stomaco ancora imperfetto, come all’adulto, dall’appetito e digestione gagliardi, alla fanciulla delicata come al vecchio cadente. E anche, per testimoniare che non era opera d’uomo, capovolse le leggi degli elementi, onde resisté al fuoco, esso, il misterioso pane che al sorgere del sole si squagliava come brina. O meglio: il fuoco – è sempre la Sapienza che parla – dimenticò la propria natura per rispetto all’opera di Dio suo Creatore e dei bisogni dei giusti di Dio, di modo che, mentre è solito ad infiammarsi per tormentare, qui si fece dolce per fare del bene a quelli che confidavano nel Signore.
   Per questo allora, trasformandosi in ogni maniera, servì alla grazia del Signore, nutrice di tutti, secondo la volontà di chi pregava l’eterno Padre, affinché i figli diletti imparassero che non è il riprodursi dei frutti che nutrisce gli uomini, ma è la parola del Signore quella che conserva chi crede in Dio. Infatti non consumò, come poteva, la dolce manna, neppure se la fiamma era alta e potente, mentre bastava a scioglierla il dolce sole del mattino, affinché gli uomini ricordassero e imparassero che i doni di Dio vanno ricercati all’inizio del giorno e della vita, e che per averli occorre anticipare la luce e sorgere, per lodare l’Eterno, dalla prima ora del mattino.
   Questo insegnò la manna agli ebrei. Ed Io ve lo ricordo perché è dovere che dura e durerà sino alla fine dei secoli. Cercate il Signore ed i suoi doni celesti senza poltrire fino alle tarde ore del giorno o della vita. Sorgete a lodarlo prima ancora che lo lodi il sorgente sole, e pascetevi della sua parola che conserva e preserva e conduce alla Vita vera.
   Non Mosè vi diede il pane del Cielo, ma in verità lo diede il Padre Iddio, e ora, in verità delle verità, è il Padre mio quello che vi dà il vero Pane, il Pane novello, il Pane eterno che dal Cielo discende, il Pane di misericordia, il Pane di Vita, il Pane che dà al mondo la Vita, il Pane che sazia ogni fame e leva ogni languore, il Pane che dà, a chi lo prende, la Vita eterna e l’eterna gioia ».

10«Dacci, o Signore, di codesto pane, e noi non morremmo più ».
   «Voi morrete come ogni uomo muore, ma risorgerete a vita eterna se vi nutrirete santamente di questo Pane, perché esso fa incorruttibile chi lo mangia. Riguardo a darvelo sarà dato a coloro che lo chiedono al Padre mio con puro cuore, retta intenzione e santa carità. Per questo ho insegnato a dire: “Dàcci il pane quotidiano”. Ma coloro che se ne nutriranno indegnamente diverranno brulichio di vermi infernali, come i gomor di manna conservati contro l’ordina avuto. E quel Pane di salute e vita diverrà per loro morte e condanna. Perché il sacrilegio più grande sarà commesso da coloro che metteranno quel Pane su una mensa spirituale corrotta e fetida, o lo profaneranno mescolandolo alla sentina delle loro inguaribili passioni. Meglio per loro sarebbe non averlo mai preso! ».

 11«Ma dove è questo Pane? Come lo si trova? Che nome ha? ».
   «Io sono il Pane di vita. In Me lo si trova. Il suo nome è Gesù. Chi viene a Me non avrà più fame, e chi crede in Me non avrà mai più sete, perché i fiumi celesti si riverseranno in lui estinguendo ogni materiale ardore. Io ve l’ho detto, ormai. Voi mi avete conosciuto, ormai. Eppure non credete. Non potete credere che tutto quanto è in Me. Eppure così è. In Me sono tutti i tesori di Dio. E a Me tutto dalla Terra è dato, onde in Me sono riuniti i gloriosi Cieli e la militante Terra, e fino la penante e attendente massa dei trapassati in grazia di Dio sono in Me, perché in Me e a Me è ogni potere. Ed Io ve lo dico: tutto quanto il Padre mi dà verrà a Me. Né Io scaccerò chi a Me viene, perché sono disceso dal Cielo non per fare la mia volontà ma quella di Colui che mi ha mandato. E la volontà del Padre mio, del Padre che mi ha mandato, è questa: che Io non perda nemmeno uno di quelli che mi ha dato, ma che Io li risusciti all’ultimo giorno. Ora la volontà del Padre che mi ha mandato è che chiunque conosce il Figlio e crede in Lui abbia la Vita eterna e Io lo possa risuscitare nell’ultimo Giorno, vedendolo nutrito della fede in Me e segnato del mio sigillo ».

 12Vi è un poco brusìo nella sinagoga e fuori della stessa per le nuove e ardite parole del Maestro. E questo, dopo avere per un momento preso fiato, volge gli occhi sfavillanti di rapimento là dove più si mormora, e sono precisamente i gruppi in cui sono dei Giudei. Riprende a parlare.
   «Perché mormorate fra voi? Si, Io sono il figlio di Maria di Nazaret figlia di Gioacchino della stirpe di Davide, vergine consacrata al Tempio e poi sposata a Giuseppe di Giacobbe, della stirpe di Davide. Voi avete conosciuto, in molti, i giusti che dettero vita a Giuseppe, legnaiolo regale, e a Maria, vergine erede della stirpe regale. Ciò vi fa dire: “Come può costui dirsi disceso dal Cielo?”, e il dubbio sorge in voi.
   Vi ricordo i Profeti nelle loro profezie sull’Incarnazione del Verbo. E vi ricordo come, più per noi israeliti che per qualsiasi altro popolo, è dogmatico che Colui che non osiamo chiamare non potesse darsi una Carne secondo le leggi della umanità, e umanità decaduta per giunta. Il Purissimo, l’Increato, se si è mortificato a farse Uomo per amore dell’uomo, non poteva che eleggere un seno di Vergine più pura dei gigli per rivestire di Carne la sua Divinità.
Il pane disceso dal Cielo al tempo di Mosè è stato riposto nell’arca d’oro, coperta dal propiziatorio, vegliata dai cherubini, dietro i veli del Tabernacolo. E col pane era la parola di Dio. E giusto era che ciò fosse, perché sommo rispetto va dato ai doni di Dio e alle tavole della sua Ss. Parola. Ma che allora sarà stato preparato da Dio per la sua stessa Parola e per il Pane vero che è venuto dal Cielo? Un’arca più inviolata e preziosa dell’arca d’oro coperta dal prezioso propiziatorio della sua pura volontà di immolazione, vegliata dai cherubini di Dio, velata dal velo di un candore verginale, di una umiltà perfetta, di una carità sublime e di tutte le virtù più sante.
   E allora? Non capite ancora che la mia paternità è in Cielo e che perciò Io di la vengo? Si, Io sono disceso dal Cielo per compiere il decreto del Padre mio, il decreto di salvazione degli uomini secondo quanto promise al momento stesso della condanna e ripeté ai Patriarchi e ai Profeti.
   Ma questo è fede. E la fede viene data da Dio a chi ha l’animo di buona volontà. Perciò nessuno può venire a Me se non lo conduce a Me il Padre mio vedendolo nelle tenebre ma rettamente desideroso di luce. È scritto nei Profeti: “Saranno tutti ammaestrati da Dio”. Ecco. È detto. È Dio che li istruisce dove andare per essere istruiti di Dio. Chiunque, dunque, ha udito in fondo al suo spirito retto parlare Iddio, ha imparato dal Padre a venire a Me ».
   «E chi vuoi che abbia sentito Iddio o visto il suo volto? », chiedono in diversi che cominciano a mostrare segni di irritazione e di scandalo. E terminano: «Tu deliri, oppure sei un illuso ».
   «Nessuno ha veduto Iddio eccetto Colui che è da Dio; questo ha veduto il Padre. E questo Io sono.

 13Ed ora udite il “credo” della vita futura, senza il quale non ci si può salvare.
   In verità, in verità vi dico che chi crede in Me ha la Vita eterna. In verità, in verità vi dico che Io sono il Pane della Vita eterna.
   I vostri padri mangiarono nel deserto la manna e morirono. Perché la manna era un cibo santo ma temporaneo, e dava vita per quanto necessitava a giungere alla terra promessa da Dio al suo popolo. Ma la manna che Io sono non avrà limitazione di tempo e di potere. È non solo celeste, ma divina, e produce ciò che è divino: l’incorruttibilità, l’immortalità di quanto Dio ha creato a sua immagine e somiglianza. Essa non durerà quaranta giorni, quaranta mesi, quaranta anni, quaranta secoli. Ma durerà finché durerà il tempo, e sarà data a tutti coloro che di essa hanno fame santa e gradita al Signore, che giubilerà di darsi senza misura agli uomini per cui si è incarnato, onde abbiano la Vita che non muore.
   Io posso darmi, Io posso transustanziarmi per amore degli uomini, onde il Pane divenga Carne e la Carne divenga Pane per la fame spirituale degli uomini, che senza questo Cibo morirebbero di fame e di malattie spirituali. Ma se uno mangia di questo Pane con giustizia, egli vivrà in eterno. Il pane che Io darò sarà la mia Carne immolata per la vita del mondo, sarà il mio Amore sparso nelle case di Dio, perché alla mensa del Signore vengano tutti coloro che sono amorosi o infelici e trovino ristoro al loro bisogno di fondersi a Dio e di trovare sollievo al loro penare».

 14«Ma come puoi darci da mangiare la tua carne? Per chi ci hai presi? Per belve sanguinarie? Per selvaggi? Per omicidi? A noi ripugna il sangue e il delitto ».
   «In verità, in verità vi dico che molte volte l’uomo è più di una belva, e che il peccato fa più che selvaggi, che l’orgoglio dà sete omicida, e che non a tutti dei presenti ripugnerà il sangue e il delitto. E anche in futuro l’uomo sarà, perché satana, il senso e l’orgoglio lo fanno belluino. E perciò con maggior bisogno che mai dovrete e dovrà l’uomo sanare se stesso dai germi terribili con l’infusione del Santo.
   In verità, in verità vi dico che se non mangerete la Carne del Figlio dell’uomo e non berrete il suo Sangue, non avrete in voi la Vita. Chi mangia degnamente la mia Carne e beve il mio Sangue ha la Vita eterna ed Io lo risusciterò l’Ultimo Giorno. Perché la mia Carne è veramente Cibo e il mio Sangue è veramente Bevanda. Chi mangia la mia Carne e beve il mio Sangue rimane in Me ed Io in lui. Come il Padre vivente mi inviò, ed Io vivo per il Padre, così chi mangia vivrà anch’egli per Me e andrà dove lo mando, e farà ciò che Io voglio, e vivrà austero come uomo e ardente come serafino, e sarà santo, perché per potersi cibare della mia Carne e del mio Sangue si interdirà le colpe e vivrà ascendendo per finire la sua ascesa ai piedi dell’Eterno ».
   «Ma costui è folle! Chi può vivere in tal modo? Nella nostra religione è solo il sacerdote che deve essere purificato per offrire la vittima. Qui Egli ci vuole fare, di noi, tante vittime della sua follia. Questa dottrina è troppo penosa e questo linguaggio è troppo duro! Chi li può ascoltare e praticare? », sussurrano i presenti, e molti sono discepoli già riputati tali.

 15La gente sfolla commentando. E molto assottigliate appaiono le file dei discepoli quando restano solo nella sinagoga il Maestro e i più fedeli. Io non li conto, ma dico che, ad occhio e croce, si e no se si arriva a cento. Perciò ci deve essere stata una bella defezione anche nelle schiere dei vecchi discepoli ormai al servizio di Dio.
   Fra i rimasti sono gli apostoli, il sacerdote Giovanni e lo scriba Giovanni, Stefano, Erma, Timoneo, Ermasteo, Agapo, Giuseppe, Salomon, Abele di Betlemme di Galilea e Abele il già lebbroso di Corozim col suo amico Samuele, Elia (quello che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù), Filippo di Arsela, Aser e Ismaele di Nazaret, più altri che non conosco di nome. Questi tutti parlano piano fra loro commentando la defezione degli altri e le parole di Gesù, che pensieroso sta con le braccia conserte appoggiato ad un alto leggio.
   «E vi scandalizzate di ciò che ho detto? E se vi dicessi che vedrete un giorno il Figlio dell’uomo ascendere al Cielo dove era prima e sedersi al fianco del Padre? E che avete capito, assorbito, creduto fino ad ora? E con che avete udito e assimilato? Solo con l’umanità? È lo spirito quello che vivifica e ha valore. La carne non giova a niente. Le mie parole sono spirito e vita, e vanno udite e capite con lo spirito per averne vita. Ma ci sono molti fra voi che hanno morto lo spirito perché è senza fede. Molti di voi non credono con verità. E inutilmente stanno presso a Me. Non ne avranno Vita, ma Morte. Perché vi stanno, come ho detto in principio, o per curiosità o per umano diletto o, peggio, per fini ancora più indegni. Non sono porati qui dal Padre per premio alla loro buona volontà, ma da satana. Nessuno può venire a Me, in verità, se non gli è concesso dal Padre mio. Andate pure, voi che vi trattenete a fatica perché vi vergognate, umanamente, di abbandonarmi, ma avete ancora maggior vergogna di rimanere al servizio di Uno che vi pare “pazzo e duro”. Andate. Meglio lontani che qui per nuocere.
   E molti altri si ritraggono fra i discepoli, fra i quali lo scriba Giovanni e Marco, il geraseno indemoniato, guarito mandando i demoni nei porci. I discepoli buoni si consultano e corrono dietro a questi fedifraghi tentando di fermarli.

16Nella sinagoga sono ora Gesù, il sinagogo e gli apostoli…
   Gesù si volge ai dodici che, mortificati, stanno in un angolo e dice: «Volete andarvene anche voi?». Lo dice senza acredine e senza mestizia. Ma con molta serietà.   
   Pietro, con impeto doloroso, gli dice: « Signore, e dove vuoi che si vada? Da chi? Tu sei la nostra vita e il nostro amore. Tu solo hai parole di Vita eterna. Noi abbiamo conosciuto che Tu sei il Cristo, Figlio di Dio. Se vuoi, cacciaci. Ma noi, di nostro, non ti lasceremo neppure… neppure se Tu non ci amassi più…», e Pietro piange senza rumore, con grandi lacrimoni… 
Anche Andrea, Giovanni, i due figli di Alfeo, piangono apertamente, e gli altri, pallidi o rossi per l’emozione, non piangono, ma soffrono palesemente.
   «Perché vi dovrei cacciare? Non sono stato Io che ho eletto voi dodici?…».
   Giairo, prudentemente, si è ritirato per lasciare Gesù libero di confortare o redarguire i suoi apostoli. Gesù, che ne nota la silenziosa ritirata, dice, sedendosi accasciato come se la rivelazione che fa gli costasse uno sforzo superiore a quello che Egli può fare, stanco come è, disgustato, addolorato: «Eppure uno di voi è un demonio».
   La parola cade lenta, paurosa, nella sinagoga, nella quale è solo allegra la luce delle molte lampade… e nessuno osa dire nulla. Ma si guardano l’un l’altro con pauroso ribrezzo e angosciosa indagine e, con una ancor più angosciosa e intima domanda, ognuno esamina se stesso…
   Nessuno si muove per qualche tempo. E Gesù resta solo, sul suo sedile, le mani incrociate sui ginocchi, il viso basso. Lo alza infine e dice: «Venite. Non sono già un lebbroso! O mi credete tale?…».
   Allora Giovanni corre avanti e gli si avviticchia al collo dicendo: «Con Te, allora, nella lebbra, mio solo amore. Con Te nella condanna, con Te nella morte, se credi che ciò ti attenda…»; e Pietro striscia ai suoi piedi e li prende e se li mette sugli omeri e singhiozza: «Qui, premi, calpesta! Ma non mi fare pensare che Tu diffidi del tuo Simone».
   Gli altri, vedendo che Gesù accarezza i due primi, si fanno avanti e baciano Gesù sulle vesti, sulle mani, sui capelli… Solo l’Iscariota osa baciarlo sul viso.
   Gesù si alza di scatto, e quasi lo respinge bruscamente tanto lo scatto è improvviso, e dice: «Andiamo a casa. Domani sera, di notte, partiremo con le barche per Ippo ».

Facoltativo (e dello stesso periodo della Vita di Gesù Cristo)

   Cap. CCCLVI. Verso Gadara. Le eresie di Giuda Iscariota e le rinunce di Giovanni che vuole solo amare.

   10 Dicembre 1945

 1 Gesù è già nell’Oltre-Giordano. E da quello che comprendo è, questa che si vede in alto di una collina tutta verde, la città di Gadara, e anche è la prima città che toccano dopo essere sbarcati sulla sponda sud-orientale del lago di Galilea, perchè lì sono sbarcati, lasciando di scendere a Ippo dove erano stati preceduti dalle barche portanti gli ostili a Gesù. Penso siano sbarcati perciò proprio di fronte a Tarichea, allo sbocco del Giordano dal lago.
   «Tu la sai la via più breve per andare a Gadara, non è vero? Te la ricordi?», chiede Gesù.
   «E come! Quando saremo alle sorgenti calde sul Yarmoc non avremo che seguire la via», risponde Pietro.
   «E le sorgenti dove le trovi?», chiede Tommaso.
   «Oh! Basta avere naso per trovarle. Puzzano qualche miglio avanti esserci! », esclama Pietro arricciando con disgusto il naso.
   «Non sapevo che tu soffrivi di dolori…», osserva Giuda Iscariota.
   «Dolori io? E quando mai?».
   «Eh! sei così pratico delle sorgenti calde sul Yarmoc che ci devi essere stato».
   «Mai avuto bisogno di sorgenti, io, per stare bene! I veleni dalle ossa mi sono usciti colle sudate dell’onesto lavoro… e del resto, avendo più lavorato che goduto, dei veleni ne sono entrati pochi, sempre pochi in me…».
   «Questa è per me, non è vero? Già! Io sono colpevole di tutte le cose!…», dice inquieto Giuda.
   «Ma chi ti ha morso? Tu chiedi, io rispondo, a te come avrei risposto al Maestro o a un compagno. E credo che nessuno di loro, neppure Matteo che… è stato un gaudente, se ne sarebbe avuto a male».
   «Ebbene, io me ne ho a male!».
   «Non ti sapevo così delicato. Ma della supposta insinuazione te ne chiedo scusa. Per amore del Maestro, sai? Del Maestro che ha già tante afflizioni dagli estranei senza avere bisogno di averne altre da noi. Guardalo, invece di correre dietro alle tue sensibilità, e vedrai che ha bisogno di pace e amore».
   Gesù non parla. Guarda soltanto Pietro e gli sorride riconoscente.

 2 Giuda non risponde in merito all’osservazione giusta di Pietro. È chiuso e inquieto. Vuole mostrarsi cortese, ma la stizza, il malumore, la delusione che ha in cuore gli trapelano dallo sguardo, dalla voce, dall’espres-sione e persino dall’andatura prepotente che fa un grande sbatacchio di suole come per sfogarsi, percotendo con ira il suolo per dare uno sfogo a tutto quello che gli bolle dentro. Ma si sforza a parere calmo e a voler fare il cortese, non ci riesce, ma tenta… Chiede a Pietro: «E allora come conosci questi luoghi? Forse ci sei stato per tua moglie?».
   «No, ci sono passato quando nell’etamin siamo venuti in Auranite col Maestro. Io ho accompagnato la Madre e le discepole sino alle terre di Cusa. E perciò, venendo da Bozra, sono passato di qui», risponde sinceramente e prudentemente Pietro.
   «Tu solo eri?», chiede ironico Giuda.
   «Perché? Credi che io non valga da solo molti, quando è il caso di valere e c’è un lavoro di fiducia da fare e lo si fa con amore, per di più?».
   «Oh! quanta superbia! Vorrei averti visto!».
   «Avresti visto un uomo serio che accompagnava delle donne sante».
   «Ma eri proprio solo?», chiede con vero atto da inquisitore Giuda.
   «Ero coi fratelli del Signore».
   «Ah! Ecco! Cominciano le ammissioni!».
   «E cominciano a tirarmi i nervi! Si può sapere che hai?».
   «È vero. È una vergogna», dice il Taddeo.
   «Ed è ora di finirla», rincara Giacomo di Zebedeo.
   «Non ti è lecito schernire Simone», rimprovera Bartolomeo.
   «Che, te lo dovresti ricordare, è il capo di noi tutti», termina lo Zelote.
   Gesù non parla.
   «Oh! io non schernisco nessuno, non ho proprio nulla. Solo mi piace stuzzicarlo un pò…».
   «Non è vero! Tu menti! Tu fai domande astute perché vuoi arrivare a stabilire qualcosa. Il subdolo crede tutti subdoli. Qui non ci sono segreti. C’eravamo tutti, abbiamo fatto tutti la stessa cosa: quella ordinata dal Maestro. E non c’è altro. Lo capisci?», grida proprio irato l’altro Giuda.
   «Silenzio. Siete pari a femmine litigiose. Avete tutti torto. E mi vergogno di voi», dice severo Gesù.

 3 Si fa un silenzio fondo mentre vanno verso la città sulla collina.
   Rompe il silenzio Tommaso dicendo: «Che cattivo odore!».
   «Sono le sorgenti. Quello è lo Yarmoc e quelle costruzioni le terme dei romani. Oltre quelle è una via tutta bella lastricata che va a Gadara. I romani vogliono viaggiare bene. Bella è Gadara!», dice Pietro.
   «Sarà anche più bella perché qui non troveremo certi… esseri, in abbondanza almeno», brontola fra i denti Matteo.
   Passano il ponte sul fiume fra acri odori di acque solforose. Rasentano le terme, passano fra i veicoli romani, prendono una bella via, pavimentata a larghi lastroni, che conduce alla città in cima alla collina, bella fra la sua cinta di mura.
   Giovanni si fa presso al Maestro: «E’ vero che dove sono quelle acque lì è stato in anticipo precipitato nelle viscere del suolo un dannato? Mia madre ce lo diceva da piccini, per farci capire che non si deve peccare, se no l’inferno si apre sotto i piedi del maledetto da Dio e lo inghiotte. E poi, per ricordo e ammonizione, restano delle fessure dalle quali esce odore, calore e acque d’inferno. Io avrei paura a bagnarmi in esse…».
   «Di che, fanciullo? Non ne saresti corrotto. Più facile è essere corrotti da quegli uomini che hanno dentro l’inferno e ne emanano fetore e veleni. Ma si corrompono solo quelli che hanno già tendenza a farlo già da loro ».
   «Ne potrei essere corrotto io?».
   «No. Anche tu fossi in una turba di demoni, no».
   «Perché? Cosa ha di diverso dagli altri, lui?», chiede subito Giuda di Keriot.
   «Ha che è puro in tutti i modi, e perciò vede Dio», risponde Gesù. E    Giuda ride malignamente.
   Giovanni torna a chiedere: «Allora non sono bocche dell’inferno quelle sorgenti?».
   «No. Sono all’opposto cose buone messe dal Creatore per i suoi figli. L’inferno non è chiuso nella Terra. È sulla Terra, Giovanni. Nel cuore degli uomini. E oltre si completa».

 4 «Ma c’è proprio l’inferno?», chiede l’Iscariota.
   «Ma che dici? », gli chiedono i compagni scandalizzati.
   «Dico: c’è proprio? Io, e non sono solo, non ci credo».
   «Pagano!», urlano con orrore.
   «No. Israelita. Siamo in molti a non credere certe fole, in Israele».
   «Ma allora come fai a credere al Paradiso?», «E alla giustizia di Dio?», «Dove metti i peccatori?», «Come spieghi satana?», urlano in tanti.
   «Dico quello che penso. Mi è stato rimproverato di essere un mentitore poco fa. Io dimostro che sono sincero anche se questo vi scandalizza di me e mi rende odioso agli occhi vostri. Del resto non sono solo in Israele, da quando Israele si è progredito nel sapere col contatto degli ellenisti e dei romani, che crede così. Né il Maestro, l’unico del quale rispetto il giudizio, può rimproverare né me né Israele, Lui che protegge ed è palesemente amico di greci e romani… Io parto da questo concetto filosofico. Se tutto è controllato da Dio, tutto ciò che facciamo è per sua volontà, e perciò ci deve premiare tutti a un modo perché non siamo che automi mossi da Lui. Noi siamo esseri privi di volontà. Lo dice anche il Maestro: “La volontà dell’Altissimo. La volontà del Padre”. Ecco l’unica Volontà. Ed è tanto infinita che schiaccia e annulla la volontà limitata delle creature. Perciò tanto il bene che il male, che sembra che noi lo facciamo, lo fa Dio, perché ce lo impone. Perciò non ci punirà del male e sarà così esercitata la sua giustizia, perché le nostre colpe non sono volontarie ma imposte da chi vuole che le facciamo perché bene e male siano sulla Terra. Chi è cattivo è il mezzo espiativo dei meno cattivi. E per sé soffre di non poter essere considerato buono, e così espia la sua parte di colpa. Gesù l’ha detto. L’inferno è sulla Terra e nel cuore degli uomini. Satana io non lo sento. Non c’è. Lo credevo un tempo. Ma da qualche tempo sono sicuro che tutto è fola. E credere così è giungere alla pace». 
   Giuda sciorina queste… teorie con una sicumera talmente formidabile che gli altri restano senza fiato…

 5 Gesù tace. E Giuda lo stuzzica: «Non ho ragione, Maestro?».
   «No». Il “no” è così secco che pare uno scoppio.
   «Eppure io… satana non lo sento e non ammetto il libero arbitrio, il male. E tutti i sadducei sono con me, e con me sono molti altri, d’Israele o meno. No. Satana non c’è».
   Gesù lo guarda. Un sguardo che è così complesso che non si può analizzare. È da giudice e da medico, da addolorato, da sbalordito… c’è tutto…
   Giuda, ormai lanciato, termina: «Sarà perché sono meglio degli altri, più perfetto, che ho superato il terrore degli uomini per satana».
   E Gesù zitto. E lui stuzzica: «Ma parla! Perché io non ne ho terrore?».    Gesù tace.
   «Non rispondi, Maestro? Perché? Hai paura?».
   «No. Sono la Carità. E la Carità trattiene il suo giudizio fino a che non è obbligata a darlo… Lasciami e ritirati», dice in ultimo, perché Giuda cerca di abbracciarlo, e termina in un soffio, stretto per forza tra le braccia del bestemmiatore: «Mi fai ribrezzo! Satana non lo vedi e senti perché è tutt’uno con te. Và via, demonio!».
   Giuda, sfrontato, lo bacia e ride, come se il Maestro gli avesse detto in segreto qualche lode. Torna dagli altri, che si sono fermati esterrefatti, e dice: «Vedete? Io so aprire il cuore al Maestro. E lo faccio felice perché gli mostro la mia confidenza e ne ho lezione. Voi invece!… Mai osate parlare. Perché siete dei superbi. Oh! io sarò quello che saprà più di tutti di Lui. E potrò parlare…».

 6 Sono raggiunte le porte della città. Vi entrano tutti insieme perché Gesù li ha attesi. Ma mentre passano l’androne Gesù ordina: «I miei fratelli e Simone vadano avanti ad adunare la gente».
   «Perché non io, Maestro? Non mi dài più delle missioni? Non sono più necessarie ora? Me ne hai date due di seguito, e lunghe dei mesi…».
   «E te ne sei lamentato dicendo che volevo allontanarti. Ora ti lamenti perché ti tengo vicino?».
   Giuda non sa che rispondere e tace. Va avanti con Tommaso, lo Zelote, Giacomo di Zebedeo e Andrea. Gesù si ferma per lasciare passare Filippo, Bartolomeo, Matteo e Giovanni, come volesse stare solo. Lo lasciano fare. Ma l’amoroso cuore di Giovanni, che ha avuto più volte un luccicare di lacrime negli occhi durante le dispute e le bestemmie di Giuda, fa voltare poco dopo l’apostolo, in tempo per vedere che Gesù, credendosi inosservato nella vietta solitaria e cupa per i continui archivolti che la coprono, si porta le mani alla fronte con un gesto di dolore, curvandosi come chi soffre tanto. Lascia in asso i compagni, il biondo Giovanni, e torna dal Maestro suo: «Che hai, Signor mio? Soffri di nuovo tanto come quando ti ritrovammo ad Aczib? Oh! mio Signore!».
   «Nulla, Giovanni, nulla! Aiutami tu, col tuo amore. E taci con gli altri. Prega per Giuda».
   «Si, Maestro. È molto infelice, non è vero. È nelle tenebre e non sa di esserci. Crede di avere raggiunto la pace… E’ la pace la sua?».
   «E’ molto infelice», dice Gesù accasciato.
   «Non ti accasciare così, Maestro. Pensa a quanti peccatori, induriti nel peccato, sono tornati buoni. Così farà Giuda. Oh! Tu lo salverai certo! Questa notte la passerò in orazione per questo. Dirò al Padre di fare di me uno che sa solo amare, non voglio più che questo. Sognavo di dare la vita per Te o di fare brillare la tua potenza attraverso alle mie opere. Ora non più di questo. Rinuncio a tutto, scelgo la vita più umile e comune e chiedo al Padre di dare tutto il mio a Giuda… per farlo contento… e perché così si volga alla santità… Signore… io dovrei dirti delle cose… Io credo sapere perché Giuda è così».
   «Vieni questa notte. Pregheremo insieme e parleremo».
   «E il Padre mi ascolterà? Accetterà il mio sacrificio?».
   «Il Padre ti benedirà. Ma ne soffrirai…».
   «Oh! no! Basta che vede Te contento… e che Giuda… e che Giuda…».
   «Si Giovanni.

 7 Guarda, ci chiamano. corriamo».
   La vietta diviene una bella via. La via diviene arteria ornata di portici e fontane. E si orna di piazze l’una più bella dell’altra. Si incrocia con un’altra arteria uguale, e certo nel fondo è un anfiteatro. E malati diversi sono già radunati in un angolo dei portici in attesa del Salvatore.
   Pietro viene incontro a Gesù: «Hanno conservato la fede in ciò che dicemmo di Te in etamin. Sono venuti subito».
   «Ed Io subito premierò la loro fede. andiamo».
   E va, nel tramonto avanzato che tinge di rosso i marmi, a sanare coloro che lo attendono con fede. 

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!