San Pio X Papa prega per noi – 21 agosto

Giuseppe Sarto nacque a Riese, presso Treviso, il 2 giugno 1835, da Giovanni Battista Sarto e da Margherita Sanson, poveri, ma ottimi coniugi, cari a tutti per il loro spirito di carità. Era il primogenito di dieci figli. Ricevette i primi insegnamenti religiosi in seno alla famiglia, dove la virtù era tradizionale.

All’età di 9 anni « Bepi » fa alla mamma una cara confidenza: Vuole essere prete!… L’inaspettata rivelazione è accolta con un sussulto di gioia e una pena a stento dissimulata. Troppo onore per la famiglia Sarto! Ma, e i mezzi?… “Occorre confidare – pensò l’ottima madre – se Dio lo vuole sacerdote ci fornirà i mezzi necessari”. Nel novembre del 1850 entrò nel Seminario di Padova e il 18 settembre del 1858 fu ordinato sacerdote a Castelfranco Veneto e il giorno seguente celebrò la Prima Messa Solenne nella nativa Riese, dove era stato battezzato e aveva ricevuto la Prima Comunione.

Fu Cappellano a Tombolo, Parroco a Salzano e poi Canonico e Cancelliere della Curia di Treviso. Ma tanto fu lo zelo e la competenza dimostrata nell’esplicare le mansioni affidategli, che Leone XIII lo elesse il 24 nov. 1884 Vescovo di Mantova, quindi Vescovo di S. Apollinare di Roma e in seguito Cardinale e Patriarca di Venezia. Lo Spirito Santo lo voleva però Capo Supremo di tutta la Chiesa. Morto infatti Leone XIII, il 4 agosto 1903 il Cardinal Sarto veniva eletto Papa col nome di Pio X.

Sulla Cattedra di Pietro Pio X fece delle riforme che rimarranno indelebili nella storia del Pontificato, dalla riforma della Musica Sacra, al dogma dell’Immacolata, alla codificazione del diritto canonico ad encicliche sul catechismo, contro la Massoneria, alla riorganizzazione dell’Azione Cattolica. La riforma più importante fu quella di portare ai 7 anni l’età della Prima Comunione, che fino allora si faceva in età molto più avanzata Decreto Quam singulari Christus amore sulla comunione ai fanciulli. (Decreto “Quam singulari Christus amore” sulla comunione ai fanciulli.) I giansenisti superstiti inorridirono; i modernisti mormorarono. Ma Pio X era sicuro di non sbagliare, e non cedette.

A mezzo secolo di distanza l’eresia modernista, che funestò in quel tempo la Chiesa, non è ormai che un ricordo. I suoi fautori pretendevano adeguare la Chiesa ai tempi moderni, e riuscirono a fare molti adepti anche tra le file del clero. L’enciclica « Pascendi dominicis» fece l’effetto di una bomba, che schiantò definitivamente l’eresia modernista.

Pio X fu sensibile a molti altri gravi problemi sociali, politici ed economici del suo tempo, tra cui il socialismo, problema aperto dalla “Non expedit” di Pio IX; la separazione francese fra Stato e Chiesa, i problemi sindacali esistenti in alcuni stati europei; l’avvicinarsi della guerra mondiale, o com’egli diceva, « il guerrone ». Gemeva, implorava la pace; ma la voragine s’aprì inesorabilmente. « Poveri figli miei, poveri figli miei sospirava nell’agonia… Offro la mia vita… Milioni di uomini che muoiono… Io avrei voluto evitare, ma non ho potuto… ». Egli può considerarsi la prima e più illustre vittima della guerra mondiale.

Nelle prime ore del 20 agosto 1914 si sparse pel mondo la ferale notizia: Sua Santità Pio X s’era spento serenamente in Cristo all’ 1 e 15 di quella notte, in seguito a broncopolmonite. Il mondo cristiano, quantunque aspettasse di momento in momento il triste annunzio, fu colto da doloroso stupore. Anzi, parve sprofondare in un abisso di tenebre più dense, quando lo spegnersi dell’unico faro di luce, che irradiava dal Colle Valicano, allontanò sempre più la speranza della pace.

Pio X fu un grande Santo, oltre che per le virtù proprie del suo sacerdozio, per aver fatto risplendere attorno a sé le virtù strettamente evangeliche della povertà e della carità. Evidentemente queste due virtù sono assai care a Dio e ottengono molti favori, se il postulatore della causa di Pio X si trovò imbarazzato nello scegliere, tra i tanti miracoli attribuiti a lui, i due richiesti dai canoni per la finale glorificazione.

Il 29 maggio 1954, anno Mariano, a meno di quarant’anni dalla sua morte, Pio X fu solennemente elevato alla gloria degli altari da Pio XII.

Il suo motto che egli attuò scrupolosamente in tutto il suo Pontificato fu « Instaurare omnia in Christo», cioè rinnovare ogni cosa in Cristo.

PRATICA. Compiamo sempre con fine soprannaturale i doveri del nostro stato.

PREGHIERA. O Dio, che per difendere la fede cattolica e per restaurare ogni cosa in Cristo, hai riempito di celeste sapienza e di fortezza apostolica il Sommo Pontefice San Pio X, concedici propizio di seguire i suoi insegnamenti e i suoi esempi per meritare il premio eterno.

Nome: San Pio X
Titolo: Papa
Nascita: 2 giugno 1835, Riese
Morte: 20 agosto 1914, Roma
Ricorrenza: 21 agosto
Tipologia: Memoria liturgica
Patrono di: Venezia, Spinetoli, Borgo Veneto

Vangelo Mt 23, 1-12:«Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Vangelo Mt 23, 1-12
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù si rivolse alla folla e ai suoi discepoli dicendo:
«Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Praticate e osservate tutto ciò che vi dicono, ma non agite secondo le loro opere, perché essi dicono e non fanno. Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare e li pongono sulle spalle della gente, ma essi non vogliono muoverli neppure con un dito.
Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d’onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati “rabbì” dalla gente.
Ma voi non fatevi chiamare “rabbì”, perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare “guide”, perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo.
Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«E non chiamate “padre” nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CDXIV. Invettiva contro farisei e dottori al convito in casa del sinedrista Elchia.­

   10 aprile 1946.
 
1Gesù entra nella casa del suo ospite, poco lontana dal Tempio ma spinta verso il rione che è ai piedi di Tofet. Una casa dignitosa, un poco arcigna, di stretto osservante, anzi di esagerato osservante. Credo che anche i chiodi siano messi in numero e in posizione quale qualcuno dei seicentotredici precetti lo indica per buono. Non c’è un disegno nelle stoffe, non un fregio alle pareti, non un ninnolo… nulla di quei minimi che anche nelle case di Giuseppe e Nicodemo e degli stessi farisei di Cafarnao sono presenti per abbellire la casa. Questa è… trasudante da ogni parte lo spirito del proprio padrone. Gelida, tanto è spoglia di ciò che è ornamento. Dura nei mobili scuri e pesanti squadrati come tanti sarcofaghi. Respingente. Una casa che non accoglie ma che si serra nemica a chi vi penetra.
   Ed Elchia lo fa notare vantandosene. «Lo vedi, o Maestro, come io sono osservante? Tutto lo dice. Guarda: tende senza disegno, mobili senza ornati, niente vasi a scoltura o lampadari che imitano fiori. C’è tutto. Ma tutto regolato sul precetto: “Non ti farai nessuna scultura, né rappresentazione di quello che è lassù nel cielo, o quaggiù in terra, o nelle acque sotto la terra”. Così nella casa come nelle vesti mie e dei miei famigliari. Io, ad esempio, non approvo in questo tuo discepolo (l’Iscariota) quei lavori sulla veste e sul manto. Tu mi dirai: “Li portano in molti”. Dirai: “Non è che una greca”. Va bene. Ma con quegli angoli, con quelle curve, troppo ricorda i segni dell’Egit­to. Orrore! Cifre demoniche! Segni di negromanzia! Sigle di Belzebul! Non ti fai onore, o Giuda di Simone, a portarli, né Tu, Maestro, a concederglielo».
   Giuda risponde con una risatina sarcastica. Gesù risponde umilmente: «Più che i segni delle vesti Io sorveglio che non siano segni d’orrore sui cuori. Ma pregherò, anzi da ora lo prego il mio discepolo, di portare vesti meno ornate, onde non scandalizzare nessuno».
   Giuda ha un movimento buono: «Veramente il mio Maestro mi ha più volte detto che avrebbe preferito più semplicità nelle mie vesti. Ma io… ho fatto ciò che volevo perché mi piace essere vestito così».
   «Male, molto male. Che un galileo insegni a un giudeo è molto male; a te, poi, che eri del Tempio… oh!». Elchia mostra tutto il suo scandalo e i suoi amici lo secondano.
   Giuda è già stanco d’esser buono. E rimbecca: «Oh! allora ci sarebbero tante pompe da levare anche a voi del Sinedrio! Se vi doveste levare tutti i disegni messi a coprire le facce delle vostre anime, apparireste ben brutti».
   «Come parli?».
   «Come uno che vi conosce».
   «Maestro! Ma lo senti?».
   «Sento e dico che occorre umiltà da una parte e dall’altra, e in ambe verità. E reciproco compatimento. Solo Dio è perfetto».
   «Ben detto, o Rabbi!», dice uno degli amici… Sparuta, solitaria voce nel gruppo farisaico e dottorale.
   «Mal detto, invece», ribatte Elchia. «Il Deuteronomio è chiaro nelle sue maledizioni. Dice: “Maledetto l’uomo che fa immagine scolpita o di getto, cosa abbominevole, opera di mano d’artefici, e…”».
   «Ma queste sono vesti, non sono scolture», risponde Giuda.
   «Silenzio tu. Parla il tuo Maestro. Elchia, sii giusto e distingui. Maledetto chi fa idoli. Ma non chi fa disegni copiando il bello che il Creatore ha messo nel creato. Cogliamo pure i fiori per ornare…».
   «Io non ne colgo né voglio vederne ornate le stanze. Guai alle mie donne se fanno questo peccato anche nelle loro. Solo Dio va ammirato».
   «Giusto pensiero. Solo Dio. Ma si può ammirare Dio anche in un fiore, riconoscendo che Lui è l’Artefice del fiore».
   «No, no! Paganesimo! Paganesimo!».
   «Giuditta si ornò, e si ornò Ester per scopo santo…».
   «Femmine! E la femmina è sempre essere spregevole. 

2­Ma te ne prego, Maestro, di entrare nella sala del convito mentre io mi ritiro un momento dovendo parlare coi miei amici».
   Gesù acconsente senza discussione.
   «Maestro… Respiro male!…», esclama Pietro.
   «Perché? Ti senti male?», chiedono alcuni.
   «No. Ma a disagio… come uno caduto in un trabocchetto».
   «Non ti agitare. E siate tutti molto prudenti», consiglia Gesù.
   Restano in gruppo e in piedi, finché rientrano i farisei seguiti dai servi.
   «Alle tavole senza indugio. Abbiamo adunanza e non possiamo attardarci», ordina Elchia. E distribuisce i posti, mentre già i servi scalcano le vivande.
   Gesù è a lato di Elchia, e al suo fianco è Pietro. Elchia offre i cibi, e il pasto ha inizio in un silenzio agghiacciante… Ma poi hanno principio le prime parole. Naturalmente rivolte a Gesù, perché gli altri dodici sono lasciati in trascuranza come non ci fossero.

 3­Il primo ad interrogare è un dottore della Legge. «Maestro, dunque Tu sei sicuro di essere ciò che dici?».
   «Non Io lo dico di mia bocca. I profeti lo hanno detto prima che Io fossi fra voi».
   «I profeti!… Tu che neghi che noi si sia santi, puoi anche accogliere per buono il mio detto se dico che i profeti nostri possono essere degli esaltati».
   «I profeti sono santi».
   «E noi no, non è vero? Ma guarda che Sofonia unisce i profeti ai sacerdoti nella condanna contro Gerusalemme: “I suoi profeti sono degli esaltati, uomini senza fede, e i suoi sacerdoti profanano le cose sante e violano la Legge”. Tu questo ce lo rimproveri di continuo. Ma, se accetti il profeta nella seconda parte del suo detto, lo devi accettare anche nella prima e riconoscere che non c’è base di appoggio sulle parole che vengono dagli esaltati».
   «Rabbi d’Israele, rispondi a Me. Quando poche righe di poi Sofonia dice: “Canta e rallegrati, o figlia di Sion… il Signore ha ritirato il decreto contro te… il Re d’Israele è in mezzo a te”, il tuo cuore le accetta queste parole?».
   «È la mia gloria ripetermele sognando quel giorno».
   «Ma sono parole di un profeta, di un esaltato, perciò…».
   Il dottore della Legge resta per un momento interdetto.
   Lo soccorre un amico. «Nessuno può mettere in dubbio che Israele regnerà. Non uno, ma tutti i profeti e i pre-profeti, ossia i patriarchi, hanno detto questa promessa di Dio».
   «E non uno dei pre-profeti e profeti ha mancato di indicarmi per quello che sono».
   «Oh! bene! Ma noi non abbiamo le prove! Puoi essere Tu pure un esaltato. Che prove ci dai che sei Tu il Messia, il Figlio di Dio? Dammi un termine perché io possa giudicare».
   «Non ti dico la mia morte descritta da David e da Isaia. Ma ti dico la mia risurrezione».
   «Tu? Tu? Risorgere Tu? E chi ti farà risorgere?».
   «Non certo voi. Non il Pontefice, non il monarca, non le caste, non il popolo. Da Me stesso risorgerò».
   «Non bestemmiare, o Galileo, e non mentire!».
   «Non faccio che rendere onore a Dio e dire verità. E con Sofonia ti dico: “Aspettami alla mia risurrezione”. Fino ad allora potrai avere dubbi, potrete averli tutti, e potrete lavorare a istillarli al popolo. Ma più non potrete quando l’eterno Vivente da Se stesso, dopo aver redento, risusciterà per non più morire, Giudice intangibile, Re perfetto che col suo scettro e la sua giustizia governerà e giudicherà fino alla fine dei secoli e continuerà a regnare nei Cieli in eterno».

4 «Ma non sai che parli a dottori e sinedristi?», dice Elchia.
   «E che perciò? Voi mi interrogate. Io rispondo. Voi mostrate desiderio di sapere. Io vi illustro la verità. Non vorrai farmi venire alla mente, tu che per un disegno su una veste hai ricordato la maledizione del Deuteronomio, l’altra maledizione dello stesso: “Maledetto chi colpisce di nascosto il suo prossi­mo”».
   «Io non ti colpisco. Ti do cibo».
   «No. Ma le insidiose domande sono colpi dati alle spalle. Attento, Elchia. Perché le maledizioni di Dio si seguono, e quella che ho citata è seguita dall’altra: “Maledetto chi accetta doni per condannare a morte un innocente”».
   «In questo caso i doni li accetti Tu, mio ospite».
 ­  «Io non condanno neppure i colpevoli se sono pentiti».
   «Non sei giusto, allora».
   «No, giusto è. Perché Egli calcola che il pentimento merita perdono, e perciò non condanna», dice quello che ha già approvato Gesù nell’atrio della casa.
   «Taci là, Daniel! Vuoi saperne più di noi? O sei sedotto da uno sul quale molto è ancora a decidere e che nulla fa per aiutarci a decidere in suo favore?», dice un dottore.
   «So che voi siete i sapienti ed io un semplice giudeo, che neppure so perché mi vogliate spesso fra voi…».
   «Ma perché sei parente! È facile a capirsi! Ed io voglio santi e sapienti coloro che entrano nella mia parentela! Io non posso permettere ignoranze nella Scrittura, nella Legge, negli Halasciot, Midrasciot e nell’Haggada. E non le sopporto. Tutto va conosciuto. Tutto osservato…».
   «E grato ti sono di tanta cura. Ma io, semplice coltivatore di terre, divenuto indegnamente tuo parente, non mi sono preoccupato che di conoscere la Scrittura e i Profeti per avere conforto nella mia vita. E, con la semplicità di un indotto, ti confesso che riconosco nel Rabbi il Messia preceduto dal suo Precursore che ce lo ha indicato… E Giovanni, non lo puoi negare, era invaso dallo Spirito di Dio».
   Un silenzio. Negare che il Battista era infallibile non vogliono. Dirlo infallibile neppure.
   E allora un altro dice: «Via… Diciamo che il Precursore è precursore di quell’angelo che Dio manda a preparare la via al Cristo. E… ammettiamo che nel Galileo vi è sufficiente santità per giudicarlo tale angelo. Dopo di Lui verrà il tempo del Messia. Non vi pare conciliante a tutti questo mio pensiero? Lo accetti, Elchia? E voi, amici miei? E Tu, Nazareno?».
   «No». «No». «No». I tre “no” sono sicuri.
   «Come? Perché non approvate?».
   Elchia tace. Tacciono i suoi amici. Solo Gesù, sincero, risponde: «Perché non posso approvare un errore. Io sono da più di un angelo. L’angelo fu il Battista, Precursore del Cristo, e il Cristo Io sono».

 5Un silenzio glaciale, lungo. Elchia, il gomito appoggiato al lettuccio, la guancia appoggiata alla mano, pensa, duro, chiuso come tutta la sua casa.
   Gesù si volge e lo guarda, e poi dice: «Elchia, Elchia, non confondere la Legge e i Profeti con le piccinerie!».
   «Vedo che hai letto il mio pensiero. Ma non puoi negare che Tu hai peccato trasgredendo al precetto».
   «Come tu, e con astuzia, perciò con più colpa, hai trasgredito al dovere dell’ospite, con volontà di farlo lo hai fatto, e mi hai distratto e poi qui mandato mentre tu cogli amici ti purificavi, e al tuo ritorno ci hai pregato di esser solleciti ché avevi adunanza, e tutto per potermi dire: “Hai peccato”».
   «Potevi ricordarmi il mio dovere di darti di che purificarti».
   «Tante cose potrei ricordarti, ma non servirebbe altro che a farti più intransigente e nemico».
   «No. Dille, dille. Ti vogliamo ascoltare e…».
   «E accusare presso i Principi dei Sacerdoti. Per questo ti ho ricordato l’ultima e la penultima maledizione. Lo so. Vi conosco. Sono qui, inerme, fra voi. Sono qui, isolato dal popolo che mi ama e davanti al quale non osate aggredirmi. Ma non ho paura. Ma non vengo a compromessi né faccio viltà. E vi dico il vostro peccato, di tutta la casta vostra e vostro, o farisei, falsi puri della Legge, o dottori, falsi sapienti, che confondete e mescolate di proposito il vero e il falso buono, che agli altri e dagli altri esigete la perfezione anche nelle cose esteriori e da voi nulla esigete. Voi mi rimproverate, uniti al vostro e mio ospite, di non essermi lavato avanti il desinare. Lo sapete che vengo dal Tempio, al quale non si accede altro che dopo essersi purificati dalle immondezze della polvere e della via. Volete allora confessare che il Sacro Luogo è contaminazione?».
   «Noi ci siamo purificati avanti le mense».
   «E a noi è stato imposto: “Andate là, attendete”. E dopo: “Alle tavole senza indugio”. Fra le tue pareti monde di disegni uno dunque ve ne era: quello di trarmi in inganno. Quale mano l’ha scritto sulle pareti il motivo per potermi accusare? Il tuo spirito o un’altra potenza che te lo regola e che ascolti? 

6Or­bene, udite tutti».
   Gesù si alza in piedi e, stando con le mani appoggiate all’orlo della tavola, comincia la sua invettiva:
   «Voialtri farisei lavate l’esterno del calice e del piatto, e le mani vi lavate e i piedi vi lavate, quasi che piatto e calice, mani e piedi avessero ad entrare nel vostro spirito che amate proclamare puro e perfetto. Ma non voi, sibbene Dio questo lo deve proclamare. Ebbene sappiate ciò che Dio pensa del vostro spirito. Egli pensa che è pieno di menzogna, sozzura e rapina, pieno di nequizia è, e nulla può dall’esterno corrompere ciò che già è corruzione».
   Stacca la destra dalla tavola e involontariamente comincia a gestire con essa mentre continua:
   «Ma chi ha fatto il vostro spirito, come ha fatto il vostro corpo, non può esigere, almeno con uguale misura, il rispetto all’interno che avete per l’esterno? O stolti che mutate i due valori e ne invertite la potenza, ma non vorrà l’Altissimo un’ancor maggior cura per lo spirito, fatto a sua somiglianza e che per la corruzione perde la Vita eterna, che non per la mano o il piede la cui sporcizia può esser detersa con facilità e che, se anche rimanessero sporchi, non influirebbero sulla nettezza interiore? E può Dio preoccuparsi della nettezza di un calice o di un vassoio quando questi non sono che cose senz’anima e che non possono influire sulla vostra anima?
  Leggo il tuo pensiero, Simone Boetos. No. Non regge. Non è per pensiero di salute, per tutela della carne, della vita, che voi avete queste cure, che praticate queste purificazioni. Il peccato carnale, anzi i peccati carnali della gola, delle intemperanze, delle lussurie, sono certo più dannosi alla carne di un poco di polvere sulle mani o sul piatto. Eppure voi li praticate senza preoccuparvi di tutelare la vostra esistenza e l’incolumità dei vostri familiari. E peccato fate di più nature, perché, oltre che la contaminazione dello spirito e del corpo vostro, lo sperpero di sostanze, il mancato rispetto ai familiari, fate offesa al Signore per la profanazione del vostro corpo, tempio dello spirito vostro, in cui dovrebbe essere il trono per lo Spirito Santo; e offesa per il giudizio che fate, che da voi vi dovete tutelare dai morbi venienti da un po’ di polvere, quasi che Dio non potesse intervenire a proteggervi dai morbi fisici se a Lui ricorreste con spirito puro.

 7 ­Ma Colui che ha creato l’interno non ha forse creato anche l’esterno e viceversa? E non è l’interno il più nobile e il più marcato dalla divina somiglianza? Fate allora opere che siano degne di Dio e non grettezze che non si alzano dalla polvere per la quale e della quale sono fatte, della povera polvere che è l’uomo preso come creatura animale, fango composto in forma e che polvere torna, polvere che il vento dei secoli disperde. Fate opere che restino, che siano opere regali e sante, opere che si incoronano della divina benedizione. Fate carità e fate elemosina, siate onesti, siate puri nelle opere e nelle intenzioni e, senza ricorrere all’acqua delle abluzioni, tutto sarà puro in voi.
   Ma che vi credete? Di essere a posto perché pagate le decime sugli aromi? No. Guai a voi, o farisei che pagate le decime della menta e della ruta, della senape e del comino, del finocchio e d’ogni altro erbaggio, e poi trascurate la giustizia e l’amor di Dio. Pagare le decime è dovere e va fatto. Ma ci sono più alti doveri e anche quelli vanno fatti. Guai a chi osserva le cose esteriori e trascura le altre interiori basate sull’amore a Dio e al prossimo. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e nelle adunanze e amate essere riveriti sulle piazze, e non pensate a fare opere che vi diano un posto in Cielo e vi meritino la riverenza degli angeli. Voi siete simili a sepolcri nascosti che passano inosservati a chi li sfiora e non ne ha ribrezzo, ma ribrezzo ne avrebbe se potesse vedere cosa è chiuso in essi. Dio però vede anche le più riposte cose e non si inganna nel giudicarvi».

 Lo interrompe, alzandosi esso pure in piedi, in contraddittorio, un dottore della Legge. «Maestro, così parlando Tu offendi noi pure; e non ti conviene, perché noi ti dobbiamo giu­di­care».
   «No. Non voi. Voi non potete giudicarmi. Voi siete i giudicati, non i giudici, e chi vi giudica è Dio. Voi potete parlare, emettere suoni con le vostre labbra. Ma anche la voce più potente non giunge ai Cieli né scorre tutta la Terra. Dopo poco spazio è silenzio… E dopo poco tempo è oblìo. Ma il giudizio di Dio è voce che resta e non è soggetto a dimenticanze. Secoli e secoli sono passati da quando Dio ha giudicato Lucifero e ha giudicato Adamo. Ma la voce di quel giudizio non si spegne. Ma le conseguenze di quel giudizio sono. E se ora Io sono venuto per riportare la Grazia agli uomini, mediante il Sacrificio perfetto, il giudizio sull’atto di Adamo resta quello che è, e chiamato sarà “colpa d’origine” sempre. Saranno redenti gli uomini, lavati da una purificazione superiore ad ogni altra. Ma nasceranno con quel marchio perché Dio ha giudicato che quel marchio debba essere su ogni nato da donna, meno per Colui che, non per opera d’uomo, ma per Spirito Santo fu fatto, e per la Preservata e il Presantificato, vergini in eterno. La Prima per poter essere la Vergine Deipara, il secondo per poter precorrere l’Innocente nascendo già mondo per una prefruizione dei meriti infiniti del Salvatore Redentore.

 9 ­Ed Io vi dico che Dio vi giudica. E vi giudica dicendo: “Guai a voi, dottori della Legge, perché caricate la gente di pesi insopportabili, rendendo un castigo il paterno decalogo dell’Altissimo al suo popolo”. Egli con amore e per amore lo aveva dato, onde l’uomo fosse sorretto da una giusta guida, l’uomo, l’eterno e imprudente e ignorante bambino. E voi, alle amorose dande con cui Dio aveva abbracciato le sue creature perché potessero procedere per la sua via e giungergli sul cuore, avete sostituito montagne di pietre aguzze, pesanti, tormentose, un labirinto di prescrizioni, un incubo di scrupoli, per cui l’uomo si accascia, si smarrisce, si ferma, teme Dio come un nemico. Voi ostacolate l’andare a Dio dei cuori. Voi separate il Padre dai figli. Voi negate, con le vostre imposizioni, questa dolce, benedetta, vera Paternità. Ma voi, però, quei pesi che agli altri date, non li toccate neppure con un dito. Vi credete giustificati solo per averli dati. Ma, o stolti, non sapete che sarete giudicati per quel che avete giudicato esser necessario a salvarsi? Non sapete che Dio vi dirà: “Voi dicevate sacra, giusta la vostra parola. Orbene, Io pure la giudico tale. E poiché l’avete imposta a tutti e sul come fu accolta e praticata avete giudicato i fratelli, ecco Io vi giudico con la vostra parola. E poiché non avete fatto ciò che avete detto di fare, siate condannati”?
   Guai a voi che innalzate sepolcri ai profeti che i vostri padri uccisero. E che? Credete con ciò di diminuire la grandezza della colpa dei padri vostri? Di annullarla agli occhi dei posteri? No anzi. Voi testimoniate di queste opere dei padri vostri. Non solo. Ma le approvate, pronti ad imitarli, elevando poi un sepolcro al profeta perseguitato per dirvi: “Noi lo abbiamo onorato”. Ipocriti! È per questo che la Sapienza di Dio ha detto: “Manderò loro dei profeti e degli apostoli. Ed essi ne uccideranno alcuni ed altri li perseguiteranno, onde si possa chiedere a questa generazione il sangue di tutti i profeti che è stato sparso dalla creazione del mondo in poi, dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, ucciso fra l’altare e il santuario”. Sì, in verità, in verità vi dico che di tutto questo sangue di santi ne sarà chiesto conto a questa generazione che non sa distinguere Dio là dove è, e perseguita il giusto e l’accora perché il giusto è il confronto vivente con la sua ingiustizia.

 10­Guai a voi, dottori della Legge, che vi siete usurpata la chiave della scienza e ne avete chiuso il tempio per non entrarvi ed essere da essa giudicati, e non avete permesso che altri vi entrassero. Perché sapete che, se il popolo fosse ammaestrato dalla vera Scienza, ossia dalla Sapienza santa, potrebbe giudicarvi. Onde lo preferite ignorante perché non vi giudichi. E mi odiate perché Io sono Parola di Sapienza e vorreste chiudermi anzitempo in una carcere, in un sepolcro perché Io non parlassi più.
   Ma Io parlerò finché al Padre mio piacerà che Io parli. E dopo parleranno le mie opere più ancora delle mie parole. E parleranno i miei meriti più ancora delle opere, e il mondo sarà istruito e saprà, e vi giudicherà. Il primo giudizio su voi. E poi verrà il secondo, il singolo giudizio ad ogni singola vostra morte. E infine l’ultimo: quello universale. E ricorderete questo giorno e questi giorni e voi, voi soli conoscerete il Dio terribile che vi siete sforzati di agitare come una visione d’incubo davanti agli spiriti dei semplici, mentre voi, nell’interno del vostro sepolcro, vi siete irrisi di Lui, e dal primo e principale comandamento, quello dell’amore, all’ultimo dato sul Sinai, non ne avete avuto rispetto e avete disubbidito.
   Inutilmente, o Elchia, non hai figurazioni nella tua casa. Inutilmente, o voi tutti, non avete oggetti scolpiti nelle vostre case. Nell’interno del cuore avete l’idolo, più idoli. Quello di credervi dèi, quelli delle concupiscenze vostre.

 11­Venite, voi. Andiamo».
   E, facendosi precedere dai dodici, esce per ultimo.
   Un silenzio…
   Poi i rimasti fanno un clamore dicendo tutti insieme: «Bisogna perseguitarlo, coglierlo in fallo, trovare oggetti di accusa! Ucciderlo bisogna!».
   Altro silenzio.
   E poi, mentre due se ne vanno, disgustati dell’odio e dei propositi farisaici, e sono il parente di Elchia e l’altro che per due volte ha difeso il Maestro, i rimasti si chiedono: «E come?».
   Altro silenzio.
   Poi, con una risata chioccia, Elchia dice: «Occorre lavorare Giuda di Simone…».
   «Già! Buona idea! Ma tu l’hai offeso!…».
   «Ci penso io», dice quello che Gesù ha chiamato Simone Boetos. «Io e Eleazaro di Anna… Lo circuiremo…».
   «Un poco di promesse…».
   «Un poco di paura…».
   «Molto denaro…».
   «No. Molto no… Promesse, promesse di molto denaro…».
   «E poi?».
   «Cosa, e poi?».
   «Eh! Poi. A cose fatte. Che gli daremo?».
   «Ma nulla! La morte. Così… non parlerà più», dice lentamente e crudelmente Elchia.
   «Uh! la morte…».
   «Ne hai orrore? Ma va’ via! Se uccidiamo il Nazareno che… è un giusto… potremo uccidere anche l’Iscariota che è un peccatore…».
   Vi sono incertezze…
   Ma Elchia, alzandosi, dice: «Sentiremo anche Anna… E vedrete che… dirà buona l’idea. E ci verrete anche voi… Oh! se ci verrete…».
   Escono tutti dietro al loro ospite, che se ne va dicendo: «Ci verrete… Ci verrete!».

   Cap. DXXIII. A Gerico. La richiesta a Gesù di giudicare su una donna. La parabola del fariseo e del pubblicano dopo un paragone tra peccatori a malati.

  2 novembre 1946

 Gesù esce dalla casa di Zaccheo. È mattina inoltrata. È con Zaccheo, Pietro e Giacomo di Alfeo. Gli altri apostoli sono forse già sparsi per la campagna per annunciare che il Maestro è in città.
   Dietro al gruppo di Gesù con Zaccheo e gli apostoli ve ne è un altro, molto… variato per fisionomie, età, vesti. Non è difficile dichiarare con sicurezza che questi uomini appartengono a razze diverse, forse anche antagoniste fra di loro. Ma gli eventi della vita hanno portato questi in questa città palestinese e li hanno riuniti perché dal loro profondo risalissero verso la luce. Sono per lo più volti appassiti di chi ha usato e abusato della vita in più modi, occhi stanchi per la più parte; in altri, sguardi che la lunga abitudine ad occupazioni di… rapina fiscale o di comando brutale ha fatto rapaci o duri, e ogni tanto questo loro antico sguardo riaffiora da sotto un velo dimesso e pensoso che vi ha messo la nuova vita. E ciò avviene specialmente quando qualcuno di Gerico li guarda con sprezzo o borbotta qualche insolenza a loro carico. Poi l’occhio torna stanco, dimesso, e le teste si riabbassano avvilite.
   Gesù si volta per due volte ad osservarli e, vedendoli indietro, rallentanti il loro passo più si avvicinano al luogo prescelto per parlare, e già pieno di gente, rallenta il suo per attenderli, e infine dice loro: «Passatemi avanti e non temete. Avete sfidato il mondo quando facevate il male; non dovete temerlo ora che vi siete spogliati di esso. Ciò che avete usato per domarlo allora ? l’indifferenza al giudizio del mondo, unica arma per stancarlo di giudicare ? usatelo anche ora, ed esso si stancherà di occuparsi di voi, e vi assorbirà, seppure lentamente, annullandovi nella grande massa anonima che è questo misero mondo, al quale in verità si dà troppo peso».
   Gli uomini, quindici, ubbidiscono e passano avanti.

 «Maestro, là sono i malati della campagna», dice Giacomo di Zebedeo andando incontro a Gesù e indicando un angolo tiepido di sole.
   «Vengo. Gli altri dove sono?».
   «Fra la gente. Ma già ti hanno visto e stanno venendo. Con loro sono anche Salomon, Giuseppe di Emmaus, Giovanni d’Efeso, Filippo di Arbela. Sono diretti alla casa di quest’ultimo e vengono da Joppe, Lidda e Modin. Hanno seco loro uomini della costa del mare e donne. Ti cercavano, anzi, perché è discordia fra loro sul giudicare una donna. Ma parleranno con Te…».
   Gesù è infatti presto circondato dagli altri discepoli e salutato con venerazione. Dietro ad essi sono i nuovi attirati alla dottrina di Gesù. Ma non c’è Giovanni d’Efeso, e Gesù ne chiede la ragione.
   «Si è fermato con una donna e con i parenti della stessa in una casa lontana dalla gente. La donna non si sa se è indemoniata o profetessa. Dice cose meravigliose, a detta di quelli del suo paese. Ma gli scribi che l’hanno ascoltata l’hanno giudicato posseduta. I parenti hanno chiamato gli esorcisti più volte, ma essi non poterono cacciare il demonio parlante che la tiene. (Gli esorcisti avevano la funzione di scacciare demoni e la esercitavano “secondo Israele”, come è detto al Vol 5 Cap 352. Alcuni scribi [Vol 5 Cap 349] dichiarano di non essere esorcisti, mentre uno scriba [al Vol 6 Cap 387] dice: “noi, ornati dei segni d’esorcismo”. La presenza e l’azione di esorcisti in Israele sono affermate da Gesù al Vol 2 Cap 137 e confermate in una famosa disputa con scribi e farisei, segnatamente al Vol 4 Cap 269. Di scribi che fanno esorcismi usando formule si parla nel breve capitolo 350 al Vol 5, dove Gesù avverte che bisogna distinguere il posseduto dal malato, pur non essendo il demonio estraneo alle malattie, e assicura che i demoni si vincono con la preghiera e il digiuno). Però un di loro disse al padre della donna (è una vedova vergine rimasta in famiglia): “Per tua figlia ci vuole il Messia Gesù. Egli capirà le sue parole e saprà donde vengono. Io ho provato di imporre allo spirito che parla in lei di andarsene in nome di Gesù detto il Cristo. Sempre gli spiriti tenebrosi sono fuggiti quando ho usato questo Nome. Questa volta no. Da questo io dico che, o è lo stesso Belzebù che parla  e  riesce  a resistere anche a quel Nome detto da me, o è lo stesso Spirito di Dio, e perciò non teme essendo che è una cosa sola col Cristo. Io sono convinto più di questo che del primo caso. Ma, per esserne certi, solo il Cristo può giudicare. Egli conoscerà le parole e la loro origine”. E fu malmenato dagli scribi presenti, che lo dissero posseduto lui pure come la donna e come Te. Perdona se dobbiamo dirlo… E degli scribi non ci hanno più lasciati, e sono di guardia alla donna perché vogliono stabilire se può essere avvisata del tuo arrivo. Perché essa dice che conosce il tuo volto e la tua voce, e fra mille e mille ti riconoscerebbe, mentre è provato che essa mai è uscita dal paese, anzi, dalla sua casa da quando, quindici anni or sono, le morì lo sposo la vigilia della festa nuziale; ed è anche provato che mai Tu sei passato dal suo paese che è Betlechi. E gli scribi attendono questa ultima prova per dirla indemoniata. 

Vuoi vederla subito?».
   «No. Devo parlare alla gente. E sarebbe troppo chiassoso l’incontro qui, fra le turbe. Va’ a dire a Giovanni d’Efeso e ai parenti della donna, e anche agli scribi, che li attendo tutti all’inizio del tramonto nei boschi lungo il fiume, sul sentiero del guado. Va’».
   E Gesù, congedato Salomon, che ha parlato per tutti, va dai malati invocanti guarigione e li guarisce. Sono una donna anziana anchilosata dall’artrite, un paralitico, un giovanetto ebete, una fanciulla che direi etica e due malati agli occhi. La gente ha i suoi trillanti gridi di gioia.
   Ma non è finita ancora la serie dei malati. Una madre si avanza, sfigurata dal dolore, sorretta da due amiche o parenti, e si inginocchia dicendo: «Ho il figlio morente. Non può essere portato qui… Pietà di me!».
   «Puoi credere senza misura?».
   «Tutto, o mio Signore!».
   «E allora torna a casa tua».
   «A casa mia?… Senza Te?…». La donna lo guarda un momento con affanno, poi comprende. Il povero viso si trasfigura. Grida: «Vado, Signore. E benedetto Te e l’Altissimo che ti ha mandato!». E corre via, più svelta delle stesse sue compagne…
   Gesù si volge ad uno di Gerico, ad un dignitoso cittadino. «Quella donna è ebrea?».
   «No. Di nascita almeno, no. Viene da Mileto. Sposa però a uno di noi e da allora nella nostra fede».
   «Ha saputo credere meglio di molti ebrei», osserva Gesù.

 4Poi, salendo sull’alto gradino di una casa, fa il gesto abituale, di aprire le braccia, che precede il suo parlare e serve ad imporre silenzio. Ottenutolo, raccoglie le pieghe del manto, apertosi sul petto nel gesto, e lo tiene fermo con la sinistra mentre abbassa la destra nell’atto di chi giura, dicendo:
   «Ascoltate, o cittadini di Gerico, le parabole del Signore, e ognuno poi le mediti nel suo cuore e  ne tragga la lezione per nutrire il suo spirito. Lo potete fare perché non da ieri, né dalla passata luna, e neppure dall’altro inverno, conoscete la Parola di Dio. Prima che Io fossi il Maestro, Giovanni, mio Precursore, vi aveva preparato al mio venire e, dopo che lo fui, i miei discepoli hanno arato questo suolo sette e sette volte per seminarvi ogni seme che Io avevo loro dato. Dunque potete capire la parola e la parabola.

 A che paragonerò Io coloro che, dopo essere stati peccatori, poi si convertono? Li paragonerò a malati che guariscono. A che paragonerò gli altri che non hanno pubblicamente peccato, o che, rari più di perle nere, non hanno fatto mai, neppur nel segreto, colpe gravi? Li paragonerò a delle persone sane. Il mondo è composto di queste due categorie. Sia nello spirito che nella carne e sangue. Ma, se uguali sono i paragoni, diverso è il modo del mondo di usare coi malati guariti, che erano malati nella carne, da quello che esso usa coi peccatori convertiti, ossia coi malati dello spirito che tornano in salute.
   Noi vediamo che quando anche un lebbroso, che è il malato più pericoloso e più isolato perché pericoloso, ottiene la grazia di guarigione, dopo essere stato osservato dal sacerdote e purificato, viene riammesso nel consorzio delle genti, e anzi quelli della sua città lo festeggiano perché guarito, perché risuscitato alla vita, alla famiglia, agli affari. Gran festa in famiglia e in città, quando uno che era lebbroso riesce ad ottenere grazia e a guarire! È una gara fra i famigliari e i cittadini a portargli questo e quello e, se è solo e senza casa o mobili, a offrirgli tetto o mobiglia, e tutti dicono: “È uno prediletto da Dio. Il suo dito lo ha sanato. Facciamogli dunque onore, e onoreremo Colui che lo ha creato e ricreato”. È giusto di fare così. E quando, sventuratamente invece, uno ha i primi segni di lebbra, con che amore angoscioso parenti e amici lo colmano di tenerezze, finché è possibile ancora farlo, quasi per dargli, tutto in una volta, il tesoro di affetti che gli avrebbero dato in molti anni, perché se lo porti seco nel suo sepolcro di vivo.
   Ma perché allora per gli altri malati non si fa così? Un uomo comincia a peccare, e famigliari e soprattutto concittadini lo vedono? Perché allora non cercano con amore di strapparlo al peccare? Una madre, un padre, una sposa, una sorella ancora lo fanno. Ma è già difficile che lo facciano i fratelli, e non dico poi che lo facciano i figli del fratello del padre o della madre. I concittadini, infine, non sanno che criticare, schernire, insolentire, scandalizzarsi, esagerare i peccati del peccatore, segnarselo a dito, tenerlo discosto come un lebbroso quelli che sono più giusti, farsi suoi complici, per godere alle sue spalle, quelli che giusti non sono. Ma non c’è che ben raramente una bocca, e soprattutto un cuore, che vada dall’infelice con pietà e fermezza, con pazienza e amore soprannaturale, e si affanni a frenarne la discesa nel peccato. 
   E come? Non è forse più grave, veramente grave e mortale la malattia dello spirito? Non priva essa, e per sempre, del Regno di Dio? La prima delle carità verso Dio e verso il prossimo non deve essere questo lavoro di sanare un peccatore per il bene della sua anima e la gloria di Dio?
   E quando un peccatore si converte, perché quell’ostinatezza di giudizio su di lui, quel quasi rammaricarsi che egli sia tornato alla salute spirituale? Vedete smentiti i vostri pronostici di certa dannazione di un vostro concittadino? Ma dovreste esserne felici, perché Colui che vi smentisce è il misericordioso Iddio, che vi dà una misura della sua bontà a rincuorarvi nelle vostre colpe più o meno gravi. 
   E perché quel persistere a voler vedere sporco, spregevole, degno di stare nell’isolamento, ciò che Dio e la buona volontà di un cuore hanno fatto netto, ammirevole, degno della stima dei fratelli, anzi della loro ammirazione? 
   Ma ben giubilate anche se un vostro bue, un vostro asino o cammello, o la pecora del gregge, o il colombo preferito guariscono da una malattia! Ben giubilate se un estraneo, che appena ricordate a nome per averne sentito parlare al tempo in cui fu isolato perché lebbroso, torna guarito! E perché allora non giubilate per queste guarigioni di spirito, per queste vittorie di Dio? Il Cielo giubila quando un peccatore si converte. Il Cielo: Dio, gli angeli purissimi, quelli che non sanno cosa è peccare. E voi, voi uomini, volete essere più intransigenti di Dio?

 Fate, fate giusto il vostro cuore e riconoscete il Signore non soltanto come presente fra le nuvole d’incenso e i canti del Tempio, nel luogo dove solamente la santità del Signore, nel Sommo Sacerdote, deve entrare, e dovrebbe essere santa come il nome lo indica. Ma anche nel prodigio di questi spiriti risorti, di questi altari riconsacrati, sui quali l’Amore di Dio scende coi suoi fuochi ad accendere il sacrificio».
   Gesù viene interrotto dalla madre di prima, che con gridi di benedizione lo vuole adorare. Gesù la ascolta e benedice e la rimanda a casa, riprendendo il discorso interrotto.
   «E se da un peccatore, che un tempo vi ha dato spettacolo di scandalo, ricevete ora spettacoli di edificazione, non vogliate schernire ma imitare. Perché nessuno è mai tanto perfetto da essere impossibile che un altro lo ammaestri. E il Bene è sempre lezione che va accolta, anche se colui che lo pratica un tempo era oggetto di riprovazione. Imitate e aiutate. Perché, così facendo, glorificherete il Signore e dimostrerete che avete capito il suo Verbo. Non vogliate essere come quelli che in cuor vostro criticate perché le loro azioni non corrispondono alle loro parole. Ma fate che ogni vostra buona azione sia il coronamento di ogni vostra buona parola. E allora veramente sarete guardati e ascoltati benevolmente dall’Eterno.

 Udite quest’altra parabola, per comprendere quali sono le cose che hanno valore agli occhi di Dio. Essa vi insegnerà a correggervi da un pensiero non buono che è in molti cuori. I più degli uomini si giudicano da se stessi e, posto che solo un uomo su mille è veramente umile, così avviene che l’uomo si giudica perfetto, lui solo perfetto, mentre nel prossimo nota cento e cento peccati.
   Un giorno due uomini, andati a Gerusalemme per affari, salirono al Tempio, come si conviene ad ogni buon israelita ogni qualvolta pone piede nella Città Santa. Uno era un fariseo. L’altro un pubblicano. Il primo era venuto per riscuotere il fitto di alcuni empori e per fare i conti con i suoi fattori, che abitavano nelle vicinanze della città. L’altro per versare le imposte riscosse e per invocare pietà in nome di una vedova che non poteva pagare la tassazione della barca e delle reti, perché la pesca, fatta dal figlio maggiore, le era appena sufficiente per dare da mangiare ai molti altri figli.
   Il fariseo, prima di salire al Tempio, era passato dai tenutari degli empori e, gettato uno sguardo in essi empori, vistili pieni di merci e di compratori, si era compiaciuto in se stesso e poi aveva chiamato il tenutario del luogo e gli aveva detto: “Vedo che i tuoi commerci vanno bene”.
   “Sì, per grazia di Dio. Sono contento del mio lavoro. Ho potuto aumentare le merci e spero di farlo ancora di più. Ho migliorato il luogo, e l’anno veniente non avrò le spese dei banchi e scaffali, e perciò avrò più guadagno”.
   “Bene! Bene! Ne sono felice! Quanto paghi tu per questo luogo?”.
   “Cento didramme al mese. È caro, ma la posizione è buona…”.
   “Lo hai detto. La posizione è buona. Perciò io ti raddoppio il fitto’’.
   “Ma signore”, esclamò il negoziante. “In tal maniera tu mi levi ogni utile!”.
   “È giusto. Devo forse io arricchire te? E sul mio? Presto. O tu mi dai duemilaquattrocento didramme, e subito, o ti caccio fuori e mi tengo la merce. Il luogo è mio e ne faccio ciò che voglio” .
   Così al primo, così al secondo e al terzo dei suoi affittuari, ad ognuno raddoppiando il prezzo, sordo ad ogni preghiera. E perché il terzo, carico di figli, volle fare resistenza, chiamò le guardie e fece porre i sigilli di sequestro, cacciando fuori l’infelice.
   Poi, nel suo palazzo, esaminò i registri dei fattori, trovando di che punirli come fannulloni e sequestrando loro la parte che si erano tenuta di diritto.
   Uno aveva il figlio morente, e per le molte spese aveva venduto una parte del suo olio per pagare le medicine. Non aveva dunque che dare all’esoso padrone. “Abbi pietà di me, padrone. Il mio povero figlio sta per morire, e dopo farò dei lavori straordinari per rifonderti ciò che ti sembra giusto. Ma ora, tu lo comprendi, non posso”.
   “Non puoi? Io ti farò vedere se puoi o non puoi”. E, andato col povero fattore nel frantoio, lo privò anche di quel resto d’olio che l’uomo si era tenuto per il misero cibo e per alimentare la lampada che permetteva di vegliare il figlio nella notte.
   Il pubblicano invece, andato dal suo superiore e versate le imposte riscosse, si sentì dire: “Ma qui mancano trecentosettanta assi. Come mai ciò?”.
   “Ecco, ora ti dico. Nella città è una vedova con sette figli. Il primo solo è in età di lavorare. Ma non può andare lontano da riva con la barca, perché le sue braccia sono deboli ancora per il remo e la vela, e non può pagare un garzone di barca. Stando vicino a riva, poco pesca, e il pescato basta appena a sfamare quelle otto infelici persone. Non ho avuto cuore di esigere la tassa”.
   “Comprendo. Ma la legge è legge. Guai se si sapesse che essa è pietosa! Tutti troverebbero ragioni per non pagare. Il giovinetto cambi mestiere e venda la barca se non possono pagare” .
   “È il loro pane futuro… ed è il ricordo del padre”.
   “Comprendo. Ma non si può transigere”.
   “Va bene. Ma io non posso pensare otto infelici privati dell’unico bene. Pago io i trecentosettanta assi”.

 Fatte queste cose, i due salirono al Tempio e, passando presso il gazofilacio, il fariseo trasse con ostentazione una voluminosa borsa dal seno e la scosse sino all’ultimo picciolo nel Tesoro. In quella borsa erano le monete prese in più ai negozianti e il ricavato dell’olio levato al fattore e subito venduto ad un mercante. Il pubblicano invece gettò un pugnello di piccioli, dopo aver levato quanto gli era necessario al ritorno al suo luogo. L’uno a l’altro dettero perciò quanto avevano. Anzi, in apparenza, il più generoso fu il fariseo, perché dette fino all’ultimo dei piccioli che aveva seco. Però occorre riflettere che nel suo palazzo egli aveva altre monete e aveva crediti aperti presso dei ricchi cambiavalute.
   Indi andarono davanti al Signore. Il fariseo proprio avanti, presso il limite dell’atrio degli Ebrei, verso il Santo; il pubblicano in fondo, quasi sotto la volta che portava nel cortile delle Donne, e stava curvo, schiacciato dal pensiero della sua miseria rispetto alla Perfezione divina. E pregavano l’uno e l’altro.
   Il fariseo, ben ritto, quasi insolente, come fosse il padrone del luogo e fosse lui che si degnasse di ossequiare un visitatore, diceva: “Ecco che sono venuto a venerarti nella Casa che è la nostra gloria. Sono venuto benché senta che Tu sei in me, perché io sono giusto. So esserlo. Però, per quanto sappia che soltanto per mio merito sono tale, ti ringrazio, come è legge, di ciò che sono. Io non sono rapace, ingiusto, adultero, peccatore come quel pubblicano che ha gettato contemporaneamente a me un pugnello di piccioli nel Tesoro. Io, lo hai visto, ti ho dato tutto quanto avevo meco. Quell’esoso, invece, ha fatto due parti e a Te ha dato la minore. L’altra, certamente, la terrà per le gozzoviglie e le femmine. Ma io sono puro. Non mi contamino io. Io sono puro e giusto, digiuno due volte alla settimana, pago le decime di quanto possiedo. Sì. Sono puro, giusto e benedetto, perché santo. Ricòrdatelo, o Signore”.
   Il pubblicano, dal suo angolo remoto, senza osare di alzare lo sguardo verso le porte preziose dell’hecal, (luogo santo ed era la sala che nel Tempio di Gerusalemme precedeva il debir [sarà menzionato al capitolo 534] o Santo dei santi [menzionato spesso], dove era custodita l’Arca e dove poteva entrare soltanto il Sommo Sacerdote una volta all’anno), e battendosi il petto, pregava così: “Signore, io non son degno di stare in questo luogo. Ma Tu sei giusto e santo, e me lo concedi ancora perché sai che l’uomo è peccatore e, se non viene da Te, diviene un demonio. Oh! mio Signore! Vorrei onorarti notte e giorno, e devo per tante ore essere schiavo del mio lavoro. Lavoro rude che mi avvilisce, perché è dolore al mio prossimo più infelice. Ma devo ubbidire ai miei superiori, perché è il mio pane. Fa’, o mio Dio, che io sappia temperare il dovere verso i superiori con la carità verso i miei poveri fratelli, perché nel mio lavoro non trovi la mia condanna. Ogni lavoro è santo se operato con carità. Tieni la tua carità sempre presente al mio cuore perché io, miserabile qual sono, sappia compatire i miei soggetti, come Tu compatisci me, gran peccatore. Avrei voluto onorarti di più, o Signore. Tu lo sai. Ma ho pensato che levare il denaro destinato al Tempio per sollevare otto cuori infelici fosse cosa migliore che versarlo nel gazofilacio e poi far versare lacrime di desolazione a otto innocenti infelici. Però se ho sbagliato fammelo comprendere, o Signore, e io ti darò fino all’ultimo picciolo, e tornerò al paese a piedi mendicando un pane. Fammi capire la tua giustizia. Abbi pietà di me, o Signore, perché io sono un gran peccatore”.   

 Questa la parabola. In verità, in verità vi dico che, mentre il fariseo uscì dal Tempio con un nuovo peccato aggiunto a quelli già fatti avanti di salire al Moria, il pubblicano uscì di là giustificato, e la benedizione di Dio lo accompagnò a casa sua e restò in essa. Perché egli era stato umile e misericordioso, e le sue azioni erano state ancor più sante delle sue parole. Mentre il fariseo solo a parole e all’esterno era buono, mentre nel suo interno era e faceva opere da satana per superbia e durezza di cuore, e Dio lo odiava perciò.
   Chi si esalta sarà sempre, prima o poi, umiliato. Se non qui nell’altra vita. E chi si umilia sarà esaltato, specie lassù nel Cielo, ove si vedono le azioni degli uomini nella loro vera verità.
   Vieni, Zaccheo. Venite voi che siete con lui. E voi, miei apostoli e discepoli. Vi parlerò ancora in privato».
   E, avvolgendosi nel mantello, torna alla casa di Zaccheo.

   Cap. DXCVI. Mercoledì santo. Il maggiore dei comandamenti, l’obolo della vedova, l’invettiva contro scribi e farisei. Pausa di riposo con la Madre e le discepole. L’edificazione della Chiesa e i tempi ultimi.

 1 Gesù entra nel Tempio ancor più affollato che nei giorni precedenti. È tutto bianco oggi, nella sua veste di lino. È una giornata afosa.
   Va ad adorare nell’atrio degli Israeliti e poi va ai portici, seguito da un codazzo di gente, mentre altra ha già preso le migliori posizioni sotto i porticati, e la maggioranza sono gentili che, non potendo andare oltre il primo cortile, oltre il portico dei Pagani, hanno approfittato del fatto che gli ebrei hanno seguito il Cristo per prendere posizioni di favore.
   Ma un gruppo ben numeroso di farisei li scompagina: sono sempre arroganti ad un modo, e si fanno largo con prepotenza per accostarsi a Gesù curvo su di un malato. Attendono che lo abbia guarito, poi gli mandano vicino uno scriba perché lo interroghi.
   Veramente fra loro c’era stata prima una breve disputa, perché Gioele detto Alamot voleva andare lui ad interrogare il Maestro. Ma un fariseo si oppone e gli altri lo sostengono dicendo: «No. Ci è noto che tu parteggi per il Rabbi, benché tu lo faccia segretamente. Lascia andare Uria…».
   «Uria no», dice un altro giovane scriba che non conosco affatto. «Uria è troppo aspro nel suo parlare. Ecciterebbe la folla. Vado io».
   E, senza ascoltare più le proteste degli altri, va vicino al Maestro proprio nel momento che Gesù congeda il malato dicendogli: «Abbi fede. Sei guarito. La febbre e il dolore non torneranno mai più».

 2 «Maestro, quale è il maggiore dei comandamenti della Legge?».
   Gesù, che lo aveva alle spalle, si volta e lo guarda. Una luce tenue di sorriso gli illumina il volto, e poi alza il capo, essendo a capo chino perché lo scriba è di bassa statura e per di più sta curvo in atto di ossequio, e gira lo sguardo sulla folla, lo appunta sul gruppo dei farisei e dottori e scorge il viso pallido di Gioele seminascosto dietro un grosso e impaludato fariseo. Il suo sorriso si accentua. È come una luce che vada a carezzare lo scriba onesto.
   Poi riabbassa il capo guardando il suo interlocutore e gli risponde: «Il primo di tutti i comandamenti è: (Deuteronomio 6, 4-5) “Ascolta, o Israele: il Signore Dio nostro è l’unico Signore. Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutte le tue forze”. Questo è il primo e supremo comandamento. Il secondo poi è simile a questo: (Levitico 19, 18) “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. Non vi sono comandamenti maggiori di questi. Essi rinchiudono tutta la Legge e i Profeti».
   «Maestro, Tu hai risposto con sapienza e con verità. Così è. Dio è Unico e non vi è altro dio fuori che Lui. Amarlo con tutto il proprio cuore, con tutta la propria intelligenza, con tutta l’anima e tutte le forze, e amare il prossimo come se stesso, vale molto più di ogni olocausto e sacrificio. Molto lo penso quando medito le parole davidiche: (Salmo 51, 18-19) “A Te non piacciono gli olocausti; il sacrificio a Dio è lo spirito compunto”».
   «Tu non sei lontano dal Regno di Dio, perché hai compreso quale sia l’olocausto che è gradito a Dio».
   «Ma quale è l’olocausto maggiormente perfetto?», chiede svelto, a bassa voce, lo scriba, come se dicesse un segreto.
   Gesù raggia d’amore lasciando cadere questa perla nel cuore di costui che si apre alla sua dottrina, alla dottrina del Regno di Dio, e dice, curvo su lui: «L’olocausto perfetto è amare come noi stessi coloro che ci perseguitano e non avere rancori. Chi fa questo possederà la pace. È detto: (Salmo 37, 11) i mansueti possederanno la terra e godranno dell’abbondanza della pace. In verità ti dico che colui che sa amare i suoi nemici raggiunge la perfezione e possiede Dio».

 3 Lo scriba lo saluta con deferenza e se ne torna al suo gruppo, che lo rimprovera sottovoce di aver lodato il Maestro, e con ira gli dicono: «Che gli hai chiesto in segreto? Sei anche tu, forse, sedotto da Lui?».
   «Ho sentito lo Spirito di Dio parlare sulle sue labbra».
   «Sei uno stolto. Lo credi forse tu il Cristo?».
   «Lo credo».
   «In verità fra poco vedremo vuote le nostre scuole dei nostri scribi ed essi andar raminghi dietro quell’Uomo! Ma dove vedi, in Lui, il Cristo?».
   «Dove non so. So che sento che è Lui».
   «Pazzo!», gli voltano inquieti le spalle.
   Gesù ha osservato il dialogo e, quando i farisei gli passano davanti in gruppo serrato per andarsene inquieti, li chiama dicendo: «Ascoltatemi. Voglio chiedervi una cosa. Secondo voi, che ve ne pare del Cristo? Di chi è figlio?».
   «Sarà figlio di Davide», gli rispondono marcando il “sarà”, perché vogliono fargli capire che, per loro, Egli
non è il Cristo.
   «E come dunque Davide, ispirato da Dio, lo chiama “Signore” dicendo: (Salmo 110, 1) “Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra fino a che non avrò messo i tuoi nemici a sgabello ai tuoi piedi’”? Se dunque Davide chiama il Cristo “Signore”, come il Cristo può essergli figlio?».
Non sapendo cosa rispondergli, si allontanano ruminando il loro veleno.

 4 Gesù si sposta dal luogo dove era, tutto invaso dal sole, per andare più oltre, dove sono le bocche del tesoro, presso la sala del gazofilacio. Questo lato, ancora in ombra, è occupato da rabbi che concionano con grandi gesti rivolti ai loro ascoltatori ebrei, che aumentano sempre più come, col passar delle ore, aumenta di continuo la gente che affluisce al Tempio.
   I rabbi si sforzano di demolire coi loro discorsi gli insegnamenti che il Cristo ha dato nei giorni precedenti o quella stessa mattina. E sempre più alzano la voce più vedono aumentare la folla dei fedeli. Il luogo, infatti, benché vasto tanto, formicola di persone che vanno e vengono in ogni senso…

 6 Solo oggi, e con insistenza, vedo apparire la seguente visione

   Sul principio non vedo che cortili e porticati, che riconosco essere del Tempio, e Gesù, che sembra un imperatore tanto è solenne nel suo abito rosso vivo e manto pure rosso più cupo, appoggiato ad una enorme colonna quadrata che sostiene un arco del portico.

   Mi guarda fissamente. Mi perdo a guardarlo, beandomi di Lui che da due giorni non vedevo e non udivo.
La visione dura così per lungo tempo. E finché dura così non la scrivo, perché è gioia mia. Ma, ora che vedo animarsi la scena, comprendo che vi è dell’altro e scrivo.


   Il luogo si va empiendo di gente che va e viene in ogni senso. Vi sono sacerdoti e fedeli, uomini, donne e bambini. Chi passeggia, chi, fermo, ascolta i dottori, chi si dirige trascinando agnellini o portando colombi presso altri luoghi forse di sacrificio.
   Gesù sta appoggiato alla sua colonna e guarda. Non parla. Anche due volte che è stato interrogato dagli apostoli ha fatto cenno di no, ma non ha parlato. È attentissimo ad osservare. E dall’espressione pare stia giudicando chi guarda. Il suo occhio e tutto il volto mi ricorda l’aspetto che gli ho visto nella visione del Paradiso, quando giudicava le anime nel giudizio particolare. Ora, naturalmente, è Gesù, Uomo; lassù era Gesù glorioso, perciò più ancora imponente. Ma la mutabilità del volto, che osserva fissamente, è uguale. È serio, scrutatore, ma, se delle volte è di una severità da far tremare il più sfacciato, delle volte è anche così dolce, di una mestizia sorridente che pare carezzi con lo sguardo.

 7 Pare non oda nulla. Ma deve ascoltare tutto perché, quando da un gruppo lontano parecchi metri, raccolto intorno ad un dottore, si alza una voce nasale che proclama: «Più di ogni altro comando è valido questo: quanto è per il Tempio al Tempio vada. Il Tempio è al disopra del padre e della madre e, se alcuno vuole dare alla gloria del Signore ogni “che” che gli avanza, lo può fare e ne sarà benedetto, poiché non vi è sangue né affetto superiore al Tempio», Gesù gira lentamente la testa in quella direzione e guarda con un che… che non vorrei fosse rivolto a me.
   Pare guardi in generale. Ma quando un vecchietto tremolante si accinge a salire i cinque scalini di una specie di terrazza che è prossima a Gesù, e che pare conduca ad un altro cortile più interno, e punta il bastoncello e quasi cade inciampando nella veste, Gesù allunga il suo lungo braccio e l’afferra e lo sorregge, né lo lascia sinché lo vede in sicuro. Il vecchietto alza la testa grinzosa e guarda il suo alto salvatore e mormora una parola di benedizione, e Gesù gli sorride e lo carezza sulla testa semicalva. Poi torna contro la sua colonna, e se ne stacca ancora una volta per rialzare un bambino che scivola dalla mano della madre e cade bocconi proprio ai suoi piedi, piangendo, contro il primo scalino. Lo alza, lo carezza, lo consola. La madre, confusa, ringrazia. Gesù sorride anche a lei, alla quale riconsegna il piccolo.
   Ma non sorride quando passa un tronfio fariseo e neppure quando passano in gruppo degli scribi e altri che non so chi siano. Questo gruppo saluta con grande sbracciarsi e inchinarsi. Gesù li guarda così fissamente che pare li perfori, e saluta ma senza espansione. È severo. Anche ad un sacerdote che passa, e deve essere un pezzo grosso perché la folla fa largo e saluta e lui passa tronfio come un pavone, Gesù dà un lungo sguardo. Uno sguardo tale che colui, che pure è pieno di superbia, china il capo. Non saluta. Ma non resiste allo sguardo di Gesù.

 8 Gesù cessa di guardarlo per osservare una povera donnetta vestita di marrone scuro, che sale vergognosa i gradini e va verso una parete in cui sono come delle teste di leone o simili bestie a bocca aperta. Molti vanno a quella volta. Ma Gesù pareva non aver fatto caso a loro. Ora invece segue il cammino della donnetta. Il suo occhio la guarda pietoso e si fa dolce dolce quando la vede stendere una mano e gettare nella bocca di pietra di uno di quei leoni qualche cosa. E quando la donnetta nel ritirarsi gli passa vicino, dice per il primo: «La pace a te, donna».
   Quella, stupita, alza il capo e resta interdetta. 
   «La pace a te», ripete Gesù. «Va’, ché l’Altissimo ti benedice». 
   Quella poveretta resta estatica, poi mormora un saluto e va.
   «Ella è felice nella sua infelicità», dice Gesù uscendo dal suo silenzio. «Ora è felice perché la benedizione di Dio la accompagna».

 9 «Udite, amici, e voi che mi siete intorno. Vedete quella donna? Non ha dato che due spiccioli, tanto che non basta a comperare il pasto di un passero tenuto in gabbia, eppure ha dato più di tutti quanti hanno, da quando si è aperto il Tempio all’aurora, versato il loro obolo al Tesoro del Tempio. Udite. Ho visto ricchi in gran numero mettere in quelle bocche sostanze capaci di sfamare costei per un anno e di rivestire la sua povertà, che è decente solo perché è pulita. Ho visto ricchi mettere con visibile soddisfazione là dentro somme che avrebbero potuto sfamare i poveri della Città santa per uno e più giorni e far loro benedire il Signore. Ma in verità vi dico che nessuno ha dato più di costei. Il suo obolo è carità. L’altro non è. Il suo è generosità. L’altro non è. Il suo è sacrificio. L’altro non è. Oggi quella donna non mangerà poiché non ha più nulla. Prima dovrà lavorare per mercede, per poter dare un pane alla sua fame. Dietro a lei non vi sono ricchezze, non vi sono parenti che guadagnino per lei. Ella è sola. Dio le ha levato parenti, marito e figli, le ha levato quel poco bene che essi le avevano lasciato, e più che Dio glielo hanno levato gli uomini, questo; quegli uomini che ora con grandi gesti, vedete?, continuano a gettare là dentro il loro superfluo, di cui molto è estorto con usura dalle povere mani di chi è debole e ha fame.

10 Essi dicono che non c’è sangue e affetto superiore al Tempio, e così insegnano a non amare il prossimo loro. Io vi dico che sopra al Tempio è l’amore. La legge di Dio è amore, e non ama chi non ha pietà per il prossimo. Il denaro superfluo, il denaro infangato dall’usura, dall’astio, dalla durezza, dall’ipocrisia, non canta la lode a Dio e non attira sul donatore la benedizione celeste. Dio lo ripudia. Impingua queste casse. Ma non è oro per l’incenso: è fango che vi sommerge, o ministri, che non servite Dio ma il vostro interesse; ma è laccio che vi strozza, o dottori, che insegnate una dottrina vostra; ma è veleno che vi corrode quel resto d’anima, o farisei, che ancora avete. Dio non vuole ciò che è avanzo. Non siate Caini. Dio non vuole ciò che è frutto di durezza. Dio non vuole ciò che, alzando voce di pianto, dice: “Dovevo sfamare un affamato. Ma gli sono stato negato per far pompa qua dentro. Dovevo aiutare un vecchio padre, una madre cadente, e sono stato negato perché l’aiuto non sarebbe stato noto al mondo, ed io devo suonare il mio squillo perché il mondo veda il donatore”.
   No, rabbi che insegni che quanto è avanzo va dato a Dio e che è lecito negare al padre e alla madre per dare a Dio. Il primo comando è: “Ama Dio con tutto il tuo cuore, la tua anima, la tua intelligenza, la tua forza”. Perciò non il superfluo ma quello che è sangue nostro bisogna dargli, amando soffrire per Lui. Soffrire. Non far soffrire. E se dare molto costa, perché spogliarsi delle ricchezze spiace e il tesoro è il cuore dell’uomo, vizioso di natura, è proprio perché costa che dare bisogna. Per giustizia: poiché tutto quanto si ha, si ha per bontà di Dio. Per amore, perché è prova d’amore amare il sacrificio per dare gioia a chi si ama. Soffrire per offrire. Ma soffrire. Non far soffrire, ripeto. Perché il secondo comando dice: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. E la legge, specifica che, dopo Dio, i genitori sono il prossimo cui è obbligo dare onore e aiuto.

11 Onde in verità vi dico che quella povera donna ha compreso la Legge meglio dei sapienti ed è giustificata più di ogni altro e benedetta, poiché nella sua povertà ha dato a Dio tutto, mentre voi date ciò che vi supera e lo date per crescere nella stima degli uomini. Lo so che mi odiate perché parlo così. Ma finché questa bocca potrà parlare, parlerà in tal modo. Unite il vostro odio per Me al disprezzo per la poverella che Io lodo. Ma non crediate di fare di queste due pietre doppio piedistallo alla vostra superbia. Saranno la macina che vi stritolerà.
   Andiamo. Lasciamo che le vipere si mordano aumentando il loro veleno. Chi è puro, buono, umile, contrito, e vuole conoscere il vero volto di Dio, mi segua».

12 Dice Gesù:
«E tu, alla quale nulla resta, poiché tutto mi hai dato, dammi questi due ultimi spiccioli. Davanti al tanto che hai dato sembrano, agli estranei, un nulla. Ma per te, che non hai più che questi, sono tutto. Mettili nella mano del tuo Signore. E non piangere. O, almeno, non piangere sola. Piangi con Me, che sono l’Unico che ti posso capire e che ti capisco senza nebbie di umanità, che sono sempre interessato velo al vero».

13 Apostoli, discepoli e folla lo seguono compatti, mentre Egli torna di nuovo nel luogo della prima cinta che è quasi al riparo del muraglione di cinta del Tempio, là dove è un poco di frescura perché la giornata è molto afosa. Là, essendo il terreno sconvolto dagli zoccoli degli animali, sparso delle pietre che i mercanti e i cambiavalute usavano per tenere fermi i loro recinti e le loro tende, là non ci sono i rabbi di Israele, i quali permettevano che nel Tempio si facesse un mercato, ma che hanno ribrezzo a portare le suole dei loro sandali là dove malamente sono cancellate le orme dei quadrupedi che solo da pochi giorni sono stati sfrattati di là…
   Gesù non ne ha ribrezzo e si rifugia là, in un cerchio folto di ascoltatori. Però, prima di parlare, chiama
vicino i suoi apostoli, ai quali dice:
   «Venite e ascoltate bene. Ieri volevate sapere molte delle cose che ora dirò e che ieri accennai vagamente, quando riposavamo nell’orto di Giuseppe. State dunque bene attenti, perché sono grandi lezioni per tutti e soprattutto per voi, miei ministri e continuatori.

14 Udite. Sulla cattedra di Mosè si assisero al tempo giusto scribi e farisei. Ore tristi, quelle, per la Patria. (Come si legge in: Esdra 1-10; Neemia 1-13; 1 Maccabei). Finito l’esilio in Babilonia e ricostruita la nazione per magnanimità di Ciro, i reggitori del popolo sentirono la necessità di ricostruire anche il culto e la conoscenza della Legge. Perché guai a quel popolo che non li ha a sua difesa, guida e sostegno, contro i più potenti nemici di una nazione, che sono l’immoralità dei cittadini, la ribellione ai capi, la disunione fra le diverse classi e partiti, i peccati contro Dio e contro il prossimo, l’irreligiosità, tutti elementi disgregatori per se stessi e per le punizioni celesti che provocano!
   Sorsero dunque gli scribi, o dottori della Legge, per poter ammaestrare il popolo che, parlante il linguaggio caldeo, retaggio del duro esilio, non comprendeva più le scritture scritte in ebraico puro. Sorsero in aiuto dei sacerdoti, insufficienti per numero ad assolvere il compito di ammaestrare le folle. Laicato dotto e dedicato ad onorare il Signore, portando la conoscenza di Lui negli uomini e portando a Lui gli uomini, ebbe la sua ragione di essere e fece anche del bene. Perché, ricordatevelo tutti, anche le cose che per debolezza umana poi degenerano, come fu questa che si corruppe nell’andare dei secoli, hanno sempre qualche parte di buono e una ragione, almeno iniziale, di essere, per le quali cose l’Altissimo permette che sorgano e durino sinché, la misura della degenerazione essendo colma, l’Altissimo non le disperde.
   Venne poi l’altra setta dei farisei, dalla trasformazione di quella degli Assidei, sorta per sostenere con la più rigida morale e la più intransigente ubbidienza la Legge di Mosè e lo spirito di indipendenza nel nostro popolo, quando il partito ellenista, formatosi per le pressioni e le seduzioni iniziatesi al tempo di Antioco Epifane e presto mutatesi in persecuzioni su chi non cedeva alle pressioni dell’astuto, che più che sulle sue armi contava sulla disgregazione della fede nei cuori per regnare nella nostra Patria, tentava di farci servi.

15 Ricordate anche questo: temete piuttosto le facili alleanze e le blandizie di uno straniero che le sue legioni. Perché, mentre se sarete fedeli alle leggi di Dio e della Patria vincerete anche se accerchiati da eserciti poderosi, quando sarete corrotti dal veleno sottile, dato come un miele inebriante dallo straniero che ha fatto disegni su voi, Dio vi abbandonerà per i vostri peccati, e sarete vinti e soggetti, anche senza che il falso alleato dia battaglia cruenta contro il vostro suolo. Guai a chi non sta all’erta come vigile scolta e non respinge l’insidia sottile di un astuto e falso vicino, o alleato, o dominatore che inizia la sua dominazione sui singoli, illanguidendo il loro cuore e corrompendolo con usi e costumi che nostri non sono, che santi non sono e che perciò ci rendono sgraditi al Signore! Guai! Ricordate tutti le conseguenze portate alla Patria dall’avere alcuni dei suoi figli adottato usi e costumi dello straniero per ingraziarsi lo stesso e godere. Buona cosa è la carità con tutti, anche con i popoli che non sono della nostra fede, che non hanno i nostri usi, che ci hanno nuociuto nei secoli. Ma l’amore a questi popoli, che sono sempre nostro prossimo, non ci deve mai far rinnegare la Legge di Dio e della Patria per il calcolo di qualche utile carpito così ai vicini. No. Gli stranieri disprezzano coloro che sono servili sino al ripudio delle cose più sante della Patria. Non è col rinnegare il Padre e la Madre – Dio e la Patria – che si ottiene rispetto e libertà.
   Bene dunque fu che al tempo giusto sorgessero anche i farisei a fare diga contro lo straripamento fangoso di usi e costumi stranieri. Lo ripeto: ogni cosa che sorge e che dura ha la sua ragione d’essere. E bisogna rispettarla per ciò che fece, se non per ciò che fa. Ché, se essa è colpevole, ormai, non sta agli uomini insultarla e meno ancora colpirla. C’è chi sa farlo: Dio e Colui che Egli ha mandato e che ha il diritto e il dovere di aprire la sua bocca e di aprire i vostri occhi, perché voi e loro sappiate il pensiero dell’Altissimo e agiate con giustizia. Io e nessun altro. Io perché parlo per mandato divino. Io perché posso parlare non avendo in Me nessuno dei peccati che vi scandalizzano quando li vedete fatti da scribi e farisei, ma che, se potete, fate voi pure».

16 Gesù, che aveva iniziato pianamente il suo discorso, ha alzato gradatamente la voce, e in queste ultime parole essa è potente come uno squillo di tromba.
   Ebrei e gentili sono intenti ed attenti ad ascoltarlo. E se i primi applaudono quando Gesù ricorda la Patria e chiama apertamente coi loro nomi coloro che, stranieri, li hanno assoggettati e fatti soffrire, i secondi ammirano la forma oratoria del discorso e si felicitano di essere presenti a questa orazione degna di un grande oratore, dicono fra loro.
   Gesù abbassa di nuovo la voce riprendendo a parlare:
   «Questo vi ho detto per ricordarvi la ragione d’essere di scribi e farisei, e come e perché si sono seduti sulla cattedra di Mosè, e come e perché parlano e non vane sono le loro parole. Fate dunque ciò che essi dicono. Ma non imitateli nelle loro azioni. Perché essi dicono di fare in una data maniera, ma poi non fanno ciò che dicono che si deve fare. Infatti essi insegnano le leggi di umanità del Pentateuco, ma poi caricano di pesi grandi, insopportabili, inumani, gli altri, mentre per loro stessi non stendono neppur un dito, non a portare quei pesi, ma neppure a toccarli.
   Loro regola di vita è l’esser visti e notati e applauditi per le loro opere, che fanno in maniera atta a esser viste, per averne lode. E contravvengono alla legge dell’amore, perché amano definirsi separati e hanno sprezzo per coloro che non sono della loro setta, ed esigono il titolo di maestri e un culto dai loro discepoli quali essi non dànno a Dio. Dèi si credono per sapienza e potenza, superiori al padre e alla madre vogliono essere nel cuore dei loro discepoli, e pretendono che la loro dottrina superi quella di Dio ed esigono che sia praticata alla lettera, anche se è manipolazione della vera Legge, inferiore alla stessa come più non lo è questo monte rispetto all’altezza del Grande Ermon che tutta la Palestina sovrasta; ed eretici sono, credendo, come i pagani, alla metempsicosi e alla fatalità alcuni, negando gli altri ciò che i primi ammettono e, di fatto se non di effetto, ciò che Dio stesso ha dato per fede, definendosi unico Dio al quale va dato culto e dicendo il padre e la madre secondi a Dio soltanto, e come tali in diritto di essere ubbiditi più di un maestro che non sia divino.
   Ché se ora Io vi dico: “Colui che ama il padre e la madre più di Me non è atto al Regno di Dio”, non è già per inculcarvi il disamore ai parenti, ai quali dovete rispetto ed aiuto, né è lecito levare un soccorso ad essi dicendo: “È denaro del Tempio”, o ospitalità dicendo: “La mia carica me lo vieta”, o la vita dicendo: “Ti uccido perché tu ami il Maestro”, ma è perché abbiate l’amore giusto ai parenti, ossia un amore paziente e forte nella sua mansuetudine, il quale sa – senza giungere all’odio verso il parente che pecca e dà dolore non seguendovi sulla via della Vita: la mia – il quale sa saper scegliere tra la legge mia e l’egoismo famigliare e la sopraffazione famigliare. Amate i parenti, ubbiditeli in tutto ciò che è santo. Ma siate pronti a morire, non già a dar morte ma a morire, dico, se essi vogliono indurvi a tradire la vocazione che Dio ha messa in voi di essere i cittadini del Regno di Dio che Io sono venuto a formare.

17 Non imitate scribi e farisei, divisi fra loro sebbene affermino di essere uniti. Voi, discepoli del Cristo, siate veramente uniti, uni per gli altri, i capi dolci ai soggetti, i soggetti dolci coi capi, uni nell’amore e nel fine della vostra unione: conquistare il mio Regno ed essere alla mia destra nell’eterno Giudizio. Ricordate che un regno diviso non è più un regno e non può sussistere. Siate dunque uniti fra voi nell’amore per Me e per la mia dottrina. Assisa del cristiano, ché tale sarà il nome dei sudditi miei, sia l’amore e l’unione, l’uguaglianza fra voi nelle vesti, la comunanza negli averi, la fratellanza dei cuori. Tutti per uno, uno per tutti. 
   Chi ha, dia umilmente. Chi non ha, accetti umilmente e umilmente esponga i suoi bisogni ai fratelli, sapendoli tali; e i fratelli ascoltino amorosamente i bisogni dei fratelli, sentendosi ad essi veramente tali. Ricordate che il Maestro vostro ebbe spesso fame, freddo e altri mille bisogni e disagi, e umilmente li espose agli uomini, Egli, Verbo di Dio. Ricordate che è dato un premio a chi è misericorde anche di un sol sorso d’acqua. Ricordate che dare è meglio che ricevere. In questi tre ricordi il povero trovi la forza di chiedere senza sentirsi umiliato, pensando che Io l’ho fatto prima di lui, e di perdonare se sarà respinto, pensando che molte volte al Figlio dell’uomo fu negato il posto e il cibo che si dànno ai cani di guardia al gregge. E il ricco trovi la generosità di dare le sue ricchezze, pensando che la moneta vile, l’odioso denaro suggerito da Satana, causa dei nove decimi delle rovine del mondo, se dato per amore si muta in gemma immortale e paradisiaca.

18 Siate vestiti delle vostre virtù. Esse siano ampie ma note a Dio solo. Non fate come i farisei che portano le filatterie più larghe e le frange più lunghe e amano i primi seggi nelle sinagoghe e gli ossequi nelle piazze, e vogliono essere chiamati dal popolo: “Rabbi”. Uno solo è il Maestro: il Cristo. Voi che in futuro sarete i nuovi dottori, parlo a voi, miei apostoli e discepoli, ricordate che Io solo sono il vostro Maestro. E lo sarò anche quando non sarò più fra voi. Perché solo la Sapienza è colei che ammaestra. Non fatevi perciò chiamare maestri, perché siete voi stessi discepoli. E non esigete e non date il nome di padre ad alcuno sulla Terra, perché uno solo è il Padre di tutti: il Padre vostro che è nei Cieli. Questa verità vi faccia saggi nel sentirvi veramente tutti fratelli fra voi, sia quelli che dirigono come quelli che sono diretti, e amatevi perciò da buoni fratelli. Né alcuno di quelli che dirigeranno si faccia chiamare guida, perché una sola è la vostra guida comune: il Cristo. Il più grande fra voi sia vostro servo. Non è umiliarsi esser servo dei servi di Dio, ma è imitare Me che fui mite e umile, sempre pronto ad avere amore ai fratelli miei nella carne di Adamo e ad aiutarli con la potenza che ho in Me come Dio. Né ho umiliato il divino, servendo gli uomini. Perché il vero re è colui che sa signoreggiare non tanto gli uomini quanto le passioni dell’uomo, prima fra tutte la stolta superbia. Ricordate: chi si umilia sarà esaltato e chi si esalta sarà umiliato.

19 La Donna di cui ha parlato nel II della Genesi il Signore, la Vergine di cui è parola in Isaia (7, 14), la Madre-Vergine dell’Emmanuele, ha profetato questa verità del tempo nuovo cantando: “Il Signore ha rovesciato i potenti dal loro trono ed ha innalzato gli umili”. La Sapienza di Dio parlava sul labbro di Colei che era Madre della Grazia e Trono della Sapienza. E Io ripeto le ispirate parole che mi lodarono unito al Padre e allo Spirito Santo, nelle nostre opere mirabili, quando, senza offesa per la Vergine, Io, l’Uomo, mi formavo nel suo seno senza cessare di essere Dio. Siano norma a quelli che vogliono partorire il Cristo nei loro cuori e venire al Regno di Cristo. Non vi sarà Gesù: il Salvatore; Cristo: il Signore; e non vi sarà Regno dei Cieli per coloro che sono superbi, fornicatori, idolatri, adorando se stessi e la loro volontà.

20 Perciò guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che credete di poter chiudere con le vostre impraticabili sentenze – e realmente, se fossero avallate da Dio, sarebbero serrame infrangibile alla maggioranza degli uomini – che credete di poter chiudere il Regno dei Cieli in faccia agli uomini che alzano lo spirito ad esso per trovare forza nella loro penosa giornata terrena! Guai a voi che non ci entrate, non ci volete entrare perché non accogliete la Legge del celeste Regno, e non ci lasciate entrare gli altri che sono davanti a quella porta che voi, intransigenti, rinforzate di chiusure che Dio non ha messe.
   Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che divorate le case delle vedove col pretesto di fare lunghe orazioni. Per questo subirete un giudizio severo!
   Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che andate per mare e per terra, consumando gli averi non vostri, per fare un solo proselite e, fatto che sia tale, lo rendete figlio dell’inferno il doppio di voi!
   Guai a voi, guide cieche, che dite: “Se uno giura per il Tempio non è niente il suo giuramento, ma se giura per l’oro del Tempio allora resta obbligato al suo giuramento”. Stolti e ciechi! E chi è di più? L’oro, o il Tempio che santifica l’oro? E che dite: “Se uno giura per l’altare non ha valore il suo giuramento, ma se giura per l’offerta che è sull’altare allora è valido il suo giurare e resta obbligato al suo giuramento”. Ciechi! Che cosa è più grande? L’offerta, o l’altare che santifica l’offerta? Chi dunque giura per l’altare giura per esso e per tutte le cose che sono sopra di esso, e chi giura per il Tempio giura per esso e per Colui che lo abita, e chi giura per il Cielo giura per il trono di Dio e per Colui che vi sta assiso.
   Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate le decime della menta e della ruta, dell’anice e del cimino, e poi trascurate i precetti più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste sono le virtù che bisognava avere, senza tralasciare le altre cose minori! Guide cieche, che filtrate le bevande per paura di contaminarvi inghiottendo un moscerino affogato, e poi trangugiate un cammello senza sentirvi immondi per questo. Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che lavate l’esterno del calice e del piatto, ma dentro siete ricolmi di rapina e d’immondezza. Fariseo cieco, lava prima il di dentro del tuo calice e del tuo piatto, di modo che anche il di fuori divenga pulito.
   Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che volate come nottole nelle tenebre per le vostre opere di peccato e patteggiate nella notte coi pagani, i ladroni e i traditori, e poi, al mattino, cancellati i segni dei vostri occulti mercati, salite al Tempio in bella veste.
   Guai a voi, che insegnate le leggi della carità e della giustizia contenute nel Levitico, e poi siete avidi, ladri, falsi, calunniatori, oppressori, ingiusti, vendicativi, odiatori, e giungete ad abbattere colui che vi dà noia, anche se è vostro sangue, e a ripudiare la vergine che vi è divenuta moglie, e ripudiare i figli avuti da lei perché sono infelici, e ad accusare di adulterio la vostra donna che più non vi piace, o di malattia immonda, per esser liberi di essa, voi che immondi siete nel vostro cuore libidinoso, anche se non parete tali agli occhi della gente che non sa le vostre azioni. Siete simili a sepolcri imbiancati, che di fuori sembrano belli mentre dentro sono pieni d’ossa di morti e di marciume. Così anche voi. Sì. Così! Di fuori sembrate giusti, ma dentro siete ricolmi di ipocrisia e d’iniquità.
   Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate sontuosi sepolcri ai profeti e abbellite le tombe dei giusti dicendo: “Se noi fossimo vissuti ai tempi dei nostri padri non saremmo stati complici e partecipi di coloro che sparsero il sangue dei profeti”. E così testimoniate contro di voi di essere i discendenti di coloro che uccisero i vostri profeti. E voi, del resto, colmate la misura dei padri vostri… O serpenti, razza di vipere, come scamperete alla condanna della Geenna?

21 Per questo, ecco, Io, Parola di Dio, vi dico: Io, Dio, manderò a voi profeti e sapienti e scribi novelli. E, di questi, voi parte ne ucciderete, parte ne crocifiggerete, parte ne flagellerete nei vostri tribunali, nelle vostre sinagoghe, fuori delle vostre mura, e parte li perseguiterete di città in città, finché non ricada su voi tutti il sangue giusto sparso sulla Terra, dal sangue del giusto Abele (Genesi 4, 8) a quello di Zaccaria figlio di Barachia, (2 Cronache 24, 20-22. Già al Vol 6 Cap 414), che voi uccideste fra l’atrio e l’altare perché vi aveva, per amore di voi, ricordato il vostro peccato acciò ve ne pentiste tornando al Signore. 
   Così è. Voi odiate coloro che vogliono il vostro bene e amorosamente vi richiamano sui sentieri di Dio.
   In verità vi dico che tutto ciò sta per avvenire, e il delitto e le conseguenze. In verità vi dico che tutto ciò si compirà su questa generazione.
   Oh! Gerusalemme! Gerusalemme! Gerusalemme, che lapidi quelli che ti sono inviati e uccidi i suoi profeti! Quante volte Io ho voluto radunare i tuoi figli come la chioccia raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, e tu non hai voluto! 
   Or ecco, ascolta, o Gerusalemme! Or ecco, ascoltate voi tutti che mi odiate e odiate tutto ciò che viene da Dio. Or ecco, ascoltate voi che mi amate e che sarete travolti nel castigo serbato per i persecutori dei Messi di Dio. E ascoltate anche voi, che non siete di questo popolo ma che mi ascoltate ugualmente, ascoltate per sapere chi è Colui che vi parla e che predice senza bisogno di studiare il volo, il canto degli uccelli, né i fenomeni celesti e le viscere degli animali sacrificati, né la fiamma e il fumo degli olocausti, perché tutto il futuro è il presente per Colui che vi parla. “Questa vostra Casa vi sarà lasciata deserta. Io vi dico, dice il Signore, che non mi vedrete più finché voi pure non diciate: ‘Benedetto Colui che viene nel nome del Signore’”». (Salmo 118, 26).

22 Gesù è visibilmente stanco e accaldato. E per la fatica del lungo e tonante discorso e per l’afa della giornata senza vento. Premuto contro al muro da una moltitudine, dardeggiato da mille e mille pupille, sentendo tutto l’odio che da sotto i portici del cortile dei Pagani lo ascolta, e tutto l’amore o almeno l’ammirazione che lo circonda, incurante del sole che picchia sulle schiene e sui volti arrossati e sudati, appare veramente spossato e bisognoso di ristoro. E lo cerca dicendo ai suoi apostoli e ai settantadue, che come tanti cunei si sono aperti lentamente un passaggio nella folla e che sono ora in prima linea, barriera d’amore fedele intorno a Lui: «Usciamo dal Tempio e andiamo all’aperto, fra gli alberi. Ho bisogno di ombra, silenzio e frescura. In verità questo luogo sembra già ardere del fuoco dell’ira celeste».
   Gli fanno largo a fatica e possono così uscire dalla porta più vicina, dove Gesù si sforza di congedare molti, ma inutilmente. Lo vogliono seguire a tutti i costi.

23 I discepoli, intanto, osservano il cubo del Tempio sfavillante al sole quasi meridiano, e Giovanni d’Efeso fa osservare al Maestro la potenza della costruzione: «Guarda che pietre e che costruzioni! ».
   «Eppure di esse non resterà pietra su pietra», risponde Gesù.
   «No! Quando? Come?», chiedono molti.
   Ma Gesù non dice. Scende il Moria ed esce svelto dalla città, passando per Ofel e per la porta di Efraim o del Letame e rifugiandosi nel folto dei Giardini del Re dapprima, ossia sinché coloro che, non apostoli e non discepoli, si sono ostinati a seguirlo se ne vanno lentamente quando Mannaen, che ha fatto aprire i pesanti cancelli, si fa avanti, imponente, per dire a tutti: «Andate. Qui non entrano che coloro che io voglio».
   Ombre, silenzio, profumi di fiori, aromi di canfore e garofani, cannella, spigo e mille altre erbe da odori, e fruscio di ruscelli, certo alimentati dalle fonti e cisterne vicine, sotto gallerie di fogliame, cinguettii d’uccelli, fanno del luogo un posto di riposo paradisiaco. La città sembra lontana miglia e miglia, con le sue vie strette, cupe per gli archivolti o assolate sino ad essere abbacinanti, coi suoi odori e fetori di cloache non sempre pulite e di vie percorse da troppi quadrupedi per essere pulite, specie quelle di secondaria importanza.

24 Il custode dei Giardini deve conoscere molto bene Gesù, perché lo ossequia con rispetto e confidenza insieme, e Gesù gli chiede dei figli e della moglie. 
   L’uomo vorrebbe ospitare Gesù nella sua casa, ma il Maestro preferisce la pace fresca, riposante del vasto Giardino del Re, un vero parco di delizie. E prima che i due instancabili e fedelissimi servi di Lazzaro se ne vadano a prendere la cesta del cibo, Gesù dice loro: «Dite alle vostre padrone di venire. Staremo qui qualche ora con mia Madre e le discepole fedeli. E sarà tanto dolce…».
   «Sei molto stanco, Maestro! Il tuo volto lo dice», osserva Mannaen.
   «Sì. Tanto che non ho avuto forza di andare oltre».
   «Ma io te li avevo offerti questi giardini più volte, in questi giorni. Tu sai se io sono contento di poterti offrire pace e ristoro!».
   «Lo so, Mannaen».
   «E ieri sei voluto andare in quel triste luogo! Così arido nelle vicinanze, così stranamente brullo nel suo vegetare quest’anno! Così vicino a quella triste porta!».
   «Ho voluto accontentare i miei apostoli. Sono bambini, in fondo. Grandi bambini. Vedili là come si ristorano felici!… Subito dimentichi di quanto si agita contro di Me oltre queste mura…».
   «E dimentichi che Tu sei tanto afflitto… Ma non mi sembra che ci sia molto da allarmarsi. Mi sembrava più pericoloso il luogo altre volte».
   Gesù lo guarda e tace. Quante volte vedo Gesù guardare e tacere così, in questi ultimi giorni!
   Poi Gesù si dà a guardare gli apostoli e i discepoli, che si sono levati i copricapi e i mantelli e i sandali, rinfrescandosi volti ed estremità nei freschi rii, imitati da molti dei settantadue discepoli, che ora, in realtà, sono molti di più, io credo, e che, tutti uniti dalla fraternità di ideali, si gettano qua e là in riposo, un poco in disparte per lasciare Gesù quieto a riposare.
   Anche Mannaen si ritira lasciandolo in pace. Tutti rispettano il riposo del Maestro, stanchissimo, che si è rifugiato in una foltissima pergola di gelsomino in fiore fatta a capanna, isolata da un anello d’acque che scorre frusciando in un canaletto nel quale si riversano erbe e fiori. Un vero rifugio di pace, al quale si accede per un ponticello largo due palmi e lungo quattro, sulla cui ringhiera è tutta una ghirlanda di corolle di gelsomini.

25 Tornano i servi aumentati da altri, perché Marta ha voluto provvedere a tutti i servi del Signore, e dicono che
le donne verranno fra poco.
   Gesù fa chiamare Pietro e gli dice: «Insieme a Giacomo mio fratello benedici, offri e distribuisci così come Io faccio».
   «Distribuire sì, ma benedire no, Signore. A Te tocca offrire e benedire. Non a me».
   «Quando eri a capo dei compagni, lontano da Me, non lo facevi?».
   «Sì. Ma allora… era per forza che lo facevo. Adesso Tu sei con noi e Tu benedici. Mi pare più buono tutto, quando Tu offri per noi e distribuisci… », e il fedele Simone abbraccia il suo Gesù, seduto stancamente in quell’ombra, e gli curva la testa sulla spalla, beato di poterlo stringere e baciare così…
   Gesù si alza e lo accontenta. Va verso i discepoli, offre, benedice, spartisce il cibo, li guarda mangiare contenti e dice loro: «Dopo dormite, riposate mentre è l’ora e perché poi possiate vegliare e pregare quando avrete bisogno di farlo, e la fatica e stanchezza non vi aggravino di sonno occhi e spirito quando sarà necessario che voi siate pronti e ben svegli».
   «Tu non resti con noi? Non mangi?».
   «Lasciatemi riposare. Ho bisogno solo di questo. Mangiate, mangiate!». Carezza nel passare quelli che trova sul suo cammino e torna al suo posto…

26 Dolce, soave è la venuta della Madre presso il Figlio. Maria viene avanti sicura, poiché Mannaen, che ha vegliato presso il cancello, meno stanco degli altri, le indica il luogo dove è Gesù. Le altre, e vi sono tutte le discepole ebree, e di romane la sola Valeria, sostano per qualche tempo, silenziose per non destare i discepoli che dormono al rezzo delle frondose piante, simili a tante pecore accosciate fra l’erba, a sesta.
   Maria entra sotto la pergola di gelsomini senza far scricchiolare il piccolo ponte di legno, né la ghiaia del suolo, e ancor più cautamente si accosta al Figlio che, vinto dalla stanchezza, si è addormentato col capo sul tavolo di pietra messo là sotto, il braccio sinistro a far da guanciale sotto il volto velato dai capelli. Maria si siede paziente vicino alla sua Creatura stanca. E la contempla… tanto… e un sorriso doloroso e amoroso è sul suo labbro, mentre senza rumore le cadono in grembo gocce di pianto; ma se le labbra sono chiuse e mute, prega il suo cuore, con tutta la forza che possiede, e tradisce la potenza di quella preghiera e del suo soffrire l’atteggiamento delle sue mani congiunte in grembo, strette, intrecciate per non tremare e pure scosse da un tremito lieve. Mani che si disgiungono soltanto per cacciare una mosca insistente che vuole posarsi sul Dormente e lo potrebbe svegliare.
   È la Madre che veglia il Figlio. L’ultimo sonno del Figlio che Ella possa vegliare. E se il volto della Madre, in questo mercoledì pasquale, è diverso da quello della Madre nel Natale del Signore, perché il dolore lo impallidisce e scava, la dolce purezza amorosa dello sguardo, la trepida cura è uguale a quella che Ella aveva quando, curva sulla greppia di Betlemme, proteggeva del suo amore il primo sonno disagiato della sua Creatura.
   Gesù ha un movimento e Maria si asciuga rapidamente gli occhi per non mostrare lacrime al Figlio. Ma Gesù non si è svegliato. Ha solo mutato posizione al volto, girandolo dall’altra parte, e Maria riprende la sua immobilità e la sua veglia.

27 Ma qualcosa fa schiantare il cuore di Maria. Ed è sentire che il suo Gesù piange nel sonno e con un bisbiglio confuso, perché parla con la bocca premuta contro il braccio e la veste, mormora il nome di Giuda…
   Maria si alza, si avvicina, si curva sul Figlio, segue quel confuso bisbigliare con le mani premute sul cuore perché, rotto ma non talmente da non poterlo seguire, il discorso di Gesù fa capire che Egli sogna e risogna il presente e il passato e poi anche il futuro, finché si desta con un sobbalzo, come per sfuggire a qualcosa che è orrendo. Ma trova il petto di sua Madre, le braccia di sua Madre, il sorriso di sua Madre, la dolce voce di sua Madre, il suo bacio, la sua carezza, lo sfiorare leggero del suo velo passato sul volto ad asciugare lacrime e sudore mentre gli dice: «Eri scomodo, e sognavi… Sei sudato e stanco, Figlio mio». E gli ravvia i capelli scomposti, gli asciuga il volto e lo bacia, tenendolo cinto del suo braccio, appoggiato al suo cuore poiché non può più raccoglierselo in grembo come quando era piccino.
   Gesù le sorride dicendo: «Sei sempre la Mamma. Quella che consola. Quella che ripaga di tutto. La mia Mamma!».
Se la fa sedere vicino abbandonandole la mano nel grembo, e Maria prende quella mano lunga, così signorile eppure così robusta, di artiere, fra le sue piccine, e ne carezza le dita e il dorso, lisciandone le vene che si erano gonfiate mentre pendeva nel sonno. E cerca di distrarlo…

28 «Siamo venute. Ci siamo tutte. Anche Valeria. Le altre sono all’Antonia. Le ha volute Claudia, “che è molto rattristata” ha detto la liberta. Dice che, non so per quale cosa, ha il presagio di molto pianto. Superstizioni!… Solo Dio sa le cose…».
   «Dove sono le discepole?».
   «Là, al principio dei Giardini. Marta ha voluto prepararti cibi e bevande refrigeranti e confortanti, pensando a quanto ti spossi. Ma io, guarda, questo ti piace sempre e te l’ho portato io. La mia parte. È più buono perché è della tua Mamma». Gli mostra del miele ed una focaccetta di pane sul quale lo stende dandolo al Figlio e dicendo: «Come a Nazaret, quando prendevi un riposo nell’ora più calda e poi ti svegliavi accaldato, e io venivo dalla grotta fresca con questo ristoro…». Si ferma perché le trema la voce.
   Suo Figlio la guarda e poi dice: «E quando c’era Giuseppe, per due portavi il ristoro e la fresca acqua della giara porosa, tenuta sulla corrente perché fosse più fresca e ancor più la facevano tale gli steli di menta selvaggia che vi gettavi dentro. Quanta menta, là, sotto gli ulivi! E quante api sui fiori della menta! Il nostro miele sapeva sempre un poco di quel profumo…». Pensa… ricorda…
   «Abbiamo visto Alfeo, sai? Giuseppe si è attardato perché aveva un figlio un poco malato. Ma domani sarà certo qui con Simone. Salome di Simone guarda la nostra casa e quella di Maria».

29 «Mamma, quando sarai sola, con chi starai?».
   «Con chi Tu dirai, Figlio mio. Ti ho ubbidito prima di averti, Figlio. Continuerò a farlo dopo che mi avrai lasciata». Le trema la voce, ma il sorriso è eroico sulle labbra.
   «Tu sai ubbidire. Quanto riposo stare con te! Perché, vedi, Mamma? Il mondo non può capire, ma Io trovo ogni riposo presso gli ubbidienti… Sì. Dio riposa presso gli ubbidienti. Dio non avrebbe avuto a soffrire, a faticare, se la disubbidienza non fosse venuta nel mondo. Tutto accade perché non si ubbidì. Per questo il dolore del mondo… Per questo il nostro dolore».
   «Ma anche la nostra pace, Gesù. Perché noi sappiamo che la nostra ubbidienza consola l’Eterno. Oh! per me in specie, cosa è questo pensiero! Mi è concesso, a me, creatura, di consolare il mio Creatore!».
   «Oh! Gioia di Dio! Tu non sai, o nostra Gioia, cosa è per Noi questa tua parola! Supera le armonie dei celesti cori… Benedetta! Benedetta che mi insegni l’ultima ubbidienza, e me la rendi così gradita a compiersi con questo pensiero!».
   «Tu non hai bisogno che io ti insegni, Gesù mio. Tutto ho imparato da Te».
   «Tutto ha imparato da te Gesù di Maria di Nazaret, l’Uomo».
   «Era la tua luce che usciva da me. La Luce che Tu sei, e che veniva alla Luce Eterna annichilita in veste d’uomo…

30 Mi hanno detto i fratelli di Giovanna il discorso che hai pronunciato. Erano rapiti di ammirazione. Sei stato forte con i farisei…».
   «È l’ora delle supreme verità, Mamma. Per essi restano morte verità. Ma per gli altri saranno verità vive. E con l’amore e il rigore Io devo tentare l’ultima battaglia per strapparli al Male».
   «È vero. Mi hanno detto che Gamaliele, che era con altri in una delle sale dei portici, disse, alla fine, mentre molti erano inquieti: “Quando non si vuole il rimprovero si agisce da giusti”, e se ne è andato dopo questa osservazione».
   «Ho piacere che il rabbi mi abbia sentito. Chi te lo ha detto?».
   «Lazzaro. E a lui lo disse Eleazzaro, che era nella sala con gli altri. Lazzaro è venuto a sesta. Ha salutato ed è ripartito senza ascoltare le sorelle, che lo volevano trattenere fino al tramonto. Ha detto di mandare Giovanni, o altri, a ritirare quelle frutta e quei fiori, che sono al giusto punto».
   «Manderò Giovanni, domani».
   «Viene tutti i giorni Lazzaro. Ma Maria si inquieta perché dice che sembra una apparizione. Sale al Tempio, viene, dà ordini e riparte».
   «Anche Lazzaro sa ubbidire. Gli ho ordinato Io così, perché è insidiato lui pure. Ma non dirlo alle sorelle. Non gli accadrà nulla.

31 “E ora andiamo dalle discepole».
   «Non ti muovere. Io le chiamerò. I discepoli dormono tutti…».
   «E li lasceremo dormire. La notte poco dormono, perché Io li istruisco nella pace del Getsemani».
   Maria esce e torna con le donne, che sembrano aver abolito il loro peso tanto sono leggeri i loro passi. Lo salutano col loro ossequio profondo, che è famigliare solo in Maria Cleofe.
   E Marta da una capace borsa trae un’anforetta sudante, mentre Maria leva da un vaso, pure poroso, fresche frutta venute da Betania, e le dispone sul tavolo a fianco di quanto ha preparato la sorella, ossia un colombo arrostito alla fiamma, croccante, appetitoso, e prega Gesù di gradire, dicendo: «Mangia. Riconforta questa carne. Io stessa l’ho preparata».
   Giovanna invece ha portato dell’aceto rosato. Spiega: «Rinfresca tanto in questi primi calori. Lo usa anche il mio sposo quando si stanca nelle lunghe cavalcate».
   «Noi non abbiamo nulla», si scusano Maria Salome, Maria Cleofe, Susanna ed Elisa. E Niche e Valeria alla loro volta: «E neppure noi. Non sapevamo di dover venire».
   «Mi avete dato tutto il vostro cuore. Mi è sufficiente. E ancor mi darete…».
   Mangia, ma più che altro beve la fresca acqua melata che Marta gli mesce dall’anfora porosa, e le frutta
fresche che sono un ristoro per l’Affaticato.
   Le discepole non parlano molto. Lo guardano ristorarsi. Nei loro occhi è amore e affanno. E d’improvviso Elisa si mette a piangere, e se ne scusa dicendo: «Non so. Ho il cuore gravato di mestizia…».
   «Tutte lo abbiamo. Persino Claudia nel suo palazzo…», dice Valeria.
   «Io vorrei che fosse già Pentecoste», sussurra Salome.
   «Io invece vorrei fermare il tempo a quest’ora», dice Maria di Magdala.
   «Saresti egoista, Maria», le risponde Gesù.
   «Perché, Rabboni?».
   «Perché vorresti per te sola la gioia della tua redenzione. Sono migliaia e milioni di esseri che attendono quest’ora, o che per quest’ora saranno redenti».
   «È vero. Non ci pensavo… », china il capo mordendosi le labbra per non far vedere le lacrime dei suoi occhi e il tremito delle sue labbra. Ma è sempre la forte lottatrice, e dice: «Se Tu vieni domani, potrai rivestirti della veste che hai mandata. È fresca e monda, degna della cena pasquale».
   «Verrò…

32 “Non avete nulla da dirmi? Siete mute ed afflitte. Non sono più Gesù?…», sorride alle donne, invitante.
   «Oh! sei Tu! Ma sei tanto grande in questi giorni che io non so più vederti come il fanciullino che ho portato fra le braccia!», esclama Maria d’Alfeo.
   «E io come il semplice rabbi che entrava nella mia cucina cercando Giovanni e Giacomo», dice Salome.
   «Io ti ho sempre conosciuto così: Re dell’anima mia!», proclama Maria di Magdala.
   E Giovanna, mite e soave: «E io pure: divino, dal sogno nel quale a me morente apparisti per chiamarmi alla Vita».
   «Tutto ci hai dato, o Signore. Tutto!», sospira Elisa che si è ripresa.
   «E tutto mi avete dato».
   «Troppo poco!» , dicono tutte.
   «Non cessa il dare dopo quest’ora. Cesserà soltanto quando sarete con Me nel mio Regno. Le mie discepole fedeli. Non siederete, no, al mio fianco, sui dodici troni a giudicare le dodici tribù di Israele, ma canterete l’osanna insieme agli angeli, facendo coro d’onore alla Madre mia, e allora come ora il cuore del Cristo troverà la sua gioia nel contemplarvi».
   «Io sono giovane! È lungo il tempo per salire al tuo Regno. Beata Annalia!», dice Susanna.
   «Io vecchia sono, e felice di esser tale. Spero prossima la morte», dice Elisa.
   «Io ho i figli… Vorrei servirli, questi servi di Dio!», sospira Maria Cleofe.
   «Non ti scordare di noi, Signore!», dice la Maddalena con ansia contenuta, direi con un grido d’anima, tanto la voce, tenuta bassa per non svegliare i dormenti, vibra di forza più di un grido.
   «Non mi scorderò di voi. Verrò. Tu, Giovanna, sai che Io posso venire anche se sono molto lontano… Le altre lo devono credere. E vi lascerò una cosa… un mistero che terrà Me in voi e voi in Me, finché saremo riuniti Io e voi nel Regno di Dio.

33 Ora andate. Direte che poco vi ho detto, che quasi era inutile per così poco farvi venire. Ma ho desiderato avere intorno cuori che mi hanno amato senza calcolo. Per Me. Per Me: Gesù. Non per il futuro, sognato Re d’Israele. Andate. E siate benedette una volta di più. Anche le altre. Che non ci sono, ma che pensano a Me con amore: Anna, Mirta, Anastasica, Noemi, e Sintica lontana, e Fotinai, e Aglae e Sara, Marcella, le figlie di Filippo, Miriam di Giairo, le vergini, le redente, le spose, le madri che sono venute a Me, che mi sono state sorelle e madri, migliori, oh! molto migliori degli uomini anche migliori!… Tutte, tutte! Benedico tutte. La grazia comincia già a scendere, la grazia e il perdono, sulla donna, per questa mia benedizione. Andate…».
   Le congeda trattenendo sua Madre: «Prima di sera sarò al palazzo di Lazzaro. Ho bisogno di vederti ancora. E con Me sarà Giovanni. Ma non voglio che te, Madre, e le altre Marie, Marta e Susanna. Ho tanta stanchezza…».
   «Saremo noi sole. Addio, Figlio…».
   Si baciano. Si separano… Maria se ne va lentamente. Si volge prima di uscire. Si volge prima di lasciare il ponticello. Si volge ancora, sinché può vedere Gesù… Sembra che non possa allontanarsi da Lui…

34 E Gesù è solo di nuovo. Si alza, esce. Va a chiamare Giovanni, che dorme bocconi fra i fiori come un bambino, e gli consegna l’anforetta dell’aceto rosato che Giovanna gli ha portato, dicendogli: «Andremo a sera da mia Madre. Ma noi due soli».
   «Ho capito. Sono venute?».
   «Sì. Ho preferito non svegliarvi…».
   «Hai fatto bene. La tua gioia sarà stata più grande. Esse sanno amarti meglio di noi…», dice sconsolato Giovanni.
   «Vieni con Me». 
   Giovanni lo segue. 
   «Che hai?», gli chiede Gesù quando sono nuovamente nella penombra verde della pergola dove sono ancora resti di cibo.
   «Maestro, siamo molto cattivi. Tutti. Non c’è ubbidienza in noi… e non c’è desiderio di stare con Te. Anche Pietro e Simone sono andati via. Non so dove. E Giuda ha trovato in questo l’occasione per essere rissoso».
   «È andato via anche Giuda?».
   «No, Signore. Non è andato via. Dice che non ne ha bisogno, che egli non ha complici nei maneggi che noi facciamo per vedere di ottenerti protezione. Ma se io sono andato da Anna, se altri sono andati dai galilei residenti qui, non è per fare del male! … E non credo che Simone di Giona e Simone Zelote siano uomini capaci di subdoli maneggi…».
   «Non ci badare. Infatti Giuda non ha bisogno di andare mentre voi riposate. Egli sa quando e dove andare per compiere tutto ciò che deve».
   «E allora perché parla così? Non è bello, davanti ai discepoli!».
   «Non è bello. Ma così è.

35 Rasserenati, mio agnello».
   «Io, tuo agnello? Agnello sei Tu solo!».
   «Sì. Tu. Io Agnello di Dio, e tu agnello dell’Agnello di Dio».
   «Oh!!! Un’altra volta, erano i primi giorni che ero con Te, Tu mi hai detto ancora questa parola. Eravamo noi due soli, come ora, fra il verde, come ora, e nella bella stagione». Giovanni è tutto rallegrato dal ricordo che ritorna. E mormora: «Sono sempre, ancora l’agnello dell’Agnello di Dio…».
   Gesù lo carezza. E gli offre parte del colombo arrostito, rimasto sulla tavola su di un foglio di pergamena che lo teneva avvolto. E poi gli apre dei fichi succosi e glieli offre, lieto di vederlo mangiare.
   Gesù si è seduto di sbieco sui margini del tavolo e guarda Giovanni così intensamente che questo chiede: «Perché mi guardi così? Perché mangio come un goloso?».
   «No. Perché sei come un fanciullo… Oh! mio diletto! Come ti amo per il tuo cuore!» , e Gesù si china a baciare l’apostolo sui capelli biondi e gli dice: «Resta così, sempre così, col tuo cuore senza orgoglio e rancori. Così, anche nelle ore della ferocia scatenata. Non imitare chi pecca, fanciullo».

36 Giovanni è ripreso dal suo dispiacere e dice: «Ma io non posso credere che Simone e Pietro…».
   «Sbaglieresti in verità, se li credessi peccatori. Bevi. È buona e fresca questa bevanda. L’ha preparata Marta… Ora sei riconfortato. Sono certo che tu non avevi finito il tuo pasto…».
   «È vero. Mi era venuto il pianto. Perché, finché il mondo si odia, si comprende. Ma che un di noi insinui… ».
   «Non ci pensare più. Io e te sappiamo che Simone e lo Zelote sono due onesti. E basta. E, purtroppo, tu sai che Giuda è peccatore. Ma taci. Quando saranno passati tanti, tanti lustri, e sarà giusto dire tutta la grandezza del mio dolore, dirai allora anche ciò che soffrii per le azioni di quell’uomo, oltre che per quelle di quell’apostolo. Andiamo. È ora di lasciare questo luogo per andare verso il campo dei Galilei e…».
   «Passiamo anche questa notte là? E prima andremo al Getsemani? Giuda lo voleva sapere. Dice che è stanco di stare alla guazza, e con poco e scomodo riposo».
   «Presto sarà finito. Ma Io non dirò a Giuda le mie intenzioni…».
   «Non ne sei tenuto. Sei Tu che devi guidare noi, e non noi Te». Giovanni è tanto lontano dal tradire che non comprende neppure la ragione di prudenza per la quale Gesù da qualche giorno non dice mai ciò che conta di fare.

37 Eccoli in mezzo ai dormenti. Li chiamano. Essi si svegliano. Anche Mannaen che, finito il suo compito, si scusa col Maestro se non può restare e se il domani non potrà essere vicino a Lui al Tempio, perché deve rimanere a palazzo. E nel dirlo guarda fisso Pietro e Simone, che sono nel frattempo ritornati, e Pietro ha un cenno rapido del capo come per dire: «Capito».
   Escono dai Giardini. Fa ancora caldo. C’è ancora sole. Ma già la brezza della sera tempera il calore e spinge qualche nuvoletta sul cielo terso.
   Si avviano su per Siloan evitando i luoghi dei lebbrosi, dai quali va Simone Zelote a portare, ai pochi superstiti che non hanno saputo credere in Gesù, i resti del loro pasto.

38 Mattia, l’ex pastore, si avvicina a Gesù e chiede: «Signore e Maestro mio, io ho molto pensato coi compagni alle tue parole finché la stanchezza ci prese, e dormimmo prima di avere potuto risolvere il quesito che ci eravamo posti. E ora siamo più stolti di prima. Se abbiamo bene capito i discorsi di questi giorni, Tu hai predetto che molte cose si cambieranno benché la Legge resti immutata e che si dovrà edificare un nuovo Tempio, con nuovi profeti, sapienti e scribi, contro il quale saranno date battaglie, e che non morrà, mentre questo, sempre se si è capito bene, pare destinato a perire».
   «È destinato a perire. Ricorda la profezia di Daniele…». (Daniele 9, 20-27).
   «Ma noi, poveri e pochi, come potremo edificarlo di nuovo se fecero fatica a edificare questo i re? Dove lo edificheremo? Non qui, perché Tu dici che questo luogo resterà deserto sino a che essi non ti benediranno come mandato da Dio».
   «Così è».
   «Nel tuo Regno, no. Siamo convinti che il tuo Regno è spirituale. E allora come, dove lo stabiliremo? Tu ieri hai detto che il vero Tempio – e non è quello il vero Tempio? – che il vero Tempio, quando crederanno di averlo distrutto, allora sarà che salirà trionfante alla Gerusalemme vera. Dove è dessa? Molta confusione è in noi».
   «Così è. I nemici distruggano pure il vero Tempio. In tre giorni Io lo farò risorgere, e non conoscerà più insidia salendo dove l’uomo non può nuocere.

39 Riguardo al Regno di Dio, esso è in voi e ovunque sono uomini che credono in Me. Sparso per ora, succedentesi sulla Terra nei secoli. Poi eterno, unito, perfetto nel Cielo. Là, nel Regno di Dio, sarà edificato il nuovo Tempio, ossia là dove sono spiriti che accettano la mia dottrina, la dottrina del Regno di Dio, e ne praticano i precetti.
   Come sarà edificato se siete poveri e pochi? Oh! in verità non necessitano denari e poteri per edificare l’edificio della nuova dimora di Dio, individuale o collettiva. Il Regno di Dio è in voi. E l’unione di tutti coloro che avranno in loro il Regno di Dio, di tutti coloro che avranno Dio in loro – Dio: la Grazia; Dio: la Vita; Dio: la Luce; Dio: la Carità – costituirà il grande Regno di Dio sulla Terra, la nuova Gerusalemme che giungerà ad espandersi per tutti i confini del mondo e che, completa e perfetta, senza mende, senza ombre, vivrà eterna nel Cielo.
   Come farete a edificare Tempio e città? Oh! non voi, ma Dio edificherà questi luoghi nuovi. Voi dovrete soltanto dargli la vostra buona volontà. Buona volontà è permanere in Me. Vivere la mia dottrina è buona volontà. Stare uniti è la buona volontà. Uniti a Me sino a fare un sol corpo che è nutrito, nelle sue singole parti e particelle, da un unico umore. Un unico edificio che è poggiato su un’unica base e tenuto unito da una mistica coesione. Ma siccome senza l’aiuto del Padre, che vi ho insegnato a pregare e che pregherò per voi prima di morire, voi non potreste essere nella Carità, nella Verità, nella Vita, ossia ancora in Me e con Me in Dio Padre e in Dio Amore, perché Noi siamo un’unica Divinità, per questo vi dico di avere Dio in voi per poter essere il Tempio che non conoscerà fine. Da voi non potreste fare. Se Dio non edifica, e non può edificare dove non può prendere dimora, inutilmente gli uomini si agitano a edificare o a riedificare.

40 Il Tempio nuovo, la mia Chiesa, sorgerà soltanto quando il vostro cuore ospiterà Dio, ed Egli con voi, vive pietre, edificherà la sua Chiesa».
   «Ma non hai detto che Simone di Giona ne è il Capo, la Pietra sulla quale si edificherà la tua Chiesa? E non hai fatto capire anche che Tu ne sei la pietra angolare? Chi dunque ne è il capo? C’è o non c’è questa Chiesa?», interrompe l’Iscariota.
   «Io sono il Capo mistico. Pietro ne è il capo visibile. Perché Io ritorno al Padre lasciandovi la Vita, la Luce, la Grazia, per la mia Parola, per i miei patimenti, per il Paraclito che sarà amico di coloro che mi furono fedeli. Io sono un’unica cosa con la mia Chiesa, mio Corpo spirituale di cui Io sono il Capo. Il capo contiene il cervello o mente. La mente è sede del sapere, il cervello è quello che dirige i moti delle membra coi suoi immateriali comandi, i quali sono più validi per far muovere le membra di ogni altro stimolo. Osservate un morto, nel quale morto è il cervello. Ha forse più moto nelle sue membra? Osservate uno completamente stolto. Non è forse inerte al punto da non saper avere quei rudimentali moti istintivi che l’animale più inferiore, il verme che schiacciamo passando, ha? Osservate uno nel quale la paralisi ha spezzato il contatto delle membra, uno o più membra, col cervello. Ha forse più moto nella parte che non ha più legame vitale col capo?
   Ma se la mente dirige con i suoi immateriali comandi, sono gli altri organi – occhi, orecchie, lingua, naso, pelle – che comunicano le sensazioni alla mente, e sono le altre parti del corpo che eseguiscono e fanno eseguire ciò che la mente, avvertita dagli organi, materiali e visibili quanto l’intelletto è invisibile, comanda. Potrei Io, senza dirvi: “sedete”, ottenere che voi sediate su questa costa di monte? Anche se Io lo penso che voglio vi mettiate seduti, voi non lo sapete finché Io non traduco il mio pensiero in parole e dico queste, usando lingua e labbra. Potrei Io stesso sedermi, se lo pensassi soltanto, perché sento la stanchezza delle gambe, ma se queste rifiutassero di piegarsi e mettermi così seduto? 
   La mente ha bisogno di organi e membra per fare e per far fare le operazioni che il pensiero pensa. Così nel corpo spirituale che è la mia Chiesa Io sarò l’Intelletto, ossia la testa, sede dell’intelletto; Pietro e i suoi collaboratori coloro che osservano le reazioni e percepiscono le sensazioni e le trasmettono alla mente, perché essa illumini e ordini ciò che è da fare per il bene di tutto il corpo, e poi, illuminati e diretti dall’ordine mio, parlino e guidino le altre parti del corpo. La mano che respinge l’oggetto che può ferire il corpo, o allontana ciò che, corrotto, può corrompere; il piede che scavalca l’ostacolo senza urtarvi e cadere e ferirsi, hanno avuto comando di farlo dalla parte che dirige. Il fanciullo, e anche l’uomo, che è salvato da un pericolo, o che fa un guadagno di qualsiasi specie – istruzione, affari buoni, matrimonio, buona alleanza per un consiglio ricevuto, per una parola detta – è per quel consiglio e quella parola che non si nuoce o che si benefica. Così sarà nella Chiesa. Il capo, e i capi, guidati dal divino Pensiero e illuminati dalla divina Luce e istruiti dall’eterna Parola, daranno gli ordini e i consigli, e le membra faranno, avendo spirituale salute e spirituale guadagno.

41 La mia Chiesa già è, poiché già possiede il suo Capo soprannaturale e il suo Capo divino e ha le sue membra: i discepoli. Piccola ancora – un germe che si forma – perfetta unicamente nel Capo che la dirige, imperfetta nel resto, che ha bisogno del tocco di Dio per essere perfetta e del tempo per crescere. Ma in verità vi dico che essa già è, e che è santa per Colui che ne è il Capo e per la buona volontà dei giusti che la compongono. Santa e invincibile. Contro di essa si avventerà una e mille volte, e con mille forme di battaglia, l’inferno fatto di demoni e di uomini-demoni, ma non prevarranno. L’edificio sarà incrollabile.
   Ma l’edificio non è fatto di una sola pietra. Osservate il Tempio, là, vasto, bello, nel sole che tramonta. È forse fatto di una sola pietra? È un complesso di pietre che fanno un unico armonico tutto. Si dice: il Tempio. Cioè una unità. Ma questa unità è fatta delle molte pietre che l’hanno composta e formata. Inutile sarebbe stato fare le fondamenta, se esse non avessero poi dovuto sorreggere le mura e il tetto, se su esse non avessero poi avuto ad innalzarsi le mura. E impossibile sarebbe stato alzare le mura e sostenere il tetto, se non fossero state fatte per prime le fondamenta solide, proporzionate a sì gran mole. Così, con questa dipendenza delle parti, una dall’altra, sorgerà anche il Tempio novello. Nei secoli voi lo edificherete appoggiandolo sulle fondamenta che Io gli ho dato, perfette, per la sua mole. Lo edificherete con la direzione di Dio, con la bontà delle cose usate a innalzarlo: spiriti che Dio inabita.
Dio nel vostro cuore, a fare di esso pietra polita e senza incrinature per il Tempio nuovo. Il suo Regno stabilito con le sue leggi nel vostro spirito. Altrimenti sareste mattoni malcotti, legno tarlato, pietre scheggiate e farinose che non reggono e che il costruttore, se avveduto, respinge, o che fallano, cedono, facendo crollare una parte se il costruttore, i costruttori preposti dal Padre alla costruzione del Tempio, sono costruttori idoli che si pavoneggiano nel loro onore senza vegliare e faticare sulla costruzione che si innalza e sui materiali usati per farla. Costruttori idoli, tutori idoli, custodi idoli, ladri! Ladri della fiducia di Dio, della stima degli uomini, ladri e orgogliosi che si compiacciono di aver modo di aver guadagno, e modo di avere numeroso mucchio di materiali, e non osservano se sono buoni o scadenti, causa di rovina.

42 Voi, novelli sacerdoti e scribi del novello Tempio, ascoltate. Guai a voi e a chi dopo voi si farà idolo e non veglierà e sorveglierà se stesso e gli altri, i fedeli, per osservare, saggiare la bontà delle pietre e del legname, senza fidarsi delle apparenze, e causerà rovine lasciando che materiali scadenti, o addirittura nocivi, siano lasciati usare per il Tempio, dando scandalo e provocando rovina. Guai a voi se lascerete crearsi crepacci e muraglie insicure, storte, facili al crollo non essendo equilibrate sulle basi che sono solide e perfette. Non da Dio, Fondatore della Chiesa, ma da voi verrebbe il disastro, e ne sareste responsabili davanti al Signore e agli uomini. Diligenza, osservazione, discernimento, prudenza! La pietra, il mattone, la trave debole, che in un muro maestro sarebbero rovina, possono servire per parti di minore importanza, e servire bene. Così dovete saper scegliere. Con carità per non disgustare le deboli parti, con fermezza per non disgustare Dio e rovinare il suo Edificio. E se vi accorgete che una pietra, già posta a sorreggere un angolo maestro, non è buona o non è equilibrata, siate coraggiosi, audaci, e sappiatela levare da quel posto, mortificatela squadrandola con lo scalpello di un santo zelo. Se urla di dolore non importa. Vi benedirà poi nei secoli, perché voi l’avrete salvata. Spostatela, mettetela ad altro ufficio. Non abbiate paura anche di allontanarla del tutto se la vedete oggetto di scandalo e rovina, ribelle al vostro lavoro. Meglio poche pietre che molta zavorra. Non abbiate fretta. Dio non ha mai fretta, ma ciò che crea è eterno, perché ben ponderato prima di eseguirlo. Se non eterno, è duraturo quanto i secoli. Guardate l’Universo. Da secoli, da migliaia di secoli, è come Dio lo fece con operazioni successive. Imitate il Signore. Siate perfetti come il Padre vostro. Abbiate la sua Legge in voi, il suo Regno in voi. E non fallirete.
   Ma, se non farete così, crollerebbe l’edificio, invano vi sareste affaticati a innalzarlo. Crollerebbe rimanendo di esso unicamente la pietra angolare, le fondamenta… Così come avverrà di quello!… In verità vi dico che di quello così sarà. E così del vostro se metterete in esso ciò che è in questo: le parti malate di orgoglio, di avidità, di peccato, di lussuria. Come si è disfatto per soffio di vento quel padiglione di nuvole che pareva posare, così vagamente bello, sulla cima di quel monte, ugualmente, al soffiare di un vento di castigo soprannaturale e umano, crolleranno gli edifici che di santo non hanno che il nome…».

43 Gesù tace pensoso. Quando riparla è per ordinare: «Sediamoci qui a riposare un poco».
   Si siedono su un pendio del monte Uliveto, di faccia al Tempio baciato dal sole calante. 
   Gesù guarda fisso quel luogo, con mestizia. Gli altri con orgoglio per la sua bellezza, ma sull’orgoglio è steso un velo di cruccio, lasciato dalle parole del Maestro. E se quella bellezza dovesse proprio perire?…
   Pietro e Giovanni parlano fra di loro e poi sussurrano qualcosa a Giacomo d’Alfeo e ad Andrea, loro vicini, i quali annuiscono col capo. Allora Pietro si rivolge al Maestro e gli dice: «Vieni in disparte e spiegaci quando avverrà la tua profezia sulla distruzione del Tempio. Daniele ne parla, ma se fosse come lui dice e come Tu dici, poche ore avrebbe ancora il Tempio. Ma noi non vediamo eserciti né preparativi di guerra. Quando dunque avverrà? Quale sarà il segno di esso? Tu sei venuto. Tu, dici, stai per andare via. Eppure si sa che essa non sarà che quando Tu sarai fra gli uomini. Tornerai, allora? Quando, questo tuo ritorno? Spiegaci, perché noi si possa sapere…».
   «Non occorre mettersi in disparte. Vedi? Sono rimasti i discepoli più fedeli, quelli che saranno a voi dodici di grande aiuto. Essi possono sentire le parole che dico a voi. Venitemi tutti vicino! », grida in ultimo per radunare tutti.
   I discepoli, sparsi sul pendio, si avvicinano, fanno un mucchio compatto, stretto intorno a quello principale di Gesù coi suoi apostoli, e ascoltano.

44 «Badate che nessuno vi seduca in futuro. Io sono il Cristo e non vi saranno altri Cristi. Perciò, quando molti verranno a dirvi: “Io sono il Cristo” e sedurranno molti, voi non credete a quelle parole, neppure se saranno accompagnate da prodigi. Satana, padre di menzogna e protettore dei menzogneri, aiuta i suoi servi e seguaci con falsi prodigi, che però possono essere riconosciuti non buoni perché sempre uniti a paura, turbamento e menzogna. I prodigi di Dio voi li conoscete: dànno pace santa, letizia, salute, fede, conducono a desideri e opere sante. Gli altri no. Perciò riflettete sulla forma e le conseguenze dei prodigi che potrete vedere in futuro ad opera dei falsi Cristi e di tutti coloro che si ammanteranno nelle vesti di salvatori di popoli e saranno invece le belve che rovinano gli stessi.
   Sentirete anche, e vedrete anche, parlare di guerre e di rumori di guerre e vi diranno: “Sono i segni della fine”. Non turbatevi. Non sarà la fine. Bisogna che tutto questo avvenga prima della fine, ma non sarà ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo, regno contro regno, nazione contro nazione, continente contro continente, e seguiranno pestilenze, carestie, terremoti in molti luoghi. Ma questo non sarà che il principio dei dolori. Allora vi getteranno nella tribolazione e vi uccideranno, accusandovi di essere i colpevoli del loro soffrire e sperando di uscirne col perseguitare e distruggere i miei servi. Gli uomini fanno sempre accusa agli innocenti di esser causa del male che essi, peccatori, si creano. Accusano Dio stesso, perfetta Innocenza e Bontà suprema, di esser causa del loro soffrire, e così faranno con voi, e voi sarete odiati per causa del mio Nome. È Satana che li aizza. E molti si scandalizzeranno e si tradiranno e odieranno a vicenda. È ancor Satana che li aizza. E sorgeranno falsi profeti che indurranno molti in errore. Ancora sarà Satana il vero autore di tanto male. E per il moltiplicarsi dell’iniquità si raffredderà la carità in molti. Ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo. E prima bisogna che questo Vangelo del Regno di Dio sia predicato in tutto il mondo, testimonianza a tutte le nazioni. Allora verrà la fine. Ritorno al Cristo di Israele che lo accoglie e predicazione della mia Dottrina in tutto il mondo.

45 E poi un altro segno. Un segno per la fine del Tempio e per la fine del mondo. Quando vedrete l’abominazione della desolazione predetta da Daniele – chi mi ascolta bene intenda, e chi legge il Profeta sappia leggere fra le parole – allora chi sarà in Giudea fugga sui monti, chi sarà sulla terrazza non scenda a prendere quanto ha in casa, e chi è nel suo campo non torni in casa a prendere il suo mantello, ma fugga senza volgersi indietro, ché non gli accada di non poterlo più fare, e neppure si volga nel fuggire a guardare, per non conservare nel cuore lo spettacolo orrendo e insanire per esso. Guai alle gravide e a quelle che allatteranno in quei giorni! E guai se la fuga dovesse compiersi in sabato! Non sarebbe sufficiente la fuga a salvarsi senza peccare. Pregate dunque perché non avvenga in inverno e in giorno di sabato, perché allora la tribolazione sarà grande quale mai non fu dal principio del mondo fino ad ora, né sarà mai più simile perché sarà la fine. Se non fossero abbreviati quei giorni in grazia degli eletti, nessuno si salverebbe, perché gli uomini-satana si alleeranno all’inferno per dare tormento agli uomini.
   E anche allora, per corrompere e trarre fuori della via giusta coloro che resteranno fedeli al Signore, sorgeranno quelli che diranno: “Il Cristo è là, il Cristo è qua. È in quel luogo. Eccolo”. Non credete. Nessuno creda, perché sorgeranno falsi Cristi e falsi profeti che faranno prodigi e portenti tali da indurre in errore, se fosse possibile, anche gli eletti, e diranno dottrine in apparenza così confortevoli e buone a sedurre anche i migliori, se con loro non fosse lo Spirito di Dio che li illuminerà sulla verità e l’origine satanica di tali prodigi e dottrine. Io ve lo dico. Io ve lo predico perché voi possiate regolarvi. Ma di cadere non temete. Se starete nel Signore non sarete tratti in tentazione e in rovina. Ricordate ciò che vi ho detto: “Vi ho dato il potere di camminare su serpenti e scorpioni, e di tutta la potenza del Nemico nulla vi nuocerà, perché tutto vi sarà soggetto”. Vi ricordo anche però che per ottenere questo dovete avere Dio in voi, e rallegrarvi dovete, non perché dominate le potenze del Male e le venefiche cose, ma perché il vostro nome è scritto in Cielo.

46 State nel Signore e nella sua verità. Io sono la Verità e insegno la verità. Perciò ancora vi ripeto: qualunque cosa vi dicano di Me, non credete. Io solo ho detto la verità. Io solo vi dico che il Cristo verrà, ma quando sarà la fine. Perciò, se vi dicono: “È nel deserto”, non andate. Se vi dicono: “È in quella casa”, non date retta. Perché il Figlio dell’uomo nella sua seconda venuta sarà simile al lampo che esce da levante e guizza fino a ponente, in un tempo più breve di quel che non sia il batter di una palpebra. E scorrerà sul grande Corpo, di subito fatto Cadavere, seguito dai suoi fulgenti angeli, e giudicherà. Là dovunque sarà corpo là si raduneranno le aquile. 
   E subito dopo la tribolazione di quei giorni ultimi, che vi fu detta – parlo già della fine del tempo e del mondo e della risurrezione delle ossa, delle quali cose parlano i profeti (Ezechiele 37, 1-14) – si oscurerà il sole, e la luna non darà più luce, e le stelle del cielo cadranno come acini da un grappolo troppo maturo che un vento di bufera scuote, e le potenze dei Cieli tremeranno. E allora nel firmamento oscurato apparirà folgorante il segno del Figlio dell’uomo, e piangeranno tutte le nazioni della Terra, e gli uomini vedranno il Figlio dell’uomo venir sulle nubi del cielo con grande potenza e gloria. Ed Egli comanderà ai suoi angeli di mietere e vendemmiare, e di separare i logli dal grano, e di gettare le uve nel tino, perché sarà venuto il tempo del grande raccolto del seme di Adamo, e non ci sarà più bisogno di serbare racimolo o semente, perché non ci sarà mai più perpetuazione della specie umana sulla Terra morta. E comanderà ai suoi angeli che a gran voce di trombe adunino gli eletti dai quattro venti, da un’estremità all’altra dei cieli, perché siano al fianco del Giudice divino per giudicare con Lui gli ultimi viventi ed i risorti.

47 Dal fico imparate la similitudine: quando vedete che il suo ramo si fa tenero e mette le foglie, voi sapete che vicina è l’estate. Così anche, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che il Cristo sta per venire. In verità vi dico: non passerà questa generazione che non mi volle, prima che tutto ciò avvenga. La mia parola non cade. Ciò che dico sarà. Il cuore e il pensiero degli uomini possono mutare, ma non muta la mia parola. Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno. Quanto poi al giorno e all’ora precisa, nessuno li conosce, neppure gli angeli del Signore, ma soltanto il Padre li conosce.

48 Come ai tempi di Noè, così avverrà alla venuta del Figlio dell’uomo. Nei giorni precedenti al diluvio, gli uomini mangiavano, bevevano, si sposavano, si accasavano, senza darsi pensiero del segno sino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e si aprirono le cataratte dei cieli e il diluvio sommerse ogni vivente e ogni cosa. Anche così sarà per la venuta del Figlio dell’uomo. Allora due uomini saranno accosto nel campo, e uno sarà preso e uno sarà lasciato, e due donne saranno intente a far andare la mola, e una sarà presa e una lasciata, dai nemici nella Patria e più ancora dagli angeli separanti il buon seme dal loglio, e non avranno tempo di prepararsi al giudizio del Cristo.
   Vegliate dunque perché non sapete a che ora verrà il vostro Signore. Ripensate a questo: se il capo di famiglia sapesse a che ora viene il ladro, veglierebbe e non lascerebbe spogliare la sua casa. Quindi vegliate e pregate, stando sempre preparati alla venuta, senza che i vostri cuori cadano in torpore, per abuso e intemperanza di ogni specie, e i vostri spiriti siano fatti distratti e ottusi alle cose del Cielo dalle eccessive cure per le cose della Terra, e il laccio della morte non vi colga improvviso quando siete impreparati. Perché, ricordate, tutti avete a morire. Tutti gli uomini, nati che siano, devono morire, ed è una singola venuta del Cristo questa morte e questo susseguente giudizio, che avrà il suo ripetersi universale alla venuta solenne del Figlio dell’uomo.

49 Che sarà mai di quel servo fedele e prudente, preposto dal padrone ad amministrare il cibo ai domestici in sua assenza? Beata sorte egli avrà se il suo padrone, tornando all’improvviso, lo trova a fare ciò che deve con solerzia, giustizia e amore. In verità vi dico che gli dirà: “Vieni, servo buono e fedele. Tu hai meritato il mio premio. Tieni, amministra tutti i miei beni”. Ma se egli pareva, e non era, buono e fedele, e nell’interno suo era cattivo come all’esterno era ipocrita, e partito il padrone dirà in cuor suo: “Il padrone tarderà a tornare! Diamoci al bel tempo”, e comincerà a battere e malmenare i conservi, facendo usura su loro nel cibo e in ogni altra cosa per avere maggior denaro da consumare coi gozzovigliatori e ubriaconi, che avverrà? Che il padrone tornerà all’improvviso, quando il servo non se lo pensa vicino, e verrà scoperto il suo malfare, gli verrà levato posto e denaro, e sarà cacciato dove giustizia vuole. E ivi starà.
   E così del peccatore impenitente, che non pensa come la morte può essere vicina e vicino il suo giudizio, e gode e abusa dicendo: “Poi mi pentirò”. In verità vi dico che egli non avrà tempo di farlo e sarà condannato a stare in eterno nel luogo del tremendo orrore, dove è solo bestemmia e pianto e tortura, e ne uscirà soltanto per il Giudizio finale, quando rivestirà la carne risorta per presentarsi completo al Giudizio ultimo come completo peccò nel tempo della vita terrena, e con corpo ed anima si presenterà al Giudice Gesù che egli non volle per Salvatore.

50 Tutti là accolti davanti al Figlio dell’uomo. Una moltitudine infinita di corpi, restituiti dalla terra e dal mare e ricomposti dopo essere stati cenere per tanto tempo. E gli spiriti nei corpi. Ad ogni carne tornata sugli scheletri corrisponderà il proprio spirito, quello che l’animava un tempo. E staranno ritti davanti al Figlio dell’uomo, splendido nella sua Maestà divina, seduto sul trono della sua gloria sorretto dai suoi angeli.
   Ed Egli separerà uomini da uomini, mettendo da un lato i buoni e dall’altro i cattivi, come un pastore separa le pecorelle dai capretti, e metterà le sue pecore a destra e i capri a sinistra. E dirà con dolce voce e benigno aspetto a quelli che, pacifici e belli di una bellezza gloriosa nello splendore del corpo santo, lo guarderanno con tutto l’amore del loro cuore: “Venite, o benedetti dal Padre mio, prendete possesso del Regno preparato per voi sino dall’origine del mondo. Perché ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi deste da bere, fui pellegrino e mi ospitaste, fui nudo e mi rivestiste, malato e mi visitaste, prigioniero e veniste a portarmi conforto”.
   E i giusti gli chiederanno: “Quando mai, Signore, ti vedemmo affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti vedemmo pellegrino e ti abbiamo accolto, nudo e ti abbiamo rivestito?    Quando ti vedemmo infermo e carcerato e siamo venuti a visitarti?”.
   E il Re dei re dirà loro: “In verità vi dico: quando avete fatto una di queste cose ad uno di questi minimi fra i miei fratelli, allora lo avete fatto a Me”.
   E poi si volgerà a quelli che saranno alla sua sinistra e dirà loro, severo nel volto, e i suoi sguardi saranno come saette fulminanti i reprobi, e nella sua voce tuonerà l’ira di Dio: “Via di qua! Via da Me, o maledetti! Nel fuoco eterno preparato dal furore di Dio per il demonio e gli angeli tenebrosi e per coloro che li hanno ascoltati nelle loro voci di libidine triplice e oscena. Io ebbi fame e non mi sfamaste, sete e non mi dissetaste, fui nudo e non mi rivestiste, pellegrino e mi respingeste, infermo e carcerato e non mi visitaste. Perché non avevate che una legge: il piacere del vostro io”.
   Ed essi gli diranno: “Quando ti abbiamo visto affamato, assetato, nudo, pellegrino, infermo, carcerato? In verità noi non ti abbiamo conosciuto. Non eravamo, quando Tu eri sulla Terra”.
   Ed Egli risponderà loro: “È vero. Non mi avete conosciuto. Perché non eravate quando Io ero sulla Terra. Ma avete però conosciuto la mia Parola e avete avuto i poveri fra voi, gli affamati, i sitibondi, i nudi, i malati, i carcerati. Perché non avete fatto ad essi ciò che forse avreste fatto a Me? Perché non è già detto che coloro che mi ebbero fra loro fossero misericordiosi col Figlio dell’uomo. Non sapete che nei miei fratelli Io sono, e dove è uno di essi che soffra là sono Io, e che ciò che non avete fatto ad uno di questi miei minori fratelli lo avete negato a Me, Primogenito degli uomini? Andate e ardete nel vostro egoismo. Andate, e vi fascino le tenebre e il gelo perché tenebra e gelo foste, pur conoscendo dove era la Luce e il Fuoco d’Amore”.
   E costoro andranno all’eterno supplizio, mentre i giusti entreranno nella vita eterna.
   Queste le cose future…

51 Ora andate. E non dividetevi fra voi. Io vado con Giovanni e sarò a voi a metà della prima vigilia, per la cena e per andare poi alle nostre istruzioni».
   «Anche questa sera? Tutte le sere faremo questo? Io sono tutto indolenzito dalle guazze. Non sarebbe meglio entrare ormai in qualche casa ospitale? Sempre sotto le tende! Sempre veglianti e nelle notti, che sono fresche e umide…» , si lamenta Giuda.
   «È l’ultima notte. Domani… sarà diverso».
   «Ah! Credevo che volessi andare al Getsemani tutte le notti. Ma se è l’ultima … ».
   «Non ho detto questo, Giuda. Ho detto che sarà l’ultima notte da passare al campo dei Galilei tutti uniti. Domani prepareremo la Pasqua e consumeremo l’agnello, e poi andrò Io solo a pregare nel Getsemani. E voi potrete fare ciò che volete».
   «Ma noi verremo con Te, Signore! Quando mai abbiamo voglia di lasciarti?», dice Pietro.
   «Tu taci, che sei in colpa. Tu e lo Zelote non fate che svolazzare qua e là appena il Maestro non vi vede. Vi tengo d’occhio. Al Tempio… nel giorno… nelle tende lassù…», dice l’Iscariota, lieto di denunciare.
   «Basta! Se essi lo fanno, bene fanno. Ma però non mi lasciate solo… Io ve ne prego…».
   «Signore, non facciamo nulla di male. Credilo. Le nostre azioni sono note a Dio ed il suo occhio non si torce da esse con disgusto», dice lo Zelote.
   «Lo so. Ma è inutile. E ciò che è inutile può sempre essere dannoso. State il più possibile uniti».
   Poi si volge a Matteo: «Tu, mio buon cronista, ripeterai a costoro la parabola delle dieci vergini savie e delle dieci stolte, e quella del padrone che dà dei talenti ai suoi tre servi perché li facciano fruttare, e due ne guadagnano il doppio e l’infingardo lo sotterra. Ricordi?». (Le parabole, che Gesù ha narrato al Vol 3 Cap 206 e al Vol 4 Cap 281, ma che il Vangelo di Matteo riporta insieme con i discorsi del presente capitolo.)
   «Sì, Signor mio, esattamente».
   «Allora ripetile a questi. Non tutti le conoscono. E anche quelli che le sanno avranno piacere a riascoltarle. Passate così in sapienti discorsi il tempo sino al mio ritorno. Vegliate! Vegliate! Tenete desto il vostro
spirito. Quelle parabole sono appropriate anche a ciò che dissi. Addio. La pace sia con voi».
Prende Giovanni per mano e si allontana con lui verso la città… Gli altri si avviano verso il campo galileo.

52 Dice Gesù: «Metterai qui la seconda parte del faticosissimo Mercoledì Santo. Notte (1945). Ricordati di segnare in rosso i punti che ti ho detto. Dànno luce quelle parolette. Tanta luce, per chi la sa vedere». 

 53 Mi dice Gesu:«Inserisci qui la visione dell’obolo della vedova (19 giugno 44) corretta come ti indicherò», (come ho già corretto nel manoscritto che ho rimandato. Poi continua la visione.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo per sempre a Te!