Santa Giacinta Marto prega per noi – 20 febbraio

Jacinta de Jesus Marto, settima figlia di Manuel Pedro Marto e Olimpia de Jesus, era una pastorella nata ad Aljustrel, in Portogallo l’11 marzo 1910, ma è diventata famosa, assieme a suo fratello Francisco e alla loro cuginetta Lucia, per essere stata testimone di alcuni eventi miracolosi: le apparizioni della Madonna.

Giacinta era una bambina come le altre e conduceva una vita semplice: le piaceva giocare e ballare quando possibile.

Ma la sua esistenza cambiò quel 13 maggio 1917 quando, in un luogo chiamato Cova da Iria, nei pressi di Fatima, assistè alla prima apparizione di quella conosciuta in seguito come Madonna di Fatima.

Nonostante la sua giovanissima età il cambiamento fu radicale, ella infatti si fece seria e modesta, e il suo spirito di sacrificio divenne parte integrante della sua giovane vita: si privava anche della merenda per aiutare i bambini di due famiglie bisognose, e la sua preoccupazione più grande era la salvezza delle anime dei peccatori, per le quali pregava ininterrottamente.

Per i successivi sei mesi da quella prima apparizione, così come aveva loro annunciato la “Signora più brillante del sole” tornarono in quel luogo ogni 13 del mese fino per raccogliere il Suo messaggio.

Nella sua semplicità capì che l’inferno era una realtà terribilmente seria e che a lei era chiesto di impegnarsi perché tante persone potessero evitare un castigo così severo. Continuava a chiedere a Lucia: «Non si esce mai di là?» «No». «E dopo tanti e tanti anni?» «No, l’inferno non finisce mai». «E se noi preghiamo molto per i peccatori, Nostro Signore li libererà di lì? Poverini! Dobbiamo fare tanti sacrifici».

Giacinta fu vittima dell’epidemia di febbre spagnola che la colpì assieme a tante altre persone e morì all’età di 9 anni il 20 febbraio 1920. Beatificata da Giovanni Paolo II il 13 maggio 2000, è stata proclamata santa da Papa Francesco il 13 maggio 2017, in occasione del centenario della prima apparizione. Il suo corpo attualmente è conservato nel Santuario di Fatima.

«Un giorno, quando Giacinto e Francesco avevano ormai contratto la malattia che li costringeva a letto, la Vergine Maria venne a visitarli in casa, come racconta Giacinta: “A me ha chiesto se volevo ancora convertire peccatori. Le ho detto di sì: E, quando si avvicina il momento della dipartita di Francesco, la piccola gli racco-manda: “Da parte mia porta tanti saluti a nostro Signore alla Madonna e di’ loro che sono disposta a sopportare tutto quanto vorranno per convertire i peccatori”. Giacinto potrebbe benissimo esclamare con san Paolo: “Mi rallegro di soffrire per voi, completando in me stesso quello che manca alle tribolazioni di Cristo a vantaggio del suo corpo che è la Chiesa”» (Giovanni Paolo li).

MARTIROLOGIO ROMANO. In località Aljustrel vicino a Fatima in Portogallo, Santa Giacinta Marto, che, sebbene ancora fanciulla di tenera età, sopportò con pazienza il tormento della malattia da cui era affetta e testimoniò con fervore la sua devozione alla beata Vergine Maria.

Nome: Santa Giacinta Marto
Titolo: Veggente di Fatima
Nascita: 11 marzo 1910, Aljustrel, Portogallo
Morte: 20 febbraio 1920, Lisabona, Portogallo
Ricorrenza: 20 febbraio
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Lc 6, 27-38: “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano” .

Vangelo Novus Ordo Lc 6, 27-38
Dal Vangelo secondo Luca

‡ In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «A voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano.
A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica.
Dá a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro.
Se amate quelli che vi amano, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se fate del bene a coloro che vi fanno del bene, che merito ne avrete? Anche i peccatori fanno lo stesso. E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto.
Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e il vostro premio sarà grande e sarete figli dell’Altissimo; perché egli è benevolo verso gl’ingrati e i malvagi.
Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro.
Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
“Perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi in cambio”.


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo.
   Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l’ha data? Con la sua Parola.
   Perché l’ha data? Per il suo Amore.
   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
   Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico” No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
   L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì “, e perciò non lo dico.. – ma lo penso.. – ed è lo stesso…»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

   Cap. CLXXIV. Sesto discorso della Montagna: la scelta tra Bene e Male, l’adulterio, il divorzio. L’arrivo importuno di Maria di Magdala.

  29 maggio 1945

 1 In una mattinata splendida, di un nitore d’aria ancora più vivo del solito, per cui pare che le lontananze si accorcino o che le cose siano viste attraverso una lente oculare che le rende nitide anche nei più piccoli particolari, si prepara la folla ad ascoltare il Maestro. Di giorno in giorno la natura si fa più bella, rivestendosi della veste opulenta della piena primavera, che in Palestina mi pare sia proprio fra marzo e aprile, perché dopo prende già l’aspetto estivo con i grani maturi e le foglie già folte e complete. Ora è tutto un fiore. Dall’alto del monte, che di suo si è vestito di fiori anche nei punti apparentemente meno atti a fiorire, si vede la pianura col suo mareggiare di grani ancora flessuosi al vento, che dà loro moto d’onda verde glauca, appena tinta di oro pallido sulla cima delle spighe che graniscono fra le reste spinose. Su questo ondulare di messi al vento lieve, stanno riti nella loro veste dì petali – e sembrano tanti enormi piumini da cipria oppure pallottole di garza bianca, rosa tenuissimo, rosa carico, rosso vivo – gli alberi da frutto, e raccolti nella loro veste di penitenti ascetici gli ulivi pregano, e la loro preghiera già si muta in un nevicare, per ora ancora incerto, di fiorellini bianchi.
   L’Hermon è un alabastro rosa nella cima che il sole bacia, e dall’alabastro scendono due fili di diamante – da qui sembrano fili – dai quali il sole trae uno scintillìo quasi irreale, e poi si affossano sotto le gallerie verdi dei boschi e non si vedono più altro che a valle, dove formano corsi d’acqua che certo vanno al lago di Meron, da qui invisibile, e poi ne escono con le belle acque del Giordano per poi tuffarsi nuovamente nello zaffiro chiaro del mare di Galilea, che è tutto un tremolìo di scaglie preziose alle quali il sole fa da castone e da fiamma. Sembra che le vele scorrenti su questo specchio, quieto e splendido nella sua cornice di giardini e campagne meravigliose, siano guidate dalle nuvolette leggere che veleggiano nell’altro mare del cielo.
   Veramente il creato ride in questa giornata di primavera e in quest’ora mattutina.

 2 E la gente affluisce, affluisce, senza posa. Sale da tutte le parti: vecchi, sani, malati, bimbi, sposi che pensano iniziare la loro vita con la benedizione della parola di Dio, mendichi, benestanti che chiamano gli apostoli e danno loro offerte per chi non ha, e pare si confessino tanto cercano un posto nascosto per farlo.
   Tommaso ha preso una delle loro sacche da viaggio e rovescia in essa tranquillamente tutto questo tesoro di monete, come fosse del becchime da polli, e poi porta tutto vicino al masso dove Gesù parla, e ride allegro dicendo: «Godi, Maestro! Oggi ne hai per tutti!». 
   Gesù sorride e dice: «E cominceremo subito, perché chi è triste sia subito contento. Tu e i compagni scegliete i malati e i poveri e portateli qui davanti».
   Cosa che avviene con un tempo relativamente breve, perché si deve ascoltare i casi di questo e quello, e durerebbe molto di più senza l’aiuto pratico di Tommaso che col suo vocione potente, montato su un sasso per essere visto, grida: «Tutti coloro che hanno sofferenze nel corpo vadano a destra di me, là, dove è ombra».
   Lo imita l’Iscariota, anche lui dotato di una voce non comune in potenza e bellezza, che a sua volta grida: «E tutti coloro che credono avere diritto all’obolo vengano qui, intorno a me. E badate bene di non mentire perché l’occhio del Maestro legge nei cuori». 
   La folla si agita per separarsi così in tre parti: chi è malato, chi è povero, chi è solo desideroso di dottrina.

 3 Ma fra questi ultimi, due, poi tre, sembrano aver bisogno di qualche cosa che non è salute e non è denaro, ma che è più necessario di queste cose. Una donna e due uomini. Guardano, guardano gli apostoli e non osano parlare.
   Passa Simone Zelote col suo aspetto severo; passa Pietro indaffarato che arringa una diecina dì frugoli, ai quali promette delle ulive se staranno buoni fino alla fine e delle busse se faranno baccano mentre parla il Maestro; passa Bartolomeo anziano e serio; passa Matteo con Filippo, che portano a braccia uno storpiato che troppa fatica avrebbe fatto a fendere la folla fitta; passano i cugini del Signore dando braccio ad un mendicante quasi cieco e ad una poverella di chissà quanti mai anni, che piange narrando a Giacomo tutti i suoi guai; passa Giacomo di Zebedeo con in braccio una povera bambina, certo malata, che egli ha preso alla madre, che lo segue affannosa, per impedire che la folla le faccia del male; ultimi a passare sono gli, potrei dire, indivisibili Andrea e Giovanni, perché se Giovanni, nella sua serena naturalezza di fanciullo santo, va ugualmente con tutti i compagni, Andrea, per la sua grande ritenutezza, preferisce andare con l’antico compagno di pesca e di fede nel Battista. Questi erano rimasti presso l’imbocco dei due sentieri principali, per dirigere ancora la folla ai suoi posti, ma ora il monte non presenta altri pellegrini sulle sue vie sassose, e i due si riuniscono per andare dal Maestro con le ultime offerte ricevute.
   Gesù è già curvo sui malati, e gli osanna della folla punteggiano i singoli miracoli. La donna, che pare tutta in pena, osa tirare per la veste Giovanni che parla con Andrea e sorride. Egli si china e le chiede: «Che vuoi, donna?».
   «Vorrei parlare col Maestro…»
   «Hai del male? Povera non sei…»
   «Non ho male e non sono povera. Ma ho bisogno di Lui… perché vi sono mali senza febbre e vi sono miserie senza povertà, e la mia… e la mia…» e piange.
   «Senti, Andrea. Questa donna ha una pena nel cuore e vorrebbe dirla al Maestro. Come facciamo?».
   Andrea guarda la donna e dice: «Certo è cosa che addolora farla conoscere…». La donna assente col capo. Andrea riprende: «Non piangere… Giovanni, fa’ di portarla dietro la nostra tettoia. Io porterò il Maestro».
   E Giovanni, col suo sorriso, prega di far largo per poter passare, mentre Andrea va in direzione opposta verso Gesù. Ma la mossa è osservata dai due uomini afflitti, e uno ferma Giovanni ed uno Andrea, e dopo poco, ecco, che tanto l’uno che l’altro sono insieme a Giovanni e alla donna dietro il riparo di frasche che fa da parete alla tenda.

 4 Andrea raggiunge Gesù nel momento che Questo guarisce lo storpiato, che alza le grucce come due trofei, arzillo come un ballerino, gridando la sua benedizione. 
Andrea sussurra: «Maestro, dietro la nostra tettoia vi sono tre che piangono. Ma il loro affanno è di cuore e non può essere noto…».
   «Va bene. Ho ancora questa bambina e questa donna. Poi verrò. Va’ a dire loro che abbiano fede».
   Andrea se ne va mentre Gesù si china sulla bambina che la madre ha ripreso in grembo: «Come ti chiami?» le chiede Gesù.
   «Maria».
   «Ed Io come mi chiamo?».
   «Gesù» risponde la bambina.
   «E chi sono?».
   «Il Messia del Signore venuto per dare bene ai corpi e alle anime».
   «Chi te lo ha detto?».
   «La mamma e il papà che sperano in Te per la mia vita».
   «Vivi e sii buona». 
   La bambina, che credo fosse malata alla spina perché, per quanto già sui sette e più anni, non si muoveva che con le mani ed era tutta stretta in grosse e dure fasce dalle ascelle alle anche – si vedono perché la madre le ha aperto la vesticciola per mostrarle – sta così come era per qualche minuto, poi ha un sussulto e scivola dal grembo materno a terra e corre da Gesù, che sta guarendo la donna di cui non capisco il caso.
   I malati sono esauditi tutti e sono quelli che più urlano fra la molta folla che applaude al «Figlio di Davide, gloria di Dio e nostra».

 5 Gesù va verso la tettoia.
   Giuda di Keriot grida: «Maestro! E questi?».
   Gesù si volge e dice: «Attendano dove sono. Saranno essi pure consolati» e va lesto dietro le frasche, là dove sono, con Andrea e Giovanni, i tre in pena.
   «Prima la donna. Vieni con Me fra queste siepi. Parla senza timore».
   «Signore, mio marito mi abbandona per una prostituta. Ho cinque figli, e l’ultimo ha due anni… Il mio dolore è grande… e penso ai figli… Non so se li vorrà lui o li lascerà a me. I maschi, il primo almeno, lo vorrà… Ed io che l’ho partorito non devo più avere la gioia di vederlo? E che penseranno essi del padre o di me? Di uno devono pensare male. Ed io non vorrei giudicassero il padre loro…»
   «Non piangere. Sono il Padrone della vita e della morte. Tuo marito non sposerà quella donna. Vai in pace e continua ad essere buona».
   «Ma… non ucciderai lui? Oh! Signore, io lo amo!».
   Gesù sorride: «Non ucciderò nessuno. Ma ci sarà chi farà il suo mestiere. Sappi che il demonio non è da più di Dio. Tornando alla tua città saprai che ci fu chi uccise la creatura malefica e in un modo tale che tuo marito comprenderà che cosa stava facendo e ti amerà di rinato amore».
   La donna gli bacia la mano, che Gesù le ha messo sulla testa, e se ne va.

 6 Viene uno degli uomini. «Ho una figlia, Signore. Sventuratamente andò a Tiberiade con delle amiche e fu come avesse aspirato il tossico. Mi è tornata come ebbra. Vuole andarsene con un greco… e poi… Ma perché mi è nata? Sua madre è malata di dolore e forse morrà… Io… solo le tue parole, che ho udito l’inverno passato, mi trattengono da ucciderla. Ma, te lo confesso, il mio cuore l’ha già maledetta».
   «No. Dio, che Padre è, non maledice che a peccato compiuto e ostinato. Che vuoi da Me?».
   «Che Tu la ravveda».
   «Io non la conosco ed ella, certo, da Me non viene»
   «Ma Tu puoi cambiarle il cuore anche da lontano! Sai chi mi manda a Te? Giovanna di Cusa. Stava partendo per Gerusalemme quando io sono andato al suo palazzo per chiedere se le era noto questo greco infame. Pensavo che ella non lo conoscesse perché ella è buona, pur vivendo a Tiberiade, ma poiché Cusa avvicina i gentili… Non lo conosce. Ma mi ha detto: “Vai da Gesù. Egli mi ha richiamato lo spirito da tanto lontano e mi ha guarita, con quella chiamata, dalla mia etisia. Guarirà anche il cuore a tua figlia. Io pregherò e tu abbi fede”. Ce l’ho. Lo vedi. Abbi pietà, Maestro».
   «Tua figlia entro questa sera piangerà sui ginocchi di sua madre chiedendo perdono. Tu pure sii buono come la madre: perdona. Il passato è morto».
   «Sì, Maestro. Come Tu vuoi e che Tu sia benedetto!». Si rivolge per andarsene… ma poi torna sui suoi passi: «Perdona, Maestro… Ma ho tanta paura… La lussuria è un tal demone! Dammi un filo della tua veste. Lo metterò nel capezzale di mia figlia. Mentre dorme il demonio non la tenterà».
   Gesù sorride e crolla il capo… ma accontenta l’uomo dicendo: «Perché tu sia più tranquillo.
   Ma credi che quando Dio dice: “Voglio” il diavolo se ne va senza bisogno di altro. Vuol dire che terrai questo per ricordo di Me» e dà un fiocchetto delle sue frange.

 7 Viene il terzo uomo: «Maestro, mio padre è morto. Noi credevamo avesse delle ricchezze in denaro. Non ne abbiamo trovate. E sarebbe poco male, perché non ci manca il pane fra fratelli. Ma io vivevo con mio padre, essendo il primogenito. Gli altri due fratelli mi accusano di avere fatto sparire le monete e mi vogliono fare causa come ladro. Tu vedi il mio cuore. Io non ho rubato un picciolo. Mio padre teneva i suoi denari in uno scrigno, in una cassetta di ferro. Morto che fu, aprimmo lo scrigno e la cassetta non c’era più. Loro dicono: “Questa notte, mentre noi dormivamo, tu l’hai presa”. Non è vero. Aiutami a mettere pace e stima fra di noi».
   Gesù lo guarda ben fisso e sorride. «Perché sorridi, Maestro?».
   «Perché il colpevole è tuo padre, una colpa da bambino che nasconde il suo giocattolo per paura che glielo piglino.»
   «Ma non era avaro. Credilo. Faceva del bene».
   «Lo so. Ma era molto vecchio… Sono le malattie dei vecchi… Voleva preservare per voi, e vi ha messi in urto, per troppo amore. Ma la cassetta è sotterrata ai piedi della scala della cantina. Te lo dico perché tu sappia che Io so. Mentre ti parlo, per un puro caso, tuo fratello minore, percuotendo il suolo con ira, l’ha fatta vibrare e l’hanno scoperta, e sono confusi e pentiti di averti incolpato. Torna a casa sereno e sii buono con loro. Non avere parole per la loro disistima».
   «No, Signore, neppure vado. Ti sto a sentire. Andrò domani».
   «E se ti levano del denaro».
   «Tu dici che non bisogna essere avidi. Non lo voglio essere. Mi basta che la pace sia fra noi. Del resto… non sapevo quanto denaro era nella cassetta e non avrò afflizione per nessuna notizia disforme al vero. E penso che poteva essere perduto quel denaro… Come sarei vissuto prima vivrò ora, se me lo negheranno. Mi basta che non mi dicano ladro».
   «Sei molto avanti nella via di Dio. Procedi e la pace sia con te».
   E anche questo se ne va contento.

 8 Gesù torna verso la folla, verso i poverelli e dà, secondo sue proprie misure, gli oboli. Ora tutti sono contenti e Gesù può parlare.
   «La pace sia con voi.
   Quando Io vi spiego le vie del Signore è perché voi le seguiate. Potreste voi seguire il sentiero che scende da destra e quello che scende da sinistra, insieme? Non potreste. Perché se prendete uno dovete lasciare l’altro. Neppure se fossero due sentieri vicini potreste durare a camminare sempre con un piede in uno e l’altro nell’altro. Finireste a stancarvi e a sbagliare anche fosse una scommessa. Ma fra il sentiero di Dio e quello dì Satana vi è una grande distanza e che sempre più si fa profonda, proprio come quei due sentieri che sboccano qui, ma che man mano che scendono a valle sono sempre più lontani l’uno dall’altro, l’uno andando verso Cafarnao, l’altro verso Tolemaide.
   La vita è così, scorre a cavaliere fra il passato e il futuro, fra il male e il bene. Al centro è l’uomo, con la sua volontà e il libero arbitrio; ai termini: da una parte Dio e il suo Cielo, dall’altra Satana e il suo Inferno. L’uomo può scegliere. Nessuno lo forza.
   Non mi si dica: “Ma Satana tenta” a scusa delle discese verso il sentiero basso. Anche Dio tenta col suo amore, ed è ben forte; con le sue parole, e sono ben sante; con le sue promesse, e sono ben seducenti! Perché allora lasciarsi tentare da uno solo dei due, e da colui che è il più immeritevole di essere ascoltato? Le parole, le promesse, l’amore dì Dio non sono sufficienti a neutralizzare il veleno di Satana?
   Guardate che ciò depone male per voi. Quando uno è fisicamente e fortemente sano non è immune dai contagi, ma li supera con facilità. Mentre, se uno è già malato e perciò debole, perisce quasi certamente per una nuova infezione e, se sopravvive, è più malato di prima perché non ha la forza, nel suo sangue, di distruggere i germi infettivi completamente. Lo stesso è per la parte superiore. Se uno è moralmente e spiritualmente sano e forte, credete pure che non è esente da essere tentato, ma il male non attecchisce in lui.
   Quando Io sento uno dirmi: “Ho avvicinato questo e quello, ho letto questo e quello, ho cercato di convincere questo e quello al bene, ma in realtà il male che era nella mente e nel cuore loro, il male che era nel libro, è entrato in me”, Io concludo: “il che dimostra che in te avevi già creato il terreno favorevole per la penetrazione. Il che dimostra che sei un debole privo di nerbo morale e spirituale. Perché anche dai nostri nemici noi dobbiamo trarre del bene. Osservando i loro errori dobbiamo imparare a non cadere negli stessi. L’uomo intelligente non diviene zimbello della prima dottrina che sente. L’uomo saturo di una dottrina non può fare in sé posto per altre. Questo spiega le difficoltà che si incontrano per cercare di persuadere i convinti di altre dottrine a seguire la vera Dottrina. Ma se tu mi confessi che muti pensiero al minimo soffio di vento, Io vedo che tu sei pieno di vuoti, hai la tua fortezza spirituale piena dì aperture, le dighe del tuo pensiero sono sfondate in mille punti, ed escono da esse le acque buone e vi entrano le inquinate, e tu sei tanto stolido e apatico che non te ne accorgi neppure e non provvedi. Sei un disgraziato”.
   Perciò sappiate, dei due sentieri, scegliere il buono e proseguire su quello resistendo, resistendo, resistendo agli allettamenti del senso, del mondo, della scienza e del demonio. Le mezze fedi, i compromessi, i patti con due, contrari l’uno all’altro, lasciateli agli uomini del mondo. Non dovrebbero essere neppure fra loro, se gli uomini fossero onesti. Ma voi, voi almeno, uomini di Dio, non abbiateli. Con Dio né con Mammona non potreste averli. Non abbiateli però neppure con voi stessi, perché non avrebbero valore. Le vostre azioni, mescolate di buono e di non buono, non avrebbero valore alcuno. Quelle completamente buone verrebbero poi annullate dalle non buone. Quelle malvagie vi porterebbero direttamente in braccio al Nemico. Non fatele perciò. Ma siate leali nel vostro servire.
   Nessuno può servire a due padroni di diverso pensiero. O amerà l’uno e odìerà l’altro, o viceversa. Non potete essere ugualmente di Dio e di Mammona. Lo spirito di Dio non può conciliarsi con lo spirito del mondo. L’uno sale, l’altro scende. L’uno santifica, l’altro corrompe. E se siete corrotti come potete agire con purezza? Il senso si accende nei corrotti, e dietro al senso le altre fami.

 9 Voi già sapete come si corruppe Eva e come Adamo per lei.
   Satana baciò l’occhio della donna e lo stregò così, di modo che ogni aspetto, fino allora puro, prese per lei aspetto impuro e svegliò curiosità strane. Poi Satana le baciò le orecchie e le fece aperte a parole di una scienza ignota: la sua. Anche la mente di Eva volle conoscere ciò che non era necessario. Poi Satana all’occhio e alla mente svegliati al Male mostrò ciò che prima non avevano visto e capito, e tutto in Eva fu desto e corrotto, e la Donna, andando all’Uomo, rivelò il suo segreto e persuase Adamo a gustare il nuovo frutto, tanto bello a vedersi e così interdetto fino ad ora. E lo baciò e lo guardò con la bocca e le pupille in cui già era il torbido di Satana. E la corruzione penetrò in Adamo che vide, e attraverso l’occhio appetì al proibito, e lo morse con la compagna cadendo da tanta altezza al fango.
   Quando uno è corrotto trascina a corruzione, a meno che l’altro non sia un santo nel vero senso della parola.
   Attenti allo sguardo, uomini. Allo sguardo dell’occhio e a quello della mente. Corrotti che siano, non possono che corrompere il resto. Lume del corpo è l’occhio. Lume del cuore è il tuo pensiero. Ma se l’occhio tuo non sarà puro – perché per la soggezione degli organi al pensiero i sensi si corrompono per un pensiero corrotto – tutto in te diverrà offuscato, e nebbie seduttrici creeranno impuri fantasmi in te. Tutto è puro in chi ha pensiero puro che dà puro sguardo, e la luce di Dio scende padrona dove non è ostacolo di sensi. Ma se per mala volontà tu hai educato l’occhio alle torbide visioni, tutto in te diverrà tenebre. Inutilmente guarderai anche le cose più sante. Nel buio non saranno che tenebre e farai opere di tenebre.

 10 Perciò, figli di Dio, tutelate voi stessi contro voi stessi. Sorvegliatevi attentamente contro tutte le tentazioni. Essere tentati non è male. L’atleta si prepara alla vittoria con la lotta. Ma il male è essere vinti perché impreparati e disattenti. Lo so che tutto serve a tentare. Lo so che la difesa snerva. Lo so che la lotta stanca. Ma, suvvia, pensate cosa vi acquistano queste cose. E vorreste per un’ora di piacere, di qual che sia genere, perdere un’eternità di pace? Cosa vi lascia il piacere della carne, dell’oro e del pensiero? Nulla. Cosa vi acquista il ripudiarli? Tutto. Io parlo a peccatori, perché l’uomo è peccatore.
   Ebbene, ditemi, in verità: dopo avere appagato il senso, o l’orgoglio, o l’avarizia, vi siete sentiti più freschi, più contenti, più sicuri? Nell’ora che segue all’appagamento, e che è sempre ora di riflessione, avete proprio sinceramente sentito di essere felici? Io non ho gustato questo pane del senso. Ma rispondo per voi: “No. Appassimento, scontento, incertezza, nausea, paura, irrequietezza. Ecco cosa è stato il succo spremuto dall’ora passata”.
   Però, ve ne prego. Mentre vi dico: “Non fate mai ciò, anche vi dico: “Non siate inesorabili con coloro che sbagliano”. Ricordatevi che siete tutti fratelli, fatti di una carne e di un’anima. Pensate che molte sono le cause per cui uno è indotto a peccare. Siate misericordiosi verso i peccatori e con bontà rialzateli e conduceteli a Dio, mostrando che il sentiero da loro percorso è irto di pericoli per la carne e per la mente e per lo spirito. Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordioso coi buoni e sa dare il centuplo per uno.
   Onde Io vi dico…»

   (E qui Gesù mi dice che lei mi deve copiare la visione-dettato del 12 agosto 1944, B 961, dalla 35a riga della visione fino alla fine della stessa, ossia fino alla partenza della Maddalena, alle parole “e ride di rabbia e di scherno”. Poi continuerà con quanto segue, naturalmente omettendo questa parentesi).

 __________________________________________________________________________

  12 agosto 1944

 11 Dice Gesù:  

   «Guarda e scrivi. É Vangelo della Misericordia, che do a tutti e specie a quelle che si riconosceranno nella peccatrice e che invito a seguirla nella redenzione».

   Gesù in piedi su un masso parla a molta folla. Il luogo è alpestre. Una collina solitaria, fra due valli. La collina ha la vetta in forma di giogo, anzi, è più chiaro, in forma di gobba di cammello, di modo che a pochi metri dalla cima ha un naturale anfiteatro in cui la voce rimbomba netta come in una sala da concerti, molto ben costruita.
   La collina è tutta in fiore. Deve esser buona stagione. Le messi delle pianure tendono ad imbiondire e a farsi pronte per la falce. A nord un alto monte splende col suo nevaio al sole. Immediatamente sotto, al oriente, il mare di Galilea pare uno specchio spezzato in innumeri scaglie di cui ognuna è uno zaffiro acceso dal sole. Abbacina col suo tremolìo azzurro e oro, su cui non si riflette che qualche nuvola fioccosa che veleggia in un cielo purissimo e l’ombra fuggente di qualche vela. Oltre il lago di Genezaret vi è un lontanare di pianure che, per una lieve nebbia terra a terra, forse vaporare di rugiade – perché deve essere ancor mattina e in sulle prime ore, dato che l’erba montana ha ancora qualche dìamante rugiadoso sperso fra i suoi steli – paiono continuare il lago, ma con tinte quasi d’opale venato di verde, e oltre ancora una catena montana dalla costa molto capricciosa che fa pensare ad un disegno di nuvole sul cielo sereno.
   La folla è seduta chi sull’erba chi su dei pietroni, altra folla è in piedi. Il collegio apostolico non è completo. Vedo Pietro e Andrea, Giovanni e Giacomo, e sento chiamare gli altri due Natanaele e Filippo. Poi ve ne è un altro che è e non è nel gruppo. Forse l’ultimo arrivato: lo chiamano Simone. Gli altri non ci sono. A meno che io non li veda fra la gran folla.
   Il discorso è già incominciato da un po’. Capisco che è il discorso della Montagna. Ma le beatitudini sono già enunciate. Anzi direi che il discorso si avvia alla fine, perché Gesù dice: «Fate questo e ne avrete gran premio. Perché il Padre che è nei Cieli è misericordìoso coi buoni e sa dare il centuplo per uno. Onde Io vi dico…».

 12 Molto movimento avviene fra la folla che si assiepa verso il sentiero che sale al pianoro. Le teste dei più prossimi a Gesù si voltano. L’attenzione si svia. Gesù sospende di parlare e volge lo sguardo nella direzione degli altri. E serio e bello nel suo abito azzurro cupo, con le braccia conserte sul petto e il sole che lo sfiora sul capo col primo raggio che sormonta il picco orientale del colle. 
   «Fate largo, plebei» grida una iraconda voce d’uomo. «Fate largo alla bellezza che passa»… e vengono avanti quattro bellimbusti tutti azzimati, di cui uno è certo romano perché ha la toga romana, i quali portano come in trionfo sulle loro mani incrociate a sedìle Maria dì Magdala, gran peccatrice ancora.
   E lei ride con la sua bellissima bocca, buttando indietro la testa dalla capigliatura d’oro, tutta intrecci e riccioli trattenuti da forcine preziose e da una lamina d’oro, sparsa di perle, che le fascia il sommo della fronte come un diadema, dal quale scendono ricciolini lievi a velare gli occhi splendidi di loro e resi ancor più grandi e seduttori da un sapiente artificio. Il diadema, poi, si perde dietro le orecchie, sotto la massa delle trecce che pesano sul collo candidissimo e scoperto tutto. Anzi… lo scoperto va molto oltre il collo.
   Le spalle sono scoperte sino alle scapole, e il petto molto più ancora. La veste è trattenuta sulle spalle da due catenelle d’oro. Le maniche non esistono. Il tutto è coperto, per modo di dire, da un velo che ha il solo incarico di riparare la pelle dall’abbronzatura del sole. La veste è molto leggera e la donna, buttandosi come fa, per vezzo, contro l’uno o l’altro dei suoi adoratori, è come ci si buttasse addosso nuda. Ho l’impressione che il romano sia il preferito, perché a lui vanno di preferenza risatine e occhiate e più facilmente riceve il capo di lei sulla spalla. 
   «Ecco accontentata la dea» dice il romano. «Roma ha fatto da cavalcatura alla Venere novella. E là è l’Apollo che hai voluto vedere. Seducilo dunque… Ma lascia anche a noi briciole dei tuoi vezzi».
   Maria ride e con mossa agile e procace balza a terra, scoprendo i piedini calzati da sandali bianchi con fibbie d’oro e un bel pezzo di gamba. Poi la veste, che è amplissima, di una lana sottile come velo e candidissima, trattenuta alla vita, ma molto in basso, verso i fianchi, da un cinturone tutto a borchie d’oro, snodate, copre tutto. E la donna sta come un fiore di carne, un fiore impuro, sbocciato per sortilegio sul verde pianoro in cui sono mughetti e narcisi selvatici in grande quantità.
   E’ bella più che mai. La bocca piccola e porporina pare un garofano che sbocci sul candore della dentatura perfetta. Il volto e il corpo potrebbero accontentare il più incontentabile pittore o scultore, sia per tinta che per forme. Ampia di petto e di fianchi in misura giusta, con una vita naturalmente flessuosa e sottile rispetto ai fianchi e al petto, pare una dea, come ha detto il romano, una dea scolpita in un marmo lievemente rosato, su cui si tende la stoffa lieve sui fianchi per poi ricadere in una massa di pieghe sul davanti. Tutto è studiato per piacere.
   Gesù la guarda fisso. E lei ne sostiene con spavalderia lo sguardo mentre ride e si torce lievemente per il solletico che il romano le fa scorrendola sulle spalle e sul seno, che ha scoperti, con un mughetto colto fra l’erba. Maria, con un corruccio studiato e non vero, rialza il velo dicendo: «Rispetto al mio candore», il che fa scoppiare i quattro in una fragorosa risata.
   Gesù la continua a fissare. Appena il rumore delle risate si perde, Gesù, come se l’apparizione della donna avesse riacceso fiamme al discorso che si assopiva nella finale, riprende, e non la guarda più. Ma guarda i suoi uditori che paiono impacciati e scandalizzati per l’avvenuto.

 13 Gesù riprende: «Ho detto d’esser fedeli alla Legge, umili, misericordiosi, di amare non solo i fratelli di sangue ma anche chi vi è fratello sol perché nato come voi da uomo.
   Vi ho detto che il perdono è più utile del rancore, che il compatimento è migliore dell’inesorabilità. Ma ora vi dico che non si deve condannare se non si è esenti dal peccato per cui si è portati a condannare. Non fate come scribi e farisei che sono severi con tutti ma non con se stessi. Che chiamano impuro ciò che è esterno, e può contaminare solo l’esterno, e poi accolgono nel più fondo seno – il cuore – l’impurità.
   Dio non è con gli impuri. Perché l’impurità corrompe ciò che è proprietà di Dio: le anime, e specie le anime dei piccoli che sono gli angeli sparsi sulla terra. Guai a quelli che strappano loro le ali con crudeltà di belve demoniache e prostrano questi fiori di Cielo nel fango, facendo loro conoscere il sapore della materia! Guai!… Meglio sarebbe morissero arsi da un fulmine anziché giungere a tale peccato!
   Guai a voi, ricchi e gaudenti! Perché è proprio fra voi che fermenta la più grande impurità a cui fanno letto e guanciale ozio e denaro! Ora siete satolli. Fino alla gola vi arriva il cibo delle concupiscenze e vi strozza. Ma avrete fame. Una fame tremenda, insaziabile e senza addolcimento in eterno. Ora siete ricchi. Quanto bene potreste fare colla vostra ricchezza! Ve ne fate tanto male per voi e per gli altri. Conoscerete una povertà atroce in un giorno che non avrà fine. Ora ridete. Credete d’essere i trionfatori. Ma le vostre lacrime empiranno gli stagni della Geenna. E non avranno più sosta.
   Dove si annida adulterio? Dove corruzione di fanciulle? Chi ha due o tre letti di licenza, oltre il proprio di sposo, e su essi profonde il suo denaro e la vigoria di un corpo che Dio gli ha dato sano perché lavori per la sua famiglia e non si spossi in luridi connubi che lo mettono al disotto di una bestia immonda? Avete udito che fu detto: “Non commettere adulterio”. Ma Io vi dico che chi avrà guardato una donna con concupiscenza, che chi è andata ad un uomo col desiderio, anche solo con questo, ha già commesso adulterio nel suo cuore.
   Nessuna ragione giustifica la fornicazione. Nessuna. Non l’abbandono e il ripudio di un marito. Non la pietà verso una ripudiata. Avete un’anima sola. Quando essa è congiunta ad un’altra per patto di fedeltà, non menta. Altrimenti il bel corpo per cui peccate andrà seco voi, anime impure, nelle fiamme inesauste. Mutilatelo piuttosto, ma non l’uccidete in eterno dannandolo. Tornate uomini, voi ricchi, sentine verminose di vizio, tornate uomini per non fare ribrezzo al Cielo…»

 14 Maria, che ha ascoltato in principio con un viso che era un poema di seduzione e di ironia, avendo di tanto in tanto delle risatine di scherno, sulla fine del discorso si fa nera di corruccio. Capisce che senza guardarla Gesù parla a lei. Il suo corruccio si fa sempre più nero e ribelle e all’ultimo ella non resiste. Si avvolge dispettosa nel suo velo e, inseguita dalle occhiate della folla che la scherniscono e dalla voce di Gesù che la persegue, si dà in corsa giù per la china lasciando lembi di veste sui cardi e sui cespugli di rose canine che sono ai margini del sentiero, e ride di rabbia e di scherno.

   Non vedo altro. Ma Gesù dice: «Vedrai ancora».

  (29 maggio 1945.)

 15 Gesù riprende: «Voi siete sdegnati dell’avvenuto. Sono due giorni che il nostro rifugio, ben alto sul fango, è turbato dal sibilo di Satana. Non è più dunque un rifugio e noi lo lasceremo. Ma voglio ultimarvi questo codice del “più perfetto” in quest’ampiezza di luci e di orizzonti. Qui realmente Dio appare nella sua maestà di Creatore, e vedendo le sue meraviglie noi possiamo giungere a credere fermamente che il Padrone è Lui e non Satana. Non potrebbe il Maligno creare neppure uno stelo d’erba. Ma Dio tutto può. Questo ci conforti. Ma voi siete tutti al sole ormai. E ciò vi nuoce. Spargetevi allora su per le pendici. Vi è ombra e frescura. Prendete il vostro pasto, se volete. Io vi parlerò sullo stesso argomento. Molti motivi hanno protratto l’ora. Ma non vi rincresca di ciò. Qui siete con Dio».
   La folla grida: «Sì, si. Con Te » e si sposta sotto i boschetti sparsi sul lato orientale, di modo che la parete e le frasche fanno riparo al sole già troppo caldo.
   Gesù dice intanto a Pietro di smontare la sua tettoia.
   «Ma… ce ne andiamo proprio?».
   «Sì».
   «Perché è venuta lei?… »
   «Sì. Ma non lo dire ad alcuno e specie allo Zelote. Ne rimarrebbe afflitto per Lazzaro. Non posso permettere che la parola di Dio sia fatta scherno di pagani… »
   «Capisco, capisco…»
   «Allora però capisci anche un’altra cosa ».
   «Quale, Maestro?».
   «La necessità di tacere in certi casi. Mi raccomando. Tu sei tanto caro, ma sei anche talmente impulsivo da uscire in osservazioni pungenti».
   «Capisco… non vuoi per Lazzaro e Simone…»
   «E per altri ancora».
   «Pensi che ce ne saranno oggi?».
   «Oggi, domani e dopodomani e sempre. E sempre sarà necessario sorvegliare l’impulsività del mio Simone di Giona. Vai, vai a fare quanto ti ho detto».
   Pietro se ne va, chiamando in suo aiuto i compagni.

 16 L’Iscariota è rimasto pensieroso in un angolo. Gesù lo chiama. Tre volte, perché non sente. Infine si volge. «Mi vuoi, Maestro?» chiede.
   «Sì. Va’ tu pure a prendere il tuo cibo e ad aiutare i compagni».
   «Non ho fame. E neppure Tu».
   «Neppure Io. Ma per opposti motivi. Sei turbato, Giuda?».
   «No, Maestro. Stanco…»
   «Ora andiamo sul lago e poi in Giudea, Giuda. E da tua madre. Te l’ho promesso…».
   Giuda si rianima. «Vieni proprio con me solo?».
   «Ma certo. Voglimi bene, Giuda. Io vorrei che il mio amore fosse in te al punto da preservarti da ogni male».
   «Maestro… sono uomo. Non sono angelo. Ho attimi di stanchezza. E’ peccato aver bisogno di dormire?».
   «No, se tu dormi sul mio petto. Guarda là la gente come è felice e come è lieto il paesaggio da qui. Però deve essere molto bella anche la Giudea, in primavera».
   «Bellissima, Maestro. Solo là, sulle montagne, che sono più alte di qui, è più tardiva. Ma vi sono fiori bellissimi. I pometi sono uno splendore. Il mio, cura particolare della mamma, è uno dei più belli. E quando ella vi cammina, coi colombi che le corrono dietro per avere grano, credi che è una vista che placa il cuore».
   «Lo credo. Se mia Madre non sarà troppo stanca mi piacerebbe portarla dalla tua. Si amerebbero perché sono due buone».
   Giuda, sedotto da questa idea, torna sereno e, dimenticandosi di «non aver fame e di essere stanco», corre dai compagni ridendo allegro, e, alto come è, slaccia i nodi più alti senza fatica e si mangia il suo pane e ulive, allegro come un fanciullo.
   Gesù lo guarda con compassione e si avvia verso gli apostoli.

 17 «Ecco il pane, Maestro. E un uovo. Me lo sono fatto dare da quel ricco là, vestito di rosso. Gli ho detto: “Tu ascolti e sei beato. Lui parla ed è sfinito. Dàmmi uno dei tuoi ovetti. Farà meglio a Lui che a te”.»
   «Ma Pietro!».
   «No, Signore! Sei pallido come un bambino attaccato a un petto vuoto e stai divenendo esile come un pesce dopo gli amori. Lascia fare a me. Non voglio avere rimproveri da farmi. Ora lo metto in questa cenere calda, sono le fascine che ho arrostite, e Tu te lo bevi. Non lo sai che sono… quanti sono? settimane certo, che non si mangia che pane e ulive e un poco di latticello… Uhm! Sembriamo in purga. E Tu mangi meno di tutti e parli per tutti. Ecco l’uovo. Bevilo tiepido, che fa bene».
   Gesù ubbidisce e, vedendo che Pietro mangia solo pane, chiede: «E tu? Le ulive?».
   «Sss! Mi servono per dopo. Le ho promesse».
   «A chi?».
   «A dei bambini. Però se non stanno zitti fino alla fine io mi mangio le ulive e a loro do i noccioli, ossia schiaffi».
   «Ma benissimo!».
   «Eh! non li darò mai. Ma se non si fa così! Ne ho presi tanti anche io, e se mi avessero dovuto dare tutti quelli che meritavo per le mie monellerie ne avrei dovuto prendere dieci volte di più! Ma fanno bene. Sono così perché le ho prese».
   Ridono tutti della sincerità dell’apostolo.
   «Maestro, io ti vorrei dire che oggi è venerdì e che questa gente… non so se potrà procurarsi cibo in tempo per domani o raggiungere le case» dice Bartolomeo.
   «E’ vero! E’ venerdì!» dicono in diversi.
   «Non importa. Dio provvederà. Ma lo diremo loro». Gesù si alza e va al suo nuovo posto, in mezzo alla folla sparsa fra i boschetti.
   «Per prima cosa ricordo che è venerdì. Ora Io dico che chi teme di non poter giungere in tempo alle case e non può giungere a credere che Dio darà domani cibo ai suoi figli, può ritirarsi subito, di modo che il tramonto non lo colga per via».
   Su tutta la folla si alzano una cinquantina di persone. Tutti gli altri restano dove sono.

 18 Gesù sorride e comincia a parlare.
   «Avete udito che fu detto in antico: “Non commettere adulterio”. Chi fra voi mi ha già udito in altri luoghi sa che più volte Io ho parlato su questo peccato. Perché, guardate, per Me è peccato non solo per uno ma per due e tre persone. E mi spiego. L’adultero pecca per sé, pecca per la sua complice, pecca portando a peccare la moglie o il marito tradito, il quale o la quale possono giungere a disperazione o a delitto. Questo per il peccato consumato. Ma Io dico di più. Io dico: “Non solo il peccato consumato ma il desiderio di consumarlo è già peccato. Cosa è l’adulterio? É il desiderare febbrilmente colui che non è nostro, o colei che non è nostra. Si comincia a peccare col desiderio, si continua con la seduzione, si completa con la persuasione, si corona con l’atto.
   Come si incomincia? Generalmente con uno sguardo impuro. E ciò si ricollega a quanto dicevo prima. L’occhio impuro vede ciò che è nascosto ai puri e per l’occhio entra la sete nelle fauci, la fame nel corpo, la febbre nel sangue. Sete, fame, febbre carnale. Ha inizio il delirio. Se l’altro, il guardato, è un onesto, ecco che il delirante resta solo a rivoltolarsi sui suoi carboni ardenti, oppure giunge a denigrare per vendetta. Se è disonesto anche il guardato, ecco che risponde allo sguardo, ed ha inizio la discesa nel peccato. Perciò Io vi dico: “Chi ha guardato una donna con concupiscenza ha già commesso adulterio su lei perché il suo pensiero ha già commesso l’atto del suo desiderio”. Piuttosto che questo, se il tuo occhio destro ti è stato cagione di scandalo cavatelo e gettalo lungi da te. Meglio per te che tu sia senza un occhio che sprofondare nelle tenebre infernali per sempre. E se la tua mano destra ha peccato mozzala e gettala via. Meglio per te essere senza un membro piuttosto che essere tutto dell’inferno. E’ vero che è detto che i deformi non possono più servire Dio nel Tempio. Ma oltre la vita i deformi per nascita, che siano santi, o i deformi per virtù, diverranno belli più degli angeli e serviranno Dio, amandolo nella gioia del Cielo.

 19 Vi è anche stato detto: “Chiunque rimanda la propria moglie le dia libello di divorzio” Ma questo va riprovato. Non viene da Dio. Dio disse ad Adamo: “Questa è la compagna che ti ho fatto. Crescete e moltiplicatevi sulla terra, riempitela e fatela a voi soggetta”. E Adamo, pieno di intelligenza superiore perché ancora il peccato non aveva offuscato la sua ragione uscita perfetta da Dio, esclamò: “Ecco finalmente l’osso delle mie ossa e la carne della mia carne. Questa sarà chiamata Virago, ossia altro me, perché tratta dall’uomo. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e i due saranno una sola carne”. E in un accresciuto splendere di luci l’eterna Luce approvò con un sorriso il detto d’Adamo, che diventò la prima, incancellabile legge.
   Ora, se per la sempre crescente durezza dell’uomo, l’uomo legislatore dovette mettere un nuovo codice; se per la sempre crescente volubilità dell’uomo dovette mettere un freno e dire: “Se però l’hai ripudiata non la puoi più riprendere”, questo non cancella la prima, genuina legge, nata nel Paradiso terrestre e approvata da Dio.
   Io vi dico: “Chiunque rimanda la propria moglie, eccetto il caso di provata fornicazione, l’espone all’adulterio “. Perché, infatti, che farà nel novanta per cento dei casi la donna ripudiata? Passerà ad altre nozze. Con quali conseguenze? Oh! su questo quanto ci sarebbe da dire! Non sapete che potete provocare incesti involontari con questo sistema? Quante lacrime sparse per una lussuria! Sì. Lussuria. Non ha altro nome. Siate schietti. Tutto si può superare quando lo spirito è retto. Ma tutto si presta a motivo per soddisfare il senso quando lo spirito è lussurioso. Frigidità femminile, pesantezza di lei, incapacità relativa alle faccende, lingua bisbetica, amore al lusso, tutto si supera, anche le malattie, anche le irascibilità, se si ama santamente. Ma siccome dopo qualche tempo non si ama più come il primo giorno, ecco che allora si vede impossibile ciò che è più che possibile, e si getta una povera donna sulla via e verso la perdizione.
   Fa adulterio chi la respinge. Fa adulterio chi la sposa dopo il ripudio. Solo la morte rompe il matrimonio. Ricordatevelo. E se avete fatto una scelta infelice, portatene le conseguenze come una croce, essendo due infelici, ma santi, e senza fare maggiori infelici nei figli, che sono gli innocenti che più soffrono di queste disgraziate situazioni. L’amore dei figli dovrebbe farvi meditare cento volte e cento, anche nel caso di una morte di coniuge. Oh! se sapeste accontentarvi di quanto avete avuto e al quale Dio ha detto: “Basta”! Se sapeste, voi vedovi e voi vedove, vedere nella morte non una menomazione ma una elevazione ad una perfezione di procreatori! Esser madre anche per la madre estinta. Esser padre anche per il padre estinto. Esser due anime in una, raccogliere l’amore per le creature sul labbro gelato del morente e dire: “Va’ in pace, senza paura per quelli che da te sono venuti. Io continuerò ad amarli, per te e per me, amarli due volte, sarò padre e madre, e l’infelicità dell’orfano non peserà su loro e neppure sentiranno la innata gelosia del figlio di coniuge risposato per colui o colei che prende il posto sacro alla madre, al padre, da Dio chiamati ad altra dimora.

 20 Figli, il mio dire si volge alla fine, come sta per volgersi alla fine il giorno che già declina, col sole, verso occidente.. Di questo ritrovo sul monte Io voglio ricordiate le parole. Scolpitevele nei cuori. Rileggetele spesso. Vi siano guida perenne. E soprattutto siate buoni con chi è debole. Non giudicate per non essere giudicati. Ricordate che potrebbe venire il momento in cui Dio vi ricordasse: “Così hai giudicato. Perciò sapevi che ciò era male. Hai dunque, con coscienza di quanto facevi, commesso peccato. Sconta ora la tua pena.
   La carità è già un’assoluzione. Abbiate la carità in voi, per tutti e su tutto. Se Dio vi dà tanti aiuti per mantenervi retti, non inorgoglitevene. Ma cercate di salire per quanto è lunga la scala della perfezione e porgete la mano agli stanchi, agli ignari, a coloro che sono preda di subite delusioni. Perché osservare con tanta attenzione il bruscolo nell’occhio del tuo fratello se prima non ti curi di levare il trave che è nel tuo? Come puoi dire al tuo prossimo: “Lascia che io ti levi dall’occhio questo bruscolo”, mentre la trave che è nel tuo ti accieca? Non essere ipocrita, figlio. Levati prima la trave che hai nel tuo e allora potrai levare il bruscolo al fratello senza rovinarlo del tutto.
   Ugualmente all’anticarità non abbiate l’imprudenza. Io vi ho detto: “Porgete la mano agli stanchi, agli iguari, a coloro che sono preda di improvvise delusioni”. Ma se è carità istruire gli ignari, animare gli stanchi, dare nuove ali a quelli che per molte cose le hanno spezzate, è imprudenza rivelare le verità eterne agli infetti di satanismo, i quali se ne appropriano per fingersi profeti, insinuarsi fra i semplici, corrompere, traviare, sporcare sacrilegamente le cose di Dio. Rispetto assoluto, saper parlare e saper tacere, saper riflettere e saper agire, ecco le virtù del vero discepolo per fare dei proseliti e per servire Iddio. Avete una ragione, e se sarete giusti Dio vi darà tutte le sue luci per guidare ancora meglio la vostra ragione. Pensate che le verità eterne sono simili a perle, e mai si è visto buttare le margarite ai porci, che preferiscono ghiande e broda fetida alle preziose perle e le pesterebbero senza pietà sotto i piedi per poi, con la furia di chi è stato schernito, rivolgersi a sbranarvi. Non date le cose sante ai cani. Questo per ora e per poi.

 21 Molto vi ho detto, figli miei. Ascoltate le mie parole; chi le ascolta e le mette in pratica è paragonabile ad un uomo riflessivo che, volendo costruire una casa, scelse un luogo roccioso. Certo faticò a costruire le basi. Dovette lavorare di piccone e scalpello, incallirsi le mani e stancarsi le reni. Ma poi poté colare le sue calcine negli spacchi della roccia e mettervi i mattoni serrati come in una muraglia di fortezza, e la casa crebbe solida come un monte. Vennero le intemperie, i nubifragi, le piogge fecero traboccare i fiumi, i venti fischiarono, le onde percossero, ma la casa resistette a tutto. Così è colui che ha una ben fondata fede. Invece chi ascolta con superficialità e non si sforza di incidersi nel cuore le mie parole, perché sa che per fare ciò dovrebbe fare fatica, provare dolore, estirpare troppe cose, è simile a chi per pigrizia e stoltezza edifica la sua casa sulla rena. Non appena vengono le intemperie, la casa, presto costruita, presto cade, e lo stolto si guarda desolato le sue macerie e la rovina del suo capitale. E qui è più che una rovina, riparabile ancora con spesa e fatica. Qui, crollato l’edificio mal costruito di uno spirito, nulla più vi resta per riedificarlo. Nell’altra vita non si edifica. Guai a presentarsi là con delle macerie!

  22 Ho finito. Ora Io scendo verso il lago e vi benedico nel nome di Dio uno e trino. La mia pace sia con voi».

   Ma la folla urla: «Veniamo con Te. Lasciaci venire! Nessuno ha le tue parole!».
   E si dànno a seguire Gesù, che scende non dalla parte presa nel salire ma da quella opposta e che va in direzione diretta di Cafarnao. La discesa è più ripida, ma è molto più svelta, e presto giungono ai piedi del monte che si adagia in una pianura verde e fiorita. 

(Gesù dice: «Basta per oggi. Domani…»).

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!