Martiri della Rivoluzione Francese pregate per noi – 2 settembre

I martiri della Rivoluzione francese sono commemorati collettivamente il 2 gennaio, mentre la festa in data odierna celebra un gruppo molto particolare di martiri, che morirono tutti in quattro prigioni a Parigi, il 2 e 3 settembre 1792. La Chiesa enumera e venera cento novantuno martiri, per la stragrande maggioranza ecclesiastici, ma la loro morte deve essere necessariamente vista nel contesto più ampio di una serie di atrocità sfrenate che provocarono la morte di molte altre persone che caddero per la loro fede, inclusi alcuni il cui nome è rimasto ignoto e più di quaranta giovani con meno di diciotto anni. Poiché il massacro avvenne illegalmente, gli archivi ufficiali erano quasi inesistenti, e persino questi rimasero distrutti nell’incendio all’Hotel de Ville a Parigi nel 1871. Le fonti d’informazione più importanti furono i testimoni oculari, in particolare quei pochi sacerdoti che riuscirono a scappare. Con la promulgazione della Costituzione Civile del Clero il 12 luglio 1790, l’Assemblea Costituente effettivamente alienò ogni sostegno che la Chiesa avrebbe potuto offrire alla Rivoluzione. Dichiarando che il clero francese era al servizio del pubblico, indipendente dalla Santa Sede, si richiedeva a ognuno di giurare alleanza alla Costituzione. Inizialmente ogni ecclesiastico che avesse rifiutato sarebbe stato privato di tutti suoi beni, ma successivamente, nel 1792, la condanna si tramutò in pena di morte.

Alcuni ecclesiastici, inclusi quattro vescovi e un certo numero di sacerdoti, che provenivano in gran parte da zone non urbane, non pensando che fosse un rinnegamento della fede e della morale, prestarono giuramento. La maggioranza, pensando fosse una mossa politica contro la Chiesa romana e un tentativo di creare una Chiesa nazionale, scismatica, al suo posto, rifiutò: si trattava dei re

La Chiesa s’indebolì, poiché divisa, sebbene le autorità gerarchiche condannassero immediatamente il decreto come illegale. Questa condanna fu confermata, ma solo dopo dieci mesi, il 10 marzo 1791, da papa Pio VI (1775-1799), che definì il decreto «eretico, contrario all’insegnamento cattolico, sacrilego, e in contrasto con i diritti della Chiesa». Per tutto il 1791, fu fatta pressione sui refrattari perché pronunciassero il giuramento; alcuni si recarono all’estero, e di quelli che abbandonarono le loro parrocchie, non pochi andarono a Parigi, dove vissero anonimamente tra i lazzaristi, i sulplici e altri. L’atteggiamento antireligioso dell’Assemblea Legislativa si rafforzò e il 29 novembre si decretò che ogni sacerdote che non avesse prestato giuramento entro otto giorni sarebbe stato accusato di avere mauvaises intentions vers la Patrie (in altre parole, di essere un traditore). Nell’aprile del 1792, questa accusa fu rivolta a quasi tutti i sacerdoti, senza tenere conto della loro opinione. La Francia aveva dichiarato guerra a una lega capeggiata dall’imperatore austriaco, Giuseppe II (1780-1790), e da Federico Guglielmo II (1786-1797), re di Prussia, e il papa era stato persuaso da sacerdoti emigrés a Roma a dichiarare il suo sostegno in favore della coalizione.

Schedati ora come nemici della Rivoluzione, gli ecclesiastici comparvero in modo prominente accanto ai membri dell’aristocrazia e a molti altri che furono arrestati durante le ultime due settimane dell’agosto 1792. Il giorno 23, la fortezza a Longwy si arrese alle armate della coalizione, il 30 Verdun fu posta sotto assedio, e la rivolta contadina della Vandea contro la Rivoluzione rese ulteriormente instabile una situazione già incerta. Lo stato d’animo che regnava a Parigi, dove la monarchia era stata appena abolita, era un miscuglio di panico, terrore e trionfalismo. Ci fu un’euforia marziale, quando il Concilio Esecutivo Provvisorio reclutò trentamila volontari, ma allo stesso tempo il popolo si convinse che, una volta che le truppe fossero partite, Parigi sarebbe stata indifesa contro una fuga di massa dalle prigioni. Nulla può giustificare ciò che accadde successivamente, ma parte della colpa risiede nel linguaggio infiammato e nell’atteggiamento laissezfaire dei capi della Rivoluzione. Domenica 2 settembre, Marat affermò retoricamente su L’Ami du Peuple: «Cittadini, il nemico è alle porte! […] Non un singolo nemico deve restare a Parigi per godere della nostra disfatta!».

Quello stesso pomeriggio, ventiquattro sacerdoti che erano stati segnalati per la deportazione furono assaliti da una folla ostile mentre si recavano sotto scorta armata dalla mairie alla prigione Abbaye. Fin qui la situazione fu contenuta, ma quando raggiunsero la prigione una folla più grande chiese che fossero “giudicati”, processo che fu condotto in modo sommario dal famigerato Stani-slao Maillard, che si era fatto un nome all’inizio della Rivoluzione e che ora capeggiava una compagnia di paramilitari. Quando i sacerdoti rifiutarono di prestare giuramento d’alleanza alla Costituzione furono lasciati nelle mani della folla, che ne uccise la maggioranza.

Nome: Beati Giovanni Maria du Lau d’Allemans, Francesco Giuseppe e Pietro Ludovico de la Rochefoucauld
Titolo: Martiri della Rivoluzione francese
Ricorrenza: 2 settembre
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

«I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».

Vangelo Lc 5, 33-39

In quel tempo, i farisei e i loro scribi dissero a Gesù: «I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno preghiere, così pure i discepoli dei farisei; i tuoi invece mangiano e bevono!».
Gesù rispose loro: «Potete forse far digiunare gli invitati a nozze quando lo sposo è con loro? Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora in quei giorni digiuneranno».
Diceva loro anche una parabola: «Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per metterlo su un vestito vecchio; altrimenti il nuovo lo strappa e al vecchio non si adatta il pezzo preso dal nuovo. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spaccherà gli otri, si spanderà e gli otri andranno perduti. Il vino nuovo bisogna versarlo in otri nuovi. Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: “Il vecchio è gradevole!”».

Impegno del giorno: essere disponibili a seguire Gesù come i discepoli.

Sant’Elpidio Abate prega per noi – 2 settembre

Visse nel IV secolo probabilmente nel Piceno. Le notizie che lo riguardano sono molto confuse: Pietro da Natalibusa narra che fosse un eremita di Gerico e giunto successivamente in Italia dove sarebbe morto, altre fonti lo ritengono originario della Cappadocia, altri ancora lo lo identificano come diacono di San Basilio, ricordato nella vita di S. Carotone.

Di Sant’Elpidio è stata anche redatta una vita intorno al XII secolo, e trovata in un leggendario della Biblioteca Capitolare di Spoleto, ma purtroppo non sono attendibili, ma la devozione così largamente diffusa ne conferma l’esistenza.

Il suo culto è però particolarmente vivo nel Piceno, dove diverse città portano il suo nome, e proprio per questo motivo si ritiene probabile che egli sia vissuto proprio in questa regione a nord di Ascoli Piceno. Alcune cittadine portano il nome del santo, come S. Elpidio a Mare, S. Elpidio Morico, Porto S. Elpidio.

Lo scrittore Palladio, lo ricorda nella sua Storia Lausiaca come un eremita vissuto per molti anni in una spelonca presso Gerico. Sempre lui elogia e tesse le lodi di questo asceta che, allontanatosi dalla comune società e dalla compagnia degli uomini, scelse di ritirarsi in solitudine.

Proprio nell’epoca in cui visse Sant’Elpidio, inoltre, quindi probabilmente nel IV secolo, si stava affermando una nuova forma di monachesimo, il cosiddetto “cenobitismo”, cioè della vita comunitaria, il cui iniziatore fu San Pacomio. Fu lui a fondare i primi conventi di uomini e donne nella Tebaide, presso il Nilo, dove a capo di ogni struttura vi era l’abate, il cui compito era quello di fare osservare la regola comune, imporre la castità, il lavoro, il digiuno e la preghiera.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nelle Marche, sant’Elpidio, del cui nome fu poi insignita la cittadina, in cui si conserva il suo corpo.

Nome: Sant’ Elpidio
Titolo: Abate
Nascita: IV Secolo, Cappadocia
Morte: IV Secolo, Piceno
Ricorrenza: 2 settembre
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Sant’Elpidio aMare, Casapulla

Vangelo Lc 5, 1-11: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».

Vangelo Novus Ordo Lc 5, 1-11
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. LXIV. Il paralitico guarito a Cafarnao.

   novembre 1944

 1 Lo stesso giorno 9 novembre, subito dopo.
   Vedo le rive del lago di Genezaret. E vedo le barche dei pescatori tratte a riva; sulla riva e addossati ad esse sono Pietro e Andrea, intenti a rassettare le reti, che i garzoni portano loro stillanti dopo averle sciacquate nel lago dai detriti rimasti impigliati in esse. A una distanza di un dieci metri Giovanni e Giacomo, curvi sulla barca loro, sono intenti a mettere ordine nella stessa, aiutati da un garzone e da un uomo sui cinquanta o cinquantacinque anni, che penso esser Zebedeo, perché il garzone lo chiama «padrone» e perché è somigliantissimo a Giacomo

   Pietro e Andrea, con le spalle alla barca, lavorano silenziosi a riannodare fili e i sugheri di segnale. Solo ogni tanto scambiano qualche parola circa il loro lavoro che, a quel che capisco, è stato infruttuoso.
   Pietro se ne rammarica non per la borsa vuota né per la fatica inutile, ma dice: «Mi spiace perché… come faremo a dare un cibo a quei poverelli? A noi non vengono che rade offerte, e quei dieci denari e sette dramme che abbiamo raccolto in questi quattro giorni io non le tocco. Solo il Maestro mi deve indicare a chi e come vanno date quelle monete. E fino a sabato Egli non torna! Se avevo fatto buona pesca!… Il pesce più minuto me lo cucinavo e lo davo a quei poveri… e se c’era chi brontolava in casa non me ne faceva niente. I sani possono andare a cercarlo. Ma i malati!…».
   «Quel paralitico, poi!… Hanno già fatto tanta strada per portarlo qui…» dice Andrea.
   «Senti, fratello. Io penso… che non si può stare divisi e non so perché il Maestro non ci voglia sempre con Lui. Almeno… non vedrei più questi poverini che non posso soccorrere, e quando li vedessi potrei dire loro: “Egli è qui”.».

 2 «Qui sono!». Gesù si è avvicinato camminando piano sulla rena molle.
Pietro e Andrea fanno un balzo. Hanno un grido: «Oh! Maestro!» e chiamano: «Giacomo! Giovanni! Il Maestro! Venite!».
   I due accorrono. E tutti si stringono a Gesù. Chi gli bacia la veste e chi le mani, e Giovanni osa passargli un braccio intorno alla vita e posargli il capo sul petto. Gesù lo bacia sui capelli.
   «Di che parlavate?».
   «Maestro… dicevamo che ti avremmo voluto».
   «Perché, amici?».
   «Per vederti e amarti vedendoti, e poi per dei poveri e malati. Ti attendono da due e più giorni… Io ho fatto quel che potevo. Li ho messi là, vedi quel capanno in quel campo incolto? Là gli artieri della barca lavorano alle riparazioni. Vi ho messi in ricovero un paralitico, un che ha grande febbre e un bambino che muore sul seno della madre. Non potevo mandarli alla tua ricerca».
   «Hai fatto bene. Ma come hai potuto soccorrere loro e chi li ha condotti? Mi hai detto che sono poveri!».
   «Certo, Maestro. I ricchi hanno carri e cavalli. I poveri, le gambe solo. Non possono venirti dietro solleciti. Ho fatto come ho potuto. Guarda: questo è l’obolo che ho avuto. Ma non ne ho toccato un solo picciolo. Tu lo farai».
   «Pietro, tu potevi farlo lo stesso. Certo… Pietro mio, mi spiace che per Me tu abbia rimproveri e fatiche».
   «No, Signore. Non devi spiacerti di questo. Io non ne ho dolore. Solo di non aver potuto avere maggior carità mi spiace. Ma credi, ho fatto, tutti abbiamo fatto quanto abbiamo potuto. »
   «Lo so. So che hai lavorato e senza scopo. Ma se non c’è cibo, la carità tua resta: viva, attiva, santa agli occhi di Dio».

 3 Dei bambini sono accorsi gridando: «C’è il Maestro! C’è il Maestro! Ecco Gesù, ecco Gesù!» e si stringono a Lui, che li carezza pur parlando coi discepoli.
   «Simone, entro nella tua casa. Tu e voi andate a dire che Io sono venuto e poi portatemi i malati».
   I discepoli vanno rapidi in direzioni diverse. Ma che Gesù sia giunto tutta Cafarnao lo sa, per merito dei piccini che paiono api sciamanti dall’alveare ai diversi fiori: le case, in questo caso, le vie, le piazze. Vanno, vengono festosi, portando l’annuncio alle mamme, ai passeggeri, ai vecchi seduti al sole, e poi tornano a farsi accarezzare ancora da Colui che li ama, e uno, audace, dice: «Parla a noi, per noi, Gesù, oggi. Ti vogliamo bene, sai, e siamo meglio degli uomini».
   Gesù sorride al piccolo psicologo e promette: «Parlerò proprio per voi». E seguito dai piccoli va alla casa ed entra salutando col suo saluto di pace: «La pace sia a questa casa».
   La gente si affolla nello stanzone posteriore adibito alle reti, canapi, ceste, remi, vele e provviste. Si vede che Pietro l’ha messo a disposizione di Gesù, ammucchiando tutto in un angolo per fare posto. Il lago non si vede da qui. Se ne ode solo il fiotto lento. E si vede invece solo il muretto verdastro dell’orto, dalla vecchia vite e dal fico fronzuto. Gente è persino nella strada, traboccando dalla stanza nell’orto e da questo alla via.   

 4 Gesù comincia a parlare. In prima fila – si sono fatti largo con prepotenza di gesto e in grazia del timore che la folla popolana ha di loro – sono cinque persone… altolocate. Paludamenti, ricchezza di vesti e superbia li denunciano per farisei e dottori. Gesù però vuole avere intorno i suoi piccoli. Una corona di visetti innocenti, di occhi luminosi, di sorrisi angelici, alzati a guardare Lui. Gesù parla, e nel parlare carezza di tanto in tanto la testolina ricciuta di un bambinello che gli si è seduto ai piedi e che gli tiene la testa appoggiata sulle ginocchia, sul braccino ripiegato. Gesù parla seduto su un gran mucchio di ceste e reti.
   «”Il mio diletto è disceso nel suo giardino, all’aiuola degli aromi, a pascersi tra i giardini e a cogliere gigli… egli che si pasce fra i gigli”, dice Salomone di Davide da cui vengo, Io, Messia d’Israele.
   Il mio giardino! Quale giardino più bello e più degno di Dio, del Cielo dove sono fiori gli angeli creati dal Padre? Eppure no. Un altro giardino ha voluto il Figlio unigenito del Padre, il Figlio dell’uomo perché per l’uomo Io ho carne, senza la quale non potrei redimere le colpe della carne dell’uomo.Un giardino che avrebbe potuto esser di poco inferiore al celeste, se dal Paradiso terrestre si fossero effusi, come dolci api da un’arnia, i figli di Adamo, i figli di Dio, per popolare la terra di santità destinata tutta al Cielo. Ma triboli e spine ha seminato il Nemico nel cuore di Adamo, e triboli e spine da esso cuore sono traboccati sulla terra. Non più giardino, ma selva aspra e crudele in cui stagna la febbre e si annida il serpe.
   Ma pure il Diletto del Padre ha ancora un giardino in questa terra su cui impera Mammona. Il giardino in cui va a pascersi del suo cibo celeste: amore e purezza; l’aiuola da cui coglie i fiori a Lui cari, in cui non è macchia di senso, di cupidigia, di superbia. Questi. (Gesù carezza quanti più piccoli può, passando la sua mano sulla corona di testoline attente, un’unica carezza che li sfiora e fa sorridere di gioia). Ecco i miei gigli.
   Non ebbe Salomone, nella sua ricchezza, veste più bella del giglio che profuma la convalle, né diadema di più aerea e splendida grazia di quello che ha il giglio nel suo calice di perla. Eppure al mio cuore non vi è giglio che valga un di questi. Non vi è aiuola, non vi è giardino di ricchi, tutto a gigli coltivato, che mi valga quanto un sol di questi puri, innocenti, sinceri, semplici pargoli.
   O uomini, o donne d’Israele! O voi, grandi ed umili per censo e per carica, udite! Voi qui siete per volermi conoscere e amare. Or dunque sappiate la condizione prima per essere miei. Io non vi dico parole difficili. Non vi do esempi più difficili ancora. Vi dico: “Prendete questi ad esempio”.
   Quale fra voi che non abbia un figlio, un nipote, un piccolo fratello nella puerizia, nella fanciullezza, per casa? Non è un riposo, un conforto, un legame fra sposi, fra parenti, fra amici, un di questi innocenti, la cui anima è pura come alba serena, il cui viso fuga le nubi e mette speranze, e le cui carezze asciugano le lacrime e infondono forza di vita? Perché in loro tanto potere? In loro: deboli, inermi, ignoranti ancora? Perché hanno in sé Dio, hanno la forza e la sapienza di Dio. La vera sapienza: sanno amare e credere. Sanno credere e volere. Sanno vivere in questo amore e in questa fede. Siate come essi: semplici, puri, amorosi, sinceri, credenti.
   Non vi è sapiente in Israele che sia maggiore al più piccolo di questi, la cui anima è di Dio e di essa è il suo Regno. Benedetti dal Padre, amati dal Figlio del Padre, fiori del mio giardino, la mia pace sia su voi e su coloro che vi imiteranno per mio amore».
   Gesù ha finito.

 5 «Maestro» grida Pietro di fra la calca «qui vi sono i malati. Due possono attendere che Tu esca, ma questo è pigiato fra la folla e poi… non può più stare. E passare non possiamo. Lo rimando?».
   «No. Calatelo dal tetto».
   «Dici bene. Lo facciamo subito».
   Si sente scalpicciare sul tetto basso dello stanzone che, non essendo vera parte della casa, non ha sopra la terrazza cementata, ma solo un tettuccio di fascine coperte da scaglie simili a lavagna. Non so che pietra fosse. Si forma un’apertura, e a mezzo di corde viene calata la barellina su cui è l’infermo. Viene proprio calata davanti a Gesù. La gente si aggruppa più ancora per vedere.
   «Hai avuto gran fede e con te chi ti ha portato!».
   «Oh! Signore! Come non averla in Te?».
   «Orbene, Io ti dico: figlio (l’uomo è molto giovane), ti sono rimessi tutti i tuoi peccati».
   L’uomo lo guarda piangendo… Forse resta un poco male perché sperava guarire nel corpo. 
   I farisei e dottori bisbigliano fra loro arricciando naso, fronte e bocca con sdegno.
   «Perché mormorate, più ancor nel cuore che sul labbro? Secondo voi è più facile dire al paralitico: “Ti sono rimessi i tuoi peccati”, oppure: “Alzati, prendi il lettuccio e cammina “? Voi pensate che solo Dio può rimettere i peccati. Ma non sapete rispondere quale è la più grande cosa, perché costui, perduto in tutto il corpo, ha speso sostanze senza poter essere sanato. Non lo può se non da Dio. Or perché sappiate che tutto Io posso, perché sappiate che il Figlio dell’uomo ha potere sulla carne e sull’anima, sulla terra e nel Cielo, Io dico a costui: “Alzati. Prendi il tuo letto e cammina. Va’ a casa tua e sii santo” ».
   L’uomo ha una scossa, un grido, si alza in piedi, si getta ai piedi di Gesù, li bacia e carezza, piange e ride e con lui i parenti e la folla, che poi si divide per farlo passare come in trionfo e lo segue festante. La folla, non i cinque astiosi che se ne vanno tronfi e duri come pioli.

 6 Così può entrare la madre col piccino: un bambino ancora lattante, scheletrito. Lo tende, dice solo: «Gesù, Tu li ami questi. Lo hai detto. Per questo amore e per tua Madre!… e piange.
   Gesù prende il poppante, proprio moribondo, se lo pone contro il cuore, se lo tiene un momento col visuccio cereo dalle labbruzze violacee e le palpebre già calate, contro la bocca. Un momento lo tiene così… e quando lo stacca dalla sua barba bionda, il visetto è roseo, la bocchina fa un incerto sorriso d’infante, gli occhietti guardano intorno vispi e curiosi, le manine, prima serrate e abbandonate, annaspano fra i capelli e la barba di Gesù, che ride.
   «Oh! figlio mio!» grida la mamma beata.
   «Prendi, donna. Sii felice e buona».
   E la donna prende il rinato e se lo stringe al seno, e il piccolo reclama subito i suoi diritti di cibo, fruga, apre, trova e poppa, poppa, poppa, avido e felice.
Gesù benedice e passa. Va sulla soglia dove è il malato di gran febbre.
   «Maestro! Sii buono!».
   «E tu pure. Usa la salute nella giustizia». Lo carezza ed esce.

 7 Torna sulla riva, seguito, preceduto, benedetto da molti che supplicano: «Noi non ti abbiamo udito. Non potevamo entrare. Parla a noi pure».
   Gesù fa cenno di si e, siccome la folla lo stringe sino a soffocarlo, monta sulla barca di Pietro. Non basta. L’assedio è incalzante. «Metti la barca in mare e scostati alquanto».
   La visione cessa qui.

   Cap. LXV. La pesca miracolosa e l’elezione dei primi quattro apostoli.

   10 novembre 1944

 1 E riprende sulle parole di Gesù:
   «Quando a primavera tutto fiorisce, l’uomo del campo dice, contento: “Avrò molto frutto”. E giubila in cuor suo per questa speranza. Ma dalla primavera all’autunno, dal mese dei fiori a quello delle frutta, quanti giorni, quanti venti, e piogge, e sole, e burrasche hanno da passare, e talora guerra o crudeltà di potenti, e malattie delle piante, e talora malattia dell’uomo del campo, per cui – non più scalzate e rincalzate, irrigate, potate, sorrette, pulite – le piante, promettenti gran frutto, intristiscono e muoiono o totalmente o nel loro raccolto!
   Voi mi seguite. Voi mi amate. Voi, come piante a primavera, vi ornate di propositi e di amore. Veramente Israele in quest’alba del mio apostolato è come le nostre dolci campagne nel luminoso mese di nisam. Ma udite. Come arsione di siccità, verrà Satana a bruciarvi col suo alito che mi invidia. Verrà il mondo col suo vento gelato a ghiacciare il vostro fiorire. Verranno le passioni come burrasche. Verrà il tedio come pioggia ostinata. Tutti i nemici miei e vostri verranno per isterilire ciò che dovrebbe venire da questa santa vostra tendenza a fiorire in Dio. Io ve ne avverto, perché so.
   Ma tutto allor sarà perso, quando Io, come agricoltore malato – più che malato, morto – più non potrò dare a voi parole e miracoli? No. Io semino e coltivo sinché è il mio tempo. Poi su voi crescerà e maturerà, se voi farete buona guardia.
   Guardate quel fico della casa di Simone di Giona. Chi lo piantò non trovò il punto giusto e propizio. Messo a dimora presso l’umido muro di settentrione, sarebbe morto se, da sé stesso, non avesse voluto tutelarsi per vivere. Ed ha cercato sole e luce. Eccolo là, tutto piegato, ma forte e fiero, che beve dall’aurora il sole, e se ne fa succo per i suoi cento e cento e cento dolci frutti. Si è difeso da sé. Ha detto: “Il Creatore m’ha voluto per dar gioia e cibo all’uomo. Io voglio che il suo volere abbia a compagno il mio!”. Un fico! Una pianta senza parola! Senza anima! E voi, figli di Dio, figli dell’uomo, sarete da meno della legnosa pianta?
   Fate buona guardia per dar frutti di vita eterna. Io vi coltivo, e per ultimo vi darò un succo che più potente non ne esiste. Non fate, non fate che Satana rida sulle rovine del mio lavoro, del mio sacrificio e della vostra anima. Cercate la luce. Cercate il sole. Cercate la forza. Cercate la vita. Io sono Vita, Forza, Sole, Luce di chi mi ama. Qui sono per portare voi là da dove Io sono venuto. Qui parlo per chiamarvi tutti e additarvi la Legge dai dieci comandi che danno la vita eterna. E con consiglio d’amore vi dico: “Amate Dio e il prossimo”. Condizione prima per compiere tutto ogni altro bene. Il più santo dei dieci comandi santi. Amate. Coloro che ameranno in Dio, Dio e prossimo, e per il Signore Iddio, avranno in terra e in Cielo la pace per loro tenda e per loro corona».

 2 La gente si allontana a fatica dopo la benedizione di Gesù. Non ci sono malati né poveri.
   Gesù dice a Simone: «Chiama anche gli altri due. Andiamo sul lago a gettare la rete».
   «Maestro, ho le braccia rotte dall’aver gettato e rialzato la rete per tutta la notte, e per nulla. Il pesce è nel profondo e chissà dove».
   «Fa’ quel che ti dico, Pietro. Ascolta sempre chi ti ama».
   «Farò quel che Tu dici, per rispetto alla tua parola» e chiama forte i garzoni e anche Giacomo e Giovanni.
   «Usciamo alla pesca. Il Maestro lo vuole». E mentre si allontanano dice a Gesù: «Però, Maestro, ti assicuro che non è ora propizia. A quest’ora i pesci chissà dove sono a riposo!… »
   Gesù, seduto a prora, sorride e tace.
   Fanno un arco di cerchio sul lago e poi gettano la rete. Pochi minuti di attesa e poi la barca riceve scosse strane, dato che il lago è liscio come di vetro fuso sotto il sole ormai alto.
   «Ma questo è pesce, Maestro!» dice Pietro ad occhi spalancati.
   Gesù sorride e tace.
   «Issa! Issa!» ordina Pietro ai garzoni. Ma la barca piega di bordo dal lato della rete. «Ohè! Giacomo! Giovanni! Presto! Venite! Coi remi! Presto!».
   Quelli corrono, e gli sforzi delle due ciurme riescono ad issare la rete senza sciupare la preda.
   Le barche accostano. Sono proprio unite. Un cesto, due, cinque, dieci. Sono tutti pieni di preda stupenda, e ce ne sono ancor tanti di pesci guizzanti nella rete: argento e bronzo vivo che si muove per sfuggire alla morte. Allora non c’è che un rimedio: rovesciare il resto nel fondo delle barche. Lo fanno, e il fondo è tutto un agitarsi di vite in agonia. La ciurma è dentro a questa dovizia sino a oltre il malleolo, e le barche affondano oltre la linea di immersione per il peso eccessivo.
   «A terra! Vira! Forza! Di vela! Attenti al fondale! Pertiche pronte per riparare l’urto! È troppo il peso!».

 3 Finché dura la manovra, Pietro non riflette. Ma giunti a terra lo fa. Capisce. Ne ha sgomento. «Maestro Signore! Allontanati da me! Io sono uomo peccatore. Non son degno di starti presso!». È in ginocchio sul greto umido.
   Gesù lo guarda e sorride. «Alzati! Seguimi! Più non ti lascio! D’ora in poi tu sarai pescatore d’uomini, e con te questi tuoi compagni. Non temete più nulla. Io vi chiamo. Venite!».
   «Subito, Signore. Voi occupatevi delle barche. Portate tutto a Zebedeo e a mio cognato. Andiamo. Tutti per Te, Gesù! Sia benedetto l’Eterno per questa elezione».
   E la visione ha termine.

 Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo a Te!