Ss. Basilio e Gregorio pregate per noi – 2 gennaio

Paolo VI con la riforma del calendario decise di ricordare Basilio e Gregorio insieme per la loro grande amicizia. Santi nel cielo e amici sulla terra, entrambi proclamati dottori della Chiesa nel 1568 da san Pio V. Per questa comunione di vita in Cristo la Chiesa ricorda nello stesso giorno san Basilio Magno e san Gregorio Nazianzeno appartenenti al gruppo dei “Padri cappadoci”, di cui fa parte anche il fratello di Basilio, san Gregorio di Nissa. I Padri cappadoci, oltre a essere accomunati dalla provenienza geografica, si distinsero per la capacità di parlare della loro fede agli intellettuali di lingua greca, ai quali dimostrarono la perfetta armonia tra il cristianesimo e una retta filosofia.

S. Basilio, ornamento e decoro della Chiesa greca, è un anello prezioso nella catena di santi che illustrano la sua famiglia. Nacque infatti da genitori santi, ebbe fratelli e sorelle santi, e fu santo pure lui. Ancora in giovane età si recò a Cesarea per i primi studi, ed in breve tempo eguagliò nella scienza i suoi stessi precettori. Assieme alla scienza cresceva in lui la virtù. Recatosi a Costantinopoli si perfezionò alla scuola del retore Lucanio, uomo dottissimo, al quale serbò sempre riconoscenza ed amore.

Tra i suoi primi e più preziosi amici, noteremo San Gregorio Nazianzeno: essi si stimolavano a vicenda alla pratica della virtù e all’acquisto della scienza. I suoi ragionamenti erano così logici che costringevano l’avversario alla resa.

Ritiratosi più tardi nel Ponto, fondò un monastero, di cui fu maestro per quattro anni, scrivendo di sua mano le regole per quei religiosi, assecondando così il desiderio di molti che a lui ricorrevano desiderosi di solitudine e perfezione.

Morto il Vescovo di Cesarea, gli successe Eusebio, che conosciuti i meriti di Basilio, lo volle ordinare sacerdote. Il nostro Santo dopo aver aiutato il Vescovo in molti affari importanti, ritornò alla sua amata solitudine.

Ma Dio lo riservava per grandi cose: venne a morte Eusebio, e Basilio fu unanimemente eletto Vescovo di Cesarea.

Qui le sue virtù e la sua scienza si manifestarono in modo da attirargli l’ammirazione dei buoni e l’odio dei malvagi.

Nonostante la malferma salute, ogni mattina predicava nelle due chiese di Cesarea, e cercava di istruire con la parola e con lo scritto ogni classe di persone, adoperandosi in tutte le maniere per la conversione degli eretici.

Si mortificava e digiunava frequentemente, anche tra le cure del ministero pastorale. I sacerdoti erano i suoi prediletti e vigilava per assicurarsi che la loro formazione fosse completa, poichè comprendeva che il sacerdote è una lucerna posta sul monte che deve rischiarare tutti.

Intanto la sua carriera mortale volgeva al termine: anche durante la sua ultima malattia molti accorrevano a lui per consiglio. Morì povero, come era vissuto, il 1 gennaio dell’anno 379 e la Chiesa lo proclamò Dottore per i suoi numerosi scritti.

Il card. Schuster dice di lui: « Colosso dell’episcopato orientale, faro dell’ortodossia, patriarca e legislatore della vita monastica ».

Celebre è la sua preghiera dedicata agli animali, del 370, in cui sorprendentemente emergono le tematiche moderne riguardo i diritti animali:

San Gregorio

S. Gregorio, detto il Teologo per la sua profonda scienza delle Sacre Scritture, nacque da nobili genitori l’anno 329 nella piccola città di Nazianzo in Cappadocia.

Sua madre, chiamata Nonna, non solo cristiana, ma santa, già aveva convertito e santificato il marito Gregorio; ella fu madre di tre figli santi: S. Gregorio, S. Cesario e santa Gorgonia. Da questa madre santa, Gregorio apprese fin dai primordi della sua fanciullezza i germi di quella virtù che lo rese celebre e la forza di resistere a tutte le lusinghe del mondo e del demonio. Egli ebbe lumi speciali dal cielo per cui conobbe fin dai più teneri anni tutta l’importanza della virtù della castità, onde si fece uno studio perenne per conservare intatta la bianca stola battesimale.
Desideroso di sapere, amava tutto quello che poteva ornare la sua mente di nuove cognizioni: per questo aveva cari i libri ed i maestri, ai quali era molto riconoscente.

Giovane ancora si portò a Cesarea per frequentare la scuola del grande Origene, e di qui passò poi ad Atene, ove si legò in familiare amicizia con S. Basilio. L’applicazione dei due amici allo studio fu tanta che nei molti anni che rimasero ad Atene non conobbero che due strade : quella della chiesa e quella della scuola. Sebbene pieni di rispetto per tutti, essi non si accompagnarono mai con compagni la cui vita non fosse secondo le virtù cristiane.

Per i molteplici progressi nello studio, S. Gregorio venne nominato professore di eloquenza in Atene, ma egli, temendo che il demonio della vanagloria si impossessasse del suo cuore, fuggì nottetempo, rifugiandosi nella Cappadocia presso il suo antico amico San Basilio.

Quivi ben presto rifulsero le loro virtù e perciò furono ambedue ordinati sacerdoti. S. Gregorio si diede allora all’apostolato della predicazione, ottenendo in esso tanti frutti, da essere dopo breve tempo eletto vescovo di Sozima e in seguito di Costantinopoli. Questa città fu però la palestra ove lo attendeva il Signore per provarne le virtù.

Infatti si sollevarono contro di lui uomini ambiziosi e vili che con i morsi della calunnia e dell’invidia ferirono il cuore del nostro Santo.

Alle sue prediche tuttavia accorrevano in folla per udirlo cristiani ed eretici e tutti egli sapeva portare a Dio mediante la soavità e l’unzione della sua parola. Invitato nel 380 da Teodosio a prendere possesso della chiesa di S. Sofia, si sollevò per questo favore un tumulto tale che S. Gregorio, sempre umile, credette bene dimettersi e ritornare nella solitudine.

Ed in quest’ultimo periodo della sua vita egli, con la mortificazione e le preghiere, compì il quadro mirabile della santità della sua vita, mentre con i suoi scritti pieni di sapienza e di grazia lasciò ai fedeli un pascolo salutare per le loro anime.

MARTIROLOGIO ROMANO. Memoria dei santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno, vescovi e dottori della Chiesa. Basilio, vescovo di Cesarea in Cappadocia, detto Magno per dottrina e sapienza, insegnò ai suoi monaci la meditazione delle Scritture e il lavoro nell’obbedienza e nella carità fraterna e ne disciplinò la vita con regole da lui stesso composte; istruì i fedeli con insigni scritti e rifulse per la cura pastorale dei poveri e dei malati; morì il primo di gennaio. Gregorio, suo amico, vescovo di Sásima, quindi di Costantinopoli e infine di Nazianzo, difese con grande ardore la divinità del Verbo e per questo motivo fu chiamato anche il Teologo. Si rallegra la Chiesa nella comune memoria di così grandi dottori.

Nome: Santi Basilio Magno e Gregorio Nazianzeno
Titolo: Vescovi e dottori della Chiesa
Ricorrenza: 2 gennaio
Tipologia: Memoria liturgica

Vangelo Gv 1, 1-18: “E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”.

Vangelo Novus Ordo Gv 1, 1-18
Dal Vangelo secondo Giovanni

[In principio era il Verbo,
e il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste.
In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini;
la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta.]
Venne un uomo mandato da Dio e il suo nome era Giovanni.
Egli venne come testimone per rendere testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.
Egli non era la luce, ma doveva render testimonianza alla luce.
[Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Egli era nel mondo, e il mondo fu fatto per mezzo di lui, eppure il mondo non lo riconobbe.
Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto.
A quanti però l’hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.]
Giovanni gli rende testimonianza e grida: “Ecco l’uomo di cui io dissi: Colui che viene dopo di me mi è passato avanti, perché era prima di me”.
Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia.
Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
” Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. XLV. Predicazione di Giovanni Battista e Battesimo di Gesù. La manifestazione divina.

   (…) Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera

 1 Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare sono le piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.
   A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente a ciò l’acqua non stagni in palude. (L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S. Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare). Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore pietroso e arenoso di quanto gli si stende avanti.
   Quella voce intima, che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare, il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio il chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano, e lo spazio desolato che osservo alla mia destra è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire luogo dove non sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline. 
   Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. È un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

 2 Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni paiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.
   In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni «i figli del tuono» (Marco 3, 17; Vol 5 Cap 330; Vol 9 Cap 575). Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.
   Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. È un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.

 3 Mentre lo ascolto – e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli evangelisti (Matteo 3, 1-12; Marco 1, 1-8; Luca 3, 3-18; Giovanni 1, 19-34), ma amplificate in irruenza – vedo avanzarsi lungo una stradicciuola, che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnato dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorso per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.
   Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare e per prepararsi ad esser mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.
   Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dal gruppo appoggiandosi al fusto di un albero.

 4 Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, sono l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due – è l’unica somiglianza – sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto d’un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero nella barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.
   Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante, esclama: «Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?».
   Gesù risponde placido: «Per compiere il rito di penitenza».
   «Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?».
   E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: «Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo».

 5 Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza, che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.
  Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.
   Mentre Gesù risale la riva e, dopo essersi vestito, si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando d’averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore. 
   Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta presente che questa figura di luce contro il verde della sponda.

   4 febbraio 1944 

    6 Dice Gesù:
   «Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo.
   Se l’uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l’uomo innocente e che l’uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell’uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa, e l’uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.
   Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla colpa quando la Piena di Grazia s’era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la Madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, vivo Ciborio della Salvezza incarnata, su questo nascituro, destinato ad esser a Me unito non tanto per il sangue quanto per la missione, che fece di noi come le labbra che formano la parola. Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell’Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l’Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.
   Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?

 7 Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l’attimo e il modo dell’incontro. E, traendo Giovanni dal suo speco nel deserto e Me dalla mia casa, ci unì in quell’ora per aprire su Me i Cieli e farne scendere Se stesso, Colomba divina, su Colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l’annuncio, ancor più potente di quello angelico perché del Padre mio: “Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto”. Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi.

 8 Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel Tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo. 
   La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili.

   Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora, il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi, per portarvi alla fede in Me.

 9 Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. È una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente.
   A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E, se ancora non servirà e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò una volta ancora fare l’antico rimprovero: (Vol 4 Cap 266) “Abbiamo sonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto “.
   Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son Quello, e tu sei la verga che le conduci a Me».

 10 Come vede, mi sono affrettata a mettere quei particolari che, per la loro piccolezza, mi erano sfuggiti e che lei ha desiderato di avere.

   Cap. XLVIII. Giovanni e Giacomo riferiscono a Pietro il loro incontro con il Messia.

   12 ottobre 1944

 1 Una serenissima aurora sul mar di Galilea. Cielo e acqua hanno bagliori rosati, di poco dissimili a quelli che splendono miti fra i muri dei piccoli orti del paesello lacustre, orti da cui si elevano e si affacciano, quasi rovesciandosi sulle viuzze, chiome spettinate e vaporose di alberi da frutto.
   Il paesello si desta appena, con qualche donna che va alla fonte o a una vasca a lavare, e con dei pescatori che scaricano le ceste di pesce e contrattano vociando con dei mercanti venuti da altrove, o che portano del pesce alle case loro. Ho detto paesello, ma non è tanto piccolo. È piuttosto umile, almeno nel lato che vedo io, ma vasto, steso per la più parte lungo il lago.

 2 Giovanni sbuca da una stradetta e va frettoloso verso il lago. Giacomo lo segue, ma molto più calmo. Giovanni guarda le barche già giunte a riva, ma non vede quella che cerca. La vede ancora a qualche centinaio di metri dalla riva, intenta alle manovre per rientrare, e grida forte, con le mani alla bocca, un lungo «Oh-è!» che deve essere il richiamo usato. E poi, quando vede che lo hanno sentito, si sbraccia in grandi gesti che accennano: «Venite, venite».
   Gli uomini della barca, credendo chissà che, dànno di piglio ai remi, e la barca va più veloce che con la vela, che essi ammainano, forse per fare più presto. Quando sono a un dieci metri da riva, Giovanni non attende oltre. Si leva il mantello e la veste lunga e li butta sul greto, si scalza i sandali, si alza la sottoveste, tenendola raccolta con una mano quasi all’inguine, e scende nell’acqua incontro a quelli che arrivano.
   «Perché non siete venuti, voi due?» chiede Andrea. Pietro, imbronciato, non dice nulla.
   «E tu, perché non sei venuto con me e Giacomo?» risponde Giovanni ad Andrea.
   «Sono andato a pescare. Non ho tempo da perdere. Tu sei scomparso con quell’uomo… »
   «Ti avevo fatto cenno di venire.

 3 È proprio Lui. Se sentissi che parole!… Siamo stati con Lui tutto il giorno e la notte sino a tardi. Ora siamo venuti a dirvi: ” Venite “»
   «È proprio Lui? Ne sei certo? Lo abbiamo appena visto allora, quando ce lo indicò il Battista».
   «È Lui. Non lo ha negato».
   «Chiunque può dire ciò che gli fa comodo per imporsi ai creduloni. Non è la prima volta…», borbotta Pietro malcontento.
   «Oh! Simone! Non dire così! È il Messia! Sa tutto! Ti sente!». Giovanni è addolorato e costernato dalle parole di Simon Pietro.
   «Già! Il Messia! E si mostra proprio a te, a Giacomo e ad Andrea! Tre poveri ignoranti! Vorrà ben altro il Messia! E mi sente! Ma, povero ragazzo! I primi soli di primavera ti hanno fatto male. Via, vieni a lavorare. Sarà meglio. E lascia le favole».
   «È il Messia, ti dico. Giovanni diceva cose sante, ma questo parla da Dio. Non può, chi non è il Cristo, dire simili parole».

 4 «Simone, io non sono un ragazzo. Ho i miei anni e sono calmo e riflessivo. Lo sai. Poco ho parlato, ma ho molto ascoltato in queste ore che siamo stati con l’Agnello di Dio, e ti dico che veramente non può essere che il Messia. Perché non credere? Perché non volerlo credere? Tu lo puoi fare, perché non lo hai ascoltato. Ma io credo. Siamo poveri e ignoranti? Egli ben dice che è venuto per annunciare la Buona Novella del Regno di Dio, del Regno di Pace ai poveri, agli umili, ai piccoli prima che ai grandi. Ha detto: “I grandi hanno già le loro delizie. Non invidiabili delizie rispetto a quelle che Io vengo a portare. I grandi hanno già modo di giungere a comprendere per sola forza di coltura. Ma Io vengo ai ‘piccoli’ di Israele e del mondo, a coloro che piangono e sperano, a coloro che cercano la Luce ed hanno fame della vera Manna, né vien dai dotti data a loro luce e cibo, ma solo pesi, oscurità, catene e sprezzo. E chiamo i ‘piccoli ‘. Io sono venuto a capovolgere il mondo. Perché abbasserò ciò che ora è in alto tenuto ed alzerò ciò che ora è sprezzato. Chi vuole verità e pace, chi vuole vita eterna venga a Me. Chi ama la Luce venga. Io sono la Luce del mondo “. Non ha detto così, Giovanni?». Giacomo ha parlato con pacata ma commossa maniera.
   «Sì. E ha detto: “Il mondo non mi amerà. Il gran mondo, perché si è corrotto con vizi e idolatrici commerci. Il mondo anzi non mi vorrà. Perché, figlio della Tenebra, non ama la Luce. Ma la terra non è fatta solo del gran mondo. Vi sono in essa coloro che, pur essendo mischiati nel mondo, del mondo non sono. Vi sono alcuni che sono del mondo perché vi sono stati imprigionati come pesci nella rete “, ha detto proprio così, perché parlavamo sulla riva del lago ed Egli accennava a delle reti che venivano trascinate a riva coi loro pesci. Ha detto, anzi: «Vedete. Nessuno di quei pesci voleva cadere nella rete. Anche gli uomini, intenzionalmente, non vorrebbero cadere preda di Mammona. Neppure i più malvagi, perché questi, per la superbia che li acceca, non credono di non avere diritto di fare ciò che fanno. Il loro vero peccato è la superbia. Su esso nascono tutti gli altri. Ma coloro, poi, che non sono completamente malvagi, ancor più non vorrebbero essere di Mammona. Ma vi cascano per leggerezza e per un peso che li trascina in fondo, e che è la colpa d’Adamo. Io sono venuto a levare quella colpa e a dare, in attesa dell’ora della Redenzione, una tale forza a chi crederà in Me, capace di liberarli dal laccio che li tiene e renderli liberi di seguire Me, Luce del mondo».

 5 «Ma allora, se ha proprio detto così, bisogna andare da Lui, subito». Pietro, coi suoi impulsi così schietti e che mi piacciono tanto, ha subito deciso e già eseguisce, affrettandosi a ultimare le operazioni di scarico, perché intanto la barca è giunta a riva e i garzoni l’hanno quasi tratta in secco, scaricando reti e corde e velame. «E tu, stolto Andrea, perché non sei andato con questi?».
   «Ma… Simone! Tu mi hai rimproverato perché non avevo persuaso questi a venire con me… Tutta la notte hai brontolato, e ora mi rimproveri di non essere andato?!… »
«Hai ragione… Ma io non lo avevo visto… tu sì… e devi aver visto che non è come noi… Qualche cosa di più bello avrà!…».
   «Oh! sì» dice Giovanni. «Ha un volto! Ha degli occhi! Vero, Giacomo, che occhi?! E una voce!… Ah, che voce! Quando parla ti par di sognare il Paradiso».
   «Presto, presto. Andiamo a trovarlo. Voi (parla ai garzoni) portate tutto a Zebedeo e dite che faccia lui. Noi torneremo questa sera per la pesca».
   Si rivestono tutti e si avviano. 

 6 Ma Pietro, dopo qualche metro, si arresta e afferra Giovanni per un braccio e chiede: «Hai detto che sa tutto e che sente tutto… ».
   «Si. Pensa che quando noi, vedendo la luna alta, abbiamo detto: “Chissà che farà Simone? “, Egli ha detto: “Sta gettando la rete e non si sa dar pace di dover fare da solo, perché voi non siete usciti con la barca gemella in una sera di così buona pesca… Non sa che fra poco non pescherà più che con altre reti e non farà che altre prede”».
  «Misericordia divina! È proprio vero! Allora avrà sentito anche… anche che io gli ho dato poco meno che del mentitore… Non posso andare da Lui».
   «Oh! è tanto buono! Certo sa che tu hai così pensato. Lo sapeva già. Perché quando lo abbiamo lasciato, dicendo che venivamo da te, ha detto: “Andate. Ma non lasciatevi vincere dalle prime parole di scherno. Chi vuole venire con Me deve saper tener testa agli schemi del mondo e alle proibizioni dei parenti. Perché Io sono sopra il sangue e la società, e trionfo su essi. E chi è con Me pure trionferà in eterno”. E ha detto anche: “Sappiate parlare senza paura. Colui che vi udrà verrà, perché è uomo di buona volontà”».
   «Così ha detto? Allora vengo.

 7 Parla, parla ancora di Lui mentre andiamo. Dove è?».
   «In una povera casa; devono essere persone a Lui amiche».
   «Ma è povero?».
   «Un operaio di Nazareth. Così ha detto».
   «E come vive, ora, se non lavora più?».
   «Non lo abbiamo chiesto. Forse lo sovvengono i parenti».
  «Era meglio portare del pesce, del pane, frutta…, qualche cosa. Andiamo a interrogare un rabbi, perché è come e più di un rabbi, a mani vuote!… I nostri rabbini non vogliono cosi…».
«Ma Lui vuole. Non avevamo che venti denari fra me e Giacomo e glieli abbiamo offerti, come consuetudine ai rabbini. Non li voleva. Ma, poi che insistevamo, ha detto: “Dio ve li renda nelle benedizioni dei poveri. Venite con Me” e subito li ha distribuiti a dei poverelli che Egli sapeva dove abitavano, e a noi che chiedevamo: “E per Te, Maestro, non serbi nulla? “, ha risposto: “La gioia di fare la volontà di Dio e di servire la sua gloria “.

   Noi abbiamo detto anche: “Tu ci chiami, Maestro. Ma noi siamo tutti poveri. Che ti dobbiamo portare?”. Ha risposto, con un sorriso che proprio fa gustare il Paradiso: “Un grande tesoro voglio da voi “; e noi: “Ma se nulla abbiamo? “; e Lui: ” Un tesoro dai sette nomi, e che anche il più meschino può avere e il re più ricco non può possedere, lo avete e lo voglio. Uditene i nomi: carità, fede, buona volontà, retta intenzione, continenza, sincerità, spirito di sacrificio. Questo Io voglio da chi mi segue, questo solo, e in voi c’è. Dorme come seme sotto zolla invernale, ma il sole della mia primavera lo farà nascere in settemplice spiga “. Così ha detto».
   «Ah! questo mi assicura che è il Rabbomi vero, il Messia promesso. Non è duro ai poveri, non chiede denaro… Basta per dirlo il Santo di Dio. Andiamo sicuri».
   E tutto ha termine.

   Cap. LXXIII. A Betlem, nella casa di un contadino e nella grotta della Natività

   8 gennaio 1945

 1 Una strada di pianura sassosa, polverosa, asciugata dal sole estivo. Procede fra ulivi potenti, tutti carichi di ulivette appena formate. Il suolo, nei posti non calpestati, ha ancora uno strato dei minuti fiorellini dell’ulivo, caduti dopo la fecondazione.
   Gesù, coi tre, procede in fila indiana lungo la sponda della via, dove l’ombra degli ulivi ha mantenuto l’erba ancora verde, e perciò vi è meno polvere.
   La strada fa una svolta ad angolo retto, oltre la quale sale lievemente verso una conca ad ampio ferro di cavallo, sulla quale sono sparse numerose case e casette sino a formare una cittadina. Proprio là dove la strada fa gomito, vi è una costruzione cubica sormontata da una cupoletta bassa. È tutta chiusa, come abbandonata.
   «Ecco là il sepolcro di Rachele» dice Simone.
   «Allora siamo quasi giunti. Entriamo subito in città?».
   «No, Giuda. Prima vi mostrerò un luogo… Poi entreremo in città e, posto che è ancor giorno chiaro e sera di luna, potremo parlare alla popolazione. Se vorrà ascoltare».
   «Vuoi che non ti ascolti?».

 2 Sono giunti al sepolcro, antico ma ben conservato, bene imbiancato. Gesù si ferma a bere ad un rustico pozzo li vicino. 
   Gli offre l’acqua una donna venuta ad attingere. Gesù l’interroga: «Sei di Betlemme?».
   «Lo sono. Ma ora in tempo di raccolti sto col marito in questa campagna, a curare gli orti ed i frutteti. E Tu sei galileo?».
   «Sono nato a Betlemme, ma sto a Nazaret di Galilea».
   «Perseguitato anche Tu?».
   «La famiglia. Ma perché dici “anche Tu”? Fra i betlemmiti vi sono molti perseguitati?».
   «E non lo sai? Quanti anni hai?».
   «Trenta».
   «Allora sei nato proprio quando… oh! che sventura! Ma perché nacque qui Colui?».
   «Chi?».
   «Ma quello che si diceva il Salvatore. Maledizione agli stolti che ubriachi di sicera videro nelle nubi degli angeli, udirono nei belati e nei ragli delle voci di Cielo, e nelle nebbie dell’ebbrezza scambiarono tre miserabili per i più santi della terra. Maledizione a loro! E a chi in loro credette».
   «Ma non mi spieghi, con tutto il tuo maledire, che avvenne. Perché maledici?».
   «Perché… Ma senti, dove vuoi andare?».
   «A Betlemme coi miei amici. Ho interessi là. Devo salutare vecchi amici e portare loro il saluto della Madre mia. Ma prima vorrei sapere tante cose, perché manchiamo, noi della famiglia, da molti anni. Lasciammo la città che ero di pochi mesi».
   «Prima della sventura, allora. 

 3 Senti, se non ti schifa la casa di un contadino, vieni a dividere con noi il pane e il sale. Tu e i tuoi compagni. Parleremo durante la cena e vi darò alloggio sino al mattino. Ho piccola casa. Ma sopra la stalla vi è molto fieno ammucchiato. La notte è calda e serena. Se credi, puoi dormire».
   «Il Signore d’Israele compensi la tua ospitalità. Verrò con gioia nella tua casa».
   «Il pellegrino porta seco benedizione. Andiamo. Devo però versare ancora sei anfore sulle verdure da poco nate».
   «E Io ti aiuterò».
   «No. Tu sei un signore. Lo dice il tuo modo di fare».
   «Sono un operaio, donna. E costui è pescatore. Questi, giudei, sono di censo e d’impiego. Non Io». E prende un’anfora adagiata sul suo pancione presso il bassissimo muretto del pozzo, la lega e la cala. 
Giovanni lo aiuta. Anche gli altri non vogliono esser da meno. Dicono alla donna: «Dove è l’ortaglia? Mostrala a noi. Vi porteremo le giare».
   «Dio vi benedica! Ho le reni spezzate dalla fatica. Venite…».
   E mentre Gesù estrae la sua brocca, i tre scompaiono giù per un viottolo… poi tornano con le due brocche vuote, le empiono, tornano via. E così fanno non per tre, ma per ben dieci volte. E Giuda ride dicendo: «Si sta sgolando a benedirci. Le diamo tant’acqua all’insalata che per almeno due giorni la terra sarà umida e la donna non si spezzerà le reni». Quando torna per l’ultima volta, dice: «Maestro, però credo che siamo caduti male».
   «Perché, Giuda?».
   «Perché ce l’ha col Messia. Le ho detto: “Non bestemmiare. Non sai che è la più grande grazia per il popolo di Dio il Messia? Geovà lo ha promesso a Giacobbe e da lui a tutti i profeti e giusti d’Israele. E tu lo odi?”. Mi ha risposto: “Non Lui. Ma quello che dissero ‘Messia’ dei pastori ubbriachi e dei maledetti indovini d’Oriente”. E siccome quello sei Tu…».
   «Non importa. So d’essere posto a prova e contraddizione di molti. Le hai detto che sono Io?».
   «No. Non sono stolto. Ho voluto salvare le tue e le nostre spalle».
   «Facesti bene. Non per le spalle. Ma perché desidero manifestarmi quando lo giudico giusto. Andiamo».
   Giuda lo guida sino all’ortaglia. 

 4 La donna versa le ultime tre brocche e poi li conduce verso una rustica costruzione in mezzo al frutteto. «Entrate» dice. «Mio marito è già in casa».
   Si affacciano ad una bassa e affumicata cucina. «La pace sia a questa casa» saluta Gesù.
   «Chiunque Tu sia, la benedizione a Te e ai tuoi. Entra» risponde l’uomo. E prima porta un catino con dell’acqua perché i quattro si rinfreschino e si mondino. Poi entrano tutti e si siedono ad una rozza tavola.
   «Io vi ringrazio per la mia donna. Mi ha detto. Non avevo mai avvicinato galilei e mi era stato detto che erano rozzi e rissosi. Ma voi siete stati gentili e buoni. Già stanchi… e lavorare tanto. Venite da lontano?
   «Da Gerusalemme. Questi sono giudei. Io e quest’altro siamo di Galilea. Ma credi, uomo, il buono e il cattivo è ovunque».
   «È vero. Io, per primo incontro con i galilei, trovo il buono. Donna, porta il cibo. Non ho che pane, verdure, ulive e formaggio. Sono contadino».
   «Non sono un signore neppure Io. Legnaiuolo sono».
   «Tu? Con questi modi?».
   La donna interviene: «L’ospite è di Betlem, ti ho detto, e se sono, i suoi, perseguitati, saranno stati forse ricchi e istruiti come lo erano Giosuè di Ur, Mattia di Isacco, Levi di Abramo… poveri infelici!…
   «Non sei stata interrogata. Perdonala. Le donne sono più ciarliere di passere a sera».
   «Erano famiglie betlemmite?».
   «Come? Non lo sai chi erano, se sei di Betlemme?».
   «Siamo fuggiti che Io avevo pochi mesi…».
   La donna, che proprio deve esser ciarliera, torna a parlare: «È andato via prima del massacro».
   «Eh! lo vedo. Altrimenti non ci sarebbe più al mondo. Non vi sei più tornato?».
   «No».

 5 «Che gran sventura! Pochi troverai di quelli che, mi ha detto Sara, Tu vuoi conoscere e salutare. Molti uccisi, molti fuggiti, molti… mah! dispersi, né si è mai saputo se morirono nel deserto o se furono spenti in carcere per punirli della loro ribellione. Ma fu ribellione? E chi sarebbe stato inerte lasciando sgozzare tanti innocenti? No, che giusto non è che sia ancor vivo Levi e Elia mentre tanti innocenti sono morti!».
   «Chi sono i due, e che fecero?».
   «Ma… almeno dell’eccidio saprai. L’eccidio d’Erode… Più di mille pargoli in città, un altro migliaio quasi nelle campagne. E tutti, anzi, quasi tutti maschi, perché nella furia, nel buio, nella mischia, i feroci presero, strapparono dalle cune, dai letti materni, dalle case assalite, anche delle bambinelle e le trafissero come gazzelline poppanti prese di mira da un arciere. Ebbene, tutto questo perché? Perché un gruppo di pastori, che per vincere il gelo notturno certo avevano bevuto sicera a gran sorsi, furono presi da delirio e dissero di aver visto angeli, udito canzoni, avuto indicazioni… e dissero a noi di Betlemme: “Venite. Adorate. Il Messia è nato”. Pensa: il Messia in una spelonca! 
   In verità devo dire che ebbri fummo tutti, anche io, allora adolescente, anche la moglie, di allora pochi anni… perché credemmo tutti, e in una povera donna galilea volemmo vedere la Vergine partoriente di cui parlarono i Profeti. Ma se era con un rozzo galileo! Il marito certo. Se era moglie, come poteva esser la “Vergine “?    Insomma, credemmo. Doni, adorazioni… case aperte per ospitarli… Oh! l’avevano saputa far bene la parte! Povera Anna! Ci ha rimesso i beni e la vita, e anche i figli di sua figlia, la prima, l’unica che si è salvata perché sposata con un mercante di Gerusalemme, persero i beni, perché la casa fu arsa e tutto il podere segato per ordine d’Erode. Ora è un campo incolto su cui pascolano gli armenti».
   «Tutta colpa dei pastori?».
   «No, anche di tre stregoni venuti dai regni di Satana. Forse erano compari dei tre… E noi, stolti, ce ne tenevamo per tanto onore! Quel povero archisinagogo! Lo uccidemmo per aver giurato che le profezie mettevano suggello di verità alle parole dei pastori e dei maghi…».
   «Tutta colpa dei pastori e dei maghi, dunque?».
   «No, galileo. Anche nostra. Della nostra credulità. Lo si aspettava da tanto il Messia! Secoli di attesa. Molte delusioni negli ultimi tempi per i falsi Messia. Uno era galileo, come Te, un altro aveva nome Teoda. Bugiardi! Messia loro! Non erano che avidi avventurieri in caccia di fortuna! Doveva farci sveglia la lezione. Invece…».

 6 «E allora perché maledite, tutti, i pastori e i maghi? Se vi giudicate stolti voi pure, allora dovreste maledire voi pure. Ma la maledizione non è permessa dal precetto d’amore. Maledizione attira maledizione. Avete voi la sicurezza che siete nel giusto? Non potrebbe esser vero che i pastori e i maghi avessero detto il vero, loro rivelato da Dio? Perché voler credere che fossero mentitori?».
   «Perché gli anni della profezia non erano compiuti. Dopo ci pensammo… dopo che il sangue, che fece rosse le vasche e i rii, ci aperse gli occhi del pensiero».
   «E non avrebbe potuto l’Altissimo, per eccesso d’amore verso il suo popolo, anticipare la venuta del Salvatore? Su che basarono i maghi la loro asserzione? Mi hai detto che venivano da Oriente… »
   «Dai loro calcoli su una nuova stella».
   «E non è detto: “Una stella nascerà da Giacobbe e una verga si alzerà da Israele”. E Giacobbe non è il grande patriarca e non ebbe sosta in questa terra di Betlem a lui cara come pupilla del suo occhio, perché ivi morì la sua diletta Rachele? E ancor non è detto da bocca profetica: “Un germoglio spunterà dalla radice di Jesse e un fiore verrà da questa radice”? Isaia, padre di Davide, qui nacque. Il germoglio sulla stirpe, segata alla radice da usurpazione di tiranni, non è la ” Vergine ” che partorirà il Figliolo, non avuto da uomo, ché allora non più vergine sarebbe, ma da volere divino, onde Egli sarà ” l’Emmanuele ” perché Figlio di Dio, sarà Dio e porterà perciò Dio fra il popolo di Dio come il suo nome dice? E non sarà annunciato, dice la profezia, ai popoli delle tenebre, ossia ai pagani “da una gran luce”? E la stella vista dai maghi non potrebbe esser la stella di Giacobbe, la grande luce delle due profezie di Balaam e di Isaia? E lo stesso eccidio compiuto da Erode non rientra nelle profezie? “Un grido s’è sentito nell’alto… È Rachele che piange i suoi figli” (Ger. 31,15). Era segnato che lacrime gemessero le ossa di Rachele nel suo sepolcro di Efrata quando, per il Salvatore, sarebbe venuta la ricompensa al popolo santo. Lacrime per poi mutarsi in celeste riso, come l’arcobaleno che è fatto delle ultime gocce del temporale, ma dice: “Ecco, il sereno è concesso “».
   «Sei molto dotto. Sei rabbi?».
   «Lo sono».
   «E io lo sento. Vi è luce e vero nelle tue parole. Ma però… oh! troppe ferite sanguinano ancora in questa terra di Betlem per il vero o falso Messia… Non consiglierei lo Stesso a venire mai qui. La terra lo respingerebbe come si respinge un figliastro per causa del quale morirono i figli veri. Ma già… se era Lui… e morto con gli altri sgozzati».

 7 «Dove abita ora Levi, e dove Elia?».
   «Li conosci?». L’uomo è in sospetto.
   «Non li conosco. Il loro viso m’è ignoto. Ma sono infelici, ed Io ho sempre pietà degli infelici. Voglio andare a trovarli».
   «Umh! sarai il primo dopo quasi sei lustri. Sono ancora pastori e servono un ricco erodiano di Gerusalemme che si è appropriato di molti beni degli uccisi… C’è sempre chi guadagna! Li troverai coi greggi verso le alture che vanno a Ebron. Ma, un consiglio. Non ti far vedere a parlare con essi dai betlemmiti. Ne avresti danno. Li sopportiamo perché… perché c’è l’erodiano. Se no…».
   «Oh! l’odio! Perché odiare?».
   «Perché è giusto. Ci hanno fatto del male».
   «Hanno creduto fare bene».
   «Ma fecero male. E male sì abbiano. Dovevamo ucciderli come fecero uccidere con la loro stoltezza. Ma eravamo inebetiti e dopo… c’era l’erodiano».
«Se non c’era lui, allora, anche dopo il primo, ancor compatibile sussulto di vendetta, avreste ucciso?».
«Anche ora uccideremmo se non avessimo paura del padrone loro».
«Uomo, Io ti dico: non odiare. Non desiderare il male. Non desiderare di fare il male. Qui non vi è colpa. Ma anche vi fosse, perdona. In nome di Dio perdona. Dillo agli altri betlemmiti. Quando cadrà l’odio dai vostri cuori verrà il Messia; lo conoscerete, allora, perché Egli è vivente, Egli era già quando la strage avvenne. Io ve lo dico. Non per colpa dei pastori e dei maghi, ma per colpa di Satana avvenne la strage. Il Messia vi è nato qui, è venuto a portare la Luce alla terra dei suoi padri. Figlio di Madre vergine della stirpe di Davide, nelle rovine della casa di Davide aperse al mondo il fiume delle grazie eterne, aperse la Vita all’uomo…».
   «Via, via! esci di qui! Tu, seguace di questo falso Messia, che non poteva che esser falso, perché ci ha portato sventura, a noi di Betlemme. Tu lo difendi, perciò…».
   «Silenzio, uomo. Io sono giudeo e ho amici in alto. Potrei farti pentire dell’insulto» scatta Giuda, prendendo per la veste il contadino e scuotendolo, violento e acceso d’ira.
   «No, no, via di qua! Non voglio noie né coi betlemiti, né con Roma ed Erode. Andatevene, maledetti, se non volete che vi lasci un segno. Via!… »
   «Andiamo, Giuda. Non reagire. Lasciamolo nel suo livore. Dio non penetra dove è astio. Andiamo».
   «Si, andiamo. Ma me la pagherete».
   «No, Giuda. No. Non dire così. Sono ciechi… Ce ne saranno tanti sul mio percorso… »

 8 «Escono, seguendo Simone e Giovanni che sono già fuori e che parlottano con la donna, dietro l’angolo della stalla.
   «Perdona al marito mio, Signore. Non credevo di far tanto male… Ecco, tieni. Le prenderai domattina. Sono fresche, di oggi. Non ho altro… Perdono. Dove dormirai?» (Dà delle uova).
   «Non ci pensare. So dove andare. Va’ in pace per la tua bontà. Addio».
Camminano per qualche metro in silenzio, poi Giuda esplode: «Però Tu, a non farti adorare! Perché non far curvare nella mota quel lurido bestemmiatore? A terra! Atterrato per aver mancato a Te, Messia… Oh! io lo avrei fatto! I samaritani vanno inceneriti col miracolo. Non li scuote che quello».
   «Oh! quante volte lo sentirò dire! Ma dovessi incenerire per ogni peccato verso Me!… No, Giuda. Io sono venuto per creare. Non per distruggere».
   «Già. Ma intanto gli altri distruggono Te».
   Gesù non ribatte.
   Simone chiede: «Dove andiamo, ora, Maestro?».
   «Venite con Me. So un luogo».
   «Ma se non ci sei mai stato, da quando fuggisti, come lo sai?» chiede, ancora irritato, Giuda.
   «Lo so. Non è bello. Ma ci fui un’altra volta. Non è in Betlemme… un poco fuori… Pieghiamo da questa parte».
   Gesù avanti, poi Simone, poi Giuda, ultimo Giovanni…

 9 Nel silenzio, rotto solo dal fruscìo dei sandali sulle ghiaiuzze del sentiero, si sente un singhiozzo.
   «Chi piange?» chiede Gesù voltandosi.
   E Giuda: «È Giovanni. Ha avuto paura».
   «No. Non paura. Avevo già la mano sul coltello che ho alla cintura… Ma mi sono ricordato del tuo: “Non uccidere, perdona “. Lo dici sempre…».
   «E allora perché piangi?» chiede Giuda. 
   «Perché soffro a vedere che il mondo non vuole Gesù. Non lo riconosce e non lo vuole conoscere. Oh! è un tal dolore! Come mi frugassero in cuore con degli spini fatti di fuoco. Come avessi visto calpestare mia madre e sputare sul volto di mio padre… Più ancora… Come avessi visto i cavalli romani mangiare nell’Arca Santa e far riposo nel Santo dei Santi».
   «Non piangere, Giovanni mio. Lo dirai, per questa e per infinite altre volte: “Egli era la Luce venuta a splendere fra le tenebre, ma le tenebre non lo compresero. Venne nel mondo che per Lui era stato fatto, ma il mondo non lo conobbe. Venne alla sua città, alla sua casa, e i suoi non lo ricevettero”. Oh! non piangere così!».
   «Questo non succede in Galilea!» sospira Giovanni.
   «Allora neppure in Giudea» ribatte Giuda. «Gerusalemme ne è la capitale e, or sono tre giorni, osannava a Te, Messia. Qui… posto di rozzi pastori, contadini e ortolani… non e da prender per base. Anche i galilei, va’ là, non saranno tutti buoni. Del resto, Giuda il falso Messia di dove era? Si diceva…».
   «Basta, Giuda. Non conviene inquietarsi. Io sono calmo. Siatelo voi pure. Giuda, vieni qui. Ti devo parlare».
   Giuda lo raggiunge. «Prendi la borsa. Tu farai le spese. Per domani».
   «E per ora, dove albergheremo?».
   Gesù sorride e tace. 

10 La notte è scesa. La luna veste tutto di candore. Gli usignoli cantano fra gli ulivi. Un rio è un nastro d’argento sonante. Dai prati falciati viene odor di fieni: caldo, direi carnale. Qualche muggito. Qualche belato. E stelle, stelle, stelle… una semina di stelle sul velano del cielo, un baldacchino di gemme vive steso sulle colline di Betlemme.
   «Ma qui!… Son rovine. Dove ci conduci? La città è più là».
   «Lo so. Vieni. Segui il rio, dietro a Me. Ancora pochi passi, e poi… poi ti offrirò l’alloggio del Re d’Israele».
   Giuda si stringe nelle spalle e tace.
   Ancora pochi passi. Poi ecco un ammasso di case franate. Resti di abitazioni… Un antro fra due spacchi del muraglione.
   Gesù dice: «Avete l’esca? Accendete».
Simone accende un fanaletto tratto dalla sua bisaccia e lo dà a Gesù.
«Entrate» dice il Maestro alzando il lumino. «Entrate. Questa è la camera della natività del Re d’Israele».
   «Tu scherzi, Maestro! Questa è una fetida spelonca. Ah! io non ci sto per davvero! Ne ho schifo: umida, fredda, puzzolente, piena di scorpioni, di serpi forse… »
«   Eppure… Amici, qui, la notte del 25, d’Encenie, dalla Vergine nacque Gesù Cristo, l’Emmanuele, il Verbo di Dio fatto Carne per amore dell’uomo: Io che vi parlo. Anche allora, come ora, il mondo fu sordo alle voci del Cielo che parlavano ai cuori… ed ha respinto la Madre… e qui… No, Giuda, non torcere con disgusto lo sguardo da quelle nottole svolazzanti, da quei ramarri, da quelle tele di ragno, non sollevare con schifo la tua bella veste ricamata perché non strusci sul suolo coperto degli escrementi animali. Quelle nottole sono le figlie delle figlie di quelle che furono i primi balocchi agitati sotto gli occhi del Bambino, per il quale gli angeli cantavano il “Gloria” udito dai pastori, non ebbri altro che di estatica gioia, di vera gioia. Quei ramarri, col loro smeraldo, furono i primi colori che colpirono la mia pupilla, i primi dopo il candore della veste e del materno volto. Quelle tele di ragno, i baldacchini della mia culla regale. Questo suolo… oh! lo puoi calpestare senza sdegno… È coperto di escrementi… ma è santificato dal piede di Lei, la Santa, la grande Santa, la Pura, l’Inviolata, la Puerpera deipara, Colei che partorì perché doveva partorire, partorì perché Dio, non l’uomo, glielo disse e l’incinse di Sé. Lei, la Senza Macchia, l’ha premuto. Tu lo puoi calpestare. E per le piante dei tuoi piedi Dio voglia ti salga al cuore la purezza da Lei effusa… »

11 Simone si è inginocchiato. Giovanni va dritto alla greppia e piange col capo appoggiato ad essa. Giuda è esterrefatto… poi lo vince l’emozione e, senza più pensare alla sua bella veste, si butta al suolo, prende il lembo della veste di Gesù, la bacia e si batte il petto dicendo: «Oh! misericordia, Maestro buono, della cecità del tuo servo! La mia superbia cade… ti vedo qual sei. Non il re che io pensavo. Ma il Principe eterno, il Padre del secolo futuro, il Re della pace. Pietà, Signore e Dio mio! Pietà!».
   «Si. Tutta la mia pietà! Ora dormiremo dove dormì l’Infante e la Vergine, là dove Giovanni ha preso il posto della Madre adorante, qui dove Simone pare il mio padre putativo. Oppure, se lo preferite, vi parlerò di quella notte…».
   «Oh! sì, Maestro. Facci conoscere il tuo fiorire».
   «Perché sia perla di luce nei nostri cuori. E perché lo possiamo ridire al mondo».
   «E venerare la Madre tua, non solo per esserti madre, ma per essere… oh! per essere la Vergine!».
Prima ha parlato Giuda, poi Simone, poi Giovanni col volto che piange e ride, là presso la greppia…
   «Venite sul fieno. Udite… e Gesù racconta la sua notte natale: «…essendo la Madre già prossima al tempo di partorire, venne, per ordine di Cesare Augusto, fatto bando dal delegato imperiale Publio Sulpizio Quirino, mentre era governatore della Palestina Senzio Saturnino. Il bando era: censire tutti gli abitanti dell’Impero. Coloro che schiavi non fossero dovevano recarsi nei luoghi di origine, per iscriversi negli albi dell’Impero. Giuseppe, sposo della Madre, era della stirpe di Davide, e di Davide era la Madre. Ubbidendo perciò al bando, lasciarono Nazareth per venire in Betlemme, culla della stirpe regale. Rigido il tempo…». 
   Gesù continua il racconto e tutto cessa così.

   Cap. CDLXXIII. Guarigione di un bambino cieco di Sidone e un insegnamento per le mogli di oggi.

   15 agosto 1944

 1 Vedo Gesù che, circondato dagli apostoli e da popolo, esce da una sinagoga. Capisco che è una sinagoga perché dalla porta spalancata vedo lo stesso ammobiliamento che ho visto in quella di Nazaret, in una delle visioni preparatorie alla Passione.
   La sinagoga è sulla piazza centrale del paese. Una piazza nuda, senza altro che case intorno, una vasca al centro, alimentata da una fontana che getta una bell’acqua limpida da un’unica bocca fatta da una pietra scavata a tegolo. La vasca serve ad abbeverare i quadrupedi e i molti colombi che svolazzano da casa a casa, la fonte ad empire le brocche delle donne, belle anfore di rame, molte lavorate a martello, altre lisce, che splendono al sole. Perché vi è sole caldo. La terra della piazza è asciutta, giallognola come è quando un gran sole la secca. Non vi è neanche un albero sulla piazza. Ma ciuffi di fichi e tralci d’uva traboccano dai muretti degli orti, che si allungano nelle quattro vie che sboccano sulla piazza. Deve essere una fine d’estate e una fine giornata. Perché sulle pergole vi è uva matura e il sole non cade a perpendicolo ma ha i raggi obliqui del tramonto. 
   Sulla piazza dei malati attendono Gesù. Non vedo però fra questi nessun miracolo. Egli passa, si curva su loro, li benedice e conforta, ma non li risana, almeno in quel momento. Vi sono anche donne con dei bambini e uomini di ogni età. Paiono noti al Salvatore, perché Egli li saluta a nome ed essi gli si affollano intorno con confidenza. Gesù carezza i bambini curvandosi amorosamente su loro.

 2 In un angolo della piazza è una donna con un bambino o bambina (sono vestiti tutti di una uguale tunichella a colori chiari). Non pare del luogo. Direi che è di condizione sociale più elevata degli altri. La veste è più lavorata, con galloni e pieghe; non è la semplice tunica delle popolane, che ha un cordone alla vita per unico ornamento e modellatura della veste. Questa donna ha invece un abito più complicato che, senza essere il capolavoro di vestiario che erano quelli della Maddalena, è già molto aggraziato. In testa un velo leggero, molto più di quello che hanno le altre, il quale non è che un lino sottile, mentre questo invece è quasi una mussola tanto è lieve. Esso è appuntato a metà testa, con grazia, e lascia vedere e intravedere la capigliatura castana ben pettinata, con ciocche intrecciate semplicemente ma con una cura più esperta di quella delle altre donne, che hanno delle trecce in groppo sulla nuca o passate a cerchio sul capo. Sulle spalle un mantello vero e proprio, ossia una stoffa non so se cucita o tessuta in tondo, che intorno al collo ha un gallone finito in una fermatura d’argento. La stoffa del mantello cade ampia sino al malleolo con belle pieghe.
   La donna ha per mano il bambino o bambina che ho detto. Un bel bambino di un sette anni circa. È anche robusto, ma per niente vivace. Sta quieto quieto, a capo chino, per mano della mamma, senza occuparsi di quanto avviene.
   La donna guarda, ma non osa avvicinarsi al gruppo che si è stretto intorno a Gesù. Pare indecisa, in contrasto fra la voglia di andare e la tema di farsi avanti. Ma poi decide una cosa di mezzo: attirare l’attenzione di Gesù. Vede che Questo ha preso fra le braccia un bambolone tutto roseo e ridente che una madre gli ha offerto e che, parlando ad un vecchietto, se lo stringe al cuore con moto di cuna. Si curva sul suo bambino e gli dice qualche cosa.
   Il bambino alza il capo. Vedo allora un visetto triste, dagli occhi chiusi. È cieco. «Pietà di me, Gesù! », dice. La vocina infantile incrina l’aria ferma della piazza e va, col suo lamento, sino al gruppo.

 3 Gesù si volge e vede. Si muove subito. Con una sollecitudine amorosa. Non consegna neppure il pargolo, che ha in braccio, alla madre. Va, alto e bellissimo, verso il povero ciechino, che dopo il suo grido ha riabbassato il capo, inutilmente sollecitato dalla madre a ripetere il grido.
   Gesù è di fronte alla donna. La guarda. Anche lei lo guarda; poi, timidamente, china lo sguardo. Gesù l’aiuta. Ha reso l’infante, che aveva in braccio, alla donna che glielo aveva porto. 
   «Donna, è tuo questo figlio? ».
   «Sì, Maestro, è il mio primogenito ».
   Gesù lo accarezza sulla testolina chinata. Gesù pare non abbia visto la cecità del piccolo. Ma penso che lo faccia di proposito per far formulare alla madre la sua richiesta.
   «L’Altissimo ha dunque benedetto la tua casa con numerosa prole e dandoti per primo il maschio sacro al Signore ».
   «Ho un maschio solo, questo, e tre altre bambine. E non ne avrò altri… ». Un singhiozzo.
   «Perché piangi, donna? ».
   «Perché il mio maschio è cieco, Maestro! ».
   «E tu vorresti che egli vedesse. Puoi credere? ».
   «Credo, Maestro. Mi hanno detto che Tu hai aperto gli occhi che erano chiusi. Ma il mio bambino è nato con occhi seccati. Guardalo, Gesù. Sotto le palpebre non c’è nulla… ».   
   Gesù alza verso di Sé il visetto precocemente serio e guarda sollevando col pollice le palpebre. Un vuoto è di sotto. Torna a parlare tenendo alzato con una mano il visetto verso di Sé.
   «Perché sei venuta, allora, donna? ».
   «Perché… lo so che è più difficile per il mio bambino… ma se è vero che Tu sei l’Atteso, Tu lo puoi fare. Il Padre tuo ha fatto i mondi… Non potresti Tu fare due pupille alla mia creatura? ».
   «Tu credi che Io vengo dal Padre, Signore altissimo? ».
   «Credo questo e che Tu tutto possa ».

 4 Gesù la guarda come per valutare quanta fede sia in lei e di che purezza sia tal fede. Ha un sorriso. Poi dice: «Bambino, vieni a Me », e lo conduce per mano su un muretto alto un mezzo metro, che si alza dalla strada a una casa, una specie di spalletta per riparare questa dalla via che ha una svolta in quel punto.
   Quando il bambino è ben sicuro su quel rialzo, Gesù si fa serio, imponente. La folla si accalca intorno a Lui, al bambino e alla madre trepidante. Io vedo Gesù di lato, di profilo. Tutto paludato nel suo mantello blu scurissimo sulla veste appena un poco più chiara, ha un viso ispirato. Pare più alto e fin più robusto, come sempre quando sprigiona una potenza di miracolo. E questa volta è una delle volte che mi pare più imponente. Pone le mani sul capo del bambino, le mani aperte, ma coi due pollici si appoggia alle orbite vuote. Alza il capo e prega intensamente ma senza muovere labbro. Un colloquio, certo, col Padre suo. Poi dice: «Vedi! Lo voglio! E loda il Signore! », e alla donna: «Sia premiata la tua fede. Eccoti il figlio che sarà il tuo onore e la tua pace. Mostralo a tuo marito. Egli tornerà al tuo amore e nuovi giorni felici conoscerà la tua casa ».

 5 La donna, che ha già avuto un grido acutissimo di gioia vedendo che, levati i pollici divini, dalle occhiaie vuote due splendidi occhi azzurro cupo come quelli del Maestro la fissano stupiti e felici sotto la frangia dei morati capelli, ha un altro grido e, pur tenendo il figlio serrato contro il cuore, si inginocchia ai piedi di Gesù dicendo: «Anche questo sai? Ah! Tu sei veramente il Figlio di Dio », e gli bacia la veste e i sandali, e poi si alza trasfigurata di gioia e dice: «Udite tutti. Io vengo dalla lontana terra di Sidone. Sono venuta perché una madre mi ha parlato del Rabbi di Nazaret. Mio marito, giudeo e mercante, ha in quella città i suoi empori per il commercio con Roma. Ricco e fedele alla Legge, non mi amò più da quando io, dopo avergli dato un maschio infelice, gli ho partorito tre femmine e poi sono divenuta sterile. Egli si è allontanato dalla sua casa ed io, senza essere ripudiata, ero nelle stesse condizioni di una ripudiata, e già sapevo che egli voleva disfarsi di me per avere da altra donna un erede capace di continuare il commercio e godere delle ricchezze paterne. Prima di partire sono andata dallo sposo e gli ho detto: “Attendi, signore. Attendi che io torni. Se tornerò col figlio ancor cieco,  ripudiami. Ma altrimenti non ferire a morte il cuor mio e negare un padre ai figli tuoi”. Ed egli mi ha giurato: “Per la gloria del Signore, donna, io ti giuro che se mi porti il figlio sano – non so come potrai fare, poiché il tuo ventre non seppe dargli occhi – io tornerò a te come i giorni del primo amore”. Il Maestro non poteva sapere nulla del mio dolore di sposa, eppure mi ha consolata anche in questo. Gloria a Dio e a Te, Maestro e Re ». La donna è daccapo in ginocchio e piange di gioia.

 6 «Và. Dì a Daniele, tuo marito, che Colui che ha creato i mondi ha dato due chiare stelle per pupille al piccolo sacro al Signore. Perché Dio è fedele alle sue promesse ed ha giurato che chi crede in Lui vedrà ogni sorta di prodigio. Sia ora fedele lui al giuramento che ha fatto e non commetta peccato di adulterio. Dì questo a Daniele. Và. Sii felice. Benedico te e questo fanciullo, e con te chi ti è caro ».
   La folla ha un coro di lodi e di felicitazioni, e Gesù entra in una casa vicina come per riposare.
   La visione cessa così. E le assicuro che mi ha profondamente colpita.

   17 agosto 1944

 7 Dice Gesù:
   «Dio, per coloro che hanno fede in Lui, supera sempre le richieste dei figli e dà più ancora. Credilo questo e credetelo tutti. Alla donna che da Sidone era venuta a Me con le due spade infisse nel segreto del cuore e, poiché svelare certe intime sventure è più penoso che dire: “Sono malato”, non osa che dirmene il nome di una, Io do anche il secondo miracolo.
   Agli occhi del mondo sarà parso, e sembrerà tuttora, che sia molto più facile rendere concordia a due sposi separati da un motivo che ormai è superato, e felicemente, che non dare due pupille a due occhi nati senza pupilla. Ma no. Non è così. Fare due pupille per il Signore e Creatore è cosa semplicissima, come rendere ad un cadavere il soffio della vita. Il Padrone della vita e della morte, il Padrone di tutto quanto è nel creato, non manca certo di soffio vitale da riinfondere ai morti e di due gocce d’umore per un occhio essiccato. Basta che voglia, che può. Perché ciò dipende dal volere di Lui solo. Ma, quando si tratta di concordia fra uomini, ci vuole la “volontà” degli uomini unita al desiderio di Dio. Dio non violenta che raramente la libertà umana. In via di massima vi lascia liberi di agire come volete.
   Quella donna, vivente in paese di idolatri e rimasta credente come lo sposo nel Dio dei suoi padri, merita già benignità da Dio. Spingendo poi la sua fede oltre il limite delle misure umane, superando i dubbi e le negazioni della maggioranza dei credenti giudei – e lo prova il suo dire allo sposo: “Attendi il mio ritorno”, certa di tornare col figlio guarito – merita doppio miracolo. Merita anche questo difficile miracolo di aprire gli occhi dello spirito al suo consorte, occhi che si erano spenti a vedere l’amore e il dolore della sposa, e facevano a lei colpa di ciò che colpa non è.

 8 Voglio anche, e questo per le spose, che si rifletta all’umiltà rispettosa di questa loro sorella. “Sono andata dallo sposo e gli ho detto: attendi, signore”.
   Ella era dalla parte della ragione, perché fare colpa ad una madre di un difetto di nascita è stoltezza e crudeltà. Già il suo cuore è franto dalla vista della creatura infelice. Doppiamente è dalla parte della ragione, perché trascurata dal marito da quando è sterile, ed è a conoscenza della sua intenzione di divorzio, eppure rimane la “moglie”. Ossia la compagna fedele e sottomessa al compagno, come è voluto da Dio e insegnato dalla Scrittura. Non ribellione né sete di vendetta o intenzione di trovare altro uomo per non essere la “donna sola”.
   “Se non tornerò col figlio guarito, ripudiami. Ma, altrimenti, non ferire a morte il cuor mio e non negare un padre ai tuoi figli”. Non sembra di sentire parlare Sara e le antiche donne ebree? Come è diverso, o mogli, il vostro linguaggio di ora! Ma, anche, come è diverso quello che voi ottenete da Dio e dallo sposo. E le famiglie si distruggono sempre più.

 Come sempre, nel compiere il miracolo, ho dovuto dare un segno che lo rendesse ancor più incisivo. Avevo da persuadere tutto un mondo, chiuso nelle barriere di tutta una secolare maniera di pensare e guidato da una setta che mi era nemica. Ecco la necessità di far splendere chiaramente il mio potere soprannaturale. Ma l’insegnamento della visione non è in questo. È nella fede, nella umiltà, ma fedeltà al coniuge, nella giusta via presa, o mogli e madri che avete trovato spine dove vi promettevate delle rose, per vedere nascere sugli aculei che vi feriscono nuovi rami fioriti.
   Volgetevi al Signore Iddio vostro, che ha creato il coniugio perché l’uomo e la donna non fossero soli e si amassero formando una carne sola e indissolubile, posto che fu insieme congiunta, e che vi ha dato il Sacramento perché sulle nozze scendesse la benedizione sua, e per i meriti miei voi aveste quanto vi è necessario nella nuova via di coniugi e di procreatori. E, per volgervi a Lui con volto e animo sicuri, siate oneste, buone, rispettose, fedeli, vere compagne dello sposo, non semplici ospiti della sua casa, o, peggio ancora, estranee che un caso riunisce sotto un tetto come due che il caso riunisce in un albergo di pellegrini.
   Troppe volte questo avviene ora. L’uomo manca? Male fa. Ma questo non giustifica la maniera di agire di troppe mogli. Ancor meno la giustifica quando ad un buon compagno voi non sapete rendere bene per bene e amore per amore. Non voglio neppure contemplare il troppo comune caso di vostre carnali infedeltà, che non vi fanno dissimili dalle meretrici, con l’aggravante di fare del vizio ipocritamente e di sporcare l’altare della famiglia intorno al quale sono le anime angeliche dei vostri innocenti. Ma parlo della vostra infedeltà morale al patto d’amore giurato davanti al mio altare.
   Ebbene, Io ho detto: “Colui che guarda una donna con desiderio commette adulterio nel suo cuore”; Io ho detto: “Colui che rimanda la moglie con libello di divorzio l’espone all’adulterio”. Ma ora, ora che troppe mogli sono delle estranee al marito, Io dico: “Coloro che non amano in anima, mente e carne il loro compagno, lo spingono all’adulterio, e se a costui Io chiederò il perché del suo peccato, non lo farò da meno per colei che non ne è l’esecutrice, ma la creatrice”. La Legge di Dio occorre saperla comprendere in tutta la sua estensione e profondità e occorre saperla vivere in piena verità.
   Sta’ con la mia pace, tu cui questo non tocca, e tieni il tuo cure fisso in Me ».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!