Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo

Come l’anniversario della dedicazione del tempio di Gerusalemme era giorno solenne presso gli Ebrei, cosi i cristiani celebrano la consacrazione delle loro chiese.

Tra questi luoghi sacri che gli Apostoli di Cristo resero celebri e che i cristiani venerano, il primo fu sempre la Confessione o tomba di S. Pietro.

Si dice che l’illustre Principe degli Apostoli fosse sepolto, subito dopo la morte, nel luogo stesso del martirio, sul colle Vaticano. S. Paolo, decapitato alle Acque Salvie, venne deposto lungo la via Ostiense, fuori le mura di Roma e precisamente ove ora sorge l’attuale e grandiosa basilica in suo onore.

Il pio imperatore Costantino, dopo aver fatto costruire la prima chiesa in Laterano, ne fece fabbricare sette altre a Roma ed un numero maggiore in Italia. La prima delle sette chiese romane, situata sul Colle Vaticano, fu dedicata a S. Pietro; la seconda la fece sorgere lungo la via Ostiense, poco distante dal luogo del martirio di S. Paolo e a lui fu dedicata.

Dopo oltre 11 secoli, l’antica basilica vaticana minacciava di cadere, quando sotto il pontificato di Giulio II nel 1506 fu riedificata secondo l’attuale grandioso disegno e nuovamente consacrata da Papa Urbano VIII il 18 novembre del 1626. I più grandi artisti del tempo, quali Bramante, Raffaello, Michelangelo e Bemini, vi lavorarono. Sotto i suoi altari si conservano le reliquie di un gran numero di Papi martiri e di santi; ma le più preziose sono quelle di S. Pietro, poste sotto un magnifico altare detto della Confessione, su cui solo il Romano Pontefice può celebrare la S. Messa.

La ricchissima basilica di S. Paolo, che il 18 luglio 1823 fu distrutta da un incendio, venne riedificata anche essa con nuovo splendore e riconsacrata con grandissima pompa dal Pontefice Pio IX il 10 dicembre 1854 tra immenso stuolo di cardinali e vescovi convenuti da tutto l’orbe cristiano a Roma per la proclamazione del dogma dell’Immacolata.

Oggi dunque, come 15 secoli addietro, ricordando gli anniversari della consacrazione di queste due basiliche, veneriamo in esse le gloriose spoglie dei Principi degli Apostoli, anche oggi, come allora, meta di continui pellegrinaggi.

PRATICA. La chiesa è la casa del Signore, è luogo di preghiera e perciò merita rispetto e devozione.

PREGHIERA. Ti preghiamo, Dio onnipotente, che in questi luoghi da noi dedicati al tuo nome, tu porga orecchio misericordioso a quanti ti invocano.

MARTIROLOGIO ROMANO. Dedicazione delle basiliche dei santi Pietro e Paolo, Apostoli, delle quali la prima, edificata dall’imperatore Costantino sul colle Vaticano al di sopra del sepolcro di san Pietro, consunta dal tempo e ricostruita in forma più ampia, in questo giorno fu nuovamente consacrata; l’altra, sulla via Ostiense, costruita dagli imperatori Teodosio e Valentiniano e poi distrutta da un terribile incendio e completamente ricostruita, fu dedicata il 10 dicembre. Nella loro comune commemorazione viene simbolicamente espressa la fraternità degli Apostoli e l’unità della Chiesa.

Nome: Dedicazione delle basiliche dei Santi Pietro e Paolo
Titolo: Apostoli
Ricorrenza: 18 novembre
Tipologia: Memoria facoltativa

Vangelo Lc 19, 41-44:«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! ».

Vangelo Novus Ordo Lc 19, 41-44
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, quando fu vicino a Gerusalemme, alla vista della città pianse su di essa dicendo:
«Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, quello che porta alla pace! Ma ora è stato nascosto ai tuoi occhi.
Per te verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno di trincee, ti assedieranno e ti stringeranno da ogni parte; distruggeranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
« Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. DXC. Il pianto su Gerusalemme e l’entrata trionfale nella Città santa. Morte di Annalia.

   30 marzo 1947.

 1 Gesù passa il suo braccio sulle spalle di sua Madre, che si è alzata quando Giovanni e Giacomo d’Alfeo l’hanno raggiunta per dirle: «Tuo Figlio viene», e poi sono tornati indietro per riunirsi ai compagni che procedono lentamente, parlando, mentre Tommaso e Andrea sono corsi verso Betfage per cercare l’asina e l’asinello e condurli a Gesù.
   Gesù intanto parla alle donne. «Eccoci presso alla città. Io vi consiglio di andare. E andare sicure. Entrate prima di Me in città. Presso En Rogel sono tutti i pastori e i più fidi discepoli. Hanno ordine di farvi scorta e protezione».
   «È che… Abbiamo parlato con Aser di Nazaret e Abele di Betlemme di Galilea e anche con Salomon. Erano venuti fin qui per spiare il tuo arrivo. La folla prepara gran festa. E noi si voleva vedere… Vedi come si scuotono le cime degli ulivi? Non è vento che le agita così. Ma è la gente che coglie rami per spargerne la via e farti velo al sole. E là?! Guarda là, stanno spogliando le palme dei loro ventagli. Sembrano grappoli e sono uomini saliti sui fusti a cogliere e cogliere… E, sui pendii, vedi curvi i bambini a cogliere fiori. E le donne certo spogliano orti e giardini da corolle e da erbe odorose per giuncarti il cammino di fiori. Noi si voleva vedere… e imitare il gesto di Maria di Lazzaro, che raccolse tutti i fiori premuti dal tuo piede quando entrasti nel giardino di Lazzaro», prega Maria Cleofe per tutte.
   Gesù carezza sulla guancia la sua vecchia parente, che sembra una bambina vogliosa di vedere uno spettacolo, e le dice: «Nella gran folla non vedresti nulla. Andate avanti. Alla casa di Lazzaro, quella che ha per custode Mattia. Passerò di là e mi vedrete dall’alto».
   «Figlio mio… e vai solo? Non posso starti vicino?», dice Maria alzando il volto così triste e fissando i suoi occhi di cielo sul suo dolce Figlio.
   «Vorrei pregarti di stare nascosta. Come la colomba nella fessura della rupe. Più della tua presenza mi è necessaria la tua preghiera, Mamma diletta! ».
   «Se è così, Figlio mio, noi pregheremo. Tutte. Per Te».
   «Sì. Dopo averlo visto passare, verrete con noi nel mio palazzo di Sion. E io manderò dei servi al Tempio e sempre dietro al Maestro, perché essi ci portino i suoi ordini e le sue notizie», decide Maria di Lazzaro, sempre rapida nell’afferrare ciò che è il migliore da farsi e a farlo senza indugio.
   «Hai ragione, sorella. Benché mi dolga non seguirlo, comprendo la giustizia dell’ordine. E, del resto, Lazzaro ci ha detto di non contraddire il Maestro in cosa alcuna, ma di ubbidirlo anche nelle cose più tenui. E lo faremo».
   «E allora andate. Vedete? Le vie si animano. Stanno per raggiungermi gli apostoli. Andate. La pace sia con voi. Vi farò venire nelle ore che giudicherò buone. Mamma, addio. Abbi pace. Dio è con noi». La bacia e congeda. E le ubbidienti discepole se ne vanno sollecite.

 2 I dieci apostoli raggiungono Gesù. «Le hai mandate avanti?».
   «Sì. Vedranno da una casa la mia entrata».
   «Da quale casa?», chiede Giuda di Keriot.
   «Eh! sono ormai tante le case amiche!», dice Filippo. 
   «Non da Annalia?», insiste l’Iscariota.
   Gesù risponde negativamente e si incammina verso Betfage, che è poco lontana.
   Gli è prossimo quando tornano indietro i due mandati a prendere l’asina e l’asinello. Gridano: «Abbiamo trovato come Tu hai detto e ti avremmo condotto gli animali. Ma il padrone di essi volle strigliarli e ornarli delle migliori bardature per onorarti. E i discepoli, uniti a quelli che hanno passato la notte nelle vie di Betania per onorarti, vogliono avere l’onore di condurteli, e noi abbiamo annuito. Ci è parso che il loro amore meritasse un premio».
   «Avete fatto bene. Andiamo avanti, intanto».
   «Sono molti i discepoli?», chiede Bartolomeo.
   «Oh! una moltitudine. Non si riesce a penetrare per le vie di Betfage. Per questo ho detto a Isacco di condurre l’asino da Cleante il formaggiaio», risponde Tommaso.
   «Hai fatto bene. Andiamo sino a quel balzo del colle. E attendiamo un poco all’ombra di quegli alberi».      Vanno dove Gesù indica.
   «Ma ci allontaniamo! Tu superi Betfage girandola alle spalle!», esclama l’Iscariota.
   «E se voglio farlo, chi me lo può proibire? Sono forse già prigioniero, che non mi sia lecito di andare dove voglio? E c’è forse fretta che Io lo sia e si teme che Io possa sfuggire alla cattura? E se giudicassi giusto di allontanarmi per luoghi più sicuri, c’è alcuno che lo potrebbe impedire?». Gesù dardeggia i suoi occhi sul Traditore, che non apre più bocca e si stringe nelle spalle come per dire: «Fa’ ciò che ti pare».
   Girano infatti dietro alle spalle del paesello, direi un sobborgo della stessa città, perché dal lato ovest è proprio poco lontano dalla città, facente già parte delle pendici dell’Uliveto che corona Gerusalemme nel lato orientale. In basso, fra le pendici e la città, il Cedron brilla al sole d’aprile.
   Gesù si siede in quel silenzio verde e si concentra nei suoi pensieri. Poi si alza e va proprio sul ciglio del balzo.

 3 Dice Gesù: «Qui metterai la visione del 31 luglio 1944 : “Gesù che piange su Gerusalemme” dalla frase che ti ho detta per inizio di visione.» E poi riprende a mostrami le fasi dela sua entrata trionfale.

 30 luglio

4 Non so come farò a descrivere, perché mi sento tanto male di cuore che non sto seduta che a fatica. Ma tanto è così. Devo scrivere ciò che vedo.
Mi si illumina il Vangelo di oggi, 9a domenica dopo la Pentecoste.
Da un poggio presso Gerusalemme Gesù guarda la città stesa ai suoi piedi.
Non è un poggio molto alto. Al massimo come può esserlo il piazzale di S. Miniato a monte, a Firenze; ma basta perché l’occhio domini sulla distesa di tutte le case e delle vie, che salgono e scendono su e giù per le piccole elevazioni di terreno che costituiscono Gerusalemme. Questo colle è certo molto più alto, se si prende il livello più basso della città, di quanto non sia il Calvario, ma è più vicino alla cinta di quello. Proprio ha inizio appena fuori delle mura e si alza con un balzo ripido dalla parte delle stesse, mentre dall’altra scende mollemente verso una campagna tutta verde che si stende verso est. Almeno mi pare l’oriente, se giudico bene la luce solare.
Gesù e i suoi sono sotto un ciuffo di alberi, all’ombra, seduti. Si riposano del cammino fatto. Poi Gesù si alza, lascia lo spiazzo alberato dove erano seduti e si porta proprio sul ciglio del balzo. La sua alta persona si staglia netta sul vuoto che lo circonda. Pare ancora più alta, dritta così, e sola. Tiene le mani conserte sul petto, sul mantello azzurro, e guarda serio serio.
Gli apostoli l’osservano. Ma lo lasciano fare senza muoversi né parlare. Devono pensare che Egli si sia isolato per pregare.
Ma Gesù non prega. Dopo aver lungamente guardato la città in ogni suo rione, in ogni suo poggio, in ogni sua particolarità, talora con lunghi sguardi su questo o quel punto, talaltra con minore insistenza, Gesù si mette a piangere. Senza scosse o rumore. Le lacrime gonfiano l’orbita, poi sgorgano e rotolano sulle guance e cadono… Lacrimoni silenziosi e tanto tristi. Come di chi sa che deve piangere, solo, senza sperare conforto e comprensione da alcuno. Per un dolore che non può essere annullato e che deve essere sofferto, assolutamente.

 5 Il fratello di Giovanni, per la sua posizione, è il primo che vede quel pianto e lo dice agli altri, che si guardano l’un l’altro stupiti.
   «Nessuno di noi ha fatto male», dice uno; e un altro: «Anche la folla non ebbe insulti. Non vi fu fra essa nessuno a Lui nemico». «Perché piange, allora?», chiede il più anziano di tutti.
   Pietro e Giovanni si alzano insieme e si accostano al Maestro. Pensano che l’unica cosa da farsi sia fargli sentire che lo amano e chiedere che ha.
   «Maestro, Tu piangi?», dice Giovanni posando la sua testa bionda sulla spalla di Gesù, che è più alto di lui di tutto il collo e il capo.
   E Pietro, posandogli una mano alla cintura, cingendolo quasi di un abbraccio per attirarlo a sé, gli dice: «Cosa ti addolora, Gesù? Dillo a noi che ti amiamo».
   Gesù appoggia la guancia sulla testa bionda di Giovanni e, disserrando le braccia, passa a sua volta il braccio sulla spalla di Pietro. Restano così abbracciati tutti e tre, in una posa di tanto amore. Ma il pianto continua a gocciare.
   Giovanni, che lo sente scendere fra i suoi capelli, torna a chiedere: «Perché piangi, Maestro mio? Forse da noi ti venne pena?».
   Gli altri apostoli si sono riuniti al gruppo amoroso e ansiosamente attendono una risposta.
«No», dice Gesù. «Non da voi. Voi mi siete amici e l’amicizia, quando è sincera, è balsamo e sorriso, mai pianto.

 6 Vorrei che amici mi rimaneste sempre. Anche ora che entreremo nella corruzione, che fermenta e che corrompe chi non ha volontà decisa di rimanere onesto».
   «Dove andiamo, Maestro? Non a Gerusalemme? La folla ti ha già salutato con letizia. Vuoi Tu deluderla? Andiamo forse in Samaria per qualche prodigio? Proprio ora che la Pasqua è vicina?». Le domande sono fatte da diversi contemporaneamente.
   Gesù alza le mani imponendo silenzio e poi con la destra accenna la città. Un gesto largo come di uno che semini avanti a sé. E dice: «Quella è la Corruzione. Noi entriamo in Gerusalemme. Noi vi entriamo. E solo l’Altissimo sa come vorrei santificarla portandovi la Santità che viene dai Cieli. Risantificarla, questa che dovrebbe essere la Città santa. Ma non potrò farle nulla. Corrotta è e corrotta rimane. E i fiumi di santità che sgorgano dal Tempio vivo, e che ancor più sgorgheranno a giorni sino a lasciarlo vuoto di vita, non saranno sufficienti a redimerla. Verrà al Santo la Samaria e il mondo pagano. Sui templi bugiardi sorgeranno i templi del Dio vero. I cuori dei gentili adoreranno il Cristo. Ma questo popolo, questa città gli sarà sempre nemica, e il suo odio la porterà al più grande peccato.

 7 Ciò deve avvenire. Ma guai a coloro che saranno strumenti di questo delitto. Guai! … ».
   Gesù guarda fissamente Giuda che gli è quasi di fronte.
   «Ciò a noi non avverrà mai. Noi siamo i tuoi apostoli e crediamo in Te, pronti a morire per Te». Giuda mente spudoratamente e sostiene lo sguardo di Gesù senza impaccio. Gli altri uniscono le loro proteste.
   Gesù risponde a tutti evitando di rispondere a Giuda direttamente.
   «Voglia il Cielo che tali voi siate. Ma molta debolezza è ancora in voi, e la tentazione potrebbe rendervi simili a coloro che mi odiano. Pregate molto e molto vegliate su voi. Satana sa che sta per esser vinto e vuole vendicarsi strappandovi a Me. Satana è intorno a noi tutti. A Me per impedirmi di fare la volontà del Padre e compiere la mia missione. A voi per fare di voi dei suoi servi. Vegliate. Entro quelle mura Satana prenderà colui che non saprà esser forte. Colui per il quale maledizione sarà stato l’esser eletto, perché fece della sua elezione uno scopo umano. Vi ho eletti per il Regno dei Cieli e non per quello del mondo. Ricordatevelo.

 8 E tu, città che vuoi la tua rovina e sulla quale Io piango, sappi che il tuo Cristo prega per la tua redenzione. Oh! se almeno in quest’ora che ti resta tu sapessi venire a Chi sarebbe la tua pace! Almeno comprendessi in quest’ora l’Amore che passa fra te e ti spogliassi dell’odio che ti fa cieca e folle, crudele a te stessa e al tuo bene! Ma verrà il giorno in cui ricorderai quest’ora! Troppo tardi allora per piangere e pentirti! L’Amore sarà passato e scomparso dalle tue strade, e resterà l’Odio che tu hai preferito. E l’Odio sarà verso te, verso i tuoi figli. Poiché si ha ciò che si è voluto, e l’odio si paga con l’odio. E non sarà allora odio di forti contro l’inerme. Ma odio contro odio, e perciò guerra e morte. Stretta da trincee e armati, languirai prima d’esser distrutta e vedrai cadere i tuoi figli per armi e per fame, e i superstiti andare prigionieri e scherniti, e chiederai misericordia, né più la troverai, poiché non hai voluto conoscere la tua Salute. Piango, amici, poiché ho cuore d’uomo e le rovine della patria ne traggono lacrime. Ma ciò è giusto si compia poiché la corruzione supera, fra queste mura, ogni limite e attira il castigo di Dio. Guai ai cittadini causa del male della patria! Guai ai rettori che ne sono la principale causa! Guai a coloro che dovrebbero esser santi per portare gli altri ad essere onesti e invece profanano la Casa del loro ministero e se stessi! Venite. A nulla gioverà la mia azione. Ma facciamo che la Luce splenda ancora una volta fra le Tenebre!».
   E Gesù scende seguito dai suoi. Va velocemente per la via con un viso serio e direi quasi accigliato. Né più parla. Entra in una casetta ai piedi del colle, né vedo più altro.

 9 Dice Gesù:
   «La scena narrata da Luca (19, 41-46) pare senza connessione, quasi illogica. Compiango le sventure di una città colpevole e non so compatire le abitudini di detta città? No. Non le so, non le posso compatire, poiché anzi sono proprio queste abitudini che generano le sventure; e il vederle acutizza il mio dolore. La mia ira sui profanatori del Tempio è logica conseguenza della mia meditazione sulle prossime sventure di Gerusalemme.
   Sono sempre le profanazioni al culto di Dio, alla Legge di Dio, quelle che provocano i castighi del Cielo. Facendo della Casa di Dio una spelonca di ladri, quei sacerdoti indegni e quegli indegni credenti (di nome soltanto) attiravano su tutto il popolo maledizione e morte. Inutile dare questo o quel nome al male che fa soffrire un popolo. Cercate il giusto nome in questo: “Punizione per un vivere da bruti”. Dio si ritira e il Male si avanza. Ecco il frutto di una vita nazionale indegna del nome di cristiana.
   Come allora, anche ora, in questo scorcio di secolo, non ho mancato con prodigi di scuotere e richiamare. Ma, come allora, non ho attirato su Me e i miei strumenti che scherno, indifferenza e odio. Singoli e nazioni però ricordino che inutilmente piangono quando avanti non vollero conoscere la loro salvezza. Inutilmente mi invocano quando nell’ora in cui ero con loro mi cacciarono con una guerra sacrilega che, partendo dalle singole coscienze, devote al Male, si sparse per tutta la Nazione. Le Patrie non si salvano tanto con le armi quanto con una forma di vita che attiri le protezioni del Cielo.
   Riposa, piccolo Giovanni. E fa’ di esser sempre fedele alla tua elezione. Va’ in pace».
   Che fatica! Non ce la faccio proprio…

   [30 marzo 1947]

10 Quasi Gesù non fa a tempo ad entrare nella casa benedicendone gli abitanti, quando si sentono un allegro suonar di bubboli e voci a festa. E subito dopo il volto scarno e pallido di Isacco appare nella fessura dell’uscio, e il pastore fedele entra e si prostra davanti al suo Signore Gesù.
   Nell’inquadratura della porta spalancata si pigiano volti e volti e, dietro, altri se ne vedono… Un urtarsi, un pigiarsi, un voler farsi largo… Qualche grido di donna, qualche pianto di bambino preso in mezzo alla ressa, e grida di saluto, esclamazioni a festa: «Felice questo giorno che a noi ti riporta! La pace a Te, Signore! Ben torni, o Maestro, a premiare la nostra fedeltà».
   Gesù si alza in piedi e fa gesto di parlare. Tacciono tutti e netta si sente la voce di Gesù.
   «Pace a voi! Non vi accalcate. Ora saliremo insieme al Tempio. Sono venuto per stare con voi. Pace! Pace! Non fatevi male. Fate largo, miei diletti! Lasciatemi uscire e seguitemi, ché entreremo insieme nella Città santa».

11 La gente, bene o male, ubbidisce, e si fa un poco di largo, tanto che Gesù possa uscire e montare sull’asinello. Perché Gesù indica il puledro, sino allora mai cavalcato, come sua cavalcatura, e allora dei ricchi pellegrini, che si pigiano fra la folla, stendono sulla groppa di questo i loro sontuosi mantelli, e uno si pone con un ginocchio a terra e l’altro a far da gradino al Signore, che siede sulla groppa del puledro d’asina, e il viaggio si inizia, mentre Pietro cammina a un lato del Maestro e Isacco dall’altro, tenendo le briglie della bestia non doma, che però procede tranquilla come fosse usa a quell’ufficio, senza imbizzarrirsi o spaventarsi dei fiori che, gettati come sono verso Gesù, colpiscono sovente la bestiola negli occhi e sul morbido muso, né dei rami di ulivo e delle foglie di palma agitate davanti e intorno ad esso, gettate in terra a far tappeto coi fiori, né dei gridi sempre più forti di: «Osanna, Figlio di Davide!», che salgono al cielo sereno, mentre la folla sempre più infittisce e si accresce per nuovi venuti.
   Passare da Betfage, fra le viette strette e contorte, non è facile cosa, e le madri devono prendere in braccio i bambini, e gli uomini proteggere le donne da urti troppo violenti, e qualche padre si pone sulle spalle a cavalluccio il figliolino e lo porta alto sulla folla così, mentre le vocine dei bimbi sembrano belati di agnelli o stridi di rondini e le loro manine gettano fiori e foglie d’ulivo, che le madri porgono, e baci anche, al mite Gesù…
   Usciti dalla strettoia della piccola borgata, il corteo si ordina e distende, e molti volonterosi vanno avanti a far da battistrada per preparare sgombra la via, e altri li seguono spargendo di rami il suolo, e uno per primo getta il suo mantello a far da tappeto, e un altro, e quattro, e dieci, e cento, e mille lo imitano. La via ha al centro una striscia multicolore di vesti stese al suolo e, passato Gesù, le vesti sono raccolte e portate più avanti, con altre, con altre, e sempre fiori, rami, foglie di palma vengono agitati e gettati, e gridi più forti vengono innalzati intorno e in onore del Re d’Israele, al Figlio di Davide, al suo Regno!

12 I soldati di guardia alla porta escono a vedere che cosa succede. Ma non è sedizione, ed essi, appoggiati alle loro lance, si fanno da lato, osservando stupiti o ironici lo strano corteo di quel Re che cavalca un puledro d’asina, bello come un dio, umile come il più povero degli uomini, mite, benedicente… circondato da donne e bambini e da uomini disarmati gridanti: «Pace! Pace!», di questo Re che, prima di entrare nella città, sosta un momento all’altezza dei sepolcri dei lebbrosi di Innon e di Siloan (credo di dire bene questi luoghi, dove ho visto miracoli di lebbrosi altre volte) e, puntandosi sull’unica staffa in cui poggia il suo piede, essendo seduto sull’asino, non a cavallo dell’asino, si alza in piedi e apre le braccia gridando in direzione di quelle pendici orrende (dove volti e corpi paurosi si affacciano guardando verso Gesù e alzano il grido lamentoso dei lebbrosi: «Siamo infetti!», a respingere degli imprudenti che, pur di vedere bene Gesù, salirebbero anche sui corrotti e infetti scaglioni): «Chi ha fede in Me invochi il mio Nome ed abbia salute per quello! », e benedice riprendendo il cammino e ordinando a Giuda di Keriot: «Comprerai cibi per i lebbrosi e con Simone li porterai ad essi avanti sera».

13 Quando il corteo entra sotto la volta della porta di Siloan e poi, come un torrente, si riversa entro la città passando per il borgo di Ofel – nel quale ogni terrazza è divenuta una piccola aerea piazza colma di popolo osannante, che getta fiori e rovescia profumi giù, nella via, cercando di gettarli sul Maestro, e l’aria è satura dell’odore dei fiori morenti sotto i passi delle turbe e di essenze che si spargono nell’aria prima di cadere fra la polvere della via – il grido della folla sembra aumentare e farsi forte, come ognuno lo urlasse in una buccina, perché i numerosi archivolti dei quali è piena Gerusalemme lo amplificano con risonanze continue.
   Sento gridare, e credo voglia dire ciò che dicono gli evangelisti: (Matteo 21, 9; Marco 11, 9-10; Luca 19, 37-38; Giovanni 12, 12-13) «Scialem, Scialem melchil! », (o malchit: cerco di rendere il suono delle parole, ma è difficile, perché hanno aspirazioni che noi non abbiamo). Un grido continuo, simile all’urlo di un mare in tempesta, nel quale non è ancora caduto il fragor del maroso che schiaffeggia spiagge e scogliere che un altro maroso lo raccoglie e rialza in novello fragore, senza tregua mai. Ne sono assordita!
   Profumi, odori, gridi, agitarsi di rami e di vesti, colori, urli… È una visione che sbalordisce.

14 Vedo rimescolarsi continuamente la folla, apparire e sparire volti conosciuti: tutti i discepoli di tutti i luoghi di Palestina, tutti i seguaci… Vedo per un attimo Giairo, vedo Jaia il giovinetto di Pella (mi pare) che era cieco come sua madre e che Gesù guarì, vedo Gioacchino di Bozra e quel contadino del piano di Saron coi fratelli, vedo il vecchio e solitario Mattia di quel luogo presso il Giordano (sponda orientale) presso il quale Gesù si rifugiò mentre tutto era inondato, vedo Zaccheo con i suoi amici convertiti, vedo il vecchio Giovanni di Nobe con quasi tutti i cittadini, vedo il marito di Sara di Jutta… Ma chi può tener dietro a volti e nomi, se è un caleidoscopio di visi noti e ignoti, veduti più volte o una sola?… Ecco ora il viso del pastorello preso a Ennon. E, vicino a lui, il discepolo di Corozim che lasciò di seppellire il padre per seguire Gesù; e vicino a lui, per un momento, il padre e la madre di Beniamino di Cafarnao col loro figliolo, che per poco cade sotto le zampe dell’asinello per gettarsi avanti e ricevere una carezza di Gesù.

15 E – purtroppo! – volti di farisei e di scribi, lividi di ira per questo trionfo, che fendono prepotenti il cerchio di amore che si stringe intorno a Gesù e gli urlano: «Fa’ tacere questi pazzi! Richiamali alla ragione! Solo Dio va osannato. Di’ che tacciano! ».
   Al che Gesù risponde dolcemente: «Anche se Io lo dicessi di tacere e questi mi ubbidissero, le pietre griderebbero i prodigi del Verbo di Dio».
   Perché infatti la gente – oltre che gridare: «Osanna, osanna al Figlio di Davide! Benedetto Colui che viene nel nome del Signore. Osanna a Lui e al suo Regno! Dio è con noi! L’Emmanuele è venuto. È venuto il Regno del Cristo del Signore! Osanna! Osanna dalla Terra sino all’alto dei Cieli! Pace! Pace, mio Re! Pace e benedizione a Te, Re santo! Pace e gloria nei Cieli e in Terra! Gloria a Dio per il suo Cristo! Pace agli uomini che lo sanno accogliere. Pace in Terra agli uomini di buona volontà e gloria nei Cieli altissimi, perché l’ora del Signore è venuta» (e chi grida quest’ultimo grido è il gruppo compatto dei pastori che ripetono il grido natalizio) – oltre questi gridi continui, la gente di Palestina narra ai pellegrini della Diaspora i miracoli che hanno visto, e a chi non sa ciò che avviene, perché straniero di passaggio fortuitamente dalla città e che chiede: «Ma chi è Costui? Che avviene?», spiegano: «È Gesù! Gesù, il Maestro di Nazaret di Galilea! Il Profeta! Il Messia del Signore! Il Promesso! Il Santo!».
   Da una casa, e da poco è sorpassata la porta perché l’andare è lentissimo in tanta confusione, esce un gruppo di robusti giovani portando alti dei vasi di rame pieni di carboni accesi e di incenso, che arde spargendo nubi di fumo odoroso. E il gesto è raccolto e ripetuto, e molti corrono avanti o tornano indietro, alle case, per farsi dare fuoco e resine odorose da ardere in omaggio del Cristo.

16 La casa di Annalia appare. La terrazza, inghirlandata di vite dalle foglie novelle tremolanti ad un mite vento di aprile, ha sul lato della via tutta una fila di giovinette biancovestite e biancovelate, al centro delle quali è Annalia, con cesti di petali di rose sfogliate e di mughetti che già volteggiano nell’aria.
   «Le vergini di Israele ti salutano, Signore! », dice Giovanni, che si è fatto largo ed è ora al fianco di Gesù, attirando la sua attenzione sulla ghirlanda di purezza che si sporge sorridendo dal parapetto a spargere la via di petali rossi come sangue e di mughetti bianchi come perle.
   Gesù trattiene per un attimo le redini e arresta il puledro d’asina. Alza il volto e la mano a benedire quella verginità di Lui innamorata sino a rinunciare ad ogni altro amore terreno.
   E Annalia si protende e grida: «Il tuo trionfo io l’ho visto, o mio Signore! Prendi la mia vita per la tua glorificazione universale!», e con un grido altissimo, mentre Gesù passa sotto la sua casa e procede, lo saluta: «Gesù!».
   E un altro, diverso grido, supera il clamore delle turbe. Ma la gente, pur sentendolo, non si arresta. È un fiume di entusiasmo, un fiume di popolo in delirio che non può sostare. E mentre le ultime onde di questo fiume sono ancor fuori della porta, le prime onde già assalgono le salite che conducono al Tempio.

17 «Tua Madre! », grida Pietro accennando ad una casa quasi all’angolo di una via che sale al Moria e per la quale si incanala il corteo. E Gesù alza il volto a sorridere a sua Madre, che è lassù fra le donne fedeli.
   L’inpo di una numerosa carovana arresta il corteo pochi metri dopo che la casa è superata. E mentre Gesù sosta con gli altri, carezzando i bambini che le madri gli porgono, accorre un uomo e si fa largo urlando: «Lasciatemi passare! Una donna è morta. Una fanciulla. All’improvviso. La madre invoca il Maestro. Lasciatemi passare! Egli già l’ha salvata una volta!».
   La gente fa largo e l’uomo corre presso Gesù: «Maestro, la figlia di Elisa è morta. Ti ha salutato con quel grido, poi si è piegata indietro dicendo: “Io son felice” ed è spirata. Il suo cuore si è franto nel gran tripudio di vederti trionfante. Sua madre mi ha visto sulla terrazza accanto alla sua casa e mi ha mandato a chiamarti. Vieni, Maestro!».
   «Morta! Morta Annalia! Ma se era sana, florida, felice solo ieri?». Gli apostoli si affollano agitati, i pastori pure. Tutti l’hanno vista ieri in perfetta salute. Poco fa l’hanno vista rosea, ridente… Non si capacitano della sciagura… Chiedono, domandano i particolari…
   «Non so. Tutti avete sentito le sue parole. Parlava forte, sicura. Poi la vidi piegarsi indietro più bianca delle sue vesti e udii gridare la madre… Altro non so».

18 «Non vi agitate. Non è morta. È caduto un fiore e gli angeli di Dio lo hanno raccolto per portarlo in seno ad Abramo. Presto il giglio della Terra si aprirà felice in Paradiso, ignorando per sempre l’orrore del mondo. Uomo, di’ ad Elisa che non pianga la sorte della sua creatura. Dille che essa ebbe una grande grazia da Dio e che fra sei giorni comprenderà qual grazia Dio fece alla figlia sua. Non piangete. Non pianga nessuno. Il suo trionfo è ancor più grande del mio, perché alla vergine fanno corteo gli angeli per condurla alla pace dei giusti. Ed è trionfo eterno che salirà di grado senza mai conoscere discesa. In verità vi dico che per voi tutti, ma non per Annalia, avete ragione di piangere. Andiamo». E ripete agli apostoli e a chi lo circonda: «È caduto un fiore. Si è adagiato in pace e gli angeli lo hanno raccolto. Beata la pura di carne e cuore perché presto vedrà Iddio».
   «Ma come, di che è morta, Signore?», chiede Pietro che non si capacita.
   «D’amore. D’estasi. Di gaudio infinito. Felice morte! ».
   Chi è molto avanti non sa, chi è molto indietro non sa. E perciò gli osanna continuano anche se qui, presso a Gesù, si è fatto un cerchio di pensoso silenzio.
   È Giovanni che lo rompe: «Oh! vorrei la stessa sorte prima delle ore future!».
   «Io pure», dice Isacco. «Vorrei vedere il volto della fanciulla morta d’amore per Te…».
   «Vi prego di sacrificarmi il vostro desiderio. Ho bisogno della vostra vicinanza…».
   «Non ti lasceremo, Signore. Ma a quella madre non un conforto?», chiede Natanaele.
   «Provvederò ad esso…».

19 Sono alle porte della cinta del Tempio. Gesù scende dall’asinello, che uno di Betfage prende in custodia.
   Occorre tenere presente che Gesù non si è fermato alla prima porta del Tempio, ma ha costeggiato la cinta, fermandosi soltanto quando è sul lato nord della cinta, vicino all’Antonia. È là che scende ed entra nel Tempio, come per far vedere che non si nasconde al potere dominante, sentendosi innocente in ogni sua azione.
   Il primo cortile del Tempio mostra la solita gazzarra di cambiavalute e venditori di colombe, passeri e agnelli, soltanto che ora i venditori sono lasciati in asso perché tutti sono accorsi a vedere Gesù. E Gesù entra, solenne nella sua veste porpurea, e gira lo sguardo su quel mercato e su un gruppo di farisei e scribi che lo osservano da sotto un portico.
   Il suo volto sfolgora di sdegno. Balza al centro del cortile. Uno scatto improvviso che pare un volo. Il volo di una fiamma, ché di fiamma è la sua veste nel sole che inonda il cortile. E tuona con una voce potente: «Via dalla casa del Padre mio! Non è questo luogo di usura e di mercato. Sta scritto: (Isaia 56, 7; Geremia 7, 11) “La mia casa sarà chiamata casa di orazione”. Perché dunque l’avete mutata in spelonca di ladroni, questa casa nella quale è invocato il Nome del Signore? Via! Mondate la mia Casa. Che non vi avvenga che, in luogo di usar le funi, Io vi colpisca con i fulmini dell’ira celeste. Via! Fuori di qui i ladri, i barattieri, gli impudichi, gli omicidi, i sacrileghi, gli idolatri della peggiore idolatria, quella del proprio io superbo, i corruttori e i menzogneri. Fuori! Fuori! O che Dio altissimo, Io ve lo dico, spazzerà per sempre questo luogo e farà le sue vendette su tutto un popolo».
   Non ripete la fustigazione dell’altra volta, ma, visto che mercanti e cambiavalute stentano ad ubbidire, va al banco più vicino e lo ribalta spargendo bilance e monete al suolo.
   I venditori e i cambiavalute si affrettano a porre in atto l’ordine di Gesù, dopo che hanno avuto questo primo esempio. E Gesù grida dietro a loro: «E quante volte dovrò dire che questo luogo non deve essere luogo d’immondezza ma di preghiera?». E guarda quelli del Tempio che, ubbidienti agli ordini ponteficali, non fanno un gesto di rappresaglia.

20 Mondato il cortile, Gesù va verso i portici dove sono raccolti ciechi, paralitici, muti, storpi e altri malati, che lo invocano a gran voce.
   «Che volete voi che Io vi faccia?».
   «La vista, Signore! Le membra! Che mio figlio parli! Che mia moglie risani. Noi crediamo in Te, Figlio di Dio!».
   «Dio vi ascolti. Sorgete e osannate al Signore!».
   Non cura uno per uno i molti malati. Ma fa un gesto largo con la mano, e grazia e salute scende da essa sugli infelici, che sorgono sani con gridi di giubilo che si mescolano a quelli dei molti bambini, che si stringono a Lui ripetendo: «Gloria, gloria al Figlio di Davide! Osanna a Gesù Nazareno, Re dei re e Signore dei signori!».
   Dei farisei, con finta deferenza, gli gridano: «Maestro, li senti? Questi fanciulli dicono ciò che non va detto. Riprendili! Che tacciano!».
   «E perché? Il re profeta, il re della mia stirpe, non ha forse detto: (Salmo 8, 3) “Dalla bocca dei fanciulli e dei lattanti hai fatto sgorgare la lode perfetta, a confusione dei tuoi nemici”? Non avete letto queste parole del salmista? Lasciate che i pargoli dicano le mie lodi. Sono loro suggerite dai loro angeli, che vedono costantemente il Padre mio e ne sanno i segreti e li suggeriscono a questi innocenti. Ora lasciatemi tutti andare ad orare al Signore», e passando davanti alla gente passa nell’atrio degli Israeliti per pregare…
   E poi, uscendo per un’altra porta, rasentando la piscina Probatica, esce dalla città tornando sui colli del monte Uliveto.

21 Gli apostoli sono entusiasti… Il trionfo li ha fatti sicuri e dimentichi, completamente dimentichi di tutti i terrori che le parole del Maestro avevano suscitato… Parlano di tutto… Ardono di sapere di Annalia. A stento Gesù li trattiene dall’andare, assicurando che provvederà in modo che sa Lui… Sordi, sordi, sordi ad ogni voce d’avviso divino… Uomini, uomini, uomini, che un grido di osanna smemora da ogni cosa…
   Gesù parla ai servi di Maria di Magdala, che lo hanno raggiunto al Tempio, e poi li licenzia…
   «E ora dove andiamo?», chiede Filippo.
   «A casa di Marco di Giona?», dice Giovanni.
   «No. Al campo dei Galilei. Forse saranno venuti i miei fratelli e vorrei salutarli», dice Gesù.
   «Lo potrai fare domani», gli osserva il Taddeo.
   «Buona cosa è fare mentre si può fare. Andiamo dai Galilei. Saranno contenti di vederci. Voi avrete notizie delle famiglie. Io vedrò i bambini…».
   «E questa sera? Dove dormiremo? In città? In che luogo? Dove è tua Madre? O da Giovanna?», chiede
Giuda Iscariota.
   «Non so. Certo non in città. Forse ancora sotto qualche tenda galilea…».
   «Ma perché?».
   «Perché sono il Galileo e amo la patria mia. Andiamo».
   Si rimettono in cammino salendo verso il campo dei Galilei, che è sull’Uliveto verso Betania e che è tutto un biancheggiare di tende al lieto sole d’aprile.

 22 Dice Gesù:
«Mia paziente segretaria, metti qui la visione:
“La sera della Domenica delle Palme” (4 marzo 1945); e la mia pace sia con te».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!