Sant’ Alessio prega per noi – 17 luglio

« Santo Alesso fu figliuolo d’un nobilissimo uomo di Roma, il quale aveva nome Eufemiano, ed era il maggiore che visse nella corte dello Imperatore; Eufemiano uomo di tanta di tanta ricchezza e di tanta magnificenza, che continuamente aveva a suo servizio tremila donzelli, i quali vestivano di vestimenta di seta e cintole d’oro. Ed era costui tanto misericordioso al contrario dei poveri, che ogni dì nella sua abitazione aveva tre mense di poveri pellegrini, d’orfani e di vedove ».

Alessio era nato quando Eufemiano e sua moglie, Egle, erano già vecchi; era cresciuto virtuosamente e, giunto in età adatta, aveva rifiutato per moglie una nobile e ricca fanciulla. La vigilia delle nozze, però, si legge ancora, « si tolse dalle sue stanze e partì andando occultamente al mare ».

Giunse per mare a Edessa, in Asia Minore, dove si fece povero volontario. « Ciò che aveva portato con se lo diede ai poveri e vestendosi di umili panni, si stava cogli altri poveri sotto il portico della chiesa della Vergine Maria a ricevere la limosina; e della limosina che riceveva, quella che era a lui di necessità, prendeva per sé, e il resto lo dava ai poveri bisognosi ».

Il padre lo fece ricercare invano, dai suoi tremila servitori, alcuni dei quali giunsero anche a Edessa, lo videro, ma non lo riconobbero. Pianto ormai per morto, Alessio restò a Edessa per diciotto anni; poi riprese il mare e tornò a Roma. Per andare fino in fondo sulla via dell’umiliazione, si presentò alla casa paterna, fingendosi un povero pellegrino. Fu accolto con la consueta generosità, e ospitato in un sottoscala del palazzo. Vi restò, ignoto a tutti, altri diciassette anni.

Sentendosi prossimo alla morte, versò su un foglio la propria confessione e aspettò, steso sotto la scala, il momento del trapasso. Quel giorno nella città, si udì una voce dal cielo dire: « Cercate l’uomo di Dio, che preghi per la città di Roma! ». « Cercate nel monte Aventino, in casa di Eufemiano ».

Eufemiamo cercò, e con lui cercò l’Imperatore, detto Arcadio Onorio, e con loro cercò il Papa, Innocenzo. Non trovarono nessuno, finché si ricordarono del pellegrino nel sottoscala. Era morto, « e la sua faccia risplendeva a modo d’un angiolo. Dal foglio di carta che egli stringeva sul petto, venne conosciuta la verità, e cioè che il pellegrino sconosciuto a tutti era proprio Sant’Alessio, scomparso alla vigilia delle nozze e vissuto di elemosine nella casa del proprio padre ».

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma sant’Aléssio Confessore, figlio del Senatore Eufemiàno. Egli, nella prima notte delle nozze, partito di casa lasciando intatta la sposa, e, dopo lunga peregrinazione, tornato a Roma, con nuova arte deludendo il mondo, rimase incognito per diciassette anni nella casa patema, alloggiatovi come povero; ma dopo la morte, riconosciuto per una voce che si udì nelle chiese di Roma e per un suo scritto, al tempo del Papa Innocènzo primo, fu con sommo onore trasferito alla chiesa di san Bonifacio, dove rifulse per molti.
miracoli.

Nome: Sant’ Alessio
Titolo: Mendicante
Nascita: IV Secolo, Roma
Morte: 14 luglio 412, Roma
Ricorrenza: 17 luglio
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Sant’Alessio con Vialone, Miagliano, Sant’Alessio in Aspromonte
Protettore: mendicanti

Vangelo Mt 12, 14-21:« In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire ».

Vangelo Mt 12, 14-21
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, i farisei uscirono e tennero consiglio contro Gesù per farlo morire. Gesù però, avendolo saputo, si allontanò di là. Molti lo seguirono ed egli li guarì tutti e impose loro di non divulgarlo, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento.
Porrò il mio spirito sopra di lui
e annuncerà alle nazioni la giustizia.
Non contesterà né griderà
né si udrà nelle piazze la sua voce.
Non spezzerà una canna già incrinata,
non spegnerà una fiamma smorta,
finché non abbia fatto trionfare la giustizia;
nel suo nome spereranno le nazioni».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Ecco il mio servo, che io ho scelto;
il mio amato, nel quale ho posto il mio compiacimento».

Maria Valtorta: L’Evangelo come mi è stato rivelato

   Cap. CDLXIII. A Tarichea, discorso sulla natura del regno messianico e conversione di una meretrice. Gesù cede ad un invito di Cusa vincendo l’opposizione di Pietro.

   27 luglio 1946

 1 La penisoletta di Tarichea si protende nel lago facendo una profonda insenatura a sud-ovest, di modo che non è errato dire che, più che una penisola, è un istmo circondato dalle acque per quasi tutto il suo perimetro, rimanendo congiunto alla terra solo per una piccola parte. Almeno così era ai tempi di Gesù, nei quali io la vedo. Non so se poi, nel corso di venti secoli, le arene e i ciotoli, portati da un torrentello che sbocca proprio nell’insenatura di sud-ovest, abbia potuto modificare l’aspetto del luogo, insabbiando la piccola baia e allargando perciò la lingua di terra dell’istmo.
   La baia è quieta, azzurrina con striature di giada là dove rispecchia il verde degli alberi, che si protendono dalla costa verso il lago. Molte barche ondulano lievemente sulle acque appena mosse.
   Quello che mi colpisce è una bizzarra diga che, tutta ad archi posati sulle ghiaie della riva, fa come una passeggiata, un molo, che so io, diretto verso ovest. Non capisco se è stata fatta per ornamento o se per qualche utile scopo che non capisco. Questa passeggiata, diga o molo, è ricoperta da uno spesso strato di terra, sul quale sono stati messi degli alberi tanto fitti, sebbene non grandi, che formano una galleria di verde sopra la strada. Molta gente ozia passeggiando sotto quella galleria stormente, che dalla brezza, dalle acque e dalle fronde trae un coefficiente gradito di frescura.
   Si vede nettamente l’imboccatura del Giordano e il defluire delle acque del lago nel letto del fiume, facendo qualche mulinello, qualche ingorgo presso i piloni di un ponte, direi romano per la sua architettura a robusti piloni, messi a tagliamare, non so se dico bene, contro gli spigoli dei quali si frange la corrente delle acque con tutto un gioco madreperlaceo di luci sotto al sole che le percuote così frante, e soverchiatesi per defluire nella gola del fiume, incassato, dopo aver avuto tanta ampiezza nel lago. Quasi al termine del ponte, sull’altra riva, una cittadina bianca, sparsa fra il verde di campagne ubertose. E più su, verso il nord, ma sulla costa orientale del lago, il borgo che precede Ippo e i boschi, alti sulla scogliera, oltre i quali è Gamala, ben visibile in cima del suo colle.
   Gesù, seguito da un codazzo di gente che lo segue da Emmaus e che si è aumentata con quelli che già lo attendevano a Tarichea – e fra questi è Giovanna, venuta nella sua barca – si dirige proprio alla diga alberata. E si ferma al centro di essa, avendo le acque alla destra, la spiaggia alla sinistra. Chi può si pone sulla via alberata; chi non può trovare posto sulla via si mette giù sulla spiaggia, ancora un poco umida per l’alta marea notturna o per qualche altra ragione e parzialmente ombreggiata dalle fronde degli alberi della diga, oppure fa accostare le barche e vi prende posto all’ombra delle vele.

 2 «È detto: (Abacuc 3, 13.18) “Ti movesti per salvare il tuo popolo, per salvarlo col tuo Cristo”. È detto: “Ed io mi rallegrerò nel Signore ed esulterò in Dio mio Gesù”.
   Il popolo di Israele ha preso per sé questa parola e ha dato ad essa un significato nazionale, personale, egoista, che non corrisponde alla verità sulla persona del Messia. Ha dato un significato limitato, che avvilisce la grandezza dell’idea messianica ad una comune manifestazione di potenza umana e di sopraffazione vittoriosa sui dominatori trovati in Israele dal Cristo.
   Ma la verità è diversa. È grande, illimitata. Viene dal Dio vero, dal Creatore e Signore del Cielo e della Terra, dal Creatore dell’Umanità, da Quello che, come ha moltiplicato gli astri nel firmamento e ha coperto di piante d’ogni specie la Terra e l’ha popolata di animali e messo pesci nelle acque e uccelli nell’aria, così ha moltiplicato i figli dell’Uomo da Lui creato perché fosse re del Creato e sua creatura prediletta. Ora, come potrebbe il Signore, Padre di tutto il genere umano, essere ingiusto per i figli dei figli dei figli di quelli nati dall’Uomo e dalla Donna, la Lui formati con la materia: terra, e con l’anima: il suo alito divino? E come trattare questi diversamente da quelli, quasi che non venissero da un’unica sorgente, quasi che non da Lui, ma da qualche altro essere soprannaturale e antagonista ne fossero stati creati degli altri rami, e perciò stranieri fossero, bastardi, spregevoli?
   Il vero Dio non è un povero dio di questo o quel popolo, un idolo, una figura irreale. È la sublime Realtà, è la Realtà universale, è l’Essere Unico, Supremo, Creatore di tutte le cose e di tutti gli uomini. È perciò il Dio di tutti gli uomini. Egli li conosce anche se essi non lo conoscono. Egli li ama anche se essi, non conoscendolo, non lo amano, o anche se lo conoscono male e lo amano male, o pur conoscendolo non lo sanno amare. La paternità non cessa quando un figlio è ignorante, stolto o malvagio. Il padre si studia di istruire il figlio perché istruirlo è amore. Il padre si affatica a rendere mino stolto il figlio deficiente. Il padre con lacrime, con indulgenze, con castighi salutari, con perdoni misericordiosi, cerca di correggere il figlio malvagio e farlo buono. Questo il padre-uomo. E il Padre-Dio sarà forse da meno di un padre-uomo? Ecco allora che il Padre-Dio ama tutti gli uomini e vuole la loro salvezza. Egli, Re di un regno infinito, Re eterno, guarda il suo popolo, fatto di tutti i popoli sparsi sulla Terra, e dice: “Ecco il popolo dei miei creati, il popolo che va salvato col mio Cristo. Ecco il popolo per il quale è stato creato il Regno dei Cieli. Ed ecco l’ora di salvarlo col Salvatore”.

 3 Chi è il Cristo? Chi il Salvatore? Chi il Messia? Molti sono i greci qui presenti e molti, anche non greci, sanno ciò che vuol dire la parola Cristo. Cristo è dunque il consacrato, l’unto di olio regale per compiere la sua missione. Consacrato a che? Forse alla piccola gloria di un trono? Forse a quella più grande di un sacerdozio? No. Consacrato a riunire sotto un unico scettro, in un unico popolo, sotto un’unica dottrina, tutti gli uomini, perché siano fratelli fra loro e figli di un unico Padre, figli che conoscono il Padre e che ne seguono la Legge per avere parte nel suo Regno.
   Re, in nome del Padre che lo ha mandato, il Cristo regna come a sua natura conviene, ossia divinamente, perché da Dio. Dio ha messo tutto a sgabello dei piedi del Cristo suo, ma non già perché Egli opprima, sebbene perché Egli salvi. Infatti il suo nome è Gesù, che in lingua ebraica vuol dire Salvatore. Quando il Salvatore salverà dalla insidia e ferita più fiera, un monte sarà sotto i suoi piedi e una moltitudine di ogni razza coprirà il monte, a simboleggiare che Egli regna e si innalza su tutta la Terra e su tutti i popoli. Ma il Re sarà nudo, senza altra ricchezza che il suo Sacrificio, per simboleggiare che Egli non tende che alle cose dello spirito, e che le cose dello spirito si conquistano e si redimono con i valori dello spirito e l’eroicità del sacrificio, e non con la violenza e l’oro. Lo sarà per rispondere – a quelli che lo temono come a quelli che per un falso amore lo esaltano e lo deprimono insieme, volendolo re secondo il mondo, come a quelli che lo odiano senz’altra ragione che il tremore di esser spogliati di ciò che a loro è caro – che Egli è Re spirituale, questo solo, mandato per insegnare agli spiriti a conquistare il Regno, l’unico Regno che Io sono venuto a fondare.
   Io non vi do leggi nuove. Agli israeliti confermo la Legge del Sinai; ai gentili dico: la legge per possedere il Regno non è che la legge di virtù che ogni creatura di morale elevata da se stessa si impone, e che, per la fede nel Dio vero, diviene, da legge di morale e di virtù umana, legge di morale soprumana.

 4 O gentili! Voi usate proclamare dèi i grandi uomini delle vostre nazioni e li mettete fra le schiere dei numerosi e irreali dèi, di cui popolate l’Olimpo che vi siete creato per avere qualcosa in cui credere, perché la religione, una religione è necessaria all’uomo, così come è necessaria un fede, essendo la fede lo stato permanente dell’uomo e l’incredulità l’anormalità accidentale. E non sempre questi uomini elevati a deità valgono neppure come uomini, essendo grandi talora per forza bruta, talaltra per astuzia potente, altra ancora per potenza in qualche modo acquistata. Cosicché portano seco loro, come doti di superuomini, delle miserie che l’uomo saggio vede per quello che sono: marciume di passioni scatenate.
   Che Io dica il vero lo dimostra il fatto che nel vostro Olimpo chimerico voi non avete saputo mettere uno solo di quei grandi spiriti che hanno saputo intuire l’Ente supremo e sono stati agenti intermedi fra l’uomo animale e la Divinità, che hanno istintivamente sentita col loro spirito meditativo  e virtuoso.   Dallo spirito che ragiona del filosofo, del vero grande filosofo, allo spirito del vero credente che adora il vero Dio, il passo è breve, mentre dallo spirito del credente all’io dell’astuto, del prepotente, o del materialmente eroe, è un abisso. Eppure nel vostro Olimpo non sono stati da voi collocati coloro che, per la virtù della vita, si alzarono tanto sulla massa umana sino ad avvicinarsi ai regni dello spirito, ma sono coloro che avete temuto come padroni crudeli, o che avete adulato per servilismo di schiavi, oppure ammirato come esemplare vivente di quelle libertà di istinti animali che ai vostri appetiti anormali paiono scopo e meta nella vita. E avete invidiato coloro che sono stati ascritti fra gli dèi, trascurando quelli che più si sono accostati alla divinità con la pratica e la dottrina insegnata e vissuta di una vita virtuosa.
   Ora in verità Io vi do modo di divenire dèi. Colui che fa ciò che Io dico e crede in ciò che Io insegno, colui che salirà nel vero Olimpo e dio sarà, dio figlio di Dio in un Cielo dove non è corruzione di sorta e dove l’Amore è l’unica legge. In un Cielo dove ci si ama spiritualmente, senza l’ottusità s senza le insidie dei sensi a far nemici l’un l’altro gli abitanti, così come avviene nelle vostre religioni. Io non vengo a chiedere atti rumorosamente eroici. Vengo a dirvi: vivete da creature dotate di anima e ragione, e non da bruti. Vivete in modo da meritare di vivere, realmente vivere, con la parte immortale di voi nel Regno di Colui che vi ha creati.  

 5 Io sono la Vita. Vengo a insegnarvi la Via per andare alla Vita. Vengo a dare la vita per voi tutti, e a darvela per darvi la risurrezione dalla vostra morte, dal vostro sepolcro di peccato e di idolatria. Io sono la Misericordia. Vengo a chiamarvi, a radunarvi tutti. Io sono il Cristo Salvatore. Il mio Regno non è di questo mondo. Eppure, a chi crede in Me e nella mia parola, un regno nasce nel cuore sin dai giorni del mondo, ed è il Regno di Dio, il Regno di Dio in voi.
   Di Me è detto che sono Colui che porterà la giustizia fra le nazioni (Isaia 42, 1-9). È vero. Perché, se i cittadini di ogni nazione facessero ciò che Io insegno, odi, guerre, sopraffazioni avrebbero fine. È detto di Me che Io non alzerei la voce a maledire i peccatori, né la mano a distruggere coloro che sono come canne fesse e lucignoli fumiganti per la loro maniera di vivere indecorosa. È vero. Io sono il Salvatore e vengo ad irrobustire coloro che sono lesionati, a dare umore a coloro la cui luce è fumosa per mancanza di succhi necessari. È detto di Me che sono Colui che apre gli occhi ai ciechi e trae dal carcere i prigionieri e porta alla luce quelli che erano nelle tenebre della carcere. È vero. I ciechi più ciechi sono coloro che neppur con la vesta dell’anima vedono la Luce, ossia il vero Dio. Io vengo, Luce del mondo, perché vedano. I prigionieri più prigionieri sono coloro che hanno per catene le loro passioni malvagie. Ogni altra catena diviene nulla con la morte del prigioniero. Ma le catene dei vizi durano e incatenano anche oltre la morte della carne. Io vengo a scioglierle. Io vengo a levare dalle tenebre del sotterraneo carcere dell’ignoranza di Dio tutti coloro che il paganesimo soffoca sotto il cumulo delle sue idolatrie.

 6 Venite alla Luce ed alla Salvezza. Venite a Me, perché il mio Regno è il vero e la mia Legge è buona. Non vi chiede che di amare l’unico Dio e il prossimo vostro, e perciò di ripudiare gli idoli e le passioni che vi fanno duri di cuore, aridi, sensuali, ladri, omicidi. Il mondo dice: (Sapienza 2, 10-12) “Opprimiamo il povero, il debole, il solo. Sia la forza il nostro diritto, la durezza il nostro abito, l’intransigenza, l’odio, la ferocia, le nostre armi. Il giusto, perché non reagisce, sia conculcato, e oppressi la vedova e l’orfano che hanno debole voce”.
   Io dico: siate dolci e mansueti, perdonate ai nemici, soccorrete i deboli, siate giusti nel vendere e nell’acquistare, anche nel diritto siate magnanimi, non approfittandovi del vostro poter premere sugli oppressi. Non vendicatevi. Lasciate a Dio la cura di tutelarvi. Siate morigerati in ogni tendenza, perché la temperanza è prova di forza morale, mentre la concupiscenza è prova di debolezza. Siate uomini e non bruti, e non temete di essere troppo decaduti e di non poter risorgere.
   In verità vi dico che, come un fango può tornare acqua pura evaporando al sole, purificandosi nel lasciarsi ardere ed elevandosi al cielo per ricadere in pioggia o in rugiada scevra di inquinamento e salutare, purché sappia farsi colpire dal sole, così gli spiriti che si accosteranno alla gran Luce che è Dio e grideranno a Lui: “Ho peccato, sono fango, ma anelo a Te, Luce” diverranno spiriti che ascendono purificati al loro Creatore. Levate alla morte l’orrore, facendo della vostra vita una moneta per acquistare la Vita. Spogliatevi del passato come di una veste sozza e rivestitevi di virtù. Io sono la Parola di Dio e in suo Nome vi dico che chi avrà fede in Lui e buona volontà, chi avrà pentimento del passato e proposito retto per l’avvenire, sia che sia ebreo o gentile, diverrà figlio di Dio e possessore del Regno dei Cieli.
   Vi ho detto in principio: “Chi è il Messia?”. Vi dico ora: Io sono che vi parlo, e il mio Regno è nei vostri cuori se lo accogliete e poi sarà nel Cielo, che Io vi aprirò se saprete perseverare nella mia Dottrina. Questo è il Messia e nulla più. Re di un regno spirituale, del quale col suo Sacrificio aprirà le porte a tutti gli uomini di buona volontà ».

 7 Gesù ha finito di parlare e fa per avviarsi verso una scaletta che dalla diga conduce alla riva. Forse vuole raggiungere la barca di Pietro, che beccheggia presso un rudimentale approdo. Ma si volge di colpo e guarda fra la folla e grida: «Chi mi ha invocato per lo spirito e per la carne? ».
   Nessuno risponde. Egli ripete la domanda e gira i suoi splendidi occhi sulla folla che si assiepa dietro alle sue spalle, non solo sulla via, ma anche giù, sulla rena. Ancora silenzio.
Matteo osserva: « Maestro, chissà quanti in questo momento hanno sospirato a Te sotto l’emozione delle tue parole… ».
   «No. Un’anima ha gridato: “Pietà”, e Io l’ho sentita. E per dirvi che è vero rispondo: “Ti sia fatto secondo che chiedi, perché giusto è il moto del tuo cuore”». E alto, splendido, stende imperiosamente la mano verso il lido.
   Tenta avviarsi ancora verso la scaletta, ma gli si pone di fronte Cusa, sceso, si capisce, da qualche barca, e lo saluta profondamente. «Ti cerco da molti giorni. Ho fatto il giro del lago sempre inseguendoti, Maestro. Urge che io ti parli. Sii mio ospite. Ho molti amici con me ».
   «Ieri ero a Tiberiade ».
   «Me lo hanno detto. Ma non sono solo. Vedi quelle barche dirette all’altra riva? Là sono molti che ti vogliono. Fra questi anche dei tuoi discepoli. Vieni, ti prego, nella mia casa oltre il Giordano ».
   «È inutile, Cusa. So ciò che vuoi dirmi ».
   «Vieni, Signore ».
   «Malati e peccatori mi attendono, lasciami… ».
   «Anche noi ti attendiamo, malati di ansia per il tuo bene. E vi sono anche dei malati nella carne, anche… ».
   «Hai sentito le mie parole? A che insisti dunque? ».
   «Signore, non ci respingere, noi… ».

 8 Una donna si è fatta largo fra la folla. Sono ormai abbastanza pratica di vesti ebraiche per capire che non è ebrea, e di vesti… oneste per capire che costei è una disonesta. Ma, a velare le sue fattezze e le sue grazie, forse troppo procaci, si è avviluppata tutta in un velo, ceruleo come la veste ampia, eppure provocante nella forma che le lascia scoperte le braccia bellissime. Si getta a terra e striscia fra la polvere sino a giungere a toccare la veste di Gesù, che prende fra le dita e bacia proprio sull’orlo, e piange, tutta scossa da singhiozzi.
   Gesù, che stava per rispondere a Cusa con un: «Voi siete in errore e… », china lo sguardo e dice: «Eri tu quella che mi invocavi? ».
   «Sì… e non sono degna della grazia che mi hai fatto. Non avrei dovuto neppure chiamarti  con lo spirito. Ma la tua parola… Signore… io sono peccatrice. Se mi scoprissi il volto, molti ti direbbero il mio nome. Sono…una cortigiana… e una infanticida… e il vizio mi ha resa malata… Ero ad Emmaus, ti ho dato un gioiello, …me lo hai reso… e un tuo sguardo… mi è sceso in cuore… Ti ho seguito… Hai parlato. Io ho detto in me le tue parole: “Sono fango, ma anelo a Te, Luce”. Ho detto: “Guariscimi l’anima e poi, se vuoi la carne”. Signore, sono guarita nella carne… e l’anima?… ».
   «L’anima ti è guarita per il pentimento. Và e non peccare mai più. Ti sono rimessi i tuoi peccati ».
   La donna bacia di nuovo il lembo della veste e si alza. Nel farlo le scivola il velo.
   «La Galazia! La Galazia! », gridano in molti e urlano contumelie, e anche raccolgono ghiaia e rena e la gettano sulla donna che si curva e resta intimorita.

 9 Gesù alza la mano severo. Impone silenzio. «Perché la insultate? Non lo facevate quando era peccatrice. Perché ora che si redime?».
   «Lo fa perché vecchia e malata ». Urlano in molti e hanno voci di scherno. Veramente la donna, sebbene non più giovanissima, è ancora ben lungi da essere vecchia e brutta come dicono. Ma la folla è così.
   «Passa avanti a Me e scendi in quella barca. Ti accompagnerò a casa per altra via», ordina Gesù, e dice ai suoi: «Mettetela in mezzo a voi e accompagnatela».
   L’ira della folla, aizzata da qualche intransigente israelita, si rovescia tutta su Gesù, e fra urli di: «Anatema! Falso Cristo! Protettore di prostitute! Chi le protegge le approva. Più! Le approva perché le gode», e simili frasi urlate, meglio, abbaiate e latrate soprattutto da un gruppetto di energumeni ebrei, non so di che casta, fra questi urli, delle ben lanciate manate di sabbia umida raggiungono il viso di Gesù e lo bruttano.
   Egli alza il braccio e si deterge la guancia senza protestare. Non solo, ma ferma con un gesto Cusa e qualche altro che vorrebbero reagire in sua difesa e dice: «Lasciateli fare. Per la salvezza di un’anima soffrirei ben di più! Io perdono!».
   Zenone, quello di Antiochia, che non si era mai allontanato dal Maestro, esclama: «Ora veramente so chi sei! Un vero dio e non un retore falso! La greca ha detto il vero! Le tue parole alle terme mi avevano deluso. Queste conquistato. Il miracolo mi ha stupito. Il tuo perdono agli offensori conquistato. Addio, Signore! Penserò a Te e alle tue parole».
   «Addio, uomo. La Luce ti illumini il cuore».

10 Cusa insiste di nuovo mentre vanno verso l’approdo, mentre sulla diga succede una gazzarra fra romani e greci da un lato e israeliti dall’altro.
   «Vieni! Per poche ore soltanto. È necessario. Ti accompagnerò io stesso. Sei benigno alle meretrici e vuoi essere inesorabile con noi?».
   «Va bene. Verrò. È necessario, infatti… ». Si volge agli apostoli già nelle barche: «Andate avanti. Io vi raggiungerò… ».
   «Vai solo? », chiede Pietro poco contento.
   «Sono con Cusa… ».
   «Uhm! E noi non si può venire? Per cosa ti vuole coi suoi amici? Perché non è venuto a Cafarnao? ».
   «Ci siamo venuti. Non c’eravate ».
   «Ci aspettavate. Ecco tutto! ».
   «Invece siamo venuti sulle vostre tracce ».
   «Venite adesso a Cafarnao. Deve essere il Maestro che viene da voi? ».
   «Simone ha ragione », dicono gli altri apostoli.
   «Ma perché non volete che venga con me? È forse la prima volta che viene in casa mia? Non mi conoscete forse? ».
   «Sì che ti conosciamo. Ma non conosciamo gli altri, ecco ».
   «E di che temete? Che io sia amico dei nemici del Maestro? ».
   «Non so niente io! Mi ricordo la fine di Giovanni profeta, io! ».
   «Simone! Tu mi fai offesa. Sono uomo d’onore. Ti giuro che prima che venisse torto un capello al Maestro mi farei trafiggere. Mi devi credere! La mia spada è al suo servizio… ».   
   «Eh!… Che trafiggano te… Che servirebbe? Dopo… Sì, lo credo, ti credo… Ma, tu morto, sarebbe la sua volta. Preferisco il mio remo alla tua spada, la mia povera barca e soprattutto i nostri semplici cuori al suo servizio ».
   «Ma con me è Mannaen. Credi a Mannaen? E c’è anche il fariseo Eleazar, quello che tu conosci, e il sinagogo Timoneo, e Natanael ben Fada. Tu non lo conosci questo. Ma è un capo importante e vuole parlare col Maestro. E c’è Giovanni detto l’Antipa di Antipatride, favorito da Erode il Grande, ora vecchio e potente, padrone di tutta la valle del Gahas, e… ».
   «Basta, basta! Tu fai dei gran nomi, a me nulla dicono, meno due… e vengo anche io… ».
   «No. Vogliono parlare col Maestro…».
   «Vogliono! E chi sono? Vogliono?! Ed io non voglio. Sali qui, Maestro, e andiamo. Non voglio sapere di nessuno io, non mi fido che di me stesso io. Su, Maestro. E tu va in pace a dire a costoro che non siamo randagi. Sanno dove trovarci », e spinge Gesù senza tanti riguardi, mentre Cusa protesta a gran voce.

11 Gesù interviene definitivamente: «Non temere, Simone. Nulla mi accadrà di male. Lo so. Ed è bene che Io vada. Bene per Me. Intendimi… », e lo fissa coi suoi occhi splendidi come per dirgli: «Non insistere. Capiscimi. Vi sono ragioni che consigliano che Io vada».
   Simone cede a malincuore. Ma cede, come dominato… Però borbotta fra i denti malcontento.
   «Và tranquillo, Simone. Io stesso ti riaccompagnerò il Signore mio e tuo », promette Cusa.
   «Quando? ».
   «Domani ».
   «Domani?! Tanto ci vuole per dire due parole? Siamo fra terza e sesta… Prima di sera se non è con noi, veniamo noi da te. E non noi soli… », e lo dice con un tono che non lascia dubbi sull’intenzione.
Gesù posa la mano sulla spalla di Pietro. «Ti dico, Simone, che non mi faranno male. Mostra che credi alla mia vera natura. Io te lo dico. Io so. Non mi faranno nulla. vogliono soltanto spiegarsi con Me… Và… Conduci la donna a Tiberiade, sosta pure da Giovanna, potrai vedere che non mi rapiscono con barche e armati…».
   «Già, ma la sua casa (e accenna a Cusa) la conosco. So che dietro c’è la terra, non è un’isola, c’è dietro Galgala e Gamala, Aera, Arbela, Gerasa, Bozra, e Pella e Ramot e quante mai città!… ».
   «Ma non temere, dico. Ubbidisci. Dammi un bacio, Simone. Và! Anche a voi ». Li bacia e li benedice. Quando vede la barca andare grida loro: «Non è la mi ora. E finché non è, nulla e nessuno potrà alzare la mano su di Me. Addio, amici ».
   Si volge a Giovanna, che appare visibilmente turbata e pensierosa, e dice anche a lei: «Non temere. È bene che ciò avvenga. Và in pace ». E a Cusa: «Andiamo. Per mostrarti che non ho paura. E per guarirti…».
   «Non sono malato, Signore…».
   «Tu lo sei. Io te lo dico. E molti con te. Andiamo ».
   Sale sulla barca snella e ricca e si siede. I rematori iniziano la voga sulle acque chete, facendo un arco per sfuggire alla corrente sensibile là verso il termine del lago, presso lo sbocco di esso nel fiume.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!