San Marcello I prega per noi – 16 gennaio

Nei primi tre secoli del Cristianesimo, non tutte le persecuzioni furono uguali. Da Nerone a Diocleziano, fu un alto e basso, un incrudelire e un blandire. Qualche Imperatore, come Decio, mirò più a fare apostati, cioè rinnegati, che Martiri, cioè « testimoni ».

L’ultima persecuzione, prima che Costantino accogliesse come insegna la Croce, fu quella del vecchio Diocleziano, e fu la più lunga e cruda. Ebbe inizio nel 303. Distrutte le chiese, bruciati i libri sacri, i Cristiani che si rifiutavano di sacrificare agli dèi erano considerati peggio di schiavi, I nobili, se cristiani, perdevano i loro titoli; gli ufficiali, i loro gradi; i funzionari, i loro uffici; i mercanti, i loro averi.

Ma a queste persecuzioni morali si aggiunsero presto anche quelle materiali. Accusati d’aver bruciato il Palazzo imperiale i Cristiani vennero arsi, affogati, decapitati, crocifissi, sbranati. Città intere restarono spopolate; l’esercito decimato.

Dinanzi a questo vero e proprio « terrore », molti Cristiani cedettero: abiurarono e apostatarono. Non tutti furono capaci di reggere, specialmente alla persecuzione civile, e per conservare, non tanto la loro vita, quanto la loro dignità, i loro gradi, i loro uffici, i loro averi, caddero nell’apostasia.

Vennero chiamati lapsi, cioè caduti; e relapsi quando erano ricaduti più di una volta nell’apostasia.

Per questi suoi figli infelici, la Chiesa devastata, smembrata, prese il lutto, e alla morte del Papa Marcellino si ebbe un lungo periodo di vacanza della sede apostolica.

In questo momento difficilissimo, anzi, addirittura tragico, s’alzò la figura di San Marcello, presbiterocapo della Chiesa Romana. Nei calendari e negli elenchi dei Pontefici, gli viene dato il titolo di Papa, trentunesimo della serie Apostolica. Ma forse egli non fu Papa, ma soltanto « Presbiterocapo », cioè primo tra i sacerdoti romani.

In ogni modo, il suo pontificato ebbe inizio quattr’anni dopo la morte del suo predecessore, e fu di breve durata. La Chiesa, dopo la persecuzione e l’assenza di un capo, mostrava le piaghe dell’infedeltà e le cicatrici del tradimento. San Marcello fu severo coi lapsi, ai quali impose gravi penitenze; severissimo coi relapsi. Duro con coloro i quali, addirittura, avevano formato una specie di partito « lassista », che tentava di giustificare, se non addirittura difendere, l’operato dei cristiani rinnegati.

E la durezza di San Marcello era santa e salutare, perché se i deboli possono destare pietà, i traditori compiaciuti e i protervi non possono suscitare che la riprovazione e la condanna.

Con la morte di Diocleziano e la successione di Massenzio, che doveva essere poi l’avversario sconfitto da Costantino, la persecuzione parve placarsi. La Chiesa romana si riorganizzò sotto la guida inflessibile di San Marcello, finché anche l’Imperatore Massenzio, insospettitosi, mandò in esilio il Pontefice, o « Presbiterocapo », della Chiesa Romana.

E in esilio morì, nel 309, per quanto le leggende, e anche il Martirologio accennino ad una fine diversa e più colorita.

Narrano infatti come Marcello celebrasse nella casa che una ricca matrona, Novella, aveva lasciato alla Chiesa, convertendosi al Cristianesimo, e che si trovava sulla via Lata. L’Imperatore, avrebbe fatto trasformare quella casachiesa in una stalla per i cavalli dei corrieri imperiali; e San Marcello, dopo essere stato battuto con le verghe, fu condannato a servire come stalliere.

Nel qual servizio, conclude la Leggenda, dopo molti anni di fatiche e di strapazzi, si riposò in pace », cioè morì. Ecco perché San Marcello, presbitero-capo e Papa, viene venerato come Patrono degli stallieri e protettore delle scuderie, men duro forse verso le bestie che con i relapsi compiaciuti e protervi!

MARTIROLOGIO ROMANO. A Roma nel cimitero di Priscilla sulla via Salaria Nuova, deposizione di san Marcellino I, papa, che, come attesta san Damaso, vero pastore, fieramente osteggiato dagli apostati che rifiutavano la penitenza da lui stabilita e disonorevolmente denunciato presso il tiranno, morì esule scacciato dalla patria.

Nome: San Marcello I
Titolo: Papa
Nascita: III secolo , Roma
Morte: 16 gennaio 309, Roma
Ricorrenza: 16 gennaio
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Saint-Marcel, Anversa degli Abruzzi, Traverse

Vangelo Gv 2, 1-12: « Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Vangelo Vetus e Novus Ordo Gv 2, 1-12
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.
Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.
Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora». Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. LI. Maria manda Giuda Taddeo ad invitare Gesù alle nozze di Cana

   17 ottobre 1944

 1 Vedo la cucina di Pietro. In essa, oltre a Gesù, vi è Pietro e la moglie, e Giacomo e Giovanni. Sembra che abbiano finito allora la cena e stiano conversando fra loro. Gesù si interessa della pesca.
   Entra Andrea e dice: «Maestro, vi è qui l’uomo presso il quale stai, con uno che si dice tuo cugino».
   Gesù si alza e va verso l’uscio dicendo: «Vengano avanti»; e quando, alla luce della lucerna ad olio e della fiamma del focolare, vede entrare Giuda Taddeo, esclama: «Tu, Giuda?!».
   «Io, Gesù». 
   Si baciano. Giuda Taddeo è un bell’uomo nella pienezza della bellezza virile. Alto, sebbene non quanto Gesù, ben proporzionato nella sua robustezza, bruno, come lo era S. Giuseppe da giovane, di un olivastro non terreo e con occhi che hanno qualcosa di comune con quelli di Gesù, perché sono di una tinta azzurra, ma tendente al pervinca. Ha barba quadrata e bruna, capelli mossi, meno a ricciolo di quelli di Gesù, bruni come la barba.
   «Vengo da Cafarnao. Vi sono andato con una barca e qui pure sono venuto con essa per fare più presto. Mi manda tua Madre; dice: “Susanna è sposa domani. Io ti prego, Figlio, di essere a queste nozze”. Maria vi prende parte e con Lei la madre mia e i fratelli. Tutti i parenti vi sono invitati. Tu solo saresti assente, ed essi, i parenti, ti chiedono di far contenti gli sposi».

 2 Gesù si inchina lievemente, aprendo un poco le braccia, e dice: «Desiderio di mia Madre è mia legge. Ma anche per Susanna e i parenti verrò. Solo… mi spiace per voi…» e guarda Pietro e gli altri. «Sono i miei amici» spiega al cugino. E li nomina cominciando da Pietro. Per ultimo dice: «e questo è Giovanni», e lo dice in un modo tutto speciale, che attira lo sguardo più attento di Giuda Taddeo e fa arrossire il prediletto. Termina la presentazione dicendo: «Amici, questo è Giuda figlio d’Alfeo, mio fratel cugino, secondo la consuetudine del mondo, perché figlio del fratello dello sposo di mia Madre. Un mio buon amico di lavoro e di vita».
«La mia casa è aperta a te come al Maestro. Siedi» e poi, rivolto a Gesù, Pietro dice: «E allora? Non verremo più con Te a Gerusalemme?».
   «Certo che verrete. Dopo la festa di nozze Io andrò. Soltanto non mi fermerò più a Nazaret».
   «Fai bene, Gesù. Perché tua Madre è ospite mia per qualche giorno. È inteso così, e vi verrà Lei pure dopo le nozze». Così dice l’uomo di Cafarnao.
   «Così faremo, allora. Ora con la barca di Giuda Io andrò a Tiberiade e di li a Cana, e con la stessa tornerò a Cafarnao con la Madre e con te. Il giorno dopo il prossimo sabato tu verrai, Simone, se ancora vuoi venire, e andremo a Gerusalemme per la Pasqua».
   «Si che vorrò! Anzi verrò il sabato per udirti alla sinagoga».

 3«Già ammaestri, Gesù?» chiede il Taddeo.
   «Si, cugino».
   «E che parole! Ah! non si odono sul labbro d’altri!».
   Giuda sospira. Col capo appoggiato alla mano, col gomito puntato sul ginocchio, guarda Gesù e sospira. Pare voglia parlare e non osi.
   Gesù lo stuzzica: «Che hai, Giuda? Perché mi guardi e sospiri?».
   «Niente».
   «No. Niente non è. Non sono più il Gesù che tu amavi? Quello per cui non avevi segreti?».
   «Si, che lo sei! E come mi manchi, Tu, maestro del tuo più anziano cugino… »
   «E allora? Parla».
   «Volevo dirti… Gesù… sii prudente… hai una Madre… che non ha che Te… Tu vuoi essere un “rabbi ” diverso dagli altri e Tu sai, meglio di me, che… che le caste potenti non permettono cose diverse alle consuetudinarie da loro messe. Conosco il tuo modo di pensare… è santo… Ma il mondo non è santo… e opprime i santi… Gesù… Tu sai la sorte di tuo cugino il Battista… È prigione, e se ancor non è morto è perché quel lurido Tetrarca ha paura della folla e del fulmine di Dio. Lurido e superstizioso come crudele e
libidinoso. Tu… che farai? A che sorte vuoi andare incontro?».
   «Giuda, questo mi chiedi tu che conosci tanto del mio pensiero? Parli di tuo impulso? No. Non mentire! Ti hanno mandato, e non mia Madre certo, a dirmi queste cose…
Giuda abbassa il capo e tace. 
   «Parla, cugino».
   «Mio padre… e con lui Giuseppe e Simone… sai… per tuo bene… per affetto per Te e Maria… non vedono di buon occhio quello che Tu ti proponi di fare… e… e vorrebbero Tu pensassi a tua Madre… »

 4 «E tu che pensi?».
   «Io… io».
   «Tu sei combattuto fra le voci dell’Alto e della terra. Non dico del Basso. Dico della terra. Anche Giacomo lo è, più di te ancora. Ma Io vi dico che sopra la terra è il Cielo, sopra gli interessi del mondo vi è la causa di Dio. Avete bisogno di cambiare modo di pensare. Quando lo saprete fare, sarete perfetti».
   «Ma… e tua Madre?».
   «Giuda, non c’è che Lei che avrebbe diritto a richiamarmi ai miei doveri di figlio, secondo la luce della terra: ossia al mio dovere di lavorare per Lei, per sovvenire ai suoi bisogni materiali, al mio dovere di assistenza e conforto con una vicinanza alla Madre. E Lei non mi chiede nulla di questo. Da quando mi ebbe, Ella sa che mi avrebbe perduto, per ritrovarmi in una maniera più vasta di quella del piccolo cerchio della famiglia. E da allora si è preparata a questo.

   Non è nuova nel suo sangue questa assoluta volontà di donazione a Dio. Sua madre l’ha offerta al Tempio prima che Ella sorridesse alla luce. Ed Ella – me lo ha detto le innumerevoli volte che, tenendomi contro il suo cuore nelle lunghe sere d’inverno o nelle chiare notti d’estate piene di stelle, mi ha parlato della sua infanzia santa – ed Ella si è data a Dio sin da quelle prime luci della sua alba nel mondo. E più ancora si è data quando mi ebbe, per essere dove Io sono, sulla via della missione che mi viene da Dio. Tutti mi lasceranno in un ora; magari per pochi minuti, ma la viltà sarà padrona di tutti e penserete che era meglio, per la vostra sicurezza, non avermi mai conosciuto. Ma Lei, che ha compreso e che sa, Lei sarà sempre meco. E voi tornerete ad essere miei per Essa. Con la forza della sua sicura, amorosa fede, Ella vi aspirerà in sé e perciò vi riaspirerà in Me, perché io sono nella Madre ed Ella è in Me, e Noi in Dio. Questo vorrei che comprendeste voi tutti, parenti secondo il mondo, amici e figli secondo il soprannaturale. Tu, e con te gli altri, non sapete chi è mia Madre. Ma, se lo sapeste, non la critichereste in cuor vostro per non sapermi tenere a Lei soggetto, ma la venerereste come l’Amica più intima di Dio, la Potente che tutto può sul cuore dell’Eterno Padre e sul Figlio del suo cuore. Per certo che a Cana verrò. Voglio farla felice. Comprenderete meglio dopo quest’ora». 
   Gesù è imponente e persuasivo.
   Giuda lo guarda attento. Pensa. Dice: «E io pure per certo verrò con Te, insieme a questi, se mi vuoi… perché sento che Tu dici cose giuste. Perdona alla mia cecità e a quella dei fratelli. Sei tanto più santo di noi!…». 
   «Non ho rancore per chi non mi conosce. Non ne ho neppure per chi mi odia. Ma ne ho dolore per il male che a sé stesso fa.

 5 Che hai in quella sacca?».
   «La veste che tua Madre ti manda. Gran festa, domani. Ella pensa che il suo Gesù ne abbia bisogno per non sfigurare fra gli invitati. Ha filato indefessa dalle prime luci alle estreme, ogni giorno, per prepararti questa veste. Ma non ha ultimato il mantello. Ancor ne mancano le frange. Ne è tutta desolata».
   «Non occorre. Andrò con questo, e quello serberò per Gerusalemme. Il Tempio è più ancora di una festa di nozze».
   «Ella ne sarà felice».
   «Se volete essere all’alba sulla via di Cana, vi conviene partire subito. La luna sorge e sarà buona la traversata» dice Pietro.
   «Andiamo, allora. Vieni, Giovanni. Ti porto con Me. Simon Pietro, Giacomo, Andrea, addio. Vi attendo la sera di sabato a Cafarnao. Addio, donna. Pace a te e alla tua casa».
   Escono Gesù con Giuda e Giovanni. Pietro li segue sino a riva e aiuta l’operazione di partenza della barca.
   E la visione ha fine. 

 6 Dice Gesù:
«Quando sarà l’ora di fare un ordinato lavoro, sarà inserita qui la visione delle nozze di Cana. Metti la data (16-1-44)».

   Cap. LII. Le nozze di Cana. Il Figlio non più soggetto alla Madre compie per Lei il primo miracolo.

   16 gennaio 1944.

 1 Vedo una casa. Una caratteristica casa orientale – un cubo bianco, più largo che alto, con rade aperture – sormontata da una terrazza che fa da tetto, recinta da un muretto alto circa un metro e ombreggiata da una pergola di vite, che si arrampica fin là e stende i suoi rami su oltre metà di questa assolata terrazza. Una scala esterna sale lungo la facciata sino all’altezza di una porta, che si apre a metà altezza della facciata. Sotto ci sono, al terreno, delle porte basse e rade, non più di due per lato, che mettono in stanze basse e scure. La casa sorge in mezzo ad una specie di aia, più spiazzo erboso che aia, che ha al centro un pozzo. Vi sono delle piante di fico e di melo. La casa guarda verso la strada, ma non è sulla strada. È un poco in dentro, e un viottolo fra l’erba l’unisce alla via che sembra una via maestra.
   Si direbbe che la casa è alla periferia di Cana: casa di proprietari contadini, i quali vivono in mezzo al loro poderetto. La campagna si stende oltre la casa con le sue lontananze verdi e placide. Vi è un bel sole e un azzurro tersissimo di cielo. In principio non vedo altro. La casa è sola.

 2 Poi vedo due donne, con lunghe vesti e un manto che fa anche da velo, avanzarsi sulla via e da questa sul sentiero. Una è più anziana, sui cinquant’anni, e veste di scuro, un color bigiomarrone come di lana naturale. L’altra è vestita più in chiaro, una veste di un giallo pallido e manto azzurro, e sembra avere un trentacinque anni. È molto bella, snella, e ha un portamento pieno di dignità, per quanto sia tutta gentilezza e umiltà. Quando è più vicina, noto il color pallido del volto, gli occhi azzurri e i capelli biondi che appaiono sotto il velo sulla fronte. Riconosco Maria Ss. Chi sia l’altra, che è bruna e più anziana, non so. Parlano fra loro e la Madonna sorride. Quando sono prossime alla casa, qualcuno, certamente messo a guardia degli arrivi, dà l’avviso, ed incontro alle due vengono uomini e donne tutti vestiti a festa, i quali fanno molte feste alle due e specie a Maria Ss.
   L’ora pare mattutina, direi verso le nove, forse prima, perché la campagna ha ancora quell’aspetto fresco delle prime ore del giorno, nella rugiada che fa più verde l’erba e nell’aria non ancora offuscata da polvere. La stagione mi pare primaverile, perché i prati sono con erba non arsa dall’estate e i campi hanno il grano ancor giovane e senza spiga, tutto verde. Le foglie del fico e del melo sono verdi e ancora tenere, e così quelle della vite. Ma non vedo fiori sul melo e non vedo frutta né sul melo, né sul fico, né sulla vite. Segno che il melo ha già fiorito, ma da poco, e i frutticini non si vedono ancora.

 3 Maria, molto festeggiata e fiancheggiata da un anziano che pare il padrone di casa, sale la scala esterna ed entra in un’ampia sala che pare tenere tutta o buona parte del piano sopraelevato.
  Mi pare di capire che gli ambienti al terreno sono le vere e proprie stanze di abitazione, le dispense, i ripostigli e le cantine, e questa sia l’ambiente riservato a usi speciali, come feste eccezionali, o a lavori che richiedano molto spazio, o anche a distensione di derrate agricole. Nelle feste lo svuotano da ogni impiccio e lo ornano, come è oggi, di rami verdi, di stuoie, di tavole imbandite. Al centro ve ne è una molto ricca, con sopra già delle anfore e piatti colmi di frutta. Lungo la parete di destra, rispetto a me che guardo, un’altra tavola imbandita, ma meno riccamente. Lungo quella di sinistra, una specie di lunga credenza, con sopra piatti con formaggi e altri cibi che mi paiono focacce coperte di miele e dolciumi. In terra, sempre presso questa parete, altre anfore e tre grossi vasi in forma di brocca di rame (su per giù). Le chiamerei giare.
   Maria ascolta benignamente quanto tutti le dicono, poi con bontà si leva il manto ed aiuta a finire i preparativi della mensa. La vedo andare e venire aggiustando i letti-sedili, raddrizzando le ghirlande di fiori, dando migliore aspetto alle fruttiere, osservando che nelle lampade vi sia l’olio. Sorride e parla pochissimo e a voce molto bassa. Ascolta invece molto e con tanta pazienza.
   Un grande rumore di strumenti musicali (poco armonici in verità) si ode sulla via. Tutti, meno Maria, corrono fuori. Vedo entrare la sposa, tutta agghindata e felice, circondata dai parenti e dagli amici, a fianco dello sposo che le è corso incontro per primo.

 4 E qui la visione ha un mutamento. Vedo, invece della casa, un paese. Non so se sia Cana o altra borgata vicina. E vedo Gesù con Giovanni ed un altro che mi pare Giuda Taddeo, ma potrei, su questo secondo, sbagliare. Per Giovanni non sbaglio. Gesù è vestito di bianco ed ha un manto azzurro cupo. Sentendo il rumore degli strumenti, il compagno di Gesù chiede qualcosa ad un popolano e riferisce a Gesù. 
   «Andiamo a far felice mia Madre» dice allora Gesù sorridendo. E si incammina attraverso ai campi, coi due compagni, alla volta della casa. Mi sono dimenticata di dire che ho l’impressione che Maria sia o parente o molto amica dei parenti dello sposo, perché si vede che è in confidenza.
   Quando Gesù arriva, il solito, messo di sentinella, avvisa gli altri. Il padrone di casa, insieme al figlio sposo ed a Maria, scende incontro a Gesù e lo saluta rispettosamente. Saluta anche gli altri due, e lo sposo fa lo stesso. 
   Ma quello che mi piace è il saluto pieno di amore e di rispetto di Maria al Figlio e viceversa. Non espansioni, ma uno sguardo tale accompagna la parola di saluto: «La pace è con te» e un tale sorriso che vale cento abbracci e cento baci. Il bacio tremola sulle labbra di Maria, ma non viene dato. Soltanto Ella pone la sua mano bianca e piccina sulla spalla di Gesù e gli sfiora un ricciolo della sua lunga capigliatura. Una carezza da innamorata pudica.

 5 Gesù sale a fianco della Madre e seguito dai discepoli e dai padroni, ed entra nella sala del convito, dove le donne si danno da fare ad aggiungere sedili e stoviglie per i tre ospiti, inaspettati, mi sembra. Direi che era incerta la venuta di Gesù e assolutamente impreveduta quella dei suoi compagni.
   Odo distintamente la voce piena, virile, dolcissima del Maestro dire, nel porre piede nella sala: «La pace sia in questa casa e la benedizione di Dio su voi tutti». Saluto cumulativo a tutti i presenti e pieno di maestà. Gesù domina col suo aspetto e con la sua statura tutti quanti. È l’ospite, e fortuito, ma pare il re del convito, più dello sposo, più del padrone di casa. Per quanto sia umile e condiscendente, è colui che si impone.
   Gesù prende posto alla tavola di centro con lo sposo, la sposa, i parenti degli sposi e gli amici più influenti. I due discepoli, per rispetto al Maestro, vengono fatti sedere alla stessa tavola.
   Gesù ha le spalle voltate alla parete dove sono le giare e le credenze. Non le vede perciò, e non vede neppure l’affaccendarsi del maggiordomo intorno ai piatti di arrosti, che vengono portati da una porticina che si apre presso le credenze.


   Osservo una cosa. Meno le rispettive madri degli sposi e meno Maria, nessuna donna siede a quel tavolo. Tutte le donne sono, e fanno baccano per cento, all’altra tavola contro la parete, e vengono servite dopo che sono stati serviti gli sposi e gli ospiti di riguardo. Gesù è presso il padrone di casa ed ha di fronte Maria, la quale siede a fianco della sposa.
Il convito comincia. E le assicuro che l’appetito non manca e neanche la sete. Quelli che lasciano poco il segno sono Gesù e sua Madre (il significato è che poco mangiano e poco bevono), la quale, anche, parla pochissimo. Gesù parla un poco di più. Ma, per quanto sia parco, non è, nel suo scarso parlare, né accigliato né sdegnoso. È un uomo cortese ma non ciarliero. Interrogato risponde, se gli parlano si interessa, espone il suo parere, ma poi si raccoglie in Sé come uno abituato a meditare. Sorride, non ride mai. E, se sente qualche scherzo troppo avventato, mostra di non udire. Maria si ciba della contemplazione del suo Gesù, e così Giovanni, che è verso il fondo della tavola e pende dalle labbra del suo Maestro.

 6 Maria si accorge che i servi parlottano col maggiordomo e che questo è impacciato, e capisce cosa c’è di spiacevole. «Figlio» dice piano, richiamando l’attenzione di Gesù con quella parola.      «Figlio, non hanno più vino».
   «Donna, che vi è più fra Me e te?». Gesù, nel dirle questa frase, sorride ancor più dolcemente, e sorride Maria, come due che sanno una verità che è loro gioioso segreto, ignorata da tutti gli altri.
 

 7 Gesù mi spiega il significato della frase.
   «Quel “più”, che molti traduttori omettono , è la chiave della frase e la spiega nel suo vero significato.
   Ero il Figlio soggetto alla Madre sino al momento in cui la volontà del Padre mio mi indicò esser venuta l’ora di essere il Maestro. Dal momento che la mia missione ebbe inizio, non ero più il Figlio soggetto alla Madre, ma il Servo di Dio. Rotti i legami morali verso la mia Genitrice. Essi si erano mutati in altri più alti, si erano rifugiati tutti nello spirito. Quello chiamava sempre “Mamma” Maria, la mia Santa. L’amore non conobbe soste, né intiepidimento, anzi non fu mai tanto perfetto come quando, separato da Lei come per una seconda figliazione, Ella mi dette al mondo per il mondo, come Messia, come Evangelizzatore. La sua terza sublime mistica maternità fu quando, nello strazio del Golgota, mi partorì alla Croce facendo di Me il Redentore del mondo.
   “Che vi è più fra Me e te? “Prima ero tuo, unicamente tuo. Tu mi comandavi, Io ti ubbidivo. Ti ero “soggetto”. Ora sono della mia missione.
   Non l’ho forse detto? (Luca 9, 62; Vol 3 Cap 178; Vol 4 Cap 276) “Chi, messa la mano all’aratro, si volge indietro a salutare chi resta, non è adatto al Regno di Dio”. Io avevo posto la mano all’aratro per aprire col vomere non le glebe, ma i cuori, e seminarvi la parola di Dio. Avrei levato quella mano solo quando me l’avrebbero strappata di là per inchiodarmela alla croce ed aprire con il mio torturante chiodo il cuore del Padre mio, facendone uscire il perdono per l’umanità.
  Quel “più”, dimenticato dai più, voleva dire questo: “Tutto mi sei stata, o Madre, finché fui unicamente il Gesù di Maria di Nazareth, e tutto mi sei nel mio spirito; ma, da quando sono il Messia atteso, sono del Padre mio. Attendi un poco ancora e, finita la missione, sarò da capo tutto tuo; mi riavrai ancora sulle braccia come quand’ero bambino, e nessuno te lo contenderà più, questo tuo Figlio, considerato un obbrobrio dell’umanità, che te ne getterà la spoglia per coprire te pure dell’obbrobrio d’esser madre di un reo. E poi mi avrai di nuovo, trionfante, e poi mi avrai per sempre, trionfante tu pure in Cielo. Ma ora sono di tutti questi uomini. E sono del Padre che mi ha mandato ad essi”.
  Ecco quel che vuol dire quel piccolo e così denso di significato “più” ».

8 Maria ordina ai servi: «Fate quello che Egli vi dirà». Maria ha letto negli occhi sorridenti del Figlio l’assenso, velato dal grande insegnamento a tutti i “vocati”. E ai servi: «Empite d’acqua le idrie» ordina Gesù.
   Vedo i servi empire le giare di acqua portata dal pozzo (odo stridere la carrucola che porta su e giù il secchio gocciolante). Vedo il maggiordomo mescersi un poco di quel liquido con occhi di stupore, assaggiarlo con atti di ancor più vivo stupore, gustarlo e parlare al padrone di casa e allo sposo (erano vicini).
   Maria guarda ancora il Figlio e sorride; poi, raccolto un sorriso di Lui, china il capo arrossendo lievemente. È beata.
   Nella sala passa un sussurrìo, le teste si volgono tutte verso Gesù e Maria, c’è chi si alza per vedere meglio, chi va alle giare. Un silenzio, e poi un coro di lodi a Gesù.
   Ma Egli si alza e dice una parola: «Ringraziate Maria» e poi si sottrae al convito. I discepoli lo seguono. Sulla soglia ripete: «La pace sia a questa casa e la benedizione di Dio su voi» e aggiunge: «Madre, ti saluto».
   La visione cessa.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!