San Mauro Abate prega per noi – 15 gennaio

La splendida figura di San Benedetto forma, nella storia del monachesimo occidentale, una specie di mistico sistema planetario, di cui il Patriarca è il sole; sua sorella Scolastica è la luna, e le prime due stelle sono San Mauro e San Placido. La leggenda ci presenta i due primi discepoli di San Benedetto, giovanissimi, nel momento in cui sono condotti al Patriarca dai loro stessi genitori.

Mauro apparteneva ad una famiglia senatoriale romana. Il nome del padre, Equizio, e quello della madre, Giulia, dicono chiaramente la loro nobiltà. A soli dodici anni, Mauro, nato a Roma nel 512, fu presentato a San Benedetto. Si legge infatti nei Dialoghi di San Gregorio Magno: « Perseverando lo santissimo Benedetto nella solitudine e crescendo in fama e in virtù… cominciarono eziandio li nobili e onesti uomini di Roma a venire a lui e offrirgli li propri figlioli, acciò che li nutricasse nel servigio di Dio… Et allora, fra gli altri, gli furono offerti due giovani di buon aspetto », cioè Mauro e Placido. San Benedetto accolse con gioia tanto Mauro quanto Placido, che furono, come si suol dire, le pupille dei suoi occhi.

Docile come cera vergine, austero già nella sua fanciullezza e praticante la più assoluta astinenza, Mauro fu presto portato da San Benedetto come esempio agli altri monaci più indocili e anche ribelli al morso del grande riformatore. Specialmente la perfetta obbedienza era di consolazione al Patriarca e doveva essere d’esempio agli altri religiosi. Per questo, nei Dialoghi, San Gregorio narra un episodio, del quale sono protagonisti proprio i due allievi prediletti di San Benedetto. Un giorno, infatti, Placido, che era andato ad attinger acqua, cadde in un lago. San Benedetto chiamò San Mauro e gli disse di correre al salvamento del confratello, che l’onda allontanava dalla riva. San Mauro corse fino alla riva, e oltre ancora, sull’acqua. Raggiunse il compagno e lo trasse di pericolo. Solo quando furono a terra, « voltandosi a drieto dice San Gregorio conobbe che era andato sopra l’acqua ».

Lo qual miracolo, conclude San Gregorio, Santo Benedetto imputò non ai suoi meriti, ma all’ubbidienza di Mauro; e d’altra parte Mauro dicea che per solo comandamento e merito di Santo Benedetto era fatto, e non per suo ».

Soltanto una volta il giovane Mauro diede un dispiacere al suo maestro. San Benedetto era perseguitato da un pessimo prete di nome Fiorenzo, che lo vessava in mille maniere. L’indegno ministro di Dio morì, e Mauro, non sapendo fingere, corse a darne notizia a San Benedetto, con evidente sollievo e soddisfazione. Il Santo Io rimproverò di quella notizia con un’aspra penitenza, che Mauro accettò, riconoscendo d’aver peccato.

Mauro seguì San Benedetto a Montecassino, dove divenne priore e amministratore del monastero che doveva avere una storia tanto gloriosa. Egli veniva ormai considerato il successore di San Benedetto. In assenza del Patriarca, tutti si rivolgevano a lui, anche per ottenere guarigioni.

Un giorno venne condotto a Montecassino un bambino muto. Si voleva che lo benedicesse San Benedetto, ma l’Abate non c’era. Ed ecco Mauro che, per quanto Priore, torna dal lavoro dei campi, con la zappa sulle spalle. Presentano a lui il mutolino. Egli da prima si schermisce. Poi, cedendo alle preghiere, lo benedice e lo guarisce.

Tutti pensavano ch’egli avrebbe preso il posto di San Benedetto, a Montecassino quando dalla Francia fu richiesta una fondazione benedettina. San Benedetto affidò a Mauro quel delicato e impegnativo incarico. Lo munì della Regola, e lo inviò, con la sua benedizione, nel lontano paese. E il suo prediletto fondò il primo monastero benedettino in terra francese, sulla riva della Loira, a Glanfeuil. Verso i 70 anni, rinunziò al pastorale d’Abate per prepararsi santamente alla morte, che lo colse improvvisa, ma non di sorpresa, il 15 gennaio del 584.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nel territorio d’Angers il beato Màuro Abate, discepolo di san Benedétto. Alla scuola di questi fu istruito dalla sua infanzia e dei suoi progressi notevoli ne fan fede i prodigi ch’egli compì sotto un tale maestro, soprattutto col camminare a piedi sopra le acque, cosa ammirabile e dopo Piétro quasi mai più avvenuta. Mandato poi dallo stesso Benedétto in Frància, quivi, avendo costruito un celebre monastero, che governò per quarant’anni, celebre per gloria di miracoli, si riposò in pace.

Nome: San Mauro
Titolo: Abate
Nascita: 512, Roma
Morte: 15 gennaio 584, Angers, Francia
Ricorrenza: 15 gennaio
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Casoria, Aci Castello, Lavello, Gessate, Viagrande, Noventa di Piave, Sarnico, San Paolo d’Argon, Buscate, Monsampolo del Tronto >>> altri comuni

Vangelo Mc 2, 13-17: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».

Vangelo Novus Ordo Mc 2, 13-17
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì.
Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?».
Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
«Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. XCVII. La chiamata di Matteo.

   4 febbraio 1945

 1 Quasi subito dopo vedo questo. Ancora la piazza del mercato di Cafarnao. Ma in un’ora più calda, in cui il mercato è già finito e sulla piazza sono solo degli sfaccendati che parlano e dei bambini che giocano. Gesù, in mezzo al suo gruppo, viene dal lago verso la piazza, carezzando bambini che gli corrono incontro e interessandosi alle loro confidenze. Una bambina mostra un grande sgraffio sanguinante sulla fronte e accusa il fratellino di averglielo fatto. «Perché hai fatto male alla sorella? Non sta bene». 
   «Non l’ho fatto apposta. Volevo cogliere quei fichi e ho preso un bastone. Ma era troppo pesante e mi è cascato addosso a lei… Li coglievo anche per lei». 
   «Vero, Giovanna?». 
   «È vero». 
   «Vedi allora che tuo fratello non ti ha voluto fare del male. Voleva anzi darti una gioia. Perciò ora fate subito pace e vi date un bacio. I buoni fratellini, e anche i buoni bambini, non devono conoscere mai il rancore. Su… » I due bambini piangenti si baciano. Piangono tutti e due: una per il dolore dello sgraffio, l’altro per il dolore di aver dato dolore. Gesù sorride davanti a quel bacio condito di lacrimoni. 
   «Oh! ecco! Ora, perché vedo che siete buoni, i fichi ve li raccolgo Io. E senza bastone». 
   Sfido io! Alto come è, e col braccio così lungo, arriva senza fatica a farlo. Coglie è distribuisce. Accorre una donna: «Prendi, prendi, Maestro. Ora ti porto del pane». 
   «No. Non è per Me. E per Giovanna e Tobiolo. Ne avevano voglia». 
   «E avete disturbato il Maestro per questo? Oh! che indiscreti! Perdona, Signore». 
   «Donna, c’era da fare una pace… e l’ho fatta con l’oggetto stesso della guerra: i fichi. Ma i bambini non sono mai indiscreti. A loro piacciono i dolci fichi e a Me… piacciono le loro dolci anime innocenti. Mi levano tanto amaro…». 
   «Maestro… sono i signori quelli che non ti amano. Ma noi, popolo, ti vogliamo bene. E loro sono pochi, mentre noi siamo tanti…». 
   «Lo so, donna. Grazie del tuo conforto. La pace sia con te. Addio, Giovanna! Addio, Tobiolo! Siate buoni. Senza farvi del male e senza volervi del male. Non è vero?». 
   «Sì, sì, Gesù», rispondono i due bambinelli. 

 2 Gesù si incammina e dice sorridendo: «Oh! ora che con l’aiuto dei fichi si è messo sereno dove erano nubi, andiamo a… Dove dite che andiamo?». 
   Gli apostoli non sanno. Chi dice un luogo, chi l’altro. Ma Gesù scrolla sempre il capo e ride. 
   Pietro dice: «Io rinuncio. A meno che Tu non lo dica… Ho delle idee nere, oggi. Tu non lo hai visto. Ma quando sbarcavamo c’era Eh, il fariseo. Più verde del solito! E ci guardava in un modo!». 
   «Lascialo guardare». 
   «Eh! per forza. Ma ti assicuro, Maestro, che per far pace con quello lì non bastano due fichi!». 
   «Cosa ho detto alla mamma di Tobiolo? “Ho fatta pace con lo stesso oggetto della guerra”. E così cercherò di fare pace riverendo, posto che secondo loro li ho offesi, i notabili di Cafarnao. Così anche qualcun’altro sarà contento». 
   «Chi?». 
   Gesù non risponde alla domanda e continua: «Non riuscirò, probabilmente, perché manca la volontà, in loro, di fare pace. Ma udite: se in tutte le contese il più prudente sapesse cedere e, in luogo di accanirsi a voler ragione, conciliasse, magari spartendo a metà quello che, anche voglio ammettere, fosse suo di diritto, sarebbe sempre meglio e più santo. Non sempre uno nuoce col partito preso di nuocere. 
   Delle volte fa male senza volere. Pensate sempre questo e perdonate. Eh e gli altri credono di servire Dio con giustizia agendo come fanno. Con pazienza e costanza, e tanta umiltà e buona grazia, cercherò di farli persuasi che un nuovo tempo è venuto e che Dio, ora, vuole essere servito a seconda che Io insegno. 
   La furbizia dell’apostolo è la buona grazia, l’arma la costanza, la riuscita l’esempio e la preghiera per i convertendi». 

 3 Sono giunti sulla piazza. Gesù va diritto verso il banco delle gabelle, dove Matteo sta tirando i suoi conti e verificando le monete, che suddivide per categorie, mettendole in sacchetti di diverso colore e collocandoli in un forziere di ferro, che due servi attendono di trasportare altrove. Appena l’ombra gettata dall’alto corpo di Gesù si allunga sul banco, Matteo alza il capo per vedere chi è il ritardatario pagatore. 
   Pietro, intanto, dice, tirando Gesù per una manica: «Non c’è nulla da pagare, Maestro. Che fai?». 
   Ma Gesù non gli dà retta. Guarda fisso Matteo, che si è subito alzato in piedi con atto reverente. Un altro sguardo trapanante. Ma questo non è lo sguardo del giudice severo dell’altra volta. È uno sguardo di chiamata e di amore. Lo avviluppa, lo satura di amore. Matteo diventa rosso. Non sa che fare, che dire… «Matteo, figlio di Alfeo, l’ora è suonata. Vieni. Seguimi!», impone Gesù maestosamente. 
   «Io? Maestro, Signore! Ma sai chi sono? Per Te, non per me lo dico…». 
   «Vieni. Seguimi, Matteo, figlio d’Alfeo», ripete più dolce. 
   «Oh! come posso aver trovato grazia presso Dio? Io… Io…». 
   «Matteo, figlio di Alfeo, Io ti ho letto il cuore. Vieni, seguimi». Il terzo invito è una carezza. 
   «Oh! subito, mio Signore!» e Matteo, piangente, esce da dietro il banco, senza neppur occuparsi di raccogliere le monete sparse sul banco, di chiudere il cofano. Nulla. 
   «Dove andiamo, Signore?», chiede quando è presso a Gesù. «Dove mi porti?». 
   «A casa tua. Vuoi ospitare il Figlio dell’uomo?». 
   «Oh!… ma… ma che diranno quelli che ti odiano?». 
   «Io ascolto quel che si dice in Cielo, e là si dice: “Gloria a Dio per un peccatore che si salva!”, e il Padre dice: “In eterno la Misericordia si alzerà nei Cieli e si librerà sulla Terra e, poiché di un eterno amore, di un perfetto amore Io ti amo, ecco che anche a te uso misericordia”. Vieni. E, con la mia venuta, oltre che il cuore ti si santifichi la casa». 
   «Già purificata l’ho, per una speranza che avevo nell’anima mia… ma che la ragione non poteva credere che fosse vera… Oh! io coi tuoi santi…», e guarda i discepoli. 
   «Sì. Coi miei amici. Venite. Vi unisco. E siate fratelli». I discepoli sono talmente stupefatti che non hanno ancor trovato modo di dir parola. Hanno camminato in gruppo dietro a Gesù e Matteo nella piazza tutta sole, e ormai assolutamente vuota di popolo, per un breve tratto di strada che arde in un sole abbacinante. 
   Non c’è un vivente per le strade. Solo il sole e la polvere.

 4 Entrano in casa. Una bella casa dal largo portone che si apre sulla via. Un bell’atrio ombroso e fresco, oltre il quale si vede un ampio cortile messo a giardino. «Entra, Maestro mio! Portate acqua e bevande». I servi accorrono col richiesto. 
   Matteo esce a dare ordini mentre Gesù e i suoi si rinfrescano. Poi torna. 
   «Ora vieni, Maestro. La sala è più fresca… Ora verranno amici… Oh! voglio sia fatta gran festa! È la mia rigenerazione… E la mia… è la mia circoncisione vera, questa… Tu mi hai circonciso il cuore col tuo amore… Maestro, sarà l’ultima festa… Ora non più feste per il pubblicano Matteo. Non più feste di questo mondo… Solo la festa interna dell’essere redento e di servire Te… di essere amato da Te… 
Quanto ho pianto… Quanto, in questi mesi… Sono quasi tre mesi che piango… Non sapevo come fare… volevo venire… Ma come venire da Te, Santo, con la mia anima sporca?…». 
   «Tu la lavavi col pentimento e con la carità. Per Me e per il prossimo. Pietro? Vieni qui». Pietro, che ancora non ha parlato tanto è sbalordito, viene avanti. I due uomini, ugualmente anziani, bassotti, tarchiati, sono di fronte, e    Gesù è fra l’uno e l’altro, sorridente, bello. 
   «Pietro, tu mi hai chiesto tante volte chi era lo sconosciuto della borsa portata da Giacomo. Eccolo, lo hai di fronte». 
   «Chi? Questo lad… Oh! perdona, Matteo! Ma chi lo poteva pensare che eri tu? E che proprio tu, nostra disperazione per la tua usura, fossi capace di strapparti tutte le settimane un pezzo di cuore dando quel ricco obolo?». 
   «Lo so. Vi ho ingiustamente tassati. Ma ecco, io mi inginocchio davanti a voi tutti e vi dico: non mi cacciate! Egli mi ha accolto. Non siate da più di Lui nella severità». 
   Pietro, che si trova ai piedi Matteo, lo alza di colpo, di peso, rudemente e affettuosamente: «Su, su. Non a me né agli altri. A Lui chiedi perdono. Noi… va’ là, su per giù siamo tutti ladri come te… Oh! l’ho detto! Maledetta lingua! Ma sono fatto così: quel che penso dico, quel che ho in cuore ho sul labbro. Vieni, che facciamo patto di pace e di amore», e bacia sulle guance Matteo. 
   Anche gli altri lo fanno, più o meno affettuosamente. Dico così perché Andrea è sostenuto, per la sua timidezza, e Giuda Iscariota è gelido. Pare che abbracci un fascio di rettili, tanto il suo abbraccio è scostante e breve.

 5 Matteo esce, sentendo rumore.
   «Però, Maestro», dice Giuda Iscariota, «mi pare che ciò non sia prudente. Già ti accusano i farisei di qui, e …. Un pubblicano fra i tuoi! Un pubblicano dopo una meretrice!… Hai deciso di rovinarti? Se così è, dillo che…». 
   «Che noi ce la filiamo, vero?», termina Pietro ironico. 
   «E chi parla con te?». 
   «Lo so che tu non parli con me, ma io, invece, parlo con la tua signora anima, con la tua purissima anima, con la tua sapiente anima. Lo so che tu, membro del Tempio, senti fetore di peccato in noi, poveri, che del Tempio non siamo. Lo so che tu, completo giudeo, amalgama di fariseo, sadduceo ed erodiano, mezzo scriba e briciola di esseno ne vuoi altre di nobili parole? Ti senti male fra noi, come uno splendido agone capitato in una rete piena di ghiozzi. Ma che ci vuoi fare? Egli ci ha presi e noi… ci restiamo. Se ti senti male… va’ via tu. Respireremo meglio tutti. Anche Lui, che, lo vedi?, è sdegnato per me e per te. Per me perché manco di pazienza e anche… sì, anche di carità, ma più con te che non capisci nulla, con tutta la tua tela di nobili attributi, e che non hai carità, non umiltà, non rispetto. Nulla hai, ragazzo. Ma solo un gran fumo… e voglia Dio sia fumo innocuo». 
   Gesù ha lasciato che Pietro parlasse rimanendo ritto, severo, con le braccia conserte, la bocca ben serrata e gli occhi… poco raccomandabili. 
   Alla fine dice: «Hai detto tutto, Pietro? Anche tu hai purificato il tuo cuore dal lievito che c’era dentro? Bene hai fatto. Oggi è Pasqua d’Azzimi per un figlio di Abramo. La chiamata del Cristo è come il sangue dell’agnello sulle vostre anime, e dove essa è non scenderà più la colpa. Non scenderà se colui che la riceve ad essa è fedele.    Liberazione è la mia chiamata e va festeggiata senza lieviti di sorta». 
   A Giuda non una parola. Pietro tace mortificato. «L’ospite torna», dice Gesù. «E con degli amici. Non mostriamo ad essi altro che virtù. Chi non riesce a tanto esca. Non siate pari a farisei, che opprimono con comandi che loro per primi non osservano». 

 6 Rientra Matteo con altri uomini, e il convito ha luogo. Gesù è al centro, tra Pietro e Matteo. Parlano di molte cose e Gesù con pazienza spiega a questo e a quello quanto vogliono. Vi sono anche lamenti sui farisei che li sprezzano. 
   «Ebbene, venite a chi non vi sprezza. E poi agite in modo che i buoni, almeno, non vi possano sprezzare», risponde Gesù. 
   «Tu sei buono. Ma sei solo!». 
   «No. Questi sono come Me, e poi… c’è il Padre Iddio che ama chi si pente e vuole tornare suo amico. E mancasse all’uomo ogni cosa, ma restasse il Padre, non sarebbe già piena la gioia dell’uomo?». 
   Il convito è ai dolciumi quando un servo fa un cenno al padrone di casa e gli dice qualche cosa. 
   «Maestro: Eh, Simone e Gioachino chiedono di entrare e parlarti. Li vuoi vedere?». 
   «Certo». 
   «Ma… i miei amici sono pubblicani». 
   «Ed essi vengono per vedere proprio questo. Lasciamolo loro vedere. Non servirebbe il nasconderlo. Non servirebbe per il bene, ché il male aumenterebbe l’episodio sino a dire che qui erano anche meretrici. Entrino». 

 7 Entrano i tre farisei, si guardano intorno con un riso cattivo e stanno per parlare. Ma Gesù, che si è alzato e andato loro incontro insieme a Matteo, li precede. Mette una mano sulla spalla di Matteo e dice: 
   «O veri figli di Israele, Io vi saluto e vi do una grande notizia che certo farà giubilante il vostro cuore di perfetti israeliti, che sospira all’osservanza della Legge da parte di tutti i cuori per dare gloria a Dio. Ecco: Matteo, figlio di Alfeo, da oggi non è più il peccatore, lo scandalo di Cafarnao. Una pecora rognosa di Israele si è sanata. Giubilate! Dietro a lui altre pecore peccatrici si saneranno e la vostra città, della cui santità tanto vi interessate, diverrà gradita al Signore come santa. Egli lascia tutto per servire Dio. Date il bacio di pace all’israelita sviato che torna nel seno di Abramo». 
   «E vi torna coi pubblicani? In gaio convito? Oh! invero che è una conversione propizia! Guarda là, Eh, quello è Giosia, il procacciatore di femmine». 
   «E quello Simon d’Isacco, l’adultero». 
   «E quello? Ecco Azaria, il biscazziere nella cui bisca romani e giudei giocano, rissano, si ubriacano e vanno a donne». 
   «Ma, Maestro. Sai almeno chi sono costoro? Lo sapevi?». 
   «Lo sapevo». 
   «E voi, allora, voi di Cafarnao, voi discepoli, perché lo avete permesso? Mi fa stupore, Simone di Giona! ». «E tu, Filippo, noto anche qui, e tu Natanaele! Ma io trasecolo! Tu, vero israelita! Come mai hai permesso che il tuo Maestro mangiasse coi pubblicani e i peccatori?». 
   «Ma non c’è dunque più ritegno in Israele». 
   I tre sono scandalizzati del tutto. Gesù dice: «Lasciate in pace i miei discepoli. Io l’ho voluto. Io solo». 
   «Eh! già! si capisce. Quando si vuol fare i santi e non lo si è, si cade presto in errori imperdonabili! »
   «E quando si allevano al non rispetto i discepoli – e ancor mi brucia la risata irriverente di costui, giudeo e del Tempio, a me Eh il fariseo! – non si può che esser senza rispetto per la Legge. Si insegna ciò che si sa». «Ti sbagli, Eh. Vi sbagliate tutti. Si insegna ciò che si sa. È vero. Ed Io, che so la Legge, la insegno a chi non la sa: ai peccatori, perciò. Voi… vi so già padroni della vostra anima. I peccatori non lo sono. Io ricerco la loro anima, la ridò loro, perché a loro volta me la portino, così come è: malata, ferita, sporca, ed Io la curi e mondi. Sono venuto per questo. Sono i peccatori che hanno bisogno del Salvatore. Ed Io vengo a salvarli. Comprendetemi… e non mi odiate senza ragione». 
   Gesù è dolce, persuasivo, umile… Ma i tre sono tre ispidi cardi tutti aculei… ed escono con mosse di disgusto. 
   «Sono andati… Ora ci criticheranno dovunque», mormora Giuda Iscariota. 
   «E lasciali fare! Fa’ solo che il Padre non ti abbia a criticare. Non esser mortificato, Matteo, né voi, suoi amici. La coscienza ci dice: “Non fate del male”. Basta così». 
   Gesù si risiede al suo posto e tutto ha fine.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!