Beato Gerardo di Clairvaux – 13 giugno

Gerardo, fratello più anziano e preferito di Bernardo (20 ago.), non era nel novero di coloro, giovani parenti e amici, che entrarono a Citeaux nel 1112 con il grande riformatore.

Di indole estroversa aveva preferito la carriera militare, ma quando venne ferito gravemente nell’assedio di Grancy e fatto prigioniero per un lungo periodo poté riflettere, e una volta rilasciato, si recò a Clteaux per farsi monaco sotto Bernardo. Con questi si trasferì a Clairvaux, dove fu nominato cellerario e diede prova di grande efficienza nel governo degli affari domestici del convento. Si dice che fosse così abile nei lavori manuali che muratori, fabFbri, ciabattini, tessitori e manovali tutti si rivolgessero a lui per ricevere istruzioni.

Si stava recando a Roma nel 1137 quando nei pressi di Viterbo cadde: sembrava in punto di morte ma si riprese a sufficienza per far ritorno a Clairvaux, dove però morì l’anno dopo.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nel monastero di Chiaravalle in Borgogna, nell’odierna Francia, beato Gerardo, monaco, che, fratello di san Bernardo, sebbene analfabeta, fu dotato di grande acutezza di ingegno e capacità di discernimento spirituale.

Nome: Beato Gerardo di Clairvaux
Titolo: Monaco
Nascita: 1090 circa, Clairvaux, Francia
Morte: 1138, Clairvaux, Francia
Ricorrenza: 13 giugno
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Don Luigi Maria Epicoco – Commento al Vangelo -13 Giugno 2022

La nostra natura funziona con la logica dello specchio: ad azione reazione. Non è facile liberarsi da questo meccanismo che invece che renderci liberi ci rende solo reattivi alle scelte degli altri. Se uno si comporta bene, io mi comporto bene; se uno si comporta male, io mi comporto male. Ma la domanda che nasce spontanea è: chi sono davvero io? Posso solo essere lo specchio di chi ho di fronte?

È questo il senso delle parole di Gesù nel Vangelo di oggi: “Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Porgere l’altra guancia non è segno di debolezza ma di liberazione. Solo chi ha il coraggio di non reagire ma di fare esattamente il contrario può dirsi davvero libero. Libero è non chi ha innanzitutto la forza di difendersi, ma chi nonostante abbia la forza di difendersi decide di attuare una politica totalmente diversa.

Il male lo si sconfigge sbaragliandolo. Porgere l’altra guancia è un atto straordinariamente stupefacente. In un mondo che vive delle logiche di reazione, chi fa qualcosa di diverso rompe questo circuito e fa nascere una situazione completamente nuova. L’invito del vangelo è chiaro: se vuoi vincere il male non usare le sue stesse armi. Sii creativo (non cretino). E i creativi a volte sanno incassare ma solo perché sanno aspettare il momento giusto per affondare lo scacco matto del bene.

Ma tutto questo può essere possibile solo se si ricorda che l’essenziale per vivere non dipende dalle circostanze, dal mondo che ci circonda, da quanto ci gira bene la vita intorno. Per un cristiano l’essenziale è in Qualcuno. E proprio per questo nessuna circostanza avversa, ingiustizia, o male subito può mai veramente privarci di ciò che conta. Perché siamo inseparabili da ciò che conta. San Paolo ha parole bellissime per dire questo: “Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”

Niente e nessuno potrà mai separaci dall’amore di Cristo che ha dato la vita per noi. Motivo per cui possiamo agire imprevedibilmente contro ogni logica solamente umana.

Sant’Antonio di Padova prega per noi – 13 giugno

Sant’Antonio nacque a Lisbona nel 1195 da genitori favoriti da Dio di ricchezze spirituali e di un certo benessere. Dopo la prima educazione ricevuta nella casa paterna da uno zio canonico, continuò la sua istruzione nella scuola vescovile annessa alla Curia. Con l’età cresceva pure nell’umiltà, unita al disprezzo per le glorie mondane; virtù che, unitamente alla fama di taumaturgo, lo distingueranno sempre.

Sentendosi portato alla solitudine, il Santo pensò presto di ritirarsi in un convento e scelse i Canonici Regolari di S. Agostino. Quivi si diede con tale fervore alla mortificazione della carne, alla ritiratezza e ad un silenzio operoso, da divenire uno specchio per i suoi confratelli.

Ma le sue brame non erano ancora pienamente appagate: il Santo desiderava di ricevere il martirio, se cosi fosse piaciuto al Signore; e a questo scopo, abbandonato il convento di S. Croce, si ritirò tra i Frati Minori ai quali erano permesse le Missioni.

Ma chi può scrutare i disegni altissimi dell’Onnipotente? Antonio, appena giunto in terra di Missione, è assalito da una malattia tale che lo costringe alla più assoluta inazione, e lo inchioda inesorabilmente in un letto, tanto che è costretto al ritorno. Si imbarca allora per ritornare in Portogallo, ma la nave, sbattuta da violenta tempesta, dopo una fortunosa navigazione, viene a sfasciarsi contro il litorale della Sicilia.

Soccorso da alcuni pescatori, viene trasportato a braccia al più vicino convento. Antonio adora la volontà di Dio, ed appena è in grado di camminare si reca ad Assisi. Quivi ebbe la grazia di vedere il suo caro padre S. Francesco, e di assistere al capitolo delle stuoie. Ma in questa circostanza il nostro Santo non parlò, nè fu notato. Dopo l’umiliazione però la Provvidenza, in modo inaspettato, gli apriva la via della predicazione.

Fu una rivelazione: in poco tempo divenne celebre e dovette passare a Montpellier, a Tolosa, a Bologna, a Rimini e a Padova. Nella quaresima che tenne in quest’ultima città, i frutti della grazia divina furono copiosissimi: riconciliò nemici, ridusse i dissoluti a vita migliore, persuase gli usurai alla restituzione. La sua parola era come un dardo che trapassava i cuori e li infiammava d’amore alla virtù.

Il Signore confermava la santità del Santo con numerosissimi miracoli.

Conoscendo per rivelazione che suo padre era accusato ingiustamente della morte di un nobile, pregò Dio e si trovò miracolosamente a Lisbona accanto al padre. Quivi richiamò a vita l’ucciso che indicò l’omicida: suo padre fu salvo.

Sentendosi vicino al termine della vita ottenne il permesso di ritirarsi nel romitorio di Camposampiero; ,qui passò i suoi ultimi giorni nella contemplazione e nell’esercizio sempre più puro dell’amor di Dio. Morì ad Arcella, presso Padova, il 13 giugno del 1231 a 36 anni di età.

Dopo la sua morte i fanciulli di Padova e dei dintorni andavano gridando: «È morto il Santo, è morto il Santo ». Ed era veramente morto un santo ed un grande santo, che lasciò tracce indelebili di ogni virtù.

PRATICA. Mentre ammiriamo il Santo, cerchiamo di imitarlo nella corrispondenza alla. divina grazia e nel disprezzo delle cose terrene e nell’amore delle celesti.

PREGHIERA. L’annua solennità del tuo beato confessore Antonio allieti, o Dio, la tua Chiesa, affinchè munita sempre e di aiuti spirituali, meriti di godere le • gioie eterne.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Pàdova sant’Antonio Portoghése, Sacerdote dell’Ordine dei Minori, Confessore e Dottore della Chiesa, illustre per la vita, pei miracoli e per la predicazione, il quale, non essendo ancora trascorso un anno dalla sua morte, dal Papa Gregorio nono fu ascritto nel numero dei Santi.

SUPPLICA A SANT’ANTONIO

(da recitare ogni martedì ed ogni 13 del mese)

Glorioso sant’Antonio, scrigno delle Sacre Scritture, tu che con lo sguardo sempre fisso nel mistero del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo hai conformato la vita a lode della Trinità perfetta e della semplice unità, ascolta la mia supplica, esaudisci i miei desideri. Mi rivolgo a te, certo di trovare ascolto e comprensione; mi rivolgo a te che immergendo il cuore nella Sacra Scrittura l’hai studiata, assimilata, vissuta e fatta tuo respiro, tuo sospiro, tua parola: fa che anch’io possa col tuo aiuto capirne l’importanza, percepirne l’assolutezza, assaporarne la bellezza, gustarne la profondità. Fa’ che possa gustare il Vangelo di quel Gesù che tu hai tanto amato; fa che possa vivere nella mia vita di quel mistero che tu hai tanto celebrato; fa’ che possa annunciare a tutti la lieta novella che tu hai proclamato alle persone e agli animali. Rendi forti i miei passi, coraggiose le strade, decise le scelte, prudenti le prove.

Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre

O Antonio, Santo di tutto il mondo, a te mi raccomando, a te mi affido, a te rivolgo il mio sguardo e in te ripongo ogni fiducia. Non lasciare che le preoccupazioni della vita tolgano tempo alla lode di Dio, che le agitazioni del tempo presente offuschino lo sguardo verso di lui, che le ansie e i dolori cancellino la consapevolezza che tutto è grazia, dono, delicatezza del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo. Dona agli uomini di oggi, sensibilità verso i poveri, attenzione verso i bisognosi, amore verso gli ammalati. Aiuta tutte le famiglie del mondo ad essere chiese domestiche: aperte per chi bussa, ospitali per chi cerca, caritatevoli per chiunque chiede. Proteggi i giovani dalle insidie del male, orientali alla ricerca del bene; illuminali nelle scelte della loro vita e fa’ che sentano l’urgente bisogno di quel Dio da te tanto cercato, incontrato e amato; inoltre esaudiscili nei loro desideri: il lavoro, la serena amicizia, la realizzazione personale.

Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre

O sant’Antonio, Santo dei miracoli, ti chiedo con cuore sincero di accogliere la supplica che elevo al tuo celeste sguardo: che comprenda pienamente il miracolo della vita, la promuova, la rispetti e la faccia progredire in tutte le sue dimensioni e forme; che sappia donare con cuore generoso e disponibile ed essere felice con chi è nella gioia e partecipe del pianto di chi soffre.
Concedi sempre, o glorioso Santo, la tua benigna protezione a chi viaggia, la tua potente assistenza a chi smarrisce qualcosa, la tua efficace benedizione a chi intraprende un’opera.
Che quel bambino Gesù, teneramente in dialogo con te, possa, tramite la tua intercessione, volgere anche su di noi il suo penetrante sguardo, allungare la sua forte mano per proteggerci e benedirci.Amen.

Padre nostro, Ave Maria, Gloria al Padre

Nome: Sant’ Antonio di Padova
Titolo: Sacerdote e dottore della Chiesa
Nascita: 15 agosto 1195, Lisbona, Portogallo
Morte: 13 luglio 1231, Arcella, Padova
Ricorrenza: 13 giugno
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Napoli, Venezia, Padova, Afragola, Anzio, Montesilvano, Favara, Gravina di Catania, Albignasego, Poggiomarino >>> altri comuni
Protettore: degli affamati, degli animali, dei bambini, cavalli, delle donne incinte, fidanzati, marinai, del matrimonio, nativi americani, degli oggetti smarriti, degli oppressi, pescatori, poveri, dalla sterilità, viaggiatori Sito ufficiale:www.santantonio.org

Vangelo Mc 4, 26-34 : “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce”.

Vangelo Mc 4, 26-34
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, Gesù diceva [alla folla]: “Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno; dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa. Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga; e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura”.
Diceva: “A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell’orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra”.
Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

   Cap. CLXXXIV. Il piccolo Beniamino di Magdala e due parabole sul regno dei Cieli.

  10 giugno 1945.

 1 Il miracolo deve essere avvenuto da poco, perché gli apostoli ne parlano e anche dei cittadini commentano, additandosi il Maestro che se ne va, diritto e severo, verso la periferia della città, verso la parte dei poveri.
   Si ferma ad una casuccia da cui esce saltellando un bambino seguito dalla madre. «Donna, mi lasci entrare nel tuo orto e sostare un poco finché il sole perda il suo calore?».
   «Entra, Signore. Anche in cucina se vuoi. Ti porterò acqua e ristoro»
   «Non ti affaticare. Mi basta rimanere in questo orto quieto».
   Ma la donna vuole offrire acqua temperata da non so che, e poi gironzola per l’orto come vogliosa di parlare e non osa. Si occupa delle sue verdure, ma è una finta. In realtà si occupa del Maestro e le dà noia il bambino che coi suoi strilli, quando acciuffa una farfalla o un altro insetto, le impedisce di sentire ciò che Gesù dice. Se ne inquieta e lascia andare uno schiaffetto al bambino, il quale… strilla più forte.
   Gesù – che stava rispondendo allo Zelote, che gli aveva chiesto: «Credi che Maria ne sia scossa?», con queste, parole: «Più che non vi appaia…» – si volge e chiama a Sé il bambino, che accorre a finire il suo pianto sui ginocchi di Gesù.
   La donna chiama: «Beniamino! Vieni qui. Non disturbare».
   Ma Gesù dice: «Lascialo, lascialo. Starà buono e ti lascerà quieta»; poi al bambino: «Non piangere. Non ti ha fatto male la mamma. Solo ti ha fatto ubbidire, anzi, ti voleva fare ubbidire. Perché strillavi mentre lei voleva silenzio? Forse si sente male e i tuoi gridi le danno noia».
   Il bambino, svelto svelto, con quella insuperabile schiettezza dei bambini che è la disperazione dei grandi, dice: «No. Non si sente male. Ma voleva sentire quello che Tu dicevi… Me lo ha detto. Ma io, che volevo venire da Te, facevo chiasso apposta perché Tu mi guardassi».
   Ridono tutti e la donna si fa di fiamma.

 2 «Non arrossire, donna. Vieni qui. Mi volevi sentire parlare? Perché?».
   «Perché sei il Messia. Non puoi essere che Tu il Messia, col miracolo che hai fatto… E mi piaceva sentirti. Io non vado mai fuori di Magdala perché ho… un marito difficile e cinque bambini. Il più piccolo ha quattro mesi… e Tu qui non vieni mai».
   «Sono venuto, e nella tua casa. Lo vedi».
   «Per questo volevo sentirti».
   «Dove è tuo marito?».
   «Sul mare, Signore. Se non si pesca non si mangia. Io non ho che questo orticello. Può bastare a sette persone? Eppure Zaccheo vorrebbe che si…»
   «Sii paziente, donna. Tutti hanno la loro croce».
   «Eh! no! Le spudorate non hanno che il godere. Hai visto l’opera delle spudorate! Godono e fanno soffrire. Loro non si spezzano le reni nel figliare e nel lavorare. Non si fanno venire le vesciche con la zappa o si spellano le mani con i bucati. Loro sono belle, fresche. Per loro non c’è la condanna di Eva. Sono la condanna nostra, anzi, perché… gli uomini… Tu mi capisci».
   «Ti capisco. Ma sappi che hanno anche loro la loro tremenda croce. La più tremenda. Quella che non si vede. Quella della coscienza che le rimprovera, del mondo che le schernisce, del loro sangue che le ripudia, di Dio che le maledice. Non sono felici, credi. Non si spezzano le reni nel generare e nel lavorare, non si fanno venire piaghe alle mani nel faticare. Ma si sentono spezzate lo stesso, e con vergogna. Ma il loro cuore e tutto una piaga. Non invidiare il loro aspetto, la loro freschezza, la loro apparente serenità. E’ un velo steso su una rovina che morde e non dà pace. Non invidiare il loro sonno, tu, madre onesta che sogni i tuoi innocenti… Esse hanno l’incubo sul loro guanciale. E domani, nel giorno che saranno all’agonia o alla vecchiaia, il rimorso e il terrore».
   «E’ vero… Perdona…

 3 Mi lasci stare qui?».
   «Rimani. Racconteremo una bella parabola a Beniamino, e quelli che non sono bambini l’applicheranno a loro stessi ed a Maria di Magdala. Udite.
   In voi è il dubbio sulla conversione di Maria al bene. Nessun segno in lei dà un indice verso questo passo. Sfrontata e impudente ella, conscia del suo grado e del suo potere, ha osato sfidare la gente e venire persino sulla soglia della casa dove si piange per causa sua. Al rimprovero di Pietro risponde con una risata. Al mio sguardo che l’invita con l’irrigidirsi superba. Voi forse avreste voluto, chi per amore verso Lazzaro, chi per amore verso di Me, che Io le parlassi direttamente, a lungo, soggiogandola col mio potere, mostrando la mia forza di Messia Salvatore. No. Non occorre tanto. L’ho detto per un’altra peccatrice molti mesi sono. Le anime devono farsi da sé. Io passo, getto il seme. Nel segreto il seme lavora. L’anima va rispettata in questo suo lavoro. Se il primo seme non attecchisce se ne semina un altro, un altro… ritirandosi solo quando si hanno prove sicure della inutilità del seminare. E si prega. La preghiera è come la rugiada sulle zolle: le tiene morbide e nutrite, e il seme può germogliare. Non fai così tu, donna, con le tue verdure?

 4 Ora ascoltate la parabola del lavoro di Dio nei cuori per fondarvi il suo regno. Perché ogni cuore è un piccolo regno di Dio sulla terra. Dopo, oltre la morte, tutti questi piccoli regni si agglomerano in uno solo, nello smisurato, santo, eterno Regno dei Cieli.
   Il regno di Dio nei cuori è creato dal Seminatore divino. Egli viene al suo podere – l’uomo è di Dio, perciò ogni uomo è inizialmente suo – e vi sparge il suo seme. Poi se ne va ad altri poderi, ad altri cuori. Si succedono i giorni alle notti e le notti ai giorni. I giorni portano sole o piogge, in questo caso raggi d’amore divino e effusione della divina sapienza che parla alla Verità, Dio farà le vendette ed essi periranno. Lo spirito. Le notti portano stelle e silenzio riposante: nel nostro caso richiami luminosi di Dio e silenzio per lo spirito perché l’anima si raccolga e mediti.
   Il seme, in questo succedersi di provvidenze inavvertibili e potenti, si gonfia, si fende, mette radici, si abbarbica, getta fuori le prime fogliette, cresce. Tutto questo senza che l’uomo lo aiuti. La terra produce spontaneamente l’erba dal seme, poi l’erba si fortifica e sorregge la spiga che sorge, poi la spiga si alza, si gonfia, si indurisce, si fa bionda, dura, perfetta nel suo granire. Quando è matura torna il seminatore e vi mette la falce, perché il tempo della perfezione è venuto per quel seme. Di più non potrebbe evolversi e per questo viene colto.
   Nei cuori la mia parola fa lo stesso lavoro. Parlo dei cuori che accolgono il seme. Ma il lavoro è lento. Bisogna non sciupare tutto con l’intempestività. Come è faticoso al piccolo seme fendersi e conficcare le radici nella terra! Anche al duro e selvaggio cuore è penoso questo lavoro. Deve aprirsi, lasciarsi frugare, accogliere cose nuove, faticare a nutrirle, apparire diverso perché coperto di umili ed utili cose e non più dell’attraente, pomposo e inutile esuberante fiorire che lo copriva prima. Deve accòntentarsi di lavorare con umiltà, senza attirare ammirazione, per l’utile dell’Idea divina. Deve spremere tutte le sue capacità per crescere e fare spiga. Si deve arroventare d’amore per divenire grano. E quando, dopo avere superato rispetti umani tanto, tanto, tanto penosi; dopo aver faticato, sofferto ed essersi affezionato alla sua nuova veste, ecco che se ne deve spogliare con un taglio crudele. Dare tutto per avere tutto. Rimanere spoglia per essere rivestito in Cielo della stola dei santi. La vita del peccatore che diventa santo è il più lungo, eroico, glorioso combattimento. Io ve lo dico.

 5 Comprendete da quanto vi ho detto che è giusto che Io agisca verso Maria come agisco. Ho forse agito diverso con te, Matteo?».
   «No, mio Signore».
   «E, dimmi il vero, ti ha più persuaso la mia pazienza o le rampogne acerbe dei farisei?».
   «La tua pazienza, tanto che sono qui. I farisei, coi loro sprezzi e i loro anatemi, mi facevano sprezzante, e per sprezzo facevo ancor più male di quanto avevo fino allora fatto. Succede così. Ci si irrigidisce di più quando, essendo in peccato, ci si sente trattare da peccatori. Ma quando in luogo di un insulto ci viene una carezza, si resta sbalorditi; poi si piange… e quando si piange l’armatura del peccato si schiavarda e crolla. Si resta nudi davanti alla Bontà e la si supplica, col cuore, di investirci di Sé».
   «Hai detto bene.

 6 Beniamino, ti piace la storia? Sì? Bravo. E la mamma dove è?».
   Risponde Giacomo d’Alfeo: «E’ uscita al termine della parabola, andando di corsa per quella via».
   «Andrà al mare per vedere se viene lo sposo» dice Tommaso.
   «No. E’ andata dalla vecchia madre a prendere i fratellini. La mamma li porta là per potere lavorare» dice il bambino appoggiato confidenzialmente ai ginocchi di Gesù.
   «E tu stai qui, uomo? Devi essere un bell’aspide se ti tiene solo!» osserva Bartolomeo.
   «Io sono il più grande, e l’aiuto…»
   «A guadagnarsi il Paradiso, povera donna! Quanti anni hai?» chiede Pietro.
   «Fra tre anni sono figlio della Legge» dice con superbia il monello.
   «Sai leggere?» domanda il Taddeo.
   «Si… ma vado adagio perché… perché il maestro mi mette fuori quasi tutti i giorni…»
   «L’ho detto io!» dice Bartolomeo.
   «Ma faccio così perché il maestro è vecchio e brutto e dice sempre le stesse cose che fanno dormire! Fosse come Lui (e accenna a Gesù) starei attento. Picchi, Tu, chi dorme o giuoca?».
   «Io non picchio nessuno. Ma dico ai miei scolari: “State attenti per vostro bene e per amore mio”» risponde Gesù.
   «Ecco, così sì! Per amore si. Non per paura».
   «Ma se tu diventi buono, il maestro ti vuole bene».
   «Tu vuoi bene solo a chi è buono? Poco fa hai detto che sei stato paziente con questo qui, che non era buono…».
   La logica infantile è stringente. «Io sono buono con tutti. Ma chi diventa buono è amato molto, molto da Me, e con quello sono tanto, tanto buono».
   Il bambino pensa… poi alza la testa e chiede a Matteo: «Tu come hai fatto a diventare buono?».
   «Gli ho voluto bene».

 7 Il bambino pensa ancora, e poi guarda i dodici e dice a Gesù: «Sono tutti buoni questi?».
   «Certamente che lo sono».
   «Ne sei sicuro? Delle volte io faccio il buono, ma è quando voglio fare un… malestro più grosso».
   La risata di tutti è fragorosa. Ride anche l’ometto in via di confessarsi. Ride anche Gesù, che se lo stringe al cuore e lo bacia. Il bambino, ormai molto amico di tutti, vuole giocare e dice: «Ora ti dico io chi è buono» e inizia la sua scelta. Guarda tutti e va dritto da Giovanni e Andrea, che sono vicini, e dice: «Tu e tu. Venite qui». Poi sceglie i due Giacomi e li unisce ai due. Poi prende il Taddeo. Resta molto in pensiero davanti allo Zelote e a Bartolomeo e dice: «Siete vecchi, ma siete buoni» e li unisce agli altri. Considera Pietro, che subisce l’esame facendo degli occhiacci per burla, e lo trova buono. Matteo anche lui passa e così Filippo. A Tommaso dice: «Tu ridi troppo. Io faccio sul serio. Non sai che il mio maestro dice che chi ride sempre sbaglia poi alla prova?». Ma insomma anche Tommaso passa, con pochi voti, ma passa l’esame. Poi il bambino torna da Gesù.
   «Ehi, monello! Ci sono anche io! Non sono una pianta. Sono giovane e bello. Perché non mi esamini?» dice l’Iscariota.
   «Perché non mi piaci. La mamma dice che quando una cosa non piace non la si tocca. Si lascia sulla tavola, che la prendano gli altri ai quali può piacere. E dice che, se uno offre una cosa che non piace, non si dice: “Non mi piace”. Ma si dice: “Grazie, non ho fame”. Io non ho fame di te».
   «Ma come? Guarda, se mi dici che sono buono ti do questa moneta».
   «Che me ne faccio? Cosa compero con una bugia? La mamma dice che i denari frutti di inganno diventano paglia. Una volta dalla madre vecchia mi sono fatto dare con una bugia un didramma per comperarmi le focacce col miele, e nella notte mi è diventato paglia. Lo avevo messo in quel buco lì, sotto la porta, per prenderlo al mattino, e ci ho trovato un manneilo di paglia».
   «Ma perché non mi vedi buono? Che ho? Il piede fesso? Sono brutto?».
   «No. Ma mi fai paura».
   «Ma perché?» chiede l’Iscariota avvicinandosi.
   «Non so. Lasciami stare. Non mi toccare o ti graffio».
   «Che istrice! E’ folle». Giuda ride male.
   «Non folle. Tu sei cattivo» e il bambino si rifugia in grembo a Gesù, che lo carezza senza parlare.
   Gli apostoli scherzano sull’accaduto, poco lusinghiero per l’Iscariota.

 8 Intanto ecco che torna la donna con una dozzina di persone e poi, ancora, ecco altre e altre. Saranno cinquanta circa. Tutta povera gente.
   «Parleresti loro? Almeno un pochino. Questa è la madre di mio marito, questi i miei figli. E quell’uomo là è mio marito. Una parola, Signore» supplica la donna.
   «Per dirti grazie dell’ospitalità. Sì. La dico».
   La donna entra in casa dove la reclama il poppante e si siede sulla soglia dando il seno da succhiare.
   «Udite. Qui sulle mie ginocchia ho un bambino che ha parlato molto saggiamente. Ha detto: “Tutte le cose ottenute con inganno divengono paglia”.
   La sua mamma gli ha insegnato questa verità.
   Non è favola. E’ verità eterna. Non riesce mai bene quanto si fa senza onestà. Perché la menzogna nelle parole, negli atti, nella religione, è sempre segno della alleanza con Satana, maestro di menzogna. Non vogliate credere che le opere atte a conseguire il Regno dei Cieli siano opere fragorosamente vistose. Sono atti continui, comuni, ma fatti con un fine soprannaturale d’amore. L’amore è il seme della pianta che nascendo in voi cresce fino al Cielo, e alla cui ombra nascono tutte le altre virtù. Lo paragonerò ad un minuscolo granello di senape. Come è piccino! Uno dei più piccoli fra i semi che l’uomo sparge. Eppure guardate, quando è compita la pianta, quanto si fa forte e fronzuta e quanto frutto dà. Non il cento per cento, ma il cento per uno. Il più piccolo. Ma il più solerte nel lavorare. Quanto utile vi dona.
   Così l’amore. Se voi chiuderete nel vostro seno un semino d’amore per il nostro santissimo Iddio e per il vostro prossimo e sulla guida dell’amore farete le vostre azioni, non mancherete a nessun precetto del Decalogo. Non mentirete a Dio con una falsa religione, di pratiche e non di spirito. Non mentirete al prossimo con una condotta di figli ingrati, di sposi adulteri o anche solo troppo esigenti, di ladri nei commerci, di mentitori nella vita, di violenti verso chi vi è nemico. Guardate in quest’ora calda quanti uccellini si rifugiano fra le ramaglie di quest’orto. Fra poco quel solco di senape, per ora ancora piccina, sarà un vero passeraio. Tutti gli uccelli verranno al sicuro e all’ombra di quelle piante così folte e comode, ed i piccoli degli uccelli impareranno a fare sicura l’ala proprio fra quel rameggiare che fa scala e rete per salire e per non cadere. Così l’amore, base del Regno di Dio.
   Amate e sarete amati. Amate e vi compatirete. Amate e non sarete crudeli volendo più di quanto non sia lecito da chi vi è sottoposto. Amore e sincerità per ottenere la pace e la gloria dei Cieli. Altrimenti, come ha detto Beniamino, ogni vostra azione, fatta mentendo all’amore e alla verità, vi si muterà in paglia per il vostro letto infernale. Io non vi dico altre cose. Vi dico solo: abbiate presente il grande precetto dell’amore e siate fedeli a Dio Verità ed alla verità in ogni parola, atto e sentimento, perché la verità è figlia di Dio. Una continua opera di perfezionamento di voi, così come il seme continuamente cresce fino alla sua perfezione. Un’opera silenziosa, umile, paziente. Siate certi che Dio vede le vostre lotte e vi premia più di un egoismo vinto, di una parola villana trattenuta, di un’esigenza non imposta, che non se, armati in battaglia, uccideste il nemico. Il Regno dei Cieli, di cui sarete possessori se vivrete da giusti, è costruito con le piccole cose di ogni giorno. Con la bontà, la morigeratezza, la pazienza, col contentarsi di ciò che si ha, con il compatimento reciproco, con l’amore, l’amore, l’amore.
   Siate buoni. Vivete in pace gli uni con gli altri. Non mormorate. Non giudicate. Dio sarà allora con voi. Vi do la mia pace come benedizione e ringraziamento della fede che avete in Me».

 9 Poi Gesù si volge alla donna dicendo: «Dio benedica te in particolare, perché sei una santa moglie e una santa madre. Persevera nella virtù. Addio, Beniamino. Sii sempre più amante della verità, e ubbidisci a tua madre. La benedizione a te e ai tuoi fratellini, e a te madre».
   Un uomo si fa avanti. E confuso e balbetta: «Ma, ma… io sono commosso di quanto dici di mia moglie… Non sapevo.»
   «Non hai occhi e intelletto forse?».
   «Li ho».
   «Perché non li usi? Vuoi che te li snebbi?».
   «Lo hai già fatto, Signore. Ma le voglio bene, sai? È che… ci si abitua… e… e…»
   «E ci si crede lecito pretendere troppo perché l’altro è più buono di noi… Non lo fare più. Sei sempre in pericolo col tuo mestiere. Non temere delle burrasche se Dio è con te. Ma se con te è l’Ingiustizia, temi fortemente. Hai capito?».
   «Più che Tu non dica. Ma cercherò di ubbidirti… Non sapevo… Non sapevo…» e guarda la moglie come la vedesse per a prima volta.
   Gesù benedice ed esce sulla stradetta. Riprende il cammino verso la campagna.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!