San Luigi Orione prega per noi – 12 marzo

«Che cosa può venire di buono da Pontecurone?». Con questa frase, tutt’altro che incoraggiante, un frate francescano del convento di Voghera accoglieva il piccolo Luigi Orione che aveva chiesto di entrarvi per farsi frate. Pontecurone, dove egli nacque il 23 giugno 1872, era un oscuro paese della provincia alessandrina. Il padre faceva lo stradino e politicamente stava dalla parte di chi, pur di cambiare le cose che andavano davvero male, era disposto anche ad andare per le spicce. Sua madre, invece, era tutta casa e chiesa.

D’estate, al tempo della mietitura, la mamma andava a spigolare trascinandosi dietro il piccolo Luigi. «Il pane per i poveri è sacro gli diceva — e neppure una briciola deve andare perduta». E si inchinava lei stessa a raccoglierla. Quel gesto, di raccogliere e portare alla bocca ogni pezzo di pane, divenne anche per Luigi un’abitudine. Che un giorno gli costò cara. I compagni di collegio, avendo notato il suo innocente vezzo, buttavano pezzi di pane che poi con sottile perfidia si affrettavano a calpestare. E quando Luigi, obbedendo al suo istinto, si chinava a raccogliere le briciole, era un coro di risate. Per tutta la vita, in verità, non farà che curvarsi per sollevare gli emarginati, i disgraziati abbandonati a se stessi da una società gretta e meschina.

A Voghera Luigi non stette per molto: una broncopolmonite lo costrinse a lasciare il convento. Il papà lo prese allora con sé a lavorare lungo le strade: un buon noviziato, che gli fece conoscere il mondo operaio, un mondo difficile, di gente sfruttata e arrabbiata, un po’ anticlericale ma non lontano da Cristo. Poi Luigi conobbe don Bosco che lo prese con sé a ‘Torino e lo coinvolse nelle sue iniziative a favore dei ragazzini che la durezza della vita aveva ridotto a vivere nei marciapiedi delle città. Ma alla vigilia del noviziato, quando don Bosco pensava ormai di avere un confratello in più, inspiegabilmente Luigi Orione lasciava Torino c chiedeva di essere accolto nel seminario diocesano di Tortona.

In seminario Orione non fu mai un chierico come gli altri. L: ansia per i ragazzi male in arnese, che don Bosco gli aveva comunicato, gli fece fare cose che di solito i chierici non fanno. Un’estate, quando i chierici tornavano in famiglie, Luigi chiese di restare. E poiché il seminario chiudeva, il rettore gli mise a disposizione una stanzetta, un bugigattolo nel soffitto della cattedrale, che al caldo estivo era tutt’altro che un luogo di delizie.

Un giorno la porta della sua stanzetta si aprì per accogliere un ragazzino cacciato dalla scuola di catechismo perché turbolento. Qualche giorno dopo una frotta di marmocchi invadeva la soffitta del duomo, contenti di passare qualche ora con quel chierico un po’ matto che si faceva in quattro per loro. Un po’ meno contenti furono i piissimi canonici, disturbati nel loro devoto salmodiare dai rumori «sospetti» provenienti dalla soffitta.

Disturbare la preghiera dei canonici fu considerato quasi un delitto e Orione dovette sloggiare, accompagnato dalla fama di soggetto poco raccomandabile. Ma non tutti furono d’accordo con quella sbrigativa definizione, non il vescovo, monsignor Igino Bandi, che, apprezzando l’iniziativa del chierico Orione, gli mise a disposizione il proprio giardino, presto trasformato in oratorio. Ma anche lì la storia durò poco. Qualcuno ravvisò nel gruppetto di ragazzini un covo di papalini antipatriottici e sovversivi. E si diede da fare perché il patronato venisse chiuso.

E l’oratorio chiuse i battenti. Ma Orione si inventò qualche altra cosa: aprì un piccolo collegio per seminaristi poveri, con la benedizione del vescovo. L’iniziativa per un po’ funzionò, ma poi alcuni malintenzionati misero in giro la voce che Orione fosse indebitato fino al collo. 11 vescovo fu costretto a prendere delle precauzioni per non trovarsi nei guai. E Orione si trovò da solo. Ma non mollò l’impresa. «Aiutati ché il ciel t’aiuta», dice la saggezza popolare e lui, dandosi da fare, trovò i soldi per pagare l’affitto del locale che ospitava il collegio. Per mettere tutti a tacere. La Piccola opera della divina provvidenza, una delle sue iniziative più incisive, nascerà da quel collegio, della provvidenza, è il caso di dire. Aveva allora solo ventuno anni. Ed era ancora chierico. Sacerdote lo divenne due anni dopo, nel 1895.

Ancora chierico ne aveva combinata un’altra delle sue. Il patriarca di Venezia — Giuseppe Sarto, il futuro Pio X — aveva invitato nella città della Serenissima, per dirigere il coro della basilica, il chierico Lorenzo Perosi, compagno di corso di Orione e promettente musicista.

Notizie che giungevano dalla città di san Marco avevano inquietato il severissimo papà Perosi, il quale un giorno andò a confidare a Orione le sue angustie. Secondo lui, il cardinale Sarto stava «viziando» suo figlio: lo invitava a pranzo, giocava con lui ai tarocchi, gli offriva sigari… Orione, contagiato dal sacro furore di papà Perosi, prese carta e penna e inviò una lettera di rimproveri al cardinale. Se ne pentì subito, ma ormai la frittata era fatta. Il patriarca Sarto, letta la lettera dell’audace chierico, si vendicò, ma a suo modo: inviandogli un pezzo di stoffa per la talare che avrebbe indossato il giorno della prima messa. Quando, anni dopo, don Orione sarà ricevuto in udienza, Pio X, mostrandogli la lettera che aveva posto nel breviario come segnalibro, gli dirà: «Certi rimproveri fanno bene ai patriarchi».

Intanto la Piccola casa della divina provvidenza prendeva piede. A don Orione si era aggregato un altro sacerdote, don Sterpi, suo futuro successore, e con lui tanti giovani che volevano essere della compagnia. E l’iniziativa cresceva. Don Orione era un vulcano. Una ne faceva e cento ne pensava. La Casa della provvidenza divenne più di una e a esse si affiancarono presto asili, scuole professionali, centri giovanili, ospedali… In Italia e fuori Italia, in Brasile e Argentina. Troppo successo, per non suscitare nei soliti invidiosi qualche sospetto: dove trovava i soldi quel pasticcione di prete? II suo castello era solido o poggiava su un mare di debiti? Perché non era mai in casa ma sempre in giro per il mondo?…

Sospetti e altro ancora finirono raccolti in un bel dossier che monsignor Bandi dovette leggersi. E non ne fu contento. Tanto che, chiamato don Orione, gli disse con tono che non ammetteva repliche: «La Piccola opera della divina provvidenza deve essere chiusa».

Il monsignore si aspettava chissà quali reazioni. Don Orione rispose solo: «Obbedisco». Sollecitato poi dal vescovo, sconcertato dalla secca risposta, a esplicitare la sua opinione, egli si mise in ginocchio dicendo: «Eccellenza, domani lei non può celebrare la messa perché ha compiuto un’ingiustizia troppo grossa».

Tre mesi dopo l’Opera di don Orione otteneva dal vescovo l’approvazione ufficiale, insieme alla raccomandazione di dare basi solide all’istituzione, perché non finisse travolta dai debiti. Don Orione promise. Ma intanto chiedeva di poter aprire una ‘uova casa a Borgonovo, nel piacentino, per ospitarvi i più poreri tra i poveri. E il vescovo glielo concesse perché, in fondo, aveva fiducia in quel suo prete un po’ pasticcione, è vero, ma mimato da una grande passione che aveva nell’amore di Dio e iel prossimo la sua origine.

Nel 1908 Messina veniva rasa al suolo dal terremoto. Don Orione fu tra i primi a portare soccorso in nome del papa e della carità cristiana. E mentre gli anticlericali lo accusavano di essere una spia del Vaticano e chiedevano che fossero incamerati tutti i beni ecclesiastici per soccorrere i terremotati, don Orione scriveva mirabili pagine di Vangelo vivo, «incamerando» duemila orfanelli nei suoi collegi. Quando Pio X lo nominò vicario generale della diocesi disastrata, un canonico gli offrì un materasso e una stanza scampata alla devastazione. Ma lui cedette tutto a una famiglia senza casa e andò a dormire in un vagone ferroviario.

Erano tempi duri, di miseria, di fame e di lotte. Gli operai e i poveri lo ebbero sempre dalla loro parte. Tanto che i socialisti di Alessandria lo chiamavano «il nostro prete». In una predica incitò provocatoriamente i poveri a rubare: «Non nella terra dei poveri — specificò —, ma in quella dei ricchi. Andate nella proprietà di Pedenovi (suo amico, che sapeva presente in chiesa). Però non portategli via la carretta ma solo il canestro».

Anche il terribile terremoto della Marsica (1915) lo vide prodigarsi in prima persona e con gesti di carità al limite della legalità. Per portare in salvo dei bambini, ad esempio, requisì l’automobile del re, il quale, presente alla scena, non osò opporsi. Tra i bambini che un giorno accompagnò alla stazione per portarli in un suo collegio in Liguria, c’era anche un ragazzetto che nel terremoto aveva perso tutta la sua famiglia, Ignazio Silone. Intervistato in seguito su quali personaggi l’avessero più colpito, il celebre scrittore disse: «Don Orione e Trotskij: il primo non era il cristiano della domenica mattina; il secondo non era il rivoluzionario del sabato sera».

Mentre imperversava la prima grande guerra con le sue drammatiche vicende, don Orione diede le ultime rifiniture alla Piccola opera, che articolò in cinque rami: i piccoli figli della divina provvidenza, le piccole suore missionarie della carità, gli eremiti di sant’Alberto, le figlie della Madonna della Guardia o sacramentane e i fratelli laici coadiutori. Le sacramentine e gli eremiti, due comunità contemplative, che accolgono anche i ciechi di solito rifiutati dagli istituti religiosi perché non idonei, sono il fiore all’occhiello di don Orione, e il motore di tutte le sue altre attività. E nell’eremo di Sant’Alberto don Orione si rifugiava per disintossicarsi dai veleni delle critiche che da più parti gli venivano mosse: cosa normale per chi realizza qualcosa di importante. Ebbe però anche attestazioni di stima da importanti personaggi della chiesa, come monsignor Roncalli (Giovanni XXIII). 11 cardinale Pacelli (futuro Pio XII), mentre si recava in nave al Congresso eucaristico di Buenos Aires come legato pontificio, a chi gli chiedeva la benedizione rispondeva, indicando don Orione, compagno di viaggio: «Andate da lui: è un santo».

Ai primi di marzo del 1940 don Orione si ammalò gravemente. Aveva chiesto di essere portato a Borgonovo (Piacenza) in quella che considerava la più povera delle sue case. Invece lo trasferirono nella sede di Sanremo, sperando che il buon clima fosse favorevole alla sua salute. Invece il 12 marzo moriva. Scrivendo un giorno all’amico padre Stefano Ignudi, un francescano conventuale di grande cultura, don Orione aveva chiesto: «Ci sarà il ballo in Paradiso?». Non era una irriverenza, ma un suo modo per sottolineare che la chiesa deve essere il luogo della festa e non dei funerali, della Pasqua e non solo del venerdì santo; una chiesa dell’osare e non solo dell’attendere in pantofole; con un briciolo di pazzia…

Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato beato il 26 ottobre 1980 e proclamato Santo dallo stesso Papa il 16 maggio 2004.

MARTIROLOGIO ROMANO. A Sanremo in Liguria, san Luigi Orione, sacerdote, fondatore della Piccola Opera della Divina Provvidenza per il bene dei giovani e di tutti gli emarginati.

Nome: San Luigi Orione
Titolo: Sacerdote e fondatore
Nascita: 23 giugno 1872, Pontecurone
Morte: 12 marzo 1940, Sanremo
Ricorrenza: 12 marzo
Martirologio: edizione 2004
Tipologia: Commemorazione

Vangelo Mt 5, 43-48: «Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico».

Vangelo Novus Ordo Mt 5, 43-48
Dal Vangelo secondo Matteo

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo” e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti.
Infatti, se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?
Voi, dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste Parole del Vangelo:
« Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano ».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge.

  25 maggio 1945

 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l’ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l’Uomo e comprendo le debolezze dell’uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all’abisso nero, ma all’Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l’abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.
   Io non muto un iota della Legge. E chi l’ha data fra i fulmini del Sinai? L’Altissimo.
   Chi è l’Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l’ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l’ha data? Con la sua Parola.
   Perché l’ha data? Per il suo Amore.
   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all’Amore, parlò per il Pensiero e per l’Amore.
   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loro pensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l’incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l’ordine. Ora è più dell’ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all’istante è re perché ha raggiunto il “perfetto”, perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l’amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.
   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all’estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l’eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all’ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l’aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.
   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d’errore. Essi vengono a voi in veste d’agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.
   L’uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un’altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l’uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l’ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.
   Ma gli atti dell’uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: “Costui è un servo del Signore”. Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L’uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l’aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all’uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: “Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli”. Anzi vi dico: “Lasciatene a Dio il compito”. Ma vi dico: “Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi”.

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l’ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: “Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico” No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l’uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l’uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l’amore di prossimo a perfezione che unifica l’amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l’altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l’ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell’affronto. Siete derubati? Non pensate: “Questo mio prossimo è un avido”, ma pensate caritativamente: “Questo mio povero fratello è bisognoso” e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: “Ma potrebbe essere vizio e non bisogno”. Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l’iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: “Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?”, e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.
   L’antica parola: “Occhio per occhio, dente per dente”, che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l’uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: “Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare”. Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell’amore e perciò vi dico: “Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.
   Tanto è grande il precetto d’amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d’amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: “Non uccidete”, perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: “Non vi adirate” perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all’altare se prima non si è sacrificato nell’interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all’altare, fa’ prima l’immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all’altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell’uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all’avversario fino all’ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: “Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?”. Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: “Guariscimi”, perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: “Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre”.
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L’anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore… io so che Tu non vuoi che dica: “sì “, e perciò non lo dico.. – ma lo penso.. – ed è lo stesso…»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora… Oh! quanti cuori pieni di scaglie d’odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall’alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».

Facoltativo

   Cap. CLXXVI. Nella sosta del sabato l’ultimo discorso della Montagna: amare la volontà di Dio.

  1 giugno 1945

 1 Gesù nella notte si è alquanto dilungato risalendo il monte, di modo che l’aurora lo mostra ritto su uno scrimolo. Pietro, che lo vede, lo accenna ai compagni ed essi salgono verso di Lui.
   «Maestro, perché non sei venuto con noi? » chiedono in diversi.
   «Avevo bisogno di pregare»
   «Ma hai anche tanto bisogno di riposare».
   «Amici, nella notte una voce è venuta dai Cieli chiedendo preghiera per i buoni e per i malvagi, ed anche per Me stesso».
   «Perché? Che ne hai bisogno Tu?».
   «Come gli altri. La mia forza si nutre di preghiera e la mia gioia di fare ciò che vuole il Padre mio. Il Padre mi ha detto due nomi di persone, e un dolore per Me. Queste tre cose dette hanno tanto bisogno di preghiera». Gesù è molto triste e guarda i suoi con occhio che pare supplichi chiedendo qualcosa, o che interroghi. Si posa su questo e su quello e in ultimo si posa su Giuda Iscariota fermandovisi.
   L’apostolo lo nota e chiede: «Perché mi guardi così?».
   «Non vedevo te. Il mio occhio contemplava un’altra cosa…».
   «Ed è?».
   «Ed è la natura del discepolo. Tutto il bene e tutto il male che un discepolo può dare, può fare per il suo maestro. Pensavo ai discepoli dei Profeti e a quelli di Giovanni. E pensavo ai miei propri. E pregavo per Giovanni, per i discepoli e per Me…».
   «Sei triste e stanco questa mattina, Maestro. Di’ a chi ti ama il tuo affanno» invita Giacomo di Zebedeo.
   «Si, dillo, e se c’è cosa che si possa fare per sollevarlo noi lo faremo» dice il cugino Giuda.
   Pietro parla con Bartolomeo e Filippo, ma non capisco ciò che dicono.
   Gesù risponde: «Essere buoni, sforzatevi ad essere buoni e fedeli. Ecco il sollievo. Non ce ne è nessun altro, Pietro. Hai inteso? Deponi il sospetto. Vogliatemi e vogliatevi bene, non vi fate sedurre da chi mi odia, vogliate soprattutto bene alla volontà di Dio».
   «Eh! ma se tutto viene da quella, anche i nostri errori verranno da quella!» esclama Tommaso con aria di filosofo.

 2 «Lo credi? Non è così. Ma molta gente si è destata e guarda qui. Scendiamo. E santifichiamo il giorno santo con la parola di Dio».
   Scendono mentre i dormenti si destano in numero sempre più numeroso. I bambini, allegri come passerotti, già cinguettano correndo e saltando fra i prati, bagnandosi ben bene di rugiada tanto che qualche scappellotto vola, con relativo pianto. Ma poi i bambini corrono verso Gesù che li carezza ritrovando il suo sorriso, quasi rispecchiasse in Sé quelle gaiezze innocenti. Una bambina gli vuole mettere alla cintura il mazzetto di fiori colto nei prati « perché la veste è più bella così» dice, e Gesù la lascia fare nonostante che gli apostoli brontolino, anzi Gesù dice: «Ma siate contenti che essi mi amino! La rugiada leva la polvere dai fiori. L’amore dei bambini leva le tristezze dal mio cuore».
   Arrivano contemporaneamente, in mezzo ai pellegrini, Gesù venendo dal monte e lo scriba Giovanni venendo dalla sua casa con molti servi carichi di ceste di pane e altri con ulive, formaggelle e un agnellino, o caprettino che sia, arrostito per il Maestro. Tutto viene deposto ai piedi dello Stesso, che ne cura la distribuzione, dando ad ognuno un pane e una fetta di formaggio con un pugno di ulive; ma ad una madre, che ha ancora al petto un grasso puttino che ride coi suoi dentini novelli, dà col pane un pezzo di agnello arrostito, e così fa con altri due o tre che gli paiono bisognosi di particolare ristoro.
   «Ma è per Te, Maestro» dice lo scriba.
   «Ne gusterò, non dubitare. Ma vedi… se Io so che la tua bontà è per molti mi si aumenta il sapore».
   La distribuzione finisce e la gente sbocconcella il suo pane, riserbandosene il resto per le altre ore. Anche Gesù beve un poco di latte, che lo scriba gli vuole versare in un tazza preziosa da una fiaschetta che porta un servo (pare un orciolo).
   «Però mi devi accontentare dandomi la gioia di udirti» dice Giovanni lo scriba, che è stato salutato da Erma con uguale rispetto e con un rispetto ancora maggiore da Stefano.
   «Non te lo nego. Vieni qui contro» e Gesù si addossa al monte e inizia a parlare.

 3 «La volontà di Dio ci ha trattenuti in questo luogo perché andare oltre, dopo il già fatto cammino, sarebbe stato ledere i precetti e dare scandalo. E ciò mai non sia finché il nuovo Patto non sarà scritto. E’ giusto santificare le feste e lodare il Signore nei luoghi della preghiera. Ma tutto il creato può essere luogo di preghiera se la creatura sa farlo tale con la sua elevazione al Padre. Fu luogo di preghiera l’arca di Noè alla deriva sui flutti, e luogo di preghiera il ventre della balena di Giona. Fu luogo di preghiera la casa del Faraone quando Giuseppe vi visse e la tenda di Oloferne per la casta Giuditta. E non era tanto sacro al Signore il luogo corrotto dove viveva schiavo il profeta Daniele, sacro per la santità del suo servo che santificava il luogo, da meritare le alte profezie del Cristo e dell’Anticristo, chiave dei tempi d’ora e dei tempi ultimi? Con più ragione santo è questo luogo che coi colori, coi profumi, con la purezza dell’aria, la ricchezza dei grani, le perle delle rugiade, parla di Dio Padre e Creatore, e dice: “Credo. E voi vogliate credere perché noi testimoniamo Iddio”. Sia dunque la sinagoga di questo sabato, e leggiamovi le pagine eterne sopra le corolle e le spighe, avendo a lampada sacra il sole.
   Vi ho nominato Daniele. Vi ho detto: “Sia questo luogo la nostra sinagoga”. Ciò richiama il gioioso “benedicite” dei tre santi fanciulli fra le fiamme della fornace: “Cieli ed acque, rugiade e brine, ghiacci e nevi, fuochi e colori, luci e tenebre, folgori e nuvole, monti e colline, tutte le cose germinate, uccelli, pesci e bestie, lodate e benedite il Signore, insieme agli uomini di umile e santo cuore”. Questo il riassunto del cantico santo che tanto insegna agli umili e santi. Possiamo pregare e possiamo meritare il Cielo in ogni luogo. Lo meritiamo quando facciamo la volontà del Padre.

 4 Quando il giorno aveva inizio mi fu fatto osservare che, se tutto viene da volontà divina, anche gli errori degli uomini sono voluti da quella. Questo è errore, ed errore molto diffuso. Può mai un padre volere che il figlio si renda riprovevole? Non lo può. Eppure noi vediamo anche nelle famiglie che alcuni figli si rendono riprovevoli, pur avendo un padre giusto che prospetta loro il bene da farsi e il male da sfuggire. E nessun che sia retto accusa il padre di avere spronato il figlio al male.
   Dio è il Padre, gli uomini i figli. Dio indica il bene e dice: “Ecco, Io ti metto in questa contingenza per tuo bene”, oppure anche, quando il Maligno e gli uomini suoi servi procurano sventure agli uomini, Dio dice: “Ecco, in quest’ora penosa, tu agisci così; e così facendo, servirà questo male ad un eterno bene”. Vi consiglia. Ma non vi forza. E allora se uno, pur sapendo ciò che sarebbe la volontà di Dio, preferisce fare tutto l’opposto, si può dire che questo opposto sia volontà di Dio? Non si può.
   Amate la volontà di Dio. Amatela più della vostra e seguitela contro le seduzioni e le potenze delle forze del mondo, della carne e del demonio. Anche queste cose hanno la loro volontà. Ma in verità vi dico che è ben infelice chi ad essi si piega. Voi mi chiamate “Messia” e “Signore”. Voi dite di amarmi e mi osannate. Voi mi seguite e ciò pare amore. Ma in verità vi dico che non tutti fra voi entreranno meco nel Regno dei Cieli. Anche fra i miei più antichi e prossimi discepoli vi saranno di quelli che non vi entreranno, perché molti faranno la loro volontà o la volontà della carne, del mondo e del demonio, ma non quella del Padre mio.
   Non chi mi dice: “Signore! Signore!” entrerà nel Regno dei Cieli, ma coloro che fanno la volontà del Padre mio. Questi soli entreranno nel Regno di Dio.

 5 Verrà un giorno in cui Io che vi parlo, dopo essere stato Pastore, sarò Giudice. Non vi lusinghi l’aspetto attuale. Ora il mio vincastro aduna tutte le anime disperse ed è dolce per invitarvi a venire ai pascoli della Verità. Allora il vincastro sarà sostituito dallo scettro del Giudice Re e ben altra sarà la mia potenza. Non con dolcezza ma con giustizia inesorabile Io allora separerò le pecore pasciute di Verità da quelle che mescolarono Verità ad Errore o si nutrirono solo di Errore.
   Una prima volta e poi una ancora Io farò questo. E guai a coloro che fra la prima e la seconda apparizione davanti al Giudice non si saranno purgati, non potranno purgarsi dai veleni. La terza categoria non si purgherà. Nessuna pena potrebbe purgarla. Ha voluto solo l’Errore e nell’Errore stia. Eppure allora fra questi vi sarà chi gemerà: ” Ma come, Signore? Non abbiamo noi profetato in tuo nome, e in tuo nome cacciato i demoni, e fatto in tuo nome molti prodigi?”.
   Ed Io allora molto chiaramente dirò ad essi: “Sì. Avete osato rivestirvi del mio Nome per apparire quali non siete. Il vostro satanismo lo avete voluto far passare per vita in Gesù. Ma il frutto delle vostre opere vi accusa. Dove sono i vostri salvati? Le vostre profezie dove si sono compiute? I vostri esorcismi a che hanno concluso? I vostri prodigi che compàre ebbero? Oh! ben egli è potente il Nemico mio! Ma non è da più di Me. Vi ha aiutati ma per fare maggior preda, e per opera vostra il cerchio dei travolti nell’eresia si è allargato. Sì, avete fatto prodigi. Ancor più apparentemente grandi di quelli dei veri servi di Dio, i quali non sono istrioni che sbalordiscono le folle, ma umiltà e ubbidienze che sbalordiscono gli angeli. Essi, i miei servi veri, con le loro immolazioni non creano i fantasmi, ma li debellano dai cuori; essi, i miei servi veri, non si impongono agli uomini, ma agli animi degli uomini mostrano Iddio. Essi non fanno che fare la volontà del Padre e portano altri a farla, così come l’onda sospinge e attira l’onda che la precede e quella che la segue, senza mettersi su un trono per dire: ‘Guardate’. Essi, i miei servi veri, fanno ciò che Io dico, senza pensare che a fare, e le loro opere hanno il mio segno di pace inconfondibile, di mitezza, di ordine. Perciò posso dirvi: questi sono i miei servi; voi non vi conosco. Andatevene lungi da Me voi tutti, operatori di iniquità.
   Questo dirò Io allora. E sarà tremenda parola. Badate di non meritarvela e venite per la via sicura, benché penosa, dell’ubbidienza verso la gloria del Regno dei Cieli.

 6 Ora godetevi il vostro riposo del sabato lodando Dio con tutti voi stessi. La pace sia con tutti voi».
   E Gesù benedice la folla prima che questa si sparga in cerca di ombra, parlando fra gruppo e gruppo, commentando le parole udite. Presso Gesù restano gli apostoli e lo scriba Giovanni, che non parla ma medita profondamente, studiando Gesù in ogni suo atto.
   E il ciclo del Monte è finito.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!