Madonna di Montevergine prega per noi – 1 settembre

In Campania, nella provincia di Avellino, a Mercogliano, si trova un grande Santuario, dedicato alla Madonna di Montevergine, conosciuta anche come Mamma Schiavona o Madonna Bruna.

Il nome particolare è dato dal fatto che l’Icona qui venerata rappresenta una Maria dalla pelle scura, cosa che in passato era associata alla gente di basso ceto che lavorava nei campi, agli schiavi, appunto. Secondo gli studi effettuati sul quadro esso fu opera di Pietro Cavallino dei Cerroni che lo dipinse tra il 1270 e il 1325, anche se per molto tempo la leggenda lo attribuiva addirittura a San Luca.

Mamma Schiavona è conosciuta come “colei che tutto può e tutto perdona” perché secondo una storia risalente al 1256, due amanti omosessuali, che furono scoperti in atteggiamenti intimi, uno scandalo per l’epoca, vennero legati ad un albero destinati a morire di stenti, e furono liberati dalla Madonna che ne ebbe pietà. Attestato il miracolo la popolazione lo considerò come un segno di tolleranza soprannaturale e da allora i femminielli divennero devotissimi della Madonna di Montevergine. Per questo il 2 febbraio giorno della Candelora si tiene una processione interamente costituita da femminielli che vanno in pellegrinaggio in onore della Madonna loro amica.

Il culto associato a questo luogo non è legato, come invece di consueto, a nessuna apparizione, ma è dovuto unicamente alla fede di una persona, tal Guglielmo da Vercelli, monaco eremita che volendo dedicare la propria vita alla preghiera tramite appunto il culto di Maria, durante uno dei suoi viaggi decise di fermarsi tra questi monti per erigere un tempio alla Vergine, al posto di quello pagano esistente in antichità dedicato alla Dea Cibele. Guglielmo fondò anche un ordine monastico che chiamò Congregazione Verginiana.

I suoi resti sono conservati nella cripta in un urna d’argento, e nelle due basiliche, la vecchia e la nuova, si trovano le tombe di principi, nobili ed ecclesiastici.

Nome: Madonna di Montevergine
Ricorrenza: 1 settembre
Tipologia: Commemorazione

 «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti».

Vangelo Lc 5, 1-11

In quel tempo, mentre la folla gli faceva ressa attorno per ascoltare la parola di Dio, Gesù, stando presso il lago di Gennèsaret, vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedette e insegnava alle folle dalla barca.
Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: «Prendi il largo e gettate le vostre reti per la pesca». Simone rispose: «Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti». Fecero così e presero una quantità enorme di pesci e le loro reti quasi si rompevano. Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche fino a farle quasi affondare.
Al vedere questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: «Signore, allontànati da me, perché sono un peccatore». Lo stupore infatti aveva invaso lui e tutti quelli che erano con lui, per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini».
E, tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

Impegno del giorno: essere fedeli a Dio anche nelle situazioni difficili.

Sant’Egidio prega per noi – 1 settembre

Nato da nobile famiglia in Atene, questo santo passò i primi anni della sua vita nel paese natio. Di ingegno profondo, colto, amante della pietà, ben presto si cattivò la benemerenza del popolo e dei prìncipi e con essa gli onori del mondo. Ma sprezzante di tutto, Egidio fuggì da Atene, e si recò in Francia, ritirandosi in un luogo deserto presso la foce del Rodano, per attendere con più fervore al servizio di Dio. Poco tempo dopo passò in una foresta e vi stabilì la sua dimora, vivendo in preghiera, fra austerità e digiuni. Si nutriva di erbe, di radici, di frutti selvatici, dormiva su nuda terra, e suo guanciale era un sasso. Il Signore ebbe pietà di lui in quel luogo deserto e gli mandò una cerva che gli forniva giornalmente il latte.

Scoperto durante una partita di caccia da Flavio re dei Goti, entrò nelle grazie di quel sovrano, e per i molti miracoli operati fu conosciuto in tutta la Francia sotto il nome di « santo taumaturgo ». Spinto da tutto il popolo e pregato dallo stesso re ad abbandonare quel romitaggio per recarsi alla corte, non cedette, ma ottenne che il re gli donasse quella selva. Acconsenti il re e vi fabbricò un monastero che regalò ad Egidio.

Lì accorse gran numero di giovani desiderosi di vivere sotto la sua direzione. Il Santo prese a dirigerli nella via della santità colle regole di S. Benedetto.

Con essi potè incivilire quella regione,. dissodò campi, fertilizzò terreni fino allora incolti, aprì vie di commercio e specialmente predicò Gesù a quei popoli, convertendo i peccatori e inducendoli a penitenza. Crescendo sempre più la fama di lui, molti si stabilirono vicino al monastero così da formare una città che ora porta il suo nome.

Pieno di anni e di meriti S. Egidio verso la fine del secolo VIII volò al cielo a ricevere la corona dei Beati.

Più tardi, quando cioè i calvinisti profanavano con vandalico odio i santuari della Linguadoca, le preziose reliquie di S. Egidio vennero religiosamente trasferite a Tolosa ove si conservano con grandissimo onore, e la sua tomba è una fonte perenne di grazie e di miracoli.

PRATICA. Che vale all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde l’anima sua?

PREGHIERA. Deh! Signore, ci renda accetti l’intercessione del beato abate Egidio, affinché quel che non possiamo coi nostri meriti, lo conseguiamo col suo patrocinio.

MARTIROLOGIO ROMANO. Nel territorio di Nîmes nella Gallia narbonense, ora in Francia meridionale, sant’Egidio, da cui poi prese il nome la cittadina fiorita nella regione della Camargue, dove si tramanda che egli costruì un monastero e pose termine al corso della sua vita mortale.

Nome: Sant’ Egidio
Titolo: Abate
Nascita: 640 circa, Atene, Grecia
Morte: 720 circa, Languedoc, Francia
Ricorrenza: 1 settembre
Tipologia: Commemorazione
Patrono di: Gambettola, Sant’Egidio alla Vibrata, Orte, Monte San Savino, Cavezzo, Altavilla Silentina, Caprarola, Linguaglossa, Tolfa, Latronico >>> altri comuni
Protettore: dell’ allattamento, cavalli, disabili, degli epilettici, degli eremiti, fabbri, delle foreste, lebbrosi, delle pecore, poveri, degli sterili

Vangelo Lc 4, 38-44:: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».

Vangelo Novus Ordo Lc 4, 38-44
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù, uscito dalla sinagòga, entrò nella casa di Simone. La suocera di Simone era in preda a una grande febbre e lo pregarono per lei. Si chinò su di lei, comandò alla febbre e la febbre la lasciò. E subito si alzò in piedi e li serviva.
Al calar del sole, tutti quelli che avevano infermi affetti da varie malattie li condussero a lui. Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva. Da molti uscivano anche demòni, gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». Ma egli li minacciava e non li lasciava parlare, perché sapevano che era lui il Cristo.
Sul far del giorno uscì e si recò in un luogo deserto. Ma le folle lo cercavano, lo raggiunsero e tentarono di trattenerlo perché non se ne andasse via. Egli però disse loro: «È necessario che io annunci la buona notizia del regno di Dio anche alle altre città; per questo sono stato mandato».
E andava predicando nelle sinagòghe della Giudea.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Ed egli, imponendo su ciascuno le mani, li guariva».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   
   Cap. LX. Guarigione della suocera di Simon Pietro.

   3 novembre 1944

 1 Pietro parla a Gesù. Dice: «Maestro, io ti vorrei pregare di venire nella mia casa. Non ho osato dirlo lo scorso sabato. Ma… vorrei che Tu venissi».
   «A Betsaida?».
   «No, qui… in casa di mia moglie, la casa natia, voglio dire».
   «Perché questo desiderio, Pietro?».
   «Eh!… per molte ragioni… e poi, oggi mi è stato detto che mia suocera è malata. Se Tu volessi guarirla, forse ti… ».
   «Finisci, Simone».
   «Volevo dire… se Tu la avvicinassi, lei finirebbe… sì, insomma, sai, altro è sentir parlare di uno e altro è vederlo e udirlo, e se quest’uno, poi, guarisce, allora… »
   «Allora anche l’astio cade, vuoi dire».
   «No, astio no. Ma sai… il paese è diviso in molti pareri, e lei… non sa a chi dare retta. Vieni, Gesù».
   «Vengo. Andiamo. Avvertirete quelli che attendono che parlerò loro dalla tua casa».

 2 Vanno sino ad una casa bassa, più bassa ancora di quella di Pietro a Betsaida, e ancor più prossima al lago. È separata da questo da una striscia del greto e credo che nelle burrasche le onde vengano a morire contro le mura della casa, che, se è bassa, è in compenso molto larga, come fosse abitata da più persone.
   Nell’orto, che si apre sul davanti della casa, verso il lago, non vi è che una vite vecchia e nodosa, stesa su una rustica pergola, e un vecchio fico che i venti del lago hanno tutto piegato verso la casa. La chioma spettinata della pianta sfiora i muri di essa e bussa contro le impannate delle finestrelle, chiuse a riparo del vivo sole che batte sulla casetta. Non c’è che questo fico e questa vite, e un pozzo basso e dal muretto verdastro.
   «Entra, Maestro».
   Delle donne sono nella cucina, intente chi a ratpare le reti e chi a preparare il cibo. Salutano Pietro e poi si inchinano confuse davanti a Gesù e lo sbirciano, intanto, con curiosità.
   «La pace sia a questa casa. Come sta la malata?».
   «Parla, tu che sei la nuora più vecchia» dicono tre donne ad una che si sta asciugando le mani nel lembo della veste.
   «La febbre è forte, molto forte. L’abbiamo mostrata al medico, ma dice che è vecchia per guarire e che, quando quel male dalle ossa va al cuore e dà febbre, specie a quell’età, si muore. Non mangia più… Io cerco di farle cibi buoni, anche ora, vedi, Simone? Le preparavo quella zuppa che le piaceva tanto. Ho scelto il pesce migliore, preso dai cognati. Ma non credo possa mangiarla. E poi… è così inquieta! Si lamenta, urla, piange, impreca… »
   «Abbiate pazienza come vi fosse madre e ne avrete merito da Dio. Conducetemi da lei».

 3 «Rabbi… Rabbi… io non so se ti vorrà vedere. Non vuole vedere nessuno. Io non oso dirle: “Ora ti conduco il Rabbi”».
Gesù sorride senza perdere la calma. Si volge a Pietro: «Tocca a te, Simone. Sei uomo e il più vecchio dei generi, mi hai detto. Va’».
   Pietro fa una smorfia significativa e ubbidisce. Traversa la cucina, entra in una stanza e, attraverso la porta, chiusa dietro lui, lo sento confabulare con una donna. Mette fuori il capo e una mano, e dice: «Vieni, Maestro. Fa’ presto». E aggiunge più piano, appena intelligibilmente: «Prima che cambi idea».
   Gesù traversa lesto la cucina e spalanca la porta. Ritto sulla soglia, dice il suo dolce e solenne saluto: «La pace sia con te». Entra, nonostante non gli si sia risposto. Va presso ad un giaciglio basso su cui è stesa una donnetta tutta grigia, scarna, affannante per la forte febbre che le fa rosso il viso consumato.
   Gesù si china sul lettuccio, sorride alla vecchietta: «Hai male?».
   «Muoio!».
  «No. Non muori. Puoi credere che Io ti posso guarire?».
   «E perché lo faresti? Non mi conosci».
   «Per Simone, che me ne ha pregato… e anche per te, per dare tempo alla tua anima di vedere e amare la Luce».
   «Simone? Farebbe meglio a… Come mai Simone ha pensato a me?».
   «Perché è migliore di quanto tu credi. Io lo conosco e so. Lo conosco e sono lieto di esaudirlo».
   «Mi guariresti, allora? Non morirò più?».
   «No, donna. Per ora non morrai. Puoi credere in Me?».
   «Credo, credo. Mi basta non morire!».

 4 Gesù sorride ancora. La prende per mano. La mano rugosa e dalle vene gonfie sparisce nella mano giovanile di Gesù, che si raddrizza e prende il suo aspetto di quando fa miracolo e grida: «Sii guarita! Lo voglio! Alzati!» e le lascia andare la mano. Che ricade senza che la vecchia si lamenti, mentre prima, nonostante Gesù gliel’avesse presa con molta delicatezza, l’averla mossa era costato un lamento all’inferma.
   Un breve tempo di silenzio. Poi la vecchia esclama forte: «Oh! Dio dei padri! Ma io non ho più nulla! Ma sono guarita! Venite! Venite!». Accorrono le nuore. «Ma guardate!» dice la vecchia. «Mi muovo e non sento più dolore! E non ho più febbre! Sentite come sono fresca. E il cuore non sembra più il martello del fabbro. Ah! non muoio più!». Non una parola per il Signore!
   Ma Gesù non se la prende. Dice alla più anziana delle nuore: «Vestitela, che si alzi. Lo può fare». E si avvia per uscire.
   Simone, mortificato, si volge alla suocera: «Il Maestro ti ha guarita. Non gli dici nulla?».
   «Certo! Non ci pensavo. Grazie. Che posso fare per dirti grazie?».
   «Esser buona, molto buona. Perché l’Eterno fu buono con te. E, se troppo non ti rincresce, lasciami riposare oggi nella tua casa. Ho percorso nella settimana tutti i paesi vicini e sono giunto all’alba di questa mattina. Sono stanco».
   «Certo! Certo! Resta pure, se ti piace così». Ma non c’è molto entusiasmo nel dirlo.

 5 Gesù, con Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, va a sedersi nell’orto.
   «Maestro!… »
   «Pietro mio?».
   «Io sono mortificato».
   Gesù fa un gesto come dicesse: «Lascia perdere». Poi dice: «Non è la prima e non sarà l’ultima che non sente riconoscenza immediata. Ma non chiedo riconoscenza. Mi basta dar modo alle anime di salvarsi. Io faccio il mio dovere. A loro fare il loro».
   «Ah! ve ne sono stati altri così? Dove?».
   «Simone curioso! Ma ti voglio accontentare, nonostante non ami le inutili curiosità. A Nazaret. Ricordi la mamma di Sara? Era molto malata quando giungemmo a Nazaret e ci dissero che la bambina piangeva. Per non fare di essa, che è buona e mite, un’orfana e domani una figliastra, sono andato a trovare la donna… volevo guarirla… Ma non avevo ancora posto piede nella casa che il marito di lei e un fratello mi cacciarono dicendo: ” Via, via! Non vogliamo noie con la sinagoga “. Per loro, per troppi sono già un ribelle… L’ho guarita lo stesso… per i suoi bambini. E a Sara, che era nell’orto, ho detto accarezzandola: “Guarisco tua madre. Va’ a casa. Non piangere più”. E la donna è guarita nello stesso momento e la bambina glielo ha detto, e anche al padre e allo zio… E fu castigata per aver parlato con Me. Lo so, perché la bambina m’è corsa dietro mentre lasciavo il paese… Ma non importa».
   «Io la facevo tornare malata».
   «Pietro!». Gesù è severo. «È questo che Io insegno a te e agli altri? Cosa hai sentito sulle mie labbra dalla prima volta che mi hai udito? Di che ho sempre parlato come condizione prima per esser veri miei discepoli?».
   «È vero, Maestro. Sono una vera bestia. Perdonami. Ma… non posso sopportare che non ti amino!».
   «Oh! Pietro! Vedrai ben altro disamore! Tante sorprese avrai, Pietro! Persone che il mondo cosiddetto “santo” sprezza come pubblicani e che invece saranno al mondo di esempio, e esempio non seguito da coloro che li disprezzano. Pagani che saranno fra i miei più grandi fedeli. Meretrici che tornano pure, per volontà e
penitenza. Peccatori che si emendano… »
   «Senti, che si emendi un peccatore… può essere ancora. Ma una meretrice e un pubblicano!… »
   «Tu non lo credi?».
   «Io no».

 6 «Sei in errore, Simone. Ma ecco tua suocera che viene a noi».
   «Maestro… io ti prego di sedere alla mia tavola». 
   «Grazie, donna. Dio te ne compensi».
   Entrano nella cucina e si siedono a tavola, e la vecchia serve gli uomini, con larga distribuzione di pesce in zuppa e arrostito. «Non ho altro che questo» si scusa. E, per non perderci l’abitudine, dice a Pietro: «Fin troppo fanno i tuoi cognati, soli come sono rimasti da quando tu sei andato a Betsaida! E almeno fosse servito a far più ricca mia figlia. – Ma sento che ben sovente tu sei assente e non peschi».
   «Seguo il Maestro. Sono stato con Lui a Gerusalemme e il sabato sto con Lui. Non perdo il tempo in gozzoviglie».
   «Ma non guadagni, però. Faresti meglio, già che vuoi fare il servo del Profeta, di trasferirti qui di nuovo. Almeno, quella povera creatura di mia figlia, mentre tu fai il santo, avrà i parenti che la sfamano».
   «Ma non ti vergogni di parlare così davanti a Lui che ti ha guarita?».
   «Io non critico Lui. Lui fa il suo mestiere. Critico te, che fai il fannullone. Tanto, tu non sarai mai un profeta né un sacerdote. Sei un ignorante e un peccatore, un buono a nulla».
   «Hai ragione che c’è Lui, se no… »
   «Simone, tua suocera ti ha dato un ottimo consiglio. Puoi pescare anche da qua. Pescavi anche prima a Cafarnao, a quel che sento. Puoi tornarci anche ora».
   «E abitare qui di nuovo? Ma Maestro, Tu non… »
   «Buono, Pietro mio. Se tu sarai qui, sarai sul lago o con Me. Perciò, che ti è essere o non essere in questa casa?». Gesù ha messo la mano sulla spalla di Pietro e pare che la calma di Gesù passi nel bollente apostolo.
   «Hai ragione. Hai sempre ragione. Lo farò. Ma… e questi?» e accenna Giovanni e Giacomo, suoi soci.
   «Non possono venire loro pure?».
   «Oh! il padre nostro, e la madre soprattutto, saranno sempre più felici di saperci con Te che con loro. Non faranno ostacolo».
   «Forse anche Zebedeo verrà» dice Pietro.
   «È più che probabile. E con lui altri. Verremo, Maestro, senza fallo verremo».

 7 «È qui Gesù di Nazaret?» chiede un bambinello che si affaccia all’uscio.
   «È qui. Entra». 
   Viene avanti un bambino, che riconosco per uno di quelli delle prime visioni di Cafarnao, e precisamente per quello che, ruzzolato fra i piedi di Gesù, ha promesso d’esser buono. – per mangiare il miele del Paradiso.
   «Piccolo amico, vieni avanti» dice Gesù.
   Il bambino, un poco intimorito da tanta gente che lo guarda, si rinfranca e corre da Gesù, che lo abbraccia e se lo pone sulle ginocchia e gli dà un pezzetto del suo pesce su una fettina di pane.
   «Ecco, Gesù. Questo è per Te. Anche oggi quella persona mi ha detto: “È sabato. Porta questo al Rabbi di Nazaret e di’ al tuo amico che preghi per me” Lo sa che sei il mio amico!…». Il bambino ride felice e mangia il suo pane e pesce.
   «Bravo, piccolo Giacomo! Dirai a quella persona che le mie preghiere salgono al Padre per lui».
   «È per i poveri?» chiede Pietro.
   «Si».
   «È sempre la solita offerta? Guardiamo».
   Gesù consegna la borsa. Pietro rovescia le monete e conta.
   «Sempre la stessa forte somma! Ma chi è questa persona? Di’, bambino! Chi è?».
   «Io non lo devo dire e non lo dirò».
   «Che prepotente! Su, sii buono e ti darò delle frutta».
   «Io non lo dirò né se mi insulti, né se mi carezzi».
   «Ma sentite che lingua!».
   «Giacomo ha ragione, Pietro. Mantiene la parola data; lascialo in pace».
   «Tu, Maestro, sai chi è questa persona?».
   Gesù non risponde. Si occupa del bambino, a cui dà un altro pezzetto di pesce arrostito, ben mondato dalle spine. Ma Pietro insiste e Gesù deve rispondere. «Io so tutto, Simone».
   «E noi non lo possiamo sapere?».
   «E tu non guarirai mai dal tuo difetto?». Gesù rimprovera ma sorride. E aggiunge: «Presto lo saprai. Perché, se il male occulto vorrebbe essere, e non sempre può rimanere tale, il bene, anche se occulto vuol essere per esser meritorio, viene un giorno scoperto per gloria di Dio, la cui natura risplende in un suo figlio. La natura di Dio: l’amore. E costui l’ha compreso, perché ama il suo prossimo. Va’, Giacomo. Porta a quella persona la mia benedizione».
   La visione cessa così.

   Cap. LXI. Gesù benefica i poveri dopo aver detto la parabola del cavallo amato dal re.

   4 novembre 1944

 1 Gesù è montato su un mucchio di ceste e cordami sulla soglia dell’orto della casa della suocera di Pietro. L’orto è stipato di gente, e altra ve ne è sul greto del lago, parte seduta sulla riva, parte sulle barche tirate in secco. Sembra che già parli da qualche tempo, perché il discorso è avviato. Io odo: 
   «… Di certo voi molte volte in cuor vostro avrete pensato così. Ma così non è. Il Signore non ha mancato di benignità col suo popolo. Nonostante che questo abbia mancato di fedeltà a Lui mille e diecimila volte.
   Udite questa parabola. Vi aiuterà a capire.
   Un re aveva molti e molti splendidi cavalli nelle sue scuderie. Ma uno ne amava di speciale amore. Lo aveva vagheggiato prima ancora di averlo; poi, avutolo, lo aveva posto in luogo di delizie, e ad esso andava, con l’occhio e col cuore, riguardando quel suo prediletto, sognando di farne la meraviglia del suo reame. E quando il cavallo, ribellandosi ai comandi, aveva disubbidito ed era fuggito sotto altro padrone, pur nel suo dolore e nel suo rigore, il re aveva promesso al ribelle perdono dopo il castigo. E fedele a questo, pur da lontano, sul suo prediletto vegliava, mandandogli doni e custodi che lo tenessero col suo ricordo nel cuore. Ma il cavallo, pur soffrendo del suo esilio dal regno, non era costante, come lo era il re, nell’amare e nel volere il perdono completo. E a tratti era buono, a tratti cattivo; né il buono era maggior del cattivo. Anzi l’opposto era. Eppure il re pazientava, e con rimproveri e con carezze cercava fare del suo cavallo più caro un docile amico. Più il tempo passava, più la bestia si faceva restìa. Invocava il suo re, piangeva per la sferza degli altri padroni, ma non voleva esser veramente del re. Non aveva la volontà d’esserlo. Sfinito, oppresso, gemente, non diceva: “Per colpa mia sono tale”, ma ne faceva accusa al suo re. 
Questo, dopo aver tutto tentato, ricorse alla sua ultima prova. “Finora” disse “ho mandato messi e amici. Or manderò il mio stesso figlio. Egli ha il mio stesso cuore e parlerà con l’amore mio stesso, e avrà carezze e doni simili a quelli che io avevo, anzi più dolci ancora, perché mio figlio è me stesso, ma sublimato dall’amore”. E mandò il figlio.
   Questa la parabola.

 2 Ora voi dite. Vi pare che quel re amasse la sua bestia preferita?».
   La gente dice ad una voce: «Infinitamente l’amava».
   «Poteva la bestia lamentarsi del suo re per tutto il male che aveva sofferto per averlo lasciato?».
   «No, non poteva» risponde la folla.
   «Rispondete ancora a questo: quel cavallo come vi pare avrà accolto il figlio del suo re, che veniva per riscattarlo, guarirlo e portarlo da capo nel luogo di delizie?».
   «Con gioia, è naturale, con riconoscenza e affetto».
   «Ma se il figlio del re avrà detto al cavallo: “Io sono venuto per questo e per farti questo, ma tu devi esser ora buono, ubbidiente, volonteroso, a me fedele”, che dite abbia detto il cavallo?».
   «Oh! non c’è da chiederlo! Avrà detto, ora che sapeva cosa gli costava esser espulso dal regno, che voleva essere come il figlio del re diceva».
   «Allora, secondo voi, quale era il dovere di quel cavallo?».
   «Di essere ancor più buono di quanto gli veniva chiesto, più affettuoso, più docile, per farsi perdonare del male passato, per riconoscenza per il bene avuto».
   «E se non avesse fatto così?».
   «Sarebbe degno di morte, perché peggiore di una belva selvaggia».
   «Amici, avete ben giudicato. Fate però pure voi come vorreste facesse quel cavallo. Voi uomini, creature predilette del Re dei Cieli, Dio, Padre mio e vostro; voi, a cui dopo i Profeti viene mandato da Dio lo stesso suo Figlio, siate, oh! siate – ve ne scongiuro per vostro bene, e perché vi amo come solo un Dio può amare, quel Dio che è in Me per operare il miracolo della Redenzione – siate almeno come voi giudicate debba essere quell’animale. Guai a chi abbassa sé, uomo, a un grado inferiore dell’animale! Ma, se ancora poteva esservi scusa per coloro che sino al momento presente peccavano – perché troppo tempo e troppa polvere di mondo sono trascorsi da quando fu data la Legge e su questa si è posata – ora non più. Io sono venuto per riportarvi la parola di Dio. Il Figlio dell’uomo è fra gli uomini per riportarli a Dio. Seguitemi. Io sono la Via, la Verità, la Vita».

 3 Il solito brusìo fra la folla.
   Gesù ordina ai discepoli: «Fate che i poveri vengano avanti. Per loro ho ricca offerta di uno che ad essi si raccomanda per ottenere perdono da Dio».
   Vengono avanti tre vecchietti cenciosi, due ciechi e un rattratto, e poi una vedova con sette bambini macilenti.
   Gesù li guarda fisso uno per uno, sorride alla vedova e specie agli orfanelli. Anzi ordina a Giovanni: «Costoro siano messi là, nell’orto. Voglio parlare con essi». Ma diviene severo, e con l’occhio fiammeggiante, quando a Lui si presenta un vecchietto. Però non dice nulla, per il momento.
   Chiama Pietro e si fa dare la borsa ricevuta poco avanti ed un’altra piena di monetine minori, oboli diversi raccolti fra i buoni. Rovescia tutto sulla panchina che è presso al pozzo, conta e divide. Fa sei parti. Una molto grossa, tutta di monete d’argento, e cinque minori per mole e con molto bronzo e solo qualche grossa moneta. Chiama poi i poverelli malati e chiede: «Non avete nulla da dirmi?».
   I ciechi tacciono, il rattratto dice: «Che Colui da cui Tu vieni ti protegga». Nulla di più.
   Gesù gli pone nella mano sana l’obolo. 
   L’uomo dice: «Te ne compensi Dio. Ma, più di questo, ecco, io da Te vorrei guarigione».
   «Non l’hai chiesta».
   «Sono povero, un verme che i grandi calpestano, non osavo sperare Tu avessi pietà del mendico».
   «Io sono la Pietà, che si curva su ogni miseria che mi chiama. Non ricuso nessuno. Non chiedo che amore e fede per dire: ti ascolto».
   «Oh! Signore mio! Io credo e ti amo! Salvami, allora! Guarisci il tuo servo!».
   Gesù pone la sua mano sul dorso curvato, la fa scorrere come per carezza e dice: «Voglio tu sia sanato».
   L’uomo si raddrizza, agile e integro, con benedizioni infinite.

 4 Gesù dà l’obolo ai ciechi e attende un attimo a congedarli… poi li lascia andare. 
   Chiama i vecchi. Fa al primo l’elemosina e lo conforta e aiuta a porre nella cintura le monete. 
   Si interessa pietoso alle sventure del secondo, che gli racconta la malattia di una figlia: «Non ho che lei! E ora mi muore. Che sarà di me? Oh? se Tu venissi! Lei non può, non si regge.Vorrebbe… ma non può. Maestro, Signore, Gesù, pietà di noi!».
   «Dove stai, padre?».
   «A Corazim. Chiedi di Isacco di Giona, detto l’Adulto. Verrai proprio? Non ti dimenticherai della mia sventura? E me la guarirai la figlia?».
   «Puoi credere che Io la possa guarire?».
   «Oh! se lo credo! Per questo te ne parlo».
   «Va’ a casa, padre. Tua figlia sarà sull’uscio a salutarti».
   «Ma è a letto e non può alzarsi da tre… Ah! ho compreso! Oh! grazie, Rabboni! Benedetto Te e Colui che ti ha mandato! Lode a Dio e al suo Messia!». Il vecchio va piangendo, arrancando il più lesto che può. Ma, quando è quasi fuor dall’orto, dice: «Maestro, ma verrai lo stesso nella mia povera casa? Isacco ti attende per baciarti i piedi, lavarteli col pianto e offrirti il pane dell’amore. Vieni, Gesù, dirò ai cittadini di Te».
   «Verrò. Va’ in pace e sii felice».

 5 Viene avanti il terzo vecchietto, che pare il più cencioso. Ma Gesù non ha più che il grosso mucchio di monete. Chiama forte: «Donna, vieni coi tuoi piccini».
   La donna, giovane e macilenta, viene avanti a capo chino. Pare una triste chioccia fra la sua triste chiocciata.
   «Da quando sei vedova, donna?».
   «Sono tre anni alla luna di tisri».
   «Quanti anni hai?».
   «Ventisette».
   «Son tutti tuoi figli?».
   «Si, Maestro, e – e non ho più nulla. Tutto finito. Come posso lavorare se nessuno mi vuole, con tutti questi piccini?».
   «Dio non abbandona neppure il verme che ha creato. Non ti abbandonerà, donna. Dove stai?».
   «Sul lago. A tre stadi fuor di Betsaida. Lui mi ha detto di venire… Mio marito è morto nel lago, era pescatore…». “Lui” è Andrea, che diventa rosso e vorrebbe scomparire.
   «Bene hai fatto, Andrea, a dire alla donna di venire a Me».
   Andrea si rinfranca e mormora: «L’uomo era mio amico, era buono, ed è morto nella tempesta perdendo anche la barca».
   «Tieni, donna. Questo ti aiuterà per molto tempo, e poi verrà altro sole sul tuo giorno. Sii buona, alleva nella Legge i tuoi figli e non ti mancherà l’aiuto di Dio. Ti benedico, te e i tuoi piccoli» e li carezza uno per uno con pietà grande.
   La donna se ne va col suo tesoro stretto sul cuore.

 6 «E a me?» chiede il vecchietto ultimo rimasto.
   Gesù lo guarda e tace.
   «Nulla per me? Non sei giusto! A lei hai dato sei volte più degli altri, e a me nulla. Ma già. – era donna!».
   Gesù lo guarda e tace.
   «Guardate tutti se c’è giustizia! Vengo da lontano, perché mi hanno detto che qui si dà denaro, e poi, ecco, vedo che c’è chi ha troppo e a me niente. Un povero vecchio che è malato! E vuole che si creda in Lui!… »
   «Vecchio, non ti vergogni di mentire così? Hai la morte alle spalle, e menti e cerchi di rubare a chi ha fame. Perché vuoi derubare ai fratelli l’obolo che Io ho preso per darlo con giustizia?».
   «Ma io…».
   «Taci! Avresti dovuto capire dal mio silenzio e dal mio atto che ti avevo conosciuto, e seguire il mio esempio di silenzio. Perché vuoi che ti svergogni?».
   «Io sono povero».
   «No. Sei avaro e ladro. Vivi per il denaro e per l’usura».
   «Non ho mai prestato ad usura. Dio m’è testimone».
   «E non è usura questa, della più feroce, rubare a chi ha veramente bisogno? Va’. Pentiti. Perché Dio ti perdoni».
   «Ti giuro… »
   «Taci! Te lo comando! È detto: “Non giurare il falso”. Se non portassi rispetto alla tua canizie, ti frugherei e nel seno troverei la borsa piena d’oro: il tuo vero cuore. Va’ via!».
   Ma ormai il vecchietto, svergognato, vedendosi scoperto nel suo segreto, se ne va senza bisogno del tuono che è nella voce di Gesù. 
   La folla lo minaccia e schernisce, lo insulta come ladro.
   «Tacete! Se egli ha sbagliato, non vogliate voi pure sbagliare. Egli manca verso la sincerità, è un disonesto. Voi, insultandolo, mancate alla carità. Al fratello che manca non va fatto insulto. Ognuno ha il suo peccato. Nessuno è perfetto fuorché Dio. Ho dovuto svergognarlo perché non è lecito esser ladri mai, e men che mai ladri coi poveri. Ma solo il Padre sa se di dover far questo ho sofferto. Voi pure abbiatene sofferenza, vedendo che un d’Israele manca alla Legge cercando defraudare il povero e la vedova. Non siate cupidi. Il vostro tesoro sia l’anima, non il denaro. Non siate spergiuri. Il vostro linguaggio sia schietto e onesto come le vostre azioni. La vita non è eterna, e l’ora della morte viene. Vivete in modo che nell’ora della morte la pace possa essere nel vostro spirito. La pace di chi è vissuto da giusto. Andate alle vostre case…

 7 «Pietà, Signore! Questo mio figlio è muto per un demonio che lo vessa».
   «E questo mio fratello è simile a bestia immonda, e si avvoltola nel fango e mangia escrementi. A questo lo porta un maligno spirito e, non volendo, fa cose immonde».
   Gesù va verso il gruppo che lo implora. Alza le braccia e ordina: «Uscite da costoro. Lasciate a Dio le creature sue».
   Fra urla e strepiti si guariscono i due infelici. Le donne che li conducevano si prostrano benedicendo.
   «Andate alle case e siate riconoscenti a Dio. La pace a tutti. Andate».
   La folla se ne va, commentando i fatti. I quattro discepoli si serrano al Maestro.
   «Amici, in verità vi dico che in Israele sono tutti i peccati, e i demoni vi hanno messo dimora. Né sono uniche possessioni quelle che fanno mute le labbra e spingono a vivere da bruti, mangiando lordure. Ma le più vere e numerose sono quelle che fanno muti i cuori all’onestà e all’amore, e fanno dei cuori una sentina di vizi immondi. Oh! Padre mio!». Gesù si siede accasciato.
   «Sei stanco, Maestro?».
   «Non stanco, Giovanni mio. Ma desolato per lo stato dei cuori e per la poca volontà di emendarsi. Io sono venuto – ma l’uomo – l’uomo. – Oh! Padre mio!…».
   «Maestro, io ti amo, noi tutti ti amiamo… ».
   «Lo so. Ma tanto pochi siete… e il mio desiderio di salvare è tanto grande!».
   Gesù ha abbracciato Giovanni e tiene il capo sul suo. È triste. Pietro, Andrea, Giacomo, attorno a Lui, lo guardano con amore e tristezza.
   E la visione cessa così.

   Cap. LXII. Gesù cercato dai discepoli mentre prega nella notte.

   5 novembre 1944

 1 Vedo Gesù che esce, facendo il meno rumore possibile, dalla casa di Pietro a Cafarnao. Si capisce che ha pernottato lì per fare contento il suo Pietro.
    È notte ancora alta. Il cielo è tutto un trapunto di stelle. Il lago riflette appena questo brillìo, e più che vederlo lo si indovina, questo quieto lago che dorme sotto le stelle, per il lene rumore dell’acqua sul greto.
Gesù riaccosta la porta, guarda il cielo, il lago, la via. Pensa e poi si incammina non lungo il lago ma verso il
paese, lo percorre in parte, verso la campagna, entra in questa, cammina, vi si addentra, prende un viottolo che si dirige verso le prime ondulazioni di un terreno ad ulivi, entra in questa pace verde e silenziosa e là si prostra in preghiera.
    Ardente preghiera! Prega in ginocchio e poi, come fortificato, si pone ritto e prega ancora, col volto levato in alto, un volto ancor più spiritualizzato dalla nascente luce che viene da una serena alba estiva. Prega, ora, sorridendo, mentre prima sospirava forte, come per una pena morale. Prega colle braccia aperte. Sembra una viva croce, alta, angelica, tanto è soave. Pare benedire tutta la campagna, il giorno che nasce, le stelle che scompaiono, il lago che si svela.

 2 «Maestro! Ti abbiamo tanto cercato! Abbiamo visto la porta accostata dal di fuori, quando siamo tornati col pesce, e abbiamo pensato Tu fossi uscito. Ma non ti trovavamo. Infine ce lo ha detto un contadino, che caricava le sue ceste per portarle in città. Noi ti chiamavamo: “Gesù, Gesù!” e lui ha detto: “Cercate il Rabbi che parla alle folle? È andato per quel sentiero, su, verso il monte. Deve essere nell’uliveto di Michea, perché vi va spesso. L’ho visto altre volte”. Aveva ragione. Perché sei uscito così presto, Maestro? Perché non hai riposato? Forse il letto non t’era comodo…
   «No, Pietro. Il letto era comodo, e bella la stanza. Ma Io uso spesso fare così. Per sollevare il mio spirito e per unirmi al Padre. La preghiera è una forza per sé e per gli altri. Tutto si ha con la preghiera. Se non la grazia, che non sempre il Padre concede – né si deve pensare che ciò è disamore, ma sempre credere che è cosa voluta da un Ordine che regge le sorti di ogni uomo con fine di bene – certo la preghiera dà pace ed equilibrio, per poter resistere a tante cose che urtano, senza uscire dal sentiero santo. È facile, sai, Pietro, aver offuscata la mente ed agitato il cuore da ciò che ci circonda! E in mente offuscata e in cuore agitato come può sentirsi Dio?».
   «È vero. Ma noi non sappiamo pregare! Non sappiamo dire le belle parole che Tu dici».
   «Dite quelle che sapete, come le sapete. Non sono le parole, sono i movimenti che le accompagnano che fanno gradite le preghiere al Padre».
   «Noi vorremmo pregare come Tu preghi».
   «Vi insegnerò anche a pregare. Vi insegnerò la più santa preghiera. Ma, perché non sia una vana formula sulle vostre labbra, Io voglio che il vostro cuore abbia già in sé almeno un minimo di santità, di luce, di sapienza. – Per questo vi istruisco. Poi vi insegnerò la santa preghiera.

 3 Volevate qualche cosa da Me, che mi avete cercato?».
    «No, Maestro. Ma vi sono molti che vogliono tanto da Te. C’era già gente che veniva verso Cafarnao, ed erano poveri, malati, persone addolorate, uomini di buona volontà col desiderio di istruirsi. Abbiamo detto, poiché ci chiedevano di Te: “Il Maestro è stanco e dorme. Andatevene. Venite il prossimo sabato”».
    «No, Simone. Questo non va detto. Non c’è solo un giorno per la pietà. Io sono l’Amore, la Luce, la Salute tutti i giorni della settimana».
    «Ma… ma finora hai parlato solo al sabato».
    «Perché ero ancora ignoto. Ma, mano mano che sarò noto, ogni giorno sarà di effusione di Grazia e di grazie. In verità ti dico che verrà un tempo che anche lo spazio di tempo che è concesso al passero per riposare su un ramo a saziarsi di granelli non sarà lasciato al Figlio dell’uomo per il suo riposo ed il suo pasto».
    «Ma allora ti ammalerai! Noi non lo permetteremo. Non deve la tua bontà renderti infelice».
    «E tu credi che Io possa esser reso infelice da questo? Oh! Ma se tutto il mondo venisse a Me per udirmi, per piangere i suoi peccati ed i suoi dolori sul mio cuore, per esser guarito nell’anima e nel corpo, ed Io mi consumassi nel parlargli, nel perdonarlo, nell’effondere il mio potere, allora sarei tanto felice, Pietro, da non rimpiangere neppur più il Cielo nel quale ero nel Padre!…

 4 Di dove erano questi che venivano a Me?».
    «Di Corazim, di. Betsaida, di Cafarnao, e fin da Tiberiade e da Gherghesa ne erano venuti, e dai cento e cento paeselli sparsi fra l’una e l’altra città».
    «Andate a loro e dite che sarò a Corazim, a Betsaida e nei paesi fra questa e quella».
    «Perché non a Cafarnao?».
    «Perché Io sono per tutti e tutti mi devono avere, e poi… c’è il vecchio Isacco che mi attende… Non va deluso nella sua speranza».
    «Tu ci attendi qui, allora?».
    «No. Io vado e voi rimanete a Cafarnao per indirizzare a Me le folle, poi Io verrò».
    «Soli restiamo..». Pietro è afflitto.
    «Non essere afflitto. L’ubbidienza ti faccia lieto e con essa la persuasione di essermi un utile discepolo. E con te e come te questi altri».
Pietro e Andrea con Giacomo e Giovanni si rasserenano. Gesù li benedice e si separano.
Così finisce la visione.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra, noi ci affidiamo per sempre a Te!