Vangelo Mc 10, 2-16: “Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola”.

Vangelo Novus Ordo Mc 10, 2-16
Dal Vangelo secondo Marco

In quel tempo, alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo alla prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: “Che cosa vi ha ordinato Mosè?”. Dissero: “Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla”.
Gesù disse loro: “Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: “Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio”.
Gli presentavano dei bambini perché li toccasse, ma i discepoli li rimproverarono. Gesù, al vedere questo, s’indignò e disse loro: “Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite: a chi è come loro infatti appartiene il regno di Dio. In verità io vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come lo accoglie un bambino, non entrerà in esso”. E, prendendoli tra le braccia, li benediceva, imponendo le mani su di loro.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
” Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto”.


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCLVII. Giovanni a le colpe di Giuda Iscariota. I farisei e la questione del divorzio.

   11 dicembre 1945.

   357.1Le magnifiche stelle di una serena notte di marzo splendono nel cielo d’Oriente, così larghe e vivide che sembra che il firmamento si sia abbassato come un baldacchino sulla terrazza della casa che ha accolto Gesù. Una casa molto alta, e messa in uno dei punti più alti della città, di modo che l’orizzonte infinito si apre davanti e intorno a chi guarda da ogni parte. E se la terra si annulla nella oscurità della notte non ancora allietata dalla luna, che è nella fase decrescente, il cielo splende nelle sue mille e mille luci. È veramente la rivincita del firmamento, che espone vittoriosamente le sue aiuole d’astri, le sue praterie di Galatea, i suoi giganti planetari, i suoi boschi di costellazioni contro le effimere vegetazioni della terra che, anche se secolari, sono sempre di un’ora rispetto a queste che sono da quando il Creatore fece il firmamento. E perdendosi a guardare lassù, passeggiando lo sguardo per i viali splendenti dove sono piante le stelle, pare di percepire le voci, i canti di quelle selve di splendori, di quell’enorme organo della più sublime delle cattedrali, nel quale mi piace immaginare facciano da mantici e registri i venti delle corse astrali e voci le stelle lanciate nelle loro traiettorie. Tanto più pare di percepirlo perché il silenzio notturno di Gadara dormente è assoluto. Non canta una fonte, non canta un uccello. Il mondo dorme, e dormono le creature. Dormono gli uomini, meno innocenti delle altre creature, i loro sonni, più o meno quieti, nelle case buie.

   357.2Ma dalla porta della stanza che sbocca sulla terrazza inferiore, perché ve ne è una superiore sulla stanza più alta, sbuca un’ombra alta, appena visibile nella notte per il biancore del viso e delle mani sulla veste oscura, ed è seguita da un’altra più bassa. Camminano in punta di piedi per non destare quelli che forse dormono nella stanza sottostante, e in punta di piedi salgono la scaletta esterna che porta all’ultima terrazza. Poi si prendono per mano e vanno così a sedersi su una panca che corre lungo il parapetto molto alto che cinge la terrazza. La panchetta bassa e il parapetto alto fanno sì che ogni cosa dispaia dai loro occhi. Anche ci fosse la più chiara luna in cielo, scendente ad illuminare il mondo, per essi sarebbe un nulla. Perché la città è nascosta tutta, e con essa le ombre più oscure, nello scuro della notte, dei monti vicini. Solo il cielo si mostra a loro con le sue costellazioni di primavera e le magnifiche stelle di Orione: di Rigel e Beteigeuze, di Aldebaran, del Perseo, e Andromeda e Cassiopea e le Pleiadi unite come sorelle. E Venere zaffirea e diamantata, e Marte di pallido rubino, e il topazio di Giove, sono i re del popolo astrale e palpitano, palpitano come salutando il Signore, affrettando i loro palpiti di luce per la Luce del mondo.
   Gesù alza il capo a guardarle, appoggiandolo contro il muretto alto, e Giovanni lo imita perdendosi a guardare lassù dove si può ignorare il mondo… Poi Gesù dice: «Ed ora che ci siamo detersi nelle stelle, preghiamo».
   Si alza in piedi e Giovanni lo imita. Una lunga preghiera, silenziosa, pressante, tutt’anima, le braccia aperte a croce, il viso alzato, volto a oriente dove si annuncia un primo lucore di luna. E poi il Pater detto insieme, lentamente, non una, ma tre volte, e sempre con un aumento di insistenza nel chiedere, che è chiaramente denunciato nella voce. Una supplica che separa l’anima dalla carne, lanciandola sulle vie dell’infinito, tanto è ardente.
   Poi silenzio. Si siedono dove erano prima, mentre la luna inalba sempre più la terra dormiente.

   357.3Gesù passa un braccio sulle spalle di Giovanni e se lo attira a Sé dicendo: «Dimmi dunque ciò che senti di dovermi dire. Quali sono le cose che il mio Giovanni ha intuite, con l’aiuto della luce spirituale, nell’anima tenebrosa del compagno?».
   «Maestro… io sono pentito di averti detto questo. Farò due peccati…».
   «Perché?».
   «Perché ti darò dolore svelandoti anche quello che non sai e… perché… Maestro, è peccato dire il male che vediamo in un altro? Sì, non è vero? E allora come posso dire questo, ledendo la carità?!…». Giovanni è angosciato.
   Gesù dà luce alla sua anima: «Ascolta, Giovanni. Per te è da più il Maestro o il condiscepolo?».
   «Il Maestro, Signore. Tu sei il più».
   «E che sono Io per te?».
   «Il Principio e la Fine. Sei il Tutto».
   «Credi tu che Io, essendo Tutto, sappia anche tutto ciò che è?».
   «Sì, Signore. Per questo è in me un grande contrasto. Perché penso che Tu sai e soffri. E perché ricordo che mi hai detto un giorno che talora Tu sei l’Uomo, solo l’Uomo, e perciò il Padre ti fa conoscere ciò che è essere uomo, che deve guidarsi secondo ragione. E penso anche che Dio, per pietà di Te, potrebbe occultarti queste brutte verità…».
   «Attieniti a questo pensiero, Giovanni. E parla. Con confidenza. Confidare, a chi ti è “Tutto”, ciò che sai, non è peccato. Perché il “Tutto” non si scandalizza né mormora né mancherà di carità, neppure col pensiero, verso l’infelice. Sarebbe peccato se tu dicessi quello che sai a chi non può essere tutto amore, ai compagni, ad esempio, che farebbero mormorazioni ed anche assalirebbero il colpevole senza misericordia, nuocendo a lui e a loro stessi. Perché bisogna avere misericordia, una misericordia sempre tanto più grande quanto più abbiamo di fronte una povera anima malata di tutti i mali. Un medico, un pietoso infermiere, oppure una madre, se il male di uno malato è poco, poco si impressionano e poco lottano per guarirlo. Ma se il figlio oppure l’uomo è molto malato, in pericolo di vita, già cancrena e paralisi, come lottano, vincendo ripugnanze e fatiche, per guarirlo! Non è così?».
   «Così è, Maestro», dice Giovanni, che ha preso la sua posa abituale del braccio allacciato al collo del Maestro e il capo appoggiato sulla spalla di Lui.
   «Ebbene, non tutti sanno avere misericordia per le anime malate. Perciò si deve essere prudenti nel rendere noti i loro mali, acciò il mondo non le fugga e non nuoccia loro col disprezzo. Un malato che si vede schernito si incupisce e si peggiora. Ma se invece è curato con ilare speranza può guarire, perché l’ilarità fiduciosa dell’assistente entra in lui e aiuta l’opera del farmaco. Ma tu sai che Io sono Misericordia e che non mortificherò Giuda. Parla dunque senza scrupoli. Non sei una spia. Sei un figlio che confida al padre, con amoroso affanno, il male scoperto nel fratello, perché il padre lo curi. Suvvia…».

   357.4Giovanni sospira forte, poi curva ancora di più il capo, lasciandolo scivolare sul petto di Gesù, e dice: «Come è penoso parlare di cose putride!… Signore… Giuda è un impuro… e mi tenta a impurità. Che egli mi schernisca non me ne importa. Ma mi duole che egli venga a Te sozzo dei suoi amori. Da quando è tornato mi ha tentato più volte. Quando il caso ci lascia soli — ed egli lo provoca in tutti i modi — egli non fa che parlare di donne… ed io ne ho il disgusto che avrei essendo immerso in fetide materie che tentassero filtrarmi in bocca…».
   «Ma ne sei turbato nel profondo?».
   «Turbato come? L’anima mia freme. La ragione grida contro queste tentazioni… Io non voglio essere corrotto…».
   «Ma la tua carne che fa?».
   «Si raggriccia di ribrezzo».
   «Questo solo?».
   «Questo, Maestro, e piango allora perché mi pare che Giuda non potrebbe recare maggior offesa a chi si è consacrato a Dio. Dimmi: ciò farà lesione alla mia offerta?».
   «No. Non più di una manata di fango gettata su una lastra di diamante. Non incide la lastra, non la penetra. Basta una coppa d’acqua pura gettata sopra essa per nettarla. Ed è più bella di prima».
   «Detergimi allora».
   «La tua carità ti deterge e il tuo angelo. Nulla resta su te.
   Sei un altare pulito sul quale scende Iddio.

   357.5E che altro fa Giuda?».
   «Signore, egli… Oh! Signore!». La testa di Giovanni scivola più in basso ancora.
   «Che?».
   «Egli… Non è vero che siano soldi suoi quelli che ti dà per i poveri. Sono i soldi dei poveri che egli ruba per sé, per essere lodato di generosità non vera. Tu lo hai inferocito perché nel ritorno dal Tabor gli hai levato tutti i denari. E a me ha detto: “Ci sono spioni fra noi”. Io ho detto: “Spioni di che? Rubi tu forse?”. “No”, mi ha risposto, “ma però uso previdenza e faccio due borse. Qualcuno lo ha detto al Maestro e Lui mi ha imposto di dare tutto, così forte lo ha imposto che fui come legato a farlo”. Ma non è vero, Signore, che faccia ciò per previdenza. Lo fa per avere denaro. Ne potrei deporre con la quasi certezza di dire il vero».
   «Quasi certezza! Questo dubbio, sì, che è lieve colpa. Non puoi accusarlo di essere ladro se non ne sei assolutamente certo. Le azioni degli uomini hanno talora brutto aspetto, ma sono buone».
   «È vero, Maestro. Non lo accuserò più neppure col pensiero.
   Ma però che abbia due borse, e quella che dice sua e che ti dà sia ancora tua e lo faccia per essere lodato, è vero. E io questo non lo farei. Sento che non è bene farlo».
   «Hai ragione.

   357.6Che altro devi dire?».
   Giovanni alza un viso spaventato, apre la bocca per parlare e poi la chiude e scivola in ginocchio nascondendo il viso fra la veste di Gesù, che gli mette una mano sui capelli.
   «Su, dunque! Potresti aver visto male. Io ti aiuterò a vedere bene. Mi devi anche dire ciò che tu pensi sulle probabili cause del peccare di Giuda».
   «Signore, Giuda si sente senza la forza che vorrebbe per fare i miracoli… Tu lo sai che ci ha sembre ambito… Ti ricordi di Endor? E invece… è quello che ne fa meno. Da quando è tornato, poi, non riesce più a nulla… e nella notte se ne lamenta anche in sogno, come fosse un incubo e… Maestro, Maestro mio!».
   «Su. Parla. Fino in fondo».
   «E impreca… e fa della magia. Questa non è menzogna e non è dubbio. L’ho visto io. Mi sceglie per compagno perché dormo sodo. Perché dormivo sodo, anzi. Ora, lo confesso, lo sorveglio, e il mio sonno è meno profondo perché appena si muove io lo sento… Ho fatto male forse. Ma ho finto di dormire per vedere ciò che faceva. E per due volte l’ho visto e sentito fare cose brutte. Io non mi intendo di magia. Ma quella è tale».
   «Solo?».
   «No e sì. A Tiberiade io l’ho seguito. È andato in una casa.
   Ho chiesto dopo chi ci sta. Uno che fa negromanzia con altri. E quando Giuda è uscito, quasi a mattina, dalle parole dette ho capito che si conoscono e sono in tanti… e non tutti stranieri. Chiede al demonio la forza che Tu non gli dài. È per questo che io sacrifico la mia al Padre perché la passi a lui, e lui non sia più peccatore».
   «Dovresti dargli la tua anima. Ma questo né il Padre né Io lo permetteremmo…».

   357.7Un lungo silenzio. Poi Gesù dice con voce stanca: «Andiamo, Giovanni. Scendiamo. Riposeremo in attesa dell’alba».
   «Sei più triste di prima, Signore! Ho fatto male a parlare!».
   «No. Io sapevo già. Ma tu almeno sei più sollevato… e ciò è quello che conta».
   «Signore, devo sfuggirlo?».
   «No. Non temere. Satana non nuoce ai Giovanni. Li terrorizza, ma non può levare loro la grazia che Dio continuamente fa loro. Vieni. A mattina parlerò e poi andremo a Pella. Occorre fare presto, perché il fiume è già gonfio per le nevi che sciolgono e per le acque degli scorsi giorni. Presto sarà in piena, molto più che la luna cerchiata predice piogge abbondanti…».
   Scendono e scompaiono nella stanza inferiore alla terrazza.

   357.8È mattina. Una mattina di marzo. Perciò schiarite e nuvole si alternano nel cielo. Ma le nuvole soverchiano le schiarite, tendendo ad impossessarsi del cielo. Un’aria calda soffia a respiri sincopati e fa pesante l’aria, velandola di una polvere venuta forse dalle zone dell’altipiano.
   «Se non muta vento, questa è acqua!», sentenzia Pietro uscendo dalla casa con gli altri.
   Ultimo esce Gesù, che si accomiata dalle padrone di casa, mentre il padrone si unisce a Lui. Si dirigono verso una piazza.
   Dopo pochi passi li ferma un graduato romano che è insieme a dei militi. «Sei Tu Gesù di Nazaret?».
   «Lo sono».
   «Che fai?».
   «Parlo alle turbe».
   «Dove?».
   «In piazza».
   «Parole sediziose?».
   «No. Precetti di virtù».
   «Bada! Non mentire. Roma ne ha basta di falsi dèi».
   «Vieni tu pure. Vedrai che non mento».
   L’uomo che ha ospitato Gesù sente il dovere di interloquire:
   «Ma da quando tante domande a un rabbi?».
   «Denunzia di uomo sedizioso».
   «Sedizioso? Lui? Ma tu prendi abbaglio, Mario Severo! Questo è l’uomo più mite della Terra. Te lo dico io».
   Il graduato si stringe nelle spalle e risponde: «Meglio per Lui. Ma così ebbe denunzia il centurione. Vada pure. È avvisato». E si volta tutto di un pezzo, andandosene coi subalterni.
   «Ma chi può essere stato? Io non capisco!», dicono in diversi.
   Gesù risponde: «Lasciate di capire. Non serve. Andiamo mentre molti sono sulla piazza. Poi partiremo anche di qui».

   357.9La piazza deve essere una piazza piuttosto commerciale.
   Non è un mercato ma poco meno, perché cinta di fondachi in cui sono depositi di merce di ogni genere. E la gente si affolla in essi. Perciò vi è molta gente sulla piazza e qualcuno ammicca a Gesù e presto un cerchio di gente è intorno al «Nazareno». Un cerchio composto di ogni genere e classe e nazione. Chi c’è per venerazione, chi per curiosità.
   Gesù fa cenno di parlare.
   «Udiamolo!», dice un romano che esce da un magazzino.
   «Non ci sarà da sentire una lamentazione?», gli risponde un suo simile.
   «Non lo credere, Costanzo. È meno indigesto di uno dei soliti retori nostri».
   «A chi mi ascolta, pace! È detto nell’Esdra, nella preghiera[105] di Esdra: “E che diremo ora, o Dio nostro, dopo le cose avvenute? Che, se abbiamo abbandonato i tuoi comandamenti da Te intimati a mezzo dei tuoi servi…”».
   «Fermati, Tu che parli. Il soggetto te lo diamo noi», urla un pugno di farisei che si fanno largo fra la gente. Quasi subito riappare la scorta armata e si ferma all’angolo più vicino. I farisei sono ora di fronte a Gesù. «Sei Tu il Galileo? Gesù di Nazaret sei?».
   «Lo sono!».
   «Lode a Dio che ti abbiamo trovato!». Veramente hanno certi ceffi così astiosi che non mostrano di essere in gioia per l’incontro…
   Il più vecchio parla: «Ti seguiamo da molti giorni, arrivando sempre dopo che Tu sei partito».
   «Perché mi seguite?».
   «Perché sei il Maestro e vogliamo essere ammaestrati in un punto oscuro della Legge».
   «Non vi sono punti oscuri nella Legge di Dio».
   «In essa no. Ma, eh! eh!… Ma sulla Legge sono venute le “sovrapposizioni”, come Tu dici, eh! eh!… e hanno fatto oscurità».
   «Penombre, al massimo. E basta volgere l’intelletto a Dio per distruggere esse pure».
   «Non tutti lo sanno fare. Noi, per esempio, rimaniamo in penombra. Tu sei il Rabbi, eh! eh! Aiutaci dunque».

   357.10«Che volete sapere?».
   «Volevamo sapere se è lecito all’uomo ripudiare per un motivo qualsiasi la propria moglie. È una cosa che spesso avviene, ed ogni volta crea molto rumore là dove avviene. Si rivolgono a noi per sapere se è lecito. E noi, a seconda del caso, rispondiamo».
   «Approvando l’avvenuto nel novanta per cento dei casi. E il dieci per cento che resta disapprovato è nella categoria dei poveri o dei nemici vostri».
   «Come lo sai?».
   «Perché così avviene in tutte le cose umane. E unisco nella categoria la terza classe, quella che, se fosse lecito il divorzio, più ne avrebbe diritto, perché quella dei veri casi penosi, quali una lebbra incurabile, oppure una condanna a vita, o malattie innominabili…».
   «Allora per Te non è mai lecito?».
   «Né per Me, né per l’Altissimo, né per nessuno che sia di animo retto. Non avete letto che il Creatore, nel principio dei giorni, creò l’uomo e la donna? E li creò maschio e femmina; e non aveva bisogno di farlo, ché, se avesse voluto, avrebbe potuto, per il re della creazione, fatto a sua immagine e somiglianza, creare altro modo di procreazione, e ugualmente buono sarebbe stato, pur essendo dissimile da ogni altro naturale. E disse: “Così per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà con la moglie e i due saranno una sola carne”. Dunque Dio li congiunse in una sola unità. Non sono dunque più “due” ma “una” sola carne. Ciò che Dio ha congiunto, perché vide che “è buona cosa”, l’uomo non lo divida, perché, se così avvenisse, cosa non più buona sarebbe».

   357.11«Ma perché allora Mosè disse: “Se un uomo ha preso una donna con sé, ma essa non ha trovato grazia ai suoi occhi per qualcosa di turpe, egli scriverà un libello di ripudio, glielo consegnerà in mano e la manderà via di casa sua”?».
   «Lo disse per la durezza del vostro cuore. Per evitare, con un ordine, dei disordini troppo gravi. Per questo vi permise di ripudiare le mogli. Ma dal principio non fu così. Perché la donna è da più della bestia, la quale è, a seconda del capriccio del padrone o delle libere circostanze di natura, sottoposta a questo o a quel maschio, carne senz’anima che si accoppia per riprodurre. Le vostre mogli hanno un’anima come voi l’avete, e non è giusto che voi la calpestiate senza sentirne compassione. Ché se è detto nella condanna: “Tu sarai sottoposta alla potestà del marito ed egli ti dominerà”, ciò deve avvenire secondo giustizia e non con prepotenza che lede i diritti dell’anima libera e degna di rispetto. Voi, ripudiando, come lecito non vi è, portate offesa all’anima della vostra compagna, alla carne gemella che alla vostra si è unita, al tutto che è la donna che avete sposata esigendo la sua onestà, mentre, o spergiuri, andate ad essa disonesti, menomati, talora corrotti, e continuate ad esserlo, cogliendo ogni occasione per poterla colpire e dare maggior campo alla libidine insaziabile che è in voi. Prostitutori delle mogli vostre! Per nessun motivo potete separarvi dalla donna che vi è congiunta secondo la Legge e la Benedizione. Solo nel caso che la grazia vi tocchi, e comprendiate che la donna non è un possesso ma un’anima, e perciò ha diritti uguali ai vostri di essere riconosciuta parte dell’uomo e non suo oggetto di piacere, e solo nel caso che sia tanto duro il vostro cuore da non sapere elevarla a moglie, dopo averla goduta come una prostituta, solo nel caso di levare questo scandalo di due che convivono senza benedizione di Dio sulla loro unione, voi potete rimandarla. Perché allora la vostra non è unione ma fornicazione, e sovente senza onore di figli, perché disciolti contro natura o allontanati come vergogna. In nessun altro caso. In nessun altro. Perché se figli illegittimi avete dalla vostra concubina, avete il dovere di porre fine allo scandalo sposandola, se liberi siete. Non contemplo il caso dell’adulterio consumato ai danni della moglie ignara. Per quello sono sante le pietre della lapidazione e le fiamme dello sceol. Ma per chi rimanda la propria moglie legittima perché di essa è sazio e ne prende un’altra, non c’è che una sentenza: costui è adultero. E adultero è chi prende la ripudiata, perché se l’uomo si è arrogato il diritto di separare ciò che Dio ha congiunto, l’unione matrimoniale continua, agli occhi di Dio, e maledetto è chi passa a seconda moglie senza essere vedovo. E maledetto è chi riprende la donna prima sua e poi, rimandatala per ripudio e abbandonatala alle paure della vita, onde essa cede a nuove nozze per il suo pane, la riprende se resta vedova del secondo marito. Perché, anche che vedova sia, ella fu adultera per colpa vostra, e voi raddoppiereste il suo adulterio. Avete compreso, o farisei che mi tentate?».
   Questi se ne vanno scornati, senza rispondere.

   357.12«Severo è l’uomo. Se fosse a Roma vedrebbe però che il fango ribolle ancor più fetente», dice un romano.
   Anche alcuni di Gadara brontolano: «Dura cosa essere uomini, se bisogna essere casti così!…».
   E alcuni più forte: «Se tale è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, meglio stare senza nozze».
   E questa ragione ripetono anche gli apostoli mentre ripigliano la via verso la campagna, dopo aver lasciato quelli di Gadara. Lo dice Giuda con scherno. Lo dice Giacomo di Zebedeo con rispetto e riflessione; e Gesù risponde all’uno e all’altro:
   «Non tutti capiscono questo, né lo capiscono bene. Alcuni infatti preferiscono il celibato per essere liberi di secondare i vizi. Altri per evitare di poter peccare essendo mariti non buoni. Ma solo alcuni, ai quali è concesso, comprendono la bellezza di essere scevri di sensualità e di anche onesta fame di donna. E sono i più santi, i più liberi, i più angelici sulla Terra. Parlo di coloro che si fanno eunuchi per il Regno di Dio. Ci sono negli uomini quelli che nascono tali. Altri che tali vengono fatti. I primi sono mostruosità che devono suscitare compassione, i secondi abusi che vanno repressi. Ma c’è infine la terza categoria: di eunuchi volontari che, senza usarsi violenza, e perciò con doppio merito, sanno aderire alla richiesta di Dio e vivono da angeli perché l’abbandonato altare della Terra abbia ancora fiori e incensi per il Signore. Costoro negano alla parte inferiore soddisfacimento per crescere la parte superiore, onde fiorisca in Cielo nelle aiuole più prossime al trono del Re. E in verità vi dico che non sono dei mutilati, ma sono degli esseri dotati di ciò che manca ai più fra gli uomini. Non oggetto perciò di stolto scherno, ma anzi di grande venerazione. Comprenda ciò chi deve, e rispetti, se può».
   Gli ammogliati fra gli apostoli bisbigliano fra loro.
   «Che avete?», chiede Gesù.
   «E noi? Noi non sapevamo questo e abbiamo preso donna. Ma ci piacerebbe essere come Tu dici…», dice per tutti Bartolomeo.
   «Né vi è interdetto farlo d’ora in poi. Vivete in continenza, vedendo nella compagna la sorella, e grande merito ne avrete agli occhi di Dio. Ma affrettate il passo. Per essere a Pella prima della pioggia».

   Cap. CCCLXXVIII. La parabola degli uccelli e predilezione per i fanciulli. Un tranello teso da nemici giudei e un intervento di Claudia Procula.

   378.1Far precedere dalla visione del 14-8-44: la pecorella nell’o­vi­le ai piedi del buon Pastore.
   
   6 febbraio 1946.

   378.2Gesù a Betania, tutta ubertosa e fiorita in questo bel mese di nisam, sereno, puro, come se il creato fosse dilavato da ogni sozzura. Ma le turbe, che certo lo hanno cercato a Gerusalemme e che non vogliono partire senza averlo sentito, per potere portare seco, nel cuore, la sua parola, lo raggiungono. Numerose tanto che Gesù ordina di adunarle perché Egli possa ammaestrarle. E i dodici coi settantadue, che si sono ricomposti in tale numero, o giù di lì, coi nuovi discepoli aggregatisi ad essi in questi ultimi tempi, si spargono per ogni dove per eseguire l’ordine avuto.
   Intanto Gesù, nel giardino di Lazzaro, si accomiata dalle donne, e specie dalla Madre, che per suo ordine tornano in Galilea scortate da Simone d’Alfeo, Giairo, Alfeo di Sara, Marziam, lo sposo di Susanna e Zebedeo. Vi sono saluti e lacrime. Vi sarebbe molta volontà anche di non ubbidire. Una volontà data ancora dall’amore al Maestro. Ma più forte ancora è la forza dell’amore perfetto, perché tutto soprannaturale, per il Verbo Ss., e questa forza le fa ubbidire accettando la penosa separazione.
   Quella che meno parla è Maria, la Madre. Ma il suo sguardo dice più di tutto quanto dicono tutte le altre messe insieme. Gesù interpreta quello sguardo e la rassicura, la consola, la sazia di carezze, se si può mai saziare una madre, e specie quella Madre, tutt’amore e tutt’ambascia per il Figlio perseguitato. E le donne se ne vanno, infine, volgendosi, rivolgendosi a salutare il Maestro, a salutare i figli e le fortunate discepole giudee che restano ancora col Maestro.
   «Hanno sofferto ad andare…», osserva Simone Zelote.
   «Ma è bene che siano andate, Simone».
   «Prevedi giorni tristi?».
   «Agitati per lo meno. Le donne non possono sopportare le fatiche come noi. Del resto, ora che ne ho un numero quasi pari di giudee e di galilee, è bene siano divise. A turno mi avranno, avendo a turno la gioia di servirmi, esse; e il conforto del loro affetto santo, Io».

   378.3­La gente intanto aumenta sempre più. Il frutteto posto fra la casa di Lazzaro e quella che era dello Zelote formicola di folla. Ve ne è di tutte le caste e condizioni, né mancano farisei di Giudea, sinedristi e donne velate.
   Dalla casa di Lazzaro escono in gruppo, stretti intorno ad una lettiga su cui viene trasportato lo stesso, i sinedristi che il sabato pasquale erano in visita da Lazzaro a Gerusalemme, e altri ancora. Lazzaro, passando, fa un gesto ed ha un sorriso felice per Gesù. E Gesù glielo ricambia mentre si accoda al piccolo corteo per andare là dove la gente attende.
   Gli apostoli si uniscono a Lui, e Giuda Iscariota, che è trionfante da qualche giorno, in una fase felicissima, getta qua e là gli sguardi dei suoi occhi nerissimi e scintillanti, e annuncia all’orecchio di Gesù le scoperte che fa.
   «Oh! guarda! Ci sono anche dei sacerdoti!… Ecco, ecco! C’è anche Simone sinedrista. E c’è Elchia. Guarda che bugiardo! Solo pochi mesi fa diceva inferno di Lazzaro e ora lo ossequia come fosse un dio!… E là Doro l’Anziano e Trisone. Vedi che saluta Giuseppe? E lo scriba Samuele con Saulo… E il figlio di Gamaliele! E là c’è un gruppo di quelli di Erode… E quel gruppo di donne così velate sono certo le romane. Stanno appartate, ma vedi come osservano dove ti dirigi per potersi spostare e sentirti? Riconosco le loro persone nonostante i mantelloni. Vedi? Due alte, una più larga che alta, le altre di media statura, ma in proporzione giusta. Vado a salutarle?».
   «No. Esse vengono come sconosciute. Come anonime che desiderano la parola del Rabbi. Tali le dobbiamo considerare».
   «Come vuoi, Maestro. Facevo per… ricordare a Claudia la promessa…».
   «Non ce n’è bisogno. E anche ce ne fosse, non diveniamo mai dei questuanti, Giuda. Non è vero? L’eroismo della fede deve formarsi fra le difficoltà».
   «Ma era per… per Te, Maestro».
   «E per la tua idea perenne di un trionfo umano. Giuda, non ti creare illusioni. Né sul mio modo di agire futuro, né sulle promesse avute. Tu credi a ciò che ti dici da te stesso. Ma nulla potrà mutare il pensiero di Dio, ed esso è che Io sia Redentore e Re di un regno spirituale».
   Giuda non ribatte nulla.
   Gesù è al suo posto, fra il cerchio degli apostoli. Quasi ai suoi piedi è Lazzaro sul suo lettuccio. Poco lontano da Lui sono le discepole giudee, ossia le sorelle di Lazzaro, Elisa, Anastasica, Giovanna coi bambinelli, Annalia, Sara, Marcella, Niche. Le romane, o almeno quelle che Giuda ha dette tali, sono più indietro, quasi nel fondo, mescolate ad un mucchio di popolani. Sinedristi, farisei, scribi, sacerdoti sono, è inevitabile, in prima fila. Ma Gesù li prega di fare largo a tre barelline, dove sono dei malati che Gesù interroga ma non guarisce subito.

   378.4Gesù, per prendere l’idea del suo discorso, richiama l’attenzione dei presenti sul gran numero di uccelli che si annidano fra le fronde del giardino di Lazzaro ed il frutteto dove sono radunati gli ascoltatori.
   «Osservate. Ve ne sono di indigeni e di esotici, di ogni razza e dimensione. E quando scenderanno le ombre, ad essi si sostituiranno gli uccelli della notte, essi pure qui numerosi, per quanto sia quasi possibile dimenticarli solo per il fatto che non li vediamo. Perché tanti uccelli dell’aria qui? Perché trovano di che vivere felici. Qui sole, qui quiete, qui pasto abbondante, ricoveri sicuri, fresche acque. Ed essi si adunano venendo da oriente e occidente, da mezzogiorno e settentrione se sono migratori, rimanendo fedeli a questo luogo se indigeni. E che? Vedremo dunque che gli uccelli dell’aria sono superiori in sapienza ai figli dell’uomo? Quanti, fra questi uccelli, sono figli di uccelli ora morti, ma che lo scorso anno, o più lontano ancora nel tempo, qui nidificarono trovandovi sollievo! Essi lo hanno detto ai loro nati, avanti di morire. Hanno indicato questo posto, ed essi, i nati, sono venuti ubbidienti. Il Padre che è nei Cieli, il Padre degli uomini tutti, non ha forse detto ai suoi santi le sue verità, dato tutte le indicazioni possibili per il benessere dei suoi figli? Tutte le indicazioni. Quelle rivolte al bene della carne e quelle rivolte al bene dello spirito. Ma che vediamo noi? Vediamo che, mentre ciò che fu insegnato per la carne — dalle tuniche di pelli, che Egli fece ai progenitori, ormai denudati ai loro occhi della veste dell’innocenza che il peccato aveva lacerata, alle ultime scoperte che per lume di Dio l’uomo ha fatte — sono ricordate, tramandate, insegnate, l’altro, quello che fu insegnato, comandato, indicato per lo spirito, non viene conservato e insegnato e praticato».
   Molti del Tempio bisbigliano. Ma Gesù li calma col gesto.

   378.5­«Il Padre, buono come l’uomo non può lontanamente pensare, manda il suo Servo a ricordare il suo insegnamento, a radunare gli uccelli nei luoghi di salute, a dare loro esatta conoscenza di ciò che è utile e santo, a fondare il Regno dove ogni angelico uccello, ogni spirito, troverà grazia e pace, sapienza e salute. E in verità, in verità vi dico che, come gli uccelli nati in questo luogo a primavera diranno ad altri di altri luoghi: “Venite con noi, ché vi è un luogo buono dove gioirete della pace e dell’abbondanza del Signore”, e così si vedrà, l’anno novello, novelli uccelli qui affluire, nello stesso modo, da ogni parte del mondo, così come è detto dai profeti[35], vedremo affluire spiriti e spiriti alla Dottrina venuta da Dio, al Salvatore fondatore del Regno di Dio. Ma agli uccelli diurni sono mescolati in questo luogo uccelli notturni, predatori, disturbatori, capaci da gettare terrore e morte fra gli uccelletti buoni. E sono gli uccelli che da anni, da generazioni, sono tali, e nulla li può snidare perché le loro opere si fanno nelle tenebre e in luoghi impenetrabili da parte dell’uomo. Questi, col loro occhio crudele, col loro volo muto, con la loro voracità, con la loro crudeltà, nelle tenebre lavorano e, immondi, seminano immondezza e dolore. A chi li paragoneremo noi? A quanti in Israele non vogliono accettare la Luce venuta ad illuminare le tenebre, la Parola venuta ad ammaestrare, la Giustizia venuta a santificare. Per essi inutilmente sono venuto. Anzi per essi sono cagione di peccato, perché mi perseguitano e perseguitano i miei fedeli. Che allora dirò? Una cosa che già ho detto altre volte[36]: “Molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno con Abramo e Giacobbe nel Regno dei Cieli. Ma i figli di questo regno saranno gettati nelle tenebre esteriori”».

   378.6­«I figli di Dio nelle tenebre? Tu bestemmi!», urla uno dei sinedristi contrari. È il primo spruzzo della bava dei rettili, stati troppo tempo zitti e che non possono più tacere perché affogherebbero nel loro veleno.
   «Non i figli di Dio», risponde Gesù.
   «L’hai detto Tu! Hai detto: “I figli di questo regno saranno gettati nelle tenebre esteriori”».
   «E lo ripeto. I figli di questo regno. Del regno dove la carne, il sangue, l’avarizia, la frode, la lussuria, il delitto sono padroni. Ma questo non è il mio Regno. Il mio è il Regno della Luce. Questo vostro è il regno delle tenebre. Al Regno della Luce verranno da oriente e occidente, mezzogiorno e settentrione gli spiriti retti, anche quelli per ora pagani, idolatri, spregevoli ad Israele. E vivranno in santa comunione con Dio, avendo in sé accolta la luce di Dio, in attesa di salire alla vera Gerusalemme, dove non è più lacrima e dolore e soprattutto non è la menzogna. La menzogna che ora regge il mondo delle tenebre e satura i figli di esso, al punto che in essi non cape una briciola di luce divina. Oh! vengano i figli nuovi al posto dei figli rinnegatori! Vengano! E, quale che sia la loro provenienza, Dio li illuminerà ed essi regneranno nei secoli dei secoli!».
   «Hai parlato per insultarci!», gridano i giudei nemici.
   «Ho parlato per dire la verità».
   «Il tuo potere sta nella lingua con la quale, novello serpente, seduci le folle e le travii».
   «Il mio potere sta nella potenza che mi viene dall’essere uno col Padre mio».
   «Bestemmiatore!», urlano i sacerdoti.
   «Salvatore!

   378.7O tu che giaci ai miei piedi, di che soffri?».
   «Ebbi rotta la spina da fanciullo, e da trenta anni sto sul dorso».
   «Sorgi e cammina! E tu, donna, di che soffri?».
   «Pendono inerti le mie gambe da quando questo, che col marito mio mi porta, vide la luce», e accenna ad un giovanetto di almeno sedici anni.
   «Tu pure sorgi e loda il Signore. E quel fanciullo perché non va da solo?».
   «Perché è nato ebete, sordo, cieco, muto. Un pezzo di carne che respira», dicono quelli che sono coll’infelice.
   «Nel nome di Dio abbi intelletto, parola, vista e udito. Lo voglio!».
   E, compiuto il terzo miracolo, si volge agli ostili e dice: «E che dite?».
   «Dubbi miracoli. Perché non guarisci il tuo amico e difensore, allora, se tutto puoi?».
   «Perché Dio vuole altrimenti».
   «Ah! Ah! Già! Dio! Comoda scusa! Se ti portassimo noi un malato, anzi due, li guariresti?».
   «Sì. Se lo meritano».
   «Attendici, allora», e vanno lesti, ghignando.
   «Maestro, bada! Ti tendono qualche tranello!», dicono in diversi.
   Gesù fa un gesto, come dire: «Lasciateli fare!»,

   378.8­e si china ad accarezzare dei fanciulli che piano piano si sono accostati a Lui lasciando i parenti. Alcune madri li imitano, portandogli quelli che sono ancora troppo incerti nel passo o poppanti del tutto.
   «Benedici le nostre creature, Tu benedetto, perché siano amanti della Luce!», dicono le madri.
   E Gesù impone le mani, benedicendo. Ciò origina tutto un movimento fra la folla. Tutti quelli che hanno fanciulli vogliono la stessa benedizione e spingono e urlano per farsi largo. Gli apostoli, parte perché sono innervositi dalle solite cattiverie degli scribi e farisei, parte per pietà di Lazzaro, che rischia di essere travolto dalla ondata dei parenti che portano i piccoli alla divina benedizione, si inquietano e urlano sgridando questo e quello, respingendo questo e quello, specie i fanciullini venuti lì da soli.
   Ma Gesù, dolce, amoroso, dice: «No, no! Non fate così! Non impedite mai ai fanciulli di venire a Me, né ai loro parenti di portarmeli. Proprio di questi innocenti è il Regno. Essi saranno innocenti del gran delitto e cresceranno nella mia fede. Lasciate dunque che ad essa Io li consacri. Sono i loro angeli che a Me li conducono».
   Gesù ora è in mezzo ad una siepe di fanciulli che lo guardano estatici: tanti visetti alzati, tanti occhi innocenti, tante boccucce sorridenti…
   Le donne velate hanno approfittato della confusione per girare dietro alla folla e venire alle spalle di Gesù, come se la curiosità le spronasse a questo.

   378.9­Tornano i farisei, scribi ecc. ecc. con due che paiono molto sofferenti. Uno specialmente geme, nella sua barellina, stando tutto coperto dal mantello. L’altro è, in apparenza, meno grave, ma certo è molto malato perché è scheletrito e ansimante.
   «Ecco i nostri amici. Guariscili. Questi sono veramente malati. Questo soprattutto!», e indicano il gemente.
   Gesù abbassa gli occhi sui malati, poi li rialza sui giudei. Dardeggia i suoi nemici con uno sguardo terribile. Ritto dietro la siepe innocente dei fanciulli che non gli raggiungono l’inguine, pare alzarsi da un cespo di purezza per essere il Vendicatore, come se da questa purezza traesse forza per esserlo. Apre le braccia e grida: «Mentitori! Costui non è malato! Io ve lo dico. Scopritelo! O realmente sarà morto fra un istante per la truffa tentata a Dio».
   L’uomo balza fuori dalla barella urlando: «No, no! Non mi colpire! E voi, maledetti, tenete le vostre monete!», e getta una borsa ai piedi dei farisei fuggendo a gambe levate…
   La folla mugola, ride, fischia, applaude…
   L’altro malato dice: «E io, Signore? Io sono stato preso dal mio letto per forza ed è da questa mattina che subisco disturbo… Ma io non sapevo d’essere in mano ai tuoi nemici…».
   «Tu, povero figlio, guarisci e sii benedetto!», e gli impone le mani fendendo la siepe viva dei fanciulli.
   L’uomo alza un attimo la coperta stesa sul suo corpo, guarda non so che… Poi si alza in piedi. Così appare nudo dalle cosce in giù. E urla, urla fino ad essere roco: «Il mio piede! Il mio piede! Ma chi sei, ma chi sei che rendi le cose perdute?», e cade ai piedi di Gesù e poi sorge, salta in bilico sul lettuccio e grida: «Il male mi rodeva le ossa. Il medico mi aveva strappato le dita, arsa la carne, aperto tagli fino all’osso del ginocchio. Guardate! Guardate i segni. E morivo lo stesso. E ora… Tutto guarito! Il mio piede! Il mio piede ricomposto!… E non più dolore! E forza, e benessere… Il petto libero!… Il cuore sano!… Oh! mamma! Mamma mia! Vengo a darti la gioia!».
   Fa per correre via. Ma poi la riconoscenza lo ferma. Torna da Gesù di nuovo e bacia, bacia i piedi benedetti finché Gesù non gli dice, accarezzandolo sui capelli: «Va’! Va’ da tua madre e sii buono».

   378.10­E poi guarda i suoi nemici scornati e tuona: «E ora? Che vi dovrei fare? Che dovrei fare, o turbe, dopo questo giudizio di Dio?».
   La folla urla: «Alla lapidazione gli offensori di Dio! A morte! Basta di insidiare il Santo! Che siate maledetti!», e dànno di piglio a zolle di terra, a rami, a ciottoletti, pronti a iniziare una sassaiola.
   Li ferma Gesù. «Questa è la parola della folla. Questa è la sua risposta. La mia è diversa. Io dico: andate! Non mi sporco a colpirvi. L’Altissimo si incarichi di voi. Egli è la mia difesa contro gli empi».
   I colpevoli, in luogo di tacere, pur avendo paura della plebe, non hanno ritegno di offendere il Maestro e spumanti d’ira urlano: «Noi siamo giudei e potenti! Noi ti ordiniamo di andartene. Ti proibiamo di ammaestrare. Ti cacciamo. Va’ via! Basta di Te. Noi abbiamo il potere nelle mani e lo usiamo; e sempre più lo faremo, perseguitandoti, o maledetto, o usurpatore, o…».
   Stanno per dire altro fra un tumulto di grida, di pianti, di fischi, quando, venuta avanti fino a mettersi fra Gesù e i suoi nemici con mossa rapida e imperiosa, con sguardo e voce ancor più imperiosa, la donna velata più alta scopre il viso e, tagliente, sferzante più di una frusta sui galeotti e di una scure sul collo, cade la sua frase: «Chi dimentica di essere schiavo di Roma?». È Claudia. Riabbassa il velo. Si inchina lievemente al Maestro. Torna al suo posto.
   Ma è bastato. I farisei si calmano di colpo. Solo uno, a nome di tutti e con un servilismo strisciante, dice: «Domina, perdona! Ma Egli turba il vecchio spirito di Israele. Tu, potente, dovresti impedirlo, farlo impedire dal giusto e prode Proconsole, vita e lunga salute a lui!».
   «Questo non ci riguarda. Sufficiente è che non turbi l’ordine di Roma. E non lo fa!», risponde sdegnosa la patrizia; poi dà un ordine secco alle compagne e si allontana, andando verso un folto d’alberi in fondo al sentiero, dietro il quale scompare, per poi ricomparire sul cigolante carro coperto del quale fa abbassare tutte le tende.

   378.11­«Sei contento di averci fatto insultare?», chiedono tornando all’attacco i giudei, i farisei, scribi e compagni.
   La folla urla, presa da sdegno. Giuseppe, Nicodemo e tutti quelli che si sono mostrati amici — e con questi, senza unirvisi ma con uguali parole, è il figlio di Gamaliele — sentono il bisogno di intervenire rimproverando gli altri di passare la misura. La disputa passa dai nemici contro Gesù ai due gruppi opposti, lasciando fuori della disputa il più interessato in essa.
   E Gesù tace, a braccia conserte, ascoltando, mentre credo sprigioni una forza per trattenere la folla e specie gli apostoli, che vedono rosso dall’ira.
   «Noi dobbiamo difenderci e difendere», urla un giudeo scalmanato; «Basta di vedere le turbe affascinate dietro di Lui», dice un altro; «Noi siamo i potenti! Noi soli! E solo noi andiamo ascoltati e seguiti», strepita uno scriba; «Vada via di qua! Gerusalemme è nostra!», sbraita un sacerdote rosso come un tacchino.
   «Siete dei perfidi!»; «Più che ciechi siete!»; «Le turbe vi abbandonano perché voi lo meritate»; «Siate santi se volete essere amati. Non è commettendo soprusi che si conserva il potere, che si fonda sulla stima del popolo in chi lo governa!», urlano alla loro volta quelli del partito opposto e molti della folla.
   «Silenzio!», impone Gesù. E quando esso si fa, dice: «La tirannia e le imposizioni non possono mutare gli affetti e le conseguenze del bene ricevuto. Io raccolgo ciò che ho dato: amore. Voi col perseguitarmi non fate che aumentare questo amore che mi vuole compensare del vostro disamore. Non sapete, con tutta la vostra sapienza, che perseguitare una dottrina non serve che ad accrescerne il potere, specie quando questa corrisponde nei fatti a ciò che insegna? Udite una mia profezia, o voi d’Israe­le. Quanto più perseguiterete il Rabbi di Galilea e i suoi seguaci, tentando di annullare con la tirannia la sua dottrina, che è divina, e tanto più la farete prospera ed estesa nel mondo. Ogni stilla del sangue dei martiri fatti da voi, sperando trionfare e regnare con le vostre corrotte, ipocrite leggi e precetti, non più rispondenti alla Legge di Dio, ogni lacrima dei santi conculcati, sarà seme di futuri credenti. E voi sarete vinti quando crederete di essere trionfatori. Andate. Io pure vado. Coloro che mi amano mi cerchino ai confini della Giudea e nell’Oltre Giordano, o mi attendano in essi, perché come lampo che da oriente scorre a occidente, ratto così sarà l’andare del Figlio dell’uomo fino a quando salirà sull’altare e sul trono, Pontefice e Re nuovo, e vi starà, ben fermo al cospetto del mondo, del creato e dei Cieli, in una delle sue tante epifanie che solo i buoni sanno comprendere».

   378.12­I farisei ostili e i loro compagni se ne sono andati. Restano gli altri. Il figlio di Gamaliele lotta in se stesso per venire a Gesù, ma poi se ne va, senza parlare…
   «Maestro, Tu non ci odierai perché siamo delle stesse loro caste?», chiede Eleazaro.
   «Io non colpisco mai di anatema il singolo perché la classe è rea. Non temere», risponde Gesù.
   «Ora ci odieranno…», mormora Gioachino.
   «Onore per noi l’esserlo!», esclama Giovanni sinedrista.
   «Dio fortifichi i vacillanti e benedica i forti. Io tutti benedico in nome del Signore», e aperte le braccia dà la benedizione mosaica a tutti i presenti.
   Poi si accomiata da Lazzaro e dalle sorelle, da Massimino, dalle discepole, e inizia il suo andare…
   Le verdi campagne che costeggiano la via diretta a Gerico lo accolgono nel loro verde che si arrossa per un tramonto fastoso.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 10, 17-24: «Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi».

Vangelo Novus Ordo Lc 10, 17-24
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, i settantadue tornarono pieni di gioia, dicendo: «Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome».
Egli disse loro: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore. Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra serpenti e scorpioni e sopra tutta la potenza del nemico: nulla potrà danneggiarvi. Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli».
In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo».
E, rivolto ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli ».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXX. Il ritorno dei settantadue. Profezia sui mistici futuri.

   19 settembre 1945

 1 Nel lungo crepuscolo di una serena giornata ottobrina, ritornano i settantadue discepoli con Elia, Giuseppe e Levi. Stanchi, impolverati, ma così felici! Felici i tre pastori di essere ormai liberi di servire il Maestro. Felici anche di essere, dopo tanti anni di separazione, uniti ai compagni di un tempo. Felici i settantadue di avere ben esplicato la loro prima missione. I visi splendono più delle lucernette che illuminano le capannucce costruite per questo numeroso gruppo di pellegrini.
  Al centro è quella di Gesù, e sotto ad essa è Maria con Marziam che l’aiuta a preparare la cena. Intorno, le capannelle degli apostoli. E in quella di Giacomo e Giuda è Maria d’Alfeo; in quella di Giovanni e Giacomo, Maria Salome col marito; in quella accosto a questa vi è Susanna col marito, che non è apostolo e discepolo… ufficiale, ma che deve aver vantato il suo diritto di stare lì, posto che ha concesso alla moglie di essere tutta di Gesù. Poi, intorno, quelle dei discepoli, chi con e chi senza famiglia. E chi è solo, e sono i più, si è aggregato ad uno o più compagni. Giovanni di Endor si è preso il solitario Ermasteo, ma ha cercato di stare il più possibile vicino alla capanna di Gesù, di modo che Marziam va spesso da lui, portando questo o quello, o rallegrandolo con le sue parolette di bambino intelligente e felice di essere con Gesù, Maria e Pietro, e a una festa.

 2 Finite le cene, Gesù si avvia verso le pendici dell’Uliveto e i discepoli lo seguono in massa.
  Isolati dal brusio e dalla folla, dopo avere pregato in comune, essi riferiscono a Gesù più ampiamente di quanto non avevano potuto fare prima fra chi andava e veniva. E sono stupiti e lieti mentre dicono: «Lo sai, Maestro, che non solo i morbi ma i demoni, anche essi, ci stettero soggetti per la forza del tuo Nome? Che cosa, Maestro! Noi, noi, poveri uomini, solo perché Tu ci hai mandati, potevamo liberare l’uomo dal potere tremendo di un demonio!…»; e narrano casi e casi, avvenuti qui o là. Solo di uno dicono: «I parenti, o meglio la madre ed i vicini, ce lo hanno portato a forza. Ma il demonio ci beffò dicendo: “Sono tornato qui per sua volontà dopo che Gesù Nazareno mi ci aveva cacciato, e non lo lascio più perché egli ama più me del vostro Maestro e mi ha ricercato” e di colpo, con una forza indomita, strappò l’uomo a chi lo teneva e lo scaraventò giù da un dirupo. Corremmo a vedere se si era sfracellato. Macché! Correva come una giovane gazzella, dicendo bestemmie e lazzi proprio non di questa Terra… Ci fece pietà la madre… Ma lui! Ma lui! Oh! così può fare il demonio?».
  «Così e più ancora», dice mesto Gesù.
  «Forse se Tu c’eri…».
  «No. Io lo avevo detto a costui: “Va’ e non voler ricadere nel tuo peccato”. Egli ha voluto. Sapeva di volere il Male e ha voluto. È perduto. Diverso è chi viene posseduto per sua primitiva ignoranza da chi si fa possedere sapendo che così facendo si rivende al demonio. Ma non parlate di lui. È un membro reciso senza speranza. È un volontario del Male. Lodiamo piuttosto il Signore per le vittorie che vi ha dato. Io so il nome del colpevole e so i nomi dei salvati. Io vedevo Satana cadere dal Cielo come folgore per vostro merito unito al mio Nome. Perché Io ho visto anche i vostri sacrifici, le vostre preghiere, l’amore con cui andavate verso gli infelici per fare ciò che Io avevo detto di fare. Avete fatto con amore e Dio vi ha benedetti. Altri faranno ciò che voi fate, ma lo faranno senza amore. E non otterranno conversioni… Però non rallegratevi perché avete assoggettato gli spiriti, ma rallegratevi perché i vostri nomi sono scritti in Cielo. Non li levate mai di là…».

 3 «Maestro, quando verranno quelli che non otterranno conversioni? Forse quando Tu non sarai più con noi?», chiede un discepolo di cui non so il nome.
  «No, Agapo. In ogni tempo».
  «Come? Anche mentre Tu ci ammaestri e ami?».
  «Anche. E amare vi amerò sempre, anche se lontani da Me.
  Il mio amore verrà sempre a voi, e lo sentirete».
  «Oh! è vero. Io l’ho sentito una sera che ero crucciato perché non sapevo che dire ad uno che mi interrogava. Ero per fuggire vergognosamente. Ma mi sono ricordate le tue parole: “Non abbiate paura. Vi saranno date al momento buono le parole da dire” e ho invocato con lo spirito Te. Ho detto: “Certo Gesù mi ama. Io chiamo il suo amore in soccorso” e amore mi è venuto. Come un fuoco, una luce… una forza… L’uomo di fronte a me osservava e ghignava ironico facendo ammicchi ai suoi amici. Era sicuro di vincere la disputa. Ho aperto la bocca ed era come un fiume di parole che usciva con gioia dalla mia bocca stolta. Maestro, sei proprio venuto o è stata una illusione? Io non lo so. So che alla fine l’uomo, ed era un giovane scriba, mi ha gettato le braccia al collo dicendomi: “Te beato e beato chi a questa sapienza ti ha condotto” e mi è sembrato volonteroso di cercarti. Verrà?».
  «L’idea dell’uomo è labile come parola scritta sull’acqua, e la sua volontà è irrequieta come ala di rondine che svolazzi per l’ultimo pasto del giorno. Ma tu prega per lui… E, sì. Io sono venuto a te. E con te mi ha avuto Mattia e Timoneo, e Giovanni di Endor e Simone e Samuele e Giona. Chi mi ha avvertito, chi non mi ha avvertito. Ma Io sono stato con voi. Ed Io sarò con chi mi serve in amore e verità fino alla fine dei secoli».

 4 «Maestro, non ci hai detto ancora se fra quelli che sono presenti ci saranno persone senza amore…».
  «Non è necessario saperlo. Sarebbe mancanza d’amore da parte mia mettervi sdegno verso un compagno che non sa amare».
  «Ma ce ne sono? Questo lo puoi dire…».
  «Ce ne sono. L’amore è la più semplice, la più dolce e la più rara cosa che ci sia, e non sempre, anche se seminata, alligna».
  «Ma se non ti amiamo noi, chi ti può amare?».
  Quasi vi è dello sdegno fra apostoli e discepoli, che tumultuano per il sospetto e per il dolore.
  Gesù abbassa le palpebre sugli occhi. Cela anche lo sguardo perché non sia indicatore. Ma ha l’atto rassegnato, dolce, triste delle mani che si aprono a palme in fuori, il suo atto di rassegnata confessione, di rassegnata constatazione, e dice: «Così dovrebbe essere. Ma così non è. Molti ancor non si conoscono. Io li conosco però. E ne ho pietà».
  «Oh! Maestro, Maestro! Ma non sarò io, eh?», chiede Pietro andando proprio accosto a Gesù, schiacciando il povero Marziam fra sé e il Maestro e gettando le sue braccia corte e nerborute verso le spalle di Gesù che afferra e scuote, pazzo dal terrore di essere uno che non ama Gesù.
  Gesù riapre gli occhi, luminosi e pur mesti, e guarda il viso interrogativo e spaurito di Pietro, e gli dice: «No, Simone di Giona. Tu non sei. Tu sai amare e saprai sempre più amare. Tu sei la mia Pietra, Simone di Giona. Una buona pietra. Su questa Io appoggerò le cose a Me più care, e sono certo che tu le sosterrai senza conoscere turbamento».
  «Io allora?», «Io?», «Io?». Le interrogazioni si ripetono come un’eco da bocca a bocca.
  «Pace! Pace! State tranquilli e sforzatevi di possedere tutti l’amore».

 5 «Ma chi fra noi sa amare di più?».
  Gesù gira lo sguardo su tutti — una carezza sorridente… — poi abbassa lo sguardo su Marziam sempre stretto fra Lui e Pietro e, scostando un poco Pietro, rivolgendo il bambino col viso verso la piccola folla, dice: «Ecco colui che sa amare di più fra voi. Il fanciullo. Ma non tremate voi che avete già barba sulle gote e anche fili bianchi nei capelli. Chiunque rinasce in Me diviene “un fanciullo”. Oh! andate in pace! Dite la lode di Dio che vi ha chiamati, perché realmente voi vedete coi vostri occhi i prodigi del Signore. Beati quelli che vedranno ugualmente ciò che voi vedete. Perché vi assicuro che molti profeti e re bramarono vedere ciò che voi vedete e non lo videro, e molti patriarchi avrebbero voluto sapere ciò che voi sapete e non lo seppero, e molti giusti avrebbero voluto ascoltare ciò che voi udite e non lo poterono ascoltare. Ma d’ora in poi quelli che mi ameranno conosceranno ogni cosa».
  «E dopo? Quando Tu te ne sarai andato come dici?».
  «Dopo voi parlerete per Me. E poi… Oh! grandi schiere, non per numero ma per grazia, di coloro che vedranno, sapranno e ascolteranno ciò che voi ora vedete, sapete, udite! Oh! grandi, amate schiere dei miei “piccoli-grandi”! Occhi eterni, menti eterne, orecchie eterne! Come potervi spiegare, a voi che mi state intorno, cosa sarà questo eterno vivere, più che eterno, smisurato, di coloro che mi ameranno e che Io amerò fino ad abolire il tempo, e saranno “i cittadini di Israele” anche se viventi quando Israele non sarà più che un ricordo di nazione, e saranno i contemporanei di Gesù vivente in Israele? E saranno con Me, in Me, fino a conoscere ciò che il tempo ha cancellato e la superbia ha confuso. Che nome darò loro? Voi apostoli, voi discepoli, i credenti saranno detti “cristiani”. E questi? Questi che nome avranno? Un nome noto solo in Cielo. Che premio avranno sin dalla Terra? Il mio bacio, la mia voce, il tepore della mia carne. Tutto, tutto, tutto Me stesso. Io, loro. Loro, Io. La comunione totale… Andate. Io resto a bearmi lo spirito nella contemplazione dei miei conoscitori futuri e amatori assoluti. La pace sia con voi».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina degli Angeli,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 10, 13-16 :«Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me».

Vangelo Novus Ordo Lc 10, 13-16
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, Gesù disse:
«Guai a te, Corazìn, guai a te, Betsàida! Perché, se a Tiro e a Sidòne fossero avvenuti i prodigi che avvennero in mezzo a voi, già da tempo, vestite di sacco e cosparse di cenere, si sarebbero convertite. Ebbene, nel giudizio, Tiro e Sidòne saranno trattate meno duramente di voi.
E tu, Cafàrnao, sarai forse innalzata fino al cielo? Fino agli inferi precipiterai!
Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me, disprezza colui che mi ha mandato».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
« Chi disprezza me , disprezza colui che mi ha mandato».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXVI. I discepoli del Battista vogliono accertarsi che Gesù è il Messia. Testimonianza sul Precursore e invettiva contro le città impenitenti.

   29 agosto 1945

 1 Gesù è solo con Matteo che, ferito ad un piede, non è potuto andare con gli altri a predicare. Ma però malati e desiderosi della Buona Novella affollano la terrazza e lo spazio libero dell’orto per udirlo e averne aiuto.
  Gesù termina di parlare dicendo: «Contemplato che abbiamo insieme la grande frase[63] di Salomone: “Nell’abbondanza della giustizia sta la somma fortezza”, Io vi esorto a possedere questa abbondanza perché essa è moneta per entrare nel Regno dei Cieli. State con la mia pace e Dio sia con voi». E poi si volge ai poveri e ai malati — e in molti casi sono l’uno e l’altro insieme — e ascolta con bontà i loro racconti, soccorre con denaro, consiglia con parole, sana coll’imposizione delle mani e con la parola. Matteo, al suo fianco, provvede a dare le monete.

 2 Gesù sta ascoltando attentamente una povera vedova, che gli narra fra le lacrime della morte improvvisa del marito legnaiuolo al suo banco di lavoro, avvenuta pochi giorni prima:
   «Sono corsa a cercarti qui, e tutto il parentado del morto mi accusò di essere scomposta e dura di cuore e ora mi maledice. Ma io ero venuta perché so che risusciti e so che se potevo trovarti il mio uomo sarebbe risorto. Non c’eri… Ora egli è nel sepolcro da due settimane… ed io sono qui con cinque figli… I parenti mi odiano e non mi aiutano. Ho degli ulivi e delle viti. Pochi, ma mi darebbero pane per l’inverno se potessi tenerli fino alla raccolta. Ma non ho denaro, perché l’uomo da tempo era poco sano e poco lavorava, e per sostenersi mangiava e beveva anche troppo. Diceva che il vino gli faceva bene… invece fece il doppio male di ucciderlo e di consumare i risparmi già ridotti per il suo poco lavoro. Stava finendo un carro e un cofano, e aveva ordinati due letti, delle tavole e mensole. Ma ora… Non sono finiti e mio figlio maschio non ha ancora otto anni. Perderò il denaro… Dovrò vendere gli arnesi, il legname.
  Il carro e il cofano non posso neppure venderli per tali, per quanto quasi ultimati, e li dovrò dare come legna da ardere. E non basteranno i denari perché io, mia madre vecchia e malata, e cinque figli, siamo sette persone… Venderò il vigneto e gli ulivi… Ma Tu sai come è il mondo… Strozza dove c’è il bisogno. Dimmi, che devo fare? Io volevo serbare il banco e i ferri per il figlio che già sa qualcosa del legno… volevo serbare la terra per vivere e per dote alle figlie…».
  Sta ascoltando tutto questo quando un rimescolio fra la gente lo avverte che c’è qualcosa di nuovo. Si volta per vedere e vede tre uomini che si fanno strada fra la folla. Si torna a voltare per parlare alla vedova: «Dove abiti?».
  «A Corozim, presso la strada che va alla Fonte calda. Una casa bassa in mezzo a due fichi».
  «Va bene. Verrò ad ultimare il carro e il cofano, e li venderai a chi li ha ordinati. Aspettami domani all’aurora».
  «Tu! Tu lavorare per me!». La donna è soffocata dallo stupore.
  «Riprenderò il lavoro mio e ti darò pace. Intanto, a quelli di Corozim senza cuore impartirò la lezione della carità».
  «Oh! sì! Senza cuore! Ci fosse stato ancora il vecchio Isacco! Non mi avrebbe lasciata morire di fame. Ma egli è tornato ad Abramo…».
  «Non piangere. Va’ tranquilla. Ecco quanto serve per oggi.
  Domani verrò Io. Va’ in pace».
  La donna si prostra a baciargli la veste e se ne va più sollevata.

 3 «Maestro tre volte santo, ti posso salutare?», chiede uno dei tre sopraggiunti che si sono fermati rispettosamente dietro a Gesù, attendendo che Egli congedasse la donna, e che perciò hanno sentito la promessa di Gesù. E quest’uomo che saluta è Mannaem.
  Gesù si volta e con un sorriso dice: «Pace a te, Mannaem! Ti sei dunque ricordato di Me?».
  «Sempre, Maestro. E avevo divisato di venire da Te in casa di Lazzaro o all’orto degli Ulivi per stare con Te. Ma prima di Pasqua fu preso il Battista. Fu ripreso con tradimento ed io temevo che, nell’assenza di Erode venuto a Gerusalemme per la Pasqua, Erodiade ordinasse l’uccisione del santo. Non è voluta andare per le feste a Sionne dicendosi malata. Malata, sì. Di odio e lussuria… Io sono stato a Macheronte per controllare e… trattenere la perfida donna, che sarebbe capace di uccidere di sua mano… E non lo fa perché teme di perdere il favore di Erode, che… per paura o per convinzione difende Giovanni limitandosi a tenerlo prigioniero. Ora Erodiade è fuggita dal caldo opprimente di Macheronte andando in un castello di sua proprietà. Ed io sono venuto con questi amici miei e discepoli di Giovanni. Egli li mandava perché ti interrogassero. E io mi sono unito a loro».

 4 La gente, sentendo parlare di Erode e comprendendo chi è che ne parla, si affolla curiosa intorno al gruppetto di Gesù e dei tre.
  «Che volevate chiedermi?», chiede Gesù dopo scambievoli saluti coi due austeri personaggi.
  «Parla tu, Mannaem, che sai tutto e sei più amico», dice uno dei due.
  «Ecco, Maestro. Tu devi compatire se per troppo amore i discepoli vanno in diffidenza verso Colui che credono antagonista o soppiantatore del loro maestro. Così fanno i tuoi, così quelli di Giovanni. È una comprensibile gelosia, che dimostra tutto l’amore dei discepoli per i maestri. Io… sono imparziale, e questi che con me sono lo possono dire, perché conosco Te e Giovanni e vi amo con giustizia, tanto che, per quanto ami Te per quello che sei, ho preferito fare il sacrificio di stare presso Giovanni, perché venero lui pure per quello che è, ed attualmente perché più in pericolo di Te. Ora per questo amore, nel quale soffiano col loro astio i farisei, essi sono giunti a dubitare che Tu sia il Messia. E lo hanno confessato a Giovanni credendo di dargli una gioia col dire: “Per noi sei tu il Messia. Non ci può essere uno più santo di te”. Ma Giovanni li ha rimproverati per prima cosa chiamandoli bestemmiatori, e poi, dopo il rimprovero, con più dolcezza, ha spiegato tutte le cose che ti indicano come vero Messia. Infine, vedendoli ancora non persuasi, ha preso due di essi, questi, e ha detto: “Andate da Lui e ditegli in mio nome: ‘Sei Tu quello che ha da venire o dobbiamo attenderne un altro?'”. Non ha mandato i discepoli già pastori, perché essi credono e non sarebbe giovato mandarli. Ma ha preso fra quelli che dubitano per farteli avvicinare e perché la loro parola dissipi i dubbi dei loro simili. Io li ho accompagnati per poterti vedere. Ho detto. Tu ora calma i loro dubbi».

 5 «Ma non ci credere ostili, Maestro! Le parole di Mannaen te lo potrebbero far pensare. Noi… noi… Noi conosciamo da anni il Battista e lo abbiamo sempre visto santo, penitente, ispirato. Tu… non ti conosciamo che per parola altrui. E Tu sai cosa è la parola degli uomini… Crea e distrugge fama e lodi nel contrasto fra chi esalta e chi abbatte, così come una nuvola viene formata e disciolta da due venti contrari».
  «So, so. Leggo nel vostro animo, e i vostri occhi leggono la verità in quanto vi circonda, così come le vostre orecchie hanno sentito il colloquio con la vedova. Questo basterebbe a persuadere. Ma Io vi dico. Osservate chi mi circonda. Qui non sono ricchi né gaudenti, qui non persone scandalose. Ma poveri, malati, onesti israeliti che vogliono conoscere la Parola di Dio. E non altro. Questo, questo, questa donna, e poi quella fanciullina e quel vecchio, sono venuti qui malati ed ora sono sani. Interrogateli e vi diranno cosa avevano e come li guarii e come stanno ora. Fate, fate. Io intanto parlo con Mannaen», e Gesù fa per ritirarsi.
  «No, Maestro. Noi non dubitiamo delle tue parole. Solo dàcci una risposta da portare a Giovanni, perché egli veda che siamo venuti e perché possa, in base a quella, persuadere i nostri compagni».
  «Andate a riferire questo a Giovanni: “I sordi odono; questa fanciulla era sorda e muta. I muti parlano; e quell’uomo era muto dalla nascita. I ciechi vedono”.

 6 Uomo, vieni qui. Di’ a costoro ciò che avevi», dice Gesù prendendo per un braccio un miracolato.
  Questo dice: «Sono muratore e mi cadde sul viso un secchio pieno di calce viva. Mi bruciò gli occhi. Da quattro anni ero nelle tenebre. Il Messia mi ha bagnato gli occhi seccati con la sua saliva e sono tornati più freschi di quando avevo venti anni. Che Egli ne sia benedetto».
  Gesù riprende: «E coi ciechi, sordi, muti guariti, si raddrizzano gli zoppi e corrono gli storpiati. Ecco lì quel vecchio rattrappito poco anzi e ora dritto come una palma del deserto e agile come una gazzella. Si sanano le malattie più gravi. Tu, donna, che avevi?».
  «Un male al seno per troppo latte dato a bocche voraci. E il male, col seno, mi rodeva la vita. Ora guardate», e si socchiude la veste mostrando intatte le mammelle e aggiunge: «Era tutta una piaga, e lo dimostra la tunica ancor bagnata del marciume. Ora vado a casa per mettere veste monda e sono forte e felice. Mentre solo ieri ero morente, portata qui da pietosi, e tanto infelice… per i bambini prossimi ad essere senza madre. Eterna lode al Salvatore!».
  «Udite? E potete interrogare il sinagogo di questa città sulla risurrezione della figlia sua e, tornando verso Gerico, passate da Naim, chiedete del giovane risuscitato alla presenza di tutta la città e mentre stava per essere messo nel sepolcro. Così potrete riferire che i morti risuscitano. Che molti lebbrosi siano guariti potete saperlo da molti luoghi di Israele, ma se volete andare a Sicaminon cercatene fra i discepoli, e molti ne troverete. Dite dunque a Giovanni che i lebbrosi sono mondati. E dite, poiché lo vedete, che ai poveri è annunziata la Buona Novella. Ed è beato chi non si sarà scandalizzato di Me. 

 7 Dite questo a Giovanni. E ditegli che Io lo benedico con tutto il mio amore».
  «Grazie, Maestro. Benedici noi pure prima della partenza».
  «Voi non potete partire in queste ore calde. Rimanete perciò miei ospiti fino a sera. Vivrete per un giorno la vita di questo Maestro che non è Giovanni, ma che Giovanni ama perché sa Chi è. Venite nella casa. Vi è fresco e vi ristorerò. Addio, miei ascoltatori. La pace sia con voi», e congedate le turbe entra in casa coi tre ospiti…

 8 …Quanto si dicano in quelle ore affocate non so. Ciò che vedo ora è la preparazione della partenza per Gerico dei due discepoli. Mannaen pare che resti, perché il suo cavallo non è stato portato con i due robusti asini davanti all’apertura del muro del cortile. I due inviati di Giovanni, dopo molti inchini al Maestro e a Mannaen, montano in sella e ancora si voltano a guardare e a salutare, finché un angolo di via non li nasconde alla vista.
  Molti di Cafarnao si sono affollati per vedere questa partenza, perché la notizia della venuta dei discepoli di Giovanni e la risposta di Gesù a loro hanno fatto il giro del paese, e credo anche di altri paesi vicini. Vedo persone di Betsaida e Corozim, che si sono presentate ai messi di Giovanni chiedendo di lui e dicendo di salutarlo — forse sono ex discepoli del Battista — rimanere ora, in crocchio con quelli di Cafarnao, a commentare. Gesù, con a fianco Mannaen, fa per rientrare in casa parlando. Ma la gente gli si stringe intorno, curiosa di osservare il fratello di latte di Erode e i suoi modi pieni di ossequio per Gesù, e desiderosa di parlare col Maestro.

 9 C’è anche Giairo, il sinagogo. Ma, per grazia di Dio, non ci sono farisei. È proprio Giairo che dice: «Sarà contento Giovanni! Non solo hai mandato esauriente risposta, ma anche, trattenendoli, hai potuto ammaestrarli e mostrare loro un miracolo».
  «E non da poco, anche!», dice un uomo.
  «Io avevo portato apposta la mia bambina oggi perché la vedessero. Non è mai stata così bene e per lei è una gioia venire dal Maestro. Avete sentito, eh?, la sua risposta: “Io non mi ricordo cosa è la morte. Ma mi ricordo che un angelo mi ha chiamata portandomi attraverso ad una luce sempre più viva, al termine della quale era Gesù. E come l’ho visto allora, col mio spirito che tornava in me, non lo vedo neppure ora. Voi ed io ora vediamo l’Uomo. Ma il mio spirito ha visto il Dio che è chiuso nell’Uomo”. E come si è fatta buona da allora! Lo era buona. Ma ora è un vero angelo. Ah! per me, dicano quello che vogliono tutti, non ci sei che Tu di santo!».
  «Ma anche Giovanni è santo però», dice uno di Betsaida.
  «Sì. Ma è troppo severo».
  «Non lo è più per gli altri che per sé».
  «Ma non fa miracoli e si dice che digiuni perché sia come un mago».
  «Eppure è santo».
  Il battibecco fra la folla si estende. 

10 Gesù alza la mano e la stende col gesto abituale che ha quando chiede silenzio e attenzione perché vuole parlare. Il silenzio si fa subito.
  Gesù dice:
  «Giovanni è santo e grande. Non guardate il suo modo di fare né l’assenza dei miracoli. In verità ve lo dico: “Egli è un grande del Regno di Dio”. Là apparirà in tutta la sua grandezza.
  Molti si lamentano perché egli era ed è severo fino ad appa rire rude. In verità vi dico che egli ha lavorato da gigante per preparare le vie del Signore. E chi lavora così non ha tempo da perdere in mollezze. Non diceva egli, mentre era lungo il Giordano, le parole[64] di Isaia in cui lui e il Messia sono profetizzati:
  “Ogni valle sarà colmata, ogni monte sarà abbassato, e le vie tortuose saranno raddrizzate e le scabre fatte piane”, e ciò per preparare le vie al Signore e Re? Ma in verità ha fatto più egli che non tutto Israele per prepararmi la via! E chi deve abbattere monti e colmare valli e raddrizzare vie o rendere dolci le salite penose, non può che lavorare rudemente. Perché egli era il Precursore, e solo il giro di poche lune lo anticipava da Me, e tutto doveva esser fatto prima che il Sole fosse alto sul giorno della Redenzione. Il tempo è questo, il Sole ascende per splendere su Sionne e da lì su tutto il mondo. Giovanni ha preparato la via. Come doveva.
  Che siete andati a vedere nel deserto? Una canna che ogni vento agita in diversa direzione? Ma che siete andati a vedere? Un uomo vestito mollemente? Ma questi abitano nelle case dei re, avvolti in morbide vesti e ossequiati da mille servi e cortigiani, cortigiani essi pure di un povero uomo. Qui ve ne è uno. Interrogatelo se in lui non è il disgusto della vita di Corte e ammirazione per la rupe solitaria e scabra, sulla quale invano si avventano fulmini e gragnuole e i venti stolti giostrano per svellerla, mentre essa sta solida con lo slancio di tutte le sue parti verso il cielo, con la punta che predica la gioia dell’alto tanto è eretta, puntuta come una fiamma che sale. Questo è Giovanni. Così lo vede Mannaen, perché ha compreso la verità della vita e della morte, e vede grandezza là dove è, anche se nascosta sotto apparenze selvagge.
  E voi, che avete visto in Giovanni quando siete andati a vederlo? Un profeta? Un santo? Io ve lo dico: Egli è da più di un profeta. Egli è da più di molti santi, da più dei santi perché è colui del quale sta scritto[65]: “Ecco, Io mando dinnanzi a voi il mio angelo a preparare la tua via dinnanzi a Te”.

11 Angelo. Considerate. Voi sapete che gli angeli sono spiriti puri, creati da Dio a sua somiglianza spirituale, messi a congiunzione fra l’uomo: perfezione del creato visibile e materiale, e Dio: Perfezione del Cielo e della Terra, Creatore del regno spirituale e del regno animale. Nell’uomo anche più santo vi è sempre la carne e il sangue a porre un abisso fra lui e Dio. E l’abisso si sprofonda per il peccato che appesantisce anche ciò che è spirituale nell’uomo.  Ecco allora Dio creare gli angeli, creature che toccano il vertice della scala creativa così come i minerali ne segnano la base; i minerali, la polvere che compone la terra, le materie inorganiche in genere. Specchi tersi del Pensiero di Dio, fiamme volonterose operanti per amore, pronti a comprendere, solleciti ad operare, liberi nel volere come noi, ma di un volere tutto santo che ignora le ribellioni e i fomiti del peccato. Questo sono gli angeli adoratori di Dio, suoi messaggeri presso gli uomini, protettori nostri, datori a noi della Luce che li investe e del Fuoco che essi raccolgono adorando.
  Giovanni è detto “angelo” dalla parola profetica. Ebbene Io vi dico: “Tra i nati di donna non ne è mai sorto uno più grande di Giovanni Battista”. Eppure, il più piccolo del Regno dei Cieli sarà più grande di lui-uomo. Perché uno del Regno dei Cieli è figlio di Dio e non figlio di donna. Tendete dunque tutti a divenire cittadini del Regno.

12 Che vi chiedete l’un l’altro?».
  «Dicevamo: “Ma Giovanni sarà nel Regno? E come vi sarà?”».
  «Egli nel suo spirito è già del Regno e vi sarà dopo la morte come uno dei soli più splendidi dell’eterna Gerusalemme. E ciò per la Grazia che è senza incrinatura in lui e per la sua volontà propria. Perché egli fu ed è violento anche con se stesso per fine santo. Dal Battista in poi, il Regno dei Cieli è di coloro che sanno conquistarselo con la forza opposta al Male, e se lo acquistano i violenti. Perché ora sono note le cose da farsi e tutto è dato per questa conquista. Non è più il tempo che parlavano solo la Legge ed i Profeti. Questi hanno parlato sino a Giovanni. Ora parla la Parola di Dio e non nasconde un iota di quanto è da sapersi per questa conquista. Se credete in Me, dovete perciò vedere Giovanni come quell’Elia che deve venire[66]. Chi ha orecchi da intendere intenda. Ma a chi paragonerò questa generazione? È simile a quella che descrivono quei ragazzi, che seduti sulla piazza gridano ai loro compagni: “Abbiamo suonato e non avete ballato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”. Difatti è venuto Giovanni che non mangia e non beve, e questa generazione dice: “Può fare così perché ha il demonio che lo aiuta”. È venuto il Figlio dell’uomo che mangia e beve, e dicono: “Ecco un mangione e un beone, amico di pubblicani e peccatori”. Così alla Sapienza viene resa giustizia dai suoi figli! 

13 In verità vi dico che solo i pargoli sanno riconoscere la verità, perché in essi non è malizia».
  «Bene hai detto, Maestro», dice il sinagogo. «Ecco perché mia figlia, ancor senza malizia, ti vede quale noi non giungiamo a vederti. Eppure questa città e quelle vicine traboccano della tua potenza, sapienza e bontà e, devo confessarlo, non procedono che in cattiveria verso di Te. Non si ravvedono. E il bene, che Tu dai loro, fermenta in odio verso di Te».
  «Come parli, Giairo? Tu ci calunni! Noi siamo qui perché fedeli al Cristo», dice uno di Betsaida.
  «Sì. Noi. Ma quanti siamo? Meno di cento su tre città che dovrebbero essere ai piedi di Gesù. Fra quelli che mancano, e parlo degli uomini, la metà è nemica, un quarto indifferente, l’altra voglio mettere non possa venire. Non è questo colpa agli occhi di Dio? E non sarà punito tutto questo livore e questa pertinacia nel male? Parla Tu, Maestro che sai, e che se taci è per la tua bontà, non già perché Tu ignori. Longanime sei, e ciò è preso per ignoranza e debolezza. Parla dunque e possa il tuo parlare scuotere almeno gli indifferenti, posto che i malvagi non si convertono ma sempre più malvagi divengono».
  «Sì. È colpa e sarà punita. Perché il dono di Dio non va mai sprezzato o usato per fare del male. Guai a te, Corozim, guai a te, Betsaida, che fate mal’uso dei doni di Dio. Se in Tiro e in Sidone fossero già avvenuti i miracoli avvenuti in mezzo a voi, già da gran tempo, vestiti di cilizio e aspersi di cenere, avrebbero fatto penitenza e sarebbero venuti a Me. E perciò vi dico che a Tiro e a Sidone sarà usata maggiore clemenza che a voi nel giorno del Giudizio. E tu, Cafarnao, credi che per avermi ospitato soltanto sarai esaltata sino al Cielo? Tu scenderai fino all’inferno. Perché, se in Sodoma fossero stati fatti i miracoli che Io ti ho dati, essa ancora sarebbe fiorente, perché in Me avrebbe creduto e si sarebbe convertita. Perciò sarà usata maggior clemenza a Sodoma nell’ultimo Giudizio, perché essa non ha conosciuto il Salvatore e la sua Parola, e perciò è meno grande la sua colpa di quanto non ne verrà usata a te, che hai conosciuto il Messia e udita la sua parola e non ti sei ravveduta. Però, siccome Dio è giusto, a quelli di Cafarnao, Betsaida e Corozim che hanno creduto e che si santificano ubbidendo alla mia parola, sarà usata misericordia grande. Perché non è giusto che i giusti siano coinvolti nella rovina dei peccatori. 

14 Riguardo a tua figlia, Giairo, e alla tua, Simone, e al tuo bambino, Zaccaria, e ai tuoi nipoti, Beniamino, Io vi dico che essi, essendo senza malizia, già vedono Dio. E voi lo vedete come la loro fede è pura e operosa in essi, unita a sapienza celeste, a aneliti di carità quali gli adulti non hanno».
  E Gesù, alzando gli occhi al cielo che incupisce nella sera, esclama: «Io ti ringrazio, o Padre, Signore del Cielo e della Terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Così, o Padre, perché così ti è piaciuto. Tutto è stato affidato a Me dal Padre mio, e nessuno lo conosce tranne il Figlio e coloro ai quali il Figlio avrà voluto rivelarlo. Ed Io l’ho rivelato ai piccoli, agli umili, ai puri, perché Dio si comunica ad essi, e la verità scende come seme nei terreni liberi, e su essa il Padre fa piovere le sue luci perché getti radice e faccia pianta. Anzi, che in verità il Padre prepara questi spiriti di pargoli per età o pargoli di volere, perché essi conoscano la Verità ed Io abbia gioia dalla loro fede»…

   Cap. CCLXXVIII. Il perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue discepoli.

   17 settembre 1945

 1 Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
  «Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
  «Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
  «Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
  «Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
  «Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
  «Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
  «Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
  «Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

 2 «Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
  «Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
  Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
  «Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

 3 «E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
  «Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
  E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

 4 «Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
 Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
  Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
  Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
  Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita.
  La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

 5 Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
 Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
 Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.

 6 La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
  Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
  Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
  Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
  Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
  Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 10, 1-12: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai!”.

Vangelo  Novus Ordo Lc 10, 1-12
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, il Signore designò altri settantadue e li inviò a due a due davanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.
Diceva loro: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! Andate: ecco, vi mando come agnelli in mezzo a lupi; non portate borsa, né sacca, né sandali e non fermatevi a salutare nessuno lungo la strada.
In qualunque casa entriate, prima dite: “Pace a questa casa!”. Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché chi lavora ha diritto alla sua ricompensa. Non passate da una casa all’altra.
Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto, guarite i malati che vi si trovano, e dite loro: “È vicino a voi il regno di Dio”. Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle sue piazze e dite: “Anche la polvere della vostra città, che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino”. Io vi dico che, in quel giorno, Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
” Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe! “.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCLXXVIII. Il perdono e la parabola del servo iniquo. Il mandato a settantadue discepoli.

   17 settembre 1945

 1 Licenziati dopo il pasto i poveri, Gesù resta cogli apostoli e discepoli nel giardino di Maria di Magdala. Vanno a sedersi al limite di esso, proprio vicino alle acque quiete del lago, su cui delle barche veleggiano intente alla pesca.
  «Avranno buona pesca», commenta Pietro che osserva.
  «Anche tu avrai buona pesca, Simone di Giona».
  «Io, Signore? Quando? Intendi che io esca a pescare per il cibo di domani? Vado subito e…».
  «Non abbiamo bisogno di cibo in questa casa. La pesca che tu farai sarà in futuro e nel campo spirituale. E con te saranno pescatori ottimi la maggior parte di questi».
  «Non tutti, Maestro?», chiede Matteo.
  «Non tutti. Ma quelli che perseverando diverranno miei sacerdoti avranno buona pesca».
  «Conversioni, eh?», domanda Giacomo di Zebedeo.
  «Conversioni, perdoni, guide a Dio. Oh! tante cose».

 2 «Senti, Maestro. Tu prima hai detto che, se uno non ascolta il fratello neppure alla presenza di testimoni, sia fatto consigliare dalla sinagoga. Ora, se io ho ben capito quanto Tu ci hai detto da quando ci conosciamo, mi pare che la sinagoga sarà sostituita dalla Chiesa, questa cosa che Tu fonderai. Allora, dove andremo per fare consigliare i fratelli zucconi?».
  «Andrete da voi stessi, perché voi sarete la mia Chiesa. Perciò i fedeli verranno a voi, o per consiglio da avere per causa propria, o per consiglio da dare ad altri. Vi dico di più. Non solo potrete consigliare. Ma potrete anche assolvere in mio Nome. Potrete sciogliere dalle catene del peccato e potrete legare due che si amano facendone una carne sola. E quanto avrete fatto sarà valido agli occhi di Dio come fosse Dio stesso che lo avesse fatto. In verità vi dico: quanto avrete legato sulla Terra sarà legato nel Cielo, quanto sarà sciolto da voi sulla Terra sarà sciolto in Cielo. E ancora vi dico, per farvi comprendere la potenza del mio Nome, dell’amore fraterno e della preghiera, che se due miei discepoli, e per tali intendo ora tutti coloro che crederanno nel Cristo, si riuniranno a chiedere qualsiasi giusta cosa in mio Nome, sarà loro concessa dal Padre mio. Perché grande potenza è la preghiera, grande potenza è l’unione fraterna, grandissima, infinita potenza è il mio Nome e la mia presenza fra voi. E dove due o tre saranno adunati in mio Nome, ivi Io sarò in mezzo a loro, e pregherò con loro, e il Padre non negherà a chi con Me prega. Perché molti non ottengono perché pregano soli, o per motivi illeciti, o con orgoglio, o con peccato sul cuore. Fatevi il cuore mondo, onde Io possa essere con voi, e poi pregate e sarete ascoltati».
  Pietro è pensieroso. Gesù lo vede e gliene chiede ragione. E Pietro spiega: «Penso a che gran dovere siamo destinati. E ne ho paura. Paura di non sapere fare bene».
  «Infatti Simone di Giona o Giacomo di Alfeo o Filippo e così via non saprebbero fare bene. Ma il sacerdote Pietro, il sacerdote Giacomo, il sacerdote Filippo, o Tommaso, sapranno fare bene perché faranno insieme alla divina Sapienza».

 3 «E… quante volte dovremo perdonare ai fratelli? Quante, se peccano contro i sacerdoti; e quante, se peccano contro Dio? Perché, se succederà allora come ora, certo peccheranno contro di noi, visto che peccano contro di Te tante e tante volte. Dimmi se devo perdonare sempre o se un numero di volte. Sette volte, o più ancora, ad esempio?».
  «Non ti dico sette, ma settanta volte sette. Un numero senza misura. Perché anche il Padre dei Cieli perdonerà a voi molte volte, un numero grande di volte, a voi che dovreste essere perfetti. E come Egli fa con voi, così voi dovete fare, perché voi rappresenterete Dio in Terra. Anzi, sentite. Racconterò una parabola che servirà a tutti».
  E Gesù, che era circondato dai soli apostoli in un chioschetto di bossi, si avvia verso i discepoli che sono invece rispettosamente aggruppati su uno spiazzo decorato di una vasca piena di limpide acque. Il sorriso di Gesù è come un segnale di parola. E mentre Lui va col suo passo lento e lungo, per cui percorre molto spazio in pochi momenti, e senza affrettarsi perciò, essi si rallegrano tutti e, come bambini intorno a chi li fa felici, si stringono in cerchio. Una corona di visi attenti, finché Gesù si mette contro un alto albero e inizia a parlare.

 4 «Quanto ho detto prima al popolo va perfezionato per voi che siete gli eletti fra esso.
 Dall’apostolo Simone di Giona mi è stato detto: “Quante volte devo perdonare? A chi? Perché?”. Ho risposto a lui in privato ed ora a tutti ripeto la mia risposta in ciò che è giusto voi sappiate sin da ora. Udite quante volte e come e perché va perdonato.
  Perdonare bisogna come perdona Dio, il quale, se mille volte uno pecca e se ne pente, perdona mille volte. Purché veda che nel colpevole non c’è la volontà del peccato, la ricerca di ciò che fa peccare, ma sibbene il peccato è solo frutto di una debolezza dell’uomo. Nel caso di persistenza volontaria nel peccato, non può esservi perdono per le colpe fatte alla Legge. Ma per quanto queste colpe vi danno di dolore, a voi, individualmente, perdonate. Perdonate sempre a chi vi fa del male. Perdonate per essere perdonati, perché anche voi avete colpe verso Dio e i fratelli. Il perdono apre il Regno dei Cieli tanto al perdonato come al perdonante. Esso è simile a questo fatto che avvenne fra un re ed i suoi servi.
  Un re volle fare i conti coi suoi servi. Li chiamò dunque uno dopo l’altro cominciando da quelli che erano i più in alto. Venne uno che gli era debitore di diecimila talenti. Ma il suddito non aveva con che pagare l’anticipo che il re gli aveva fatto per potersi costruire case e beni d’ogni genere, perché in verità non aveva, per molti motivi più o meno giusti, con molta solerzia usato della somma ricevuta per questo. Il re-padrone, sdegnato della sua infingardia e della mancanza di parola, comandò fosse venduto lui, la moglie, i figli e quanto aveva, finché avesse saldato il suo debito. Ma il servo si gettò ai piedi del re e con pianti e suppliche lo pregava: “Lasciami andare. Abbi un poco di pazienza ancora ed io ti renderò tutto quanto ti devo, fino all’ultimo denaro”. Il re, impietosito da tanto dolore — era un re buono — non solo acconsentì a questo ma, saputo che fra le cause della poca solerzia e del mancato pagamento erano anche delle malattie, giunse a condonargli il debito.
  Il suddito se ne andò felice. Uscendo di lì, però, trovò sulla sua via un altro suddito, un povero suddito al quale egli aveva prestato cento denari tolti ai diecimila talenti avuti dal re. Persuaso del favore sovrano, si credette tutto lecito e, preso quell’infelice per la gola, gli disse: “Rendimi subito quanto mi devi”. Inutilmente l’uomo piangendo si curvò a baciargli i piedi gemendo: “Abbi pietà di me che ho tante disgrazie. Porta un poco di pazienza ancora e ti renderò tutto, fino all’ultimo spicciolo”. Il servo, spietato, chiamò i militi e fece condurre in prigione l’infelice perché si decidesse a pagarlo, pena la perdita della libertà o anche della vita[85].
  La cosa fu risaputa dagli amici del disgraziato i quali, tutti contristati, andarono a riferirlo al re e padrone. Questi, saputa la cosa, ordinò gli fosse tradotto davanti il servitore spietato e, guardandolo severamente, disse: “Servo iniquo, io ti avevo aiutato prima perché tu diventassi misericordioso, perché ti facessi una ricchezza, poi ti ho aiutato ancora col condonarti il debito per il quale tanto ti raccomandavi che io avessi pazienza. Tu non hai avuto pietà di un tuo simile mentre io, re, per te ne avevo avuta tanta. Perché non hai fatto ciò che io ti ho fatto?”. E lo consegnò sdegnato ai carcerieri, perché lo tenessero finché avesse tutto pagato, dicendo: “Come non ebbe pietà di uno che ben poco gli doveva, mentre tanta pietà ebbe da me che re sono, così non trovi da me pietà”.

 5 Così pure farà il Padre mio con voi se voi sarete spietati ai fratelli, se voi, avendo avuto tanto da Dio, sarete colpevoli più di quanto non lo è un fedele. Ricordate che in voi è l’obbligo di essere più di ogni altro senza colpe. Ricordate che Dio vi anticipa un gran tesoro, ma vuole che gliene rendiate ragione. Ricordate che nessuno come voi deve saper praticare amore e perdono.
 Non siate servi che per voi molto volete e poi nulla date a chi a voi chiede. Come fate, così vi sarà fatto. E vi sarà chiesto anche conto del come fanno gli altri, trascinati al bene o al male dal vostro esempio. Oh! che in verità se sarete santificatori possederete una gloria grandissima nei Cieli! Ma, ugualmente, se sarete pervertitori, o anche solamente infingardi nel santificare, sarete duramente puniti.
 Io ve lo dico ancora una volta. Se alcuno di voi non si sente di essere vittima della propria missione, se ne vada. Ma non manchi ad essa. E dico: non manchi nelle cose veramente rovinose alla propria e all’altrui formazione. E sappia avere amico Dio, avendo sempre in cuore perdono ai deboli. Allora ecco che ad ognun di voi che sappia perdonare sarà da Dio Padre dato perdono.

 6 La sosta è finita. Il tempo dei Tabernacoli è prossimo.
  Quelli ai quali ho parlato in disparte questa mattina, da domani andranno, precedendomi e annunciandomi alle popolazioni. Quelli che restano non si avviliscano. Ho trattenuto alcuni di loro per prudenziale motivo, non per spregio di loro. Essi staranno con Me, e presto li manderò come mando i settantadue primi. La messe è molta e gli operai saranno sempre pochi rispetto al bisogno. Vi sarà dunque lavoro per tutti. E non basta ancora. Perciò, senza gelosie, pregate il Padrone della messe che mandi sempre nuovi operai per la sua mietitura.
  Andate, intanto. Io e gli apostoli abbiamo in questi giorni di sosta completato la vostra istruzione sul lavoro che avete da fare, ripetendo[86] quello che Io dissi prima di mandare i dodici.
  Uno fra voi mi ha chiesto: “Ma come guarirò in tuo Nome?”. Curate sempre prima lo spirito. Promettete agli infermi il Regno di Dio se sapranno credere in Me e, vista in essi la fede, comandate al morbo di andarsene, ed esso se ne andrà. E così fate per i malati dello spirito. Accendete per prima cosa la fede. Comunicate con la parola sicura la speranza. Io sopraggiungerò a mettere in essi la divina carità, così come a voi l’ho messa in cuore dopo che in Me avete creduto e nella misericordia avete sperato. E non abbiate paura né degli uomini né del demonio. Non vi faranno male. Le uniche cose di cui dovete temere sono la sensualità, la superbia, l’avarizia. Per esse potrete consegnarvi a Satana e agli uomini-satana, ché ci sono essi pure.
  Andate, dunque, precedendomi per le vie del Giordano. E, giunti a Gerusalemme, andate a raggiungere i pastori nella valle di Betlemme e con essi venite a Me nel posto che sapete, e insieme celebreremo la festa santa, tornando poi più corroborati che mai al nostro ministero.
  Andate con pace. Io vi benedico nel Nome santo del Signore».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Gv 1, 47-51: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Vangelo Novus Ordo Gv 1, 47-51
Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c’è falsità». Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto l’albero di fichi». Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele!». Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto l’albero di fichi, tu credi? Vedrai cose più grandi di queste!».
Poi gli disse: «In verità, in verità io vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
” Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sopra il Figlio dell’uomo”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. L. A Betsaida nella casa di Pietro. L’incontro con Filippo e Natanaele.

   15 ottobre 1944

 1 Più tardi (ore 9,30) devo descrivere questo.

   Giovanni bussa alla porta della casa dove è ospitato Gesù. Si affaccia una donna e, vedendo chi è, chiama Gesù.
   Si salutano con saluto di pace. E poi: «Sei venuto sollecito, Giovanni» dice Gesù.
   «Sono venuto a dirti che Simon Pietro ti prega di passare da Betsaida. Ha parlato di Te a molti… Non abbiamo pescato questa notte. Abbiamo pregato, come sappiamo farlo, e abbiamo rinunciato al lucro perché… il sabato ancora non era finito. E questa mattina siamo andati per le vie dicendo di Te. Vi è gente che vorrebbe udirti… Vieni, Maestro?».
   «Vengo. Per quanto Io debba andare a Nazareth prima che a Gerusalemme».
   «Ti porterà da Betsaida a Tiberiade Pietro con la sua barca. Farai anche più presto».
   «Andiamo, dunque».                 
   Gesù prende mantello e bisaccia. Ma Giovanni gli prende quest’ultima. E se ne vanno dopo aver salutato la padrona di casa.

 2 La visione mi mostra l’uscita dal paese e il principio del viaggio verso Betsaida. Ma non odo discorsi, anzi la visione ha una interruzione e riprende all’entrata di Betsaida. Comprendo che è questa città perché vedo Pietro, Andrea e Giacomo, e con loro delle donne, che attendono Gesù all’inizio dell’abitato.
   «La pace sia con voi. Eccomi».
   «Grazie, Maestro, per noi e per chi attende. Non è sabato, ma non le dirai le tue parole a chi aspetta di udirti?».
   «Si, Pietro. Le dirò. Nella tua casa».
Pietro è gongolante: «Vieni, allora. Questa è la moglie mia e questa la madre di Giovanni e queste amiche loro. Ma anche altri ti attendono: parenti e amici nostri».
   «Avvertili che partirò a sera e prima parlerò loro».
Ho lasciato di dire che, partiti da Cafarnao al tramonto, li ho visti giungere a Betsaida al mattino.
   «Maestro… io ti prego. Sosta una notte nella mia casa. Lungo il cammino per Gerusalemme, anche se io te lo abbrevio sino a Tiberiade con la barca. Povera la casa mia, ma onesta e amica. Resta con noi questa notte».
   Gesù guarda Pietro e gli altri, che sono tutti in attesa. Li guarda scrutatore. Poi sorride e dice: «Si».
   Nuova gioia di Pietro.
   Della gente guarda dalle porte e ammicca. Un uomo chiama a nome Giacomo e gli parla piano additando Gesù. Giacomo annuisce e l’uomo va a confabulare con altri fermi su un crocevia.
   Entrano nella casa di Pietro. Una cucina vasta e fumosa. In un angolo, reti e canapi e ceste da pesca. In mezzo, il focolare largo e basso, per ora spento. Dalle due porte opposte si vede la via e l’orticello col fico e la vite. Oltre la via, il cerulo muovere del lago. Oltre l’orticello, il muretto scuro di un’altra casa.
   «Ti offro quanto ho, Maestro, e come so… »
   «Meglio e più non potresti, perché mi offri con amore».
   Danno a Gesù acqua per rinfrescarsi e poi pane e ulive. Gesù gusta pochi bocconi, tanto per mostrare che accetta, poi respinge ringraziando.
Dei bambini curiosano dall’orto e dalla via. Ma non so se siano figli di Pietro. So solo che lui fa gli occhiacci per tenere indietro i piccoli invadenti. Gesù sorride e dice: «Lasciali fare».
   «Maestro, vuoi riposare? Li vi è la mia stanza, là quella di Andrea. Scegli. Non faremo rumore mentre riposi».
   «Avrai pure una terrazza?».
   «Si, e la vite, per quanto sia ancor quasi nuda, vi fa un poco d’ombra».
   «Conducimi in essa. Preferisco riposare lassù. Penserò e pregherò».
   «Come vuoi. Vieni».
   Dall’orticello una scaletta sale al tetto, che è una terrazza limitata da un basso muretto. Anche qui, reti e canapi. Ma quanta luce di cielo e quanto azzurro di lago!
   Gesù siede su uno sgabello con le spalle appoggiate al muretto. Pietro armeggia con una vela, che stende sopra e a fianco della vite per fare un riparo al sole. Vi è brezza e silenzio. Gesù visibilmente ne gode.
   «Io vado, Maestro».
   «Va’. Tu e Giovanni andate a dire che al tramonto, qui, parlerò».
   Gesù resta solo e prega a lungo. Fuor che due coppie di colombi, che vanno e vengono dai nidi, e un cinguettio di passeri, non c’è rumore o vivente intorno a Gesù che prega. Le ore passano calme e serene. 

 3 Poi Gesù si alza, gira per la terrazza, guarda il lago, guarda e sorride a dei bambini che giocano sulla via e che gli sorridono, guarda sulla via, verso la piazzetta che è a un cento metri dalla casa. Poi scende. Si affaccia alla cucina: «Donna, Io vado a passeggiare sulla riva».
   Esce e va infatti sulla riva, presso i bambini. Li interroga: «Che fate?».
   «Volevamo giocare alla guerra. Ma lui non vuole e allora si gioca alla pesca».
   Il «lui» che non vuole è un ometto gracilino, ma dal viso luminosissimo. Forse sa che, gracile come è, le buscherebbe dagli altri nel fare «la guerra» e perciò perora la pace.
   Ma Gesù ne trae spunto per parlare a quei bambini: «Lui ha ragione. La guerra è castigo di Dio per punizione degli uomini, e segno che l’uomo non è più vero figlio di Dio. Quando l’Altissimo creò il mondo, fece tutte le cose: il sole, il mare, le stelle, i fiumi, le piante, gli animali, ma non fece le armi. Creò l’uomo e gli dette occhi perché avesse sguardi d’amore, bocca per dire parole d’amore, udito per udirle, mani per dare soccorsi e carezze, piedi per correre veloce dal fratello bisognoso, e cuore capace d’amare. Dette all’uomo intelligenza, parola, affetti, gusti. Ma non dette l’odio. Perché? Perché l’uomo, creatura di Dio, doveva essere amore come Amore è Dio. Se l’uomo fosse rimasto creatura di Dio, nell’amore sarebbe rimasto, e guerra e morte non avrebbe conosciuto la famiglia umana».
   «Ma lui la guerra non la vuol fare perché perde sempre» (avevo indovinato).
   Gesù sorride e dice: «Non bisogna non volere quello che a noi nuoce perché ci nuoce. Bisogna non volere una cosa quando nuoce a tutti. Se uno dice: “Io non voglio questo perché ci perdo”, è egoista. Invece il buon figlio di Dio dice: “Fratelli, io so che vincerei, ma vi dico: non facciamo questo perché voi ne avreste danno”. Oh! come costui ha compreso il precetto principale! Chi me lo sa dire?».
   In coro le undici bocche dicono: «Amerai il tuo Dio con tutto te stesso e il tuo prossimo come te stesso».
   «Oh! siete dei bravi fanciulli. 

 4 Andate a scuola tutti?».
   «Si».
   «Chi è il più bravo?».
   «Lui». È il gracilino che non vuol fare alla guerra.
   «Come ti chiami?».
   «Gioele».
   «Grande nome! Egli dice: (Gioele 4, 10; e dai versetti successivi sono prese le immagini del giudizio) “… il debole dica: ‘ Son forte!’ “Ma in che: forte? Nella legge del Dio vero, per essere fra quelli che Egli nella valle della Decisione giudicherà come santi di Lui. Ma già il giudizio è vicino. Non nella valle della Decisione, ma sul monte della Redenzione. Là, fra sole e luna oscurati di orrore, e stelle tremanti pianto di pietà, saranno giudicati i figli della Luce dai figli delle Tenebre. E tutto Israele saprà che il suo Dio è venuto. Felici quelli che l’avranno riconosciuto. A loro miele e latte e acque chiare scenderanno in cuore e le spine diverranno eterne rose. Chi di voi vuole esser fra quelli che saranno giudicati santi da Dio?».
   «Io! Io! Io!».
   «Amerete allora il Messia?».
   «Sì! Si! Te! Te! Te amiamo! Lo sappiamo chi sei! Lo hanno detto Simone e Giacomo, e le mamme nostre l’han detto. Pigliaci con Te!».
   «In verità vi prenderò se sarete buoni. Mai più parole brutte, mai più prepotenze, mai più risse, mai più male risposte ai genitori. Preghiera, studio, lavoro, ubbidienza. E Io vi amerò e verrò con voi».
   I bambini sono tutti a cerchio intorno a Gesù. Pare una corolla variopinta, stretta intorno ad un lungo pistillo azzurro cupo.

 5 Un uomo anzianotto si è avvicinato curioso. Gesù si volge, per carezzare un bambino che gli tira la veste, e lo vede. Lo fissa intensamente. Quello saluta arrossendo, ma non dice altro.
   «Vieni! Seguimi!».
   «Si, Maestro».
   Gesù benedice i bambini e a fianco di Filippo (lo chiama a nome) torna a casa. Si siedono nell’orticello.
   «Vuoi esser mio discepolo?».
   «Lo voglio… e non oso sperare d’esserlo».
   «Io ti ho chiamato».
   «Lo sono, allora. Eccomi».
   «Sapevi di Me?».
   «Me ne ha parlato Andrea. Mi ha detto: ” Quello che tu sospiravi è venuto “. Perché Andrea sapeva che io sospiravo il Messia».
   «Non è delusa la tua attesa. Egli ti è davanti».
   «Mio Maestro e Dio!».
   «Sei un israelita di retta intenzione. Per questo mi manifesto a te.

 6 Un altro tuo amico aspetta, lui pure sincero israelita. Va’ a dirgli: “Abbiamo trovato Gesù di Nazaret, figlio di Giuseppe della stirpe di Davide, Colui di cui hanno detto Mosè e i Profeti “. Va’».
   Gesù resta solo sinché torna Filippo con Natanaele Bartolomeo.
   «Ecco un vero israelita in cui non è frode. La pace a te, Natanaele».
   «Come mi conosci?».
   «Prima che Filippo venisse a chiamarti, Io ti ho visto sotto al fico».
   «Maestro, Tu sei il Figlio di Dio, Tu sei il Re d’Israele!».
   «Perché ho detto di averti visto, mentre pensavi sotto al fico, tu credi? Vedrai cose ben più grandi di questa. In verità vi dico che i Cieli sono aperti e voi, per la fede, vedrete gli angeli scendere e salire sopra il Figlio dell’uomo: Io che ti parlo».
   «Maestro! Io non sono degno di tanto favore!».
   «Credi in Me e sarai degno del Cielo. Vuoi credere?».
   «Voglio, Maestro».

 7 La visione ha un arresto… e riprende sulla terrazza piena di gente; altra gente è nell’orticello di Pietro. Gesù parla.
   «Pace agli uomini di buona volontà. Pace e benedizione alle loro case, alle loro donne, ai loro bambini. La grazia e la luce di Dio regni in esse e nei cuori che l’abitano.
Voi avete desiderato di udirmi. La Parola parla. Parla agli onesti con gioia, parla ai disonesti con dolore, parla ai santi e ai puri con diletto, parla ai peccatori con pietà. Non si nega. È venuta per effondersi come fiume che irriga terre bisognose d’acqua, alle quali porta ristoro d’onde e nutrimento di limo.
   Voi volete sapere quali cose si richiedono per esser discepoli della Parola di Dio, del Messia, Verbo del Padre, che viene a radunare Israele perché rioda le parole del Decalogo santo e immutabile e si santifichi in esse per esser già mondo, quanto può l’uomo di per sé farlo, per l’ora della Redenzione e del Regno.
   Ecco. Io dico ai sordi, ai ciechi, ai muti, ai lebbrosi, ai paralitici, ai morti: “Sorgete, siate guariti, risorgete, camminate, si aprano in voi i fiumi della luce, della parola, del suono, perché possiate vedere, udire, dire di Me”. Ma più che ai corpi Io dico questo agli spiriti vostri. Uomini di buona volontà, venite a Me senza timore. Se lo spirito è leso, Io lo risano. Se malato, Io lo guarisco. Se morto, Io lo risuscito. Voglio solo la vostra buona volontà.
   Difficile ciò che vi chiedo? No. Io non vi impongo i cento e cento e cento precetti dei rabbini. Io vi dico: seguite il Decalogo. La Legge è una e immutabile. Molti secoli sono passati dall’ora in cui essa fu data bella, pura, fresca, come creatura appena nata, come rosa appena aperta sullo stelo. Semplice, netta, dolce a seguirsi. Nei secoli le colpe e le tendenze l’hanno complicata con leggi e leggi minori, con pesi e restrizioni, con troppe penose clausole. Io vi riporto alla Legge così come l’Altissimo l’ha data. Ma, ve ne prego per vostro bene, ricevetela col cuor sincero dei veri israeliti di allora.
   Voi mormorate, più in cuor vostro che col labbro, che la colpa, più che in voi, umili, è in alto. Lo so. Nel Deuteronomio è detto tutto quanto va fatto, né era necessario di più. Ma non giudicate chi fece, per gli altri, non per sé. Voi fate ciò che Dio dice. E sopra tutto sforzatevi ad esser perfetti nei due precetti principali. Se amerete Dio con tutto voi stessi, non peccherete, perché il peccato è dolore dato a Dio. Chi ama non vuol dare dolore. Se amerete il prossimo come voi stessi, non sarete che figli rispettosi per i genitori, sposi fedeli ai consorti, uomini onesti nei commerci, senza violenze per i nemici, senza menzogna nel deporre, senza invidia verso chi ha, senza fomite di lussuria verso l’altrui donna. Non volendo fare agli altri ciò che non vorreste fatto a voi, non ruberete, non ammazzerete, non calunnierete, non entrerete come cuculi nel nido altrui.
   Ma anzi Io vi dico: “Spingete alla perfezione la vostra ubbidienza ai due precetti d’amore: amate anche i vostri nemici”.
   Oh! come vi amerà l’Altissimo che tanto ama l’uomo, divenuto a Lui nemico per la colpa d’origine e per i peccati individuali, da mandare ad esso il Redentore, l’Agnello che è il Figlio suo, Io che vi parlo, il Messia promesso per redimervi da ogni colpa, se voi saprete amare come Lui.
   Amate. L’amore vi sia scala per cui, angeli divenuti, salirete, come vide Giacobbe, sino al Cielo, udendo il Padre dire, a tutti e a ognuno: “Io sarò tuo protettore dovunque andrai e ti ricondurrò a questo paese: al Cielo, al Regno eterno “.
   La pace a voi».

 8 La gente ha parole di approvazione commossa e se ne va lentamente. Restano Pietro, Andrea, Giacomo, Giovanni, Filippo e Bartolomeo.
   «Parti domani, Maestro?».
   «Domani all’alba, se non ti rincresce».
   «Rincrescere che Tu vada, si. Ma rincrescermi l’ora, no. È anzi propizia».
   «Pescherai?».
   «Questa notte a prima luna».
   «Hai fatto bene, Simon Pietro, a non pescare la notte scorsa. Ancor non era finito il sabato. Nehemia, nelle sue riforme, volle che in Giuda fosse rispettato il sabato (Neemia 13, 15-22). Anche ora troppa gente di sabato pigia agli strettoi, porta fasci, carica vino e frutta, e vende e compra pesci e agnelli. Avete sei giorni per questo. Il sabato è del Signore. Solo una cosa potete fare di sabato: bontà al prossimo vostro. Ma il lucro deve essere assolutamente escluso da questo aiuto. Chi viola per lucro il sabato non può aver che castigo da Dio. Fa utile? Lo sconterà con perdite negli altri sei giorni. Non fa utile? Ha faticato invano il corpo, non concedendogli quel riposo che l’Intelligenza ha stabilito per esso, alterandosi con ira lo spirito per aver inutilmente faticato, giungendo a imprecare. Mentre il giorno di Dio va passato col cuore unito a Dio in dolce preghiera d’amore. Bisogna esser fedeli in tutto».
   «Ma… gli scribi e i dottori, che tanto sono severi con noi…, non lavorano in sabato, non danno neppure un pane al prossimo per non fare la fatica di porgerlo… ma l’usura la fanno anche in sabato. Perché non è lavoro materiale, si può fare usura in sabato?».
   «No. Mai. Né in sabato né in altro giorno. Chi fa usura è disonesto e crudele».
   «Gli scribi e i farisei, allora… »
   «Simone, non giudicare. Tu non fare».
   «Ma ho occhi per vedere… »
   «Vi è il male solo da vedere, Simone?».
   «No, Maestro».
   «E allora perché guardare solo il male?».
   «Hai ragione, Maestro».

 9 «Allora domani all’alba partirò con Giovanni».
   «Maestro… »
   «Simone, che hai?».
   «Maestro… vai a Gerusalemme?».
   «Lo sai».
   «Anche io ci vado per la Pasqua… e anche Andrea e Giacomo»
   «Ebbene?… Vuoi dire che vorresti venire con Me. E la pesca? E il guadagno? Mi hai detto che ti piace aver denaro, e Io starò via molti giorni. Prima vado dalla Madre. E ci andrò al ritorno. Mi fermerò a predicare. Come farai?… »
   Pietro è perplesso, combattuto… ma poi decide: «Per me… ci vengo. Preferisco Te al denaro!».
   «Anche io vengo».
   «E anche io».
   «E noi pure, vero, Filippo?».
   «Venite, allora. Mi aiuterete».
   «Oh!…» Pietro è fulminato all’idea di aiutare Gesù. «Come faremo?».
   «Ve lo dirò. Non avrete che fare quanto dico per far bene. L’ubbidiente fa sempre bene. Adesso pregheremo e poi ognuno andrà alle sue mansioni».
   «Che farai Tu, Maestro?». 
   «Pregherò ancora. Sono la Luce del mondo, ma sono anche il Figlio dell’uomo. Devo perciò sempre attingere alla Luce per esser l’Uomo che redime l’uomo. Preghiamo». 
   Gesù dice un salmo. Quello che comincia: «Chi riposa nell’aiuto dell’Altissimo vivrà sotto la protezione del Dio del Cielo. Dirà al Signore: “Tu sei il mio protettore, il mio rifugio. È il mio Dio, in Lui la mia speranza. Egli mi liberò dal laccio dei cacciatori e dalle aspre parole ” ecc. ecc.». Lo trovo nel libro 4°. È il secondo del libro 4, mi pare il numero 90 (se leggo bene il numero romano). (Perché la Bibbia usata da Maria Valtorta porta l’antica suddivisione in cinque libri della raccolta dei Salmi. Il secondo Salmo del quarto libro è il Salmo 90, divenuto Salmo 91 nella numerazione delle versioni moderne).
   La visione cessa così.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 9, 51-56:«Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò.

Vangelo Novus Ordo Lc 9, 51-56
Dal Vangelo secondo Luca

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé.
Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme.
Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
” Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé”.

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. DLXXV. Cattive accoglienze a Tersa. Estremo tentativo di redimere Giuda Iscariota.

   5 marzo 1947.

 1 Tersa è talmente circondata da uliveti rigogliosi che occorre esserle ben vicino per accorgersi che la città è lì. Una cinta di ortaglie di una fertilità splendida fa da ultimo paravento alle case. Negli orti radicchi, insalate, legumi, giovani piante di cucurbitacee, alberi da frutto, pergole, fondono e intrecciano i loro verdi diversi e i loro fiori promettenti frutto, o i frutticini promettenti delizie. Il piccolo fior della vite e quello degli ulivi più precoci piovono, sotto il passar di un venticello piuttosto vibrato, a spruzzar di una neve bianco-verde il suolo. 
   Da dietro un velario di canne e di salci, cresciuti presso una gora priva d’acqua ma dal fondo umido ancora, udendo lo scalpiccio dei sopravvenuti emergono gli otto apostoli mandati avanti prima. Sono visibilmente inquieti e addolorati, e fanno cenno di fermarsi. Intanto corrono avanti. Quando sono vicini tanto da poter essere sentiti senza aver bisogno di urlare, dicono: «Via! Via! Indietro, per la campagna. Non si può entrare nella città. Per poco ci lapidano. Venite via. Là, in quel folto parleremo…». Spingono indietro, giù per la gora asciutta, Gesù, i tre apostoli, il ragazzo, le donne, smaniosi di allontanarsi senza esser visti, e dicono: «Che non ci vedano qui. Andiamo! Andiamo». 
   Inutilmente Gesù, Giuda e i due figli di Zebedeo cercano di sapere cosa è accaduto. Inutilmente dicono: «Ma Giuda di Simone? Ma Elisa?».
   Gli otto sono inesorabili. Camminando fra l’intrico di steli e di piante acquatiche, segati nei piedi dai falaschi, urtati nel viso dai salci e dalle canne, scivolando sulla moticcia del fondo, aggrappandosi alle erbe, puntellandosi ai margini e infangandosi a dovere, si allontanano così, premuti alle spalle dagli otto, che camminano con il capo quasi all’indietro per vedere se da Tersa esce qualcuno ad inseguirli. Ma sulla via non c’è che il sole, che inizia il tramonto, e un magro cane vagante. 

 2 Finalmente sono presso un macchione di rovi che delimitano una proprietà. Dietro al macchione, un campo di lino ondula al vento i suoi alti steli che si incielano dei primi fiori. 
   «Qui, qui dentro. Stando seduti nessuno ci vedrà, e quando sarà sera andremo…», dice Pietro asciugandosi il sudore… 
   «Dove?», chiede Giuda d’Alfeo. «Abbiamo le donne». 
   «In qualche luogo andremo. Del resto i prati sono pieni di fieni segati. Sarà un letto anche questo. Faremo
tende alle donne coi nostri mantelli e noi veglieremo». 
   «Sì. Basta non esser visti e all’alba scendere al Giordano Avevi ragione, Maestro, a non volere la strada di Samaria. Meglio i ladroni, per noi poveri, ai samaritani!…», dice Bartolomeo affannato ancora. 
   «Ma che è successo insomma? È Giuda che ha fatto qualche…», dice il Taddeo. 
   Lo interrompe Tommaso: «Giuda le ha prese di certo. Mi spiace per Elisa…». 
   «Hai visto Giuda?». 
   «Io no. Ma è facile esser profeti. Se si è detto tuo apostolo, certo è stato picchiato.

 3 Maestro, non ti vogliono». 
   «Sì. Sono tutti rivoltati contro Te». 
   «Veri samaritani sono». 
   Parlano tutti insieme. 
   Gesù impone silenzio a tutti e dice: «Uno solo parli. Tu, Simone Zelote, che sei il più calmo». 
   «Signore, è presto detto. Noi entrammo in città e nessuno ci disturbò sinché non seppero chi siamo, sinché ci credettero pellegrini di passaggio. Ma quando chiedemmo – lo dovevamo pur fare! – se un uomo giovane, alto, bruno, vestito di rosso e con un talet a righe rosse e bianche, e una donna anziana, magra, coi capelli più bianchi che neri e una veste bigia molto scura, erano entrati in città e avevano cercato del Maestro galileo e dei suoi compagni, allora si inquietarono subito… Forse non dovevamo parlare di Te. Abbiamo certo sbagliato… Ma negli altri luoghi fummo accolti sempre così bene che… Non si capisce cosa è accaduto!… Sembrano vipere, quelli che soltanto tre giorni fa erano verso Te deferenti!…». 
   Lo interrompe il Taddeo: «Lavoro di giudei…». 
   «Non credo. Non lo credo per i rimproveri che ci fecero e per le minacce. Io credo… Anzi sono, siamo sicuri che è causa dell’ira samaritana Gesù che ha respinto la loro offerta di protezione. Urlavano: “Via! Via! Voi e il vostro Maestro! Vuole andare ad adorare sul Moria. E vada, e muoia Lui e tutti i suoi. Non c’è posto fra noi per quelli che non ci tengono per amici, ma soltanto per servi. Non vogliamo altre noie se non c’è compenso di utili. Pietre e non pane per il Galileo. I cani ad assalirlo, non le case ad accoglierlo”. Così, e più di così, dicevano. E poiché noi insistevamo per sapere almeno che era stato di Giuda, hanno preso pietre per colpirci e veramente hanno lanciato i cani. E urlavano fra loro: “Mettiamoci presso a tutte le entrate. Se Egli viene ci vendicheremo”. Noi siamo fuggiti. Una donna – c’è sempre chi è buono anche fra i malvagi – ci spinse nel suo orto e da lì ci condusse per una viottola fra gli orti sino alla gora che era senza l’acqua, avendo irrigato avanti il sabato. E ci nascose lì. E poi ci promise di farci sapere di Giuda. Ma non è più venuta. Attendiamola però qui. Perché ha detto che, se non ci troverà nella gora, qui verrà». 

 4 I commenti sono molti. Chi continua ad accusare i giudei. Chi fa un lieve rimprovero a Gesù, un rimprovero nascosto nelle parole: «Tu hai parlato troppo chiaramente a Sichem e poi ti sei allontanato. In questi tre giorni essi hanno deciso che è inutile illudersi e danneggiarsi per uno che non li accontenta… ti cacciano…». 
   Gesù risponde: «Non mi pento di aver detto la verità e di fare il mio dovere. Ora non comprendono. Fra poco comprenderanno la giustizia mia e mi venereranno più che se non l’avessi avuta, e più grande dell’amore per loro». 
   «Ecco! Ecco la donna là sulla strada. Osa farsi vedere…», dice Andrea. 
   «Non ci tradirà, eh?», dice sospettoso Bartolomeo. 
   «È sola!». 
   «Potrebbe esser seguita da gente nascosta nella gora…». 
   Ma la donna, che avanza con un cesto sul capo, prosegue superando i campi di lino, dove sono in attesa Gesù e gli apostoli, e poi prende un sentierino e sparisce dalla vista… riapparendo improvvisa alle spalle degli attendenti, che si voltano quasi impauriti sentendo frusciare gli steli. 
   La donna parla agli otto che conosce: «Ecco! Perdonate se ho fatto attendere molto… Non volevo essere seguita. Ho detto che andavo da mia madre… So… E qui ho portato ristoro per voi. Il Maestro… Quale è? Vorrei venerarlo». 
   «Quello è il Maestro». 
   La donna, che ha deposto il suo cesto, si prostra dicendo: «Perdona alla colpa dei miei concittadini. Se non ci fosse stato chi ha aizzato… Ma sul tuo rifiuto hanno lavorato in molti…». 
   «Non ho rancore, donna.

 5 Alzati e parla. Sai del mio apostolo e della donna che era con lui?». 
   «Sì. Cacciati come cani, sono fuor dalla città, dall’altro lato, in attesa della notte. Volevano tornare indietro, verso Enon, a cercarti. Volevano venire qui, sapendo che qui erano i compagni. Ho detto che no, non lo facessero. Che stessero quieti, che io vi condurrò a loro. E lo farò, sol che cali il crepuscolo. Per buona sorte lo sposo mio è assente e sono libera di lasciar la casa. Vi condurrò da una mia sorella sposata nelle terre del piano. Dormirete là, senza dire chi siete, non per Merod ma per gli uomini che sono con lei. Non sono samaritani, della Decapoli sono, qui stabiliti. Ma è sempre bene…». 
   «Dio ti compensi. I due discepoli hanno avuto ferite?». 
   «Un poco l’uomo. Nulla la donna. E certo l’Altissimo la protesse perché ella, fiera, protesse suo figlio della sua persona quando i cittadini dettero mano alle pietre. Oh! che forte donna! Gridava: “Così colpite un che non vi ha offeso? E non rispettate me, che lo difendo e che madre sono? Non avete madri voi tutti, che non rispettate chi ha generato? Siete nati da una lupa o vi siete fatti col fango ed il letame?”, e guardava gli assalitori tenendo aperto il mantello a difesa dell’uomo, e intanto arretrava, spingendolo fuor dalla città… E anche ora lo conforta dicendo: “Voglia l’Altissimo, o mio Giuda, di questo tuo sangue sparso per il Maestro farne il balsamo del tuo cuore”. Ma è poca ferita. Forse l’uomo è più spaurito che dolente. Ma ora prendete e mangiate. Qui è latte munto da poco, per le donne, e pane con formaggi e frutta. Non ho potuto cuocere carni. Avrei tardato troppo. E qui è vino per gli uomini. Mangiate mentre scende la sera. Poi andremo per vie sicure dai due, e poi da Merod». 
   «Dio ti compensi ancora», dice Gesù e offre e spartisce il cibo mettendone da parte per i due lontani. 
   «No. No. Ad essi ho pensato io, portando uova e pane sotto le vesti e un poco di vino e olio per le ferite. Questo è per voi. Mangiate, ché io veglio la via…». 

 6 Mangiano, ma lo sdegno divora gli uomini e l’accasciamento fa svogliate le donne. Tutte, meno Maria di Magdala, alla quale ciò che per le altre è paura o avvilimento fa sempre l’effetto di un liquore sferzante i nervi e il coraggio. I suoi occhi lampeggiano verso la città ostile. Solo la presenza di Gesù, che ha già detto di non aver rancore, la trattiene da parole fiere. E non potendo parlare né agire, scarica la sua ira sull’innocente pane, che addenta in maniera così significativa che lo Zelote non può trattenersi dal dirle sorridendo: «Buon per quei di Tersa che non possano cader fra le tue mani! Sembri una fiera tenuta in catene, Maria!». 
   «Lo sono. Hai visto giusto. E davanti agli occhi di Dio ha più valore questo mio trattenermi dall’entrare là, come essi meritano, che non quanto feci sin qui per espiare». 
   «Buona, Maria! Dio ti ha perdonato colpe più grandi della loro». 
   «È vero. Essi hanno offeso Te, mio Dio, una volta e per suggestione altrui. Io molte… e per volontà mia propria… e non posso essere intransigente e superba…». Riabbassa gli occhi sul suo pane e due lacrime cadono sul suo pane. 
   Marta le posa la mano in grembo dicendole sottovoce: «Dio ti ha perdonata. Non ti avvilire più… Ricorda ciò che avesti: Lazzaro nostro…». 
   «Non è avvilimento. È riconoscenza. È emozione… Ed è anche constatazione che io sono ancor priva di quella misericordia che pur ricevetti così ampia… Perdonami, Rabboni!», dice alzando i suoi splendidi occhi, che l’umiltà rifà dolci. 
   «Il perdono mai è negato a chi è umile di cuore, Maria». 

 7 La sera scende, tingendo l’aria di un delicato sfumar di viola. Le cose un poco lontane si confondono. Gli steli del lino, prima visibili nella loro grazia, ora si unificano in un’unica massa scura. Tacciono gli uccelli fra le fronde. Si accende la prima stella. Frinisce il primo grillo fra l’erba. È sera. 
   «Possiamo andare. Qui, fra i campi, non saremo visti. Venite sicuri. Non tradisco. Non faccio per compenso. Chiedo solo pietà dal Cielo, ché tutti di pietà abbiamo bisogno», dice la donna sospirando. 
   Si alzano. Si avviano dietro di lei. Passano al largo di Tersa, fra campi e ortaglie semioscure, ma non tanto da non vedere uomini all’imbocco delle strade, intorno a dei fuochi… 
   «Sono in agguato di noi…», dice Matteo. 
   «Maledetti!», fischia fra i denti Filippo. 
   Pietro non parla, ma agita le braccia verso il cielo in una muta invocazione o protesta. 
   Ma Giacomo e Giovanni di Zebedeo, che si sono parlati fitto fitto, là, un poco avanti degli altri, tornano indietro e dicono: «Maestro, se Tu per la tua perfezione d’amore non vuoi ricorrere al castigo, vuoi che noi lo si faccia? Vuoi che diciamo al fuoco del Cielo di discendere e consumarli questi peccatori? Tu ci hai detto che tutto possiamo di ciò che chiediamo con fede e…». 
   Gesù, che camminava un poco curvo, come stanco, si raddrizza di scatto e li fulmina con due sguardi che balenano alla luce della luna. I due arretrano, tacendo impauriti davanti a quello sguardo. Gesù, sempre fissan-doli così, dice: «Voi non sapete di quale spirito siete. Il Figlio dell’uomo non è venuto a perdere le anime, ma a salvarle. Non ricordate  ciò  che  vi  ho  detto?  Ho  detto  nella  parabola del grano e del loglio: “Lasciate per ora che il grano e il loglio crescano insieme. Perché, a volerli separare ora, rischiereste di sbarbare col loglio anche il grano. Lasciateli perciò sino alla mietitura. Al tempo della messe dirò ai mietitori: raccogliete ora il loglio e legatelo in fasci per bruciarlo, e riponete il buon grano nel mio granaio”».

 8 Gesù ha già temperato il suo sdegno verso i due che, per una ira suscitata da amore per Lui, chiedevano di punire quelli di Tersa e che ora stanno a capo basso davanti a Lui. Li prende, uno a destra, uno a sinistra, per i gomiti, e si rimette in cammino guidandoli così e parlando a tutti, che si sono stretti intorno a Lui che si era fermato. «In verità vi dico che il tempo del mietere è vicino. La mia prima mietitura. E per molti non ci sarà la seconda. Ma – lode diamone all’Altissimo – qualcuno che non seppe divenire nel mio tempo spiga di buon grano, dopo la purificazione del Sacrificio pasquale rinascerà con un’anima nuova. Sino a quel giorno Io non infierirò su alcuno… Dopo sarà la giustizia…». 
   «Dopo la Pasqua?», chiede Pietro. 
   «No. Dopo il tempo. Non parlo di questi uomini, di ora. Io guardo i secoli futuri. L’uomo sempre si rinnova come le messi sui campi. E le raccolte si susseguono. E Io lascerò quel che abbisogna perché i futuri possano farsi grano buono. Se non lo vorranno, alla fine del mondo i miei angeli separeranno i logli dai grani buoni. Allora sarà l’eterno Giorno di Dio solo. Per ora, nel mondo è il giorno di Dio e di Satana. Il Primo seminante il Bene, il secondo gettando fra i semi di Dio i suoi dannati logli, i suoi scandali, le sue iniquità, i suoi semi suscitatori di iniquità e scandali. Perché sempre vi saranno quelli che eccitano contro Dio, come qui, con questi che, in verità, sono meno colpevoli di coloro che li eccitano al male». 
   «Maestro, ogni anno ci si purifica a Pasqua d’Azzimi, ma sempre si resta ciò che si era. Sarà forse diverso quest’anno?», chiede Matteo. 
   «Molto diverso». 
   «Perché? Spiegacelo». 
   «Domani… Domani, o quando saremo per la strada e con noi sarà anche Giuda di Simone, ve lo dirò». 
   «Oh! sì. Ce lo dirai e noi ci faremo più buoni… Intanto perdonaci, Gesù», dice Giovanni. 
   «Ben vi ho chiamati col giusto nome. Ma il tuono non fa male. La saetta, sì, può uccidere. Però il tuono molte volte preannuncia le saette. Così avviene a chi non leva ogni disordine contro l’amore dal suo spirito. Oggi domanda di poter punire. Domani punisce senza chiedere. Dopo domani punisce anche senza ragione. Il discendere è facile… Perciò vi dico di spogliarvi di ogni durezza verso il prossimo vostro. Fate come Io faccio e sarete sicuri di non sbagliare mai. Avete forse mai visto che Io mi vendichi di chi mi addolora?». 
   «No, Maestro. Tu…». 

 9 «Maestro! Maestro! Siamo qui. Io ed Elisa. Oh! Maestro, quanto affanno per Te! E quanta paura di morire…», dice Giuda di Keriot sbucando da dietro dei filari di vite e correndo a Gesù. Una benda gli fascia la fronte. Elisa lo segue più calma. 
   «Hai patito? Hai temuto di morire? Tanto ti è cara la vita?», chiede Gesù liberandosi da Giuda che lo abbraccia e piange. 
   «Non la vita. Temevo Dio. Morire senza il tuo perdono… Io ti offendo sempre. Tutti offendo. Anche questa… E lei mi ha risposto facendomi da madre. Colpevole mi sentivo e temevo la morte…». 
   «Oh! salutare timore se può farti santo! Ma Io ti perdono, sempre, tu lo sai, sol che tu abbia volontà di pentimento. E tu, Elisa? Hai perdonato?». 
   «È un grande fanciullo sfrenato. So compatire». 
   «Sei stata forte, Elisa. Lo so». 
   «Se essa non c’era! Non so se ti avrei rivisto, Maestro!». 
   «Tu vedi dunque che non per odio ma per amore ella era rimasta al tuo fianco… Non hai patito ferita, Elisa?». 
   «No, Maestro. Le pietre mi cadevano intorno senza farmi danno. Ma il cuore ha avuto molta ambascia pensando a Te…». 
   «Tutto è finito ormai. Seguiamo la donna che ci vuole condurre in una casa sicura».
   Si rimettono in cammino, prendendo una stradetta bianca di luna che va verso oriente. 

10 Gesù ha preso per un braccio l’Iscariota ed è avanti con lui. Dolcemente gli parla. Cerca di lavorare sul cuore scosso dalla passata paura del giudizio di Dio: «Tu vedi, Giuda, come è facile il morire. Sempre in agguato la morte intorno a noi. Tu vedi come ciò che pare trascurabile cosa quando siamo pieni di vita divenga grande, paurosamente grande cosa quando la morte ci sfiora. Ma perché voler avere queste paure, crearsele per trovarsele di fronte nel momento del morire, quando con una vita santa si può ignorare lo spavento del prossimo giudizio divino? Non ti pare che meriti vivere da giusti per avere un placido morire? Giuda, amico mio. La divina, paterna misericordia ha permesso questo avvenimento perché fosse un richiamo al tuo cuore. Sei ancora in tempo, Giuda… Perché non vuoi dare al tuo Maestro che sta per morire la gioia grande, grandissima di saperti tornato al Bene?». 
   «Ma mi puoi ancora perdonare, Gesù?». 
   «E così ti parlerei se non lo potessi? Come mi conosci ancora poco! Io ti conosco. So che sei come chi è abbrancato da una piovra gigante. Ma, se tu volessi, potresti liberarti ancora. Oh! soffriresti, certo. Strapparsi di dosso quelle catene che ti mordono e ti avvelenano, sarebbe dolore. Ma, dopo, quanta gioia, Giuda! Temi di non aver forza di reagire ai tuoi suggestionatori? Io posso assolverti in anticipo del peccato di trasgressione al rito pasquale… Tu sei un malato. Per i malati la Pasqua non è obbligatoria. Nessuno è più malato di te. Tu sei come un lebbroso. I lebbrosi non salgono a Gerusalemme, sinché sono tali. Credi, Giuda, che il comparire davanti al Signore con lo spirito immondo, quale lo hai tu, non è onorarlo, ma offenderlo. Bisogna prima…». 

11 «Perché allora non mi purifichi e guarisci?», chiede già duro, riottoso, Giuda. 
   «Non ti guarisco! Quando uno è malato cerca da sé la guarigione. A meno che non sia un fanciullino o uno stolto, che non sanno volere…». 
   «Trattami come tali persone. Trattami da stolto e provvedi Tu, a mia stessa insaputa». 
   «Non sarebbe giustizia, perché tu puoi volere. Tu sai ciò che è bene e ciò che è male per te. E non gioverebbe il mio guarirti senza la tua volontà di rimanere guarito». 
   «Dammi anche questa». 
   «Dartela? Importela, allora, una volontà buona? E il tuo libero arbitrio? Che diverrebbe, allora? Che sarebbe il tuo io di uomo, creatura libera? Succube?». 
   «Come sono succube di Satana, potrei esserlo di Dio!». 
   «Come mi ferisci, Giuda! Come mi trapassi il cuore! Ma per quello che mi fai, Io ti perdono… Succube di Satana, hai detto. Io non dicevo questa tremenda cosa…». 
   «Ma la pensavi, perché è vera e perché Tu la conosci, se è vero che Tu leggi nei cuori degli uomini. Se così è, Tu sai che io non sono più libero di me… Esso mi ha preso e…». 
   «No. Esso si è a te accostato, tentandoti, assaggiandoti, e tu lo hai accolto. Non c’è possessione se non c’è all’inizio un’adesione a qualche tentazione satanica. Il serpente insinua il capo fra le sbarre fitte messe a difesa dei cuori, ma non entrerebbe se l’uomo non gli allargasse un varco per ammirarne l’aspetto seduttore, per ascoltarlo, per seguirlo… Solo allora l’uomo diviene succube, posseduto, ma perché lo vuole. Anche Dio saetta dai Cieli le luci dolcissime del suo paterno amore, e le sue luci penetrano in noi. Meglio: Dio, a cui tutto è possibile, scende nel cuore degli uomini. È il suo diritto. Perché allora l’uomo, che sa divenire schiavo, succube dell’Orrendo, non sa farsi servo di Dio, anzi figlio di Dio, e scaccia il Padre suo santissimo? Non mi rispondi? Non mi dici perché hai preferito, voluto Satana a Dio? Ma pure saresti ancora in tempo a salvarti! 

12 Tu lo sai che Io vado a morire. Nessuno come te lo sa… Io non mi rifiuto dal morire… Vado. Vado alla morte perché la mia morte sarà la Vita per tanti. Perché non vuoi essere fra questi? Solo per te, amico mio, mio povero, malato amico, sarà inutile il mio morire?». 
   «Sarà inutile per tanti, non ti illudere. Faresti meglio a fuggire e a vivere lontano di qui, godere la vita, insegnare la tua dottrina, perché è buona, ma non sacrificarti». 
   «Insegnare la mia dottrina! Ma cosa insegnerei più di vero, se facessi il contrario di ciò che insegno? Che Maestro sarei se predicassi l’ubbidienza alla volontà di Dio e non la facessi, l’amore per gli uomini e poi non li amassi, la rinuncia alla carne e al mondo e poi amassi la carne mia e gli onori del mondo, il non dare scandalo e poi scandalizzassi non solo gli uomini ma gli angeli, e così via? Per te parla Satana in questo momento. Come ha parlato a Efraim. Come tante volte ha parlato e agito, attraverso a te, per turbare Me. Io le ho riconosciute tutte queste azioni di Satana, compiute con tuo mezzo, e non ti ho odiato, non ho avuto stanchezza di te, ma soltanto pena, infinita pena. Come una madre che sorvegli i progressi di un male che porta alla morte il suo figlio, Io ho guardato il progredire del male in te. Come un padre che non si fa rincrescere cosa alcuna pur di trovare i farmaci al suo figlio malato, Io non mi sono fatto rincrescere nulla per salvarti, ho superato ripugnanze, sdegni, amarezze, sconforti… Come un padre e una madre desolati, disillusi su ogni potere terreno, si volgono al Cielo per ottenere la vita del figlio, così Io ho gemuto e gemo implorando un miracolo che ti salvi, ti salvi, ti salvi sull’orlo dell’abisso che già frana sotto i tuoi piedi.

13 Giuda, guardami! Fra poco il mio Sangue sarà sparso per i peccati degli uomini. Non me ne resterà goccia. Lo beveranno le zolle, le pietre, le erbe, le vesti dei miei persecutori e le mie…, il legno, il ferro, le funi, le spine del nabacà… e lo beveranno gli spiriti che attendono salute… Solo tu non ne vuoi bere? Io, per te soltanto, lo darei tutto questo mio Sangue. Tu sei l’amico mio. Come si muore volentieri per l’amico! Per salvarlo! Si dice: “Io muoio. Ma io continuerò a vivere nell’amico al quale ho dato la vita”. Come una madre, come un padre che continuano a vivere nella loro prole anche dopo che sono spenti. Giuda, Io te ne supplico! Non chiedo altro in questa mia vigilia di morte. Al condannato anche i giudici, anche i nemici concedono un’ultima grazia, esaudiscono l’ultimo desiderio. Io ti chiedo di non dannarti. Non lo chiedo tanto al Cielo quanto a te, alla tua volontà… Pensa a tua madre, Giuda. Che sarà tua madre, dopo? Che, il nome della tua famiglia? Invoco al tuo orgoglio, questo è più che mai fiero, di difenderti contro il tuo disonore. Non disonorarti, Giuda. Pensa. Passeranno gli anni e i secoli, cadranno i regni e gli imperi, si illanguidiranno le stelle, muterà la configurazione della Terra, e tu sarai sempre Giuda, come Caino è sempre Caino, se tu persisti nel tuo peccato. Finiranno i secoli. E resterà soltanto Paradiso e Inferno, e in Paradiso e nell’Inferno, per gli uomini risorti e accolti con anima e corpo, in eterno, là dove è giusto che siano, tu sarai sempre Giuda, il maledetto, il colpevole più grande, se non ti ravvedi. Io scenderò a liberare gli spiriti dal Limbo, li trarrò a schiere dal Purgatorio, e tu… non ti potrò trarre dove Io sono… Giuda, Io vado a morire, felice vado, perché è venuta l’ora che da millenni attendevo, l’ora di riunire gli uomini al Padre loro. Molti non li riunirò. Ma il numero dei salvati che contemplerò nel morire mi consolerà dello strazio del morire inutilmente per tanti. Ma, Io te lo dico, sarà tremendo vederti fra questi, tu, mio apostolo, amico mio. Non mi dare l’inumano dolore!… Ti voglio salvare, Giuda! Salvare. 

14 Guarda. Noi scendiamo al fiume. Domani all’alba, quando ancora tutti dormono, noi lo passeremo, noi due, e tu andrai a Bozra, ad Arbela, ad Aera, dove vuoi. Tu sai le case dei discepoli. A Bozra cerca di Gioacchino e di Maria, la lebbrosa da Me guarita. Ti darò uno scritto per loro. Dirò che per la tua salute si esige un riposo quieto in aria diversa. È la verità, purtroppo, poiché tu sei malato nello spirito e l’aria di Gerusalemme ti sarebbe letale. Ma essi crederanno che tu lo sia nel corpo. Starai là sinché Io non te ne venga a trarre. Ai tuoi compagni penserò Io… Ma non venire a Gerusalemme. Vedi? Non ho voluto le donne, meno le più forti fra esse, e quelle che per diritto di madri devono essere presso i figli loro».  
   «Anche la mia?». 
   «No. Maria non sarà a Gerusalemme…». 
   «È madre di un apostolo essa pure e ti ha sempre onorato». 
   «Sì. E avrebbe diritto come le altre di stare vicino a Me, che ama con perfetta giustizia. Ma appunto per questo non ci sarà. Perché Io le ho detto di non esserci, ed ella sa ubbidire». 
   «Perché non deve esserci? Cosa in lei di diverso dalla madre dei tuoi fratelli e dei figli di Zebedeo?». 
   «Tu. E tu lo sai perché dico questo. Ma se tu mi ascolti, se vai a Bozra, Io manderò ad avvisare tua madre e te la farò accompagnare, perché ella, che è tanto buona, ti aiuti a guarire.

15 Credilo, noi soli ti amiamo così, senza misura. Tre sono che ti amano in Cielo: il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo, che ti hanno contemplato e che attendono il tuo volere per fare di te la gemma della Redenzione, la preda più grande strappata all’Abisso; e tre in Terra: Io, tua madre e mia Madre. Facci felici, Giuda! Noi del Cielo, noi della Terra, questi che ti amano di vero amore». 
   «Tu lo dici: tre soli sono che mi amano; gli altri… no». 
   «Non come noi. Ma tanto ti amano. Elisa ti ha difeso. Gli altri erano in affanno per te. Quando tu ci sei lontano, tutti ti hanno in cuore e il tuo nome è sulle labbra. Tu non conosci tutto l’amore che ti circonda. Il tuo oppressore te lo nasconde. Ma credi alla mia parola». 
   «Ti credo. E cercherò di farti contento. Ma voglio fare da me. Da me ho sbagliato, da me devo sapermi guarire dal male». 
   «Unicamente Dio può fare da sé. Questo tuo pensiero è di superbia. Nella superbia è ancora Satana. Sii umile, Giuda. Afferra questa mano che ti si offre amica. Rifugiati su questo cuore che ti si apre protettore. Qui, con Me, non ti potrebbe far del male Satana». 
   «Ho provato a stare con Te… Sono sempre più disceso… È inutile!». 
   «Non lo dire! Non lo dire! Respingi lo sconforto. Dio può tutto. Stringiti a Dio. Giuda! Giuda!». 
   «Taci! Che gli altri non sentano…». 
   «E ti preoccupi degli altri e non del tuo spirito? Misero Giuda!…». 

16 Gesù non parla più. Ma continua a stare al fianco dell’apostolo sinché la donna, che era avanti qualche metro, entra in una casa emersa da un folto d’ulivi. Allora dice Gesù al suo discepolo: «Io non dormirò questa notte. Pregherò per te e ti attenderò… Dio parli al tuo cuore. E tu ascoltalo… Resterò qui, dove sono ora, a pregare. Sino all’alba… Ricordalo». 
   Giuda non gli risponde. Sono sopraggiunti gli altri e le donne, e sostano tutti insieme in attesa che la samaritana ritorni. Non sta molto a tornare. È insieme ad un’altra donna che le somiglia e che li saluta dicendo: «Non ho molte stanze, perché già sono qui i segatori che per ora lavorano agli ulivi. Ma ho grande il granaio e molta paglia è in esso. Per le donne ho posto. Venite». 
   «Andate! Io resto qui in preghiera. La pace a voi tutti», dice Gesù. E mentre gli altri se ne vanno, Egli trattiene sua Madre dicendole: «Io resto a pregare per Giuda, Madre mia. Aiutami tu pure…». 
   «Ti aiuterò, Figlio mio. Rinasce forse in lui il volere?». 
   «No, Mamma. Ma noi dobbiamo fare come se… Il Cielo può tutto, Mamma!». 
   «Sì. E io posso ancora illudermi. Non Tu, Figlio mio. Tu sai. Santo Figlio mio! Ma io ti imiterò sempre. Va’ tranquillo, amor mio! Anche quando Tu non potrai più parlargli, perché egli ti fuggirà, io cercherò di condurtelo. E sol che il Padre santissimo ascolti il mio dolore… Mi lasci stare con Te, Gesù? Pregheremo insieme… e saranno tante ore da averti per me sola…». 
   «Resta, Mamma. Ti attendo qui». 
   Maria va lesta e lesta torna. 

17 Si siedono sulle loro sacche, ai piedi degli ulivi. Nel gran silenzio si sente il fruscio del fiume poco lontano, e il canto dei grilli sembra forte nel gran tacere della notte. Poi cantano gli usignoli. E ride una civetta. E piange un assiolo. E le stelle trasmigrano lente nel firmamento, regine, ora che la luna più non le offusca essendo già tramontata. E poi un gallo rompe l’aria cheta col suo squillante richiamo. Molto più lontano, appena percepibile, un altro gallo risponde. Poi di nuovo il silenzio, rotto da un arpeggiar di guazze, che cadono dalle tegole della prossima casa sul selciato che la contorna. E poi un fruscio nuovo fra le fronde, come perché scuotano l’umido notturno, e un isolato pispolio di uccello che si ridesta, e contemporaneamente un mutar del cielo, un ridestarsi della luce. È l’alba. E Giuda non è venuto… 
   Gesù guarda la Madre, bianca come un giglio contro l’ulivo scuro, e le dice: «Abbiamo pregato, Madre. La preghiera nostra Dio la userà…». 
   «Sì, Figlio mio. Sei pallido come la morte. Veramente la tua vitalità si è esalata tutta in questa notte per premere sulle porte dei Cieli e sui decreti di Dio!». 
   «Tu pure sei pallida, Madre. Grande è la tua fatica». 
   «Grande è il mio dolore per il tuo dolore». 

18 La porta della casa si apre cauta… Gesù trasale. Ma non è che la donna che li ha condotti, quella che esce senza fare rumore. Gesù sospira: «Ho sperato di essermi potuto sbagliare!». 
   La donna viene avanti col suo cesto vuoto. Vede Gesù. Lo saluta e proseguirebbe. Ma Egli la chiama. Le dice: «Il Signore di tutto ti compensi. Io pur vorrei, ma non ho nulla con Me». 
   «Nulla vorrei, Rabbi. Nessun compenso. Ma una cosa vorrei, pur non volendo denaro. E questa me la puoi dare!». 
   «Che, donna?». 
   «Che il cuore del mio sposo mutasse. E questo Tu lo puoi fare, perché Tu sei veramente il Santo di Dio». 
   «Va’ in pace. Ti sarà fatto come tu chiedi. Addio». 
   La donna se ne va lesta verso la sua casa, che deve essere ben triste. 
   Maria commenta: «Un’altra infelice. Per questo è buona!…». 

19 Si affaccia dal granaio la testa arruffata di Pietro e, dietro la sua, quella luminosa di Giovanni, e poi il profilo severo del Taddeo, e il volto brunastro dello Zelote, e il viso magro del giovinetto Beniamino… Tutti sono desti. Ecco dalla casa uscire prima di tutte Maria di Magdala, e dietro lei Niche, e poi le altre. Quando tutti sono riuniti e la donna che li ha ospitati ha già portato un secchiello di latte ancor schiumoso, appare l’Iscariota. Non ha più la benda. Ma il livido della percossa gli tinge metà della fronte, e l’occhio è ancor più cupo nel cerchio violaceo. 
   Gesù lo guarda. Giuda guarda Gesù e poi volge il capo altrove. Gesù gli dice: «Acquista dalla donna quanto può darci. Noi andiamo avanti. Raggiungici». 
   E veramente Gesù, salutata la donna, si avvia. Tutti lo seguono.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 9, 46-50: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato».

Vangelo Novus Ordo Lc 9, 46-50
Dal Vangelo secondo Luca

In quel tempo, nacque una discussione tra i discepoli, chi di loro fosse più grande.
Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un bambino, se lo mise vicino e disse loro: «Chi accoglierà questo bambino nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».
Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non ti segue insieme con noi». Ma Gesù gli rispose: «Non lo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«Chi infatti è il più piccolo fra tutti voi, questi è grande».


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCLII. Un peccatore convertito dalla Maddalena. Parabola per il piccolo Beniamino e lezione su chi è il più grande, sullo scandalo ai bambini e sull’uso del nome di Gesù.

   6 Dicembre 1945

 1 E proprio mentre si incendiano cielo e lago per i fuochi del tramonto, essi tornano verso Cafarnao. Sono contenti. Parlano fra di loro. Gesù parla poco, ma sorride. Notano che, se il messaggero fosse stato più preciso, avrebbero potuto risparmiare sulla strada. Ma però, anche, dicono che la fatica è valsa, perché un gruppo di piccoli figli ha avuto un padre guarito quando già raffreddava per la morte vicina, e anche perché non sono più senza un minimo di denaro.
   «Ve lo avevo detto che il Padre avrebbe provveduto a tutto », dice Gesù.
   «Ed è un antico amante di Maria di Magdala?», chiede Filippo.
   «Pare… A quello che ci hanno detto… », risponde Tommaso.
   «A Te, Signore, che disse l’uomo?», chiede Giuda d’Alfeo.
   Gesù sorride evasivamente.
   «Io l’ho visto più di una volta con lei quando andavo a Tiberiade con amici. Questo è certo», asserisce Matteo.
   «Su, fratello, accontentaci… L’uomo ti chiese solo di guarire o di essere perdonato anche?», chiede Giacomo d’Alfeo.
   «Che domanda senza ragione! Quando mai il Signore non esige pentimento per concedere grazia?», dice l’Iscariota con alquanto sdegno per Giacomo d’Alfeo. 
   «Mio fratello non ha detto una stoltezza. Gesù guarisce o libera e poi dice: “Và e non peccare”», gli risponde il Taddeo.
   «Ma perché vede già il pentimento nei cuori», ribatte l’Iscariota.
   «Negli indemoniati non c’è pentimento né volontà di essere liberati. Non uno lo ha dimostrato tutto ciò. Ricordati ogni caso e vedrai che o fuggivano o si avventavano nemici, o quanto meno, tentavano l’una o l’altra cosa, e non vi riuscivano solo perché impediti a completarla dai parenti», replica il Taddeo.
   «E dal potere di Gesù», aumenta lo Zelote.
   «Ma allora Gesù tiene conto del volere dei parenti che rappresentano il volere dell’indemoniato, il quale, se non fosse impedito dal demonio, vorrebbe liberazione».
   «Oh! quante sottigliezze! E per i peccatori allora? Mi pare che usi la stessa formula, anche se non sono indemoniati», dice Giacomo di Zebedeo.
   «A me ha detto: “Seguimi”, e non gli avevo ancora detto una parola io, in merito al mio stato», osserva Matteo.
   «Ma te la vedeva in cuore», dice l’Iscariota che vuole avere sempre ragione ad ogni costo.

 2 «E va bene! Ma quell’uomo, a voce di popolo grande libidinoso e grande peccatore, e non indemoniato, o meglio non posseduto – perché un demonio, coi suoi peccati, lo doveva avere a maestro se non a possessore – moribondo, e così via, cosa ha chiesto insomma? Stiamo andando a passeggio fra le nubi, mi pare… Stiamo alla prima domanda », dice Pietro.
   Gesù lo accontenta: «Quell’uomo ha voluto essere solo con Me per poter parlare con libertà. Non ha esposto subito il suo stato di salute… ma quello dello spirito suo. Ha detto: “Sono morente, ma non ancora come ho fatto credere per poterti avere con sollecitudine. Ho bisogno del tuo perdono per guarire. Mi basta questo. Se guarire non mi farai, mi rassegnerò. L’ho meritato. Ma fà salva l’anima mia”, e mi ha confessato le sue colpe… ». Gesù dice così, ma il suo viso splende di gioia.
   «E tu ne sorridi, Maestro? Mi fa specie! », osserva Bartolomeo.
   «Si, Bartolomai. Ne sorrido perché esse non sono più e perché con le colpe ho saputo il nome della redentrice. L’apostolo fu una donna in questo caso».
   «Tua Madre!», dicono in molti.
   E altri: «Giovanna di Cusa! Se lui andava a Tiberiade sovente, forse la conosce».
   Gesù scrolla il capo.
   Gli chiedono: «Chi allora?».
   «Maria di Lazzaro», risponde Gesù.
   «È venuta qui? Perché non si è fatta vedere da nessuno di noi?».
   «Non è venuta. Ha scritto al suo antico compagno di colpa. Ho letto le lettere. Supplicano tutte la stessa cosa: di ascoltarla, di redimersi come lei si è redenta, di seguirla nel bene come l’aveva seguita nella colpa, e con parole di lacrime lo pregano di alleggerire l’anima di Maria dal rimorso di avere sedotto la sua anima. E lo ha convertito. Tanto che si era isolato nella sua campagna per vincere le tentazioni delle città. La malattia, più di rimorso d’anima che di fisico, ha finito di prepararlo alla Grazia. Ecco. Siete contenti adesso? Comprendete ora perché sorrido?».
   «Si, Maestro», dicono tutti. E poi, vedendo che Gesù allunga il passo come per isolarsi, si mettono a bisbigliare fra di loro…

 3 Sono già alle viste di Cafarnao quando, allo sbocco della via fatta da loro con quella che costeggia il lago venendo da Magdala, incrociano i discepoli venuti a piedi evangelizzando da Tiberiade. Tutti meno Marziam, i pastori e Mannaen, che sono andati da Nazaret verso Gerusalemme con le donne. E anzi i discepoli sono aumentati per qualche altro elemento che si è unito a loro di ritorno dalla missione e che porta seco nuovi proseliti della dottrina cristiana.
   Gesù li saluta dolcemente, ma subito si torna ad isolare in una meditazione ed orazione profonda, avanti di qualche passo da loro.
   Gli apostoli invece si imbrancano con i discepoli, specie coi più influenti, ossia Stefano, Erma, il sacerdote Giovanni, Giovanni lo scriba, Timoneo, Giuseppe di Emmaus, Ermasteo (che da quel che capisco vola sulla via della perfezione), Abele di Betlemme di Galilea, la cui madre è in fondo alla turba con altre donne. E discepoli e apostoli si scambiano domande e risposte su quanto è avvenuto da quando si sono lasciati. Così viene raccontato della guarigione e della conversione di oggi, e del miracolo dello statere nella bocca del pesce… Questo, per le cause che lo hanno originato, suscita un grande parlare che si propaga da fila a fila come un fuoco appiccato a paglie asciutte…


 4 Dice Gesù: 
«Qui metterete la visione del 7 marzo 1944: “Il piccolo Beniamino di Cafarnao”, senza il commento. E proseguirete con il resto della lezione e della visione. Và avanti».
   Premetto di omettere l’ultima frase: «La visione mi cessa qui ecc.». Sarebbe fuori luogo ora che la visione prosegue.


   7 Marzo 1944

 5 Vedo Gesù che cammina per una strada di campagna, seguito e contornato dai suoi apostoli e discepoli.
   Il lago di Galilea traluce poco lontano tutto quieto e azzurro sotto un bel sole o di primavera o di autunno, perché non è un sole violento come quello estivo. Ma direi che è primavera, perché la natura è molto fresca, senza quei toni dorati e stanchi che si vedono in autunno.
   Sembra che, data la sera che si avvicina, Gesù si ritiri nella casa ospitale e si diriga perciò al paese che si vede già apparire. Gesù, come fa sovente, è qualche passo più avanti dei discepoli. Due o tre, non di più, ma tanto da poter isolarsi nei suoi pensieri, bisognoso di silenzio, dopo una giornata di evangelizzazione. Cammina assorto, tenendo nella mano destra un rametto verde, certo colto a qualche cespuglio, col quale frusta leggermente, soprappensiero, le erbe della proda.
   Dietro di Lui i discepoli parlano invece animatamente. Rievocano gli episodi della giornata e non hanno la mano troppo leggera per pesare i difetti altrui e le altrui cattiverie. Tutti più o meno criticano il fatto che quelli della riscossione del tributo al Tempio abbiano voluto essere pagati da Gesù.
   Pietro, sempre veemente, definisce ciò un sacrilegio, perché il Messia non è tenuto a pagare il tributo: «Questo è come volere che Dio paghi a Se stesso», dice. «E ciò non è giusto. Se poi credo che Egli non sia il Messia diventa un sacrilegio».
   Gesù si volta un momento di dice: «Simone, Simone, ce ne saranno tanti che dubiteranno di Me! Anche fra chi crede di esser sicuro e incrollabile nella fede in Me. Non giudicare i fratelli, Simone. Giudica sempre per primo te stesso».
   Giuda, con un sorrisetto ironico, dice all’umiliato Pietro che ha curvato il capo: «Questa è per te. Perché sei il più anziano vuoi sempre fare il dottore. Non è detto che si vada giudicati nel merito per età. Fra noi vi è chi ti supera per sapere e per potere sociale».
   Si accende una discussione sui rispettivi meriti. E chi vanta d’esser fra i primi discepoli, e chi appoggia la sua tesi di preferenza al posto influente lasciato per seguire Gesù, e chi dice che nessuno come lui ha dei diritti perché nessuno come lui ha convertito tanto se stesso passando da pubblicano a discepolo. La discussione va per le lunghe e, se non temessi di offendere gli apostoli, direi che assume il tono di una vera lite.
   Gesù se ne astrae. Pare non udire più nulla. Intanto si è giunti alle prime case del paese, che so essere Cafarnao. Gesù prosegue, e gli altri dietro, sempre discutendo.

 6 Un bimbetto di un sette, otto anni, corre saltellando dietro a Gesù. Lo raggiunge sorpassando il gruppo vociferante degli apostoli. È un bel bambino dai capelli castano scuro tutti ricciuti, corti. Ha due occhietti neri, intelligenti nel visetto bruno. Chiama confidenzialmente il Maestro come lo conoscesse bene. «Gesù», dice, «mi lasci venire con Te fino a casa tua?».
   «La mamma lo sa?», chiede Gesù guardandolo con un sorriso buono.
   «Lo sa».
   «In verità?». Gesù, pur sorridendo, guarda con sguardo penetrante.
   «Si, Gesù, in verità».
   «Allora vieni».
   Il bambino fa un salto di gioia e afferra la mano sinistra di Gesù che gliela porge. Con che amorosa fiducia il bambino mette la sua manina bruna nella lunga mano del mio Gesù! Vorrei fare altrettanto anche io!
   «Raccontami una bella parabola, Gesù », dice il bambino saltellando al fianco del Maestro e guardandolo da sotto in su con un visetto splendente di gioia.
   Anche Gesù lo guarda con un allegro sorriso che gli schiude la bocca ombreggiata di baffi e dalla barba biondo-rossa, che il sole accende come fosse d’oro. Gli occhi di zaffiro scuro gli ridono di gioia mentre guarda il bambino.
   «Cosa te ne fai della parabola? Non è un gioco».
   «E’ più bella di un gioco. Quando vado a dormire me la penso e poi me la sogno e domani me la ricordo e me la ridico per essere buono. Mi fa essere buono».
   «Te la ricordi?».
   «Si. Vuoi che ti dica tutte quelle che mi hai dette?».
   «Sei bravo, Beniamino, più degli uomini, che dimenticano. In premio ti dirò la parabola».
   Il bambino non salta più. Cammina serio e composto come un adulto e non perde una parola, non un’infles-sione di Gesù, che guarda attentamente, senza più occuparsi neppure di dove mette i piedi.

 7 «Un pastore molto buono, venuto a conoscenza che in un luogo del creato erano molte pecore abbandonate da pastori poco buoni, le quali pericolavano su vie perverse e in pascoli nocivi e andavano sempre più verso burroni privi di luce, venne in quel posto e, sacrificando tutto il suo avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era anche re come lo sono stati tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli avrebbero trovato pascoli sani, fresche e pure acque, vie sicure e ripari in abbattibili contro i ladroni e i lupi feroci. Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie e dolore. Amatemi, seguitemi perché io vi amo tanto e per avervi mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete, il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, dietro le pecore, presero il cammino verso il regno della gioia.
   Il pastore ogni momento si volgeva per vedere se lo seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava l’acqua delle fonti e la benediva per sentire se era sana e per renderla santa. Ma le pecore – lo credi Beniamino? – le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino ad empirsi senza poter più muoversi, e si sdraiarono stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi nonostante il pastore dicesse: “Non lo fate”; talune, poiché egli si metteva dove era maggior pericolo per impedire a loro di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo più di una volta. Così molte finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono fra di loro e, incorna e intesta, si uccisero fra loro. Solo un agnellino non si distrasse mai. Esso correva, belando, e diceva col suo belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele. Allora il pastore non disse: “entra”, ma disse “vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e dicendo loro: “Ecco, costui mi ama. Voglio che sia meco in eterno. E voi amatelo perché esso è il prediletto del mio cuore”.

 8 La parabola è finita, Beniamino. Ora mi sai dire: chi è quel pastore buono?».
   «Tu sei, Gesù».
   «E quell’agnellino chi è?».
   «Io sono, Gesù».
   «Ma ora Io andrò via. Tu ti dimenticherai di Me».
   «No, Gesù. Non mi dimenticherò perché ti amo».
   «L’amore ti cesserà quando non mi vedrai più».
   «Dirò dentro di me le parole che Tu mi hai dette e sarà come Tu fossi presente. Ti amerò e ubbidirò così. E, dimmi, Gesù: Tu ti ricorderai di Beniamino?».
   «Sempre».
   «Come farai a ricordarti? ».
   «Mi dirò che tu mi hai promesso d’amarmi e di ubbidirmi e mi ricorderò così di te ».
   «E mi darai il tuo Regno?».
   «Se sarai buono, si».
   «Sarò buono».
   «Come farai? La vita è lunga».
   «Ma anche le tue parole sono tanto buone. Se io me le dirò e farò quello che esse dicono di fare, mi conserverò buono per tutta la vita. E lo farò perché ti amo. Quando si vuol bene non è fatica essere buoni. A me non è fatica ubbidire alla mamma perché le voglio bene. Non mi sarà fatica essere ubbidiente a Te perché ti voglio bene».
   Gesù si è fermato e guarda il visetto acceso dall’amore più che dal sole. La gioia di Gesù è così viva che pare un altro sole si sia acceso nella sua anima e irraggi dalle pupille. Si china e bacia sulla fronte il bambino.

 9 Si è fermato davanti ad una casetta modesta con un pozzo sul davanti. Gesù va poi a sedersi presso il pozzo e là lo raggiungono i discepoli, che ancora stanno misurando le rispettive prerogative.
   Gesù li guarda. Poi li chiama: «Venite qui intorno e udite l’ultimo insegnamento della giornata, voi che vi fate rochi nella celebrazione dei vostri meriti e pensate di aggiudicarvi un posto in base a quelli. Vedete questo fanciullo? Egli è nella verità più di voi. La sua innocenza gli dà la chiave per aprire le porte del mio Regno. Egli ha compreso, nella sua semplicità di pargolo, che nell’amore è la forza per divenire grandi e nell’ubbidienza fatta per amore quella per entrare nel mio Regno. Siate semplici, umili, amorosi di un amore che non è solo dato a Me ma è scambievole tra voi, ubbidienti alle mie parole, a tutte, anche a queste, se volete aggiungere dove entreranno questi innocenti. Imparate dai piccoli. Il Padre rivela loro la verità come non la rivela ai sapienti».
   Gesù parla tenendo ritto contro le sue ginocchia Beniamino, al quale tiene le mani sulle spalle. Ora il volto di Gesù è pieno di Maestà. È serio, non corrucciato, ma è serio. Proprio da Maestro. L’ultimo raggio di sole gli fa un nimbo di raggi sul capo biondo.
   La visione mi cessa qui, lasciandomi piena di dolcezza nei miei dolori.


   [6 Dicembre 1945]

10 Dunque: i discepoli non sono potuti entrare nella casa, è naturale. Per numero e per rispetto. Non lo fanno mai se non sono invitati a farlo, in massa o in particolare, dal Maestro. Noto sempre un grande rispetto, un grande ritegno, nonostante l’affabilità del Maestro e la sua lunga dimestichezza. Anche Isacco, che potrei dire il discepolo primo, nel numero dei discepoli, non si concede mai libertà di andare a Gesù senza che un sorriso, almeno un sorriso del Maestro, non lo chiami vicino.

   Un po’ diverso, no?, dal modo spicciativo e quasi burlesco con cui molti trattano ciò che è soprannaturale… Questo è un mio commento, e che sento giusto, perché non mi va giù che la gente abbia con ciò che è al di sopra di noi i modi che non abbiamo per gli uomini pari a noi, solo che siano un cincino da più di noi… Mah!… E andiamo avanti…

   I discepoli, dunque, si sono sparsi sulla riva del lago a comperare pesce per la cena, pane e quanto occorre. Torna anche Giacomo di Zebedeo e chiama il Maestro, che è seduto sulla terrazza con Giovanni accoccolato ai suoi piedi in un dolce e abbandonato colloquio… Gesù si alza e si sporge dal parapetto.
   Giacomo dice: «Quanto pesce, Maestro! Mio padre dice che Tu hai benedetto le reti con la tua venuta. Guarda: questo è per noi», e mostra una cesta di pesce che sembra d’argento.
   «Dio gli dia grazie per la sua generosità. Preparatelo, che dopo cena andremo sulla riva coi discepoli».
   E così fanno. Il lago è nero nella notte, in attesa della luna che si alza tardi. E più di vederlo lo si sente borbottare, sciacquettare fra i sassi del greto. Solo le inverosimili stelle dei paesi d’oriente si specchiano nelle acque tranquille. Si siedono in cerchio intorno ad una barchetta capovolta, sulla quale si è seduto Gesù. E i piccoli fanali delle barche, portati qui, al centro del circolo, illuminano appena i volti più vicini. Quello di Gesù è tutto illuminato da sotto in su per un fanaletto messo ai suoi piedi, e tutti perciò lo possono vedere bene mentre parla a questo e a quello.

11 E sul principio è una conversazione alla buona, familiare. Ma poi assume il tono di una lezione. Anzi Gesù lo dice apertamente:
   «Venite e ascoltate. Fra poco ci separeremo e voglio ammaestrarvi ancora per formarvi meglio.
   Oggi Io vi ho sentito discutere e non sempre con carità. Ai maggiori fra voi ho già dato la lezione. Ma voglio darla a voi pure, né farà male a questi, di voi maggiori, se se la sentono ripetere. Ora il piccolo Beniamino non è qui contro i miei ginocchi. Dorme nel suo letto e sogna i suoi sogni innocenti. E forse la sua anima candida è qui fra mezzo a noi lo stesso. Ma fate conto che egli, o qualche altro fanciullo, sia qui, a vostro esempio. Voi, in cuor vostro, avete tutti un chiodo fisso, una curiosità, un pericolo. Questo: essere il primo del Regno dei Cieli. Questa: sapere chi sarà questo primo. E infine il pericolo: il desiderio ancora umano di sentirsi rispondere “tu sei il primo nel Regno dei Cieli” dai compagni compiacenti o dal Maestro, soprattutto dal Maestro del quale sapete la verità e la conoscenza del futuro. Non è forse così? Le domande tremano sulle vostre labbra e vivono in fondo al cuore.
   Il Maestro, per vostro bene, aderisce a questa curiosità per quanto Egli aborra di cedere alle curiosità umane. Il vostro Maestro non è un ciarlatano che si interroga per due spiccioli fra i frastuoni di un mercato. E non è uno preso dallo spirito pitonico il quale gli procura denaro col fargli fare l’indovino, per aderire alle ristrette menti dell’uomo che vogliono sapere il futuro per “regolarsi”. L’uomo non si può regolare da sé. Dio lo regola se l’uomo ha fede in Lui! E non serve sapere, o credere di sapere il futuro, se poi non si ha il mezzo per stornare il futuro profetizzato. Il mezzo è uno solo: la preghiera al Padre e Signore perché per sua misericordia ci aiuti. In verità vi dico che la preghiera fidente può mutare un castigo in benedizione. Ma chi ricorre agli uomini per potere, da uomo e con mezzi da uomo, deviare il futuro, non sa pregare affatto o sa pregare molto male. Io, questa volta, perché questa curiosità può darvi buon insegnamento, rispondo ad essa, Io che aborro le domande curiose e irrispettose.

12 Voi vi chiedete: “Chi fra noi è il più grande nel Regno dei Cieli?”.
   Io annullo la limitazione del “fra noi” e allargo i confini a tutto il mondo presente e futuro, e rispondo: “Il più grande nel Regno dei Cieli è il minimo fra gli uomini”. Ossia quello che è considerato “minimo” dagli uomini. Il semplice, l’umile, il fiducioso, l’ignaro. Perciò il fanciullo, o chi sa rifarsi anima di fanciullo. Non è la scienza, non il potere, non la ricchezza, non l’attività, anche se buona, quelle che vi faranno “il più grande” nel beato Regno. Ma è l’essere come i pargoli per amorevolezza, umiltà, semplicità, fede.
   Osservate come mi amano i fanciulli, e imitateli. Come credono in Me, e imitateli. Come ricordano ciò che dico, e imitateli. Come fanno ciò che insegno, e imitateli. Come non insuperbiscono di ciò che fanno, e imitateli. Come non si ingelosiscono di Me e dei compagni, e imitateli. In verità vi dico che se non mutate il vostro modo di pensare, di agire e di amare, e non ve lo rifate sul modello dei pargoli, non entrerete nel Regno dei Cieli. Essi sanno ciò che voi sapete, di essenziale, nella mia dottrina. Ma con quale differenza praticano ciò che insegno! Voi dite che per ogni atto buono che compite: “Io ho fatto”. Il fanciullo mi dice: “Gesù, mi sono ricordato di Te oggi, e per Te ho ubbidito, ho amato, ho trattenuto una voglia di rissa… e sono contento perchè Tu, io lo so, sai quando sono buono e ne si contento”. E ancora osservate i fanciulli quando mancano. Con che umiltà mi confessano: “Oggi sono stato cattivo. E mi spiace perchè ti ho dato dolore”. Non cercano scuse. Sanno che Io so. Credono. Si dolgono per il mio dolore.
   Oh! cari al cuor mio, fanciulli in cui non è superbia, doppiezza, lussuria! Io ve lo dico: divenite simili ai fanciulli se volete entrare nel mio Regno. Amate i fanciulli come l’esempio angelico che ancora potete avere. Che come angeli dovreste essere. A vostra scusa potreste dire: “Noi non vediamo gli angeli”. Ma Dio vi dà i fanciulli per modelli, e quelli li avete fra voi. E se vedete un fanciullo abbandonato materialmente, o abbandonato moralmente e che può perire, accoglietelo in mio nome, perchè essi sono i molto amati da Dio. E chiunque accoglie un fanciullo in mio Nome accoglie Me stesso, perchè Io sono nell’anima dei fanciulli, che è innocente.
   E chi accoglie me, accoglie Colui che mi ha mandato, il Signore altissimo.

13 E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciulli! Lasciateli angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mondo e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’anima del fanciullo e al suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro. Sacro è anche il fanciullo perchè ha Dio in sè. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre il doppio Velo. Non scuotete neppure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col vento delle vostre passioni.
   Io vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni accolta di persone, perchè fosse di freno alle passioni degli uomini. Il fanciullo santifica, da ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi senza malizia. Ma guai coloro che levano santità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso! Guai a coloro che con le loro licenza dànno malizie ai fanciulli! Guai a coloro che con le loro parole e ironie ledono la fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una pietra da macina e si gettassero in mare perchè affogassero col loro scandalo. Guai al mondo per gli scandali che dà agli innocenti! Perchè se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo che per sua causa li provoca.
   Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perchè vita e corpo ci vengono da Dio, e solo Lui ha il diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però Io vi dico che se la vostra mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è bene che voi lo mozziate. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel fuoco eterno con le due mani e i due piedi. E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate che vi siano mozzati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scandalo e per avere tempo di pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno. E se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatelo. E’ meglio essere orbi di un occhio che essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore vedreste nell’inferno. E questo solo.

14 Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli. Sono da più di voi, perchè i loro angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a quelli dal cuore di fanciullo.
   E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli, State in pace fra voi. Abbiate spirito di pace con tutti. Fratelli siete, nel nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci devono essere nemici per i discepoli di Gesù.L’unico nemico è satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano satana nei cuori.
   Siate instancabili nel combattere il male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è limitazione all’operare dell’apostolo, perchè non c’è limitazione all’operare del male. Il demonio non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è instancabile. Passa agile come il pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà pace. Assale proditoriamente e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da conquistatore per debolezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perchè il modo di vivere della preda cercata è già tale da essere alleanza col nemico. Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore, per farsi vendetta dello smacco avuto da Dio o da un servo di Dio. Ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo”. Lui non riposa per popolare l’inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso. Non dategli quartiere. Io vi predìco che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere conto di ciò. Egli può scorrere le Terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là saranno tutti quelli che lo hanno combattuto… ».

15 Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perchè date sempre noia a Giovanni? Che vogliono da te?».
   Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa vedendosi scoperti.
   «Ebbene?», chiede con imperio Gesù.
   «Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa. ».
   «Dilla, dunque».
   «Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo nome da un gruppo di pellegrini che andavano a Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli impediva ogni lavoro, e ha reso la favella a una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le aveva legato la lingua. Egli diceva: “Vattene, demonio, in nome del Signore Gesù il Cristo, Re della stirpe di Davide, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!”, e il demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo risentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non sono degni di vederlo”. Gli abbiamo risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è lecito farlo”. Ha detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a fare ciò che faccio”. Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno tutti quelli che hanno combattuto satana».

16 «Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada inizialmente cattiva. Ma Dio vedrà la loro retta intenzione e li attirerà alla via buona. Ugualmente vi saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderanno una via che li allontana o addirittura li dirotta. Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo Dio vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quella di Dio vi ci ha messi. E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sacrilego. E’ sempre un mio suddito, amico e fedele, perchè crede nel Nome mio, spontaneamente e meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse più. Dio lo ama perchè mi ama, e finirà di portarlo al Cielo. Nessuno che faccia prodigi inmio Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di fede. In verità vi dico che credere al mio Nome è già sufficiente a salvare la propria anima. Perchè il mio Nome è Salvezza. Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi chiamatelo “fratello” perchè tale è, anche se è ancora fuori dal recinto del mio Ovile. Chi non è contro di Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».
   «Abbiamo peccato, Signore?», chiede attrito Giovanni.
   «No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe colpa, perchè ora sapete. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».

17 Se crede, può mettere, dopo la fine della visione di oggi, il dettato che segue quella del piccolo Beniamino. A sua facoltà.

[7 Marzo 1944]

Dice poi Gesù:

«Quello che ho detto al mio piccolo discepolo lo dico anche a voi. Il Regno è degli agnelli fedeli che mi amano e mi seguono senza perdersi in lusinghe, mi amano sino alla fine. E dico a voi ciò che ho detto ai miei discepoli adulti: “Imparate dai piccoli”.
   Non è l’esser dotti, ricchi, audaci quello che vi fa conquistare il Regno dei Cieli. Non è l’esserlo umanamente. Ma è l’esserlo della scienza dell’amore, che fa dotti, ricchi, audaci soprannaturalmente. Come illumina l’amore a comprendere la Verità! Come fa ricchi per acquistarla! Come fa audaci per conquistarla! Che fiducia che ispira! Che sicurezza!
   Fate come il piccolo Beniamino, il mio piccolo fiore che m’ha profumato il cuore quella sera ed ha cantato ad esso una musica angelica, che ha ricoperto l’odore dell’umanità ribollente nei discepoli e il rumore delle beghe umane.
   E tu vuoi sapere che avvenne poi di Beniamino? Rimase il piccolo agnello di Cristo e, perduto il suo grande Pastore poiché era tornato al Cielo, si fece discepolo di quello che più mi somigliava, prendendo per sua mano il battesimo e il nome di Stefano primo mio martire. Fu fedele sino alla morte e con lui i suoi parenti, trascinati alla Fede dall’esempio del loro piccolo apostolo familiare.
   Non è conosciuto? Molti sono gli sconosciuti dagli uomini conosciuti da Me nel mio Regno. E di questo sono felici. La fama del mondo non aggiunge una scintilla all’aureola dei beati.
   Piccolo Giovanni, cammina sempre con la tua mano nella mia. Andrai sicura e, giunta al Regno, non ti dirò “entra” ma “vieni”, e ti prenderò fra le braccia per posarti là dove il mio Amore t’ha preparato un posto e il tuo amore lo ha meritato.
   Và in pace. Ti benedico».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Mc 9, 38 – 43. 45. 47-48:”Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa”.

Vangelo Novus Ordo 
Dal Vangelo secondo Marco Mc 9,38-43.45.47-48

In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: “Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva”. Ma Gesù disse: “Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.
Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue”.

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
“Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna”.


Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’

Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCLII. Un peccatore convertito dalla Maddalena. Parabola per il piccolo Beniamino e lezione su chi è il più grande, sullo scandalo ai bambini e sull’uso del nome di Gesù.

   6 dicembre 1945.

   352.1E proprio mentre si incendiano cielo e lago per i fuochi del tramonto, essi ritornano verso Cafarnao. Sono contenti. Parlano fra di loro. Gesù parla poco, ma sorride. Notano che, se il messaggero fosse stato più preciso, avrebbero potuto risparmiare della strada. Ma però, anche, dicono che la fatica è valsa, perché un gruppo di piccoli figli ha avuto il padre guarito quando già raffreddava per la morte vicina, e anche perché non sono più senza un minimo di denaro.
   «Ve lo avevo detto che il Padre avrebbe provveduto a tutto», dice Gesù.
   «Ed è un antico amante di Maria di Magdala?», chiede Filippo.
   «Pare… A quello che ci hanno detto…», risponde Tommaso.
   «A Te, Signore, che disse l’uomo?», chiede Giuda d’Alfeo.
   Gesù sorride evasivamente.
   «Io l’ho visto più di una volta con lei quando andavo a Tiberiade con amici. Questo è certo», asserisce Matteo.
   «Su, fratello, accontentaci… L’uomo ti chiese solo di guarire o di essere perdonato anche?», chiede Giacomo di Alfeo.
   «Che domanda senza ragione! Quando mai il Signore non esige pentimento per concedere grazia?», dice l’Iscariota con alquanto sdegno per Giacomo d’Alfeo.
   «Mio fratello non ha detto una stoltezza. Gesù guarisce o libera e poi dice: “Va’ e non più peccare”», gli risponde il Taddeo.
   «Ma perché vede già il pentimento nei cuori», ribatte l’Iscariota.
   «Negli indemoniati non c’è pentimento né volontà di essere liberati. Non uno lo ha dimostrato tutto ciò. Ricordati ogni caso e vedrai che o fuggivano o si avventavano nemici o, quanto meno, tentavano l’una o l’altra cosa, e non vi riuscivano solo perché impediti a compierla dai parenti», replica il Taddeo.
   «E dal potere di Gesù», aumenta lo Zelote.
   «Ma allora Gesù tiene conto del volere dei parenti che rappresentano il volere dell’indemoniato, il quale, se non fosse impedito dal demonio, vorrebbe liberazione».
   «Oh! quante sottigliezze! E per i peccatori allora? Mi pare che usi la stessa formula, anche se non sono indemoniati», dice Giacomo di Zebedeo.
   «A me ha detto: “Seguimi”, e non gli avevo ancora detto una parola io, in merito al mio stato», osserva Matteo.
   «Ma te la vedeva in cuore», dice l’Iscariota che vuole avere sempre ragione ad ogni costo.

   352.2«E va bene! Ma quell’uomo, a voce di popolo grande libidinoso e grande peccatore, e non indemoniato, o meglio non posseduto — perché un demonio, coi suoi peccati, lo doveva avere a maestro se non a possessore — moribondo, e così via, cosa ha chiesto insomma? Stiamo andando a passeggio fra le nubi, mi pare… Stiamo alla prima domanda», dice Pietro.
   Gesù lo accontenta: «Quell’uomo ha voluto essere solo con Me per potere parlare con libertà. Non ha esposto subito il suo stato di salute… ma quello dello spirito suo. Ha detto: “Sono morente, ma non ancora come ho fatto credere per poterti avere con sollecitudine. Ho bisogno del tuo perdono per guarire. Ma mi basta questo. Se guarire non mi farai, mi rassegnerò. L’ho meritato. Ma fa’ salva l’anima mia”, e mi ha confessato le sue molte colpe. Una nauseante catena di colpe…». Gesù dice così, ma il suo viso splende di gioia.
   «E Tu ne sorridi, Maestro? Mi fa specie!», osserva Bartolomeo.
   «Sì, Bartolmai. Ne sorrido perché esse non sono più e perché con le colpe ho saputo il nome della redentrice. L’apostolo fu una donna in questo caso».
   «Tua Madre!», dicono in molti.
   E altri: «Giovanna di Cusa! Se lui andava a Tiberiade sovente, forse la conosce».
   Gesù scrolla il capo.
   Gli chiedono: «Chi allora?».
   «Maria di Lazzaro», risponde Gesù.
   «È venuta qui? Perché non si è fatta vedere da nessuno di noi?».
   «Non è venuta. Ha scritto al suo antico compagno di colpa.
   Ho letto le lettere. Supplicano tutte la stessa cosa: di ascoltarla, di redimersi come lei si è redenta, di seguirla nel bene come l’aveva seguita nella colpa, e con parole di lacrime lo pregano di alleggerire l’anima di Maria dal rimorso di avere sedotto la sua anima. E lo ha convertito. Tanto che si era isolato nella sua campagna per vincere le tentazioni delle città. La malattia, più di rimorso d’anima che di fisico, ha finito di prepararlo alla Grazia. Ecco. Siete contenti adesso? Comprendete ora perché sorrido?».
   «Sì, Maestro», dicono tutti. E poi, vedendo che Gesù allunga il passo come per isolarsi, si mettono a bisbigliare fra di loro…

   352.3Sono già alle viste di Cafarnao quando, allo sbocco della via fatta da loro con quella che costeggia il lago venendo da Magdala, incrociano i discepoli venuti a piedi, evangelizzando da Tiberiade. Tutti meno Marziam, i pastori e Mannaen, che sono andati da Nazaret verso Gerusalemme con le donne. E anzi i discepoli sono aumentati per qualche altro elemento che si è unito a loro di ritorno dalla missione e che porta seco nuovi proseliti della dottrina cristiana.
   Gesù li saluta dolcemente, ma subito si torna ad isolare in una meditazione ed orazione profonda, avanti di qualche passo da loro.
   Gli apostoli invece si imbrancano con i discepoli, specie coi più influenti, ossia Stefano, Erma, il sacerdote Giovanni, Giovanni lo scriba, Timoneo, Giuseppe di Emmaus, Ermasteo (che da quel che capisco vola sulla via della perfezione), Abele di Betlemme di Galilea, la cui madre è in fondo alla turba con altre donne. E discepoli e apostoli si scambiano domande e risposte su quanto è avvenuto da quando si sono lasciati. Così viene raccontato della guarigione e conversione di oggi, e del miracolo dello statere nella bocca del pesce… Questo, per le cause che lo hanno originato, suscita un grande parlare che si propaga da fila a fila come un fuoco appiccato a paglie asciutte…

   
   352.4Dice Gesù:
   «Qui metterete la visione del 7 marzo 1944: “Il piccolo Beniamino di Cafarnao”, senza il commento. E proseguirete con il resto della lezione e della visione. Va’ avanti».
   Premetto di omettere l’ultima frase: «La visione mi cessa qui ecc.». Sarebbe fuori luogo ora che la visione prosegue.
   
   7 marzo 1944.

   
   352.5Vedo Gesù che cammina per una strada di campagna, seguito e contornato dai suoi apostoli e discepoli.
   Il lago di Galilea traluce poco lontano tutto quieto e azzurro sotto un bel sole o di primavera o di autunno, perché non è un sole violento come quello estivo. Ma direi che è primavera, perché la natura è molto fresca, senza quei toni dorati e stanchi che si vedono in autunno.
   Sembra che, data la sera che si avvicina, Gesù si ritiri nella casa ospitale e si diriga perciò al paese che si vede già apparire. Gesù, come fa sovente, è qualche passo più avanti dei discepoli. Due o tre, non di più, ma tanto da poter isolarsi nei suoi pensieri, bisognoso di silenzio dopo una giornata di evangelizzazione. Cammina assorto, tenendo nella mano destra un rametto verde, certo colto a qualche cespuglio, col quale frusta leggermente, soprappensiero, le erbe della proda.
   Dietro di Lui i discepoli parlano invece animatamente. Rievocano gli episodi della giornata e non hanno la mano troppo leggera per pesare i difetti altrui e le altrui cattiverie. Tutti più o meno criticano il fatto che quelli della riscossione del tributo al Tempio abbiano voluto essere pagati da Gesù.
   Pietro, sempre veemente, definisce ciò un sacrilegio, perché il Messia non è tenuto a pagare il tributo: «Questo è come volere che Dio paghi a Se stesso», dice. «E ciò non è giusto. Se poi credono che Egli non sia il Messia diventa un sacrilegio».
   Gesù si volta un momento e dice: «Simone, Simone, ce ne saranno tanti che dubiteranno di Me! Anche fra chi crede di esser sicuro e incrollabile nella fede in Me. Non giudicare i fratelli, Simone. Giudica sempre per primo te stesso».
   Giuda, con un sorrisetto ironico, dice all’umiliato Pietro che ha curvato il capo: «Questa è per te. Perché sei il più anziano vuoi sempre fare il dottore. Non è detto che si vada giudicati nel merito per età. Fra noi vi è chi ti supera per sapere e per potere sociale».
   Si accende una discussione sui rispettivi meriti. E chi vanta d’esser fra i primi discepoli, e chi appoggia la sua tesi di preferenza al posto influente lasciato per seguire Gesù, e chi dice che nessuno come lui ha dei diritti perché nessuno come lui ha convertito tanto se stesso passando da pubblicano a discepolo. La discussione va per le lunghe e, se non temessi di offendere gli apostoli, direi che assume il tono di una vera lite.
   Gesù se ne astrae. Pare non udire più nulla. Intanto si è giunti alle prime case del paese, che so essere Cafarnao. Gesù prosegue, e gli altri dietro, sempre discutendo.

   352.6Un bimbetto di un sette, otto anni, corre saltellando dietro a Gesù. Lo raggiunge sorpassando il gruppo vociferante degli apostoli. È un bel bambino dai capelli castano scuro tutti ricciuti, corti. Ha due occhietti neri, intelligenti nel visetto bruno. Chiama confidenzialmente il Maestro come lo conoscesse bene.
   «Gesù», dice, «mi lasci venire con Te fino a casa tua?».
   «La mamma lo sa?», chiede Gesù guardandolo con un sorriso buono.
   «Lo sa».
   «In verità?». Gesù, pur sorridendo, guarda con sguardo penetrante.
   «Sì, Gesù, in verità».
   «Allora vieni».
   Il bambino fa un salto di gioia e afferra la mano sinistra di Gesù che gliela porge. Con che amorosa fiducia il bambino mette la sua manina bruna nella lunga mano del mio Gesù! Vorrei fare altrettanto anche io!
   «Raccontami una bella parabola, Gesù», dice il bambino saltellando al fianco del Maestro e guardandolo da sotto in su con un visetto splendente di gioia.
   Anche Gesù lo guarda con un allegro sorriso che gli schiude la bocca ombreggiata di baffi e dalla barba biondo-rossa, che il sole accende come fosse d’oro. Gli occhi di zaffiro scuro gli ridono di gioia mentre guarda il bambino.
   «Cosa te ne fai della parabola? Non è un giuoco».
   «È più bella di un giuoco. Quando vado a dormire me la penso e poi me la sogno e domani me la ricordo e me la ridico per esser buono. Mi fa esser buono».
   «Te la ricordi?».
   «Sì. Vuoi che ti dica tutte quelle che mi hai dette?».
   «Sei bravo, Beniamino, più degli uomini, che dimenticano. In premio ti dirò la parabola».
   Il bambino non salta più. Cammina serio e composto come un adulto e non perde una parola, non un’inflessione di Gesù, che guarda attentamente, senza più occuparsi neppure di dove mette i piedi.

   352.7«Un pastore molto buono, venuto a conoscenza che in un luogo del creato erano molte pecore abbandonate da pastori poco buoni, le quali pericolavano su vie perverse e in pascoli nocivi e andavano sempre più verso burroni privi di luce, venne in quel posto e, sacrificando tutto il suo avere, acquistò quelle pecore e quegli agnelli. Voleva portarli nel suo regno, perché quel pastore era anche re come lo sono stati tanti re in Israele. Nel suo regno quelle pecore e quegli agnelli avrebbero trovato pascoli sani, fresche e pure acque, vie sicure e ripari inabbattibili contro i ladroni e i lupi feroci. Perciò quel pastore radunò le sue pecore e i suoi agnelli e disse loro: “Sono venuto a salvarvi, a portarvi dove non soffrirete più, dove non conoscerete più insidie e dolore. Amatemi, seguitemi perché io vi amo tanto e per avervi mi sono sacrificato in tutti i modi. Ma se mi amerete, il mio sacrificio non mi peserà. Venitemi dietro e andiamo”. E il pastore davanti, dietro le pecore, presero il cammino verso il regno della gioia. Il pastore ogni momento si volgeva per vedere se lo seguivano, per esortare le stanche, per rincuorare le sfiduciate, per soccorrere le malate, per carezzare gli agnelli. Come le amava! Dava loro il suo pane e il suo sale e per primo assaggiava l’acqua delle fonti e la benediva per sentire se era sana e per renderla santa. Ma le pecore — lo credi, Beniamino? — le pecore dopo qualche tempo si stancarono. Prima una, poi due, poi dieci, poi cento, rimasero indietro a brucare l’erba fino ad empirsi senza poter più muoversi, e si sdraiarono stanche e sazie nella polvere e nel fango. Altre si spenzolarono sui precipizi nonostante il pastore dicesse: “Non lo fate”; talune, poiché egli si metteva dove era maggior pericolo per impedire a loro di andarvi, lo urtarono col capo protervo e tentarono di precipitarlo più di una volta. Così molte finirono nei burroni e morirono miseramente. Altre si azzuffarono fra di loro e, incorna e intesta, si uccisero fra loro. Solo un agnellino non si distrasse mai. Esso correva, belando, e diceva col suo belato al pastore: “Ti amo”; correva dietro al pastore buono e, quando giunsero alle porte del suo regno, non erano che loro due: il pastore e l’agnellino fedele. Allora il pastore non disse: “entra”, ma disse: “vieni”, e lo prese sul petto, fra le braccia, e lo portò dentro chiamando tutti i suoi sudditi e dicendo loro: “Ecco. Costui mi ama. Voglio che sia meco in eterno. E voi amatelo perché esso è il prediletto del mio cuore”.

   352.8La parabola è finita, Beniamino. Ora mi sai dire: chi è quel pastore buono?».
   «Tu sei, Gesù».
   «E quell’agnellino chi è?».
   «Io sono, Gesù».
   «Ma ora Io andrò via. Tu ti dimenticherai di Me».
   «No, Gesù. Non ti dimenticherò perché ti amo».
   «L’amore ti cesserà quando non mi vedrai più».
   «Dirò dentro di me le parole che Tu mi hai dette e sarà come Tu fossi presente. Ti amerò e ubbidirò così. E, dimmi, Gesù: Tu ti ricorderai di Beniamino?».
   «Sempre».
   «Come farai a ricordarti?».
   «Mi dirò che tu mi hai promesso d’amarmi e di ubbidirmi e mi ricorderò così di te».
   «E mi darai il tuo Regno?».
   «Se sarai buono, sì».
   «Sarò buono».
   «Come farai? La vita è lunga».
   «Ma anche le tue parole sono tanto buone. Se io me le dirò e farò quello che esse dicono di fare, mi conserverò buono per tutta la vita. E lo farò perché ti amo. Quando si vuol bene non è fatica essere buoni. A me non è fatica ubbidire alla mamma perché le voglio bene. Non mi sarà fatica essere ubbidiente a Te perché ti voglio bene».
   Gesù si è fermato e guarda il visetto acceso dall’amore più che dal sole. La gioia di Gesù è così viva che pare un altro sole si sia acceso nella sua anima e irraggi dalle pupille. Si china e bacia sulla fronte il bambino.

   352.9Si è fermato davanti ad una casetta modesta con un pozzo sul davanti. Gesù va poi a sedersi presso il pozzo e là lo raggiungono i discepoli, che ancora stanno misurando le rispettive prerogative.
   Gesù li guarda. Poi li chiama: «Venite qui intorno e udite l’ultimo insegnamento della giornata, voi che vi fate rochi nella celebrazione dei vostri meriti e pensate di aggiudicarvi un posto in base a quelli. Vedete questo fanciullo? Egli è nella verità più di voi. La sua innocenza gli dà la chiave per aprire le porte del mio Regno. Egli ha compreso, nella sua semplicità di pargolo, che nell’amore è la forza per divenire grandi e nell’ubbidienza fatta per amore quella per entrare nel mio Regno. Siate semplici, umili, amorosi di un amore che non è solo dato a Me ma è scambievole fra di voi, ubbidienti alle mie parole, a tutte, anche a queste, se volete giungere dove entreranno questi innocenti. Imparate dai piccoli. Il Padre rivela loro la verità come non la rivela ai sapienti».
   Gesù parla tenendo ritto contro le sue ginocchia Beniamino, al quale tiene le mani sulle spalle. Ora il volto di Gesù è pieno di maestà. È serio, non corrucciato, ma è serio. Proprio da Maestro. L’ultimo raggio di sole gli fa un nimbo di raggi sul capo biondo.
   La visione mi cessa qui, lasciandomi piena di dolcezza nei miei dolori.
   
   [6 dicembre 1945].

   
   352.10Dunque: i discepoli non sono potuti entrare nella casa, è naturale. Per numero e per rispetto. Non lo fanno mai se non sono invitati a farlo, in massa o in particolare, dal Maestro. Noto sempre un grande rispetto, un grande ritegno, nonostante l’affabilità del Maestro e la sua lunga dimestichezza. Anche Isacco, che potrei dire il discepolo primo, nel numero dei discepoli, non si concede mai libertà di andare a Gesù senza che un sorriso, almeno un sorriso del Maestro, non lo chiami vicino.
   Un po’ diverso, no?, dal modo spicciativo e quasi burlesco con cui molti trattano ciò che è soprannaturale… Questo è un mio commento, e che sento giusto, perché non mi va giù che la gente abbia con ciò che è al di sopra di noi i modi che non abbiamo per gli uomini pari a noi, solo che siano un cincino da più di noi… Mah!… E andiamo avanti…
   I discepoli, dunque, si sono sparsi sulla riva del lago a comperare pesce per la cena, pane e quanto occorre. Torna anche Giacomo di Zebedeo e chiama il Maestro, che è seduto sulla terrazza con Giovanni accoccolato ai suoi piedi in un dolce e abbandonato colloquio… Gesù si alza e si sporge dal parapetto.
   Giacomo dice: «Quanto pesce, Maestro! Mio padre dice che Tu hai benedetto le reti con la tua venuta. Guarda: questo è per noi», e mostra una cesta di pesce che sembra d’argento.
   «Dio gli dia grazie per la sua generosità. Preparatelo, ché dopo cena andremo sulla riva coi discepoli».
   E così fanno. Il lago è nero nella notte, in attesa della luna che si alza tardi. E più di vederlo lo si sente borbottare, sciacquettare fra i sassi del greto. Solo le inverosimili stelle dei paesi d’oriente si specchiano nelle acque tranquille. Si siedono in cerchio intorno ad una barchetta capovolta, sulla quale si è seduto Gesù. E i piccoli fanali delle barche, portati qui, al centro del circolo, illuminano appena i volti più vicini. Quello di Gesù è tutto illuminato da sotto in su per un fanaletto messo ai suoi piedi, e tutti perciò lo possono vedere bene mentre parla a questo e a quello.

   352.11E sul principio è una conversazione alla buona, famigliare. Ma poi assume il tono di una lezione. Anzi Gesù lo dice apertamente:
   «Venite e ascoltate. Fra poco ci separeremo e voglio ammaestrarvi ancora per formarvi meglio.
   Oggi Io vi ho sentito discutere e non sempre con carità. Ai maggiori fra voi ho già dato la lezione. Ma voglio darla a voi pure, né farà male a questi, di voi maggiori, se se la sentono ripetere. Ora il piccolo Beniamino non è qui contro i miei ginocchi. Dorme nel suo letto e sogna i suoi sogni innocenti. E forse la sua anima candida è qui fra mezzo a noi lo stesso. Ma fate conto che egli, o qualche altro fanciullo, sia qui, a vostro esempio.
   Voi, in cuor vostro, avete tutti un chiodo fisso, una curiosità, un pericolo. Questo: essere il primo nel Regno dei Cieli. Questa: sapere chi sarà questo primo. E infine il pericolo: il desiderio ancora umano di sentirsi rispondere “tu sei il primo nel Regno dei Cieli” dai compagni compiacenti o dal Maestro, soprattutto dal Maestro del quale sapete la verità e la conoscenza del futuro. Non è forse così? Le domande tremano sulle vostre labbra e vivono in fondo al cuore.
   Il Maestro, per vostro bene, aderisce a questa curiosità per quanto Egli abborra di cedere alle curiosità umane. Il vostro Maestro non è un ciarlatano che si interroga per due spiccioli fra i frastuoni di un mercato. E non è uno preso dallo spirito pitonico il quale gli procura denaro col fargli fare l’indovino, per aderire alle ristrette menti dell’uomo che vogliono sapere il futuro per “regolarsi”. L’uomo non si può regolare da sé. Dio lo regola se l’uomo ha fede in Lui! E non serve sapere, o credere di sapere il futuro, se poi non si ha il mezzo per stornare il futuro profetizzato. Il mezzo è uno solo: la preghiera al Padre e Signore perché per sua misericordia ci aiuti. In verità vi dico che la preghiera fidente può mutare un castigo in benedizione. Ma chi ricorre agli uomini per potere, da uomo e con mezzi da uomo, deviare il futuro, non sa pregare affatto o sa pregare molto male. Io, questa volta, perché questa curiosità può darvi buon insegnamento, rispondo ad essa, Io che abborro le domande curiose e irrispettose.

   352.12Voi vi chiedete: “Chi fra noi è il più grande nel Regno dei Cieli?”.
   Io annullo la limitazione del “fra noi” e allargo i confini a tutto il mondo presente e futuro, e rispondo: “Il più grande nel Regno dei Cieli è il minimo fra gli uomini”. Ossia quello che è considerato “minimo” dagli uomini. Il semplice, l’umile, il fiducioso, l’ignaro. Perciò il fanciullo, o chi sa rifarsi anima di fanciullo. Non è la scienza, non il potere, non la ricchezza, non l’attività, anche se buona, quelle che vi faranno “il più grande” nel beato Regno. Ma è l’essere come i pargoli per amorevolezza, umiltà, semplicità, fede.
   Osservate come mi amano i fanciulli, e imitateli. Come credono in Me, e imitateli. Come ricordano ciò che dico, e imitateli. Come fanno ciò che insegno, e imitateli. Come non insuperbiscono di ciò che fanno, e imitateli. Come non si ingelosiscono di Me e dei compagni, e imitateli. In verità vi dico che se non mutate il vostro modo di pensare, di agire e di amare, e non ve lo rifate sul modello dei pargoli, non entrerete nel Regno dei Cieli. Essi sanno ciò che voi sapete, di essenziale, nella mia dottrina. Ma con quale differenza praticano ciò che insegno! Voi dite per ogni atto buono che compite: “Io ho fatto”. Il fanciullo mi dice: “Gesù, mi sono ricordato di Te oggi, e per Te ho ubbidito, ho amato, ho trattenuto una voglia di rissa… e sono contento perché Tu, io lo so, sai quando sono buono e ne sei contento”. E ancora osservate i fanciulli quando mancano. Con che umiltà mi confessano: “Oggi sono stato cattivo. E mi spiace perché ti ho dato dolore”. Non cercano scuse. Sanno che Io so. Credono. Si dolgono per il mio dolore.
   Oh! cari al cuor mio, fanciulli in cui non è superbia, doppiezza, lussuria! Io ve lo dico: divenite simili ai fanciulli se volete entrare nel mio Regno. Amate i fanciulli come l’esempio angelico che ancora potete avere. Ché come angeli dovreste essere. A vostra scusa potreste dire: “Noi non vediamo gli angeli”. Ma Dio vi dà i fanciulli per modelli, e quelli li avete fra voi. E se vedete un fanciullo abbandonato materialmente, o abbandonato moralmente e che può perire, accoglietelo in mio Nome, perché essi sono i molto amati da Dio. E chiunque accoglie un fanciullo in mio Nome accoglie Me stesso, perché Io sono nell’anima dei fanciulli, che è innocente. E chi accoglie Me, accoglie Colui che mi ha mandato, il Signore altissimo.

   352.13E guardatevi dallo scandalizzare uno di questi piccoli il cui occhio vede Iddio. Non si deve mai dare scandalo a nessuno. Ma guai, tre volte guai, chi sfiora il candore ignaro dei fanciulli! Lasciateli angeli più che potete. Troppo ripugnante è il mondo e la carne per l’anima che viene dai Cieli! E il fanciullo, per la sua innocenza, è ancora tutt’anima. Abbiate rispetto all’anima del fanciullo e al suo stesso corpo, come avete rispetto al luogo sacro. Sacro è anche il fanciullo perché ha Dio in sé. In ogni corpo è il tempio dello Spirito. Ma il tempio del fanciullo è il più sacro e profondo, è oltre il doppio Velo. Non scuotete neppure le tende della sublime ignoranza della concupiscenza col vento delle vostre passioni.
   Io vorrei un fanciullo in ogni famiglia, in mezzo ad ogni accolta di persone, perché fosse di freno alle passioni degli uomini. Il fanciullo santifica, dà ristoro e freschezza solo col raggio dei suoi occhi senza malizia. Ma guai a coloro che levano santità al fanciullo col loro modo di agire scandaloso! Guai a coloro che con le loro licenze dànno malizie ai fanciulli! Guai a coloro che con le loro parole e ironie ledono la fede in Me dei fanciulli! Sarebbe meglio che a tutti questi si legasse al collo una pietra da macina e si gettassero in mare perché affogassero col loro scandalo. Guai al mondo per gli scandali che dà agli innocenti! Perché se è inevitabile che avvengano scandali, guai all’uomo che per sua causa li provoca.
   Nessuno ha il diritto di fare violenza al suo corpo e alla sua vita. Perché vita e corpo ci vengono da Dio, e solo Lui ha diritto di prenderne delle parti o il tutto. Ma però Io vi dico che se la vostra mano vi scandalizza è meglio che la mozziate, che se il vostro piede vi porta a dare scandalo è bene che voi lo mozziate. Meglio per voi entrare monchi o zoppi nella Vita che essere gettati nel fuoco eterno con le due mani e i due piedi. E se non basta avere mozzo un piede o una mano, fate che vi siano mozzati anche l’altra mano o l’altro piede, per non fare più scandalo e per avere tempo da pentirvi prima di essere lanciati dove il fuoco non si estingue, e rode come un verme in eterno. E se è il vostro occhio che vi è cagione di scandalo, cavatevelo.
   È meglio essere orbi di un occhio che essere nell’inferno con tutti e due. Con un occhio solo, o anche senz’occhi, giunti al Cielo vedreste la Luce, mentre coi due occhi scandalosi, tenebre e orrore vedreste nell’inferno. E questo solo.

   352.14Ricordatevi tutto questo. Non disprezzate i piccoli, non scandalizzateli, non derideteli. Sono da più di voi, perché i loro angeli vedono sempre Iddio che dice loro le verità da rivelare ai fanciulli e a quelli dal cuor di fanciullo.
   E voi come fanciulli amatevi fra di voi. Senza dispute, senza orgogli. State in pace fra voi. Abbiate spirito di pace con tutti. Fratelli siete, nel nome del Signore, e non nemici. Non ci sono, non ci devono essere dei nemici per i discepoli di Gesù. L’unico Nemico è Satana. Di quello siate nemici acerrimi, scendendo in battaglia contro di lui e contro i peccati che portano Satana nei cuori.
   Siate instancabili nel combattere il Male quale che sia la forma che assume. E pazienti. Non c’è limitazione all’operare dell’apostolo, perché non c’è limitazione all’operare del Male. Il demonio non dice mai: “Basta. Ora sono stanco e mi riposo”. Egli è l’instancabile. Passa agile come il pensiero, e più ancora, da questo a quell’uomo, e tenta e prende, e seduce, e tormenta, e non dà pace. Assale proditoriamente e abbatte se non si è più che vigilanti. Delle volte si insedia da conquistatore per debolezza dell’assalito, altre vi entra da amico, perché il modo di vivere della preda cercata è già tale da essere alleanza col Nemico. Tal’altra, scacciato da uno, gira e piomba sul migliore, per farsi vendetta dello smacco avuto da Dio o da un servo di Dio. Ma voi dovete dire ciò che dice lui: “Io non riposo”. Lui non riposa per popolare l’Inferno. Voi non dovete riposare per popolare il Paradiso. Non dategli quartiere. Io vi predìco che più lo combatterete più vi farà soffrire. Ma non dovete tenere conto di ciò. Egli può scorrere la Terra. Ma nel Cielo non penetra. Perciò là non vi darà più noia. E là saranno tutti quelli che lo hanno combattuto…».

   352.15Gesù si interrompe bruscamente e chiede: «Ma insomma, perché date sempre noia a Giovanni? Che vogliono da te?».
   Giovanni si fa rosso come una fiamma e Bartolomeo, Tommaso, l’Iscariota chinano la testa vedendosi scoperti.
   «Ebbene?», chiede con imperio Gesù.
   «Maestro, i miei compagni vogliono che io ti dica una cosa».
   «Dilla, dunque».
   «Oggi, mentre Tu eri da quel malato, e noi giravamo per il paese come Tu avevi detto, abbiamo visto un uomo, che non è tuo discepolo e che neppure mai abbiamo notato fra quelli che ascoltano la tua dottrina, il quale cacciava dei demoni in tuo nome da un gruppo di pellegrini che andavano a Gerusalemme. E ci riusciva. Ha guarito uno che aveva un tremito che gli impediva ogni lavoro, e ha reso la favella ad una fanciulla che era stata assalita nel bosco da un demonio in forma di cane che le aveva legato la lingua. Egli diceva: “Vattene, demonio maledetto, in nome del Signore Gesù il Cristo, Re della stirpe di Davide, Re d’Israele. Egli è il Salvatore e Vincitore. Fuggi davanti al suo Nome!”, e il demonio fuggiva realmente. Noi ci siamo risentiti. E glielo abbiamo proibito. Ci ha detto: “Che faccio di male? Onoro il Cristo liberandogli la via dai demoni che non sono degni di vederlo”. Gli abbiamo risposto: “Non sei esorcista secondo Israele e non sei discepolo secondo Cristo. Non ti è lecito farlo”. Ha detto: “Fare il bene è sempre lecito”, e si è ribellato alla nostra ingiunzione dicendo: “E continuerò a fare ciò che faccio”. Ecco, volevano ti dicessi questo, specie ora che Tu hai detto che in Cielo saranno tutti quelli che hanno combattuto Satana».

   352.16«Va bene. Quell’uomo sarà di questi. Lo è. Egli aveva ragione e voi torto. Infinite sono le vie del Signore e non è detto che solo quelli che prendono la via diretta giungano al Cielo. In ogni luogo e in ogni tempo, e con mille modi diversi, ci saranno creature che verranno a Me, magari da una strada inizialmente cattiva. Ma Dio vedrà la loro retta intenzione e li attirerà alla via buona. Ugualmente vi saranno alcuni che per ebbrezza concupiscente e triplice usciranno dalla via buona e prenderanno una via che li allontana o addirittura li dirotta. Non dovete perciò mai giudicare i vostri simili. Solo Dio vede. Fate di non uscire voi dalla via buona, dove, più che la vostra volontà, quella di Dio vi ci ha messi. E quando vedete uno che crede nel mio Nome e per esso opera, non lo chiamate straniero, nemico, sacrilego. È sempre un mio suddito, amico e fedele, perché crede nel Nome mio, spontaneamente e meglio di molti fra voi. Per questo il mio Nome sulla sua bocca opera prodigi pari ai vostri e forse più. Dio lo ama perché mi ama, e finirà di portarlo al Cielo. Nessuno che faccia prodigi in mio Nome mi può essere nemico e dire male di Me. Ma col suo operare dà al Cristo onore e testimonianza di fede. In verità vi dico che credere al mio Nome è già sufficiente a salvare la propria anima. Perché il mio Nome è Salvezza. Perciò vi dico: se lo incontrerete ancora, non glielo proibite più. Ma anzi chiamatelo “fratello” perché tale è, anche se è ancora fuori del recinto del mio Ovile. Chi non è contro di Me è con Me. Chi non è contro di voi è con voi».
   «Abbiamo peccato, Signore?», chiede attrito Giovanni.
   «No. Avete agito per ignoranza, ma senza malizia. Perciò non c’è colpa. Però in avvenire sarebbe colpa, perché ora sapete. Ed ora andiamo alle nostre case. La pace sia con voi».

   
   352.17Se crede, può mettere, dopo la fine della visione di oggi, il dettato che segue quella del piccolo Beniamino (7-3-44). A sua facoltà.
   
   [7 marzo 1944].

   
   352.18Dice poi Gesù:
   «Quello che ho detto al mio piccolo discepolo lo dico anche a voi. Il Regno è degli agnelli fedeli che mi amano e mi seguono senza perdersi in lusinghe, mi amano sino alla fine. E dico a voi ciò che ho detto ai miei discepoli adulti: “Imparate dai piccoli”.
   Non è l’esser dotti, ricchi, audaci quello che vi fa conquistare il Regno dei Cieli. Non è l’esserlo umanamente. Ma è l’esserlo della scienza dell’amore, che fa dotti, ricchi, audaci soprannaturalmente. Come illumina l’amore a comprendere la Verità! Come fa ricchi per acquistarla! Come fa audaci per conquistarla! Che fiducia che ispira! Che sicurezza!
   Fate come il piccolo Beniamino, il mio piccolo fiore che m’ha profumato il cuore quella sera ed ha cantato ad esso una musica angelica, che ha ricoperto l’odore dell’umanità ribollente nei discepoli e il rumore delle beghe umane.
   E tu vuoi sapere che avvenne poi di Beniamino? Rimase il piccolo agnello di Cristo e, perduto il suo grande Pastore poiché era tornato al Cielo, si fece discepolo di quello che più mi somigliava, prendendo per sua mano il battesimo e il nome di Stefano primo mio martire. Fu fedele sino alla morte e con lui i suoi parenti, trascinati alla Fede dall’esempio del loro piccolo apostolo famigliare.
   Non è conosciuto? Molti sono gli sconosciuti dagli uomini conosciuti da Me nel mio Regno. E di questo sono felici. La fama del mondo non aggiunge una scintilla all’aureola dei beati.
   Piccolo Giovanni, cammina sempre con la tua mano nella mia. Andrai sicura e, giunta al Regno, non ti dirò “entra” ma “vieni”, e ti prenderò fra le braccia per posarti là dove il mio Amore t’ha preparato un posto e il tuo amore lo ha meritato.
   Va’ in pace. Ti benedico».

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 9, 43-45: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Vangelo Novus Ordo Lc 9, 43-45
Dal Vangelo secondo Luca

In quel giorno, mentre tutti erano ammirati di tutte le cose che faceva, Gesù disse ai suoi discepoli: «Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».
Essi però non capivano queste parole: restavano per loro così misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.


Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCLV. Il nuovo discepolo Nicolai di Antiochia e il secondo annuncio della Passione.

   9 Dicembre 1945

 1 Gesù è tutto solo sulla terrazza della casa di Tommaso di Cafarnao. Il paese ozia nel sabato, già molto ridotto nei suoi abitanti, perché i più zelanti nelle pratiche di fede sono già partiti per Gerusalemme, e così pure quelli che vi si recano con le famiglie ed hanno bambini che non possono fare marce lunghe ed obbligano gli adulti a soste e a brevi tragitti. Così manca, nella giornata già di suo un pò nuvolosa, la nota d’oro dell’infanzia giuliva.
   Gesù è molto pensieroso. Seduto su una panchetta bassa, in un angolo, presso il parapetto, tiene un gomito sul ginocchio e appoggia la fronte sulla mano con mossa stanca, quasi di sofferenza.

 2 E’ interrotto nel suo meditare dalla venuta di un fanciullino che vuole salutarlo prima di partire per Gerusalemme. «Gesù! Gesù! », chiama ad ogni scalino, non vedendo Gesù perchè il muretto lo nasconde alla vista di chi è in basso. E Gesù è così concentrato che non sente la vocetta leggera e il passo da colombino… di modo che, quando il piccolo arriva sulla terrazza, Egli è ancora in quella posizione di sofferenza. E il bambino ne resta intimorito. Si ferma sul limitare della terrazza, si mette un ditino fra le labbra e pensa… poi decide e lentamente viene avanti… ormai è quasi alle spalle di Gesù… si china per vedere ciò che fa… e dice: «No, bello! Non piangere! Perché? Per quei brutti omacci di ieri? Lo diceva il padre mio con Giairo che sono indegni di Te. Ma Tu non devi piangere. Io ti voglio bene. E te ne vuole la mia sorellina e Giacomo e Tobiolo, e Giovanna e Maria e Michea e tutti, tutti i bambini di Cafarnao. Non piangere più…», e gli si stringe al collo, carezzoso, finendo: «Altrimenti piangerò anche io, e piangerò sempre, per tutto il viaggio…».
   «No, David, non piango più. Tu mi hai consolato. Sei solo? Quando partite?».
   «Dopo il tramonto. Colla barca fino a Tiberiade. Vieni con noi. Il padre mio ti vuole bene, sai?».
   «Lo so, caro. Ma devo andare da altri bambini… Io ti ringrazio di essere venuto a salutarmi e ti benedico, piccolo Davide. Diamoci il bacio di addio e poi torna dalla mamma. Lo sa che sei qui?… ».
   «No. Sono scappato via perché non ti ho visto coi tuoi discepoli e ho pensato che piangevi».
   «Non piango più. Lo vedi. Và, và dalla mamma che forse ti cerca con spavento. Addio. Stà attento agli asini delle carovane. Vedi? Ce ne sono fermi da ogni parte».
   «Ma non piangi proprio più?».
   «No. Non ho più dolore. Tu me lo hai levato. Grazie bambino».
   Il bambino scende saltellando la scaletta e Gesù lo osserva. Poi crolla il capo e torna al suo posto nella penosa meditazione di prima.

 3 Passa del tempo. Il sole, nelle schiarite di nuvole, si mostra nella sua discesa. Un passo più pesante sulla scala. Gesù alza il viso. Vede Giairo che sta dirigendosi da Lui. Lo saluta. Ne è salutato con rispetto.
   «Come mai qui, Giairo?».
   «Signore! Io forse ho sbagliato. Ma Tu che vedi il cuore degli uomini vedrai che nel mio errore non era malanimo. Io non ti ho invitato alla sinagoga per parlare, oggi. Ma ho tanto sofferto per Te, ieri, e tanto ti ho visto soffrire che… non ho osato. Ho interrogato i tuoi. Mi hanno detto: “Vuole stare solo”… Ma poco fa è venuto Filippo, padre di Davide, dicendomi che il suo bambino ti ha visto piangere. Ha detto che Tu lo hai ringraziato di essere venuto da Te. Sono venuto io pure. Maestro, chi ancora è a Cafarnao sta per adunarsi alla sinagoga. E la sinagoga mia è tua, Signore».
   «Grazie, Giairo. Oggi parleranno altri in essa. Io verrò come semplice fedele…».
   «Nè vi saresti tenuto. Tua sinagoga è il mondo. Non vieni proprio, Maestro?».
   «No, Giairo. Sto qui col mio spirito davanti al Padre che mi capisce e che non trova colpe in Me». Gesù ha un brillìo di lacrime nell’occhio mesto.
   «Io pure non trovo colpe in Te… Addio, Signore».
   «Addio, Giairo». E Gesù si siede di nuovo, sempre meditabondo.

 4 Leggera come una colomba sale, nella sua veste bianca, la figlia di Giairo. Guarda… Chiama piano: «Salvatore mio!».
Gesù volge il capo, la vede, le sorride, le dice: «Vieni a Me».
   «Si, mio Signore. Ma io vorrei portarti agli altri. Perchè deve essere muta la sinagoga, oggi?».
   «Vi è tuo padre e tanti altri per empirla di parole».
   «Ma sono parole… La tua è la Parola. Oh! mio Signore! Con la tua parola mi hai restituito alla mamma e al padre mio, ed ero morta. Ma guarda quelli che ora vanno verso la sinagoga! Molti sono più morti di me allora. Vieni a dare loro la Vita».
   «Figlia, tu la meritavi; essi… Nessuna parola può dare vita ad uno che per sè elegge la morte».
   «Si, mio Signore. Ma vieni lo stesso. C’è anche chi vive sempre più, sentendoti… Vieni. Metti la tua mano nella mia e andiamo. Io sono la testimonianza del tuo potere, e sono pronta a testimoniarlo anche davanti ai tuoi nemici, anche a prezzo che mi venga levata questa seconda vita, che d’altronde non è più mia. Tu me l’hai data, Maestro buono, per pietà di una madre e di un padre. Ma io…». La fanciulla, una bella fanciulla già donnina, dai dolci occhioni splendenti nel viso puro e intelligente, si arresta per un’onda di pianto che la strozza, gocciando dalle lunghe ciglia sulle guance.
   «Perché piangi, ora?», chiede Gesù ponendole la mano sui capelli.
   «Perchè… mi è stato detto che Tu dici che morrai…».
   «Tutti si muore, fanciulla».
   «Ma non così come Tu dici! Io… oh! ora io non avrei voluto essere tornata viva, per non vedere ciò, per non esserci quando… questo orrore sarà…».
   «Allora non ci saresti neppure stata per darmi la consolazione che mi dài ora. Non sai che la parola, anche una sola, di un puro e di uno che mi ama, leva ogni pena da Me?».
   «Si? Oh! allora Tu non ne devi più avere perchè io ti amo più del padre, della madre e della mia vita!».
   «Così è».
   «Allora vieni. Non stare solo. Parla per me, per Giairo, per la mamma, per il piccolo Davide, per quelli che ti amano, insomma. Siamo tanti e saremo più ancora. Ma non stare solo. Viene malinconia», e materna d’istinto come ogni donna onesta, termina dicendo: «Con me vicino nessuno ti farà del male. Ed io, del resto, ti difenderò».
   Gesù si alza e l’accontenta. La mano nella mano, traversano le vie ed entrano nella sinagoga da una porta laterale.

 5 Giairo, che stà leggendo ad alta voce un rotolo, sospende la lettura e dice, inchinandosi profondamente: «Maestro, te ne prego, per i retti di cuore parla. Preparaci alla Pasqua con la tua santa parola».
   «Stai leggendo dei Re, non è vero?».
   «Si, Maestro. Cercavo di fare riflettere che chi si separa dal Dio vero cade in idolatria di vitelli d’oro».
   «Bene hai detto. Nessuno ha da dire nulla?».
   Si alza un brusio dalla folla. Chi vuole che parli Gesù e chi urla: «Abbiamo fretta. Si dicano le preghiere e si cessi l’adunanza. Andiamo a Gerusalemme, d’altronde, e là udremo i rabbi», e chi urla così sono i molti disertori di ieri, che il sabato ha trattenuto a Cafarnao.
   Gesù li guarda con somma mestizia e dice: «Avete fretta. E’ vero. Anche Dio ha fretta di giudicarvi. Andate pure». Poi, volgendosi a quelli che li rimproverano dice: « Non li sgridate. Ogni pianta dà il suo frutto».
   «Signore! Ripeti il gesto di Nehemia! (Neemia 5, 13) Tu, Sacerdote supremo!», grida sdegnato Giairo, e gli fanno coro gli apostoli, i discepoli fedeli e quelli di Cafarnao.
   Gesù apre le braccia a croce e, pallidissimo, un vero viso straziato eppure dolcissimo, grida: «Ricordati di Me, o mio Dio! E in bene! E ricordati pure in bene di loro! Io li perdono!». (Neemia 5, 19)

 6 La sinagoga si svuota, rimanendo i fedeli a Gesù…
   E vi è uno straniero in un angolo. Un uomo robusto che nessuno osserva, al quale nessuno parla. Del resto egli pure non parla con nessuno. Guarda solo fissamente Gesù, tanto che il Maestro volge il suo sguardo in quella direzione, lo vede e chiede a Giairo chi sia.
   «Non so. Uno di passaggio certo».
   Gesù lo interpella: «Chi sei?».
   «Nicolai, proselite di Antiochia, diretto a Gerusalemme per la Pasqua».
   «Chi cerchi?».
   «Te, Signore Gesù di Nazaret. Ho desiderio di parlarti».
   «Vieni». E avutolo vicino esce con lui nell’orto dietro la sinagoga per ascoltarlo.
   «Ho parlato ad Antiochia con un tuo discepolo di nome Felice. Ho ardentemente desiderato di conoscerti. Mi ha detto che luogo di sosta tua è Cafarnao, e hai la Madre a Nazaret. E anche che vai al Getsemani o a Betania. L’Eterno fa che io ti trovi al primo luogo. C’ero ieri… E ti ero presso stamane mentre Tu piangevi pregando, presso la fonte… Ti amo, Signore. Perchè sei santo e mite. Credo in Te. Le tue azioni, le tue parole mi avevano già fatto tuo. Ma la tua misericordia di poco fa, per i colpevoli, mi ha deciso. Signore, accoglimi al posto di chi ti abbandona! Vengo a Te con tutto quanto ho: la vita e i beni, tutto». Si è inginocchiato dicendo le ultime parole.
   Gesù lo guarda fissamente… poi dice: «Vieni. Da oggi sarai del Maestro. Andiamo dai tuoi compagni».
   Tornano nella sinagoga, dove è un grande parlare dei discepoli e degli apostoli con Giairo.
   «Ecco un nuovo discepolo. Il Padre mi consola. Amatelo come un fratello. Andiamo con lui a dividere il pane e il sale. Poi nella notte voi partirete con lui per Gerusalemme e noi colle barche andremo a Ippo… E non dite la mia strada a nessuno, onde Io non sia trattenuto».

 7 Ma intanto il sabato è finito, e quelli che vogliono fuggire Gesù sono in folla sulla spiaggia, per contrattare i traghetti per Tiberiade. E litigano con Zebedeo che non vuole cedere la sua barca, già pronta, vicina a quella di Pietro, per la partenza nella notte di Gesù coi i dodici.
   «Io vado ad aiutarlo!», dice Pietro che è irritato.
   Gesù, ad evitare urti troppo forti, lo trattiene dicendo: «Andiamo tutti, non tu solo».
   E vanno… E gustano l’amarezza di vedere che i fuggenti se ne vanno senza un saluto, tagliando netto ogni discussione pur di allontanarsi da Gesù… e sentono anche qualche epiteto spregevole e consigli acri ai fedeli discepoli…
   Gesù si volge per tornare a casa dopo che la turba ostile se ne è andata, e dice al nuovo discepolo: «Li senti? Questo è ciò che ti attende venendo a Me».
   «Lo so. Per questo resto. Ti avevo visto in un giorno glorioso fra folla che ti acclamava salutandoti “re”. Ho scosso le spalle dicendo: “Un altro povero illuso! Un’altra piaga per Israele!”, e non ti ho seguito perchè parevi un re, e neppure a Te pensavo più. Ora ti seguo perchè nelle tue parole e nella tua bontà vedo il promesso Messia».
   «In verità tu sei più giusto di molti altri. Però ancora una volta lo dico. Chi spera in Me un re terreno si ritiri. Chi sente che si vergognerà di Me nel cospetto del mondo accusatore si ritiri. Chi si scandalizzerà di vedermi trattato da malfattore si ritiri. Ve lo dico mentre ancora potete farlo senza essere compromessi agli occhi del mondo. Imitate coloro che fuggono su quelle barche, se non vi sentite di condividere la mia sorte nell’obbrobrio per poterla condividere poi nella gloria. Perchè questo sta per avvenire: il Figlio dell’uomo sta per essere accusato e messo poi nelle mani degli uomini, i quali lo uccideranno come un malfattore e crederanno di averlo vinto. Ma inutilmente avranno fatto il loro delitto. Perchè Io risorgerò dopo tre giorni e trionferò. Beati quelli che sapranno essere meco fino alla fine!».

 8 Sono giunti alla casa e Gesù affida ai discepoli il nuovo venuto, salendo da solo dove era prima. Anzi entra nella stanza superiore e si siede, pensando.
   Salgono dopo un poco l’Iscariota con Pietro.
   «Maestro, Giuda mi ha fatto riflettere a delle cose giuste».
   «Dille».
   «Tu prendi questo Nicolai, un proselite, e del quale ignoriamo il passato. Già tante noie abbiamo avuto… e abbiamo. E ora? Che sappiamo di lui? Possiamo fidarci? Giuda giustamente dice che potrebbe essere una spia mandata dai nemici».
  «Ma sì! Un traditore! Perché non vuole dire da dove viene e chi lo manda? Io l’ho interrogato, ma dice solo: “Sono Nicolai di Antiochia, proselite”. Io ho fieri sospetti».
   «Ti ricordo che egli viene perchè mi vede tradito».
   «Può essere menzogna! Può essere un tradimento!».
   «Chi dovunque vede menzogna o vede tradimento è anima capace di tali cose, perchè si misura sul proprio modello», dice serio Gesù.
   «Signore, Tu mi offendi!», grida Giuda sdegnato.
   «Lasciami, dunque, e vai con chi mi abbandona».
   Giuda esce sbatacchiando la porta con mal modo.
   «Però, Signore, Giuda non ha tutti i torti… E poi non vorrei che… quell’uomo dicesse di Giovanni. Non può essere che l’uomo di Endor il Felice che ti manda questo…».
   «Così è certamente. Ma Giovanni di Endor è prudente ed ha ripreso il suo antico nome. Stà tranquillo, Simone. Un uomo che si fa discepolo, perchè sente che la mia causa umana è già persa, non può essere che uno retto di spirito. Ben diverso è quello di colui che ora è uscito, e che è venuto a Me perchè sperava di essere il principe di un re potente… e non si persuade che Io sono re solo per lo spirito…».
   «Sospetti di lui, Signore?».
   «Di nessuno. Ma in verità ti dico che dove giungerà Nicolai, discepolo e proselite, Giuda di Simone apostolo, israelita e giudeo, non giungerà».
   «Signore, io avrei voglia di interrogare Nicolai su… Giovanni».
  «Non lo fare. Giovanni non gli ha dato incarichi perchè è prudente. Non essere tu l’imprudente».
   «No, Signore. Te lo chiedevo soltanto…».
   «Scendiamo ad affrettare le cene. A notte alta partiremo… Simone… mi ami tu?».
   «Oh! Maestro! Ma che dici?».
   «Simone, il mio cuore è più scuro del lago in una notte di tempesta e tanto agitato come quello…».
   «Oh! Maestro mio!… Che ti devo dire, se io sono ancor più… scuro e agitato di Te? Ti dirò: “Ecco il tuo Simone. E se ti può dare conforto il mio cuore, prenditelo”. Non ho che questo, ma è sincero».
   Gesù gli pone per un momento la testa sul petto ampio e robusto e poi si alza e scende, con Pietro.

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
noi ci affidiamo per sempre a Te!

Vangelo Lc 7, 36-50: “Le sono perdonati molti peccati, perché molto ha amato”.

Luca 7:36-50
In quel tempo uno dei Farisei lo pregò di andare a desinare da lui. Ed entrato in casa del Fariseo, si mise a tavola. Ed ecco una donna che era peccatrice in quella città, appena seppe che egli era a mangiare in casa del Fariseo portò un alabastro pieno di profumo; e stando ai piedi di lui, con le lacrime incominciò a bagnarne i piedi, e coi capelli del suo capo li asciugava, li baciava e li ungeva d’unguento. Vedendo ciò il Fariseo che l’aveva invitato, prese a dire dentro di sé: «Costui, se fosse un profeta, certo saprebbe che donna è costei che lo tocca, e com’è peccatrice». E Gesù, rivolgendosi a lui, disse: «Simone, ho da dirti una cosa». Ed egli: «Maestro, di’ pure!». «Un creditore aveva due debitori: uno gli doveva cinquecento danari, e l’altro cinquanta. Or non avendo quelli da poter restituire, condonò il debito a tutti e due: chi dunque di loro amerà di più?». Simone rispose: «Secondo me, colui al quale ha condonato di più». Gesù replicò: «Hai giudicato rettamente». Poi, rivolto alla donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato in casa tua, tu non mi hai dato acqua ai piedi, ma essa li ha bagnati colle lacrime e rasciugati con i suoi capelli. Tu non mi hai dato il bacio; ma lei da che è venuta non ha smesso di baciarmi i piedi. Tu non hai unto di olio il mio capo, ma essa con l’unguento ha unto i miei piedi. Per questo ti dico: “le sono perdonati molti peccati, perché molto ha amato”. Invece quello a cui poco si perdona, poco ama». E disse a lei: «Ti son perdonati i peccati». E i convitati cominciarono a dire dentro di sé: «Chi è costui che perdona anche i peccati?», Ma Gesù disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va in pace».

Oggi conserviamo nel nostro cuore queste parole del Vangelo:
«La tua fede ti ha salvata; va in pace».

Maria Valtorta: ‘L’Evangelo come mi è stato rivelato’
Paralleli Novus ordo

   Cap. CCCXLIII. Il lievito dei farisei. Le opinioni sul Figlio dell’uomo. Il primato a Simon Pietro.

   27 novembre 1945.

   343.1La pianura fiancheggia il Giordano prima che questo si getti nel lago di Merom. Una bella pianura su cui di giorno in giorno crescono più rigogliosi i cereali e s’infiorano gli alberi da frutto. I colli oltre i quali è Cedes sono ora alle spalle dei pellegrini, che infreddoliti camminano lesti nelle prime luci del giorno, guardando con desiderio il sole che ascende e cercandolo non appena il suo raggio tocca i prati e carezza le fronde. Devono avere dormito all’aperto, al massimo in un pagliaio, perché le vesti sono sgualcite e conservano festuche di paglia e foglie secche che essi si vanno levando man mano che le scoprono nella luce più forte.
   Il fiume si annuncia per il suo fruscio, che pare forte nel silenzio mattutino della campagna e per una folta riga di alberi dalle foglie novelle, che tremolano alla lieve brezza del mattino. Ma ancora non si vede, sprofondato come è nella pianura piatta. Quando le sue acque azzurre, ingrossate da numerosi torrentelli che scendono dai colli occidentali, si vedono luccicare fra il verde novello delle sponde, si è quasi sulla riva.
   «Facciamo la riva fino al ponte, oppure passiamo il fiume qui?», chiedono a Gesù che era solo, meditabondo, e che si è fermato ad attenderli.
   «Vedete se c’è barca per passare. È meglio andare di qui…».
   «Sì. Al ponte che è proprio sulla via per Cesarea Paneade potremmo incontrare da capo qualcuno messo sulle tracce», osserva Bartolomeo accigliato, guardando Giuda.
   «No. Non mi guardare male. Io non sapevo di venire qui e non ho detto nulla. Era facile capire che da Sefet Gesù sarebbe andato alle tombe dei rabbi e a Cédès. Ma mai avrei pensato volesse spingersi fino alla capitale di Filippo. Perciò essi lo ignorano. E non li troveremo per mia colpa né per loro volontà. A meno che non abbiano Belzebù che li conduce», dice calmo e umile l’Iscariota.
   «Questo è bene. Perché con certa gente… Bisogna avere occhio e misurare le parole, non lasciare indizi dei nostri progetti. Stare attenti a tutto si deve. Altrimenti la nostra evangelizzazione si tramuterà in perpetua fuga», ribatte Bartolomeo.
   Tornano Giovanni e Andrea. Dicono: «Abbiamo trovato due barche. Ci passano per una dramma a barca. Scendiamo sull’argine».
   E nelle due barchette, in due riprese, passano sull’altra sponda. La pianura piatta e fertile li accoglie anche qui. Una pianura fertile, ma poco popolata. Solo i contadini che la coltivano hanno casa in essa.

   343.2«Umh! Come faremo per il pane? Io ho fame. E qui… non ci sono neppure le spighe filistee… Erba e foglie, foglie e fiori. Non sono una pecorella né un’ape», mormora Pietro ai compagni, che sorridono dell’osservazione.
   Giuda Taddeo si volta — era un poco più avanti — e dice:
   «Compreremo pane al primo paese».
   «Sempre che non ci facciano fuggire», termina Giacomo di Zebedeo.
   «Guardatevi, voi che dite di stare attenti a tutto, dal prendere il lievito dei farisei e dei sadducei. Mi sembra che lo stiate facendo, senza riflettere a ciò che fate di male. State attenti! Guardatevi!», dice Gesù.
   Gli apostoli si guardano l’un l’altro e bisbigliano: «Ma che dice? Il pane ce lo ha dato quella donna del sordomuto e l’oste di Cedes. E questo è ancora qui. L’unico che abbiamo. Né sappiamo se potremo trovarne da prendere per la nostra fame. Come dunque dice che comperiamo da sadducei e farisei pane col loro lievito? Forse non vuole che si comperi in questi paesi…».
   Gesù, che era di nuovo avanti tutto solo, torna a voltarsi.
   «Perché avete paura di rimanere senza pane per la vostra fame? Anche se tutti qui fossero sadducei e farisei, non rimarreste senza cibo per il mio consiglio. Non è di quel lievito che è nel pane che Io parlo. Perciò potrete comperare dove vi pare il pane per i vostri ventri. E se nessuno ve lo volesse vendere, non rimarreste senza pane lo stesso. Non vi ricordate dei cinque pani con cui si sfamarono cinquemila persone? Non vi ricordate che ne raccoglieste dodici panieri colmi di avanzi? Potrei fare per voi, che siete dodici e avete un pane, ciò che feci per cinquemila con cinque pani. Non capite a quale lievito alludo? A quello che gonfia nel cuore dei farisei, sadducei e dottori, contro di Me. È odio, quello. Ed è eresia. Ora voi state andando verso l’odio come fosse entrato in voi parte del lievito farisaico. Non si deve odiare neppure chi ci è nemico. Non aprite neppure uno spiraglio a ciò che non è Dio. Dietro al primo entrerebbero altri elementi contrari a Dio. Talora, per troppo volere combattere con armi uguali i nemici, si finisce a perire o a essere vinti. E, vinti che siate, potreste per contatto assorbire le loro dottrine. No. Abbiate carità e riservatezza. Voi non avete in voi ancora tanto da poterle combattere, queste dottrine, senza esserne infettati. Perché alcuni elementi di esse li avete pure voi. E l’astio per loro ne è uno. Ancora vi dico che essi potrebbero cambiare metodo per sedurvi e levarvi a Me, usandovi mille gentilezze, mostrandosi pentiti, desiderosi di fare pace. Non dovete sfuggirli. Ma quando essi cercheranno darvi le loro dottrine, sappiate non accoglierle. Ecco quale è il lievito di cui parlo. Il malanimo, che è contro l’amore, e le false dottrine. Vi dico: siate prudenti» 

   343.3«Quel segno che i farisei chiedevano ieri era “lievito”, Maestro?», chiede Tommaso.
   «Era lievito e veleno».
   «Hai fatto bene a non darglielo».
   «Ma glielo darò un giorno».
   «Quando? Quando?», chiedono curiosi.
   «Un giorno…».
   «E che segno è? Non lo dici neppure a noi, i tuoi apostoli? Perché lo si possa riconoscere subito», chiede voglioso Pietro.
   «Voi non dovreste avere bisogno di un segno».
   «Oh! non per poter credere in Te! Non siamo la gente che ha molti pensieri, noi. Noi ne abbiamo uno solo: amare Te», dice veementemente Giacomo di Zebedeo 

   343.4«Ma la gente, voi che l’avvicinate, così alla buona, più di Me, e senza la soggezione che Io posso incutere, che dice che Io sia? E come definisce il Figlio dell’uomo?».
   «Chi dice che Tu sei Gesù, ossia il Cristo, e sono i migliori.
   Gli altri ti dicono Profeta, altri solo Rabbi, e altri, Tu lo sai, ti dicono pazzo e indemoniato».
   «Qualcuno però usa per Te il nome stesso che Tu ti dai, e ti dice: “Figlio dell’uomo”».
   «E alcuni anche dicono che ciò non può essere, perché il Figlio dell’uomo è ben altra cosa. Né è sempre negazione questa. Perché in fondo essi ammettono che Tu sei da più del Figlio dell’uomo: sei il Figlio di Dio. Altri invece dicono che Tu non sei neppure il Figlio dell’uomo, ma un povero uomo che Satana agita o che sconvolge la demenza. Tu vedi che i pareri sono molti e tutti diversi», dice Bartolomeo.
   «Ma per la gente chi è dunque il Figlio dell’uomo?».
   «È un uomo nel quale siano tutte le virtù più belle dell’uomo, un uomo che raduni in sé tutti i requisiti di intelligenza, sapienza, grazia che pensiamo fossero in Adamo, e taluni a questi requisiti aggiungono quello del non morire. Tu sai che già circola la voce che Giovanni Battista non sia morto. Ma solo trasportato altrove dagli angeli, e che Erode, per non dirsi vinto da Dio, e più ancora Erodiade, abbiano ucciso un servo e, sottratto il capo di lui, abbiano mostrato come cadavere del Battista il corpo mutilato del servo. Tante ne dice la gente! Perciò pensano in molti che il Figlio dell’uomo sia o Geremia, o Elia, o qualcuno dei Profeti e anche lo stesso Battista, nel quale era grazia e sapienza, e si diceva il Precursore del Cristo. Cristo: l’Unto di Dio. Il Figlio dell’uomo: un grande uomo nato dall’uomo. Non possono ammettere in molti, o non lo vogliono ammettere, che Dio abbia potuto mandare suo Figlio sulla Terra. Tu lo hai detto ieri: “Crederanno solo coloro che sono convinti dell’infinita bontà di Dio”. Israele crede nel rigore di Dio più che nella sua bontà…», dice ancora Bartolomeo.
   «Già. Si sentono infatti tanto indegni che giudicano impossibile che Dio sia tanto buono da mandare il suo Verbo per salvarli. Fa ostacolo al loro credere in ciò lo stato degradato della loro anima», conferma lo Zelote. E aggiunge: «Tu lo dici che sei il Figlio di Dio e dell’uomo. Infatti in Te è ogni grazia e sapienza come uomo. Ed io credo che realmente chi fosse nato da un Adamo in grazia ti avrebbe somigliato per bellezza e intelligenza ed ogni altra dote. E in Te brilla Dio per la potenza. Ma chi lo può credere fra coloro che si credono dèi e misurano Dio su se stessi, nella loro superbia infinita? Essi, i crudeli, gli odiatori, i rapaci, gli impuri, non possono certo pensare che Dio abbia spinto la sua dolcezza a dare Se stesso per redimerli, il suo amore a salvarli, la sua generosità a darsi in balìa dell’uomo, la sua purezza a sacrificarsi fra noi. Non lo possono, no, essi che sono così inesorabili e cavillosi nel cercare e punire le colpe».

   343.5«E voi chi dite che Io sia? Ditelo proprio per vostro giudizio, senza tenere conto delle mie parole o di quelle altrui. Se foste obbligati a giudicarmi, che direste che Io sia?».
   «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», grida Pietro inginocchiandosi a braccia tese verso l’alto, verso Gesù, che lo guarda con un volto tutto luce e che si curva a rialzarlo per abbracciarlo dicendo:
   «Te beato, o Simone, figlio di Giona! Perché non la carne né il sangue te lo ha rivelato, ma il Padre mio che è nei Cieli. Dal primo giorno che venisti da Me ti sei fatto questa domanda, e poiché eri semplice e onesto hai saputo comprendere ed accettare la risposta che ti veniva dai Cieli. Tu non vedesti[83] manifestazioni soprannaturali come tuo fratello e Giovanni e Giacomo. Tu non conoscevi la mia santità di figlio, di operaio, di cittadino come Giuda e Giacomo, miei fratelli. Tu non ricevesti miracolo né vedesti farne, né ti diedi segno di potenza come feci e come videro Filippo, Natanaele, Simon Cananeo, Tommaso, Giuda. Tu non fosti soggiogato dal mio volere come Levi il pubblicano. Eppure tu hai esclamato: “Egli è il Cristo!”. Dalla prima ora che mi hai visto, hai creduto, né mai la tua fede fu scossa. Per questo Io ti ho chiamato Cefa. E per questo su te, Pietra, Io edificherò la mia Chiesa, e le porte dell’Inferno non prevarranno contro di lei. A te darò le chiavi del Regno dei Cieli. E qualunque cosa avrai legata sulla Terra sarà legata anche nei Cieli. E qualunque cosa avrai sciolta sulla Terra sarà sciolta anche nei Cieli, o uomo fedele e prudente di cui ho potuto provare il cuore. E qui, da questo momento, tu sei il capo, al quale va data ubbidienza e rispetto come ad un altro Me stesso. E tale lo proclamo davanti a tutti voi».

   343.6Se Gesù avesse schiacciato Pietro sotto una grandine di rimproveri, il pianto di Pietro non sarebbe stato così alto. Piange tutto scosso dai singhiozzi, col volto sul petto di Gesù. Un pianto che avrà solo riscontro in quello infrenabile del suo dolore di rinnegatore di Gesù. Ora è pianto fatto di mille sentimenti umili e buoni… Un altro poco dell’antico Simone — il pescatore di Betsaida che al primo annuncio del fratello aveva riso dicendo: «Il Messia appare a te!… Proprio!», incredulo e ridanciano — un poco tanto dell’antico Simone si sgretola sotto quel pianto per far apparire, sotto la crosta assottigliata della sua umanità, sempre più nettamente il Pietro, pontefice della Chiesa di Cristo.
   Quando alza il viso, timido, confuso, non sa che fare un atto per dire tutto, per promettere tutto, per rinforzarsi tutto al nuovo ministero: quello di gettare le sue braccia corte e muscolose al collo di Gesù e obbligarlo a chinarsi per baciarlo, mescolando i suoi capelli, la sua barba, un poco ispidi e brizzolati, ai capelli e alla barba morbidi e dorati di Gesù, guardandolo poi con uno sguardo adorante, amoroso, supplichevole, degli occhi un poco bovini, lucidi e rossi delle lacrime sparse, tenendo nelle sue mani callose, larghe, tozze, il viso ascetico del Maestro curvo sul suo, come fosse un vaso da cui fluisse liquore vitale… e beve, beve, beve dolcezza e grazia, sicurezza e forza, da quel viso, da quegli occhi, da quel sorriso…

   343.7Si sciolgono infine, tornando ad andare verso Cesarea di Filippo, e Gesù dice a tutti: «Pietro ha detto la verità. Molti l’intuiscono, voi la sapete. Ma voi, per ora, non dite[84] ad alcuno ciò che è il Cristo nella verità completa di ciò che sapete. Lasciate che Dio parli nei cuori come parla nel vostro. In verità vi dico che quelli che alle mie asserzioni o alle vostre aggiungono la fede perfetta e il perfetto amore, giungono a sapere il vero significato delle parole “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio dell’uomo e di Dio”». 

   Cap. CCCXLVI. Primo annuncio della Passione e il rimprovero a Simon Pietro.

   30 novembre 1945.

   346.1Gesù deve avere lasciato la città di Cesarea di Filippo alle prime luci del mattino, perché ora essa è già lontana coi suoi monti e la pianura è di nuovo intorno a Gesù, che si dirige verso il lago di Meron per poi andare verso quello di Gennezaret. Sono con Lui gli apostoli e tutti i discepoli che erano a Cesarea. Ma che una carovana così numerosa sia per la via non fa stupore a nessuno, perché altre carovane si incontrano già, dirette a Gerusalemme, di israeliti o proseliti che vengono da tutti i luoghi della Diaspora e che desiderano sostare per qualche tempo nella Città Santa per sentire i rabbi e respirare a lungo l’aria del Tempio.
   Vanno lesti sotto un sole ormai alto ma che non dà ancora noia, perché è un sole di primavera che scherza con le fronde novelle e con le ramaglie fiorite e suscita fiori, fiori, fiori da ogni parte. La pianura che precede il lago è tutta un tappeto fiorito e l’occhio, volgendosi ai colli che la circondano, li vede pezzati dei ciuffi candidi, tenuamente rosei, o rosa deciso, o rosa quasi rosso, degli svariati alberi da frutto, e, passando presso le rare case dei contadini o presso le mascalcie seminate per la via, la vista si rallegra sui primi rosai fioriti negli orti, lungo le siepi o contro i muri delle case.
   «I giardini di Giovanna devono essere tutti in fiore», osserva Simone Zelote.
   «Anche l’orto di Nazaret deve parere un cesto pieno di fiori. Maria ne è la dolce ape che va da roseto a roseto e da questi ai gelsomini che presto fioriranno, ai gigli che già hanno i bocci sullo stelo, e coglierà il ramo del mandorlo come sempre fa, anzi ora coglierà quello del pero o del melograno per metterlo nell’anfora nella sua stanzetta. Quando eravamo bambini le chiedevamo ogni anno: “Perché tieni sempre lì un ramo di albero in fiore e non ci metti invece le prime rose?”; e Lei rispondeva: “Perché su quei petali io vedo scritto un ordine che mi venne da Dio e sento l’odore puro dell’aura celeste”. Te lo ricordi, Giuda?», chiede Giacomo d’Alfeo al fratello.
   «Sì. Me lo ricordo. E ricordo che, divenuto uomo, io attendevo con ansia la primavera per vedere Maria camminare per il suo orto sotto le nuvole dei suoi alberi in fiore e fra le siepi delle prime rose. Non vedevo mai spettacolo più bello di quella eterna fanciulla trasvolante fra i fiori, fra voli di colombi…».

   346.2«Oh! andiamoci presto a vederla, Signore! Che veda anche io tutto questo!», supplica Tommaso.
   «Non abbiamo che affrettare la marcia e sostare ben poco, nelle notti, per giungere a Nazaret in tempo», risponde Gesù.
   «Mi accontenti proprio, Signore?».
   «Sì, Tommaso. Andremo a Betsaida tutti, e poi a Cafarnao, e lì ci separeremo, noi andando con la barca a Tiberiade e poi a Nazaret. Così ognuno, meno voi giudei, prenderemo le vesti più leggere. L’inverno è finito».
   «Sì. E noi andiamo a dire[86] alla Colomba: “Alzati, affrettati, o mia diletta, e vieni perché l’inverno è passato, la pioggia è finita, i fiori sono sulla terra… Sorgi, o mia amica, e vieni, colomba che stai nascosta, mostrami il tuo viso e fammi sentire la tua voce”».
   «E bravo Giovanni! Sembri un innamorato che canti la sua canzone alla sua bella!», dice Pietro.
   «Lo sono. Di Maria lo sono. Non vedrò altre donne che sveglino il mio amore. Solo Maria, l’amata da tutto me stesso».
   «Lo dicevo anche io un mese fa. Vero, Signore?», dice Tommaso.
   «Io credo che siamo tutti innamorati di Lei. Un amore così alto, così celestiale!… Quale solo quella Donna può ispirarlo. E l’anima ama completamente la sua anima, la mente ama e ammira il suo intelletto, l’occhio mira e si bea nella sua grazia pura che dà diletto senza dare fremito, così come quando si guarda un fiore… Maria, la Bellezza della Terra e, credo, la Bellezza del Cielo…», dice Matteo.
   «È vero! È vero! Tutti vediamo in Maria quanto è di più dolce nella donna. E la fanciulla pura, e la madre dolcissima. E non si sa se la si ama più per l’una o l’altra grazia…», dice Filippo.
   «La si ama perché è “Maria”. Ecco!», sentenzia Pietro 

   346.3Gesù li ha ascoltati parlare e dice: «Avete detto tutti bene.
   Benissimo ha detto Simon Pietro. Maria si ama perché è “Maria”. Vi ho detto, andando a Cesarea, che solo coloro che uniranno fede perfetta ad amore perfetto giungeranno a sapere il vero significato delle parole: “Gesù, il Cristo, il Verbo, il Figlio di Dio e il Figlio dell’uomo”. Ma ora anche vi dico che c’è un altro nome denso di significati. Ed è quello di mia Madre. Solo coloro che uniranno perfetta fede a perfetto amore giungeranno a sapere il vero significato del nome “Maria”, della Madre del Figlio di Dio. E il vero significato comincerà ad apparire chiaro ai veri credenti e ai veri amorosi in un’ora tremenda di strazio, quando la Genitrice sarà suppliziata col suo Nato, quando la Redentrice redimerà col Redentore, agli occhi di tutto il mondo e per tutti i secoli dei secoli».
   «Quando?», chiede Bartolomeo, mentre si sono fermati sulle sponde di un grosso ruscello nel quale bevono molti discepoli.
   «Fermiamoci qui a spartire il pane. Il sole è a mezzogiorno. A sera saremo al lago di Merom e potremo abbreviare la via con delle barchette», risponde Gesù evasivamente.
   Si siedono tutti sulla erbetta tenera e tiepida di sole delle rive del ruscello, e Giovanni dice: «È un dolore sciupare questi fiorellini così gentili. Sembrano pezzettini di cielo caduti qui sui prati». Sono centinaia e centinaia di miosotis.
   «Rinasceranno più belli domani. Sono fioriti per fare, delle zolle, una sala di convito al loro Signore», lo consola Giacomo suo fratello.
   Gesù offre e benedice il cibo e tutti si danno a mangiare allegramente. I discepoli, come tanti girasoli, guardano tutti in direzione di Gesù, che è seduto al centro della fila dei suoi apostoli.

   346.4Il pasto è presto finito, condito di serenità e di acqua pura. Ma, posto che Gesù resta seduto, nessuno si muove. Anzi i discepoli si spostano per venire più vicino, per sentire ciò che dice Gesù, che gli apostoli interrogano. E interrogano ancora su quanto ha detto prima di sua Madre.
   «Sì. Perché essermi madre per la carne sarebbe già grande cosa. Pensate che è ricordata Anna di Elcana come madre di Samuele. Ma egli non era che un profeta. Eppure la madre è ricordata per averlo generato. Perciò ricordata, e con lodi altissime, lo sarebbe Maria per avere dato al mondo Gesù il Salvatore. Ma sarebbe poco, rispetto al tanto che Dio esige da Lei per completare la misura richiesta per la redenzione del mondo. Maria non deluderà il desiderio di Dio. Non lo ha mai deluso. Dalle richieste di amore totale a quelle di sacrificio totale, Ella si è data e si darà. E quando avrà consumato il massimo sacrificio, con Me, per Me, e per il mondo, allora i veri fedeli e i veri amorosi capiranno il vero significato del suo Nome. E nei secoli dei secoli, ad ogni vero fedele, ad ogni vero amoroso, sarà concesso di saperlo. Il Nome della Grande Madre, della Santa Nutrice, che allatterà nei secoli dei secoli i pueri di Cristo col suo pianto per crescerli alla Vita dei Cieli».
   «Pianto, Signore? Deve piangere tua Madre?», chiede l’Iscariota.
   «Ogni madre piange. E la mia piangerà più di ogni altra».
   «Ma perché? Io ho fatto piangere la mia qualche volta, perché non sono sempre un buon figlio. Ma Tu! Tu non dài mai dolore a tua Madre».
   «No. Io non le do infatti dolore come Figlio suo. Ma gliene darò tanto come Redentore. Due saranno quelli che faranno piangere di un pianto senza fine la Madre mia: Io per salvare l’Umanità, e l’Umanità col suo continuo peccare. Ogni uomo vissuto, vivente, o che vivrà, costa lacrime a Maria».
   «Ma perché?», chiede stupito Giacomo di Zebedeo.
   «Perché ogni uomo costa torture a Me per redimerlo».
   «Ma come puoi dire questo di quelli già morti o non ancora nati? Ti faranno soffrire quelli viventi, gli scribi, i farisei, i sadducei, con le loro accuse, le loro gelosie, le loro malignità.
   Ma non più di così», asserisce sicuro Bartolomeo.
   «Giovanni Battista fu anche ucciso… e non è il solo profeta che Israele abbia ucciso e il solo sacerdote, del Volere eterno, ucciso perché inviso ai disubbidienti a Dio».
   «Ma Tu sei da più di un profeta e dello stesso Battista, tuo Precursore. Tu sei il Verbo di Dio. La mano d’Israele non si alzerà su di Te», dice Giuda Taddeo.
   «Lo credi, fratello? Sei in errore», gli risponde Gesù.
   «No. Non può essere! Non può avvenire! Dio non lo permetterà! Sarebbe un avvilire per sempre il suo Cristo!». Giuda Taddeo è tanto agitato che si alza in piedi.
   Anche Gesù lo imita e lo guarda fisso nel volto impallidito, negli occhi sinceri. Dice lentamente: «Eppure sarà», e abbassa il braccio destro, che aveva alto, come se giurasse.

   346.5Tutti si alzano e si stringono più ancora intorno a Lui — una corona di visi addolorati ma più ancora increduli — e mormorii vanno per il gruppo:
   «Certo… se così fosse… il Taddeo avrebbe ragione».
   «Quello che avvenne del Battista è male. Ma ha esaltato l’uomo, eroico fino alla fine. Se ciò avvenisse al Cristo sarebbe uno sminuirlo».
   «Cristo può essere perseguitato, ma non avvilito».
   «L’unzione di Dio è su di Lui».
   «Chi potrebbe più credere se ti vedessero in balìa degli uomini?».
   «Noi non lo permetteremo».
   L’unico che tace è Giacomo di Alfeo. Suo fratello lo investe:
   «Tu non parli? Non ti muovi? Non senti? Difendi il Cristo contro Se stesso!». Giacomo, per tutta risposta, si porta le mani al viso e si scosta alquanto, piangendo. «È uno stolto!», sentenzia suo fratello.
   «Forse meno di quanto lo credi», gli risponde Ermasteo. E continua: «Ieri, spiegando la profezia, il Maestro ha parlato di un corpo disfatto che si reintegra e di uno che da sé si resuscita. Io penso che uno non può risorgere se prima non è morto».
   «Ma può essere morto di morte naturale, di vecchiaia. Ed è già molto ciò per il Cristo!», ribatte il Taddeo e molti gli dànno ragione.
   «Sì, ma allora non sarebbe un segno dato a questa generazione che è molto più vecchia di Lui», osserva Simone Zelote.
   «Già. Ma non è detto che parli di Se stesso», ribatte il Taddeo, ostinato nel suo amore e nel suo rispetto.
   «Nessuno che non sia il Figlio di Dio può da Se stesso risuscitarsi, così come nessuno che non sia il Figlio di Dio può essere nato come Egli è nato. Io lo dico. Io che ho visto la sua gloria natale», dice Isacco con sicura testimonianza.
   Gesù, con le braccia conserte, li ha ascoltati parlare guardandoli a turno. Ora fa Lui cenno di parlare e dice: «Il Figlio dell’uomo sarà dato in mano degli uomini perché Egli è il Figlio di Dio ma è anche il Redentore dell’uomo. E non c’è redenzione senza sofferenza. La mia sofferenza sarà del corpo, della carne e del sangue, per riparare i peccati della carne e del sangue. Sarà morale per riparare ai peccati della mente e delle passioni. Sarà spirituale per riparare alle colpe dello spirito. Completa sarà. Perciò all’ora fissata Io sarò preso, in Gerusalemme, e dopo molto avere già sofferto per colpa degli Anziani e dei Sommi Sacerdoti, degli scribi e dei farisei, sarò condannato a morte infamante. E Dio lascerà fare perché così deve essere, essendo Io l’Agnello di espiazione per i peccati di tutto il mondo. E in un mare di angoscia, condivisa da mia Madre e da poche altre persone, morirò sul patibolo, e tre giorni dopo, per mio solo volere divino, risusciterò a vita eterna e gloriosa come Uomo e tornerò ad essere Dio in Cielo[87] col Padre e con lo Spirito. Ma prima dovrò patire ogni obbrobrio ed avere il cuore trafitto dalla Menzogna e dall’Odio».

   346.6Un coro di grida scandalizzate si leva per l’aria tiepida e profumata di primavera.
   Pietro, con un viso sgomento, e scandalizzato lui pure, prende Gesù per un braccio e lo tira un poco da parte dicendogli piano all’orecchio: «Ohibò, Signore! Non dire questo. Non sta bene. Tu vedi? Essi si scandalizzano. Tu decadi dal loro concetto. Per nessuna cosa al mondo Tu devi permettere questo; ma già una simile cosa non ti avverrà mai. Perché dunque prospettarla come vera? Tu devi salire sempre più nel concetto degli uomini, se ti vuoi affermare, e devi terminare magari con un ultimo miracolo, quale quello di incenerire i tuoi nemici.
   Ma mai avvilirti a renderti uguale ad un malfattore punito». E Pietro pare un maestro o un padre afflitto che rimproveri, amorevolmente affannato, un figlio che ha detto una stoltezza.
   Gesù, che era un poco curvo per ascoltare il bisbiglio di Pietro, si alza severo, con dei raggi negli occhi, ma raggi di corruccio, e grida forte, che tutti sentano e la lezione serva per tutti:
   «Va’ lontano da Me, tu che in questo momento sei un satana che mi consigli a venir meno all’ubbidienza del Padre mio! Per questo Io sono venuto! Non per gli onori! Tu, col consigliarmi alla superbia, alla disubbidienza e al rigore senza carità, tenti sedurmi al Male. Va’! Mi sei scandalo! Tu non capisci che la grandezza sta non negli onori ma nel sacrificio e che nulla è apparire un verme agli uomini se Dio ci giudica angeli? Tu, uomo stolto, non capisci ciò che è grandezza di Dio e ragione di Dio e vedi, giudichi, senti, parli, con quel che è dell’uomo».
   Il povero Pietro resta annichilito sotto il rimprovero severo; si scansa mortificato e piange… E non è il pianto gioioso di pochi giorni prima. Ma un pianto desolato di chi capisce di avere peccato e di avere addolorato chi ama.
   E Gesù lo lascia piangere. Si scalza, rialza le vesti e passa a guado il ruscello. Gli altri lo imitano in silenzio. Nessuno osa dire una parola. In coda a tutti è il povero Pietro, invano consolato da Isacco e dallo Zelote.

   346.7Andrea si volge più di una volta a guardarlo e poi mormora qualcosa a Giovanni, che è tutto afflitto. Ma Giovanni scuote il capo con cenni di diniego. Allora Andrea si decide. Corre avanti. Raggiunge Gesù. Chiama piano, con apparente tremore:
   «Maestro! Maestro!…».
   Gesù lo lascia chiamare più volte. Infine si volge severo e chiede: «Che vuoi?».
   «Maestro, mio fratello è afflitto… piange…».
   «Se lo è meritato».
   «È vero, Signore. Ma egli è sempre un uomo… Non può sempre parlare bene».
   «Infatti oggi ha parlato molto male», risponde Gesù. Ma è già meno severo e una scintilla di sorriso gli molce l’occhio divino.
   Andrea si rinfranca e aumenta la sua perorazione a pro del fratello. «Ma Tu sei giusto e sai che amore di Te lo fece errare…».
   «L’amore deve essere luce, non tenebre. Egli lo ha fatto tenebre e se ne è fasciato lo spirito».
   «È vero, Signore. Ma le fasce si possono levare quando si voglia. Non è come avere lo spirito stesso tenebroso. Le fasce sono l’esterno. Lo spirito è l’interno, il nucleo vivo… L’interno di mio fratello è buono».
   «Si levi allora le fasce che vi ha messo».
   «Certamente che lo farà, Signore! Lo sta già facendo. Volgiti a guardarlo come è sfigurato dal pianto che Tu non consoli. Perché severo così con lui?».
   «Perché egli ha il dovere di essere “il primo” così come Io gli ho dato l’onore di esserlo. Chi molto riceve molto deve dare…».
   «Oh! Signore! È vero, sì. Ma non ti ricordi di Maria di Lazzaro? Di Giovanni di Endor? Di Aglae? Della Bella di Corozim? Di Levi? A questi Tu hai tutto dato… ed essi non ti avevano dato ancora che l’intenzione di redimersi… Signore!… Tu mi hai ascoltato per la Bella di Corozim e per Aglae… Non mi ascolteresti per il tuo e mio Simone, che peccò per amore di Te?».
   Gesù abbassa gli occhi sul mite che si fa audace e pressante in favore del fratello come lo fu, silenziosamente, per Aglae e la Bella di Corozim, e il suo viso splende di luce: «Va’ a chiamarmi tuo fratello», dice, «e portamelo qui».
   «Oh! grazie, mio Signore! Vado…», e corre via, lesto come una rondine.

   346.8«Vieni, Simone. Il Maestro non è più in collera con te. Vieni, ché te lo vuole dire».
   «No, no. Io mi vergogno… Da troppo poco tempo mi ha rimproverato… Deve volermi per rimproverarmi ancora…».
   «Come lo conosci male! Su, vieni! Ti pare che io ti porterei ad un’altra sofferenza? Se non fossi certo che ti attende là una gioia, non insisterei. Vieni».
   «Ma che gli dirò mai?», dice Pietro avviandosi un poco recalcitrante, frenato dalla sua umanità, spronato dal suo spirito che non può stare senza la condiscendenza di Gesù e senza il suo amore. «Che gli dirò?», continua a chiedere.
   «Ma nulla! Mostragli il tuo volto e basterà», lo rincuora il fratello.
   Tutti i discepoli, man mano che i due li sorpassano, guardano i due fratelli e sorridono, comprendendo ciò che avviene.
   Gesù è raggiunto. Ma Pietro si arresta all’ultimo momento. Andrea non fa storie. Con una energica spinta, uso quelle che dà alla barca per spingerla al largo, lo butta avanti. Gesù si ferma… Pietro alza il viso… Gesù abbassa il viso… Si guardano… Due lacrimoni rotolano giù per le guance arrossate di Pietro…
   «Qui, grande bambino irriflessivo, che ti faccia da padre asciugando questo pianto», dice Gesù e alza la mano, sulla quale è ancora ben visibile il segno della sassata di Giscala, e asciuga con le sue dita quelle due lacrime.
   «Oh! Signore! Mi hai perdonato?», chiede Pietro tremebondo, afferrando la mano di Gesù fra le sue e guardandolo con due occhi di cane fedele che vuole farsi perdonare dal padrone inquieto.
   «Non ti ho mai colpito di condanna…».
   «Ma prima…».
   «Ti ho amato. È amore non permettere che in te prendano radice deviazioni di sentimento e di sapienza. Devi essere il primo in tutto, Simon Pietro».
   «Allora… allora Tu mi vuoi bene ancora? Tu mi vuoi ancora? Non che io voglia il primo posto, sai? Mi basta anche l’ultimo, ma essere con Te, al tuo servizio… e morirci al tuo servizio, Signore, mio Dio!».
   Gesù gli passa il braccio sulle spalle e se lo stringe al fianco. Allora Simone, che non ha mai lasciato andare l’altra mano di Gesù, la copre di baci… felice. E mormora: «Quanto ho sofferto!… Grazie, Gesù».
   «Ringrazia tuo fratello, piuttosto. E sappi in futuro portare il tuo peso con giustizia ed eroismo 

   346.9Attendiamo gli altri. Dove sono?».
   Sono fermi dove erano quando Pietro aveva raggiunto Gesù, per lasciare libero il Maestro di parlare al suo apostolo mortificato. Gesù accenna loro di venire avanti. E con loro sono un branchetto di contadini che avevano lasciato di lavorare nei campi per venire ad interrogare i discepoli.
   Gesù, tenendo sempre la mano sulla spalla di Pietro, dice:
   «Da quanto è avvenuto voi avete compreso che è cosa severa essere al mio servizio. L’ho dato a lui il rimprovero. Ma era per tutti. Perché gli stessi pensieri erano nella maggioranza dei cuori, o ben formati o solo in seme. Così Io ve li ho stroncati, e chi ancora li coltiva mostra di non capire la mia Dottrina, la mia Missione, la mia Persona.
   Io sono venuto per essere Via, Verità e Vita. Vi dò la Verità con ciò che insegno. Vi spiano la Via col mio sacrificio, ve la traccio, ve la indico. Ma la Vita ve la dò con la mia Morte. E ricordate che chiunque risponde alla mia chiamata e si mette nelle mie file per cooperare alla redenzione del mondo deve essere pronto a morire per dare ad altri la Vita. Perciò chiunque voglia venire dietro a Me deve essere pronto a rinnegare se stesso, il vecchio se stesso con le sue passioni, tendenze, usi, tradizioni, pensieri, e seguirmi col suo nuovo se stesso.
   Prenda ognuno la sua croce come Io la prenderò. La prenda se anche gli sembra troppo infamante. Lasci che il peso della sua croce stritoli il suo se stesso umano per liberare il se stesso spirituale, al quale la croce non fa orrore ma anzi è oggetto di appoggio e di venerazione perché lo spirito sa e ricorda. E con la sua croce mi segua. Lo attenderà alla fine della via la morte ignominiosa come Me attende? Non importa. Non si affligga, ma anzi giubili, perché l’ignominia della Terra si muterà in grande gloria in Cielo, mentre sarà disonore l’essere vili di fronte agli eroismi spirituali.
   Voi sempre dite di volermi seguire fino alla morte. Seguitemi allora, e vi condurrò al Regno per una via aspra ma santa e gloriosa, al termine della quale conquisterete la Vita senza mutazione in eterno. Questo sarà “vivere”. Seguire, invece, le vie del mondo e della carne è “morire”. Di modo che se uno vorrà salvare la sua vita sulla Terra la perderà, mentre colui che perderà la vita sulla Terra per causa mia e per amore al mio Vangelo la salverà. Ma considerate: che gioverà all’uomo guadagnare tutto il mondo se poi perde la sua anima 

   346.10E ancora guardatevi bene, ora e in futuro, di vergognarvi delle mie parole e delle mie azioni. Anche questo sarebbe “morire”. Perché chi si vergognerà di Me e delle mie parole in mezzo alla generazione stolta, adultera e peccatrice, di cui ho parlato, e sperando averne protezione e vantaggio la adulerà rinnegando Me e la mia Dottrina e gettando le perle avute nelle gole immonde dei porci e dei cani per averne in compenso escrementi al posto di monete, sarà giudicato dal Figlio dell’uomo quando verrà nella gloria del Padre suo e cogli angeli e i santi a giudicare il mondo. Egli allora si vergognerà di questi adulteri e fornicatori, di questi vili e di questi usurai e li caccerà dal suo Regno, perché non c’è posto nella Gerusalemme celeste per gli adulteri, i vili, i fornicatori, bestemmiatori e ladri. E in verità vi dico che ci sono alcuni dei presenti fra i miei discepoli e discepole che non gusteranno la morte prima di avere veduto il Regno di Dio fondarsi[88], col suo Re incoronato e unto».
   Riprendono ad andare parlando animatamente, mentre il sole cala lentamente nel cielo…

Ave Maria, Madre di Gesù e nostra, Regina del Cielo e della terra,
Datrice di ogni santa e buona Mercede, noi ci affidiamo per sempre a Te!